Manuale Arrampiacata Su Ghiaccio e Misto
Manuale Arrampiacata Su Ghiaccio e Misto
Manuale Arrampiacata Su Ghiaccio e Misto
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Club Alpino Italiano Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo e Sci Alpinismo Commissione Centrale delle Pubblicazioni
Club Alpino Italiano Via A. Petrella, 19- 20124 Milano Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo e Sci Alpinismo Commissione Centrale delle Pubblicazioni del Club Alpino Italiano
Collana: I manuali del Club Alpino Italiano n14 - edizione: novembre 2005 Propriet letteraria riservata. Riproduzione vietata senza lautorizzazione scritta da parte del C.A.I.
testi, disegni e foto: Scuola Centrale di Sci Alpinismo - Scuola Centrale di Alpinismo con il contributo di alcuni Organi Tecnici Centrali, di vari Enti e la collaborazione di numerosi soci. coordinamento tecnico e redazione: Maurizio Dalla Libera progetto grafico editoriale: Gruppo Ixelle - www.ixelle.it - Mestre finito di stampare nel mese di novembre presso le Grafiche Chinchio - Sarmeola di Rubano - Padova in sovracopertina: Gruppo del Monte Bianco - Cresta di Bionnassay
Presentazione e ringraziamenti
PRESENTAZIONE E RINGRAZIAMENTI DELLA COMMISSIONE NAZIONALE SCUOLE DI ALPINISMO E SCI ALPINISMO - CNSASA
La presente edizione del manuale Alpinismo su ghiaccio e misto che le scuole aspettavano con impazienza, frutto dell'esperienza delle nostre Scuole Centrali e dello studio della Commissione Materiali e Tecniche, ha senza dubbio il pregio d' essere completo, quasi pignolo su tutti gli aspetti delle ascensioni d' alta montagna. Attento anche alla realt oggettiva dell' ambiente in quota che in questi ultimi anni cambiato non di poco, dove le vie di ghiaccio diventano sempre di pi vie di misto, questo fatto non secondario ha indotto ad estendere la parte tecnica di roccia. Tale scelta fa si che questo manuale di ghiaccio sia veramente il testo comune per le scuole di alpinismo e di sci alpinismo. La Commissione vuole ringraziare : Maurizio Dalla Libera che ha coordinato il gruppo di lavoro e curato la redazione Il gruppo di lavoro formato da Istruttori della Scuola Centrale di Sci Alpinismo e della Scuola Centrale di Alpinismo: Franco Brunello, Davide Di Giosaffatte, Edoardo Fioretti, Bruno Moretti, Angelo Panza, Giuliano Bressan, Lorenzo Giacomoni, Claudio Melchiorri, Emiliano Olivero I collaboratori operanti nella CNSASA: Guido Coppadoro per la correzione delle bozze e Paolo Veronelli per la segreteria; Massimo Doglioni per la consulenza editoriale Lorganico della Scuola Centrale di Sci Alpinismo per la partecipazione a riunioni e prove tecniche rese necessarie per la realizzazione del manuale La Commissione Centrale Materiali e Tecniche e gli Istruttori Vittorio Bedogni, Giuliano Bressan, Claudio Melchiorri e Carlo Zanantoni per la collaborazione e la consulenza Le Commissioni Materiali e Tecniche della Lombardia e del Veneto Friuli Venezia Giulia per il loro contributo sui materiali I Tecnici del CNSAS Franco Dobetti, Michele Barbiero, Lorenzo Giacomoni per il contributo fornito nella stesura del capitolo Richiesta di soccorso La Guida Alpina Paolo Caruso e la casa editrice Edizioni Mediterranee per la consulenza nella stesura del capitolo dedicato alla progressione su ghiaccio LIstruttore Matteo Fiori per la consulenza giuridica relativa al capitolo preparazione e condotta della salita Jean Paul Zuanon e Giovanni Kappenberger per la sensibilit e laiuto manifestati in pi occasioni Il Servizio Valanghe del CAI per lapporto fornito in tema di neve, valanghe e autosoccorso Il Centre dEtudes de la Neige (CEN) di Mto France per aver autorizzato la pubblicazione di foto sui cristalli di neve LAssociazione Interregionale Neve e Valanghe (AINEVA) e in particolare la Direzione della
Presentazione e ringraziamenti
rivista Neve e valanghe per averci autorizzato a riprodurre parti di testo ed immagini presenti nelle loro pubblicazioni relative a bollettini nivometeo, neve e valanghe Il Centro Valanghe di Arabba e i tecnici Anselmo Cagnati, Mauro Valt, Renato Zasso per la consulenza sulle caratteristiche della neve e sulla valutazione della stabilit del manto nevoso Per la realizzazione di numerose immagini che compaiono nel manuale si ringraziano inoltre gli istruttori: Bruno Brunello, Franco Brunello, Davide Di Giosaffatte, Edoardo Fioretti, Ivano Mattuzzi, Bruno Moretti, Angelo Panza, Ettore Taufer, Carlo Zanon, Lorenzo Giacomoni, Francesco Cappellari, Emiliano Olivero, Alberto Ongari, Giacomo Cesca, Massimo Fioretti, Davide Rogora, Antonio Carboni, Claudio Smiraglia, Franco Gallo, Maurizio Carcereri, Luigi Bernardi, Fabio Zamperetti, Alessandro Bimbatti, Carlo Barbolini, Gian Mario Piazza, i partecipanti al corso nazionale per INSA edizioni 2003 e 2005 e la Scuola di sci alpinismo di Marostica e Thiene, la Scuola Franco Piovan di Padova, la Scuola Umberto Conforto di Vicenza. Rolando Canuti Presidente della Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo e Sci Alpinismo
Prefazione
PREFAZIONE
Il lavoro prodotto con esperienza e passione dagli amici istruttori nella edizione 1995 stato aggiornato e sviluppato: ci siamo occupati non solo della evoluzione delle tecniche di arrampicata su ghiaccio e dei materiali, ma si anche considerata la maggiore complessit dellattivit alpinistica in alta montagna in seguito ai recenti cambiamenti climatici. Diversi itinerari classici come pareti nord e canaloni su neve, che venivano percorsi nella stagione estiva da molte cordate, ora si sono progressivamente ridotte o sono purtroppo addirittura scomparsi per la mancanza di neve e di ghiaccio. Infatti a partire dallinizio degli anni novanta il progressivo riscaldamento dellatmosfera ha fatto registrare durante i mesi estivi valori di temperatura molto elevati che hanno accelerato larretramento dei ghiacciai e innalzato il livello altimetrico del permafrost. Molti sassi, massi e blocchi di ghiaccio che prima erano cementati dal ghiaccio, ora, venendo meno questo collante, hanno incrementato le frane, le scariche di pietre e di ghiaccio. A causa di questo maggiore aumento dellinstabilit, diverse pareti nord, che 10-15 anni fa erano percorse regolarmente nei mesi di luglio e agosto, durante le attuali estati secche e calde risultano spesso impercorribili per motivi di sicurezza. I frequentatori dellalta montagna si stanno adattando al mutamento di scenario e lattivit alpinistica si sta diversificando: c chi preferisce salire nel periodo estivo prevalentemente creste di misto, chi, invece, sceglie di affrontare certe pareti nord nel periodo primaverile o in autunno dopo le prime nevicate, oppure ci sono gli appassionati del ghiaccio ripido che affrontano couloir e goulotte in pieno inverno. Tuttavia se da un lato si cercato di ridurre il rischio di scariche di sassi e di ghiaccio, dallaltro queste scelte fanno emergere altri pericoli oggettivi: chi si muove dinverno e in primavera si trova nelle medesime condizioni di uno sci alpinista e quindi alle prese con il problema delle valanghe; analogamente colui che privilegia la salita di cresta su misto deve comunque fare i conti con lo zero termico e deve applicare sul terreno le tecniche di progressione e le modalit di assicurazione pi adatte per mantenere una marcia spedita. Pertanto allalpinista, che affronta lalta montagna, viene richiesto oltre che unadeguata preparazione tecnica soprattutto una buona formazione scientifica e culturale; il manuale per fornire una appropriata base teorica e sperimentale riporta i pi recenti lavori condotti dalla CCMT e dalle Scuole Centrali sulla catena di assicurazione, sui vari sistemi di assicurazione e sulle problematiche della neve e delle valanghe. La conoscenza approfondita dellambiente e delle tecniche relative al tipo di disciplina il modo migliore per prevenire ed evitare gli incidenti: si tratta in primo luogo di una questione di cultura. La conoscenza dellambiente permette una sicura frequentazione; solo allora si sa come affrontarlo, si applicano le tecniche adeguate, si attivano i mezzi fisici e la forza mentale, si sceglie lattrezzatura e labbigliamento. Nella secolare convivenza con lambiente naturale da parte di chi vive in montagna e nel corso di duecento anni di alpinismo stata elaborata una cultura e sono state messe insie-
Prefazione
me le conoscenze capaci di far fronte alle avversit e di prevenire le situazioni potenzialmente pericolose. Gli attuali modelli di comportamento proposti da una certa stampa sensibile solo alla prestazione spettacolare, oltre a dare informazioni superficiali e distorte, tendono purtroppo a banalizzare e a trasformare in fatti ordinari attivit che richiedono invece anni di preparazione ed esperienza. Lesigenza di una pi approfondita formazione culturale non indispensabile solo per ridurre i pericoli oggettivi, ma importante perch la sola conoscenza delle tecniche non sufficiente per formare un alpinista; necessaria unetica di comportamento che tuteli lambiente naturale e che si ispiri a valori di rispetto e solidariet nei confronti delle persone con cui arrampichiamo o veniamo in contatto. In questa nuova prospettiva listruttore o colui che guida il gruppo non esercita solo un ruolo di accompagnamento e di riferimento da un punto di vista tecnico ma deve svolgere anche unazione culturale ed educativa. Nel presente manuale sono sviluppati soprattutto gli aspetti inerenti lattivit alpinistica su ghiaccio e misto, mentre le tematiche di carattere culturale e scientifico, come ad esempio cultura alpina, storia dellalpinismo e dello sci alpinismo, meteorologia, geomorfologia, pericoli della montagna, topografia, flora e fauna, ecologia, fisiologia, primo soccorso, saranno trattate in un manuale appositamente dedicato. Fornire conoscenze e tecniche per frequentare la montagna in sicurezza, dapprima in modo guidato e successivamente in forma autonoma, da sempre la filosofia che guida il nostro operato. Alpinismo su ghiaccio e misto rivolto agli allievi che partecipano a corsi di base e avanzati organizzati dalle scuole di alpinismo e di sci alpinismo del Club Alpino Italiano e a tutti gli istruttori come riferimento essenziale ai fini delluniformit didattica. Il manuale anche rivolto a tutti coloro che, gi svolgendo questa complessa attivit, vogliono approfondire la loro preparazione sulle tematiche inerenti le tecniche di progressione, lattrezzatura alpinistica, i sistemi di assicurazione e la preparazione e condotta della salita. Nellottica di un utilizzo del manuale in ambito didattico si scelto di modulare le conoscenze con gradualit, in modo da permettere allalpinista principiante una formazione di base e a quello pi evoluto un approfondimento. compito degli istruttori, sulla base degli obiettivi e dei contenuti stabiliti per ciascuna tipologia di corso dalla Commissione Nazionale, scegliere nel manuale gli argomenti pi adatti per il livello del corso e svolgerli durante le lezioni teoriche e le uscite pratiche. Va ricordato che una scuola buona se gli allievi alla fine di un percorso formativo sono riusciti ad apprendere alcune conoscenze e abilit di base stabilite dagli obiettivi principali del corso; la formazione deve far capire a tutti i partecipanti limportanza di muoversi nellambiente in sicurezza, perch la montagna presenta difficolt e pericoli che spesso i meno
Prefazione
esperti sottovalutano. Allistruttore si chiede di curare quelle tecniche di insegnamento che consentono di trasferire allallievo ci che conosce e sa fare, in modo che, grazie allintervento didattico e ad unadeguata esperienza personale, egli possa frequentare in sicurezza lambiente di montagna in forma sempre pi autonoma. Per realizzare unopera che comprenda varie discipline e che risulti sufficientemente approfondita ci siamo avvalsi di importanti contributi sia da parte di Commissioni operanti allinterno del CAI sia di Enti che svolgono attivit di informazione, divulgazione e prevenzione nellambiente montano, nonch della cooperazione di numerosi amici istruttori ed esperti praticanti dellattivit alpinistica. Diversamente dal precedente manuale, in questo si fa riferimento non solo al ghiaccio, ma anche al misto per le motivazioni precedentemente espresse. Vogliamo ancora una volta ricordare che lattivit su ghiaccio e misto una disciplina di notevole complessit, nella quale bisogna avvalersi di tecniche e conoscenze provenienti da ambiti specifici relativi alla progressione su roccia, neve e ghiaccio; ma forse anche il settore nel quale lalpinista pu maggiormente esprimersi nella sua globalit. Per questo il manuale risulta di ragguardevole complessit e ci auguriamo di sufficiente completezza. Abbiamo riservato ampio spazio alla catena di assicurazione, tematica considerata specifica della progressione su roccia, perch importante far cultura alpinistica e questa passa anche attraverso conoscenze pi ampie rispetto a quelle indispensabili per la salita da realizzare. Per questo si sono approfondite tematiche relative alle sollecitazioni che subiscono lalpinista, lancoraggio di sosta e lultimo rinvio in caso di volo del primo di cordata sia con corda bloccata che con limpiego di freni, si sono evidenziati dettagli tecnici e norme relativi agli elementi che fanno parte della catena di assicurazione (corde, cordini, fettucce, moschettoni, imbracatura, ecc.). Tale trattazione stata possibile grazie al prezioso contributo della CCMT che ha svolto un lungo lavoro sulle nuove metodologie di assicurazione che meglio si adattano ai terreni precari. Le tecniche di assicurazione su ghiaccio e su terreno misto da applicare in parete e che prevedono una progressione per tiri di corda sono illustrate e messe a confronto, facendo particolare riferimento allaffidabilit degli ancoraggi. Infine vengono riportati in sintesi i risultati delle prove, con le considerazioni conclusive, condotte dalla CCMT coordinata da Giuliano Bressan. Abbiamo descritto le tecniche della progressione in conserva cio il movimento contemporaneo di alpinisti o sci alpinisti che sono legati tra loro in cordata. Nella prima parte si riprendono argomenti noti come la descrizione delle caratteristiche principali del ghiacciaio, gli accorgimenti da adottare nellattraversamento di zone crepacciate e la progressione su ghiacciaio, effettuata sia a piedi che con gli sci. Invece nella seconda parte si affronta una tematica relativamente nuova che riguarda la progressione in conserva su pendii e creste per-
Prefazione
ch la lunghezza di questi itinerari, la necessit di rimanere esposti a pericoli oggettivi il minor tempo possibile, lesigenza di conservare delle buone condizioni di neve impongono di dover procedere rapidamente, pur conservando un certo grado di sicurezza. A seconda che il movimento avvenga su terreno facile di misto, oppure su cresta rocciosa di misto o su parete di neve vengono adottati sistemi diversi di legatura e di progressione. Descriviamo in forma aggiornata, adattati in ordine crescente di difficolt, dapprima con la sola piccozza e poi con due attrezzi, gli esercizi della progressione base su neve e ghiaccio, che fanno parte del bagaglio di esperienze maturate in ambiente del CAI. Alcuni di questi sono stati rivisti adottando una nuova metodologia didattica che si ispira a studi sul movimento su ghiaccio sviluppati dalla Guida Alpina Paolo Caruso. Abbiamo dedicato uno spazio specifico alla neve, alle valanghe e allautosoccorso. Lobiettivo quello di far comprendere le trasformazioni del manto nevoso e le cause principali che sono allorigine del distacco di una valanga, evento purtroppo quasi sempre causato dallimperizia degli alpinisti che non rispettano le norme di sicurezza. Crediamo che appropriate conoscenze e una adeguata esperienza maturata in montagna ci consentano di interpretare correttamente le informazioni contenute nel bollettino nivometeorologico, di scegliere una salita con criteri pi oggettivi e di muoversi sul terreno in modo pi consapevole e soprattutto pi sicuro. Tante conoscenze ed esperienze maturate in questi anni sono frutto anche della collaborazione con esperti che operano presso i Centri Valanghe; in modo particolare cogliamo loccasione per citare A. Cagnati, M. Valt e R. Zasso del Centro di Arabba e G. Peretti e A. Praolini del Centro di Bormio. Infine si curato con particolare attenzione laspetto della prevenzione degli incidenti, sia in fase di scelta e preparazione della salita sia durante il comportamento sul terreno. Conoscere i pericoli per poter meglio evitarli una regola fondamentale. Vengono considerati in forma sintetica i pericoli oggettivi dovuti alle condizioni meteorologiche e alla situazione della montagna e i pericoli soggettivi legati alla persona, quali incapacit, inadeguata forza danimo, mancanza di conoscenze e impreparazione tecnica, stima non corretta delle difficolt in rapporto alla propria esperienza. Lobiettivo quello di adottare tutte le misure precauzionali affinch lattivit alpinistica comporti un rischio residuo accettabile; bisogna perci dedicarsi con diligenza e prudenza con il duplice obiettivo di prevenire gli incidenti e garantire quelle grandi soddisfazioni che la frequentazione della montagna ci pu offrire. La prudenza tuttavia, e qui sta forse il problema maggiore, un margine di sicurezza che dipende dalle capacit e conoscenze dell'individuo. Per questo bisogna essere coscienti della propria capacit di valutazione e saper assumere un atteggiamento critico nei confronti delle propria esperienza. Per conoscere i propri limiti bisogna analizzare e non giustificare i propri errori, fare un bilancio onesto delle forze in gioco e
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delle difficolt da superare, valutare le critiche e le osservazioni dei compagni di cordata. Queste considerazioni non valgono solo per lalpinista esperto, ma devono essere presentate anche nei corsi in modo che i partecipanti si rendano conto delle loro attitudini e dei loro limiti. Pertanto la figura del capocomitiva e soprattutto quella dellistruttore assumono una importanza particolare in primo luogo per gli obblighi morali nei confronti di chi si affida agli accompagnatori, confidando sullesperienza di questi e sullaffidabilit dellorganizzazione e considerando anche le responsabilit che vengono attribuite dallordinamento giuridico. Il responsabile di un corso o di un gruppo, dotato di adeguata competenza in rapporto al tipo di ascensione, oltre a fare le sue scelte ispirandosi alla esperienza e al buon senso, deve agire sempre con diligenza e prudenza, perch questo si richiede ad un soggetto che esercita una attivit qualificata. Il manuale fa largo uso di immagini a colori e riporta a lato del testo alcuni concetti chiave per facilitare la comprensione di quanto proposto; alle Scuole viene consegnato un DVD che raccoglie tutte le foto e le illustrazioni che accompagnano il testo, con lo scopo di fornire un sussidio didattico nella preparazione delle lezioni. Ci auguriamo che la pubblicazione, frutto di un lungo lavoro, possa essere di valido aiuto per molti, in particolare per istruttori e allievi dei corsi di alpinismo e di sci alpinismo, e rivolgiamo un sentito ringraziamento a tutti coloro che hanno collaborato con passione e tenacia alla sua realizzazione. Speriamo di aver dato un piccolo contributo perch chi ama i monti possa ancor pi apprezzarne le bellezze incomparabili e vivere le grandi emozioni dellambiente alpino, frequentando la montagna con spirito di grande rispetto; solo sviluppando la conoscenza dellambiente e di noi stessi che potremo lentamente entrare sempre pi in sintonia con la roccia, la neve, il vento.
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Sommario
SOMMARIO
Presentazione del Presidente Generale Presentazione e ringraziamenti della Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo e Sci alpinismo - CNSASA Prefazione Sommario pag. 3
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Capitolo 1: equipaggiamento Premessa Abbigliamento Attrezzatura varia Materiale da bivacco Capitolo 2: attrezzatura alpinistica Premessa Corde Cordini, fettucce e preparati Moschettoni Imbracatura Casco Piccozza e martello-piccozza Ramponi Viti e chiodi da ghiaccio Fittoni e corpi morti Manutenzione degli attrezzi Chiodi da roccia Blocchetti da incastro fissi e regolabili Piastrine multiuso Freni e discensori
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pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag.
50 51 53 56 58 60 62 73 79 81 83 85 86 87 91
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Capitolo 3: Imbracatura e nodi principali Utilizzo dellimbracatura Nodi principali Collegamento della corda allimbracatura bassa Collegamento della corda allimbracatura combinata Realizzazione di imbracature di emergenza Nodi per assicurazione ed autoassicurazione Nodi e sistemi autobloccanti Nodi di giunzione
pag. 94 pag. 96 pag. 99 pag. 101 pag. 102 pag. 103 pag. 108 pag. 116
Capitolo 4: Catena di assicurazione e normative Premessa Principi della catena di assicurazione Materiali e normative
Capitolo 5: Progressione di base su neve e ghiaccio Premessa Ricerca dellequilibrio e tipi di movimenti La progressione incrociata applicata alla tecnica di base Progressione individuale su neve senza ramponi con piccozza oppure con bastoncini da sci Tecnica individuale di progressione su ghiaccio con piccozza e ramponi Gradinamento
pag. 202 pag. 202 pag. 205 pag. 208 pag. 221 pag. 243
Capitolo 6: Progressione con due attrezzi e introduzione alla piolet-traction Premessa pag. 254 Uso generale degli attrezzi pag. 254 Salita diretta con due attrezzi in appoggio e in appoggio - trazione pag. 254 Salita diretta con due attrezzi in trazione pag. 256 Utilizzo dei ramponi pag. 259 Uscita da un breve tratto ripido pag. 260 Progressione su pendio ripido pag. 261
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Capitolo 7: Progressione individuale su misto Premessa Impiego dei ramponi su terreno misto Baricentro e movimento naturale La posizione di base Il movimento in salita arrampicata diretta Il movimento in discesa faccia a valle Il movimento in discesa faccia a monte e posizione in spaccata Il movimento in traversata La tecnica di opposizione e di sostituzione Progressione in camino Progressione in fessura Progressione in diedro Osservazioni particolari relative alla pratica dello sci alpinismo
pag. 274 pag. 274 pag. 276 pag. 277 pag. 278 pag. 280 pag. 281 pag. 282 pag. 283 pag. 286 pag. 288 pag. 289 pag. 290
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Capitolo 8: Ancoraggi Premessa Ancoraggi su neve e ghiaccio Ancoraggi su roccia Ancoraggi di sosta Collegamento degli ancoraggi di sosta Ancoraggi di calata Ancoraggi intermedi (o di protezione)
pag. 292 pag. 292 pag. 301 pag. 305 pag. 309 pag. 316 pag. 318
Capitolo 9: Tecniche di assicurazione in parete Premessa Ancoraggi di sosta, intermedi e autoassicurazione Richiami sullassicurazione dinamica e sui freni Tecniche di assicurazione dinamica al primo di cordata Tecniche di assicurazione al secondo di cordata Assicurazione con metodo tradizionale a spalla Progressione della cordata su terreno alpinistico
pag. 320 pag. 321 pag. 329 pag. 334 pag. 353 pag. 356 pag. 358
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Capitolo 10: Progressione in conserva della cordata Premessa Progressione in conserva su ghiacciaio Progressione in conserva su pendii e creste Prospetto di riepilogo
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Capitolo 11: Manovre di corda Premessa Avvolgimento e trasporto della corda La corda doppia Risalita della corda con i nodi autobloccanti Sistemi di paranchi Attrezzatura di passaggi con corda fissa Passaggio delle corde in carico dal tuber alla sosta
pag. 412 pag. 413 pag. 414 pag. 432 pag. 433 pag. 434 pag. 438
Capitolo 12: Recuperi da crepaccio Premessa Indicazioni sulla quantit di forza da applicare in un recupero Messa in sicura della cordata e predisposizione del sistema iniziale di recupero da crepaccio Paranco semplice con rinvio al compagno (compagno in grado di collaborare) Recupero con azione interna ed esterna (compagno in grado di collaborare) Paranco Vanzo (compagno in grado di collaborare) Paranco Mezzo Poldo con piastrina Paranco Mezzo Poldo con piastrina e spezzone ausiliario Paranco Mezzo Poldo con piastrina su terreno misto
pag. 442 pag. 443 pag. 447 pag. 453 pag. 456 pag. 460 pag. 464 pag. 466 pag. 469
Capitolo 13: La neve e le valanghe Premessa La formazione della neve Le superfici del manto nevoso Evoluzione del manto nevoso
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Trasformazioni della neve al suolo Le valanghe La valanga a debole coesione La valanga a lastroni La valanga di neve bagnata La valanga nubiforme (di neve polverosa) Condizioni critiche per il distacco di una valanga a lastroni Fattori che determinano il distacco di valanghe Incidenti da valanga e autosoccorso Incidenti da valanga sulle Alpi Probabilit di sopravvivenza in valanga Autosoccorso e responsabile della ricerca Ricerca vista-udito Identificazione aree primarie di ricerca Richiesta di soccorso organizzato
pag. 485 pag. 495 pag. 497 pag. 499 pag. 503 pag. 504 pag. 505 pag. 509 pag. 523 pag. 524 pag. 525 pag. 527 pag. 530 pag. 530 pag. 534
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Capitolo 14: Preparazione e condotta della salita Premessa Pericoli oggettivi Pericoli soggettivi Preparazione della salita La responsabilit dellaccompagnatore
pag. 538 pag. 540 pag. 563 pag. 570 pag. 608
Capitolo 15: Richiesta di soccorso Premessa Numeri di chiamata del soccorso alpino sulle Alpi Segnali internazionali di soccorso alpino Il soccorso aereo Scelta della zona di atterraggio e misure di sicurezza Soccorso in crepaccio Chiamata di soccorso: scheda sintetica
pag. 620 pag. 620 pag. 621 pag. 623 pag. 625 pag. 631 pag. 632
Bibliografia
pag. 633
capitolo 1
Equipaggiamento
INDICE
Premessa Abbigliamento
Indumenti a contatto con la pelle Pantaloni Copri calzoni Giacca a vento Giacca imbottita Copricapo Guanti Occhiali Crema solare
Attrezzatura varia
Scarponi Ghette Zaino Lampada frontale Thermos e borracce Bastoncini regolabili Telo termico Farmacia Relazione salita, cartina, strumentazione Accessori vari A.R.VA. Documenti e tessera del C.A.I.
Materiale da bivacco
Il bivacco imprevisto Il bivacco organizzato Fornello Pentole e posate Viveri e bevande Materassini Sacco a pelo e sacco da bivacco Tendina
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Equipaggiamento
PREMESSA
Il vestiario ha importanza primaria in alta montagna e in connessione con attivit a spiccato contenuto tecnico come quella alpinistica. importante indossare vari strati di indumenti sottili e leggeri. Le principali funzioni del vestiario sono: - proteggere da condizioni atmosferiche avverse - favorire o perlomeno non ostacolare i processi di termoregolazione del corpo - proteggere da effetti meccanici dannosi dell'ambiente (quali sfregamento contro superfici ruvide, penetrazione di elementi taglienti, ecc.) - garantire comodit, senza ostacolare i movimenti. Per quanto riguarda il primo punto va ricordato che il corpo umano termoregolato attraverso un complesso sistema fisiologico attorno a una temperatura ottimale di 37C; variazioni anche di pochi gradi rispetto a tale valore (febbre, ipotermia) comportano forte riduzione della funzionalit e in particolare della capacit di produrre lavoro. Gran parte dell'energia prodotta dal corpo umano viene utilizzata per produrre calore: in normali condizioni di attivit fisica e di condizioni ambientali solo circa il 25% dell'energia prodotta viene trasformata in lavoro muscolare. Lo scambio di calore con l'esterno, che consente di mantenere costante la temperatura interna, avviene essenzialmente attraverso l'apparato circolatorio periferico e attraverso l'evaporazione tramite sudorazione. Tali processi sono resi critici da condizioni ambientali particolarmente avverse: elevate temperature e insolazione, basse temperature, forte vento, pioggia o umidit elevata. Nel caso di temperature ambientali elevate ed elevata umidit atmosferica, sotto fatica, il processo di ablazione del calore da parte della circolazione sanguigna e il processo di sudorazione non devono essere ostacolati dal vestiario, pena il rischio di sovra riscaldamento e infine di colpo di calore. Nel caso di temperature basse, soprattutto se in presenza di umidit e vento, in primo luogo il vestiario che deve assistere i processi fisiologici che combattono l'insorgere dell'ipotermia, dell'assideramento e del congelamento locale. Un buon capo di vestiario, in dipendenza ovviamente dalla sua funzione specifica, deve essenzialmente essere caratterizzato da un certo grado di isolamento termico e da una certa capacit di traspirazione. La prima propriet dipende essenzialmente dallo spessore e dalla struttura dei tessuti, in particolare dalla quantit di aria da essi trattenuta. La seconda propriet, pi difficile da otte-
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Equipaggiamento
nere in misura soddisfacente, dipende essenzialmente dalla struttura e dalla capacit della fibra tessile di condurre l'umidit; comunque dipendente dalle condizioni dell'ambiente in quanto la traspirazione richiede un sufficiente gradiente termico e di umidit ed quindi favorita in ambiente fresco e asciutto. Attualmente sono disponibili sul mercato tessuti sia in fibra naturale che in fibra sintetica, questi ultimi in misura sempre crescente. Diamo nel seguito solamente alcune indicazioni essenziali in quanto i materiali disponibili sul mercato, soprattutto quelli in fibra sintetica, sono estremamente numerosi e spesso differenziati solamente per caratteristiche secondarie o addirittura sostanzialmente identici malgrado la diversa denominazione. Le fibre naturali (cotone, lana, seta) sono caratterizzate essenzialmente da: - resistenza (allo strappo) buona per il cotone e la seta, cattiva per la lana - resistenza all'usura (sfregamento) buona per il cotone, cattiva per la lana e la seta - elevata capacit di assorbire umidit e quindi vantaggio per la pelle (salvo allergie, frequenti nel caso della lana) - asciugamento lento, soprattutto nel caso della lana - buon isolamento termico, maggiore nel caso della lana e della seta, minore nel caso del cotone - deformabilit elevata per la lana e la seta, scarsa per il cotone Il cotone ancora usato nell'abbigliamento alpinistico; la lana classica lo sempre meno mentre per il freddo intenso si sta diffondendo nel mercato la nuova lana merino; la seta utilizzata principalmente nella biancheria intima, per sottocalze o sottoguanti. Le fibre sintetiche, come gi detto, sono presenti sul mercato in numero elevato e con caratteristiche sensibilmente diverse. La loro scarsa capacit di assorbire umidit le ha rese per lungo tempo poco adatte al contatto con la pelle, ma esistono oggi numerosi tessuti che, per composizione e struttura, superano sostanzialmente tale problema. In media le caratteristiche principali sono le seguenti: - resistenza (allo strappo) migliore di quella delle fibre naturali - resistenza all'usura (sfregamento) migliore di quella delle fibre naturali - scarsa o quasi nulla capacit di assorbire umidit - asciugamento rapido - isolamento termico in genere di per s modesto, ma buono in combinazione con altri materiali e/o in strutture particolari
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Equipaggiamento
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- peso specifico minore di quello delle fibre naturali - tendenza ad assumere carica elettrostatica e quindi a sporcarsi rapidamente. Un esempio interessante di tessuto in fibra sintetica il Goretex. Si tratta essenzialmente di un laminato, cio di un tessuto costituito da pi strati di cui uno, interno, protetto meccanicamente su ambo i lati da strati pi esterni, costituito da una membrana di Teflon i cui pori sono di dimensioni tali da permettere il passaggio di acqua sotto forma di vapore, e quindi la traspirazione, ma non il passaggio di gocce d'acqua anche piccolissime, per cui risulta impermeabile. Risolve quindi abbastanza soddisfacentemente il problema di indumenti che devono essere impermeabili e contemporaneamente sufficientemente traspiranti, quali giacche a vento, sovrapantaloni, ghette, guanti. Il suo principale difetto quello di non possedere di per s elevata resistenza meccanica. In combinazione con altri materiali peraltro pu essere e viene normalmente utilizzato anche per scarpe, zaini, tende. Le fibre sintetiche vengono utilizzate anche per produrre il pile, tessuto, simile a pelo sintetico, utilizzato per determinati indumenti (giacche, calze, guanti, copricapi, ecc.). Tale rivestimento viene ottenuto direttamente dalla struttura portante in fibra del tessuto e costituisce con esso quindi corpo unico; ha ottime propriet termiche, ma scarsa impermeabilit al vento e, per poter essere utilizzato con buoni risultati anche in tali condizioni, deve essere dotato di un rivestimento interno opportuno chiamato windstopper. Per quanto riguarda gli indumenti a contatto della pelle (guanti leggeri, passamontagna, slip, sottopantaloni e maglia,...) si segnalano materiali come il polipropilene, il fleece, il capilene. Passiamo ora in rapida rassegna il principale equipaggiamento in uso nella pratica dell'alpinismo su ghiaccio; gli attrezzi tecnici vengono invece descritti nel capitolo 2.
Equipaggiamento
ABBIGLIAMENTO
Indumenti a contatto con la pelle
Gli indumenti a contatto con la pelle devono essere scelti in funzione dell'ambiente in cui si svolge l'attivit e delle caratteristiche della stessa. Attivit con elevato impegno aerobico (es. lunghe salite in quota) produrranno grosse quantit di liquidi che richiedono di essere smaltite e quindi necessitano di indumenti che trasportino allesterno il pi rapidamente possibile di strato in strato il sudore. Capi in filato di capilene e di polipropilene sono molto traspiranti, si asciugano rapidamente e favoriscono lespulsione dei liquidi verso lesterno attenuando la spiacevole sensazione di bagnato. La biancheria di cotone possiede gradevoli propriet a contatto con la pelle, ma si inzuppa piuttosto rapidamente col sudore e risulta quindi poco pratica a basse temperature. Oggi, specie in alta montagna o nelle spedizioni extraeuropee, vengono normalmente impiegati indumenti in pile o simili, che, avendo un basso coefficiente di inzuppamento, si asciugano molto rapidamente. Si pu ottenere una efficace protezione dal freddo e dal vento indossando pi capi sovrapposti che producono la formazione di intercapedini isolanti fra gli strati. Inoltre, in caso di pioggia, avendo pi capi a disposizione, ci si trova ad avere sempre qualcosa di asciutto da indossare ed possibile dosare meglio la protezione termica del corpo. Le calze devono essere robuste e in grado di traAttivit con elevato impegno aerobico produrranno abbondanti quantit di liquidi da smaltire; necessitano quindi indumenti che trasportino allesterno il sudore il pi rapidamente possibile di strato in strato.
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In alta montagna vengono normalmente impiegati indumenti in pile o simili che, avendo un basso coefficiente di inzuppamento, si asciugano molto rapidamente.
Equipaggiamento
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C01-01 Indumenti contatto pelle: maglietta in capilene, calzamaglia, slip in capilene, calzini in polipropilene.
L'abbigliamento in montagna, soprattutto d'inverno, deve rispondere a un duplice requisito: proteggere dal freddo, che pu essere anche intenso, e possibilit di regolazione.
sportare rapidamente il sudore verso l'esterno. Oggi sono preferiti i tessuti sintetici in quanto combinano favorevolmente i pregi di altri materiali: hanno buone propriet termiche, che si mantengono anche allo stato bagnato, sono sufficientemente robusti e non ostacolano particolarmente la sudorazione; i calzini si trovano con spessore fine e spesso in polipropilene mentre le calze pesanti sono prodotte in pile. Le calze di lana, o pi spesso un misto lana-sintetico, sono ancora in uso, ma sono poco robuste e di calzata in genere meno comoda. Per evitare dolorosi sfregamenti sotto le calze pesanti di pile o lana, a diretto contatto con la pelle, conveniente indossare calzini sottili di polipropilene oppure di cotone. Una volta si utilizzava la camicia di lana o di cotone, tipicamente di flanella: tuttavia si inzuppava rapidamente di sudore e quindi, soprattutto in condizioni di basse temperature, l'indumento doveva essere cambiato con una certa frequenza ad evitare pericolosi raffreddamenti. Anche per questo indumento, tradizionalmente legato alle fibre naturali, sono oggi disponibili ottime versioni in fibre sintetiche che favoriscono in particolare la sudorazione e sono di rapido asciugamento. L'abbigliamento in montagna, soprattutto d'inverno, deve rispondere a un duplice requisito: protezione dal freddo, che pu essere
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anche molto intenso, e possibilit di regolazione. Riguardo a quest'ultimo punto si tenga presente che il caldo eccessivo e sudorazione sono fattori negativi. Entrambi affaticano l'organismo e richiedono un'assunzione supplementare di liquidi che pu essere difficile reperire. La sudorazione, inoltre, responsabile della sensazione di freddo improvviso che coglie durante le soste anche se ci si coperti subito. Infatti, per asciugare, il sudore assorbe il calore di evaporazione dal corpo. Pi che pochi indumenti molto pesanti, conviene dunque avere numerosi strati pi sottili e leggeri, che da un lato permettono una migliore regolazione e dallaltro una maggiore coibentazione, grazie ai cuscinetti di aria calda che si formano tra l'uno e l'altro (inoltre c' la possibilit di eliminare l'indumento bagnato di sudore senza pregiudizio della copertura totale). In genere, quando alla mattina l'organismo freddo, si parte molto coperti. Bisogna avere l'avvertenza, man mano che l'attivit muscolare produce calore in eccesso, di scoprirsi gradualmente, evitando di accaldarsi e di sudare troppo. Durante le soste, venendo a mancare la produzione di calore del movimento, indispensabile coprirsi subito, soprattutto se si sudati e se c' vento, anche se la fermata breve.
Il sudore per asciugare assorbe il calore di evaporazione dal corpo. Pi che pochi indumenti pesanti, conviene avere numerosi strati pi sottili e leggeri, che permettono una migliore regolazione e una maggiore coibentazione.
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C01-02 Indumenti intermedi: maglietta a pelle, una maglia con maniche lunghe con collo e un pile in windstopper
Equipaggiamento
Pantaloni
Attualmente si impiegano pantaloni in fibra elasticizzata che arrivano fino al piede e si adattano alla forma della gamba; ci riduce la possibilit che il rampone vada ad impigliarsi nel tessuto. Sono molto valide anche le salopette in elasticizzato che presentano il vantaggio di fornire protezione alle reni e allo stomaco e di possedere una maggior dotazione di tasche appropriate. Alcuni modelli sono dotati di ghette integrate oppure hanno la possibilit di essere chiusi attorno alla parte bassa della gamba o sullo scarpone. Devono permettere libert di movimenti, non essere irritanti per la pelle, essere molto robusti, non inzupparsi facilmente, avere buone propriet termiche e sufficiente traspirazione, asciugare rapidamente. Queste caratteristiche si ottengono in media assai meglio con tessuti misti che con sole fibre naturali ed esistono oggi numerose soluzioni valide proposte dal mercato.
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Copricalzoni
Devono essere impermeabili e antivento pur consentendo una certa traspirazione. I sovrapantaloni in nylon sono impermeabili, ma non traspiranti. Molto pi efficienti dal punto di vista della traspirazione sono quelli in Goretex. Esistono anche sovrapantaloni imbottiti adatti alle condizioni di basse temperature e vento. Nella maggior parte dei casi per l'impermeabilit dopo un certo periodo di uso viene purtroppo a ridursi considerevolmente. importante siano provvisti di cerniere laterali che permettano di indossarli anche con gli scarponi e i ramponi ai piedi.
Equipaggiamento
Giacca a vento
Deve essere in tessuto impermeabile e traspirante, meglio se dotata di cappuccio non asportabile, eventualmente integrato nel colletto, di grandezza tale da poter essere indossato anche con il casco. opportuno che la cerniera di chiusura sia lunga fino al mento e munita di doppio cursore, per poter indossare la giacca sopra l'imbracatura lasciando fuoriuscire la corda di cordata. La cerniera deve essere in plastica, poich quelle di metallo, come gi detto, a temperature molto basse risultano dolorose al contatto. La migliore vestibilit quella che consente di estendere completamente in alto le braccia senza scoprire le reni, ed ottenuta di solito con maniche larghe e comode, chiuse da polsini regolabili. Molto utili le tasche, ampie e, possibilmente, chiuse da cerniere. Dal punto di vista dei materiali sono oggigiorno da sconsigliare, per l'uso in alta montagna, le giacche in nylon o perlon imbottito che non sono traspiranti. Le giacche in Goretex o similare hanno ottime propriet di impermeabilit e traspirazione. da verificare con cura che tutte le cuciture siano termosaldate per evitare la penetrazione dellacqua. Esistono oggi soluzioni assai interessanti dal punto di vista delle propriet termiche, della traspirazione e del peso, che utilizzano, in funzione di isolanti, combinazioni di diversi materiali e strutture quali corotherm, thinsulate e altri e come traspirante il Goretex.
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Equipaggiamento
Giacca imbottita
costituita di norma da un involucro esterno e da un'imbottitura che, in alcuni modelli, estraibile. L'imbottitura interna pu essere in piumino d'oca o in varie fibre sintetiche. Le giacche con imbottitura in piumino naturale hanno migliori propriet termiche, ma, se bagnate, perdono almeno temporaneamente la loro capacit isolante e l'imbottitura tende a distribuirsi in modo non uniforme. Le giacche con imbottitura sintetica sono meno isolanti ma soffrono in misura minore delle conseguenze dell'inzuppamento. Sono comunque capi di vestiario da utilizzare solamente in alta quota, con condizioni di temperatura molto bassa o per bivacco. In altre condizioni sono vantaggiosamente sostituite dalle combinazione di una normale giacca a vento e di un corpetto imbottito, da usare in caso di necessit.
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Copricapo
Un buon copricapo deve proteggere adeguatamente dal freddo e dal vento ed essere abbastanza ampio da poter coprire nuca, fronte e orecchie. Inoltre il berretto potrebbe essere indossato sotto il casco. opportuno portare con s anche un passamontagna di tipo leggero in cotone o seta da indossare in combinazione con un altro copricapo. Il passamontagna un ottimo riparo in situazioni meteo severe (vento forte, basse temperature, tormenta). Pu essere anche in lana o in tessuto misto e anche in pile e deve permettere una certa traspirazione; versioni di pile wind stopper costituiscono una
C01-06 Copricapi: berretto da sole, passamontagna in capilene, copricapo indossabile anche sotto il casco, foulard
Equipaggiamento
soluzione efficace. Un foulard ripara dal vento, impedisce al sudore di colare sugli occhi, abbinato al berretto da sole ripara le orecchie. Nelle escursioni estive, un cappellino di tela molto utile per proteggere il capo dallazione diretta del sole: pu essere dotato di frontino oppure di tesa larga.
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Guanti
Funzioni essenziali dei guanti sono: - protezione dal freddo - protezione dalle abrasioni e urti sul ghiaccio (in particolare nella tecnica piolet traction). Un guanto impermeabile a cinque dita risulta pi pratico ed efficace nellimpiego degli attrezzi e nelluso delle viti da ghiaccio. Le moffole (di lana infeltrita e/o con imbottitura in pile) per quel che riguarda la protezione dal freddo, sono senz'altro da preferire ai guanti a cinque dita, infatti, contengono una maggior quantit di aria, offrendo un isolamento superiore; racchiudono inoltre in un unico involucro le quattro dita, che si scaldano a vicenda. In caso di freddo intenso, pu essere utile l'uso di un sottoguanto in acrilico o in seta o di una sopramoffola; la sopramoffola in perlon protegge dall'inzuppamento. Anche il Goretex viene utilizzato in combinazione con pile o altri tessuti. Molto validi sono guanti in materiale wind stopper che proteggono dal vento: va infatti ricordato che, ad esempio, le moffole in lana, estremamente calde in assenza di vento, perdono con questultimo molta della loro termicit al punto da richiedere sopraguanti in nylon o
Equipaggiamento
equivalenti. Per salite su ghiaccio opportuno dotarsi di guanti a cinque dita dentro i quali pu essere ospitato un sottoguanto in pile ed bene portare almeno un paio di moffole di riserva.
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C01-07 Guanti da sinistra a destra dallalto: wind stopper, moffola in lana, a 5 dita in lana, guanto tecnico in neoprene, sottoguanto in capilene, copriguanto in Goretex.
Occhiali
In ambiente nevoso di alta montagna indispensabile l'uso di appositi occhiali. I motivi sono ben noti, ma opportuno comunque richiamarli brevemente. Dedichiamo poi un certo spazio a caratteristiche e criteri di scelta in quanto l'importanza di questo essenziale elemento dell'equipaggiamento spesso sottovalutata. All'aumentare della quota, l'irradiazione solare cresce progressivamente a causa della riduzione dello spessore atmosferico e quindi della diminuzione dell'assorbimento. Anche la composizione dello spettro solare cambia sostanzialmente. Lo
C01-08 Occhiali
Equipaggiamento
spettro solare di interesse nella presente discussione si pu suddividere in tre regioni principali: UV (ultravioletto), visibile e infrarosso. La radiazione UV, invisibile all'occhio umano, corrisponde a lunghezze d'onda inferiori a circa 380 nm (1 nm = un miliardesimo di metro) ed spiccatamente attinica, promuove cio determinate reazioni chimiche; la radiazione visibile, che appunto consente la visione umana, si estende da circa 380 nm a circa 710 nm; la radiazione IR (infrarosso), invisibile ma che percepiamo sostanzialmente come calore, corrisponde a lunghezze d'onda superiori a circa 710 nm. Poich l'assorbimento atmosferico selettivo, cio in funzione della lunghezza d'onda, ne consegue un considerevole aumento della radiazione UV (ultravioletto). Neve e ghiaccio presentano elevata diffusione (colore bianco) ed elevata riflessivit (struttura speculare della superficie, soprattutto del ghiaccio) e questo accresce ulteriormente il livello medio della radiazione cui sottoposto l'occhio umano producendo elevate concentrazioni della radiazione, i riflessi, assai fastidiosi e anche dannosi. ben noto l'effetto dannoso ed estremamente doloroso di una eccessiva esposizione degli occhi a radiazione con elevato contenuto UV: da una irritazione modesta della congiuntiva si pu giungere alla congiuntivite acuta (cecit temporanea) e, nei casi pi gravi, a lesioni permanenti. Di tali effetti relativamente frequente non rendersi conto in tempo utile, in quanto divengono evidenti molte ore dopo l'esposizione. Un alpinista in queste condizioni non ovviamente in grado di collaborare alla buona conduzione della cordata e costituisce
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Equipaggiamento
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impedimento e pericolo oltre che per s stesso anche per i compagni. quindi indispensabile ricorrere all'uso di occhiali da sole che devono assolutamente essere di qualit e adatti all'uso in ambiente di alta quota. Essi devono garantire: efficiente assorbimento della radiazione UV; tale assorbimento deve crescere al decrescere della lunghezza d'onda in quanto la radiazione UV tanto pi dannosa quanto questa pi breve. Esistono precise indicazioni mediche al proposito: al di sotto di 310 nm l'assorbimento deve essere praticamente totale, non inferiore al 70% al di sotto di 380 nm. un ragionevole assorbimento nella regione visibile dello spettro solare; tale assorbimento viene ottenuto tramite opportuna colorazione delle lenti ed normalmente compreso tra il 50% e l' 80%. L'eccessivo assorbimento, cio occhiali molto scuri, sconsigliabile in quanto produce affaticamento dell'occhio; inoltre la pupilla si adatta alla riduzione del livello di luminosit dilatandosi e una eccessiva dilatazione accresce l'assorbimento di radiazione UV. Le colorazioni pi opportune sono quelle comprese nella gamma grigioverde - grigio - grigio bruno; altre colorazioni, soprattutto quelle assai marcate, sono da evitare in quanto alterano eccessivamente le caratteristiche della percezione (eccessivo o insufficiente contrasto, alterazioni eccessive della sensibilit cromatica, addirittura disturbi della vista). Anche colorazioni ad andamento digradante dall'alto verso il basso sono da evitare, in quanto affaticano l'occhio in conseguenza del
Equipaggiamento
continuo adattamento necessario a seguito dei frequenti movimenti verticali del capo. Lenti fototropiche caratterizzate da assorbimento dipendente dall'intensit della radiazione, e quindi variabile automaticamente con essa, costituirebbero una buona soluzione se non per il fatto che la loro efficienza risulta stabile solo per quelle in vetro, mentre quelle in materiale sintetico perdono gradualmente le loro caratteristiche per effetto di fatica. Lenti polarizzate sono efficienti nell'assorbire la luce riflessa, aumentando cos anche il contrasto, ma la loro funzionalit dipende fortemente dalla direzione di provenienza della luce assorbimento pressoch totale della radiazione IR (infrarossa). Tale radiazione non ha di per s effetti direttamente nocivi sullocchio, che per la assorbe fortemente con conseguente fastidioso riscaldamento locale angolo di visione sufficiente: alcuni tipi ancora in commercio, allo scopo di proteggere lateralmente, risultano di dimensioni troppo piccole e limitano il campo visivo con conseguente affaticamento (anche psicologico) e rischio. La forma migliore quella a goccia robustezza e sicurezza; da questo punto di vista sono preferibili le lenti in materiale sintetico. La montatura deve essere sufficientemente robusta e pu essere in nylon, materiale leggero e indeformabile, in plastica o in poliflex. La plastica si regola molto facilmente e si pu adattare alle forme del viso: ha per una durata e resistenza inferiore al polifex che a sua volta difficile da modellare
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Equipaggiamento
ventilazione adeguata, tale da evitare eccessivo appannamento, peraltro inevitabile in determinate condizioni; le lenti in materiale sintetico si appannano meno. Spesso necessario utilizzare protezioni laterali e per il naso: gli occhiali ne devono quindi essere forniti. Esse devono peraltro essere rimovibili (almeno quelle laterali) in quanto ostacolano una adeguata ventilazione; quelle laterali possono essere evitate mediante forma e struttura adeguata degli occhiali in cui si ponga cura di evitare elementi riflettenti in prossimit delle regioni critiche. La scelta di un paio di occhiali adatto all'uso in alta quota resa difficoltosa dal fatto che determinate caratteristiche essenziali (protezione UV, ecc.) non sono sempre rilevabili da una semplice ispezione visiva. quindi necessario affidarsi a un rivenditore serio e competente oppure alla propria o all'altrui esperienza. Di recente stata emanata una nuova certificazione per occhiali da sole UNI EN 1836, la quale, oltre a stabilire una serie di requisiti che rendono gli occhiali sicuri (privi di parti sporgenti, essere costruiti con materiali che non devono causare irritazioni alla pelle,...), obbliga il produttore a riportare in etichetta le seguenti informazioni: il riferimento alla norma UNI EN 1836, lidentificazione del fabbricante, il numero della categoria del filtro, il tipo di filtro, il numero e lanno della norma tecnica di riferimento, le istruzioni per la cura e la manutenzione.
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Equipaggiamento
Crema solare
importante applicare una crema solare sul viso, le labbra, il naso, le orecchie e in generale sulle parti esposte alle radiazioni solari. Oltre alla crema unica con alto grado di protezione si pu utilizzare un prodotto specifico per le parti pi delicate come ad esempio le labbra. Da notare che la crema protegge anche dal vento freddo. Tenere inoltre presente che la crema dopo 6 mesi perde met del suo potere protettivo.
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ATTREZZATURA VARIA
Scarponi
Nell'arrampicata su neve e ghiaccio si pu utilizzare uno scarpone dotato di scafo in plastica oppure uno scarpone in cuoio con parti in plastica. Le scarpe di materiale plastico sono sempre dotate di scarpetta interna che pu essere in pelle imbottita internamente con vari materiali coibenti oppure completamente di materiale sintetico. Le calzature in cuoio sono disponibili sia senza che con scarpetta interna. I pregi principali dello scarpone con scafo in plastica sono: maggior termicit maggior impermeabilit
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maggior resistenza minor manutenzione I pregi principali dello scarpone in cuoio con parti in plastica sono: maggior sensibilit e mobilit consentita alla caviglia maggiore durata nel tempo (con il passare del tempo la plastica si deteriora) migliore sensibilit nellarrampicata La forma maggiorata dello scafo degli scarponi in plastica pu limitare la sensibilit nell'arrampicata su roccia e misto, ma il suo impiego principale su neve e su ghiaccio. Alcuni consigli: - non serrare eccessivamente la scarpa per non compromettere con il tempo la circolazione, favorendo l'insorgere di eventuali congelamenti - evitare i giri morti dei lacci intorno alle caviglie perch tendono quasi sempre ad allentarsi e divenire quindi pericolosi - scegliere un tipo di scarpa le cui suole debordino il meno possibile dallo scafo e che abbiano ben marcata la scanalatura anteriore e posteriore se si prevede lutilizzo di ramponi con attacco rapido - dopo ogni ascensione far asciugare accuratamente lo scarpone avendo cura di estrarre la scarpetta interna - in caso di bivacco con freddo intenso, evitare di tenere all'esterno lo scafo o lo scarpone nel caso sia in cuoio, che con la bassa temperatura tende a indurirsi notevolmente rendendo poi difficile la calzata. In ogni caso tenere la scarpetta interna nel luogo pi caldo possibile.
Equipaggiamento
Ghette
Servono innanzitutto per evitare che la neve possa entrare nello scarpone e, inoltre, per proteggere ulteriormente il piede e parte della gamba dal freddo. Possono essere al ginocchio (o sopra) oppure corte. Sono realizzate con vari materiali: cordura, Goretex, nylon. Le ghette in tela pesante sono particolarmente robuste, ma si inzuppano facilmente e sono pesanti. Il Goretex costituisce una buona soluzione, ma non particolarmente robusto. Il nylon impermeabile, ma non traspirante. Spesso viene utilizzata una combinazione di due tessuti. Sono normalmente provviste di chiusura posteriore o laterale (cerniera o altro) per poterle indossare senza togliere gli scarponi e i ramponi. La cerniera deve essere in plastica, poich quelle di metallo a temperature molto basse risultano dolorose al contatto. Devono essere trattenute allo scarpone tramite un opportuno sistema di aggancio: il pi comune costituito da fibbie o laccioli o cavetti che passano sotto la suola: devono essere assai robusti e pratici da maneggiare. Le ghette integrali, particolarmente adatte per alpinismo invernale d'alta quota o spedizioni, avvolgono completamente lo scarpone e lasciano libera soltanto la suola, assicurando cos un maggior potere coibente.
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Equipaggiamento
Zaino
Deve avere dimensioni contenute ed essere privo di tasche laterali e di cinghie inutili che potrebbero diventare di impaccio durante la salita. La sorpassata intelaiatura metallica ora sostituita da irrigidimenti incorporati, pi funzionali e leggeri; in molti casi tali irrigidimenti sono flessibili e possono essere adattati alla conformazione della schiena. Si trovano sul mercato zaini differenziati per taglia e adatti all'uno e all'altro sesso. Sono costruiti oggigiorno quasi esclusivamente in nylon; alcune ditte usano anche il cordura, un nylon tessuto con elevate caratteristiche di resistenza allusura; altre ancora il delfion, avente caratteristiche simili. Gli spallacci, molto larghi e imbottiti, devono distribuire bene il peso; molto importante la presenza di un cinturone che blocca lo zaino in vita con la funzione di scaricare parte del peso sulle anche alleggerendo cos la pressione sulla colonna vertebrale, aspetto non trascurabile quando si debbano portare carichi importanti. Il cinturone ha inoltre la funzione di aumentare la stabilit evitando sbilanciamenti. Una piccola cinghia che collega sul petto gli spallacci migliora ulteriormente la stabilit evitando lo scivolamento dalle spalle. In alcuni modelli il dorso termoformato in modo da creare un appoggio ottimale sulla schiena e una corretta circolazione di aria. Ladattabilit del dorso dello zaino alla schiena costituisce un aspetto che va attentamente pon-
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Equipaggiamento
derato. utile che lo zaino sia fornito di due porta piccozze situati in posizione opportuna e cio in modo da consentire un facile inserimento ed estrazione della piccozza anche indossando i guanti, e in modo da tenere la piccozza il pi possibile verticale anche con lo zaino parzialmente scarico. Inoltre le cinghie esterne sono indispensabili per fissare a V rovesciata gli eventuali sci. Lo zaino deve essere di dimensioni sufficienti per accogliere tutto quanto necessario per la gita in programma; per una escursione che si svolge in giornata si consiglia uno zaino di 3035 litri di capacit. Meglio se si pu evitare di appendere allesterno parte dell'equipaggiamento (tranne piccozza e ramponi): si evita di bagnarlo, di perderlo e si diminuisce lo sbilanciamento. Anche la leggerezza dello zaino un requisito importante. Esistono modelli per ogni tipo di attivit anche con prolunga per aumentarne la capienza e anche adattabile a sacco da bivacco d'emergenza. Nel caso di escursioni di pi giorni consigliabile utilizzare uno zaino con capacit di 45-50 litri. Alcuni zaini recano all'interno un pezzo di materiale espanso utilizzabile come materassino di emergenza, molto utile per lisolamento dalla neve. Una pattella ampia utile per tenere gli oggetti di pronto utilizzo.
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Equipaggiamento
Lampada frontale
Il modello pi diffuso costituito da un proiettore completo di batteria che si monta direttamente sul capo o sul casco con un sistema di fissaggio ad elastico appositamente predisposto. Il corpo illuminante orientabile ed dotato di un semplice dispositivo a effetto zoom che consente la regolazione dell'apertura del fascio luminoso. Limpiego della tecnologia a LED (diodi a emissione luminosa) ha portato diversi vantaggi: minor consumo di energia (1/10) rispetto ad una lampadina normale, resistenza agli urti e alle vibrazioni, 100.000 ore di durata, migliore visibilit; l'unico svantaggio dei LED che producono un fascio luminoso fino alla distanza di 15 metri. Per avere un cono luminoso pi potente necessario ricorrere allimpiego di lampade normali a incandescenza oppure a lampade alogene. Inoltre ci sono modelli di frontali che, a seconda dellattivit che si sta svolgendo, rendono disponibili, anche grazie alla presenza di un doppio faro, 3-4 livelli diversi di illuminazione: economico, normale, massimo, per lunghe distanze. Tra gli svariati modelli offerti dal mercato si segnala una gamma di lampade che possa soddisfare le esigenze di un alpinista, il quale pernotta in un rifugio non custodito (illuminazione ravvicinata con risparmio di energia) e che si muove durante le ore notturne (livello di illuminazione regolabile): a) modelli classici con portapile sulla testa dotati di zoom con unico faro su cui possibi-
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Equipaggiamento
le inserire una lampada standard a incandescenza da 4,5 V (distanza 30 metri con autonomia di circa 10 ore) oppure una alogena da 4,5 V (distanza 100 metri con autonomia di circa 6 ore ). Il vano batterie pu alloggiare una pila quadra da 4,5 V oppure tramite adattatore 3 pile alcaline stilo AA da 1,5 V (vedi foto C01-15) b) modelli compatti e leggeri con portapile sulla testa dotati di doppio faro LED/alogeno; con LED si ottiene una distanza fino a 10-15 metri ed una autonomia di circa 150 ore, oppure con lampada alogena da 6 V si ottiene una distanza di 100 metri ed una autonomia di 4 ore. Il vano batterie pu alloggiare 4 pile alcaline stilo AA da 1,5V. A seconda dei modelli sono disponibili da 3 a 5 livelli di illuminazione (vedi foto C01-16) c) modelli a lunga autonomia anche in condizioni di temperature molto basse con portapile staccato e dotati di doppio faro LED/alogeno; con LED si ottiene una distanza fino a 10-15 metri ed una autonomia fino a circa 300 ore, oppure con lampada alogena da 6 V si ottiene una distanza di 100 metri ed una autonomia di 9 ore. Poich in caso di freddo intenso la funzionalit e durata delle batterie possono risultare molto ridotte il portapile, che alloggia 4 batterie alcaline R14-C, viene messo sotto gli indumenti oppure a tracolla (vedi figura C0114) onde evitarne l'eccessivo raffreddamento (vedi foto C01-17). I contenitori sono in materiale plastico e non pi di metallo come un tempo: risultano quin-
Equipaggiamento
di pi leggeri e duraturi. La manutenzione consiste essenzialmente in una periodica pulizia dei contatti e nell'evitare di lasciare le pile nel loro alloggiamento per periodi molto lunghi in caso di inattivit.
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Thermos e borracce
Thermos: classici in plastica oppure metallici con smaltatura interna. Capacit: 1 litro o 1/2 litro. molto importante disporre durante la salita di bevande calde: soprattutto con il freddo un buon sorso di the zuccherato fornisce nuove energie e a volte aiuta a completare lescursione. Borraccia in metallo o in plastica: per bevande fredde.
Bastoncini regolabili
I bastoncini da sci di tipo telescopico a tre elementi sono utili in varie circostanze: aiutano a mantenere lequilibrio durante la marcia soprattutto se si portano zaini pesanti; alleggeriscono la sollecitazione sulle ginocchia in fase di discesa; consentono di tenere il busto pi verticale rispetto alluso della piccozza come appoggio verticale. Di contro presentano lo svantaggio del peso e di un certo ingombro quando si pongono sullo zaino.
C01-19 Bastoncini regolabili
Telo termico
Si tratta di una protezione d'emergenza estremamente leggera e utile in caso di incidenti o
Equipaggiamento
soste forzate. Occupa pochissimo spazio; consigliabile sia per bivacchi di fortuna sia per riparare un ferito nellattesa di soccorso. Il mercato offre teli di consistenza diversa: in figura mostrato un tipo leggero color oro da 70 g e un altro pesante di color argento da 200 g. Un telo leggero presente anche nella confezione di prima medicazione.
C01-20 Teli termici
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Farmacia
Confezione di primo soccorso ad uso personale Consigliamo un kit minimo di dotazione personale da tenere nello zaino durante le escursioni: nastro di cerotto non elastico alto da 3 a 5 cm salviette imbevute di disinfettante garze sterili cerotti medicati di varie misure cerotto e strisce adesive tipo steril strip 1 benda rigida e 2 bende elastiche (da 5 e da 10 cm) pastiglie per il mal di testa pastiglie per la nausea e il vomito pastiglie per diarrea collirio leggero per gli occhi Medicine personali chiunque abbia bisogno di medicine particolari deve ricordare di portarsele. Piccola cassetta di primo soccorso e medicine per un gruppo Allelenco dei materiali di primo soccorso sopra descritto, oltre ad essere ampliato come quantit, pu essere aggiunto:
Equipaggiamento
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C01-21 Farmacia
confezione di forbici, guanti monouso, pinzette spray di ghiaccio secco Antifebbrili in compresse Antidolorifici in compresse Pastiglie per dolori addominali Per gruppi numerosi indispensabile dotarsi di una cassetta contenente il necessario per un primo soccorso anche per brevi gite. Il sistema pi semplice quello di portare il kit raccomandato dalla commissione medica del C.A.I.; questa cassetta, oltre alla lista dei farmaci, dovrebbe contenere anche istruzioni dettagliate per il loro uso; bene conservare allegati ai medicinali i foglietti delle case produttrici con indicazioni, avvertenze e controindicazioni ed inoltre bisogna controllare regolarmente il contenuto e la data di scadenza.
Equipaggiamento
Accessori vari
Orologio con sveglia, accendino, fiammiferi, fischietto, temperino multiuso, materiale fotografico, matita e fogli di carta, telefonino con numeri utili per chiamata rifugi e soccorso, articoli per toilette.
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A.R.VA.
LA.R.VA. un apparecchio elettronico di ricerca travolti da valanga. Nellattivit alpinistica estiva su neve, se lescursione stata progettata correttamente, il pericolo da valanghe scarso e quindi risulta inutile limpiego di tale apparecchio. Diversamente se lattivit si svolge nel periodo invernale o allinizio della primavera, nei periodi nei quali la neve recente e non si assestata (per recarsi allattacco di vie, salita di canali, attraversamento di pendii ripidi,...), ai fini della sicurezza diventa utile limpiego dellA.R.VA.; ancora meglio se accompagnato da una pala da neve.
C01-22 A.R.VA.
Equipaggiamento
MATERIALE DA BIVACCO
Il bivacco imprevisto
La possibilit che si verifichi un bivacco forzato e provocato da cause esterne come incidenti, ritardi, cattive condizioni della montagna, cattivo tempo, pi o meno elevata a seconda della difficolt e della lunghezza delle gite. In un certo tipo di ascensioni impegnative, avere con s un sacco da bivacco, un telo termico, il fornello, dei viveri liofilizzati di emergenza, vestiario adeguato, maglietta e guanti di ricambio, pu essere un'utile precauzione.
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Avere con s un sacco da bivacco, un telo termico, il fornello, dei viveri liofilizzati di emergenza, vestiario adeguato, maglietta e guanti di ricambio, pu essere un'utile precauzione nelle ascensioni lunghe ed impegnative.
Il bivacco organizzato
A seconda delle caratteristiche dellascensione si possono sommariamente prevedere tre situazioni in cui si necessita di attrezzatura da bivacco e che presentano livelli crescenti di complessit: dormire e mangiare in locale non custodito (bivacco, locale invernale di un rifugio) pernottare in tenda e preparare i pasti organizzare uno o pi bivacchi in parete. Le scelte dellattrezzatura minima per poter passare la notte in condizioni sufficientemente confortevoli, dei viveri e del materiale da cucina sono legate allesperienza oltre che alle condizioni climatiche e di quota. Pertanto non si esiti a chiedere consigli a chi ha gi sperimentato tali condizioni. In questa sede presentiamo un elenco generico di attrezzature senza entrare nel merito delle tre situazioni sopra citate.
Equipaggiamento
Fornello
A seconda del tipo di impiego e della temperatura il mercato offre fornelli a gas con ricariche di varie dimensioni adeguate al tempo di utilizzo e fornelli a combustibile liquido Bombole a solo gas butano: molto diffuse, pratici ma a bassa temperatura non garantiscono un buon funzionamento Bombole con miscela di gas butano-propano: miglior resa alle basse temperature Fornello a combustibile liquido (benzina, petrolio,..): impiegato in luoghi dove difficile reperire le bombole di gas e richiede una certa pratica duso.
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Equipaggiamento
Pentole e posate
Si consigliano pentolini in metallo leggero, un set di posate e una scodella di plastica oppure una tazza di plastica pieghevole. Nelle tre foto che seguono viene mostrato un sistema di fornello, dotato di parafiamma, due tegami, bruciatore e bombola, che pu essere appeso e quindi ricomposto in una unica confezione (C01-27).
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Viveri e bevande
Segnaliamo un elenco di viveri da consumare nel corso della giornata e alla sera con lausilio del fornello: barrette (cioccolato, torrone), merendine, bustine di the, bustine di caff, zucchero, miele in tubetti piccoli, tubo di latte condensato, mesli, biscotti integrali, misto di frutta secca, fette biscottate, salumi in busta sottovuoto (prosciutto crudo, spek, bresaola), formaggio grana senza crosta in busta sottovuoto, liofilizzati a base di carne e verdure, oppure risotto, oppure minestrone in busta a cui aggiungere acqua calda, dadi per brodo, tortellini, buste di arancia liofilizzata, sali e integratori per acqua.
C01-28 Viveri e bevande
Equipaggiamento
Materassini
a) Materassino in espanso a cellule chiuse: modelli da 1 m oppure lunghi fino ai piedi, di forma a rotolo oppure richiudibili a Z; b) Materassino autogonfiabile con contenitore cilindrico in nylon: modelli da 1 m oppure da 1,80 m, di tipo pesante oppure leggero; Dovendo impiegare la tenda per pi giorni conviene utilizzare quello a cellule a contatto con il catino e sopra posizionare il tipo gonfiabile. Nel caso di bivacchi a cielo aperto per economizzare il peso conviene utilizzare un espanso a cellule chiuse di 1 m e abbinare lo schienale estraibile dello zaino; nella situazione di bivacco su parete verticale il materassino pu essere sostituito da una amaca o addirittura da una portaledge.
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Equipaggiamento
sacco a pelo (soluzione pesante) oppure il sacco da bivacco e una giacca imbottita detta anche duvet (soluzione leggera); sacco da bivacco e zaino dotato di prolunga dentro cui inserire le gambe e parte del busto (soluzione molto leggera).
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Tendina
Se la tenda viene collocata nella neve su ghiacciaio conviene scegliere un modello quattro stagioni, con falde larghe da distendere sul terreno, una buona aerazione, sufficienti tiranti e picchetti a vite lunghi in plastica, il cui peso compreso tra i 2 e i 3 kg. Esistono anche tendine da bivacco senza paleria, ancorabili alla parete con chiodi da roccia; altri modelli possono essere utilizzati come mantellina o poncho.
capitolo 2
Attrezzatura alpinistica
INDICE
Premessa Corde Cordini, fettucce e preparati Moschettoni Imbracatura
Generalit Scelta e regolazione
Casco
Norme principali
Piccozza e martello-piccozza
Struttura Il lacciolo Il cordino di collegamento Caratteristiche per la scelta e luso Norme principali
Ramponi
Generalit La struttura Sistemi di fissaggio Placca antizoccolo Allacciatura dei ramponi con cinghie Norme principali
Viti e chiodi da ghiaccio Fittoni e corpi morti Manutenzione degli attrezzi Chiodi da roccia Blocchetti da incastro fissi e regolabili Piastrine multiuso
Piastrina impiegata come discensore Piastrina utilizzata come bloccante nel recupero di due secondi di cordata Utilizzo di corde intere e mezze corde Per evitare la trasformazione non voluta da bloccante a freno Recupero contemporaneo di due secondi
Freni e discensori
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Attrezzatura alpinistica
PREMESSA
In questo capitolo sono trattati i principali attrezzi utilizzati nella pratica alpinistica su neve e ghiaccio. Per quanto riguarda gli elementi che concorrono alla catena di assicurazione, quali corda, cordini, fettucce, imbracatura, moschettoni, viti da ghiaccio e chiodi, vengono descritte solo le caratteristiche essenziali suggerendone il modo di uso pi corretto e demandando al capitolo 4 (catena di assicurazione e normative) il compito di approfondire largomento. Questa scelta giustificata dal fatto di offrire al lettore una panoramica dellattrezzatura e destinare una sezione apposita per lo sviluppo della parte pi tecnica e normativa. Per attrezzi quali casco, piccozza, ramponi, oltre a illustrarne gli aspetti generali si citano anche le caratteristiche costruttive previste dalla normativa internazionale. Si fa presente che le norme U.I.A.A. sono state definite da unassociazione a cui aderiscono 65 paesi e sono volontarie nel senso che sta al fabbricante decidere se vuole, oppure no, produrre attrezzi che soddisfano le norme. La marchiatura U.I.A.A. assicura lalpinista che il prodotto soddisfa a certi requisiti ed controllato ogni due anni. Buona parte degli attrezzi specifici dell'alpinismo soggetta a normativa europea (EN) e pertanto tali prodotti, per essere posti in commercio, devono riportare, oltre ad eventuali altre indicazioni: - il marchio EN seguito dal numero della norma: ad esempio EN892 per le corde. - il marchio CE seguito da un numero che identifica lEnte che rilascia il certificato (a parte discensori, freni, piastrine autobloccanti) Per consentire una corretta interpretazione dei carichi di rottura dei materiali si riportano alcune unit di misura: kN (kilo Newton)=100 kg peso daN (deca Newton)=1 kg peso importante che lalpinista utilizzi materiale certificato CE o comunque omologato U.I.A.A., sia per propria sicurezza personale sia per non incorrere in contestazioni di negligenza nel caso di incidenti. Per una descrizione dettagliata dellattrezzatura per larrampicata su roccia e su ghiaccio si rimanda al capitolo 4 e alla collana dei manuali del C.A.I. In ogni caso, per una trattazione pi completa di caratteristiche e materiali, nonch per la relativa normativa, si rimanda alla letteratura specifica prodotta dalla Commissione Centrale Materiali e Tecniche.
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CORDE
Le corde per lalpinista e per larrampicatore sono progettate per trattenere cadute, per cui sono elastiche: infatti se sottoposte ad un carico si allungano. Sono anche chiamate dinamiche a differenza delle corde dette statiche che invece sono progettate per reggere carichi senza allungarsi; ad esempio sono adatte per lattivit speleologica. Le corde per lalpinismo sono di tre tipi: corde semplici o intere (simbolo 1) progettate per essere impiegate da sole in arrampicata; mezze corde (simbolo 1/2) progettate per essere impiegate sempre in coppia con un'altra mezza corda; corde gemellari (simbolo O progettate per O) essere impiegate necessariamente in coppia come se si trattasse di ununica corda semplice.
Le corde per lalpinismo sono di tre tipi: corde semplici mezze corde corde gemellari
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CORDA SEMPLICE
MEZZA CORDA
CORDA GEMELLARE
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Gli elementi essenziali da controllare sulla corda (oltre al tipo e alla lunghezza) sono il numero di cadute (number of falls) e la forza di impatto o di arresto (impact force).
In generale non opportuno scegliere corde (mezze o semplici) di diametro troppo piccolo perch i freni attuali lavorano peggio e la presa delle mani su corde sottili pi problematica.
Le corde in campo alpinistico presentano una lunghezza che varia solitamente da 50 a 70 metri (le pi comuni sono da 50 o 60 metri) e in commercio i produttori offrono varie gamme a seconda delluso: arrampicata sportiva (leggerezza e manovrabilit), alpinismo classico (resistenza, impermeabilit), alpinismo impegnativo (robustezza, resistenza). Ciascuna gamma offre varie versioni; in particolare la serie alpinismo propone un modello che con il bagnato si inzuppa meno (everdry o superdry). Gli elementi essenziali da controllare sulla corda (oltre al tipo e alla lunghezza) sono il numero di cadute (number of falls) e la forza di impatto o di arresto (impact force). Si tenga presente che il numero di cadute sostenibili dalla corda subisce una pesante riduzione in seguito alluso e nel caso in cui sia bagnata (per approfondimenti vedi capitolo 4). In alpinismo molto diffuso luso di due mezze corde: si consiglia di utilizzare modelli con elevato numero di cadute e bassa forza di impatto; non conviene scegliere le corde gemellari perch non si pu legare un compagno ad un solo capo e risultano meno versatili. In generale non opportuno scegliere corde (mezze o semplici) di diametro troppo piccolo perch i freni attuali lavorano peggio e la presa delle mani su corde sottili pi problematica. Per il comportamento delle corde e le relative norme, vedasi il capitolo 4.
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fattore moltiplicativo pari a 2: in conclusione un anello chiuso ha, con buona approssimazione, una resistenza pari al cordino/fettuccia semplice non annodato. Per le fettucce le norme europee EN 565 prescrivono di fornire l'indicazione del carico di rottura direttamente sulla fettuccia per mezzo di fili paralleli, colorati, equidistanti: ciascun filo rappresenta 5 kN: ad esempio tre fili corrispondono a 15 kN. La resistenza minima non deve comunque essere inferiore a 5 kN. Il costruttore deve indicare (sul rocchetto della confezione) la normativa EN 565 e il proprio nome o marchio. Si tenga presente che il carico di rottura minimo per i cordini e fettucce impiegati nei rinvii stabilito in 22 kN. Dovendo preparare il rinvio, per ottenere un carico di rottura superiore al minimo, conviene realizzarlo con 4 rami e utilizzare un cordino di nylon da 7 mm di diametro oppure un cordino in kevlar o dyneema da 6 mm di diametro chiusi con nodo a contrasto doppio oppure una fettuccia larga 30 mm e chiusa con nodo fettuccia. Per gli anelli cuciti di fettuccia le norme europee EN 566 prescrivono che il carico di rottura sia non inferiore a 22 kN e la cucitura sia evidenziata con una colorazione contrastante con quella di base per permettere un pi agevole controllo del suo stato. In figura C02-03 a sinistra mostrata una fettuccia in poliammide mentre a destra una in dyneema. Il mercato offre misure variabili da 24 cm a 150 cm. Il costruttore deve indicare la normativa EN 566 e il proprio nome o marchio.
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Daisy chain: si tratta di una fettuccia avente una serie di anelli cuciti. Utilizzata alle due estremit ha un carico di rottura di 22 kN mentre se impiegata come longe offre una resistenza minore 3-4 kN. Non bisogna commettere il grave lerrore di collegare il moschettone tra due anelli perch la cucitura presenta una scarsa tenuta. kN. 22
kN. 4
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Per quanto riguarda i rinvii preparati, chiamati anche express, la normativa fissa per la fettuccia un carico di rottura minimo di 22 kN mentre i moschettoni devono avere almeno un carico di 20 kN. In figura C02-05 illustrata la collocazione dei moschettoni: equivalente porre le aperture entrambe da una parte oppure disporle ai lati opposti. Inoltre in alpinismo, dove bene mantenere langolo della corda che passa nel moschettone il pi vicino possibile a 180, in modo da ridurre gli attriti, si consiglia di usare preparati lunghi da 16 a 25 cm piuttosto che corti (pi adatti allarrampicata in falesia).
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MOSCHETTONI
Il moschettone consente l'aggancio della corda all'ancoraggio e la normativa lo inserisce nei dispositivi chiamati connettori. Il moschettone costruito in lega leggera, ha la forma di un anello schiacciato, di forma variabile a seconda dellimpiego e su un lato dotato di una leva azionabile manualmente che ritorna in sede per effetto di una molla. Nella figura C02-07 sono mostrati cinque tipi di moschettoni molto usati nellalpinismo: un moschettone con leva a filo uno tipo B (base) con leva dritta, un altro di base con leva curva, un moschettone ovale con ghiera e un moschettone a base larga tipo H dotato di ghiera per effettuare lassicurazione con il freno mezzo barcaiolo. La normativa europea EN12275 per i connettori stabilisce 7 tipi diversi di moschettoni (vedi capitolo 4). Sul corpo del moschettone devono essere riportati in modo indelebile: il tipo di moschettone, i valori delle resistenze (in kN), il nome o marchio del costruttore. Il carico minimo lungo lasse maggiore a leva chiusa stabilito in almeno 20 kN. I moschettoni da rinvio possono essere di vario tipo: LEVA CHIUSURA diritta Dente sulla leva curva Dente sul corpo a filo keylock
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Viene consigliata la chiusura KEYLOCK perch viene eliminato qualsiasi dente di chiusura sia sul corpo che sulla leva: in questo modo si evita che la corda si impigli durante linserimento e lo sgancio.
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1 punto di impiglio
2 punti di impiglio
1 punto di impiglio
KEY-LOCK 57
I moschettoni a base larga dotati di ghiera possono richiedere modalit diverse per lapertura della leva. In alpinismo il moschettone pi usato dotato di ghiera manuale, che viene impiegato nelle manovre di assicurazione. Per il corretto funzionamento del moschettone con ghiera sempre importante prima delluso chiudere la ghiera. Nella figura C02-10 illustrata la procedura per lapertura di un moschettone con ghiera automatica tipo twist lock. Invece nella figura C02-11 illustrata la procedura per lapertura di un moschettone con ghiera automatica tipo auto lock. Per informazioni pi dettagliate sui moschettoni si rimanda al capitolo 4.
ghiera manuale
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IMBRACATURA
Generalit
Limbracatura indispensabile per ogni alpinista. In caso di caduta limbracatura ha il compito principale di ripartire la sollecitazione soprattutto sul bacino e la parte superiore delle cosce e lo strappo deve essere trasmesso al corpo tramite un punto di applicazione posto superiormente al suo baricentro; inoltre non deve essere possibile, in alcun caso, lo sfilamento.
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Scelta e regolazione
In commercio si trovano tre tipi di imbracatura regolamentati dalla normativa EN (EN12277: bassa (cosciale), alta (pettorale) e intera (o completa). Non possibile usare da sola la parte alta ma essa deve essere abbinata con la parte bassa. In alpinismo va utilizzata limbracatura bassa oppure la combinata costituita cio da parte bassa pi alta (il pettorale non deve necessariamente essere della stessa marca dellimbracatura bassa). Limbracatura intera, da prove eseguite, non soddisfa in modo completo ai requisiti richiesti perch il contraccolpo conseguente allarresto pu provocare danni molto seri a livello delle vertebre cervicali. Limpiego dellimbracatura bassa e combinata e il collegamento con la corda sono aspetti che vanno curati con attenzione ad evitare, in caso di caduta o di particolari manovre, cattive condizioni di sospensione che possono avere conseguenze assai gravi. Per sviluppare queste si
C02-13 Pettorale
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rimanda al capitolo 3. Poich il mercato offre vari tipi di imbracatura, per lalpinismo consigliamo di scegliere un modello che presenti le seguenti caratteristiche: sia di tipo regolabile in modo da indossarla senza togliere ramponi o sci; utile anche per infilarsi copricalzoni disponga di portamateriali funzionali: quelli anteriori abbastanza rigidi per avere rinvii a portata di mano e quelli posteriori pi morbidi per evitare punti di appoggio con lo zaino abbia un buon sistema di regolazione dei cosciali e dei sistemi di sostegno per evitare che i cosciali scivolino lungo le gambe il pettorale sia regolabile e le bretelle aggiustabili in modo da avere circa una spanna sotto le ascelle limbracatura deve essere comoda e non deve ostacolare la libert di movimento. Nel caso di imbracatura nuova, soprattutto se combinata, utile provarla in sospensione prima di servirsene sul terreno. Durante la sospensione il corpo va tenuto completamente rilassato (simulazione dello svenimento): in tali condizioni la posizione di equilibrio deve essere simile a quella di una persona seduta, con le gambe un poco piegate e non distese verticalmente verso il basso, senza che si debbano lamentare costrizioni eccessive, soprattutto sotto le ascelle e in corrispondenza dei genitali. Particolare importanza assumono la posizione del punto di sospensione, che deve trovarsi tra l'ombelico e il principio dello sterno (n troppo basso, n troppo alto), e il punto di attacco dei cosciali, che deve essere il pi possi-
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Durante la sospensione la posizione di equilibrio deve essere quella di una persona seduta, con le gambe un po piegate, senza che si debbano lamentare costrizioni eccessive, soprattutto sotto le ascelle e in corrispondenza dei genitali.
Particolare importanza assume la posizione del punto di sospensione, che deve trovarsi tra l'ombelico e il principio dello sterno
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Le imbracature vanno controllate periodicamente con particolare attenzione alle cuciture e alle abrasioni che possono aver indebolito elementi portanti.
bile frontale, cosa che in talune imbracature non avviene in quanto presentano due attacchi troppo laterali. Non devono manifestarsi formicolii o addirittura blocchi della sensibilit dopo periodi di sospensione relativamente brevi e la postura non deve essere caratterizzata da accentuata lordosi (inarcamento all'indietro della spina dorsale, causato da sospensione troppo alta, o troppo lasca, cio da scaricamento del peso sul torace invece che sulle cosce). Nel caso delle donne si consiglia di utilizzare un pettorale a otto di misura leggermente abbondante (in relazione allo sviluppo del torace) in combinazione con un cosciale ad attacco anteriore centrale (cosciale a seggiolino). Le imbracature vanno controllate periodicamente con particolare attenzione alle cuciture e alle abrasioni che possono aver indebolito elementi portanti.
CASCO
Il casco da alpinismo costituito da una calotta di materiale sintetico talvolta rafforzato mediante fibra di vetro o carbonio che deve resistere a urti e colpi di una certa entit. provvisto di sottogola il cui attacco al bordo deve essere realizzato mediante due punti per lato; deve essere aerato e avere una struttura portante interna che permetta di regolare la distanza testa-involucro. Deve proteggere la testa e la colonna vertebrale dell'alpinista da sollecitazioni violente che possono derivare da caduta di pietre o ghiaccio, da urti contro la parete o altri ostacoli durante una caduta, dalle
Il casco deve proteggere la testa e la colonna vertebrale dell'alpinista da sollecitazioni violente derivate da caduta di pietre o ghiaccio, da urti contro la parete o altri ostacoli durante una caduta
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conseguenze di manovre errate, ecc. Deve quindi essere in grado di assorbire energia sufficiente senza che la calotta si rompa e senza trasmettere sollecitazioni eccessive al corpo sottostante; deve inoltre ripartire la sollecitazione in misura adeguata sulla volta cranica evitando eccessive pressioni locali e deve evitare il contatto diretto del cranio con corpi acuminati o taglienti.
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C04-14 Casco
Norme principali
Un casco che abbia ottenuto lomologazione della normativa europea EN 12492 deve riportare: - codice della norma - nome e marchio del fabbricante - nome o sigla del modello - dimensioni del casco - anno di fabbricazione. - periodo per il quale ne garantita la sicurezza. Una caratteristica critica del casco la resistenza all'invecchiamento. Va ricordato che il casco particolarmente esposto alle intemperie e alla radiazione solare. Alcuni materiali sintetici, specie alcuni che venivano usati nel passato, sono molto sensibili alla radiazione solare e invecchiano rapidamente diventando fragili. Tali materiali non dovrebbero oggigiorno essere pi impiegati dai costruttori e proprio a questo scopo le norme hanno inserito le due ultime indicazioni dell'elenco sopra presentato. Va comunque fatto notare che l'alpinista tende a considerare eterno il proprio casco, non essendo l'invecchiamento e laumento della fragilit rilevabili tramite una semplice ispezione visiva. La norma relativa ai caschi (EN 12492) pre-
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TESTA
PALETTA BECCA
scrive le seguenti prove: - caduta verticale di un grave sul centro della calotta in grado di generare una energia di impatto di 100 joule (1N/1m equivalente a quella generata da un sasso di 2 kg che cade da un'altezza di 5 m o di 1 kg che cade da 10 m, ecc.); in queste condizioni il casco deve trasmettere, alla testa di prova che simula il cranio dell'alpinista, una forza massima di 10 kN - caduta di un grave sulla parte frontale, sulla parte laterale e sulla parte posteriore della calotta in grado di generate una energia di impatto di 25 joule; la forza massima trasmessa non deve essere superiore a 10 kN - caduta di un grave appuntito di 1,5 kg da un'altezza di 1,5 m; la punta pu penetrare nella calotta, ma non deve toccare la sottostante testa di prova - controllo delle caratteristiche del sottogola e dei suoi attacchi.
PICCOZZA E MARTELLOPICCOZZA
MANICO
Struttura
La piccozza lattrezzo fondamentale per la progressione su neve e su ghiaccio. Nata nel secolo scorso dalla fusione tra il semplice bastone usato come sostegno e appoggio per lunghe camminate e l'accetta usata per tagliare i gradini nel ghiaccio, ora diventata uno strumento tecnologicamente avanzato. costituita da tre parti principali: testa, manico e puntale. La testa costruita in acciaio o, pi raramente,
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in titanio. Viene costruita separatamente dal manico e si pu dividere in due parti aventi funzioni e usi diversi: la becca e la paletta (quando quest'ultima sostituita da una massa battente, l'attrezzo prende il nome di martellopiccozza). Pu essere fatta in un unico pezzo oppure composta da pi parti intercambiabili. La becca si pu distinguere a seconda della forma in: becca ricurva classica con curvatura verso il basso, adatta per un uso tradizionale e su ascensioni di media difficolt, pur avendo gi buone capacit di ancoraggio anche su ghiaccio abbastanza ripido; becca ricurva accentuata ancora con curvatura verso il basso, adatta a pendii di ghiaccio molto ripidi e che consente un pi efficace ancoraggio; becca a banana con curvatura verso l'alto, adatta per pendii che si avvicinano alla verticalit e per cascate di ghiaccio; si estrae pi facilmente delle altre se opportunamente profilata e affilata (bisellatura) nella parte superiore. Nella parte inferiore la becca provvista di dentatura che si estende tra 1/3 e 2/3 della sua lunghezza. Tale dentatura pu essere pi o meno fine, specializzando ulteriormente l'attrezzo in relazione al tipo di ghiaccio: in generale la dentatura pi fine adatta a ghiaccio duro, mentre quella pi grossolana adatta a ghiaccio pi morbido e friabile; spesso, come compromesso, la dentatura varia dalla punta verso la base della becca passando da fine a pi grossa. Va fatto osservare che la dentatura, migliorando la tenuta, rende difficoltoso il gradinamento. In alcuni casi una dentatura pre-
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sente anche superiormente, ma, pur migliorando la tenuta, rende sensibilmente pi difficoltosa l'estrazione dell'attrezzo; sono a volte presenti anche scanalature laterali, che per non danno vantaggi apprezzabili, ma indeboliscono la becca aumentandone la probabilit di rottura. Dal punto di vista dellutilizzo tecnico hanno importanza anche altre caratteristiche: la forma della sezione della becca, l'angolo con cui essa termina, l'angolo di apertura del cuneo costituito dalla punta della becca (vedi C02-21). La sezione (fig. A) pu essere rettangolare (1), a T rovesciata (2), smussata nella parte alta (3), tubolare (4), semitubolare (5); le sezioni rettangolari e le loro varianti sono adatte a ghiaccio consistente (la smussatura, o bisellatura, superiore facilita linserimento e lestrazione) mentre le sezioni tubolari o semitubolari sono adatte a ghiaccio molle e spugnoso. L'angolo con cui termina la becca (fig.B) pu essere positivo (6), il che garantisce migliore penetrazione e soprattutto migliore tenuta sotto trazione per cui meglio si adatta alla progressione in piolet traction, oppure negativo (7) con caratteristiche opposte e maggiore efficienza nel gradinamento. Langolo di apertura del cuneo frontale (fig. C particolare 8) pu essere slanciata con conseguente buona penetrazione, oppure pi smussata con maggiore effetto di rottura del ghiaccio. La paletta serve principalmente per tagliare i gradini e le piazzuole di sosta nel ghiaccio; esistono alcuni tipi di paletta pi inclinati, spesso di conformazione particolare con scanalature o fori che possono servire su terreno impegnativo
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con neve dura o verglass in condizioni di precaria tenuta della becca. Esistono anche palette tubolari per lo stesso tipo di impiego. La massa battente serve per infiggere i chiodi da ghiaccio a percussione e chiodi da roccia; per questo specifico uso, opportuno che l'alpinista impugni l'attrezzo con la mano con cui di solito usa il martello. La superficie battente non deve essere troppo piccola (di massima non inferiore a 10 cm2) poich in posizioni scomode e di equilibrio malsicuro risulta assai difficile linfissione di chiodi. Il manico permette di impugnare la piccozza e sono molto importanti le sue caratteristiche di resistenza meccanica. Le prove imposte dalle norme non possono essere superate da piccozze con il manico in legno. Sono ormai universalmente adottati manici in leghe di alluminio o pi raramente in materiale sintetico rinforzato con fibra di vetro. Esistono anche manici in materiali speciali (carbonio e kevlar) estremamente leggeri ma molto costosi e tali da non modificare sostanzialmente in meglio le caratteristiche dell'attrezzo. Generalmente un buon manico rivestito per intero o in parte con materiale gommoso antiscivolo; tale rivestimento deve raccordarsi con il puntale in maniera tale da non ostacolare l'infissione della piccozza nella neve. Alcuni manici presentano un foro, poco al di sopra della met della lunghezza, che pu servire per l'applicazione del lacciolo. La lunghezza del manico pu variare dai 45 ai 65 cm, in relazione all'uso specifico dell'attrezzo e alla statura dell'alpinista. Su difficolt pi elevate si usano attrezzi con manici pi corti.
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Un buon manico di piccozza rivestito per intero o in parte con materiale gommoso antiscivolo; tale rivestimento deve raccordarsi con il puntale in maniera tale da non ostacolare l'infissione della piccozza nella neve.
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C02-22 Puntali
Il puntale, generalmente di acciaio, serve a infiggere la piccozza e a usarla in appoggio. Ne esistono diverse conformazioni; alcuni tipi di puntale sono poco adatti per l'uso su neve, perch tendono a riempirsi rendendo precaria la tenuta in appoggio (ad esempio quello tubolare della figura C02-21). presente un foro per leventuale applicazione del cordino di collegamento, oppure per autoassicurazione provvisoria, o per il recupero della piccozza dopo una corda doppia (vedi capitolo 11). La piccozza deve essere caratterizzata da una forza battente adeguata, affinch il suo uso non risulti inefficiente o eccessivamente faticoso in determinate circostanze (ad esempio piolet traction, gradinamento, ecc.). Perch questo avvenga il baricentro deve trovarsi nel terzo superiore dell'attrezzo; il baricentro pu essere individuato bilanciando la piccozza su un dito. Nelle piccozze molto leggere il baricentro si trova nel terzo centrale e quindi posseggono forza battente insufficiente; possono andare bene in quelle escursioni anche di tipo sci alpinistico in cui si richiede essenzialmente un appoggio verticale mentre rimane sporadico luso in trazione.
Il lacciolo
Il lacciolo, detto anche dragonne alla francese, pu essere parte integrante dell'attrezzo all'atto dell'acquisto o essere applicato successivamente dall'utente. Questa seconda soluzione preferibile in quanto consente un migliore adattamento alle condizioni d'uso e alle preferenze individuali. Usualmente la dragonne va collegata al foro
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della testa oppure al foro presente a met manico. Il lacciolo costituito da una fettuccia sufficientemente larga (25-30 mm) chiusa ad anello e dotata di uno scorrevole la cui funzione quella di permettere la regolazione dell'asola attorno al polso. Esistono varie versioni di dragonne legate alle difficolt della salita e al modo di impiegare gli attrezzi; ad esempio, tramite un anello di metallo realizzato sulla testa, possibile poter scollegare lattrezzo dalla mano, tenendo una parte della dragonne collegata al polso. Si fa notare che la piccozza dotata di un lacciolo preesistente applicato tramite un anello metallico che scorre lungo il manico non attrezzo adatto per affrontare pendii ripidi: il sistema va bene su modeste difficolt e soprattutto usando lattrezzo come appoggio verticale. Per usi tradizionali e su ascensioni di media sino a medio-alta difficolt il lacciolo serve principalmente per evitare di perdere l'attrezzo; viene inserita la mano nel lacciolo e viene impugnata la testa dell'attrezzo usandolo in appoggio verticale (camminate su ghiacciaio e su neve, progressione su terreno facile). Su terreno pi impegnativo, invece, ha una funzione importante per la progressione in quanto consente di scaricare parte del peso tramite il serraggio del polso (vedi capitolo 6). possibile applicare, tramite fori appositamente predisposti sulla testa o sulla becca, delle masse di equilibratura, cio dei cilindretti di metallo che hanno lo scopo di aumentare l'inerzia della battuta.
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C02-23 Lacciolo
cordino di collegamento
placchetta
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Il cordino di collegamento
Il cordino di collegamento allimbracatura un accessorio che pu essere usato per effettuare salite su terreno ripido; viene applicato nel foro del puntale tramite un piccolo moschettone e un nodo a otto (vedi figura C02-25). Sul cordino, avente un diametro di 6-7 mm, viene applicata una placchetta che consente di regolare la distanza dallattrezzo. Lansa del cordino cos formata va collegata allimbracatura con un moschettone a ghiera. La placchetta non deve essere troppo piccola, per poter essere agevolmente manovrata con i guanti. Il cordino deve essere scelto di lunghezza tale che, montato sulla placchetta e allungato al massimo, consenta al braccio di muoversi nella sua massima estensione con la piccozza impugnata correttamente appena sopra il puntale. Per evitare la perdita degli attrezzi ma non volendo utilizzare cordino e placchetta possibile agganciare una sorta di cordino elastico (vedi figura C02-27).
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ne. Esso si misura, come mostrato nella figura C02-28, disponendo la piccozza di fronte a una parete verticale a contatto di questa con la punta della becca e con il puntale: l'angolo di impatto l'angolo formato con la parete dalla parte inferiore del primo terzo della becca: esso pu essere superiore, uguale o inferiore a 90 (angolo retto). Un angolo di impatto maggiore di 90, detto positivo, a seguito di una trazione verso il basso sull'attrezzo, genera una componente positiva della forza rivolta (lungo la becca) verso la parete: questo tende ad aumentarne la penetrazione della becca nel ghiaccio e quindi la tenuta. Le piccozze con angolo di impatto positivo sono quindi attrezzi adatti alla tecnica di progressione piolet traction, mentre sono poco efficienti per il gradinamento. Un angolo di impatto minore di 90, detto negativo, a seguito di una trazione verso il basso sull'attrezzo, genera una componente negativa della forza, rivolta cio verso l'esterno della parete: questo facilita la fuoriuscita della becca dal ghiaccio e riduce quindi la tenuta. Le piccozze con angolo di impatto negativo sono quindi attrezzi non adatti alla tecnica di progressione piolet - traction, mentre sono efficienti per il gradinamento. Un angolo di impatto pari a circa 90, a seguito di una trazione verso il basso sull'attrezzo, non genera praticamente alcuna componente della forza n verso l'interno n verso l'esterno della parete. Le piccozze di questo tipo sono quindi attrezzi utilizzabili per la progressione piolet traction, il gradinamento, ecc. e sono quindi attrezzi universali, non specializzati.
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Angolo di impatto della piccozza Definizione dellangolo di impatto ( raffigurato il caso di angolo positivo, cio maggiore di 90, che favorisce penetrazione e tenuta).
1/3 del la b ecc a
angolo di impatto
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La scelta della piccozza determinata dalle capacit tecniche individuali e dalle abitudini e preferenze dell'interessato: sono le esperienze personali e quelle dei compagni di fiducia che permettomo di selezionare l'attrezzo pi adatto alle varie condizioni.
Un'altra caratteristica importante la lunghezza del manico, che va adattata al tipo di progressione. Le piccozze (di tipo tecnico) sono disponibili in lunghezze da 40 a 90 cm con passo di 5 cm. Le lunghezze minori sono vantaggiose per l'uso in parete, in particolare per la progressione piolet traction; per pendii di neve di modesta pendenza o su ghiacciaio convengono lunghezze maggiori, ma non comunque conveniente superare lunghezze di 55-65 cm. Il martello-piccozza disponibile in lunghezze da 40 a 55 cm. Esistono anche manici telescopici (previsti dalle norme) che attualmente per sono scarsamente collaudati, pesanti, sostanzialmente di scarsa affidabilit e quindi da impiegare al pi su terreno relativamente facile e di caratteristiche assai variabili. A seguito di quanto esposto pi sopra e nei paragrafi precedenti, si possono fornire le seguenti indicazioni di massima per la scelta ottimale dell'attrezzo in base al tipo di terreno su cui si pratica prevalentemente l'attivit alpinistica. Deve essere detto peraltro che tale scelta dettata in misura importante dalle capacit tecniche individuali e anche dalle abitudini e preferenze dell'interessato; poi di fatto l'esperienza personale e di compagni di fiducia quella che permette di selezionare l'attrezzo pi adatto nelle varie condizioni. (Per gli aspetti tecnici si veda il capitolo 6). Si possono distinguere due principali casi di interesse pratico: - uso universale, in parete, su misto, su ghiacciaio - uso specializzato, su parete ripida.
Attrezzatura alpinistica
Nel primo caso va trovato un compromesso tra gli attrezzi specificamente adatti a terreno facile e alla neve - angolo di impatto negativo, manico lungo, becca a modesta curvatura - e quelli adatti a terreno tecnicamente impegnativo - angolo di impatto positivo, manico corto, becca a forte curvatura. Tale compromesso pu essere costituito da un attrezzo con angolo di impatto circa pari a 90 o lievemente positivo e con manico metallico o in materiale sintetico di lunghezza compresa indicativamente tra 50 e 60 cm; conviene la becca curva di tipo classico a sezione rettangolare (o a T rovesciata), con forma della punta a cuneo slanciato, angolo di taglio positivo, dentatura media nel primo terzo e solamente sulla parte inferiore; la paletta opportuno sia poco inclinata con taglio diritto o poco arcuato; il puntale pu essere di qualsiasi tipo, ma preferibilmente non cavo. Nel secondo caso l'attrezzo deve essere caratterizzato da un angolo di impatto positivo e avere manico metallico o in materiale sintetico di lunghezza compresa indicativamente tra 40 e 50 cm; conviene la becca ricurva accentuata a sezione rettangolare smussata superiormente, oppure a banana, con forma della punta a cuneo slanciato, angolo di taglio positivo, dentatura media o variabile di lunghezza compresa tra un terzo e due terzi della becca e solamente sulla parte inferiore; dovendo utilizzare in una salita due attrezzi opportuno munirsi di un martello piccozza (vedi figura C02-30). Il puntale deve essere dotato del foro necessario per applicazioni varie. Notevole flessibilit offerta dagli attrezzi a
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Attrezzatura alpinistica
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L'intercambiabilit di diversi tipi di becca, paletta e massa battente consente di risolvere soddisfacentemente il problema dell'adattamento alle diverse condizioni d'uso evitando di acquistare e dover portare con s pi attrezzi.
struttura modulare, gi menzionati. L'intercambiabilit di diversi tipi di becca, paletta e massa battente consente di risolvere soddisfacentemente il problema dell'adattamento alle diverse condizioni d'uso evitando di acquistare e dover portare con s pi attrezzi; anche il caso della rottura della becca, ancor oggi possibile, si risolve dotandosi di un pezzo di riserva assai pi leggero e meno ingombrante di un attrezzo completo. La rottura del manico assai meno probabile e quella del puntale ancor pi improbabile e con conseguenze minori; la becca invece si pu rompere per fatica. Nel caso degli attrezzi modulari va curato attentamente il collegamento tra loro (bloccaggio) delle varie parti che deve essere effettuato tramite apposito attrezzo e controllato frequentemente anche durante l'uso.
Norme principali
La normativa europea EN 13089 per le piccozze e i martelli-piccozza distingue due tipi di attrezzo: N=piccozza normale (classica), di uso universale T=piccozza tecnica, per elevate difficolt Il manico della piccozza deve resistere ad un carico di 2,5 kN per il tipo N e 3,5 kN per il tipo T applicato a met della sua lunghezza, con la piccozza disposta orizzontalmente e sospesa mediante anelli di fettuccia in due punti distanti 25 cm dal centro stesso; al termine della prova la piccozza non deve presentare una deformazione permanente superiore a 3 mm. Questo aspetto della norma collegato
Attrezzatura alpinistica
all'uso orizzontale della piccozza come mezzo di assicurazione. Si noti che ammessa una deformazione permanente, seppur piccola, e quindi piccozze che abbiano subito violente sollecitazioni trasversalmente al manico vanno attentamente controllate e, se del caso, sostituite. Le norme prevedono anche prove di resistenza della connessione manico-testa, di resistenza della becca (a flessione), di resistenza del puntale, di resistenza della paletta e di comportamento a fatica (solo per il tipo T). Le prove di resistenza a fatica costituiscono un'importante innovazione normativa: il meccanismo della fatica infatti la causa principale di cedimento, soprattutto della becca. Sulla piccozza deve essere indicato il codice della norma, il nome o marchio del costruttore e la classificazione dellattrezzo (N o T). Il costruttore deve anche fornire indicazioni su uso e manutenzione e sulla vita presumibile della piccozza.
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Le prove di resistenza a fatica costituiscono un'importante innovazione normativa: il meccanismo della fatica infatti la causa principale di cedimento, soprattutto della becca.
RAMPONI
Generalit
I ramponi costituiscono l'altro attrezzo essenziale (con la piccozza) per le ascensioni su ghiaccio. Storicamente sono successivi alle piccozze grazie anche all'uso, in passato, degli scarponi chiodati. Nel 1909 l'alpinista Oscar Eckenstein ide il primo vero rampone a 10 punte. I ramponi a 12 punte, come normalmente siamo abituati a vedere, sono stati introdotti nella prima met degli anni 30 da Amato Grivel.
Attrezzatura alpinistica
A seguito dell'evoluzione dei materiali e delle tecniche, le ditte produttrici propongono oggi una nutrita serie di ramponi tra i quali possibile scegliere quelli pi adatti al tipo di ascensione da effettuare.
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Possiamo individuare tre settori di impiego che richiedono caratteristiche diverse: a. ramponi da cascata b. ramponi da alpinismo c. ramponi da escursionismo I ramponi studiati per cascata e dry-tooling sono approfonditi in un manuale specifico; invece i ramponi progettati per lescursionismo su neve e per lo sci alpinismo, che presenta basse difficolt su neve dura o ghiaccio tenero, presentano 10 punte e sono in genere pi leggeri dei modelli delle altre categorie. In questa sezione ci occupiamo dei ramponi per alpinismo: essi sono dotati di 12 punte, presentano una allacciatura ad attacco rapido e il peso alla coppia varia da 800 a 1000 grammi.
La struttura
I ramponi sono di norma costruiti in acciaio al cromo-molibdeno resistente alle basse temperature. La parte anteriore costituita di solito da 4 punte frontali d'appoggio (due circa orizzontale e le altre due circa a 45) per l'uso su ghiaccio ripido. Il telaio del rampone, cio la struttura che porta le punte, pu essere a profilo verticale o a profilo orizzontale. Il telaio verticale caratteristico dei ramponi rigidi pi tecnici, garantisce minori vibrazioni e alta resiC02-31 Ramponi 1
Attrezzatura alpinistica
stenza purch usato con suola rigida. Nella categoria ramponi da alpinismo possiamo distinguere in modo sommario tre tipi di struttura: a. Rampone con snodo centrale o con la parte centrale in lamina dacciaio (semi-rigido) adatto ad un uso universale, dal misto alle ascensioni di difficolt medio/alta. b. Rampone rigido, privo di snodo adatto alle ascensioni di alta difficolt su pareti di ghiaccio ripido; risulta a volte scomodo invece per effettuare lunghe camminate. Richiede scarponi assolutamente rigidi (scafo in plastica o equivalente), a suola piana e non troppo morbida, altrimenti soggetto a rottura al centro del corpo. Nella progressione frontale risulta pi efficiente e meno faticoso rispetto a quello snodato, ma pi soggetto alla formazione di zoccolo. c. Rampone snodato tra la parte anteriore e quella posteriore, a telaio orizzontale, privo di attacco rapido e dotato di anelli e cinghie per il fissaggio. Di norma di facile regolazione e adattabile alla quasi totalit delle calzature. Nella progressione frontale risulta meno efficiente e pi faticoso rispetto a quello rigido, ma viene meno sollecitato a flessione ed quindi meno soggetto a rottura. meno soggetto alla formazione di zoccolo. In generale le punte frontali, inclinate pi o meno marcatamente verso il basso, possono essere diritte o lievemente curvate verso il basso. Per pareti molto ripide (tecnica piolet traction) sono preferibili i modelli con punte frontali pi lunghe, pi spiccatamente inclinate verso il basso e pi ricurve.
Il rampone snodato, a telaio orizzontale, privo di attacco rapido, di facile regolazione e adattabile alla quasi totalit delle calzature.
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C02-32 Ramponi 2
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La distanza tra le punte deve essere un poco maggiore per garantire migliore stabilit. Per pendenze minori o per salite di misto devono essere adottati criteri sostanzialmente opposti. Le seconde punte, pi laterali rispetto a quelle frontali per garantire stabilit, possono essere verticali o diagonali in avanti. Su difficolt pronunciate una forte inclinazione in avanti vantaggiosa, ma rende pi difficoltosa la progressione su terreno misto; per uso universale convengono quindi seconde punte verticali o moderatamente inclinate in avanti.
1
C02-33 Scelta rampone
Sistemi di fissaggio
L'allacciatura con attacco rapido basata su un principio simile a quello adottato in alcuni attacchi da sci ed formata di norma da una parte anteriore in cui va a incastrarsi la punta della suola dello scarpone e una parte posteriore che, per mezzo di una leva, serra il rampone sulla calzatura. Gli attacchi rapidi devono essere completi di una cinghia posteriore di sicurezza che impedisce lo sgancio accidentale della leva e in ogni caso la perdita del rampone. Questo tipo di allacciatura, nata inizialmente solo per scarponi rigidi che, sia anteriormente che posteriormente, abbiano un alloggiamento adeguato all'attacco rapido, ha subito delle varianti poich il mercato ha prodotto nuovi modelli di scarpone pi flessibili e a volte privi
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della suola con bordo sporgente. Il rampone deve adattarsi perfettamente alla calzatura di cui si dispone: in particolare bisogna controllare se il bordo della suola dello scarpone sporga avanti, dietro oppure non sia presente. Nella figura C02-34 mostrato uno scarpone dotato di suola rigida dai bordi sporgenti avanti e dietro che calza un rampone munito di archetto anteriore e talloniera posteriore; si tratta del sistema pi diffuso. La figura C02-35 fa vedere uno scarpone pi flessibile con suola dal bordo posteriore sporgente che calza un rampone munito di attacco flessibile anteriore e talloniera posteriore; in alternativa alla talloniera possibile impiegare un archetto flessibile posteriore. Nella figura C02-36 presente uno scarpone flessibile con suola priva di bordi sporgenti che calza un rampone munito di attacchi flessibili avanti; il collo del piede avvolto da una fettuccia che impedisce la perdita del rampone. Nel caso di talloniera posteriore importante regolare la lunghezza del rampone in modo che le punte posteriori si trovino a filo del tacco.
OK
Placca antizoccolo
La placca antizoccolo (antiboto antisnow) un accessorio formato da una placca in gomma che viene fissata sotto il rampone per impedire la formazione di uno zoccolo di neve tra le punte. Lo zoccolo il fastidioso e pericoloso inconveniente che si verifica con condizioni di neve umida o bagnata. Per la propria sicurezza e per una maggiore spe~510 mm
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C02-38 Antizoccolo 1
ditezza si consiglia al momento dellacquisto di fissare sotto il rampone la placca adatta a quel modello. Quando non disponibile l'antibot, l'unica soluzione consiste nel battere frequentemente con il manico della piccozza i ramponi, alternativamente, cos da far cadere lo zoccolo. In altri casi la soluzione migliore togliere i ramponi e procedere facendo dei gradini con la punta o con il tacco dello scarpone. In alcuni casi invece (ad esempio neve che copre uno strato di ghiaccio) indispensabile l'uso dei ramponi.
fermi posteriori
anelli per la cinghia di allacciamento telaio snodi e bulloni di regolazione della larghezza
punte laterali
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serraggio delle cinghie sullo scarpone; il secondo difetto diretta conseguenza del primo: serrando troppo si provoca una costrizione del piede all'interno dello scarpone che pu portare anche a dei congelamenti. un sistema un po' superato e risulta pi lento durante ascensioni di misto, dove indispensabile togliere e mettere i ramponi pi volte.
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Norme principali
Le norme europee EN 893 prevedono essenzialmente prove di resistenza e deformazione delle punte verticali, prove di fatica delle punte frontali e prove di fatica su tutto il rampone. Sono poi previste prove di resistenza dell'allacciatura e degli anelli in cui essa deve passare. Di particolare importanza in relazione all'uso dell'attrezzo sono le prove di fatica che sono le uniche in grado di fornire indicazioni sulla vita dell'attrezzo. Sui ramponi deve essere indicato il nome o marchio del costruttore e il modello, oltre al codice della norma.
testa
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La tenuta dipende essenzialmente dal corretto uso dell'ancoraggio (infissione) e dalle caratteristiche del ghiaccio. Per quanto riguarda queste ultime, in base alla compattezza e alla durezza si distinguono solitamente tre situazioni, abbastanza facilmente riconoscibili nella pratica: - ghiaccio poroso - ghiaccio compatto e duro - ghiaccio molto compatto e duro
tano tutte struttura tubolare cava e la lunghezza normalmente compresa tra 15 e 25 cm. Un ancoraggio a norma prevede che il costruttore riporti il codice EN 568 e il nome o il marchio del fabbricante e stabiliscono che la forza di estrazione non deve essere inferiore a 10 kN. Bisogna diffidare da materiali non provvisti di marchio in quanto poco funzionali e a volte anche inaffidabili La tenuta in condizioni operative dipende essenzialmente dal corretto uso dell'ancoraggio (infissione) e dalle caratteristiche del ghiaccio. Per quanto riguarda queste ultime, in base alla compattezza e alla durezza si distinguono solitamente tre situazioni, abbastanza facilmente riconoscibili in pratica: - ghiaccio poroso: poco compatto perch ricco di inclusioni di aria chiaramente visibili, molle perch a temperature relativamente elevate (poco inferiori a 0 C), opaco, di aspetto lattiginoso; - ghiaccio compatto e duro: sostanzialmente privo di inclusioni di aria, temperatura bassa, opaco, di colore bianco-azzurrino; - ghiaccio molto compatto e duro: privo di inclusioni, trasparente, vetroso, temperatura molto bassa, caratteristico delle cascate, a volte fragile. Le viti da ghiaccio sono di uso sicuro solo con i due ultimi tipi di ghiaccio e non con il primo, per il quale la tenuta problematica (a volte possibile ricorrere a fittoni, meglio se tubolarivedere il paragrafo successivo fittoni e corpi morti). Sicuramente in questi casi opportuno scavare con la piccozza una nicchia nella speranza di raggiungere strati di ghiaccio pi favorevole a uninfissione solida dellancoraggio. Come per molti altri chiodi importante con-
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trollarne l'integrit, sia all'atto dell'acquisto che periodicamente, ponendo particolare attenzione all'esame dell'anello e delle eventuali saldature (possibilmente da evitare). La normativa utilizza il termine ancoraggi da ghiaccio al posto della definizione generica di chiodi da ghiaccio. Esiste in effetti una seconda tipologia denominata proprio chiodi da ghiaccio il cui inserimento e disinserimento avviene per percussione cio con luso del martello. Tuttavia, con lavvento nel mercato di viti facilmente inseribili e di buona tenuta rispetto ai modelli precedenti, i chiodi a percussione che tendono a rompere il ghiaccio e offrono tenute inferiori sono sempre meno utilizzati. La figura C02-43 mostra due chiodi a percussione snarg di forma tubolare cava. Per ulteriori approfondimenti e note tecniche si rimanda al capitolo 4 mentre le modalit di infissione ed estrazione vengono trattate nel capitolo 8.
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C02-44 Fittoni
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come ancoraggio a T in modo simile alla piccozza. L'inclinazione rispetto al pendio a valle deve essere alquanto maggiore di quella caratteristica delle viti e dei chiodi da ghiaccio: indicativamente attorno a 120. Questa maggiore angolazione, che deve favorire la penetrazione nella neve in caso di sollecitazione contrastando l'estrazione, dettata principalmente dal fatto che i fittoni vengono utilizzati nella neve e non nel ghiaccio e, in misura minore, dal fatto che, data la loro lunghezza e la loro conformazione, essi tendono a flettersi un poco. I corpi morti sono costituiti da una piastra angolata (a forma di V molto aperta e solitamente provvista di fori per aumentarne la tenuta) in lega di alluminio, a cui collegato, tramite due rami, un cavetto di acciaio abbastanza lungo per facilitarne l'inserimento nella neve. Vengono infilati nella neve, in genere utilizzando il martello, con inclinazione di poco superiore a quella del pendio e si tirano verso il basso con il cavetto fino a che non si bloccano completamente in posizione stabile. Il cavetto deve essere inserito nella neve scavando un solco stretto e profondo. La posizione del cavetto e langolazione del corpo morto devono essere tali che i rami di aggancio del cavetto alla lamiera risultino ambedue in tensione, altrimenti la tenuta pu risultare assai ridotta in quanto viene facilitata l'estrazione per rotazione. Occorre ovviamente infilare il corpo morto alcuni metri pi a monte del punto previsto per l'ancoraggio; in caso di necessit il cavetto pu essere prolungato tramite un cordino.
Attrezzatura alpinistica
Numerose prove effettuate sul terreno hanno peraltro mostrato che, almeno nel caso delle strutture attualmente disponibili e per effetto di meccanismi non ancora del tutto chiariti, i corpi morti spesso, invece di inserirsi pi profondamente nella neve quando sollecitati (questo il meccanismo di funzionamento previsto), ne vengono strappati fuori; vanno quindi utilizzati soltanto in condizioni che non comportano sollecitazioni eccessive. In caso di necessit, anche un fittone, una pietra, lo zaino ecc. possono essere usati come corpi morti.
C02-48 Zaino
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MANUTENZIONE ATTREZZI
DEGLI
OK
Per una buona conservazione dellattrezzatura importante farla asciugare (piccozze, ramponi, chiodi da ghiaccio, ecc.) appena possibile. Per le piccozze modulari sarebbe preferibile smontare le parti che le compongono per evitare l'ossidazione tra le connessioni. Controllare, prima di partire per una ascensione, il serragio dei bulloni e lo stato delle spine elastiche (se esistono) negli attrezzi modulari e nei ramponi. Verificare frequentemente lo stato del sistema di allacciamento dei ramponi. Nelle piccozze il cordino di collegamento e il lacciolo vanno sostituiti periodicamente (invecchiamento, sfregamento nei fori, irrigidimento, ecc.). Per quanto riguarda la manutenzione delle viti e dei chiodi da ghiaccio, la parte pi esposta al
OK
C02-49 Manutenzione
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Le parti affilate vanno mantenute tali utilizzando carta abrasiva molto fine; eventuali affilature vanno effettuate utilizzando una lima fine a mano: occorre avere una certa esperienza e conoscere gli angoli sotto i quali le varie parti vanno affilate, altrimenti possono essere apportati gravi danni e reso praticamente inservibile l'attrezzo.
deterioramento la punta che va mantenuta pi integra possibile; nel caso dei chiodi la testa va periodicamente controllata e il chiodo deve essere eliminato se presenta fessurazioni o deformazioni eccessive. Le parti affilate (piccozze, ramponi, frese delle viti da ghiaccio) vanno mantenute tali utilizzando carta abrasiva molto fine; eventuali affilature vanno effettuate utilizzando una lima fine a mano (non la mola per evitare surriscaldamenti che ne modificano il trattamento termico di indurimento superficiale), ma occorre avere una certa esperienza e conoscere gli angoli sotto i quali le varie parti vanno affilate, altrimenti possono essere apportati gravi danni e reso praticamente inservibile l'attrezzo. Il casco deve essere sostituito al termine del periodo indicato dal costruttore e comunque qualora risulti lesionato o chiaramente logorato. Corde e cordini vanno sottoposti periodicamente, prima e dopo un'ascensione, a un'ispezione accurata per verificare che non abbiano subito lesioni (non sempre evidenti) per prolungato sfregamento, ramponamento, caduta di pietre o ghiaccio, ecc. Gli attrezzi in fibra tessile, quali corde, cordini, fettucce, imbracature non devono essere conservati in prossimit di fonti di calore e devono essere lavati, se necessario, solamente in acqua tiepida, al pi con sapone o detersivo sicuramente neutro (risciacquare bene).
Attrezzatura alpinistica
CHIODI DA ROCCIA
Hans Fiechtl, guida austriaca, riconosciuto come il padre storico del chiodo da roccia e si considera il 1909 come lanno in cui questo strumento stato introdotto ufficialmente nellalpinismo. Il chiodo composto da due parti principali, presenti in ogni modello: la testa e lama. I chiodi di gran lunga pi comuni sono in acciaio dolce e in acciaio temprato. Lacciaio dolce privo di trattamento termico permette al chiodo di adattarsi meglio alle irregolarit della fessura in cui piantato, ma daltra parte ne rende pi difficile lestrazione e ne riduce (con luso) le caratteristiche di resistenza. Essi sono usati prevalentemente su calcare; tuttavia se realizzati con acciaio semiduro sono impiegabili anche su granito. Nella figura C02-50 da sinistra a destra e dallalto in basso sono mostrate i seguenti tipi: a U, universale, orizzontale, piatto. I chiodi dacciaio temprato sono chiodi piegati in acciaio al cromo e subiscono un trattamento termico che ne rende difficile la deformazione e quindi essi tengono per incastro. Sono maggiormente usati su granito. Nella figura C02-51 da sinistra a destra e dallalto in basso si osservano i seguenti tipi di chiodi: a V, universale, orizzontale, piatto. Secondo la normativa EN 569 esistono diverse categorie di chiodi e per ottenere il label i chiodi, oltre a presentare determinate caratteristiche, devono resistere a prove statiche di rottura con carichi applicati secondo tre direzioni. Per i requisiti tecnici e le prove di resistenza si rimanda al capitolo 4.
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Attrezzatura alpinistica
Sono presenti sul mercato blocchi da incastro fissi (meglio noti come nuts, chocks, bicunei, stopper) e blocchi da incastro regolabili (meglio noti con il nome di friends).
C02-52 Stopper
Secondo le norme EN 12270, un blocco da incastro fisso un corpo di metallo a forma di cuneo non regolabile, collegato ad un anello di metallo o cordino. Esistono in commercio blocchi di forma diversa. Il costruttore tenuto a riportare per iscritto: il nome del fabbricante, il numero della normativa, minima resistenza in kN. Nella figura C02-52 mostrata una serie di stopper a sezione asimmetrica.
Secondo le norme EN 12276, un blocco da incastro regolabile un blocco che pu essere regolato ed incastrato nelle fessure della roccia collegato ad un anello di metallo, cordino o fettuccia. Esistono in commercio diversi tipi e modelli di
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blocchi regolabili; sono consigliati quelli con bracci flessibili, i quali permettono un uso in un maggiore ventaglio di possibilit, consentendo un piazzamento anche orizzontale senza pericolo di spezzare il braccio, come potrebbe avvenire con quelli rigidi. Il costruttore tenuto a riportare per iscritto: il nome del fabbricante; il numero della normativa (EN 12276); il nome e le dimensioni del modello (se ne esistono pi di uno); minima resistenza in kN approssimata per difetto allintero pi vicino. Per approfondimento sulle prove di resistenza dei blocchi da incastro si rimanda al capitolo 4.
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PIASTRINE MULTIUSO
Le piastrine multiuso stanno avendo una forte espansione dovuta alla praticit dutilizzo, alla loro versatilit ed al peso molto ridotto. La piastrina pu essere impiegata in vari modi: a) come freno quando la piastrina svolge la funzione di discensore; b) come bloccante quando la piastrina utilizzata nei recuperi di uno-due secondi di cordata; c) come bloccante nelle manovre di autosoccorso con il grande vantaggio, rispetto ai ben noti bloccanti fatti con i cordini, di essere rigido e di non perdere tratti di corda faticosamente recuperata. Si fa notare che esistono ancora in circolazione piastrine dotate di una costolatura in rilievo rispetto al piano e collocata da una sola parte, posta tra le due feritoie in cui sono passate le corde. Nei modelli pi recenti tale costolatura non pi presente.
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Riportiamo in sintesi i risultati di alcune prove condotte dalla Commissione Lombarda per i Materiali e le Tecniche (CLMT), che ha operato in sintonia con lomonima Commissione Centrale. Le motivazioni che hanno indotto ad eseguire test su questo attrezzo adoperato come bloccante erano diverse: a) lutilizzo di corde intere o mezze corde (uno o due secondi) b) la possibilit, con corde adoperate singolarmente specie se di diametro ridotto, che la corda s giri nell'asola trasformando la funzionalit dellattrezzo da bloccante a freno c) la fattibilit di controllare una corda di un secondo che sta salendo qualora laltra corda sia sottoposta a carico, cio gravata dal peso dellaltro secondo di cordata che risulta appeso o che addirittura sia volato d) lipotesi che lattrezzo, usato come bloccante e sottoposto a un carico elevato potesse portare al grave danneggiamento delle corde; si voleva studiare il caso in cui il secondo di corda-
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ta fosse coinvolto in un volo con corda lasca o in una caduta a pendolo generando, in entrambi i casi, una forza notevolmente elevata.
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di bloccante a quella di freno; questevento pu avvenire in modo aleatorio e fra i fattori che lo determinano sicuramente concorre il diametro della corda e la larghezza dellasola. Per la massima sicurezza conviene agganciare il moschettone a quello di sosta in modo da impedirne la rotazione; ci vale specialmente con corde sottili.
Attrezzatura alpinistica
tenimento per impedire o arrestare lo scorrimento della corda in qualsiasi situazione di utilizzo come bloccante.
FRENI E DISCENSORI
In questa sezione viene presentata una sintetica panoramica dei discensori e dei freni pi diffusi. Per approfondire le caratteristiche dei freni si rimanda ai capitoli 4 e 9, mentre per limpiego dei discensori bisogna fare riferimento al capitolo 11. I freni sono attrezzi che servono per frenare lo scorrimento della corda. Alcuni vengono utilizzati sia per le discese in corda doppia sia per lassicurazione dinamica al compagno di cordata. Altri invece sono utilizzati esclusivamente per effettuare discese in corda doppia. Nella figura C02-60 sono mostrati alcuni tipi di discensori. Da sinistra a destra: piastrina multiuso (gi illustrata nella precedente sezione), tuber, robot, otto. Nella figura C02-61 vengono mostrate le modalit con cui la corda veste un otto e un robot; invece nella successiva figura C02-62 si vede un tuber usato in una discesa in corda doppia. Lotto, rispetto al robot e al tuber, tende ad attorcigliare molto le corde rendendo difficoltoso il loro recupero e riutilizzo in doppie consecutive. Il robot un attrezzo polivalente che pu funzionare anche come dispositivo di recupero; come discensore si adatta a corde di tutti i diametri da 5 a13 mm.
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C02-60 Discensori
Attrezzatura alpinistica
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1011
9+9
9+11
11+11
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La corda si inserisce senza staccare lattrezzo dallimbracatura: basta infatti sollevare lo scorrevole verso lalto e far passare le corde sopra lo scorrevole stesso che ritorner in sede automaticamente sotto tensione. Se si impiega il robot con mezze corde, per aumentare leffetto della frenatura opportuno far passare le corde dentro le due sporgenze. Nella figura C02-62 sono evidenziati vari casi di inserimento di corde aventi diametri diversi. Nella figura C02-64 presentata una rassegna di freni impiegati nellassicurazione dinamica, cio un sistema di assicurazione che permette uno scorrimento della corda nel freno dissipando gran parte dellenergia di caduta sotto forma di calore. Da sinistra a destra: mezzo barcaiolo realizzato con moschettone a base larga HMS, tuber, otto e sticht. Per conoscere le caratteristiche tecniche e le capacit frenanti si rimanda ai capitoli 4 (Catena di assicurazione e normative) e 9 (Tecniche di assicurazione in parete).
C02-64 Freni
capitolo 3
INDICE
Utilizzo dellimbracatura Nodi principali
Nodo delle guide con frizione (o nodo a otto) Nodo bulino semplice Nodo delle guide doppio con frizione Nodo a palla (o nodo delle guide con frizione ripassato)
Generalit Nodo Prusik Nodo Machard Nodo svizzero (o bellunese) : Sistema autobloccante va e vieni Sistema autobloccante Edi (o Lorenzi) Sistema autobloccante a cuore
Nodi di giunzione
Nodo guide semplice (o galleggiante semplice) Nodo a contrasto doppio (o nodo doppio inglese) Nodo guide doppio Nodo fettuccia (o nodo copiato)
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UTILIZZO DELLIMBRACATURA
Per approfondimenti sullimpiego dellimbracatura, si rimanda alla videocassetta e alla dispensa dal titolo Imbracature a confronto nella progressione su ghiacciaio e in parete, realizzate dalla Commissione Materiali e Tecniche e dalla Scuola Centrale di Alpinismo della CNSASA. Le considerazioni essenziali vengono di seguito richiamate: - per uso alpinistico e scialpinistico vengono utilizzati due tipi di imbracature: imbracatura bassa (definita nelle norme cosciale) ed imbracatura combinata (cosciale+pettorale separati). Esistono in commercio anche imbracature complete (cosciale e pettorale non separabili) che tuttavia non trovano utili applicazioni nelle discipline in trattazione. - Lo scopo principale dellimbracatura quello di distribuire sul corpo umano, in modo razionale e non traumatico, la forza d'arresto proveniente dalla corda in caso di caduta. - Nel caso del procedimento in cordata di conserva (attraversamento di un ghiacciaio), chi deve trattenere un'eventuale caduta del compagno facilitato se si trova incordato basso (mediante utilizzo della sola imbracatura bassa), e cio se il punto dapplicazione dello strappo (nodo di collegamento corda-imbracatura) si trova vicino al baricentro del corpo, poco sopra il bacino. Chi incordato basso avanza, infatti, con il bacino e pu accosciarsi rapidamente arretrando le spalle, in posizione
favorevole alla tenuta, mentre chi incordato alto (imbracature combinata o completa) si inclina in avanti, fa passi affrettati e scomposti, o vola con la faccia nella neve. Un ulteriore vantaggio dellimbracatura bassa dato dalla maggior prontezza e resistenza dei muscoli pi potenti del corpo (quadricipiti femorali) allo sforzo improvviso che si verifica. - L'incordatura bassa offre inoltre la non trascurabile comodit di poter togliere o indossare con pi facilit vari capi di vestiario. - In uneventuale sospensione, in special modo con il peso dello zaino, innegabile la scomodit dellimbracatura bassa (ribaltamento); il problema tuttavia facile da risolvere se si tiene indossata la parte alta (pettorale) o se si predispone un sistema (fettuccia o cordino che collega gli spallacci dello zaino alla corda mediante un moschettone), in modo tale da potersi facilmente agganciare, in caso di sospensione, alla corda di trattenuta. In forma sintetica, si presenta il seguente prospetto sulluso corretto dellimbracatura:
USO IMBRACATURA Attraversamento di ghiacciaio con o senza sci Progressione da capo cordata o da secondo senza zaino Progressione da capo cordata o da secondo con zaino Discesa a corda doppia con zaino Discesa a corda doppia senza zaino
C03-03 Tabella uso imbracatura X
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SOLO BASSA
X
COMBINATA
Osservazioni sul prospetto: Il contrassegno X presente nella casella stabilisce il corretto impiego Si pu notare, ad esempio, che mentre nella progressione da capocordata con zaino necessario disporre dellimbracatura combinata (cosciale pi pettorale), nella progressione da capocordata senza zaino consentito sia luso della sola imbracatura bassa che di quella combinata.
NODI PRINCIPALI
Vengono qui sinteticamente descritti i nodi maggiormente in uso nella pratica alpinistica e scialpinistica, accompagnati da illustrazioni che permettono di apprenderne l'esecuzione. I nodi trattati sono stati prescelti sia perch di semplice realizzazione, sia perch di facile scioglimento, anche dopo essere stati sottoposti a carico.
Il nodo delle guide con frizione viene comunemente utilizzato per il collegamento ad un qualsiasi punto della corda di cordata; pu essere facilmente costruito ai capi o nei tratti intermedi della corda.
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Nodo delle guide con frizione (o nodo a otto): ha ampio impiego in campo alpinistico. Viene comunemente utilizzato per il collegamento ad un qualsiasi punto della corda di cordata; pu essere facilmente costruito ai capi o nei tratti intermedi della corda. Lo stesso nodo, costruito nella modalit infilato viene utilizzato come collegamento diretto allimbracatura nella progressione sia su roccia che su ghiaccio e nellattraversamento di ghiacciaio, con o senza sci, utilizzando uno dei due capi corda (vedi capitolo La progressione su ghiacciaio). La frizione permette al nodo di sciogliersi pi facilmente dopo essere stato caricato, tuttavia questo nodo risulta di difficile scioglimento dopo forti tensioni.
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capo terminale
capo terminale
ramo di collegamento
Nodo a palla (o nodo delle guide con frizione ripassato): viene eseguito direttamente sulla corda di cordata in caso di attraversamento di zone innevate crepacciate (vedi capitolo La cordata su ghiacciaio). Lo scopo quello di frenare, e successivamente bloccare, lo scorrimento della corda di cordata sul bordo del crepaccio, in caso di caduta nello stesso. Si ottiene da un nodo delle guide con frizione, ripassando lasola che avanza, allinterno del nodo stesso, come indicato in figura (punti A, B e C). Utilizzando una mezza corda, si consiglia di effettuare un secondo passaggio dellasola nel nodo, aumentandone cos il volume e, conseguentemente, lefficacia (punti D ed E). Se ne raccomanda luso soprattutto su ghiacciai innevati, dove lindividuazione dei crepacci pi difficile e la presenza di bordi con neve molle consente al nodo di incastrarsi e quindi di bloccare la corda. Con corde semplici procedere fino al punto C. Con mezze corde prevedere un avvolgimento in pi in modo da aumentare le dimensioni del nodo procedere fino al punto E.
D
A 98
A A
B B
C C D E
Nodo bulino infilato: si ottiene componendo unasola di nodo bulino semplice sul ramo di corda che fa ingresso nellimbracatura, ripassando il capo di corda in uscita dallimbracatura dapprima nellasola del bulino, quindi, in senso inverso, nelle stesse asole dellimbracatura dalle quali proviene, ripercorrendo infine il bulino semplice, ottenendo cos un nodo infilato (vedi figura). un nodo di esecuzione meno semplice dellotto infilato, e con una certa tendenza a sciogliersi spontaneamente: per quest'ultimo motivo richiede sempre un nodo di sicurezza bene eseguito.
A B C
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facili per realizzare una legatura di emergenza con uno spezzone di corda, non disponendo dellimbracatura (ad esempio, per autoassicurarsi durante unassicurazione tradizionale a spalla o una calata in corda doppia con metodo Piaz). sufficiente disporre di uno spezzone di corda lungo almeno 3,5-4 metri. Si ottiene passando la corda doppia attorno alla vita e indossando a tracolla la bretella chiusa che fuoriesce dallasola del nodo bulino doppio, che va posizionato frontalmente (vedi foto).
C03-12 Barcaiolo
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Al nodo mezzo baracaiolo, dovendo essere utilizzato in manovre in cui fondamentale che funzioni perfettamente, va dedicato il dovuto impegno, anche perch, soprattutto le prime volte, facile sbagliarlo.
ca il nodo pi importante ed perci assolutamente necessario saperlo eseguire in modo veloce e corretto anche con una sola mano e comunque direttamente entro il moschettone. Dovendo essere utilizzato in manovre in cui fondamentale che funzioni perfettamente, al suo apprendimento va dedicato il dovuto impegno, anche perch, soprattutto le prime volte, facile sbagliarlo. Alla sua corretta esecuzione, cos come al suo corretto utilizzo, va posta la massima attenzione anche da parte di chi ne ha gi acquisito esperienza. Nella foto in basso viene indicato con C il capo di corda carico, che riceve lo strappo in caso di caduta dell'assicurato, primo o secondo di cordata che sia, o che deve sostenere il peso in caso di calata o di altre manovre; con L viene indicato invece il capo di corda libero o scarico, tenuto da chi trattiene (o cala). Il nodo mezzo barcaiolo composto da due asole, una aperta e una chiusa. Infilata la corda entro il moschettone (asola aperta), l'asola chiusa va sempre eseguita col capo L, nella
PER RECUPERARE CORDA PER DARE CORDA
maniera indicata nella foto (e cio inserendo tale asola nel moschettone dopo avere effettuato una mezza rotazione nel verso evidenziato) ci permetter al capo C, cio quello da cui pu provenire la sollecitazione, di trovarsi sempre dalla parte dellasse maggiore (senza leva di apertura) del moschettone, onde garantire la condizione ottimale di funzionamento del moschettone stesso. Il nodo cos ottenuto va usato, a seconda della direzione di movimento di chi arrampica, per dare corda (al primo di cordata, in casi particolari al secondo) o per recuperarla (dal secondo di cordata, in casi particolari dal primo): per passare dall'una all'altra condizione il nodo va rovesciato attorno al moschettone. In questo modo il capo C, sottoposto a strappo o carico, si trover sempre dalla parte dellasse maggiore del moschettone. Il nodo va dunque eseguito come mostrato nella parte sinistra della foto e poi portato nella posizione corretta caso per caso (parte destra della foto). Il rovesciamento deve avvenire senza pericolo di bloccaggio. Per questo bisogna evitare di usare moschettoni con angolo di lavoro acuto, in quanto si renderebbe difficoltoso il ribaltamento del nodo (specialmente con corde semplici o con due mezze corde) e in caso di caduta si potrebbe di conseguenza produrre strozzamento e addirittura rottura della corda. Dovranno perci essere usati moschettoni di tipo H, che presentano un angolo di base aperto (sono detti a pera) e sono sempre muniti di ghiera per evitarne lapertura accidentale. Il nodo deve essere sempre manovrato con due mani, una sul capo C e l'altra sul capo L.
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Il nodo mezzo baracaiolo va usato, a seconda della direzione di movimento di chi arrampica, per dare corda (al primo di cordata, in casi particolari al secondo) o per recuperarla (dal secondo di cordata, in casi particolari dal primo). Per passare dall'una all'altra condizione il nodo va rovesciato attorno al moschettone.
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Il mezzo barcaiolo pu essere realizzato con entrambe le mani sul ramo libero sia che il compagno si muova a sinistra oppure a destra rispetto al nodo; limportante che il capo C, sottoposto a strappo o carico, si trovi sempre dalla parte dellasse maggiore del moschettone. Nelle due serie di sequenze suggeriamo la realizzazione del mezzo barcaiolo sul capo libero (corda scarica) e con la mano opposta al movimento del compagno.
Nella prima serie si descrive lesecuzione del nodo mezzo barcaiolo sul ramo libero (a destra) con la mano destra (dx)
C03-14 Mb con mano destra A
Nella seconda serie si descrive lesecuzione del nodo mezzo barcaiolo sul ramo di corda libero (a sinistra) con la mano sinistra (sx)
Asola di bloccaggio:
L 107
L C C
permette di bloccare (e successivamente, se necessario, liberare) lo scorrimento del nodo mezzo barcaiolo nel caso la corda entri in tensione, ad esempio per effetto della caduta di un alpinista che quindi rimane appeso alla corda, permettendo in tal modo allassicuratore di poter liberare entrambe le mani. Data la sua grande utilit necessario saperla eseguire bene e velocemente in ogni posizione. Per maggior sicurezza opportuno eseguire sempre anche la controasola, cio un nodo di sicurezza che evita il rischio di disfare l'asola con una trazione involontaria del capo di corda in uscita. L'esecuzione dell'asola di bloccaggio con la relativa controasola si effettua come mostrato nella sequenza di figure dove si indicato, come gi nella sequenza precedente del mezzo barcaiolo, con C il capo della corda che sostiene il carico e con L il capo di manovra. Per sciogliere l'asola sufficiente tirare con forza il capo L (ovviamente dopo aver sciolto la controasola).
L C L C
Un nodo autobloccante ha la propriet di scorrere se impugnato in corrispondenza dei giri di cordino che lo formano e di bloccarsi automaticamente se sottoposto a trazione applicata all'asola che da esso esce.
Agli effetti della scorrevolezza dell'autobloccante sulla corda, buona norma non segnare la met e i quarti della medesima con giri di nastro adesivo per non provocare il bloccaggio del nodo nei punti segnati.
I nodi autobloccanti sono in generale ottenuti avvolgendo, con o senza l'interposizione di un moschettone, pi spire di cordino attorno alla corda. Vengono di seguito descritti i pi importanti e pi efficienti, al cui uso normalmente opportuno limitarsi: esistono infatti numerosi altri nodi di questo tipo e numerose varianti, ma occorre fare molta attenzione alle loro caratteristiche, che spesso non li rendono adeguati all'uso alpinistico. Un nodo autobloccante ha la propriet di scorrere se impugnato in corrispondenza dei giri di cordino che lo formano e di bloccarsi automaticamente se sottoposto a trazione applicata all'asola che da esso esce. Ai fini della tenuta, il numero delle spire deve essere scelto in funzione della differenza di diametro esistente fra corda e cordino, e precisamente deve essere tanto pi alto quanto pi piccola la differenza tra i diametri. Il numero delle spire deve essere inoltre aumentato qualora i materiali utilizzati (corde e cordini) siano pi rigidi della norma (ad esempio per effetto del gelo). Agli effetti della scorrevolezza dell'autobloccante sulla corda, buona norma non segnare la met e i quarti della medesima con giri di nastro adesivo per non provocare il bloccaggio del nodo nei punti segnati, determinando in tal modo delle situazioni che possono risultare pericolose.
Vengono inoltre descritti due sistemi autobloccanti unidirezionali (Va e vieni e Edi) eseguibili direttamente sulla corda di cordata, principalmente per manovre di recupero e di autosoccorso in genere, ma anche per lesecuzione dellassicurazione statica nei confronti del secondo di cordata.
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Nodo Prusik
il pi classico e antico dei nodi autobloccanti. Il Prusik si esegue con uno spezzone di cordino di diametro preferibilmente non inferiore a 6 mm (se inferiore si consiglia kevlar o dyneema), avvolgendolo due o pi volte intorno alla corda prima di stringerlo accuratamente. Si consiglia di evitare un numero di giri tanto elevato da provocare un eccessivo bloccaggio sotto carico del nodo, con conseguente difficolt di sbloccaggio e di scorrimento lungo la corda a nodo scaricato. Generalmente il Prusik si esegue con un anello preformato di cordino della lunghezza di circa 60-70 cm (figura in basso), ma pu essere necessario anche eseguirlo con uno spezzone di cordino aperto (con un capo solo), chiudendo poi l'anello con un nodo bulino semplice bloccato (foto in basso).
nodo copiato
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Durante l'esecuzione del nodo ci si deve assicurare che i giri sulla corda non si sovrappongano tra di loro e siano esattamente disposti come raffigurato. Il Prusik ha la propriet di essere autobloccante in tutte e due le direzioni (bidirezionale). Il nodo di giunzione del cordino deve risultare in posizione tale da non interferire con il meccanismo di bloccaggio e da non ostacolare l'applicazione del carico. Il nodo Prusik si presta indifferentemente a tutti i tipi di utilizzo, garantendo unefficace tenuta anche su corde bagnate.
C03-18 Prusik con capo solo Nodo Prusik eseguito con un solo capo e chiuso con bulino semplice.
Nodo Machard
Il nodo Machard (talora erroneamente chiamato Marchand) realizzabile con una sola asola cui applicare il carico, ovvero con due asole di cordino (vedi figura). Con un'asola blocca in una sola direzione (unidirezionale), con due asole blocca in ambedue le direzioni, come il Prusik. Possiede la propriet di funzionare anche quando viene eseguito con uno spezzone dello stesso diametro della corda, purch si realizzino almeno quattro spire. Su corde ghiacciate consigliabile effettuarlo con una sola asola. Con due asole, grazie alla facilit di bloccaggio, consigliato come autobloccante di sicurezza nella discesa a corda doppia, per la risalita sulla corda e per le manovre di recupero da crepaccio.
Machard unidirezionale Machard bidirezionale
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In base alla ultime prove preferibile unire i capi del cordino con nodo a contrasto doppio.
C03-19 Machard
112 2
C03-20 Svizzero -a
Costruzione del nodo Si posiziona il pollice (o lindice) parallelo alla corda, verso il basso, in direzione del carico e si avvolge lo spezzone di corda iniziando a monte e dando tre giri attorno a dito e corda e poi ancora tre giri sulla sola corda. Si porta ora il capo dello spezzone in alto, lo si infila al posto del dito per poi uscire a met degli avvolgimenti. Successivamente i vari avvolgimenti vengono ben stretti sulla corda e quindi si realizza sul capo libero un nodo semplice di sicurezza. Il nodo bellunese deve sempre essere pretensionato e tenuto sotto costante controllo. La parte che svolge la maggior funzione di tenuta quella costruita dalle spire rivolte verso lancoraggio (avvolgimenti su dito e corda). Il numero di spire consigliato affinch il nodo dia buone garanzie di tenuta di tre + tre, eventualmente aumentabili su entrambi i lati in base al tipo di corda e allaumento del carico.
C03-20 Svizzero -b
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Posizione di recupero Il ramo a destra (guardando) carico ed il ramo a sinistra (di manovra) utilizzato per il recupero.
B
Asola per dare corda sotto carico Lasola viene strattonata con decisione, mentre la mano non inquadrata tiene con forza il ramo di manovra.
C
Posizione di calata Il ramo di manovra (a sinistra) utilizzato per la calata; non appena richiamato, torner in posizione di recupero.
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NODI DI GIUNZIONE
Servono per unire tra di loro singole estremit di corde, cordini e fettucce o per unire due corde per la calata in corda doppia, o, ancora, per formare anelli chiusi di cordino e di fettuccia.
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3 117
Nodo guide doppio: viene prevalentemente utilizzato per formare anelli chiusi di cordino da impiegare su ancoraggi intermedi (clessidre, spuntoni, ecc.) e di sosta. anchesso galleggiante, sebbene pi voluminoso del nodo semplice e, come questultimo, va stretto con forza un capo alla volta, lasciando almeno 10 cm tra il nodo e le estremit libere di cordino.
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caratterizzato da semplicit di costruzione ed efficace bloccaggio. L'esecuzione abbastanza semplice: si forma vicino ad una estremit un nodo semplice senza stringerlo e con l'altra estremit lo si ripercorre completamente in senso inverso. indispensabile, per evitarne l'accidentale scioglimento (con luso tende a scorrere), stringere sempre con forza il nodo, tirando un capo alla volta, controllarne periodicamente lo stato e, una volta tensionato, lasciare almeno 10 cm tra le estremit libere ed il nodo. Pu essere eseguito anche con frizione, con relativa maggiore facilit allatto dello scioglimento. Il nodo a fettuccia non adatto per formare anelli chiusi di cordino perch, in recenti prove, si rilevato che spesso questa giunzione riduce maggiormente il carico di rottura rispetto al nodo a contrasto doppio.
C03-27 Fettuccia
capitolo 04
Materiali e normative
Normativa internazionale: norme U.I.A.A. e norme CEN Norme CEN e marchiatura CE Corde
Caratteristiche generali Caratteristiche meccaniche richieste-Normativa U.I.A.A.-EN 892 Decadimento delle prestazioni dinamiche delle corde
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PREMESSA
La catena di assicurazione considera tutti gli elementi che concorrono alla sicurezza della cordata nel caso in cui si verifichi una caduta. Oltre ai componenti essenziali quali corda, cordini, fettucce, imbracatura e moschettoni viene anche studiato il comportamento dei freni e degli ancoraggi naturali e artificiali. Premettendo che il volo in ambiente di montagna visto sempre come un evento non abituale e che va evitato, la catena di assicurazione si pone lobiettivo di ridurre al minimo i danni sia a colui che cade, sia a chi, in sosta, sta assicurando. Infatti, anche colui che assicura pu subire seri traumi causati ad esempio dalle bruciature prodotte da uno scorrimento eccessivo della corda dentro la mano oppure dallo sbattere violentemente contro la parete. Dopo aver richiamato alcuni concetti propedeutici di fisica, si parler delle sollecitazioni che subiscono lalpinista, lancoraggio di sosta e lultimo rinvio in caso di volo del primo di cordata sia con corda bloccata che con corda frenata. Mentre nel capitolo 2 si sono trattati gli aspetti essenziali degli elementi che partecipano alla catena di assicurazione nel presente capitolo, allinterno della sezione materiali e normative si evidenziano dettagli tecnici e norme relativi a corde, cordini, fettucce, moschettoni e imbracatura. Quindi verranno citate le principali tecniche di assicurazione dinamica le cui caratteristiche verranno sviluppate nel capitolo 9. Per una trattazione pi completa delle caratteristiche dei materiali, nonch per lapprofondimento delle tecniche di assicurazione, si rimanda alla letteratura specifica prodotta dalla Commissione Centrale Materiali e Tecniche e dalle Commissioni Materiali e Tecniche VFG e Lombarda operanti a livello regionale.
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Nel Sistema Internazionale (SI) lunit di misura della forza il NEWTON (N) che corrisponde allintensit della forza che agendo su un corpo avente la massa di 1 kg gli imprime una accelerazione di 1 m/s2 1 daN (deca Newton)=10 N 1 kN (chilo Newton)=1000 N
1 daN (deca newton)=10 N 1 kN (chilo newton)=1000 N Dal principio si traggono alcune importanti conseguenze: una stessa forza applicata a due corpi diversi imprime laccelerazione maggiore a quello che possiede la massa minore.
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Peso
La forza di gravit o peso (P) la forza a cui sono soggetti tutti i corpi sulla Terra dei quali determina la caduta verso il basso quando non siano sostenuti o vincolati. I corpi che cadono liberamente sotto leffetto della gravit obbediscono alla legge della dinamica P=m*g. Il valore dellaccelerazione di gravit g, in ogni dato luogo della superficie terrestre uguale per tutti i corpi. Per cui un sassolino o un macigno cadrebbero con la medesima velocit se non vi fosse la resistenza dellaria. La figura C04-01 illustra leffetto dellaria: nel tubo di sinistra, in cui stata tolta laria, la piuma e la pallina cadono contemporaneamente; viceversa in presenza di aria i due oggetti scendono con velocit diverse. Analogamente due paracadutisti di pari peso acquistano velocit differenti a seconda della posizione che assumono durante la caduta. Da notare tuttavia che tale concetto non si applica al caso della caduta di un alpinista legato alla corda; infatti si tratta di voli relativamente modesti, troppo limitati perch la resistenza dellaria abbia effetto. La forza di gravit, o peso, proporzionale alla massa; per cui se tutti i corpi cadono con uguale velocit, il corpo con massa maggiore tra-
Nel contenitore di destra presente aria e il sasso e la piuma cadono con velocit diverse a causa della resistenza dellaria. Invece, nel contenitore di sinistra dal quale stata tolta laria, il sasso e la piuma cadono con la medesima velocit.
Il valore dellaccelerazione di gravit g, in ogni dato luogo della superficie terrestre uguale per tutti i corpi; in assenza di aria essi cadrebbero con pari velocit.
scinato da una forza pi grande. Pertanto ad una massa pi grande corrisponde un peso (cio una forza) superiore. Laccelerazione di gravit, in media, sulla superficie terrestre ha un valore di 9,81 m/s2. Nel sistema pratico (valido per la Terra) si preso il chilogrammo-peso (o chilogrammoforza) come unit di misura della forza. La relazione che lega le misure tra il sistema SI e il sistema pratico la seguente: la massa di 1 kg, sotto lazione della forza di 1 N, si muove con laccelerazione di 1 m/s2; la stessa massa, sotto lazione del suo peso (1 kgpeso) si muove con accelerazione di gravit g=9,81 m/s2. 1 kg-peso=9,8 N uguale a circa 1 daN ad esempio 22 kN equivalgono a circa 2200 kg peso (kgp) o kg forza (kgf ).
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Un corpo C di massa m sospeso ad una certa altezza h dal suolo soggetto alla forza di gravit o peso P=m*g. Una volta lasciato libero di cadere il corpo soggetto allaccelerazione di gravit che si pu ritenere costante.
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5 2,
Se prendiamo in esame un corpo sospeso ad una certa altezza h da un certo punto di riferimento, la sua energia cinetica nulla mentre quella potenziale vale L=P*h=m*g*h; poich, per la legge di conservazione dellenergia la somma delle due energie si mantiene costante durante il moto, se un alpinista legato cade, man mano che si avvicina al suolo perde energia potenziale e acquista energia cinetica. Nel momento in cui la corda lo blocca la sua energia potenziale si annulla mentre quella cinetica assume il valore massimo. In quellistante lalpinista dotato di una velocit v=2*g*h e lenergia cinetica posseduta sar E=1/2 m (2*g*h)2=m*g*h=L. Lunit di misura dellenergia il joule (j). Pertanto lenergia potenziale si trasformata tutta in energia cinetica in accordo col principio di conservazione dellenergia meccanica. In figura C04-03 sono mostrati tre esempi di un alpinista che compie voli diversi: da fermo lenergia potenziale massima e dipende dallaltezza di caduta, mentre lenergia cinetica nulla. Viceversa, appena prima di essere trattenuto dalla corda, lenergia potenziale nulla mentre quella cinetica risulta massima.
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m= 80 kg g = 9,8 m/s2 Energia potenziale L=m*g*h (J) Energia cinetica E=1/2 m*v2 (J) Velocit dopo la caduta v=2*g*h
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H=20
H=40
L=10
L=15696 J; E=0 J
L=20
L=0; E=31392 J v=100 km/h L=31392 J; E=0 J B L=40 L=0; E=62784 J v=140 km/h L=62784 J; E=0 J C
H=80
Si consideri che cosa pu accadere agli organi interni in caso di volo, in cui il corpo umano non urti contro la parete e la caduta sia arrestata dall'intervento esclusivo della catena di assicurazione.
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Nel caso del corpo umano, al verificarsi di una caduta, e conseguentemente all'entrata in azione della corda, si ha come effetto una forte decelerazione e la formazione delle corrispondenti forze d'inerzia che, attraverso l'imbracatura, sono trasmesse alla corda.
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C04-04 Paracadute: il diametro del paracadute determina la violenza della decelerazione (Valore di sicurezza sopportabile 15 g)
15 g
tista rischier quantomeno gravi traumi agli arti inferiori al contatto con il suolo. Paracadute molto ampi invece causano l'effetto negativo di cui si parlava in precedenza: dopo il lancio e la conseguente accelerazione del corpo, che ne annulla la sensazione di peso durante il volo libero, all'apertura del paracadute la decelerazione pu risultare talmente forte da far perdere i sensi al paracadutista, anche se questo si trova in posizione eretta. Di fronte a questi dati e considerazioni, i ricercatori si sono posti il problema di valutare il massimo valore di decelerazione sopportabile, per poi dimensionare di conseguenza il diametro del paracadute. Tale valore stato definito in 15 volte g, dove g il valore dell'accelerazione di gravit convenzionale. Mettiamo fin d'ora in evidenza che il valore di 15 g il limite di sicurezza, sopportabile peraltro per tempi molto brevi. opportuno chiarire, inoltre, che si parla di accelerazione o decelerazione esattamente alla stessa maniera, in quanto non cambia l'effetto sul corpo umano. Il valore di 15 g, applicato ad una massa di 80 kg, che la massa di riferimento di un alpinista, ed anche il valore assunto dall'U.I.A.A. per le prove sui materiali, equivale ad una forza di 1200 daN o 12 kN (circa 1200 kgp), limite di sicurezza fisiologico. Nel tentativo di applicare questi concetti all'alpinismo, cerchiamo di definire quale pu essere il paracadute dell'alpinista. In alpinismo una brusca decelerazione si pu verificare quando contemporaneamente accadono alcuni eventi, e cio: la corda resta per qualche motivo bloc-
cata in sosta, oppure viene bloccata su uno spuntone o in una fessura. In questi casi la condizione simile a quella del paracadute troppo grande, cio situazione che si vuole e che dobbiamo evitare. Come si era gi detto, si vede l'utilit di ricorrere a questo caso limite per valutare le sollecitazioni massime e quindi le caratteristiche da richiedere alle corde. Se invece la corda scorre dentro un freno, la decelerazione che si raggiunge sar minore rispetto ai casi, prima esemplificati, del suo bloccaggio. Nel caso limite di corda bloccata, essa si comporta come un elastico e determina un arresto graduale della caduta; la corda in tal caso il paracadute dell'alpinista. Le norme U.I.A.A.CEN prescrivono appunto che le corde si deformino almeno quanto necessario perch la punta massima della forza d'arresto non superi il valore di 1200 daN; d'altra parte richiedono alla corda una rigidezza sufficiente per lo svolgimento di tutte le manovre relative al suo impiego. Ovviamente la caratteristica fondamentale da richiedere a una corda che non si rompa nel trattenere una caduta. A questo scopo le suddette norme, facendo ancora riferimento al caso limite di corda semplice bloccata, prescrivono che essa resista ad almeno 5 cadute di una massa di 80 kg, come si dir pi avanti.
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Nel caso limite di corda bloccata, essa si comporta come un elastico e determina un arresto graduale della caduta; la corda in tal caso il paracadute dell'alpinista. Le norme U.I.A.A.CEN prescrivono appunto che le corde si deformino almeno quanto necessario perch la punta massima della forza d'arresto non superi il valore di 1200 daN.
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Fattore di caduta
L'energia in gioco in una caduta dipende dall'altezza di quest'ultima e viene assorbita dalla corda, come energia di deformazione. Maggiore laltezza di caduta, maggiore sar lenergia cinetica da dissipare. Si osserva che lo sforzo massimo, nel caso di corda bloccata, dipende unicamente dal rapporto tra altezza di caduta e lunghezza di corda interessata; questo rapporto prende il nome di Fattore di caduta (fc).
IL FATTORE DI CADUTA SI DETERMINA A CORDA BLOCCATA 5 m di corda 10 m di volo 10:5=2 fattore di caduta 2
132 H=12
L=40
Analizziamo qualche esempio: se ci si alza dalla sosta per 5 metri senza mettere rinvii e improvvisamente si cade, il volo sar di 10 metri, mentre la lunghezza di corda in grado di assorbire energia sar di 5 metri, da cui il fattore di caduta 10/5=2; se invece ci si alza di 10 metri, sempre senza rinvii, il volo sar di 20 metri e la corda interessata ne misurer 10, per cui il fattore di caduta 20/10=2 identico al precedente e identica sar la forza massima con cui la corda reagisce, sempre supposto che sia bloccata in sosta. Naturalmente in arrampicata si usano i freni, ma il volo a corda bloccata una situazione che pu capitare realmente quando impedito lo scorrimento della corda che va in tensione, ad esempio per incastro della corda in una fessura o perch si avvolge attorno ad uno spuntone o ancora per utilizzo improprio di un freno. Nella pratica dell'alpinismo, al di fuori delle vie ferrate, il valore massimo di fc corrisponde al caso in cui nella progressione verticale non sono presenti rinvii tra l'ancoraggio di partenza (sosta) e il corpo che cade (alpinista 1 di cordata), ed pari a 2; oppure come si detto quando, in seguito ad una caduta del primo, la corda si blocca su uno spuntone.
fattore di caduta 2
1 metro di corda 6 metri di volo 6:1=6 fattore di caduta 6 C04-11 Caduta in ferrata
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rata completo e preconfezionato dal costruttore secondo le norma europea EN 958 e costituito da un dissipatore, corda e due moschettoni adeguati. Tra le varie specifiche la norma impone un valore massimo per la forza di arresto di 6 kN e che lo scorrimento della corda allinterno del dissipatore deve iniziare a carichi superiori a 1,2 kN. Pertanto un set assemblato acquistando le singole parti non a norma. Solo un sistema omologato EN 958 d la completa garanzia del corretto funzionamento.
re la forza di arresto entro limiti accettabili anche nelle peggiori condizioni di caduta. Al riguardo, le normative U.I.A.A. e EN stabiliscono che la forza d'arresto, alla prima caduta - per un volo a corda bloccata con massa di 80 kg a fattore di caduta 2 -, non debba superare il valore di 1200 daN. A parit di resistenza dinamica (numero di cadute sopportate senza rompersi secondo le suddette normive) sempre da preferire una corda caratterizzata da bassa forza d'arresto al fine di limitare i danni ad alpinista ed ancoraggi in caso di volo. In realt sono commercializzate corde semplici che presentano una forza di arresto ben inferiore al valore limite con valori che vanno da 700 daN a 950 daN. Attenzione, infine, a non confondere la forza d'arresto con il carico a rottura della corda, che la forza necessaria da applicare per romperla. Il carico a rottura, sempre ben superiore alla forza d'arresto, un parametro di scarso interesse per l'alpinista e comunque poco importante ai fini della scelta di una buona corda, anche se pu fornire utili informazioni sulle sue caratteristiche. A titolo orientativo si pu affermare che per una mezza corda il carico di rottura vale circa 16 kN (20 volte il peso di un alpinista di 80 kg), mentre per una corda semplice vale circa 24 kN (30 volte il peso di un alpinista di 80 kg).
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A parit di resistenza dinamica (numero di cadute sopportate senza rompersi secondo le suddette normive) sempre da preferire una corda caratterizzata da bassa forza d'arresto al fine di limitare i danni ad alpinista ed ancoraggi in caso di volo.
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F3= 80 daN
corda
80 daN
F2= 80 daN
Si ipotizza ora il caso di una corda bloccata alla sosta e di un alpinista che in fase di salita cada senza prima aver posizionato dei rinvii: laltezza del volo sempre doppia rispetto alla lunghezza della corda interessata. La corda assorbe lenergia cinetica e si allunga in modo diverso a seconda dellaltezza di caduta o di volo. Per essere precisi con altezza del volo si indicato il volo libero, cio fino al momento in cui entra in tensione la corda: laltezza del volo totale data dalla somma del volo libero pi lallungamento della corda Nel primo caso laltezza del volo di 8 m, mentre nel secondo caso di 20 m: in entrambe le situazioni la sollecitazione che riceve lalpinista equivale alla forza di arresto della corda che stata ipotizzata pari a 1000 daN. Se si fosse scelta una corda con fa=1200 daN (il valore massimo consentito ai costruttori), la sosta, in assenza di rinvii intermedi, avrebbe ricevuto una sollecitazione analoga allimpatto subito dallalpinista cio 1200 daN.
sosta
caso a: volo di 4+4 m sollecitazione sulla sosta: 1000 daN caso b: volo di 10+10 m sollecitazione sulla sosta: 1000 daN forza di arresto sullalpinista caso a: 1000 daN caso b: 1000 daN
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1 volo 2 volo Altezza di caduta (m) fa (daN) fa (daN) 2 4 520 517 642 643
La tabella C04-16 riporta i valori della forza di arresto registrata sulla sosta con uno spezzone di corda semplice gi usata, bloccata in sosta e fattore di caduta 2. FC=2 Lunghezza spezzone=2 m Lunghezza spezzone=4 m
C04-16 Voli e forze di arresto
Possiamo osservare che il valore della forza di arresto non dipende dalla lunghezza del volo, bens dal fattore di caduta: si passa infatti dai circa 500 daN nel caso di FC=1 ai circa 700 daN nel caso di FC=2. Si nota che nei voli successivi al primo il valore della forza di arresto aumentato: ci dovuto al danneggiamento progressivo della corda e di conseguenza alla sua diminuita elasticit.
carrucola
corda
Effetto carrucola
Prendiamo ora in esame la sollecitazione che riceve un rinvio intermedio con alcuni esempi di situazione in quiete cio studiando carichi appesi e non in movimento. Nel primo caso (propedeutico) sul rinvio viene posizionata una puleggia che produce sulla corda un attrito trascurabile. Per trattenere il peso di 80 kg applicato sul ramo di sinistra bisogna applicare 80 kg sul ramo di destra. Si osserva che il rinvio deve sostenere la somma delle due sollecitazioni cio 160 daN. Il secondo caso rappresenta unapplicazione del primo esempio: il ramo di destra della corda bloccato alla sosta mentre sul ramo di sinistra appeso un alpinista della massa di 80 kg. Sul rinvio si produce leffetto carrucola e la forza con cui sollecitato vale 160 daN.
carrucola
corda
Carico al rinvio F3=270daN Angolo di attrito Superficie dattrito O=80= rad corda/metallo
140
giata a un perno cilindrico del raggio di 5 mm (moschettone), allincirca per mezzo giro (180), d luogo ad una riduzione dello sforzo tra il ramo traente e quello resistente dellordine di 1,7 in condizioni statiche, mentre pu variare da 1,35 a 1,50 in condizioni dinamiche. Pertanto per trattenere un peso di 170 daN collegato al ramo di destra sufficiente applicare una forza di 100 daN sul ramo di sinistra. Si parla quindi di fattore di riduzione o amplificazione a seconda del verso nel quale viene studiato.
800+1200=2000 daN
1200 daN
800 daN
una quantit di forza inferiore per trattenere la caduta: assumendo il coefficiente di attrito cautelativamente pi basso (F2/F1=1,5) la forza che deve esercitare la sosta vale 1200/1,5=800 daN. Il rinvio quindi soggetto alla somma delle due forze che equivale a 2000 daN. Di conseguenza le norme fissano un valore di 2000 daN come carico minimo per la rottura di moschettoni.
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mano dellassicuratore, permette di rallentare ed arrestare la caduta. Tutti i vari tipi di freni forza a monte hanno una caratteristica comune: essi si comdel freno (mano) portano come moltiplicatori della forza applicata dalla mano. Lalpinista genera sulla Fm Fa mano mediamente una forza di 15-30 daN. freno Lefficacia della frenata data dalleffetto combinato: forza a valle Fs del freno (corda) - della forza esercitata dalla mano dellassicuratoredalla capacit frenante dellattrezzo. Ci significa che in linea forza scaricata sullancoraggio o sullimbracatura teorica si pu ottenere lo stesso effetto di frenata sia con una debole forza della mano combinata con un freno C04-21 Freni moltiplicatori di forze (1) molto efficace sia, viceversa, con una elevata Un qualsiasi freno pu essere considerato un moltiplicatore di forza forza applicata della mano con un freno meno forza Fm in ingresso al freno efficiente. (generata dalla mano forza Fa in uscita dal freno Tuttavia vale la pena di sottolineare che (che arresta la caduta Fa= K F m meglio avere un freno efficace che pu essere modulato morbidamente in caso di Il valore del fattore di moltiplicazione (K) richiesta di basse forze frenanti piuttosto dipende dal freno (efficacia del freno) che un freno poco efficace che non permette di trattenere opportunamente cadute importanti. necessario sottolineare un altro aspetto dei freni: quanto minore la forza generata dal sistema mano-freno tanto maggiore risulta la corsa della corda nel freno; inoltre quanto maggiore la corsa nel freno, tanto minori risultano le tensioni nella catena di assicurazione.
Vari possono essere i freni utilizzati per lassicurazione: il nodo mezzo barcaiolo, riconosciuto in sede U.I.A.A. quale italian hitch (vedi figura C04-22), lotto, il tuber e la piastrina sticht. La capacit frenante espressa dal fattore di moltiplicazione della forza definito come rapporto tra la forza nella corda a valle e la forza a monte del freno. Dalla tabella C04-24 che illustra i fattori di moltiplicazione dei vari freni si nota che, ad esempio per il mezzo barcaiolo, i valori tipici sono tra 8 e 12: questo significa che forze della mano (a monte del freno) dellordine di 15-30 daN generano una forza frenante a valle del freno di 120-360 daN. Inoltre dalla tabella risulta evidente come il mezzo barcaiolo sia lunico che presenti la massima capacit frenante quando i due rami di corda sono tra loro paralleli, come nel caso di trattenuta di una caduta in assenza di rinvii. Gli altri freni si comportano in modo opposto, nel senso che la maggior forza frenante si sviluppa quando i rami operano a 180 ovvero in presenza di un rinvio.
Fm= forza a monte del freno Fa= forza a valle del freno
Rami paralleli mezzo barcaiolo otto tuber piastrina sticht 8-12 2-3 1,5-2 1,5-2
Fa Fm Fa Fm
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cella
F1= 30 daN
330 daN
strumento di misura
N prova 1 2 3 4 5 6 7
Forza arresto (daN) 437 262 295 378 453 363 520
Corsa corda nel freno (cm) 65 180 225 150 260 310 165
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Osservando i risultati si possono trarre le seguenti considerazioni: a) la sollecitazione sulla sosta sostanzialmente uguale come valore ma di verso opposto a quella subita dallalpinista; nello schema vale 330 daN; b) confrontando i valori di forza darresto con quelli ottenuti nelle prove di caduta con corda bloccata (dalla figura C04-16 la fa va da 707 daN a 1138 daN), si nota una notevole diminuzione delle forze in gioco (da 262 daN a 520 daN); c) voli con la stessa altezza di caduta possono presentare valori anche molto differenti di forza darresto: ci dimostra la diversa forza impressa da chi assicura. Si confrontino la prova 1 con la 2; le prove 3 e 4; le prove 5,6,7; d) in genere, maggiore la forza di arresto e minore risulta lo scorrimento della corda; e) nonostante si usi un freno efficace, anche per altezze di caduta modeste (6 m) gli scorrimenti della corda nel freno sono notevoli (160-310 cm) e ben difficilmente un assicuratore potr dare cos tanta corda senza ustionarsi la mano. Pur applicando la buona norma che la mano dellassicuratore deve essere tenuta distante dal freno sar molto difficile in parete tenerla ad una distanza maggiore di 60-70 cm, anche per esigenze di manovra della corda.
Pur applicando la buona norma che la mano dellassicuratore deve essere tenuta distante dal freno sar molto difficile in parete tenerla ad una distanza maggiore di 6070 cm, anche per esigenze di manovra della corda.
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cella
N prova 1 2 3 4 5 6
Freno 1/2 barcaiolo tuber otto 1/2 barcaiolo 1/2 barcaiolo tuber
Corsa della corda Forza sul nel freno (cm) rinvio (daN) 800 610 640 730 900 567 30 110 84 85 45 105
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Osservando i risultati si possono trarre le seguenti considerazioni: a) a parit di volo (4 m), lo scorrimento della corda dentro il freno rispetto alle prove senza rinvio (150-225 cm) sensibilmente ridotto (da 30 a 110 cm). Ci dovuto alla presenza del rinvio che, grazie allattrito generato dal moschettone sulla corda, amplifica lazione frenante prodotta dal sistema mano-freno. Dalla figura si pu osservare che la forza frenante uscente dal freno (300 daN) moltiplicata per il coefficiente di attrito (F2/F1=1,7) produce una azione frenante complessiva di 510 daN (300 * 1,7=510). b) i freni tuber e otto sono pi efficaci del mezzo barcaiolo: a parit di energia da dissipare e a parit di tenuta dellassicuratore consentono di abbassare il valore della forza di arresto grazie a maggiori scorrimenti di corda. Di contro le elevate corse della corda dentro il freno creano allassicuratore seri problemi nel trattenere la caduta del compagno c) a parit di volo e di freno, a seconda della forza impressa dalla mano, lazione frenante del sistema mano-freno diversa e diverso risulta lo scorrimento della corda: lassicuratore che imprime una trattenuta energica ottiene bassi
I freni tuber e otto sono pi efficaci del mezzo barcaiolo: a parit di energia da dissipare e a parit di tenuta dellassicuratore consentono di abbassare il valore della forza di arresto grazie a maggiori scorrimenti di corda.
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F1 F2
forza di arresto
scorrimenti ed elevati carichi sullultimo rinvio. Si effettui un confronto delle prove 1 con 4 e con 5, e 2 con 6. d) La forza applicata sullultimo rinvio risente delleffetto carrucola ed uguale alla somma di due forze: la forza proveniente da chi assicura pi la forza esercitata sullalpinista che cade; esse sono tra loro dipendenti perch la forza frenante che determina la forza di arresto. La prima quella necessaria allassicuratore per trattenere la caduta (F1=300 daN) ed pi debole della forza trasmessa a chi cade. La seconda la forza di impatto che riceve lalpinista che pari allazione frenante prodotta dal sistema mano-freno moltiplicata per il coefficiente di attrito del moschettone (300 * 1,7=510 daN). In forma pi semplice possiamo dire che la forza applicata sullultimo rinvio circa il doppio della forza di arresto subita da colui che cade. In conclusione risulta di fondamentale importanza per la sicurezza della cordata posizionare il primo rinvio prima possibile, comunque entro i primi 3 metri dalla sosta. In questo modo otteniamo due risultati: si riduce laltezza di caduta e soprattutto lazione frenante del sistema mano-freno viene moltiplicata dallattrito del rinvio, permettendo cos di diminuire lo scorrimento della corda entro valori pi facilmente gestibili.
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500 400 300 200 100 0 0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1
TEMPO(s)
fase inerziale 2 fase muscolare corda bloccata nel freno
1,5
0,5
TEMPO(s)
Va tenuto presente che nellassicurazione dinamica, per tutta la fase di trattenuta fino allarresto della caduta, si ha una corsa della corda nel freno che dissipa lenergia; tale corsa tanto
150
3m
6m
+2m di scorrimento
maggiore quanto minori sono gli attriti (roccia, rinvii, ecc.). Il fenomeno della trattenuta pu essere schematicamente suddiviso in due fasi: la fase inerziale e la fase muscolare la prima fase dura 0,2 secondi ed chiamata inerziale; la mano dellassicuratore che impugna la corda tende ad acquistare la velocit del corpo che cade e perci subisce una accelerazione. Si genera in questa fase una forza frenante in cui prevale la forza dinerzia che determina con il contributo del freno la forza di arresto. Questo picco di tensione, che nel grafico di esempio vale 600 daN, si verifica sul rinvio dopo circa 0,25 secondi e tale fenomeno avviene prima dellarresto della massa che cade. La corsa della corda nel freno in questa fase appena iniziata; infatti dal grafico si osserva che dopo 0,25 secondi lo scorrimento allinterno del freno stato di circa 50 cm a fronte di una corsa totale di 130 cm. Nella seconda fase, detta muscolare, interviene prevalentemente lazione dellassicuratore che, opponendo resistenza con parte del proprio peso, mantiene bloccata la corda o la lascia scorrere in modo pi o meno controllato. In questa fase lentit della corsa nel freno, fino al suo completo arresto della caduta, dipende dal valore medio della forza frenante esercitata dallassicuratore. Si fa notare che allaumentare del volo la forza frenante del sistema mano-freno resta la stessa mentre deve aumentare la corsa della corda dentro il freno. Tutto ci comunque va a ribadire un concetto messo in evidenza dallanalisi delle prove con-
dotte sul campo su una massa che cade sopra una sosta in assenza di rinvii e trattenuta dal freno pi efficace. Dalla tabella C04-26 si osserva che un gruppo di assicuratori, per trattenere un volo di 6 metri e preparati psicologicamente allevento, hanno fatto scorrere dentro il freno mediamente 245 cm di corda. Diverse prove condotte con varie altezze di caduta confermano che un volo in assenza di rinvii e con il freno pi efficace richiede uno scorrimento pari a circa 1/3 dellaltezza di caduta.
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La presenza nel tratto di corda di rinvii e lo sfregamento della corda sul terreno aumentano CASO A lattrito, il quale a sua volta facilita lazione frenante del sistema mano-freno. Se gli ancoraggi 2H FC= L1+L2+H intermedi mantengono la corda abbastanza in asse e non si producono significativi attriti il freno lavora al massimo delle sue prestazioni (caso a della figura C0432). Diversamente se sono presenti numerosi rinvii angolati si pu giungere alla situazione limite azione frenante:
allungamento + scorrimento
CASO B L2 H L1
8,4
8 kN 7 kN
7,7 6,5
6 kN 5 kN
7,2
10
nella quale il freno praticamente interviene molto poco perch la corda tende a bloccarsi negli ultimi rinvii posizionati. Di conseguenza si determinano sullultimo rinvio e sullalpinista che cade elevati valori della forza di arresto. Come mostra il caso b della figura C04-32, al limite con corda bloccata si ritorna a parlare di fattore di caduta e per ridurre la sollecitazione sul rinvio e sullalpinista pi 160 opportuno dotarsi di corde con una bassa forza darresto 160 nominale. Nella figura C04-33 volo di 8 m (1) sono confrontate tre corde aventi 160 forze di impatto diverse: si nota che quella dotata del valore pi piccolo (720 daN) determina sul160 lultimo rinvio una sollecitazione inferiore (650 daN) rispetto agli 160 altri modelli.
L = 4 3m
L = 2 3m
L 0 =4 m
m =3 L3
C04-33 (2) Rinvii sfalsati e corde 6 Rinvii sfalsati su 19 metri di salita, con attriti sulla roccia. volo di 8 metri
3m L 1=
m =7 L5
freno
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ancoraggi di sosta
freno
ancoraggi di sosta
freno 154
assicuratore
Si tratta di una variante dellassicurazione classica. Lassicuratore collegato tramite la corda di cordata e un nodo barcaiolo al vertice del triangolo di sosta ove anche posizionato il freno. Colui che assicura, legato ad una distanza di circa 40-60 cm dal nodo barcaiolo, preferibile sia appeso piuttosto che in piedi appoggiato a terra. La caduta del capocordata sollever sempre, in modo pi meno consistente loperatore, salvo casi in cui siano presenti pi rinvii angolati o in ogni caso un notevole attrito contro la roccia.
freno
Assicurazione ventrale
Questa assicurazione nata nei paesi anglofoni con lintento di contrapporre il peso dellassicuratore alle forze derivanti dalla caduta. Lassicuratore collegato al vertice del triangolo di sosta e il freno connesso allimbracatura. Il freno in genere un tuber ed ha bisogno, per poter funzionare efficacemente, di far passare la corda in uscita dallo stesso attraverso un moschettone posto al vertice del triangolo ( chiamato pseudo rinvio). Anche in questo caso la caduta del capo-cordata sollever sempre, in modo pi meno consistente, loperatore durante la fase di trattenuta.
ancoraggi di sosta
155
freno assicuratore
In conclusione si pu affermare che le tecniche assicurazione classica bilanciata e assicurazione ventrale (che prevedono il sollevamento dellassicuratore) generano carichi inferiori sia al rinvio (dal 15 al 20%) sia alla sosta (fino a circa il 50%) rispetto alle tecniche in cui non vi sollevamento; inoltre non tale sollevamento che riduce i carichi (vedi capitolo 9).
MATERIALI E NORMATIVE
Normativa internazionale: norme U.I.A.A. e norme CEN Norme U.I.A.A.
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Nel 1965 il Marchio (label) U.I.A.A. registrato in campo internazionale e nello stesso tempo applicato alle corde che superano le prove stabilite.
le norme U.I.A.A. sono state definite da unassociazione a cui aderiscono 65 paesi e che dal punto di vista formale ha sede a Berna.
Esistono norme di validit internazionale che definiscono alcune delle caratteristiche di costruzione e resistenza/durata che gran parte dellattrezzatura alpinistica deve possedere. Da un punto di vista storico, le prime norme ad essere introdotte per il materiale alpinistico hanno riguardato le corde. I primi studi sulle caratteristiche delle corde da alpinismo furono, infatti, pubblicati sui numeri del novembre 1931 e maggio 1932 dell'Alpin Journal. Nell'agosto successivo, a Chamonix, fu fondata l'U.I.A.A. (Union Internationale des Associations d'Alpinisme=Unione Internazionale delle Associazioni Alpinistiche). Nel 1965 il Marchio (label) U.I.A.A. registrato in campo internazionale e nello stesso tempo applicato alle corde che superano le prove stabilite. Nel 1969 entrano in vigore le norme relative ai moschettoni, nel 1977 quelle alle piccozze e ai martelli da ghiaccio, nel 1980 quelle riguardanti imbracature e caschi, nel 1983 sono approvate le norme per i cordini e le fettucce. Successivamente molti altri attrezzi in uso nella pratica alpinistica - come blocchi da incastro, risalitori, dissipatori, viti e chiodi da ghiaccio sono stati vagliati e assoggettati a normativa U.I.A.A. Si fa presente che le norme U.I.A.A. sono state definite da unassociazione a cui aderiscono 65 paesi e che dal punto di vista formale ha sede a
Berna. Le norme U.I.A.A. sono volontarie nel senso che sta al fabbricante decidere se vuole, oppure no, produrre attrezzi che soddisfano le norme. La marchiatura U.I.A.A. assicura lalpinista che il prodotto soddisfa a certi requisiti ed controllato ogni due anni.
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Norme CEN
Le norme CEN sono espressione della volont del Parlamento Europeo il quale ha approvato nel 1989 la Direttiva 89/686/CEE che stabilisce una serie di regole che riguardano tutti gli attrezzi usati in campo industriale per prevenire le conseguenze di una caduta dallalto. In seguito a questa Direttiva, a livello europeo attualmente in atto, da parte del C.E.N. (Comit Europen de Normalisation), un processo di armonizzazione delle varie norme nazionali e internazionali relative ad attrezzature di protezione individuale (PPE=Personal Protective Equipment, o in italiano DPI=Dispositivo di Protezione Individuale) nell'ambito di attivit lavorative, sportive, ricreative, ecc. Per quanto riguarda lattrezzatura alpinistica, le prime norme C.E.N. sono entrate in vigore il 1 luglio 1995; il gruppo di lavoro che le ha elaborate formato praticamente dalle stesse persone che hanno redatto le norme U.I.A.A.. Le norme CEN sono quasi sempre una traduzione delle norme U.I.A.A. anche se in alcuni casi per le norme pi recenti si verificato il processo inverso. Le norme CEN hanno validit solo in Europa e sono vincolanti per i costruttori: la normativa europea EN (European Norms=rispondenti
Per quanto riguarda lattrezzatura alpinistica, le prime norme C.E.N. sono entrate in vigore il 1 luglio 1995; il gruppo di lavoro che le ha elaborate formato praticamente dalle stesse persone che hanno redatto le norme U.I.A.A..
Le norme CEN hanno validit solo in Europa e sono vincolanti per i costruttori.
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alle norme europee) deve cio essere fatta propria dalle varie legislazioni nazionali e quindi non possono essere commercializzati, in Europa, prodotti che non possiedano le caratteristiche dettate dalle norme. Attualmente (dicembre 2004) soggetta a normativa EN una buona parte degli attrezzi specifici dell'alpinismo: cordini (EN 564), fettucce (EN 565), anelli cuciti (EN 566), autobloccanti (EN 567), ancoraggi da ghiaccio (EN 568), chiodi (EN 569), corde (EN 892), ramponi (EN 893), set di autoassicurazione per via ferrata (EN 958), tasselli o spit (EN 959), moschettoni (EN 12275), piccozze e martelli da ghiaccio (EN 13089), imbracature (EN 12279), caschi (EN 12492), friends (EN 12276), blocchetti da incastro (EN 12270), carrucole (EN 12278).
Categorie di rischio
I Dispositivi di Protezione Individuale (PPE) che vengono impiegati nel lavoro e in settori sportivi come l'alpinismo sono suddivisi in tre categorie, in relazione all'importanza che rive-
stono per la sicurezza della persona, dal rischio da cui proteggono ed alla loro complessit di progettazione: 1. protezione contro danni fisici di lieve entit 2. protezione contro danni di media entit 3. protezione contro rischi di morte o lesioni gravi di carattere permanente. L'appartenenza di un prodotto ad una categoria di rischio richiede determinati requisiti qualitativi e comporta particolari tipi di controllo della produzione da parte di un Notified Body (organismo notificato). Si tratta, in pratica, di un istituto di analisi e controllo ufficialmente riconosciuto dal governo, che pu avere al suo interno uno o pi laboratori per le prove (anch'essi riconosciuti) o appoggiarsi ai laboratori esterni. L'istituto controlla la qualit di produzione e la sua rispondenza alle dichiarazioni commerciali e deve essere notified, cio notificato dal proprio governo alla Commissione Europea quale istituto capace di espletare correttamente questi compiti.
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I Dispositivi di Protezione Individuale (PPE) sono suddivisi in tre categorie, in relazione all'importanza che rivestono per la sicurezza della persona, dal rischio da cui proteggono ed alla loro complessit di progettazione: 1. protezione contro danni fisici di lieve entit 2. protezione contro danni di media entit 3. protezione contro rischi di morte o lesioni gravi di carattere permanente.
Marchiatura
Prima del 1997 la marchiatura prevedeva che dopo la sigla CE fosse riportato anche lanno di approvazione, seguito dal numero di identificazione dellEnte che rilascia il certificato. A partire dal '97 la situazione cambiata; per evitare errate interpretazioni da parte dei fabbricanti, particolarmente, sul significato dell'anno da inserire nelle marcature, si deciso di eliminarlo. Rester dunque la sigla CE seguita dal numero di identificazione (ID) del Notified Body che ha eseguito o esegue il controllo. Nel
160
primo caso si tratta di un Notified Body che si limita ad eseguire le prove di laboratorio necessario per verificare la rispondenza alle norme dei materiali (PPE che rientrano in CAT 2). Nel secondo caso si tratta di un Notified Body che mantiene sotto controllo la fabbrica, eseguendo o facendo eseguire prove di laboratorio sui prodotti con una frequenza da esso stessa decisa (PPE che rientrano in CAT 3). Fanno parte della categoria 3 i seguenti dispositivi di uso alpinistico e quindi certificabili CE: corde, fettucce cucite, imbracature, moschettoni, chiodi, dadi, friend, autobloccanti meccanici, caschi. Alcuni dispositivi, in base allattuale normativa, non possono essere certificati CE perch da soli non proteggono lindividuo da una caduta. Il costruttore ha la facolt di apporre entrambi i marchi CE ed U.I.A.A.: in questo caso propone i suoi prodotti sia per il mercato europeo sia per quello internazionale.
Conclusioni e consigli
Tutti gli attrezzi sopra elencati, per essere posti in commercio, dovranno riportare, oltre ad eventuali altre indicazioni: - o marchio EN seguito dal numero della norma: ad esempio EN892 per le corde. - o marchio CE seguito da un numero che identifica lEnte che rilascia il certificato (a parte discensori, freni, piastrine autobloccanti). - Si raccomanda di utilizzare sempre materiali omologati. Come abbiamo visto, lomologazione U.I.A.A. stata sostituita dalle norme CEN. I marchi relativi possono rivestire un ruolo importante
nei giudizi di responsabilit penale e civile. In caso di incidente il giudizio di responsabilit richiede laccertamento rigoroso, caso per caso, delle cause che lo hanno determinato; nellambito di questa indagine il Giudice tenuto a considerare levoluzione tecnologica che caratterizza tutte le attivit produttive per cui dovr valutare se la condotta dellindagato sia stata conforme alla migliore scienza ed esperienza del momento storico in cui si verificato lincidente. Pertanto doveroso che guide alpine, istruttori, accompagnatori di escursionismo, capigita ed organizzatori in genere si accertino sempre che i partecipanti siano dotati di materiali alpinistici a norma.
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CORDE
Caratteristiche generali
Dalle prime corde di canapa alle attuali in materiale sintetico la strada stata lunga, ma lo sviluppo di questo attrezzo ha contribuito in modo decisivo alla evoluzione dell'alpinismo. Per lalpinista e per larrampicatore, le corde di gran lunga pi importanti sono quelle cosiddette dinamiche, che si differenziano dalle statiche per le loro caratteristiche di deformabilit assiale (allungamento) se sottoposte ad un carico. Questa differenziazione essenziale poich le corde dinamiche sono state progettate per resistere a cadute e quindi sono adatte allar-
rampicata mentre le corde statiche sono state progettate per reggere carichi statici o quasi e quindi sono adatte per calate o per speleologia. Le corde in fibra poliammidica (nylon 6, nylon 6.6, polipropilene, ecc.) sono strutturalmente composte da due parti principali: lanima e la camicia (o calza). La resistenza alla rottura dipende per circa un 70% dallanima e per un 30% dalla calza. Lanima costituita da un insieme di trefoli, a loro volta formati da una terna di stoppini; questi sono ottenuti da 6 fascetti pi sottili costituiti da un insieme di monofilamenti fortemente torsionati tra loro. Il diametro dei trefoli varia da 2.5 a 3.0 mm. Il numero totale di monofilamenti, 2/3 del totale, di circa 40.000. La calza, a struttura tubolare, ottenuta per intreccio di un insieme di stoppini tra loro perpendicolari e disposto a circa 45 rispetto allasse longitudinale della corda. Il numero totale di monofilamenti allincirca 1/3 del totale: mediamente circa 20.000. La calza ha la duplice funzione di contenimento e protezione dellanima e di bilanciamento delle caratteristiche dinamiche della corda. A parit di diametro, un maggior numero di stoppini nella calza conferisce una maggiore resistenza allusura superficiale, diversamente un minor numero migliora le caratteristiche dinamiche della corda. Infatti il comportamento globale dei filamenti dellanima, pressoch rettilinei, pi rigido di quello della calza ove i filamenti sono a 45 rispetto allasse della corda. Le corde oggi in commercio hanno diametri
variabili da 8 a 11 mm, (sarebbe meglio parlare di peso per unit di lunghezza vista la poca precisione del diametro) in funzione della loro destinazione d'uso, ma ai fini di un loro corretto utilizzo non il diametro l'elemento importante da tenere in considerazione, bens i criteri di progetto e di prova che derivano dalla seguente classificazione: - corde semplici (simbolo 1) omologate per essere impiegate da sole in arrampicata; - mezze corde (simbolo 1/2) omologate per essere impiegate sempre in coppia con un'altra mezza corda; - corde gemellari (simbolo O ) (in inglese O twin) omologate per essere impiegate accoppiate con un'altra corda gemellare come se si trattasse di ununica corda semplice. La lunghezza delle corde utilizzate in campo alpinistico varia solitamente da 50 a 70 metri (anche se attualmente le corde pi frequentemente utilizzate sono di 50 e 60 metri).
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CORDA SEMPLICE
MEZZA CORDA
CORDA GEMELLARE
Il peso delle corde (espresso solitamente in grammi/metro) vale: corda semplice 58-85 g/m mezze corde (singola) 42-55 g/m corde gemellari (la coppia) 76-94 g/m
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Alcune delle caratteristiche delle corde importanti per il loro utilizzo sono: notevole maneggevolezza anche in condizioni ambientali difficili; in queste situazioni risulta vantaggioso l'uso di corde cosiddette everdry (altre denominazioni, drylonglife, superdry ecc.), che hanno la particolarit di avere i filamenti della camicia trattati con idrorepellenti che riducono lassorbimento di acqua: ci permette alla corda di mantenere caratteristiche di maneggevolezza sostanzialmente invariate anche con pioggia e gelo. Questa caratteristica pu a volte dare risultati inferiori alle aspettative oltre a ridursi con lutilizzo della corda. Facilit di scorrimento nei moschettoni, comoda annodabilit e poca propensione allattorcigliamento. Migliore resistenza alleffetto spigolo (si tratta di una prestazione che alcuni costruttori stanno mettendo a punto): la corda sotto carico viene fatta passare attorno ad uno spigolo vivo di 0,75 mm di raggio.
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230 cm10 cm
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Una corda, per essere omologata, deve possedere i seguenti requisiti: resistenza dinamica deformabilit a carico statico deformabilit a carico dinamico scorrimento della calza
Marchiatura
La normativa richiede che le corde omologate siano identificate: a) mediante cartellino descrittivo che deve accompagnare ogni corda riportandone le
caratteristiche quali: tipo, lunghezza, diametro, peso per unit di lunghezza, forza di arresto massima, numero di cadute, scorrimento della guaina, allungamento, ecc.; deve anche riportare altre informazioni relative allutilizzo tra le quali la vita presumibile del prodotto, le condizioni di manutenzione, ecc. b) mediante la fascetta che deve essere applicata alle due estremit. Sulla fascetta sono riportati in forma indelebile: il riferimento normativo EN 892, il nome o il marchio del fabbricante, il tipo di corda. Nella maggior parte dei casi sar presumibilmente riportato anche il marchio U.I.A.A. (anchesso mostrato nella tabella). c) Il marchio CE seguito da un numero che identifica lEnte che rilascia il certificato.
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Per dare indicazioni sullo stato dusura di una corda ci si riferisce unicamente al numero di cadute massime che essa in grado di sopportare: lusura quindi corrisponde alla riduzione percentuale delle cadute sopportate al Dodero rispetto a quelle garantite dal costruttore con corda nuova.
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Le prestazioni dinamiche, cio il numero massimo di cadute sopportabili, si riducono a causa dei seguenti fattori: usura durante le ascensioni (micro voli compresi), moulinette, luce solare, acqua e ghiaccio.
sentite pi basso (ma comunque superiore a 5 secondo la Norma) e pertanto sono sottoposte a un decadimento pi accelerato; inoltre sono pi scorrevoli dentro freni e in operazioni di recupero. Le prestazioni dinamiche, cio il numero massimo di cadute sopportabili, si riducono a causa dei seguenti fattori: usura durante le ascensioni (micro voli compresi), moulinette, luce solare, acqua e ghiaccio.
Utilizzo in arrampicata
ormai assodato che una corda non subisce una riduzione di resistenza se non viene adoperata e lasciata in luogo asciutto e non esposto alla luce. Viceversa lo stato di efficienza di una corda dipende fortemente dal tipo di uso che ne viene fatto e dalla sporcizia (polvere) che la corda raccoglie. A questo proposito, noto che i microcristalli (sabbia, polvere, ecc.) penetrati nella corda durante lutilizzo tendono a tranciare i filamenti di nylon che compongono la
DECADIMENTO PROPRIET DINAMICHE DELLE CORDE PER USURA NATURALE
100 90 80
DECADIMENTO (%)
METRI IN ARRAMPICATA
corda stessa. Questo effetto viene reso ancora pi marcato dalluso in corda doppia o in moulinette sia per un effetto meccanico di compressione che di micro fusione di filamenti della calza dovuto al riscaldamento per attrito. Inoltre non va dimenticato che la calza, che sottoposta maggiormente a questo fenomeno di sporcamento, contribuisce per il 30% alla resistenza della corda; pertanto se la calza presenta lesioni evidenti, si deve ritenere che la corda non ha pi i margini di sicurezza richiesti. Dal grafico, che prende spunto da dati sperimentali e fa riferimento a un utilizzo medio su terreni diversi, si nota che dopo circa 10.000 metri di arrampicata il decadimento sceso al 30%. Ci significa che una corda nuova che sopportava ad esempio 9 cadute al Dodero prima di rompersi, ora dopo 10.000 metri di arrampicata pu sostenere solo 3 cadute e quindi non pi a norma cosa che invece non sarebbe successa se la corda fosse stata in grado di reggere, da nuova, almeno 15 cadute. Tale situazione peggiora nel caso di impiego frequente in moulinette (palestra di roccia) a causa dello stress prodotto dallo scorrimento dentro gli anelli di calata e dalluso di discensori.
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La calza, che sottoposta maggiormente a questo fenomeno di sporcamento, contribuisce per il 30% alla resistenza della corda; pertanto se la calza presenta lesioni evidenti, si deve ritenere che la corda non ha pi i margini di sicurezza richiesti.
Il nylon sensibile alla luce solare (in modo particolare alle radiazioni UV); ci comporta un notevole decadimento delle prestazioni dinamiche della corda se esposta al sole: infatti, dopo 3 mesi di esposizione in quota, il numero di cadute sopportate al Dodero si riduce per lo meno del 25%.
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ce per lo meno del 25% e anche fino al 50%. Il decadimento di prestazioni pi vistoso per le corde esposte ad altitudini pi elevate (l'intensit della componente UV della luce solare cresce all'aumentare della quota). La degradazione dei colori dei fili della camicia un indice del decadimento delle loro caratteristiche meccaniche e quindi delle propriet dinamiche della corda (vedi bibbliografia). Pertanto nel peggiore dei casi una corda che sopporta 10 cadute, in seguito ad impiego prolungato in ambiente, specie se di alta montagna, pu tenere solo 5 cadute.
La resistenza dinamica pu ridursi fino a1 70% nel caso di corde bagnate cio circa 1/3 di quella iniziale. Tale comportamento indipendente dalla durata dell'ammollo. Ci significa che una corda che supporta 15 cadute, una volta bagnata ne pu tenere solo 5.
Si consiglia quindi di acquistare corde semplici e mezze corde che offrano un numero elevato di cadute, di scegliere diametri non eccessivamente ridotti perch altrimenti il sistema mano-freno lavora meno efficacemente, di non utilizzare la stessa corda per lattivit in falesia e montagna e di cambiare la corda sia in seguito ad abrasioni o voli importanti o comunque, anche se integra, dopo 10.000 metri di arrampicata (discese comprese).
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nella progressione in conserva sia su ghiacciaio che su pendio di neve e creste di bassa difficolt; per le applicazioni si rimanda al capitolo 10. Riportiamo i risultati di alcune prove condotte con apparecchio Dodero su mezze corde sia asciutte che bagnate applicando una massa di 80 kg (anzich i 55 kg previsti dalla normativa) con fattore di caduta=1. La forza di arresto (fa) riportata riferita alla prima caduta. Le prove con corda asciutta sono state sospese al superamento della sesta caduta.
TIPO DI MEZZA CORDA CORDA Adiam. mm 8 ncadute = 17-18 (con fattore di caduta=2) forza arresto=1020 daN
(valori riferiti a corda gemellare)
FC
fa 1a N cadute caduta daN 4 >6 5 1 1 1 >6 5 >6 3 2 3 578 581 578 596 595 594 595 596 596 644 647 645
CONDIZIONI CORDA asciutta asciutta asciutta 5h in acqua 5h in acqua 5h in acqua asciutta asciutta asciutta 6h in acqua 6h in acqua 6h in acqua
NOTE
1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
rottura sul nodo bulino rottura sul nodo bulino rottura sul nodo bulino rottura sul nodo bulino rottura sul nodo bulino rottura sul rinvio rottura sul rinvio rottura sul nodo bulino rottura sul nodo bulino
CORDA Bdiam. mm 7,8 n cadute= 12 (con fattore di caduta=2) forza arresto=780 daN
(valori riferiti a corda gemellare)
Dalla tabella si osserva che nel caso peggiore la corda bagnata tiene almeno una caduta. Per quanto riguarda la marcia su ghiacciaio e una eventuale caduta in crepaccio si fa notare che la corda nellapparecchio Dodero bloccata mentre nella progressione in conserva la cordata non vincolata a punti fissi ma il compagno che trattiene la caduta. Lo studio sulla
caduta in crepaccio di un componente della cordata ha evidenziato che il compagno al massimo riesce mediamente ad esercitare nella trattenuta una forza di circa 150 daN: si tratta di un valore molto inferiore al carico di rottura della mezza corda (circa 1600 daN). Per quanto riguarda la progressione su pendio di neve e su cresta facile di modesta inclinazione, dove non si prevedono incastri della corda, si pu utilizzare ancora la mezza corda in quanto sono presenti numerosi attriti e soprattutto lassicuratore in fase di trattenuta sollecita la corda con bassi carichi. Nel caso invece di progressione in conserva su tratti rocciosi e su creste dove sono presenti spuntoni e lame la mezza corda va doppiata (cio ad esempio con 50 metri si ottengono due tratti da 25 metri); in questa situazione non adatto limpiego della sola mezza corda in quanto, se essa, in caso di volo di uno dei componenti, dovesse impigliarsi attorno ad uno spuntone, si creerebbe una situazione di corda bloccata e la mezza corda non avrebbe la capacit di sopportare questo tipo di caduta. Come secondo obiettivo si intende chiarire che nella progressione in conserva non esistono controindicazioni nel collegare la mezza corda allimbracatura con nodo barcaiolo. Sono state condotte delle prove con apparecchio Dodero sia su spezzoni di corda asciutta che bagnata, con fattore di caduta=2, con massa di 80 kg, tenendo la mezza corda doppiata e collegando ciascuna estremit alla massa con nodo barcaiolo. stata esaminata una mezza corda che presen-
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Nella progressione in conserva la mezza corda va doppiata; in questa situazione non adatto limpiego della sola mezza corda in quanto, se essa, in caso di volo di uno dei componenti, dovesse impigliarsi, si potrebbe creare una situazione di corda bloccata e la mezza corda non avrebbe la capacit di sopportare questo tipo di caduta.
tava diametro di 9 mm, una fa=5,30 kN e un numero di cadute pari a 17. N prove 1 2 3 4 5 5,86
In tabella sono riportati i dati con corda asciutta; i risultati con corda bagnata presentano una forza di arresto superiore di circa il 14%. Le prove sono state sospese volontariamente dopo il quinto tentativo. Quindi collegare la mezza corda allimbracatura con nodo barcaiolo da ampie garanzie di tenuta: per lattraversamento di un ghiacciaio e la salita su facili pendii di neve sufficiente la mezza corda distesa perch la caduta in crepaccio produce come si visto bassi carichi; per la progressione su cresta rocciosa dove probabile che la corda si impigli opportuno utilizzare la mezza corda doppiata.
CORDINI E FETTUCCE
Parlando di cordini e fettucce vale la pena di fare una premessa di tipo generale allo scopo di evitare ambiguit o fraintendimenti; questi elementi della catena di sicurezza sono destinati a resistere a forze e non ad assorbire energia e pertanto hanno caratteristiche strutturali differenti dalle corde di arrampicata anche se questo a volte appare poco evidente da un esame puramente visivo. La differenziazione di utilizzo parte integrante
della norma EN 564 (ed. febbraio 1997) che individua i requisiti e i metodi di prova dei componenti in oggetto. Questi infatti sono sottoposti a prove di rottura mediante lapplicazione statica di un carico. Cordini e fettucce non devono quindi per nessun motivo essere utilizzati al posto delle corde, neppure a parit di diametro o sezione. La motivazione di questo approccio dovuta alla piccola deformabilit del cordino (dovuta essenzialmente alla sua limitata lunghezza e al tipo di lavorazione) rispetto a quello della corda e quindi al suo piccolo assorbimento di energia. Cordini e fettucce sono generalmente costituiti da fibra poliammidica oppure anche con altri materiali quali il kewlar e il dyneema aventi caratteristiche meccaniche pi elevate. Sono presenti sul mercato anelli di fettuccia precucita di varie lunghezze e rinvii o preparati costituiti dalla sola fettuccia cucita oppure dotati anche di moschettoni. Tenendo conto che i cordini/fettucce sono utilizzati nei punti di rinvio e quindi sono sottoposti a un effetto carrucola le norme stabiliscono che questi componenti abbiano un carico di rottura minimo di 22 kN. Nonostante che per lasse maggiore del moschettone sia stato fissato un carico minimo di 20 kN permane per anelli di cordini e fettucce un carico leggermente superiore. Le resistenze imposte dalle norme si riferiscono alle condizioni nominali, cio a un tratto di cordino o fettuccia non annodato in corrispondenza dei supporti utilizzati per la prova di trazione e fissato a questi in modo che la rottura avvenga nella parte centrale del campione.
Cordini e fettucce non devono essere utilizzati al posto delle corde, neppure a parit di diametro o sezione. Ci dovuto alla piccola deformabilit del cordino (per la sua limitata lunghezza e tipo di lavorazione) rispetto a quello della corda e quindi al suo piccolo assorbimento di energia.
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I cordini/fettucce sono generalmente utilizzati nei punti di rinvio e quindi sono sottoposti a un effetto carrucola ; ci comporta che questi componenti abbiano un carico di rottura minimo di 22 kN.
RINVII
C04-44 Anelli di fettuccia Anelli di fettuccia precuciti poliammide (a sinistra)dyneema (destra) lunghezze variabili da 24 cm a 150
Effetto nodo
Nella pratica bisogna inoltre considerare che i cordini/fettucce sono generalmente usati sotto forma di anello chiuso da un nodo: quindi necessario tenere conto dellindebolimento da esso causato moltiplicando la resistenza nominale (senza nodo) per un fattore di riduzione. Nel caso dei nodi tale fattore, pur essendo alquanto variabile in funzione del tipo di nodo utilizzato, pu essere assunto pari a circa 0,5 (valore conservativo). Poich in un anello chiuso i rami portanti sono 2, ancora necessario introdurre nel calcolo della resistenza un fattore moltiplicativo pari a 2: in conclusione un anello chiuso ha, con buona approssimazione e cautelativamente, una resistenza pari al cordino/fettuccia semplice non annodato.
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Il fattore di riduzione di un nodo costruito su di un ramo di cordino pu essere assunto pari a circa 0,5. Poich in un anello chiuso i rami portanti sono 2, avr, con buona approssimazione, una resistenza pari al valore nominale del cordino/fettuccia semplice non annodato.
Effetto spigolo
Un altro aspetto importante che influenza la resistenza di cordini/fettucce lappoggio che questi componenti possono avere su uno spigolo con un certo raggio di curvatura: quanto pi il raggio di curvatura piccolo (al limite una lama) tanto pi leffetto di riduzione di resistenza elevato; ancora, prove di laboratorio dimostrano che questo effetto molto pi marcato quanto maggiore il diametro del cordino. Questo porta a suggerire, come mostrato in seguito, che per ridurre leffetto spigolo meglio usare un cordino di piccolo diametro con pi rami che non un cordino di diametro maggiore con due soli rami (il confronto deve essere fatto a parit di sezione resistente totale).
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In generale si possono dare le seguenti indicazioni: il raggio di curvatura dei moschettoni che rispettano le norme non produce mai la rottura di cordino o fettuccia per effetto spigolo; la rottura avviene in corrispondenza del nodo per quanto riguarda l'effetto taglio ( lame o bordi di roccia), la fettuccia ha in genere una resistenza minore rispetto al cordino quando i vari rami si sovrappongono reciprocamente, esercitando un effeto di schiacciamento. Si riporta una sintesi della tabella tratta dalla pubblicazione del 1983 Cordini e fettucce a cura della Commissione Materiali e Tecniche del C.A.I. a cui si rimanda per maggiori indicazioni. Fattori di riduzione sulla resistenza
FETTUCCE 0,63 0,42 CORDINI 0,54 0,48 0,58
(bordi con sezione a forte curvatura o smussati) Caratteristiche tecniche Anello passante per foro 30 mm ricavato su lamiera: spess. 4 mm, bordo arrotondato Spess. 3 mm, bordo smussato Passante per locchiello del chiodo (spessore lamiera 4 mm) Anello passante a strozzo -nodo sul braccio sottostante -nodo sul braccio sovrastante anello passante per locchiello del chiodo (4 rami): -rami sovrapposti -rami non sovrapposti 0,52 0,33 0,36 0,34 0,27 0,23 0,27 0,51 0,45 0,44 0,48
Riportiamo in tabella i dati sulla resistenza minima per i cordini che, secondo la normativa europea EN 564, deve essere garantita dalle ditte costruttrici, le quali devono indicare (sul rocchetto della confezione) la normativa EN 564, il proprio nome o marchio e il diametro nominale. La resistenza di un anello di cordino (R anello) con due o pi rami, un nodo ed escludendo leffetto spigolo pu essere cos calcolata: Ranello=(Rnominale)*(n di rami)*(Fnodo) dove: R nominale resistenza nominale del cordino/fettuccia n rami numero di rami di cordino/fettuccia nellanello F nodo fattore (<1) riduttivo per effetto nodo A titolo di esempio un anello che debba realizzare una resistenza di 20 kN con un cordino di 7 mm (R nominale =10 kN) e un nodo con un fattore di riduzione di 0,5 richiede il seguente numero di rami: n rami=Ranello/(Rnominale* Fnodo)=20/(10*0,5)=4
CORDINO 7 mm
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Diametro Carico di rottura (mm) (kN) cordini 4 5 6 7 8 3,2 5,0 7,2 9,8 12,8
R~2127 daN
R~1764 daN
R~1058 daN
R~941 daN
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Nel caso delle fettucce, l'indicazione del carico di rottura viene rivelato direttamente per mezzo di fili spia: fili paralleli, colorati, equidistanti, chiaramente identificabili, incorporati nella fettuccia lungo la sua lunghezza. Ogni filo equivale a 5kN.
Da prove ancora in corso possiamo esprimere le seguenti considerazioni: - in presenza di spigoli meglio cordini pi fini con pi rami che cordini pi grossi con meno rami - nel caso di occhielli di chiodi o tasselli con raggio di curvatura piccolo, opportuno utilizzare un moschettone per operare il collegamento del cordino con l'ancoraggio.
Fettucce
Nel caso delle fettucce, le norme europee EN 565 (del febbraio 1997) non prescrivono al costruttore di correlare la resistenza con la sezione, ma di fornire l'indicazione del carico di rottura direttamente sulla fettuccia per mezzo di fili paralleli, colorati, equidistanti, chiaramente identificabili, incorporati nella fettuccia lungo la sua lunghezza. Ciascun filo rappresenta 5 kN: ad esempio tre fili corrispondono a 15 kN. La resistenza minima non deve comunque essere inferiore a 5 kN. Riportiamo a titolo indicativo una tabella che mostra le resistenze minime solitamente garantite dai costruttori, i quali devono indicare (sul rocchetto della confezione) la normativa EN 565 e il proprio nome o marchio. L x S (mm)
20 x 2 piatta 25 x 2 piatta 30 x 2 piatta 20 x 3 tubolare
30 x 3 tubolare
Si riportano i calcoli dello sforzo sopportabile da una fettuccia avente 3 fili spia in relazione al modo con cui viene sistemata sullancoraggio. I casi sono illustrati nella figura C04-49. Rnominale N rami 1500 1500 1500 1500 3 4 4 2 Fattore R di carico riduzione (daN) 0,63 0,63 0,23 0,27 1890 3780 1380 810
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R~1890 daN
R~3780 daN
R~1380 daN
R~810 daN
Kevlar e dyneema
Il kevlar una fibra aramidica prodotta nel 1965 chimicamente simile al nylon ed attualmente presente nel mercato alpinistico come cordino del diametro di 5,5 mm e del diametro di 6 mm. La fibra dyneema un polietilene (PE HT) prodotto dalla DSM con il marchio dyneema, oppure dalla ALLIED con il marchio Spectra. Queste fibre presentano caratteristiche fisico-meccaniche eccezionali (resistenza alla rottura 3-4 volte superiori al nylon, a parit di peso) sia allo strappo, sia sotto leffetto dei nodi e di spigoli. I cordini prodotti con queste fibre presentano un carico di rottura di circa 19 kN. Per realizzare anelli bisogna impiegare il nodo a contrasto doppio (meglio se triplo) perch senza carico il nodo tende ad allentarsi e le estremit tendono ad accorciarsi. A titolo di riferimento mostriamo una tabella di comparazione sulle resistenze alla rottura ottenute ponendo in trazione alcuni nut dotati di anello di cordino in nylon o in kevlar.
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Queste fibre presentano caratteristiche fisico-meccaniche eccezionali (resistenza alla rottura 3-4 volte superiori al nylon, a parit di peso) sia allo strappo, sia sotto leffetto dei nodi e di spigoli. I cordini prodotti con queste fibre presentano un carico di rottura di circa 19 kN.
n nut 4 5 3
mm 8 7 5,5
nylon 7 mm effetto nodo effetto spigolo effetto strozzo 12,5 kN 7,5 kN 7,6 kN
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10,4 kN
IMBRACATURA
Limbracatura fa parte dell'equipaggiamento indispensabile di ogni alpinista. I requisiti che deve possedere unimbracatura sono cos riassumibili: la sollecitazione in caso di caduta deve essere ripartita sulle parti del corpo maggiormente in grado di resistere senza danno eccessivo (bacino, parte superiore delle cosce) lo strappo deve essere trasmesso al corpo tramite un punto di applicazione posto superiormente al suo baricentro; in tali condizioni, dopo la caduta, il corpo deve tendere ad assume da s la postura verticale durante la sospensione (ad esempio al termine della fase di caduta) il carico, vale a dire il peso del corpo e dell'attrezzatura personale, accresciuto dalle forze dinerzia, deve essere sostenuto dal cosciale (si veda pi sotto), onde evitare danni e dolore nel caso di sospensioni prolungate; il corpo deve essere mantenuto in posizione eretta dal pettorale (si veda pi sotto)
Limbracatura pu essere: bassa (cosciale) combinata, cio costituita da cosciale e da pettorale intera (pezzo unico)
184 parte alta
parte bassa
imbracatura bassa
imbracatura completa
Limbracatura intera, da prove eseguite, sembra non soddisfare in modo completo ai requisiti richiesti: il contraccolpo conseguente allarresto e al violento raddrizzamento del corpo (dovuto allalto punto di attacco alla corda) pu provocare danni molto seri a livello delle vertebre cervicali (cosiddetto colpo del coniglio). Per converso pericoloso l'uso del solo cosciale (imbracatura bassa) quando si arrampica con lo zaino, sia perch la forza di arresto pu causare una pericolosa flessione della colonna vertebrale sia perch il caduto pu restare sospeso a testa in gi. Luso del solo cosciale invece ammesso nellambito dell'arrampicata sportiva ed in genere nelle arrampicate in cui i voli siano senza zaino.
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Norme principali
Limbracatura regolamentata dalla normativa EN12277. La norma contempla quattro tipi di imbracatura: A completa, B per ragazzi (<40 kg), C pelvica (cosciali), D toracica (pettorale). Essa non considera eventuali combinazioni, ma si limita
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da un lato a caratterizzare i vari tipi dal punto di vista del grado di sicurezza garantita, dallaltro a obbligare i costruttori a fornire indicazioni sui rischi che luso di determinati tipi comporta. Cos il tipo C (pelvica) definito specificando che in grado di sostenere il corpo in posizione seduta solo nel caso la persona sia cosciente e il tipo D (pettorale) definito specificando che non pu da solo mantenere sospesa una persona senza che essa subisca danno. La resistenza meccanica viene verificata su un manichino di legno con una prova statica di trazione: in posizione eretta fino a 16 kN, a testa in gi fino a 10 kN. La norma contempla inoltre vari altri aspetti che lattrezzo deve soddisfare. Il costruttore tenuto a fornire esplicitamente tali indicazioni duso e in particolare per il tipo D sullimbracatura deve comparire la scritta: da non usare da sola. Per quanto riguarda la scelta dellimbracatura pi adatta alle varie circostanze duso, il collegamento delle due parti di unimbracatura combinata e il collegamento dellimbracatura con la corda si rimanda al capitolo 3.
MOSCHETTONI (CONNETTORI)
L'aggancio della corda all'ancoraggio possibile tramite il moschettone. Questo attrezzo, inventato nel 1912 da Otto Herzog, oggigiorno costruito in lega leggera, ha la forma di un anello schiacciato che varia alquanto secondo limpiego specifico dell'attrezzo. apribile da un lato per mezzo di una leva azionabile manualmente, la quale ritorna in sede per effetto di una molla. Nei moschettoni da rinvio la leva pu essere diritta, curva e a filo e presenta vari tipi di chiusure. MARCATURA DEI MOSCHETTONI
Ogni moschettone omologato CE deve riportare indelebilmente, in modo da non diminuirne la resistenza, i seguenti dati: il nome o il marchio registrato del fabbricante, importatore o dettagliante; la sigla CE ed eventuale sigla U.I.A.A.; un numero di identificazione dellEnte certificatore; i carichi minimi garantiti dal fabbricante per lasse magg. a leva chiusa, per lasse min., per lasse magg. a leva aperta; marchio Klettersteig (per moschettoni da via ferrata).
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1 1= 2= 3= 4=
U.I.A.A. CE426 resistenza asse maggiore a leva chiusa resistenza asse minore resitenza asse maggiore a leva aperta
mostrata in figura C04-54 la marcatura dei moschettoni. Lattuale normativa europea EN12275 sostitui-
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sce il termine moschettone con il nuovo termine generico connettore: in sede di trasferimento dalle norme U.I.A.A. alle norme CEN stata lasciata ai costruttori la possibilit di produrre nuovi tipi di connessione tra la corda e la parete. In base alla normativa EN12275 la tipologia dei moschettoni (e pi in generale i connettori) presenta 7 tipi diversi di moschettoni: B (base), H (per mezzo barcaiolo), K (per ferrata), D (direzionale), A (per ancoraggi), Q (con chiusura a vite-maglie rapide), X (ovale). Ciascuna di queste categorie caratterizzata, oltre che dal tipo di impiego del moschettone, da: resistenza statica a trazione garantita nella direzione dell'asse maggiore con leva chiusa: Rm1 resistenza statica a trazione garantita nella direzione dell'asse maggiore con leva aperta: Rm1o resistenza statica garantita nella direzione trasversale all'asse maggiore (asse minore): Rm2. La tabella C04-55 riporta tali dati per i diversi tipi di moschettoni.
TIPO
DESCRIZIONE
Base, normale, universale, di uso generale Per assicurazione (HMS= mezzo barcaiolo), dotato di bloccaggio a ghiera automatico (a baionetta) o non automatico (a vite), con leva non bloccabile in posizione aperta. In genere a base larga. Per ferrata (Klettersteig=ferrata) Per ancoraggio Direzionale, cio di costruzione tale da definire univocamente lasse di applicazione della forza Dotato di bloccaggio a ghiera non automatico (a vite). Ovali
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20
6*
K A D
25 20 20
7* 7*
7 -
Q X
25 16
5*
10 7
Note sulla tabella: * = non richiesto il valore se il moschettone dotato di dispositivo di bloccaggio automatico. Per il tipo K non viene fornito il valore di carico per lasse maggiore a leva aperta, in quanto nei moschettoni da ferrata la ghiera ritorna automaticamente in chiusura e viene impedita perci lapertura accidentale. Come gi segnalato, la scelta di 20 kN, come carico massimo lungo lasse maggiore a leva chiusa, deriva dalleffetto carrucola che si manifesta in un rinvio. Il valore indicato dalle norme tiene conto delleffetto dellattrito sul moschettone (rapporto tra forza sul ramo uscente ed entrante pari a 1,5).
La resistenza statica nella direzione dellasse minore richiesta per garantire una sufficiente robustezza anche nel caso in cui il moschettone non lavori in modo perfettamente assiale. Riportiamo alcune considerazioni emerse da una serie di prove condotte sui connettori dalla commissione CMT Lombarda, documentate da un video su supporto DVD. Sui moschettoni H a ghiera, nella versione a base larga adatta all'uso con il mezzo barcaiolo, le prove eseguite hanno evidenziato che la ghiera, pur avendo lo scopo di mantenere la leva in sede, contribuisce ad aumentare il carico: perci bisogna avere cura di chiudere bene la ghiera prima di usare il moschettone. Inoltre, si rilevato che la ghiera chiusa sul corpo del moschettone, se soggetta ad una forza che tende a farla uscire dalla sede (test non considerato dalle norme) presenta una resistenza piuttosto bassa. Un moschettone posto a lavorare in flessione offre un carico di rottura piuttosto basso (340 daN) (vedi C04-56). Moschettone con leva (o dito) a filo: i risultati hanno messo in evidenza che il filo non costituisce il punto debole perch la rottura avviene sul corpo. Il carico di rottura sullasse minore stato misurato in due prove 1100 daN e 1300 daN. Vecchio moschettone marcato L: si fa presente che le vecchie norme prevedevano lutilizzo di due tipi di moschettoni: normale marcato N e leggero marcato L. Per il tipo L era consentito un carico a dito aperto di 4 kN: si consiglia di non utilizzare questo moschettone perch tale basso valore nel rinvio, in situazioni critiche, facilmente raggiungibile.
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Le viti da ghiaccio possono essere costruite con materiali diversi: normalmente sono in acciaio al cromo-molibdeno, in titanio o leghe di alluminio con fresa al titanio.
La tenuta misurata dalla forza di estrazione, cio dalla forza perpendicolare allasse della vite che, applicata all'anello del chiodo completamente infisso, ne determina la fuoriuscita dal ghiaccio o la rottura.
ra tipologie con corpo pieno. Per ragioni fisiche fondamentali l'unica struttura che per via delle sue caratteristiche geometriche e meccaniche permette un' infissione con effetto di rottura del ghiaccio sufficientemente ridotto da consentire adeguata tenuta quella tubolare; le strutture a corpo pieno, in particolare quelle a profilo assiale conico non sono in grado di resistere a forze di estrazione se non assai modeste e, inoltre, come riportato non possiedono resistenza meccanica sufficiente. Ne consegue la chiara superiorit degli ancoraggi tubolari. L'uso di altri tipi, ancora in commercio, confinato a casi assai particolari. Le caratteristiche di questi ancoraggi sono molto varie a seconda del tipo e del costruttore: bisogna diffidare da materiali non provvisti di marchio in quanto poco funzionali e a volte anche inaffidabili e ancora presenti in molti punti vendita. Le viti da ghiaccio possono essere costruite con materiali diversi: normalmente sono in acciaio al cromo-molibdeno, in titanio o leghe di alluminio con fresa al titanio. Una caratteristica geometrica assai importante dal punto di vista della tenuta, sia per le viti che per i chiodi da ghiaccio, la lunghezza, che va intesa come lunghezza di infissione (se ne veda la definizione nel paragrafo successivo). Spesso, in commercio vengono indicate altre lunghezze, come quella totale, cio comprensiva dell'anello (od occhiello) e della testa che risultano poco significative in quanto non sono parametri di progetto previsti dalle norme. La tenuta misurata dalla forza di estrazione, cio dalla forza perpendicolare allasse della vite che, applicata all'anello del chiodo completa-
mente infisso, ne determina la fuoriuscita dal ghiaccio (ghiaccio compatto e duro, densit 0,75 kg/dm3) o la rottura. Le norme prescrivono una forza di estrazione non inferiore a 10 kN; ammessa una deformazione permanente. Le norme EN 568 distinguono, come gi detto, tra viti e chiodi da ghiaccio. In ambedue i casi si considerano soltanto corpi cilindrici (o semicilindrici) cavi (non sono considerati corpi pieni). La forza di estrazione non deve essere inferiore a 10 kN (l'ancoraggio non si deve rompere e non deve uscire dal ghiaccio; consentita deformazione permanente). Per le viti prevista una prova di avvitabilit, per i chiodi una prova di resistenza/usura al martellamento. Gli ancoraggi devono riportare il codice EN 568 e il nome o il marchio del costruttore.
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Viti da ghiaccio
Ormai superati i vecchi cavatappi, a corpo pieno e risultati perci del tutto inaffidabili (la loro tenuta sempre inferiore a 4 kN), sono entrate nell'uso comune le viti da ghiaccio tubolari. A parte il tipo di materiale usato, di cui si gi detto, importanti per distinguere da un punto di vista funzionale i vari tipi di viti da ghiaccio sono alcune caratteristiche geometriche. Queste sono: - la lunghezza di infissione, che definita dalle norme come la distanza misurata tra la punta (parte frontale) della vite e l'attacco dell'anello - il diametro e lo spessore (diametro interno ed esterno) della struttura tubolare - le caratteristiche dell'elica di filettatura, cio passo e profilo - la conformazione della parte frontale (punta).
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La lunghezza, insieme al diametro, concorre in misura essenziale a determinare le caratteristiche di tenuta dell'ancoraggio sia dal punto di vista della resistenza meccanica che da quello della resistenza del ghiaccio che attornia la vite. Esiste quindi, per ciascun tipo di vite, una lunghezza minima che garantisce la tenuta minima dettata dalle norme (10 kN). Tale lunghezza normalmente compresa tra 15 e 25 cm: le lunghezze minori sono proprie delle viti di maggior diametro e con filettatura profonda, quelle maggiori si riferiscono a viti di diametro minore e filettatura pi superficiale. Lunghezze superiori a 25 cm non sono necessarie e rendono l'attrezzo poco maneggevole. Altre caratteristiche hanno rilevanza solo progettuale. Una caratteristica, legata alla geometria dellattrezzo, ha invece una rilevanza molto importante per lutilizzatore: la facilit con cui si pu inserire la vite e con cui la si pu estrarre. Da questo punto di vista rivestono grande importanza la configurazione della parte frontale e la filettatura. Si possono dare alcune indicazioni di massima, che possono guidare nella scelta e nell'utilizzazione, ma la miglior guida costituita dall'esperienza. La punta della vite dotata di una struttura a fresa la cui conformazione molto importante per la penetrazione iniziale e anche per un agevole avanzamento. Tale fresatura non deve essere troppo fine (in genere costituita da tre o quattro denti), ma a parte questo difficile fornire indicazioni utili anche in quanto i risultati dipendono dal tipo di ghiaccio. In ogni caso deve essere convenientemente affilata, condizione che va controllata e mantenuta.
La facilit (minor sforzo) e la rapidit di infissione dipendono invece dal passo dell'elica di filettatura che in molti casi occupa solo la prima parte del gambo. Un passo ridotto (filettatura pi fine) favorisce la penetrazione con poco sforzo, ma richiede un numero elevato di giri; un passo pi lungo riduce per contro il numero di giri richiesto per l'avvitamento e lo svitamento, ma aumenta lo sforzo necessario. Il profilo (sezione) dell'elica ha effetti similari: profondit maggiori della filettatura aumentano lo sforzo necessario. D'altra parte sia la profondit dell'elica che il suo passo (insieme a lunghezza e diametro) concorrono a determinare la tenuta che cresce al crescere del numero e della profondit dei filetti. Le viti migliori sono quelle che ottimizzano il compromesso tra l'esigenza di una elevata tenuta e di un agevole utilizzo. La tenuta delle viti attualmente in commercio compresa tra circa 10 e 16 kN (riferendosi ovviamente a prodotti marchiati e certificati; altri prodotti, le cui caratteristiche non sono note, sono vivamente da sconsigliarsi). Una menzione meritano le viti da ghiaccio dotate di un anello scorrevole lungo il gambo; ci ne consente l'utilizzazione nel caso di spessore del ghiaccio inferiore alla lunghezza dell'ancoraggio, naturalmente con riduzione della tenuta.
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Una menzione meritano le viti da ghiaccio dotate di un anello scorrevole lungo il gambo; ci ne consente l'utilizzazione nel caso di spessore del ghiaccio inferiore alla lunghezza dell'ancoraggio, naturalmente con riduzione della tenuta.
CHIODI DA ROCCIA
Il chiodo un dispositivo che, inserito in una fessura della roccia per mezzo di un martello, costituisce un punto di ancoraggio. Esiste il problema della standardizzazione di prove sui chiodi da roccia perch la resistenza dei chiodi coinvolge le caratteristiche meccaniche della roccia e della forma delle fessure. LU.I.A.A. ha quindi proposto solo norme per la resistenza a rottura del corpo del chiodo, raggiungendo cos limportante obiettivo di assicurare il controllo della qualit di produzione. In un chiodo si possono normalmente identificare due parti: la testa e la lama.
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Requisiti di costruzione
Locchiello deve avere uno spessore di almeno 3 mm. Gli spigoli devono essere arrotondati (raggio min. 0,2 mm) o smussati (smusso minimo 0,2 mm a 45). Locchiello deve permettere linserimento di una barra di 150,1 mm di diametro (4).
Prove di resistenza
Il chiodo viene trattenuto da una morsa con gansce a bordo arrotondato (1) di cui una ruotabile (2) per adattarsi alla forma del chiodo. Al chiodo, opportunamente bloccato con spinotti passanti (3) o altro sistema equivalente, vengono applicate le forze di prova in tre direzioni. VALORI MINIMI DI CARICO DI ROTTURA velocit di transizione 3515mm TIPO
Chiodi di sicurezza kN
DIREZIONE
F1 direzione normale 25 12,5 F2 direzione inversa 10 5 F3 direzione trasversale 15 7,5
Chiodi di progressione kN
Il carico di rottura il valore minimo raggiunto durante la prova su 3 chiodi (3 campioni di chiodo per ogni tipo di trazione).
Marchiatura
I chiodi devono riportare sulla testa e in modo indelebile le seguenti iscrizioni: CHIODO DI SICUREZZA
Presenta un alto carico di rottura ed lungo almeno 90 mm. EN 569 (norme europee) NOME o MARCHIO o fabbricante, o fornitore, o importatore LUNGHEZZA del chiodo espressa in cm, arrotondata per difetto S simbolo chiodo di sicurezza
CHIODO DI PROGRESSIONE
Con minori prestazioni, soddisfa comunque i requisiti di resistenza esposti EN 569 (norme europee) NOME o MARCHIO o fabbricante, o fornitore, o importatore LUNGHEZZA del chiodo espressa in cm, arrotondata per difetto
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Secondo la normativa, i blocchi vengono sottoposti a prove di resistenza statica in apparecchiature di forma e dimensione opportuna e viene misurato il valore massimo di rottura di uno dei componenti (blocco o anello) o di fuoriuscita del blocco dallapparecchiatura.
I blocchi devono riportare in forma indelebile le seguenti informazioni: la dimensione e la minima resistenza in kN approssimata per difetto allintero pi vicino (al momento sono reperibili in commercio anche blocchi la cui resistenza espressa da asterischi di diametro compreso tra 2 e 4 mm - ognuno dei quali rappresenta 5 kN; per esempio tre asterischi significano una resistenza di almeno 15 kN).
resistenza espressa da asterischi - di diametro compreso tra 2 e 4 mm - ognuno dei quali rappresenta 5 kN; per esempio tre asterischi significano una resistenza di almeno 15 kN).
Questi sono meccanismi che presentano tre o quattro camme incernierate su uno o due perni e la cui forma, a spirale logaritmica, consente un adattamento ottimale in una certa gamma di ampiezze delle fessure naturali presenti nella roccia.
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posti a prove di resistenza statica in apparecchiature di forma e dimensione opportuna, e viene misurato il valore massimo di rottura di uno dei componenti (blocco o anello) o di fuoriuscita del blocco dallapparecchiatura. Il costruttore tenuto a riportare per iscritto: il nome o il marchio del fabbricante, o del fornitore, o dellimportatore; il numero della normativa (EN 12276); il nome e le dimensioni del modello (se ne esistono pi di uno); minima resistenza in kN approssimata per difetto allintero pi vicino; il significato di ogni simbolo sul prodotto; istruzioni sul suo utilizzo corretto; modo di scelta di elementi sostitutivi del sistema; istruzioni sulla manutenzione; durata del prodotto e avviso che dovrebbe essere sostituito in caso di danni; informazioni sullinfluenza di reagenti chimici, temperatura, acqua e ghiaccio, effetto taglio, invecchiamento.
capitolo 5
Gradinamento
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PREMESSA
In questi ultimi anni la tecnica su ghiaccio stata oggetto di studi e sperimentazioni che hanno approfondito gli schemi motori dei vari movimenti e perfezionato la progressione graduale degli esercizi. In questo capitolo descriviamo in forma aggiornata, adattati in ordine crescente di difficolt, gli esercizi della progressione base su neve e ghiaccio, che fanno parte del bagaglio di esperienze maturate in ambiente del C.A.I. Alcuni di questi sono stati rivisti adottando una nuova metodologia didattica che si ispira a studi sul movimento su ghiaccio sviluppati dalla Guida Alpina Paolo Caruso. possibile suddividere la progressione su ghiaccio in tre categorie, ciascuna delle quali caratterizzate da un grado di difficolt crescente: a) progressione incrociata adatta per pendenze medie e terreno classico; b) progressione fondamentale adatta per un terreno che presenta tratti pi ripidi; c) progressione a triangolo adatta per terreno costantemente ripido e impegnativo. In questa sezione presentiamo una serie di esercizi di base, da effettuare sia su neve che su ghiaccio, che utilizza la progressione incrociata, mentre nella sezione uso dei due attrezzi e introduzione alla piolet-traction vengono trattati alcuni esercizi che si basano sulla progressione fondamentale.
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NO
movimenti e quelle progressioni che favoriscano il miglior equilibrio, che pertanto richiedano una forza minore e di conseguenza garantiscano una maggiore sicurezza. Considerando lo spostamento degli arti a coppie possiamo avere tre tipi di movimenti: 1) incrociato: si muovono in sequenza o simultaneamente braccio sinistro gamba destra oppure braccio destro gamba sinistra; 2) omologo: si muovono in sequenza o simultaneamente le due braccia oppure le due gambe; 3) omolaterale (ambio): si muovono in sequenza o simultaneamente braccio e gamba sinistri oppure braccio e gamba destri. Il centro di massa di un corpo, detto anche baricentro, il punto nel quale si possono considerare applicate le risultanti delle varie forzepeso delle masse che compongono la persona e si trova nella zona centrale del bacino a circa il 57% dellaltezza. Lequilibrio gi stabile quando il baricentro si trova lungo la diagonale che collega due appoggi. Per dare unidea della condizione di equilibrio si applica lo schema del cos detto modulo a croce. Immaginando di tracciare sul pendio due rette perpendicolari tra loro di cui una sulla linea di massima pendenza, l'equilibrio ottimale si ottiene facendo si che i piedi si trovino sempre su due quadranti opposti. Il baricentro del corpo viene cos sempre a trovarsi tra questi due punti e la base dappoggio risulta ampia. La figura C05-01 indica a sinistra la posizione corretta dei piedi (ampia base di appoggio) e a destra la posizione da evitare
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(poca base di appoggio). Lo studio dellequilibrio applicato ai soli piedi viene ora ampliato e integrato dallo studio degli schemi motori dei quattro arti. Per meglio analizzare come si raggiunge lequilibrio nei tre movimenti citati, utilizziamo come riferimento una persona dotata di bastoncini da sci che si muove nel primo caso su un pendio di modesta inclinazione e nel secondo caso su un pendio pi ripido. Su media pendenza il movimento incrociato risulta il pi vantaggioso: infatti togliendo due punti (ad esempio braccio sx e gamba dx) il baricentro cade sulla diagonale che collega gli altri due appoggi. Su terreno pi pendente invece questo sistema non vantaggioso perch nel momento in cui si alzano i due arti (ad esempio braccio sx e gamba dx) il baricentro non sar pi in equilibrio sulla base di appoggio. Su media pendenza il movimento omologo meno vantaggioso di quello incrociato perch se togliamo i due appoggi anteriori oppure i due appoggi posteriori il baricentro non si trova in equilibrio. Su terreno pi pendente invece il baricentro in equilibrio perch ci si appoggia sulle gambe oppure si resta appesi con le braccia. Su media pendenza il movimento omolaterale (ambio) non risulta vantaggioso perch eliminando due punti di appoggio (per esempio il lato sinistro) il baricentro in equilibrio instabile lungo una linea verticale e non si trova su una base dappoggio ampia come si verifica nel movimento incrociato. Anche su terreno pi verticale si conserva un equilibrio instabile: infatti anche se si sposta il
baricentro per raggiungere un nuovo punto di equilibrio si ottiene una base di appoggio esigua. Per concludere si pu affermare che per larrampicata il movimento incrociato e quello omologo sono gli schemi motori pi utili: su un terreno di media inclinazione viene applicata il sistema incrociato mentre su un pendio pi verticale si adotta il sistema omologo; in questultimo caso infatti la posizione del corpo in equilibrio sui piedi muniti di ramponi permette di sollevare le mani e analogamente il corpo sostenuto da due attrezzi impugnati dalle mani agevola lo spostamento dei piedi.
C05-06 Movimento allambio - a
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C05-08 Simultaneo - a
C05-09 Simultaneo - b
C05-10 Simultaneo - c
Esempio di movimento non simultaneo in salita: mano dx pi alta e mano sx pi bassa, piede sx pi alto e piede dx pi basso: si sposta prima larto pi lontano dalla direzione di marcia, in questo caso il piede dx. Segue poi il braccio incrociato, cio il braccio sx, poi il piede sx e dopo la mano dx. (Se nella posizione di partenza le mani sono tenute basse, meglio spostare per prima la mano pi bassa, non il piede - cio, in questo caso, prima la mano sx, poi il piede dx). In discesa, sar il contrario: dalla stessa posizione si abbassa prima la mano dx e poi il piede sx. Si continua con la mano sx e poi con il piede dx. La sequenza delle foto mostra il movimento simultaneo in salita di un alpinista dotato di ramponi e di una piccozza; la mano libera si appoggia alla parete. Le figure C05-08 e C0512 descrivono la posizione di base, la figura C05-09 evidenzia mano destra e piede sinistro in aria, mentre la figura C05-11 indica mano sinistra e piede destro in aria. Naturalmente questa progressione viene eseguita anche con due attrezzi Per effettuare correttamente la progressione simultanea bisogna piantare la piccozza e il rampone dei due arti in movimento eseguendo un solo moto continuo; importante riuscire a sfruttare linerzia del corpo piantando lattrezzo e il rampone simultaneamente. Inoltre di grande utilit effettuare una respirazione corretta perch laffaticamento generale normalmente maggiore rispetto al medesimo movimento su roccia. Come linea di principio si espira quando si compie lo sforzo maggiore e si
inspira nella fase di preparazione; quindi nella progressione su ghiaccio si espelle laria quando si sollevano gli arti e si piantano gli attrezzi, mentre si immette aria dopo aver inserito gli attrezzi e prima di eseguire il movimento successivo. In caso di stanchezza sufficiente inserire una pausa tra un passo e laltro. La progressione incrociata non simultanea consigliabile quando necessario essere particolarmente prudenti su un terreno pi verticale o precario oppure quando si piuttosto stanchi. Bisogna sempre fare attenzione a non ricadere nella posizione in ambio: cio bisogna evitare ad esempio di spostare il piede destro e poi la mano destra e di seguito il piede e la mano sinistri. La decisione di eseguire la progressione simultanea oppure quella non simultanea dipende dallinclinazione del pendio, dal livello dellalpinista e dalla precariet del terreno. Dallesperienza maturata preferibile insegnare fin dallinizio quella simultanea perch facilita lapprendimento e la comprensione dello schema motorio. Man mano che la si impara diventa facile capire che si pu mantenere lo stesso schema muovendo un arto alla volta ma in modo da evitare la progressione omolaterale (ambio); infatti se il terreno precario o impegnativo in relazione alle proprie capacit, meglio muovere un arto alla volta cio impiegare la progressione incrociata non simultanea. Acquisita una adeguata esperienza e compatibilmente con un terreno sicuro e di inclinazione media conviene puntare alla progressione simultanea perch poco faticosa e ci consente di
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C05-11 Simultaneo - d
C05-12 Simultaneo - e
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Acquisita una adeguata esperienza e compatibilmente con un terreno sicuro e di inclinazione media conviene puntare alla progressione simultanea perch poco faticosa e ci consente di aumentare la velocit in salita.
aumentare la velocit di progressione; tutto ci costituisce una sicurezza e un vantaggio in particolar modo nelle salite classiche di montagna. Entrambi i modi possono essere applicati ai vari esercizi che vengono descritti di seguito: a) in salita faccia a monte, b) in salita fianco al pendio in diagonale c) in salita fianco al pendio con passo incrociato d) in discesa faccia a valle e a monte e) in discesa fianco al pendio con passo incrociato f ) in traversata faccia a monte (solo simultanea). In numerosi esercizi il movimento viene mostrato muovendo un passo alla volta. In fase di apprendimento, scegliendo un terreno facile e adeguato al tipo di esercizio, si pu iniziare con la progressione simultanea per poi fare pratica con il modo non simultaneo.
PROGRESSIONE INDIVIDUALE SU NEVE SENZA RAMPONI CON PICCOZZA OPPURE CON BASTONCINI DA SCI
Esercizio 1: salita e discesa diretta pendenza moderata su neve molle senza ramponi con e senza bastoncini da sci
Il pendio, di pendenza moderata (20-25), con neve poco consistente in cui lo scarpone affonda, va salito direttamente faccia a monte e disceso direttamente faccia a valle.
Limpiego dei bastoncini da sci presenta numerosi vantaggi: a) in fase di apprendimento consentono di far pratica con il sistema di progressione incrociata b) permettono di far assumere al corpo una posizione pi naturale con il busto maggiormente eretto c) in marcia, soprattutto con zaini pesanti e in modo particolare durante la discesa, i bastoncini sono molti indicati perch si sollecitano meno le ginocchia e su terreno non uniforme garantiscono un migliore equilibrio. Nella figura C05-13 si osserva la posizione di partenza secondo lo schema incrociato, mentre la figura C05-14 mostra il movimento contemporaneo di due arti incrociati. opportuno osservare una serie di accorgimenti soprattutto se la marcia avviene senza luso dei bastoncini da sci: - ricercare lequilibrio mantenendo il baricentro sui piedi; in salita evitare di tenere il busto troppo avanzato verso monte, invece in discesa il busto deve flettersi verso valle cercando di non restare arretrati - i piedi vanno appoggiati sulla neve con una certa decisione; con neve poco consistente, prima di portare subito il peso sul piede, limpronta va pressata pi volte con lo scarpone.
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Esercizio 2: attraversamento o salita con pendenza moderata su neve compatta senza ramponi con e senza bastoncini da sci
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C05-15 E2 Attraversamento - a
C05-16 E2 Attraversamento - b
Spesso capita di dover attraversare canali e avvallamenti in cui presente neve compatta spesso ricoperta da detriti sassosi; su questa superficie dura e scivolosa, che richiede due linee di tracce per conservare un buon equilibrio, tuttavia non si riesce con lo scarpone a lasciare limpronta di tutta la suola. Bisogna realizzare con il piede a monte una tacca nella direzione di marcia e con il piede a valle unaltra tacca; le tacche, che dovranno essere sfalsate e poste su due linee, verranno successivamente allargate dai successivi passaggi in modo da ospitare lintera suola dello scarpone. La progressione incrociata e soprattutto la realizzazione delle tacche vengono agevolati se si utilizzano bastoncini da sci che aiutano a mantenere il busto sopra i piedi. Se si utilizza un solo bastoncino la posizione di base prevede il piede a monte avanzato, la mano a monte sul bastoncino, la mano a valle appoggiata al fianco e il piede a valle arretrato. La progressione incrociata avviene spostando contemporaneamente il bastoncino e la gamba a valle; successivamente spostando la gamba a monte si ritorna in posizione base. possibile impugnare il bastoncino con la mano a valle. Nel caso si volesse procedere con un arto alla volta si muover il bastoncino e si eseguiranno in successione due passi.
C05-17 E2 Attraversamento - c
Esercizio 3: salita diagonale su pendii con inclinazione moderata fino a 25 su neve molle o poco compatta senza ramponi e con piccozza
Si procede diagonalmente, fianco al pendio, con i piedi che seguono due linee parallele; la piccozza impugnata sulla testa (con il palmo della mano appoggiato tra la paletta e la becca), becca in avanti, viene utilizzata in appoggio verticale e tenuta con la mano a monte. Su neve soffice o comunque non particolarmente dura necessario appoggiare il pi possibile tutta la pianta del piede per ridurre o evitare l'affondamento e mantenere l'equilibrio; vantaggioso pu anche risultare il comprimere preventivamente la neve con lo scarpone. Su neve buona e con adeguata esperienza si pu effettuare una progressione simultanea in diagonale. La posizione di base che deve rispettare lo schema motorio incrociato la seguente: il piede a monte avanzato, la mano a monte, che impugna la piccozza, e il piede a valle si trovano in posizione arretrata. Quindi si spostano contemporaneamente la piccozza a monte e la gamba a valle e successivamente si muove la gamba a monte; cos si ritorna in posizione base.
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C05-18 E3 Diagonale - a
C05-19 E3 Diagonale - b
C05-20 E3 Diagonale - c
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tueranno due passi. Su neve pi compatta si utilizzano prevalentemente il bordo e la punta degli scarponi. Vengono presentate in sequenza le figure che illustrano il movimento in diagonale muovendo un arto alla volta: si inizia dalla posizione di base (figura C05-21), si sposta la piccozza (figura C05-22), si muove il piede a valle (figura C05-23) e quindi spostando il piede a monte si ritorna alla posizione di base (figura C05-24).
C05-21 E3 Diagonale ns - a
C05-22 E3 Diagonale ns - b
C05-23 E3 Diagonale ns - c
C05-24 E3 Diagonale ns - d
C04-25 E3 Cordino - a
zione ripetitiva c soprattutto il rischio di perdere lattrezzo al momento dello spostamento del lacciolo. possibile ovviare a questo inconveniente assicurando la dragonne della piccozza con un cordino da collegare allimbracatura. La lunghezza del cordino di collegamento pu essere variata tramite una placchetta, di forma simile a quella impiegata per tendere le tende da campeggio (vedi capitolo sui materiali). Limportante che il cordino non ostacoli la marcia, soprattutto quando si calzano i ramponi e il terreno diventa duro.
C04-26 E3 Cordino - b
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busto verso la direzione di marcia (figura C05-31). 6) Spostare il piede esterno alla curva in avanti appoggiando lo scarpone lungo la direzione di marcia; si ritorna cos nella posizione di base (figura C05-32).
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C05-27 E4 Inversione - a
C05-28 E4 Inversione - b
C05-29 E4 Inversione - c
C05-30 E4 Inversione - d
C05-31 E4 Inversione - e
C05-32 E4 Inversione - f
Esercizio 5: salita diagonale, passo incrociato con inclinazione fino a 30/35 su neve poco compatta senza ramponi con piccozza (o con bastoncini)
Si procede diagonalmente, fianco al pendio, con piccozza in appoggio verticale impugnata sulla testa con la mano a monte. Partendo dalla posizione di base della diagonale (vedi figura C05-33) il passo incrociato consiste nel tener fermo il piede a monte, innalzare il piede a valle e, facendogli compiere una rotazione verso lesterno, posizionarlo sopra laltro piede con la punta rivolta verso la direzione di marcia. Il piede a valle, che esegue lincrocio, quello che con il suo movimento determina essenzialmente linnalzamento lungo il pendio. Il passo incrociato eseguito in modo simultaneo prevede: 1) dalla posizione di base (vedi figura C05-33) caricare il peso sul piede a monte; 2) alzare contemporaneamente la piccozza (mano dx) e il piede a valle (piede sx) che esegue lincrocio (vedi figura C05-34); 3) una volta posizionati i due arti, spostare il piede a monte (piede dx) e si ritorna in posizione base. Fare eventualmente una pausa (vedi figura C05-35). La tecnica del passo incrociato redditizia in termini di innalzamento e non risulta particolarmente faticosa; essa richiede tuttavia una buona padronanza e una certa abitudine allo specifico movimento, di per s piuttosto innaturale. In particolare il mantenimento del corretto equilibrio durante l'esecuzione del passo
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C05-33 E5 Incrociato - a
C05-34 E5 Incrociato - b
C05-35 E5 Incrociato - c
richiede molta attenzione e solo l'allenamento lo rende spontaneo. Il passo incrociato eseguito in modo non simultaneo prevede di iniziare con la posizione di salita diagonale vista nellesercizio 3 (fig. C05-18), spostare la piccozza ed eseguire due passi. In salita da destra a sinistra la successione dei movimenti con un arto alla volta la seguente: 1) spostare la piccozza obliquamente in alto (figura C05-36); 2) spostare il piede a valle (il sx nella figura C05-37), effettuare lincrocio e posizionarlo sopra con la punta rivolta verso la direzione di marcia; 3) spostare verso lalto il piede a monte (il sx nella figura C05-38). Come si vedr pi avanti, il passo incrociato si utilizza nelle stesse condizioni di pendenza anche su ghiaccio con i ramponi ai piedi. Inversione di marcia con passo incrociato: il movimento di inversione simile a quello descritto per la salita diagonale. Si inizia linversione dalla posizione di base (figura C0533) evitando lincrocio dei piedi.
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C05-36 E5 Incrociato - a
C05-37 E5 Incrociato - b
C05-38 E5 Incrociato - c
Esercizio 6: salita faccia a monte su pendii ripidi con inclinazione di 40/45 su neve molle senza ramponi con piccozza
Si procede frontalmente lungo la linea di massima pendenza. Questa progressione pi redditizia in termini di dislivello, ma comporta uno sforzo fisico maggiore. Fronte al pendio, si muovono i piedi su due linee parallele, divaricati fra di loro circa 30/40 cm. La piccozza viene utilizzata, impugnata con una mano, lateralmente in appoggio verticale, e la progressione segue lo schema incrociato. A volte la piccozza pu essere impugnata con entrambe le mani, una sulla becca e una sulla paletta e piantata profondamente davanti al corpo, piuttosto in alto, in modo da poter effettuare anche una certa trazione; tuttavia, se la piccozza non completamente affondata nella neve, opportuno impugnare il manico per evitare il braccio di leva. Sulle medesime pendenze ma con neve dura bisogna invece calzare i ramponi.
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30-40 cm
Esercizio 7: traversata con pendenza media 35/40 su neve poco compatta senza ramponi con piccozza
La traversata su neve senza ramponi su un tratto di pendio di media inclinazione con neve poco compatta si effettua faccia a monte tenendo la piccozza sulla mano posta nella direzione di marcia ed applicando lo schema incrociato simultaneo. Ipotizzando che la traversata avvenga da sinistra verso destra la progressione la seguente:
C05-40 Frontale
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a) posizione di base: piedi divaricati e posti alla stessa altezza, mani divaricate e in linea con i piedi (figura C05-41); b) portare la mano sinistra libera verso destra allaltezza del petto in appoggio sul pendio e spostare simultaneamente a destra il piede dx; lequilibrio garantito dagli altri due arti contrapposti (figura C05-42); c) caricare il peso sul piede dx (figura C05-43); d) piantare la piccozza verso destra e spostare a destra il piede sx; lequilibrio garantito dagli altri due arti contrapposti (figura C05-44); si ritorna cos alla posizione di partenza (figure C05-45 e C05-46). Nel caso la superficie fosse compatta al punto da non riuscire ad entrare con met scarpone nella neve opportuno calzare i ramponi ed eseguire la progressione descritta dallesercizio 16 (traversata con ramponi).
C05-41 E7 Traverso - a
C05-42 E7 Traverso - b
C05-43 E7 Traverso - c
C05-44 E7 Traverso - d
C05-45 E7 Traverso - e
C05-46 E7 Traverso - f
Esercizio 8: discesa faccia a valle su pendii poco ripidi di inclinazione fino a 25/30 con neve poco compatta o molle senza ramponi con piccozza
Sui pendii di modesta inclinazione e con neve abbastanza compatta ma tale da essere intaccata dallo scarpone si pu scendere scivolando o sciando. In questo caso si impugna la piccozza sul manico vicino al puntale con una mano infilata nel lacciolo e con l'altra mano sopra la testa dell'attrezzo, tenendo la becca rivolta verso il basso; la piccozza viene tenuta pressoch orizzontale davanti al torace e cio gi in posizione per porre in atto l'autoarresto qualora questo si rendesse necessario. molto utile, soprattutto in fase di apprendimento, limpiego dei bastoncini da sci. Si scende con le ginocchia piegate in avanti e con il peso che grava sulla pianta dei piedi; lequilibrio viene mantenuto spostando avanti e indietro il bacino, i piedi sono paralleli e la velocit si riduce caricando di pi i talloni. Su neve molle oppure con inclinazioni superiori e neve abbastanza compatta, si procede a passi ritmati, dando colpi decisi con il tacco dello scarpone per ricavare una traccia sufficientemente sicura. La piccozza viene tenuta in appoggio verticale con la becca rivolta verso monte. Il busto deve essere flesso in avanti e le ginocchia piegate cos da ottenere e mantenere condizioni ottimali di equilibrio, con il baricentro che ancora va a cadere tra i due punti di appoggio. La posizione del corpo tanto pi raccolta quanto pi aumenta l'inclinazione del pendio.
219 C05-47 E8 Discesa -a
C05-48 E8 Discesa -b
C05-49 E8 Discesa -c
Esercizio 9: discesa faccia a monte su pendii ripidi di inclinazione fino a 40/45 con neve poco compatta o molle - senza ramponi con piccozza
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Si effettua su pendii ripidi con neve molle o poco compatta ripetendo in modo inverso i movimenti gi descritti nellesercizio 6 per la salita frontale, alternando anche qui posizioni di raccoglimento e distensione. La faccia rivolta al pendio, si muovono i piedi su due linee parallele, divaricati fra di loro circa 30/40 cm. La piccozza viene utilizzata, impugnata con una mano, lateralmente in appoggio verticale, e la progressione segue lo schema incrociato. Si pianta la piccozza e si eseguono due passi in discesa. Sulle medesime pendenze ma con neve dura bisogna invece calzare i ramponi. A volte la piccozza pu essere impugnata con entrambe le mani, una sulla becca e una sulla paletta, e piantata profondamente davanti al corpo, piuttosto in alto, in modo da poter effettuare anche una certa trazione. Bisogna avere laccortezza di non scendere troppo con i piedi in modo da non trazionare la piccozza verso lesterno.
C05-53 Zoccolo
C05-54 Antizoccolo
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C05-62 Trazione
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nella tecnica piolet-traction. Questa tecnica si applica su neve dura o ghiaccio e pendio ripido, in progressione fronte al pendio; e) in appoggio-trazione, impugnando la piccozza tra manico e testa e piantando sempre la becca nel pendio. Questa tecnica si applica su neve dura o ghiaccio e pendio ripido, in progressione fronte al pendio in salita, discesa e in traversata.
Esercizio 10: salita diagonale con inclinazione fino a circa 30 su neve dura o ghiaccio con ramponi e piccozza (oppure bastoncini da sci)
Si procede camminando in diagonale, fianco al pendio, cambiando frequentemente direzione. Il piede a monte viene appoggiato seguendo la direzione del movimento, mentre il piede a valle deve avere la punta rivolta verso il basso, tanto pi marcatamente quanto maggiore l'inclinazione del pendio. I ramponi vengono utilizzati entrambi punte a piatto: le punte vanno piantate contemporaneamente evitando la rullata tallone-punta ed effettuando una torsione laterale delle caviglie. La piccozza impugnata con la mano a monte e usata in appoggio verticale.
Movimento simultaneo
Con adeguata esperienza si pu effettuare una progressione simultanea spostando contemporaneamente la piccozza e la gamba opposta. Si parte dalla posizione di base (vedi figura C0564). Si muovono simultaneamente la mano a monte e il piede a valle (vedi figura C05-65 in cui si evidenziano due arti opposti sollevati) e quindi si appoggiano i due arti. Si ritorna in posizione base spostando il piede a monte.
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Quando il terreno invece richiede un movimento preciso si procede in modo non simultaneo e ad ogni spostamento di piccozza si effettueranno due passi.
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4) eseguire il cambio del lacciolo, orientare il busto verso la direzione di marcia e spostare il piede esterno alla curva in avanti; si ritorna cos alla posizione di base (figura C05-76) Nota: per alpinisti di buone capacit, una volta impugnata con entrambe le mani la piccozza, si pu passare dalla posizione di figura C05-73 a quella di figura C05-75 saltando la fase di figura C05-74: si posiziona direttamente il rampone punte a piatto verso la direzione di marcia e si sceglie unaltezza adeguata alla pendenza e alla durezza del ghiaccio. Il movimento di inversione valido sia per la progressione in diagonale sia per leffettuazione del passo incrociato descritto nellesercizio successivo.
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Esercizio 12: salita diagonale passo incrociato con inclinazione fino 30/35 su neve dura o ghiaccio con ramponi e piccozza
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Il movimento simile a quello mostrato nellesercizio 4 eseguito senza ramponi, tuttavia con laccortezza di tenere il piede a valle con la punta rivolta verso il basso, tanto pi marcatamente quanto maggiore l'inclinazione del pendio. Si procede diagonalmente, fianco al pendio, con piccozza in appoggio verticale impugnata sulla testa con la mano a monte. Partendo dalla posizione di base della diagonale, il passo incrociato consiste nel tener fermo il piede a monte, innalzare il piede a valle e facendogli compiere una rotazione verso lesterno, posizionarlo sopra laltro piede con la punta rivolta verso il basso. Si ribadisce che i ramponi sono entrambi utilizzati punte a piattoe che il piede a valle, al termine dellincrocio, deve posizionarsi con la punta rivolta verso il basso in modo da far aderire al terreno tutte le punte dei ramponi.
Il passo incrociato eseguito in modo simultaneo prevede: 1) dalla posizione di base caricare il peso sul piede a monte (vedi figura C05-77) 2) sollevare contemporaneamente la piccozza (mano dx) e il piede a valle (piede sx) che esegue lincrocio (nella figura C05-78 si notano gli arti alzati) 3) una volta posizionati i due arti (vedi figura C05-79), spostare il piede dx a monte e fare eventualmente una pausa (vedi figura C05-80); si cos ritornati alla posizione base. I movimenti del passo incrociato eseguito in modo non simultaneo sono simili a quelli visti nellesercizio 5 considerando gli accorgimenti, gi citati, legati alluso dei ramponi. Si parte dalla posizione base di salita diagonale, si sposta la piccozza e si eseguono due passi. La salita viene descritta da destra a sinistra muovendo un arto alla volta: 1) la figura C05-81 mostra la posizione base 2) si pianta in avanti la piccozza e successivamente si sposta il piede a valle (vedi figura C05-82) 3) il piede a valle (il sinistro nella figura C05-83)
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effettua lincrocio e si posiziona con la punta rivolta verso il basso 4) infine si colloca il piede a monte (il destro nella figura C05-84).
Note:
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- nella fase di incrocio non bisogna commettere lerrore di appoggiare solo la fila esterna delle punte dei ramponi del piede a monte; ci si pu correggere portando pi a valle il ginocchio del piede che sta a monte. - in questa progressione si possono usare anche i bastoncini da sci. - nel caso si indossino ghette poco aderenti bisogna fare attenzione ad evitare il ramponamento delle gambe che potrebbero causare anche una possibile perdita di equilibrio. - per linversione di marcia si veda lesercizio n 11.
Esercizio 13: salita faccia a monte diretta passo misto con inclinazione fino a 45/50 su neve dura o ghiaccio, con ramponi e piccozza
Si procede faccia a monte lungo la linea di massima pendenza. Un piede utilizza il rampone punte avanti, l'altro punte a piatto, da cui la denominazione passo misto. La posizione di base (vedi figura C05-85) prevede: un piede va tenuto con le punte a piatto mentre laltro piede va utilizzato con le punte avanti; inoltre la piccozza, per favorire lequilibrio, va tenuta dalla mano corrispondente al piede punte avanti.
La successione dei movimenti pu essere eseguita spostando la piccozza ed effettuando due passi: a) posizione base (vedi figura C05-85) b) spostare in avanti la piccozza (vedi figura C05-86) c) portare gradualmente il peso del corpo sul piede punte avanti e innalzare il piede a valle (rampone sx punte a piatto) (vedi figura C05-87) d) spostare quindi gradualmente il peso del corpo sul piede sx punte a piatto e innalzare il piede dx punte avanti. La piccozza pu essere usata: a)in appoggio verticale b)in appoggio di becca c) in trazione d)in appoggio-trazione (vedi figure di pagina 23). Lesercizio consente di far riposare il polpaccio del piede impiegato punte a piatto; per evitare eccessivo affaticamento opportuno scambiare ogni tanto la funzione dei piedi, cambiando corrispondentemente la mano che impugna la piccozza.
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Esercizio 14: salita faccia a monte diretta punte avanti con inclinazione fino a 45/50 su neve dura o ghiaccio - con ramponi e piccozza
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C05-88 Acquasantiera
A volte per superare brevi tratti ripidi e disponendo della sola piccozza utile ricavare con la paletta delle fossette sul pendio, dette in gergo acquasantiere, per creare un appiglio per la mano libera e quindi facilitare il movimento.
Si procede sempre fronte al pendio lungo la linea di massima pendenza. Entrambi i piedi vengono utilizzati punte avanti. La piccozza, impugnata con una mano, pu essere usata: a) in appoggio-trazione, impugnando la piccozza tra manico e testa e piantando sempre la becca nel pendio (vedi figura C05-63) b) in trazione, impugnando la piccozza come nella tecnica piolet-traction (vedi figura C0562) A volte per superare brevi tratti ripidi e disponendo della sola piccozza utile ricavare con la paletta delle fossette sul pendio, dette in gergo acquasantiere, per creare un appiglio per la mano libera e quindi facilitare il movimento. La posizione di base (vedi figura C05-89) quella tipica della progressione incrociata e quindi ad esempio mano destra (che tiene la piccozza in trazione) e piede sinistro alti; piede destro basso e mano sinistra appoggiata su una tacca del pendio e in posizione abbassata. Si inizia a spostare larto pi lontano dalla direzione di marcia. La successione dei movimenti, che prevede anche la preparazione di acquasantiere per far appoggiare la mano libera, la seguente: 1) realizzare una tacca per la mano in appoggio e riposizionare la piccozza in alto (vedi figura C05-89: mano destra con piccozza)
2) salire con il piede destro (vedi figura C05-91) 3) muovere la mano sinistra (che va ad utilizzare la tacca) 4) salire con il piede sinistro(vedi figura C05-92) 5) muovere la mano destra che impugna la piccozza (vedi figura C05-92) 6) realizzare una nuova tacca, riposizionare la piccozza e riprendere dal punto 2
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Esercizio 15: discesa diretta faccia a valle con inclinazione fino a 25-30 su neve dura o ghiaccio - con ramponi e piccozza (oppure bastoncini)
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Su pendio che presenta inclinazione modesta si scende direttamente faccia a valle, con le gambe leggermente divaricate per ridurre il pericolo di inciampare e si utilizzano i ramponi punte a piatto (vedi figura C05-93). Le punte dei piedi vanno tenute tendenzialmente parallele alla linea di massima pendenza, n aperte n chiuse evitando il movimento tacco-punta (rullata); divaricando i piedi (a papera) si compromette lequilibrio perch si contrasta poco la forza di gravit che spinge in avanti. Prima di alzare un piede bisogna spostare il peso del corpo sullaltra gamba e successivamente il rampone scarico va appoggiato con energia sul terreno: in altre parole al movimento dei piedi si accompagna il movimento del corpo, che viene a gravare alternativamente sull'uno e sull'altro piede (vedi figura C05-94). Ad ogni passo conviene alzare bene il piede per evitare che le punte dei ramponi tocchino la superficie. Il corpo va tenuto raccolto, con le gambe tanto pi flesse quanto maggiore l'inclinazione del pendio, in modo da abbassare il pi possibile il baricentro, per ottenere una migliore condizione di equilibrio. La piccozza viene tenuta orizzontalmente davanti al torace, impugnata appena sopra il puntale con la mano infilata nel lacciolo e sopra la testa con l'altra mano, gi in posizione per mettere in atto l'autoarresto in caso di caduta (vedi esercizio 22). La piccozza si pu tenere anche in appoggio verticale con la becca rivolta all'indie-
tro, verso il pendio. importante coordinare bene il cambio del peso sui piedi in modo che quando si pianta il rampone il piede non vada solo in appoggio ma venga gravato del peso del corpo; in questo modo si imprime un colpo secco. importante non avere rinvii o cordini appesi allimbracatura troppo lunghi, per non correre il rischio di agganciare tale materiale con le punte dei ramponi. La figura C05-95 mostra un esempio da non seguire. Bisogna evitare che il materiale possa intralciare il movimento.
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Esercizio 16: discesa diagonale fianco al pendio con inclinazione fino a 25/30 su neve dura o ghiaccio con ramponi e piccozza (oppure bastoncini)
Il movimento simile a quello mostrato nellesercizio 10 (salita diagonale) eseguito tuttavia in questo caso a ritroso; la progressione in discesa viene descritta camminando da destra verso sinistra guardando il pendio dallalto. Il piede a monte viene appoggiato seguendo la direzione del movimento, mentre il piede a valle deve avere la punta rivolta verso il basso, tanto pi marcatamente quanto maggiore l'inclinazione del pendio. I ramponi vengono utilizzati entrambi punte a piatto: le punte vanno piantate contemporaneamente evitando la rullata tallone-punta ed effettuando una torsione laterale di ginocchia e caviglie. La piccozza impugnata con la mano a monte e usata in appoggio verticale. In sostituzione della piccozza risultano utili anche i bastoncini da sci.
Movimento simultaneo
Con adeguata esperienza si pu effettuare una progressione simultanea spostando contemporaneamente la piccozza e la gamba opposta. La sequenza dei movimenti la seguente: 1) posizione base (vedi figura C05-96) 2) sollevare i due arti opposti (vedi figura C05-97) 3) far penetrare in modo deciso i ramponi nel ghiaccio utilizzando il peso del corpo. Nella figura C05-98 il peso si trova in equilibrio sulla gamba sinistra mentre la destra rimane rilassata fino al momento dellimpatto con il ghiaccio.
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Esercizio 17: discesa diagonale fianco al pendio mezzo passo con inclinazione fino 35/40 su neve dura o ghiaccio con ramponi e piccozza
Per scendere brevi tratti ripidi, si pu procedere diagonalmente, fianco al pendio, utilizzando i ramponi punte a piatto e ponendo il piede a monte sempre in corrispondenza dell'impronta fatta precedentemente da quello a valle (figura C05-102). Tale progressione viene denominata Mezzo Passo. La piccozza pu essere utilizzata o in appoggio verticale impugnata con la mano a monte, oppure tenuta orizzontalmente davanti al bacino (vedi figura C05-93), eventualmente appoggiando il puntale al pendio per maggiore equilibrio.
C05-102 E17 Mezzo passo schema DISCESA CON RAMPONI: diagonalmente fianco al pendio mezzo passo 237
D 2 4 R 8 1 3 5 7 6
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possibile adottare questa tecnica anche su pendenza media. Il movimento degli arti inferiori si articola in una successione di due fasi: raccolta (R) e distensione (D) che si alternano con continuit. Dalla posizione di raccolta R, in cui i piedi si trovano vicini compatibilmente con un sicuro equilibrio (vedi figura C05-103), si abbassa il piede a valle, mantenendo il busto sostanzialmente eretto, effettuando cos una distensione verso il basso D (vedi figura C05-104). Si raccoglie il piede a monte R (vedi figura C05-105) e infine si ritorna nella posizione di partenza (vedi figura C05-106). I ramponi vengono utilizzati ambedue punte a piatto quello a monte in posizione quasi orizzontale, quello a valle con la punta sempre pi o meno marcatamente rivolta verso il basso. In ogni fase di raccolta il piede a monte viene posto circa in corrispondenza dell'orma lasciata precedentemente da quello a valle. La linea di discesa non segue la massima pendenza, ma diagonale (fianco al pendio) e ci comporta un frequente cambio di direzione.
Esercizio 18: discesa faccia a monte diretta punte avanti con inclinazione fino a 40/45 su neve dura o ghiaccio - con ramponi e piccozza
Il movimento su pendio ripido in discesa simile a quello mostrato nellesercizio 14 (salita faccia a monte) eseguito tuttavia in questo caso a ritroso. Si procede sempre fronte al pendio lungo la linea di massima pendenza. Entrambi i piedi vengono utilizzati punte avanti. Tuttavia in discesa la progressione risulta pi impegnativa di quella in salita sia perch bisogna utilizzare bene i ramponi e il bilanciamento del peso sui piedi sia perch abbastanza difficile ricavare con la piccozza le acquasantiere da impiegare con la mano libera. La piccozza, impugnata con una mano, pu essere usata: a) in appoggio-trazione, impugnando la piccozza tra manico e testa e piantando sempre la becca nel pendio (vedi figura C05-63) b) in trazione, (vedi figura C05-62) La posizione di base quella tipica della progressione incrociata e quindi ad esempio mano destra (che tiene la piccozza in appoggio-trazione) e piede sinistro alti; piede destro basso e mano sinistra appoggiata sul pendio e in posizione abbassata. Si inizia a spostare larto pi lontano dalla direzione di marcia (fig.C05-107). La successione dei movimenti la seguente: 1) caricare il peso su entrambi i piedi e abbassare la piccozza (mano destra) (vedi figura C05-108) 2) portare il peso sul piede destro, piantare pi in basso il rampone sinistro e accertarne la tenuta (figura C05-109)
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3) abbassare la mano sinistra (figura C05-110) 4) portare il peso sul piede sinistro, piantare pi in basso il rampone destro e accertarne la tenuta. (Si ritorna alla posizione di figura C05-107).
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Esercizio 19: traversata faccia a monte con inclinazione di 40/45 su ghiaccio con ramponi e piccozza
A volte necessario eseguire dei brevi traversi su pendio ghiacciato e ripido disponendo dei ramponi e di un solo attrezzo. Per migliorare la stabilit opportuno muovere un arto alla volta e realizzare delle acquasantiere che verranno utilizzate dalla mano libera. Queste tacche devono essere conformate in maniera da avere un invito a bordo il pi possibile netto e un poco rilevato in modo da costituire un appiglio sufficientemente comodo e sicuro. Questo esercizio rispetto a tutti i precedenti utilizza come schema motorio la progressione fondamentale e non quella incrociata: cio nella traversata si spostano prima le mani e poi i piedi (schema omologo).
Ipotizzando la traversata da sinistra a destra: - con la piccozza, impugnata con la mano destra, scavare nel ghiaccio una prima tacca allaltezza della spalla sinistra e una seconda allaltezza della spalla destra - nella posizione di partenza, fronte alla parete, la mano sinistra utilizza la tacca, la piccozza piantata poco pi in alto della testa, circa sopra la spalla; le gambe sono divaricate e i ramponi sono infissi punte avanti (figura C05-111a e foto C05-113)
C05-111 Traverso schemi a b c
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- si inizia a spostare larto pi lontano e quindi la mano sinistra viene collocata sulla seconda tacca (figura C05-111b e foto C05-114) - viene realizzata una terza tacca alla distanza di circa 50 cm e quindi si pianta la piccozza pi a destra (figura C05-111c e foto C05-115)
C05-112 Traverso schemi d e f
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- portare il peso sul piede destro e spostare il piede sinistro verso destra tenendo fermi gli altri arti (figura C05-112d e foto C05-116) - portare il peso sul piede sinistro e spostare il piede destro verso destra tenendo fermi gli altri arti (figura C05-112e e foto C05-117) - realizzare una tacca alla distanza di circa 50 cm e posizionare vicino la piccozza. Si ritorna nella posizione di base (figura C05-112f e foto C05-118).
GRADINAMENTO
Il termine gradino sta a indicare una interruzione delluniformit del pendio di dimensioni tali da poter essere utilizzata come appoggio per i piedi (scarponi con o senza ramponi); in rari casi pu trovarsi preesistente sul terreno, ma solitamente viene ricavato adoperando la piccozza, che dovr essere ovviamente di tipo classico. Il gradinamento, inteso come tecnica di progressione, oggi completamente superato come risultato dell'evoluzione di pi moderne ed efficienti tecniche che sfruttano l'attuale disponibilit di attrezzi tecnicamente avanzati. D'altro canto esso si applica ancora in condizioni particolari o di emergenza: ad esempio quando si verifica la rottura o la perdita di un rampone o di un attrezzo, o quando si deve superare un breve tratto ghiacciato e si reputa vantaggioso non calzare i ramponi. Il taglio del gradino si rende allora necessario per non compromettere la propria stabilit e a sicurezza della progressione. Con la piccozza classica il gradino si ricava con le seguenti operazioni: 1) incidere la base con una serie di colpi dati con la becca procedendo dallinterno verso lesterno onde ottenere prima un incisione orizzontale; 2) rompere il ghiaccio dallalto al basso con la becca in modo da ottenere un gradino; 3) pulire e sistemare il gradino abbozzato con la paletta in modo da creare un piano sufficientemente regolare di appoggio destinato a ospitare
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Per gradinare in sicurezza fondamentale assumere una corretta posizione di equilibrio, con il corpo verticale, utilizzando con la mano libera un appiglio, in genere una tacca precedentemente ricavata. La piccozza, impugnata all'estremit dei manico, vicino al puntale, deve essere assicurata al polso con il lacciolo.
la pianta dello scarpone, con o senza rampone. Impugnando saldamente la piccozza e utilizzando sempre il braccio a valle, si ricava ogni gradino iniziando dal punto pi vicino e terminando nel punto pi lontano nei senso della progressione, consentendo un considerevole risparmio di energia. Per gradinare in sicurezza fondamentale assumere una corretta posizione di equilibrio, con il corpo verticale, utilizzando con la mano libera un appiglio, in genere una tacca precedentemente ricavata. La piccozza, impugnata all'estremit dei manico, vicino al puntale, deve essere assicurata al polso con il lacciolo. Si fa notare che uno scarpone privo di rampone garantisce lequilibrio anche se appoggia in parte sulla superficie del gradino; diversamente uno scarpone munito di rampone deve appoggiare tutte le punte a piatto sul gradino. Con lutilizzo di un solo attrezzo (piccozza) gli stessi gradini si possono a volte usare in discesa anche come appigli per le mani, ma solitamente pi sicuro utilizzare delle apposite tacche. Le cosiddette acquasantiere gi viste nellesercizio 11 si ricavano per mezzo della paletta della piccozza, dando colpi dallalto verso il basso con una leggera rotazione del manico verso l'esterno per favorire l'asportazione del ghiaccio; nel caso di ghiaccio duro pu essere necessario utilizzare anche la becca. opportuno che la tacca possieda un bordo o invito ben definito e un poco rilevato per renderne pi sicura l'utilizzazione quale appiglio e le sue dimensioni devono essere tali da ospitare comodamente le dita della mano.
Nella progressione i gradini vanno eseguiti a due per volta e la distanza tra un gradino e il successivo determinata dallinclinazione del pendio nonch dalla statura della persona. Nell'eventuale utilizzo dei gradini in discesa, questi devono essere pi ravvicinati.
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tacca
gradino
a) Posizione di base: la piccozza viene piantata sulla parete mentre con laltra mano ci si tiene sulla tacca precedentemente ricavata; porre il peso del corpo sul piede privo di rampone e sollevare il piede munito di rampone (ad esempio il piede sinistro) appoggiandolo con punte a piatto alla parete ad una altezza sufficiente per appoggiare il ginocchio dellaltra gamba sul tallone, per favorire maggiore equilibrio (vedi figura C05-122) b) con la piccozza si realizza una tacca per la mano libera e successivamente si ricava un gradino, posto un poco pi avanti e in alto rispetto al piede munito di rampone, sufficientemente grande per appoggiarvi il piede privo di rampone (vedi figura C05-123) c) si pianta la piccozza nella parete e, tenendosi alla tacca creata per la mano libera, si solleva il piede privo di rampone appoggiandolo sul
gradino (vedi figura C05-124) d) caricando il proprio peso sulla gamba senza rampone si sposta nuovamente il piede con rampone effettuando un incrocio e posizionandolo di piatto sulla parete ad una altezza sufficiente per appoggiare il ginocchio a livello del tallone; si ritorna cos alla posizione di partenza (vedi figura C05-125).
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Quando esiste il rischio che una caduta con gli sci possa avere gravi conseguenze (in discesa su pendio ripido e gelato, oppure in cordata su ghiacciaio) conviene tenere sempre a spallaccio la piccozza in modo da poterla estrarre rapidamente per frenare.
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In fase di scivolata bisogna esercitare una pressione sulla becca della piccozza posta lateralmente per imprimere al corpo una rotazione che consente di tornare nella posizione base di frenata. Una volta proni e con la testa in alto, impugnare la piccozza a braccia piegate con una mano tra becco e paletta (perch non venga strappata) e laltra sul manico allaltezza del puntale. La testa della piccozza va tenuta allaltezza della spalla per frenare con tutto il peso del corpo.
scivolata di schiena
1 scivolata di testa
sul manico allaltezza del puntale. La testa della piccozza va tenuta allaltezza della spalla per frenare con tutto il peso del corpo. La mano che impugna il manico vicino al puntale deve sporgere lateralmente dal corpo all'altezza dei fianchi per evitare pericolose ferite all'addome. Senza i ramponi possibile utilizzare le punte degli scarponi. Con i ramponi calzati bisogna avere lavvertenza di tenere i piedi sollevati per evitare che i ramponi agganciandosi nella neve facciano rimbalzare il corpo. In tutte le tecniche di progressione in cui la becca della piccozza non viene utilizzata, si consiglia di tenerla rivolta verso il pendio, perch in caso di caduta la piccozza si trovi gi nella posizione corretta per la frenata.
scivolata di schiena
Con i ramponi calzati bisogna avere lavvertenza di tenere i piedi sollevati per evitare che i ramponi agganciandosi nella neve facciano rimbalzare il corpo.
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1 scivolata di testa
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capitolo 6
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PREMESSA
In questa sezione si parler di progressione su una parete che presenta brevi tratti con inclinazione non superiore ai 60/65, in cui si utilizzano due attrezzi sia per appoggio che per trazione. Viene introdotta la tecnica della piolet-traction (trazione sugli attrezzi) per salire pendii di ghiaccio e per superare corti salti pi ripidi. I metodi di progressione su pendii e cascate di ghiaccio aventi inclinazione accentuata, verticale o leggermente strapiombanti, che richiedono lutilizzo di attrezzatura specifica e di tecniche particolari, vengono trattati da una apposita pubblicazione.
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approfonditi gli utilizzi degli attrezzi. Essi possono essere usati: in appoggio verticale, in appoggio di becca, in appoggio- trazione e in trazione. Il modo di impugnare gli attrezzi conseguente allinclinazione del pendio e alla durezza del terreno. In tutti i casi i laccioli delle piccozze devono essere chiusi sul polso e regolati correttamente in modo da utilizzare gli attrezzi sia in appoggio che in trazione. Su pendenza moderata gli attrezzi vengono impiegati in appoggio verticale, impugnandoli sulla testa e piantandoli con le mani in modo verticale nel pendio. Quando il pendio presenta neve dura oppure ghiaccio morbido possibile utilizzare gli attrezzi in appoggio di becca e in appoggio-trazione. In modalit appoggio di becca il palmo della mano appoggia sulla paletta o sul battente del martello e si affonda nel terreno la becca, tenendo il manico quasi parallelo al pendio ed il puntale in appoggio sul pendio. Con pendio pi ripido si adotta la modalit appoggio-trazione in cui gli attrezzi possono essere impugnati tra la becca e la paletta se si tratta di piccozza, oppure tra la becca e il battente se invece si dispone di un martello piccozza.
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circa 90. Quindi, prima della battuta, spalla, braccio ed attrezzo si trovano in asse. A pochi centimetri prima dellimpatto si dovr ruotare il polso per fare in modo che lattrezzo si agganci alla parete; si completa lazione esercitando una trazione verso il basso allo scopo di far penetrare meglio la punta. Il movimento nel suo complesso risulta meno ampio e pi raccolto che nel caso precedente e lattrezzo viene in pratica agganciato.
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la becca si pianta bene e la progressione di solito pi facile; a parit di infissione la tenuta peraltro meno buona che nel caso precedente - ghiaccio marcio, grigio/biancastro: pericoloso, forma spesso delle corazze staccate dalla parete, che rischiano di crollare a ogni momento; bisogna procedere con estrema delicatezza e cautela. l'esperienza che insegna a dosare il colpo per ogni tipo di ghiaccio, in modo da non sprecare inutilmente energie e da consentire sempre un agevole recupero dell'attrezzo (ricordiamo che la fase di estrazione degli attrezzi delicata per la sicurezza e l'equilibrio).
caso a) il pendolamento del manico in senso verticale per liberare la becca caso b) lapplicazione di qualche colpo con la mano alla base della testa in modo da spingere il manico verso la parete e quindi facilitare lo sganciamento. La tecnica errata e pericolosa (vedi figura C06-09) consiste nel far oscillare lateralmente il manico: ci comporta un movimento di torsione della becca che ne potrebbe determinare la rottura o per lo meno lo snervamento.
NO
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NO
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ben assestato ed importante che il rampone sia perpendicolare al pendio: tale condizione va mantenuta con attenzione tenendo anche conto della conformazione locale della parete (ondulazioni, solchi, colonne, ecc.) onde evitare situazioni che offrirebbero scarsa tenuta. La parte posteriore del piede va tenuta leggermente abbassata, in modo da far mordere le seconde punte e ridurre laffaticamento dei polpacci. Se, come capita ai principianti, il tallone viene tenuto alto, oltre a causare maggior fatica, pu accadere che la punta dello scarpone faccia leva contro il ghiaccio, provocando la fuoriuscita delle punte.
BREVE
Una regola da tenere ben presente nelluscita di un breve tratto ripido, quando il pendio si appoggia (diminuisce cio bruscamente di pendenza), quella secondo cui non si devono mai piantare gli attrezzi nel punto di curvatura del pendio n immediatamente sopra (figura C0611), poich tale manovra comporterebbe con elevata probabilit la rottura e il distacco dello spigolo di ghiaccio. invece corretto dapprima piantare gli attrezzi sotto il punto di brusco cambiamento della pendenza, effettuare il massimo raccoglimento compatibile con lequilibrio alzando i piedi e quindi piantare gli attrezzi il pi in alto possibile nel tratto a bassa inclinazione. Nella figura C06-12 si nota il martello piccozza piantato oltre il bordo mentre la piccozza si trova sotto il bordo. Affinch il
manico dellattrezzo non faccia leva sul bordo, quando si esercita trazione per innalzarsi bisogna che la mano che lo impugna si trovi appena sopra il bordo stesso (vedi posizione della piccozza nella figura C06-13).
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da la descrizione dei movimenti in discesa e in traversata, secondo il sistema incrociato, si rimanda il lettore al capitolo precedente. La tecnica di discesa con due attrezzi simile a quella di salita eseguita tuttavia allindietro, muovendo per primo larto pi lontano dalla direzione di marcia; si veda lesercizio 18 nel quale si descrivono i movimenti in modo non simultaneo. La tecnica da adottare in traversata, su terreno sicuro e con adeguata padronanza degli attrezzi, quella incrociata simultanea, che presenta lo stesso schema motorio illustrato nellesercizio 7. Se invece il pendio ripido con ghiaccio preferibile adottare la progressione fondamentale descritta in questo capitolo.
Esercizio 23: salita diretta faccia a monte incrociata-su pendio ripido con inclinazione fino a 50 su ghiaccio morbido - con ramponi e due attrezzi
Si procede fronte al pendio lungo la linea di massima pendenza. Entrambi i piedi vengono utilizzati punte avanti. Gli attrezzi possono essere utilizzati: a) in appoggio-trazione b) in trazione La sequenza delle figure vista da sinistra a destra e dal basso verso lalto. La posizione di partenza quella tipica della progressione incrociata e quindi ad esempio mano destra e piede sinistro alti, piede destro e mano sinistra abbassati (vedi figura C06-14). La successione dei movimenti la seguente: 1) spostare gli arti pi lontani dalla direzione di marcia e quindi innalzare la mano sinistra e il piede destro (vedi figura C06-15) 2) piantare la piccozza e il rampone dei due arti in movimento eseguendo un solo moto continuo; importante riuscire a sfruttare linerzia del corpo piantando lattrezzo e il rampone simultaneamente (vedi figura C06-16) 3) spostare in alto gli altri due arti incrociati e quindi nel nostro esempio si sollevano la mano destra e il piede sinistro (vedi figura C06-17) 4) piantare i due arti sollevati contemporaneamente sfruttando il peso del corpo: si ritorna cos nella posizione base (vedi figura C06-18) Risulta di notevole aiuto effettuare una respirazione corretta: si inspira quando si sollevano gli arti e, soprattutto su ghiaccio e neve dura, si espelle laria quando si piantano gli attrezzi.
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In caso di stanchezza sufficiente inserire una pausa tra un passo e laltro. In fase di discesa, ci si muove al contrario: dalla posizione di partenza si abbassa prima la mano destra e poi il piede sinistro. Si continua con la mano sinistra e poi con il piede destro. Come gi segnalato la progressione incrociata non simultanea consigliabile quando necessario essere particolarmente prudenti su un terreno pi verticale o precario oppure quando si piuttosto stanchi.
Esercizio 24: salita diretta faccia a monte fondamentale con due appoggi su tratto ripido con inclinazione fino a 60-65 su ghiaccio con ramponi e due attrezzi
Per procedere su pendio di ghiaccio ripido o superare un breve salto pi verticale ci si muove fronte al pendio lungo la linea di massima pendenza. Entrambi i piedi vengono utilizzati punte avanti. Gli attrezzi sono utilizzati in trazione. Si adotta la progressione fondamentale con due appoggi che prevede di muovere dapprima gli arti superiori e poi quelli inferiori. Nella posizione di base (vedi figura C06-19), che deve garantire il miglior equilibrio, il minor consumo di energia e la maggiore visibilit, si tengono i piedi sullo stesso piano, distanti fra loro un po pi della larghezza del bacino; le mani sono abbassate in corrispondenza dei fianchi e impugnano gli attrezzi le cui becche si trovano allaltezza delle spalle. Il bacino accostato alla parete e le spalle sono rivolte allindietro in modo che il peso del corpo vada a gravare sui piedi. La successione dei movimenti la seguente: 1) si solleva un attrezzo e mirando ad un punto sul ghiaccio lo si pianta evitando di distendere totalmente il braccio; quindi si pianta il secondo attrezzo alla stessa altezza del primo (figura C06-20) 2) prima di muovere un piede bisogna portare il peso sulla verticale del piede che rimane fermo: solo ora si potr alzare il piede scarico conservando lequilibrio. Nel nostro esempio si sposta il bacino, prima allindietro (retroversione) e quindi lateralmente, in modo da gravare sul piede sinistro; si solleva il piede destro e lo si pianta pi in alto al centro a poca distanza dellaltra gamba (figura C06-21)
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3) portare il peso sul piede al centro, alzare laltro piede (nellesempio quello sinistro) e posizionarlo in alto leggermente divaricato (figura C06-22) 4) portare il peso sul piede pi alto (quello sinistro) e posizionare il piede, che era rimasto in basso al centro, alla stessa altezza dellaltro piede e leggermente divaricato; si abbia inoltre cura di spostare il bacino verso la parete. Si ritorna cos alla posizione di base (figura C06-23) Si consiglia di eseguire il passo al centro con unaltezza ridotta: se infatti si alza troppo il piede si deve ricorrere eccessivamente alla trazione sulle braccia per ritrovare lequilibrio.
Esercizio 25: discesa diretta faccia a monte fondamentale con due appoggi su tratto ripido con inclinazione fino a 60-65 su ghiaccio con ramponi e due attrezzi
Per procedere in discesa su un pendio di ghiaccio ripido si adotta la progressione fondamentale con due appoggi che prevede di muovere dapprima gli arti inferiori e poi quelli superiori. Ci si muove fronte al pendio lungo la linea di massima pendenza, entrambi i piedi vengono utilizzati punte avanti e gli attrezzi sono utilizzati in trazione. In discesa si ripetono a ritroso i movimenti descritti in fase di salita. Nella posizione di base (vedi figura C06-24) si tengono i piedi sullo stesso piano, distanti fra loro un po pi della larghezza del bacino; le mani sono abbassate in corrispondenza dei fianchi e impugnano gli attrezzi le cui becche si trovano allaltezza delle spalle. Il bacino accostato alla parete e le spalle sono rivolte allindietro in modo che il peso del corpo vada a gravare sui piedi. La successione dei movimenti la seguente: 1) prima di muovere un piede bisogna portare il peso sulla verticale del piede che rimane fermo: solo dopo si potr alzare il piede scarico conservando lequilibrio; pertanto si sposter il bacino, prima allindietro (retroversione) e poi lateralmente. Nel nostro esempio il peso sul piede sinistro, e quindi si abbassa non di molto il piede scarico (nellesempio quello destro) e lo si posiziona al centro a poca distanza dellaltra gamba (figura C06-25) 2) portare ora il peso sul piede al centro, abbas267
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sare il piede scarico e posizionarlo pi sotto dellaltro (figura C06-26) 3) portare il peso sul piede pi basso (quello sinistro), abbassare il piede al centro e posizionarlo allaltezza dellaltro e leggermente divaricato (figura C06-27) 4) abbassare un attrezzo e mirando ad un punto sul ghiaccio piantare la becca allaltezza delle spalle; quindi piantare il secondo attrezzo alla stessa altezza del primo. Riportare il bacino verso la parete (figura C06-28).
Esercizio 26: traversata faccia a monte fondamentale con due appoggi su tratto ripido con inclinazione fino a 60-65 su ghiaccio con ramponi e due attrezzi
Per effettuare una traversata su pendio ripido e ghiacciato si adotta la progressione fondamentale con due appoggi, che prevede di muovere un arto alla volta, iniziando con i due attrezzi e proseguendo con due oppure quattro passi. Se ad esempio si traversa da sinistra a destra, prima si muove la mano sinistra e poi la destra; adottando il sistema a due passi seguono il piede sinistro e poi il destro. Applicando invece il sistema a 4 passi si spostano prima il sinistro, poi il destro, quindi nuovamente il sinistro e infine il destro. Nelle sequenze che seguono A si ipotizza di compiere la traversata da sinistra verso destra e di effettuare due passi: 1) nella posizione di partenza, fronte alla parete, gli attrezzi sono piantati poco pi in alto della testa, in linea verticale con le spalle; le gambe sono divaricate e i ramponi sono infissi punte avanti; il bacino proteso verso la parete (schema C06-29 fase A e foto C06-31) 2) si inizia a spostare larto pi lontano e quindi lattrezzo sinistro viene posizionato davanti al petto (schema C06-29 fase B e foto C0632) 3) spostare a destra lattrezzo impugnato con la
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mano destra (schema C06-29 fase C e foto C06-33) 4) portare il peso sul piede destro, arretrando il bacino e spostandolo sulla verticale di questo piede, spostare il piede sinistro verso destra tenendo fermi gli altri arti (figura C06-30 fase D e foto C06-34) 5) analogamente portare il peso sul piede sinistro, spostare il piede destro verso destra, tenendo fermi gli altri arti; si riavvicina il bacino alla parete e si riassume la posizione di base (figura C06-30 fase E e foto C06-35). Durante la traversata su terreno pi verticale e delicato possibile effettuare 4 passi.
Esercizio 27: salita diretta faccia a monte fondamentale con spaccata su tratto ripido con inclinazione fino a 60-65 su ghiaccio con ramponi e due attrezzi
Per superare brevi tratti ripidi e ghiacciati che presentano canalini, svasature oppure diedri costituiti da una parete di misto e da un pendio di ghiaccio, conviene adottare la progressione fondamentale con spaccata. Essa trova applicazione in tutte quelle situazioni in cui la migliore posizione di equilibrio si ottiene allargando le gambe in spaccata piuttosto che tenere i piedi vicini e alla stessa altezza. da sottolineare che quando ci si trova con le gambe divaricate, anzich sollevare alternativamente i piedi rimanendo in spaccata, risulta pi opportuno eseguire con il primo piede un passo al centro e appoggiare lo scarpone un po pi alto dellaltro; successivamente effettuare linnalzamento del secondo piede sempre al centro ed infine riportarsi con il primo piede in spaccata. Questa tecnica ci permette di spostare agevolmente il baricentro sopra la base di appoggio, ci consente di posizionare i ramponi con maggior precisione e di evitare movimenti a scatti. Si ricorda inoltre di eseguire i passi intermedi con piccole ampiezze in modo da favorire lo spostamento del bacino. La continuit e la fluidit del movimento dipende molto dal reciproco movimento degli arti inferiori e del bacino. La progressione si sviluppa nel seguente modo: 1) la posizione di base prevede di tenere le gambe divaricate e gli attrezzi piantati allaltezza delle spalle; il bacino vicino alla parete e le spalle sono protese allindietro (figura C06-36) 2) posizionare in alto e uno alla volta gli attrezzi evitando di distendere troppo le braccia (figura C06-37)
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3) portare il peso su un piede (ad esempio il piede sinistro) arretrando il bacino e spostandolo verso questo piede; quindi sollevare il piede scarico (il piede destro) (figura C06-38) 4) posizionare il primo piede che si sollevato (nellesempio il destro) al centro in prossimit dellaltra gamba distesa e carica; si raccomanda eseguire un modesto innalzamento (figura C06-39) 5) portare il peso su questultima gamba (piede destro), con una traslazione laterale del bacino; quindi sollevare e posizionare il piede scarico (piede sinistro) al centro e pi in alto (figura C06-40) 6) caricare con il peso lultimo piede mosso (piede sinistro), con analogo movimento di bacino; quindi divaricare la gamba scarica (piede destro) e posizionare il piede alla stessa altezza dellaltro; aver cura di riavvicinare il bacino alla parete. Si ritorna cos nella posizione di base (figura C06-41).
capitolo 7
INDICE
Premessa Impiego dei ramponi su terreno misto Baricentro e movimento naturale La posizione di base Il movimento in salita - arrampicata diretta Il movimento in discesa faccia a valle Il movimento in discesa faccia a monte e posizione in spaccata Il movimento in traversata La tecnica di opposizione o di sostituzione Progressione su camino Progressione su fessura Progressione su diedro Osservazioni particolari relative alla pratica dello sci alpinismo
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PREMESSA
In questo capitolo si danno alcuni cenni sulla progressione con ramponi su terreno misto, costituito da strutture rocciose ricoperte in parte da neve o da ghiaccio di basse o medie difficolt. Per una completa trattazione del movimento in arrampicata su roccia si rimanda al manuale Alpinismo su roccia.
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appoggio o in spinta. Le parti di ghiaccio/neve di adeguata consistenza possono offrire sia appoggi che appigli, a seconda che vengano sfruttate con la presa dei ramponi, per i piedi, o con la piccozza, per le mani. Diamo alcuni consigli per utilizzare correttamente i ramponi (vedi anche il capitolo 6): quando si utilizza il rampone punte a piatto fare in modo che tutte le punte aderiscano al terreno (vedi figura C07-03) ed evitare luso delle sole punte laterali (vedi figura C07-02) quando si utilizza il rampone punte avanti fare in modo che il rampone sia perpendicolare al pendio e il tallone leggermente abbassato (vedi figura C07-04) sfruttare le fessure per inserire le punte (vedi figura C07-01) non eseguire passi troppo lunghi, anzi preferibile accorciare lescursione degli arti (vedi figura C07-05) anche quando lappoggio presenta unampia superficie non appoggiare lintera suola ma utilizzare solo la parte anteriore.
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LA POSIZIONE BASE
La progressione fondamentale su parete composta da una sequenza di movimenti per passare da una posizione base allaltra. Si tratta di una posizione statica che l'alpinista assume quando ha bisogno di interrompere la progressione per riposare, osservare il percorso da seguire e studiare i movimenti successivi. La posizione base deve coincidere con una posizione che consenta il miglior equilibrio, il minor consumo di energia e la pi ampia visuale possibile: in altre parole questa posizione garantisce la maggior sicurezza. Essa si ottiene ponendosi sul terreno con i piedi sullo stesso piano, distanti tra loro circa quanto la larghezza del bacino; le mani sono posizionate sul terreno sullo stesso piano delle spalle. Bisogna avere sempre cura di portare la maggior parte del peso sulla verticale dei piedi e mantenere le braccia distese, portando leggermente indietro la testa e le spalle. I piedi, sono disposti alla stessa altezza, scostati fra di loro, con le punte rivolte alla parete e i talloni leggermente abbassati. Le punte anteriori dei ramponi, sfruttando fessure e tacche della roccia o scalini e rugosit del ghiaccio, assicurano il sostegno necessario allequilibrio. Le articolazioni (caviglie, ginocchia, anche, schiena, spalle, ecc.) sono rilassate per diminuire la tensione muscolare al massimo. Una respirazione con atti completi e regolari agevola il rilassamento ed il riposo muscolare, oltre a ridurre la tensione emotiva.
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mani. Gli spostamenti devono essere, possibilmente, brevi, fluidi e ben calcolati, in modo da limitare il dispendio energetico ed agevolare il mantenimento dellequilibrio. Agli arti superiori demandato principalmente il compito di mantenere l'equilibrio; su taluni passaggi e su difficolt elevate le braccia diventano organi indispensabili di trazione.
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C07-07 Salita -a
C07-08 Salita -b
C07-09 Salita -c
C07-10 Salita -d
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C07-11 Discesa -a
C07-12 Discesa -b
C07-13 Discesa -c
C07-14 Discesa -d
IL MOVIMENTO IN TRAVERSATA
Su terreno di misto delicato opportuno effettuare la traversata faccia a monte, muovere un arto alla volta ed utilizzare come schema motorio la progressione fondamentale; cos come illustrato nellesercizio 19 del capitolo progressione di base su neve e ghiaccio si spostano prima le mani e poi i piedi partendo con larto pi lontano. inoltre importante mantenere le punte anteriori del rampone perpendicolari al pendio e il tallone leggermente abbassato. Al movimento degli arti, come nellarrampicata diretta, si fa precedere uno spostamento allindietro ed una traslazione del bacino, nella direzione opposta a quella dellarto che si muove: si ottiene lequilibrio distribuendo il peso sugli arti che non si muovono. Larto che si muove sar alleggerito ed il movimento risulter pi fluido, preciso e meno faticoso. La figura C07-19 mostra la posizione base mentre la figura C07-20 illustra la traversata verso destra che inizia con lo spostamento della mano sinistra verso la direzione di marcia. Nella figura C07-21 si osserva lo spostamento degli arti inferiori mentre la figura C07-22 ripropone la posizione base. A seconda delle caratteristiche del passaggio anche possibile spostare lateralmente gli arti in successione alternata (per esempio: braccio sinistro, gamba sinistra - braccio destro e gamba destra).
C07-20 Traverso -b
C07-21 Traverso -c
C07-22 Traverso -d
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giungendo infine nuovamente, con linnalzamento degli arti superiori, la posizione di base. Il lavoro di opposizione sempre maggiore di quello che occorrerebbe per assicurare l'equilibrio naturale, perch la forza di gravit agisce lungo una direzione che passa all'esterno dei punti di appoggio. Questa tecnica, oltre che in parete aperta, trova la sua principale applicazione a particolari conformazioni rocciose, come il camino, la fessura e il diedro.
Inoltre il principio della contrapposizione delle forze pu essere realizzato in altri modi: non necessariamente le spinte in opposizione sono sempre prodotte dagli arti inferiori e superiori, ma anche da altre forme di contrapposizione come schiena-gambe, piede-ginocchio, ginocchia-schiena. Sebbene la terminologia opposizione non sia obsoleta, recentemente stato introdotto il ter-
mine sostituzione che intende considerare anche certi movimenti che avvengono su parete aperta. La sostituzione consiste nellutilizzare le braccia in pressione in obliquo verso il basso per compensare la mancanza dellappoggio su una delle gambe e per consentire quindi di sostituire il piede che deve essere alzato. La tecnica di sostituzione viene riferita non solo a conformazioni che presentano due piani e in cui si manifesta con molta evidenza lazione di contrapposizione (camino, fessura, diedro), ma anche su parete aperta e su placca. Infatti, anche in roccia, senza luso dei ramponi e con scarpette daderenza, su placca verticale, dove la trazione delle braccia e la spinta delle gambe risultano oblique, le componenti orizzontali si oppongono e si annullano a vicenda e quindi si pu parlare di opposizione; di fatto sia su placca che su altre conformazioni si utilizza spesso il termine sostituzione.
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PROGRESSIONE IN CAMINO
Il camino una conformazione rocciosa chiusa ed formato da due piani di roccia pi o meno paralleli tra loro, posti ad una distanza tale da permettere all'alpinista di entrare con tutto il corpo. Esso presenta una inclinazione variabile e le sue pareti possono essere ben articolate e ricche di appigli e appoggi; ci che contraddistingue maggiormente il camino la distanza tra le sue pareti, perch da questa dipende la tecnica di salita da adottare. Nei camini larghi si sale in spaccata frontale. L'alpinista si pone con le gambe divaricate e appoggia i piedi sulle facce opposte del camino. Le braccia sono divaricate e distese con le mani in appoggio sulle opposte pareti. Nelle figura C07-25 mostrata questa posizione base mentre la figura C07-26 illustra il movimento della gamba destra. Scaricando il peso del corpo sull'asse formato dal piede sinistro e dalla mano opposta (destra) si inizia il movimento innalzando l'altro piede. Nella figura C07-27 si nota che lalpinista ha entrambi i piedi sollevati ed ora in grado di distendere le braccia. L'esecuzione alternata di questi spostamenti consente la progressione. Nella figura C07-28 illustrata unaltra tecnica di opposizione, applicabile in camini larghi, denominata sagittale. Camini pi stretti si salgono facendo opposizione fra le mani e la schiena appoggiate alla
C07-28 Sagittale
roccia e i piedi appoggiati in pressione contro le asperit della parete opposta (vedi figura C07-29). Per salire si innalza il corpo spingendo sulle mani, quindi si spostano uno alla volta i piedi spingenC07-29 Schiena piedi do sulla schiena. La successione di questi movimenti consente una progressione lenta ma continua anche su camini stretti. Gli spostamenti devono essere brevi e fatti in modo che non venga mai a mancare la contrapposizione di forze tra le braccia e le gambe. Il corpo si dispone fronte alla parete che presenta pi asperit. Non viene utilizzata la piccozza. Le foto in sequenza a lato illustrano i movimenti adottati per scendere lungo un camino largo. La figura C07-30 mostra la posizione di partenza, mentre la figura C07-31 evidenzia labbassamento degli arti superiori. La figura C07-32 mostra la posizione di raccoglimento, mentre nella figura C07-33 si osserva che la contrapposizione viene esercitata dal piede sinistro e dalla mano destra, consentendo cos al piede sinistro di abbassarsi.
PROGRESSIONE IN FESSURA
La fessura una spaccatura della roccia ad andamento verticale, obliquo oppure orizzontale, di larghezza piuttosto limitata, tale da non consentire all'alpinista di entrare con tutto il corpo, come avviene per il camino, ma al massimo di sfruttarla in vario modo per salire o procedere in traversata. Per il superamento delle fessure vengono combinate, secondo le caratteristiche della fessura da superare, la tecnica di arrampicata diretta, la tecnica di incastro e la tecnica di opposizione. La tecnica di incastro consente di ottenere lattrito necessario a bilanciare la forza di gravit attraverso azioni di torsione o di espansione delle articolazioni di mano, braccio, piede e gamba, e delle punte di ramponi e piccozza, tra le facce contrapposte della fessura. Per la descrizione delle numerosi varianti che presenta questa tecnica si rimanda al manuale Alpinismo su roccia. In questa sede ci limitiamo a dare un esempio di come in fase di progressione pu essere sfruttata la fessura. Anche in questo caso viene applicata la tecnica di opposizione. Le figure C07-34 e C07-35 mostrano che facendo opposizione sul piede sinistro e la mano destra si potuto sollevare il piede destro. Nella figura C07-36 lopposizione prodotta dalla mano sinistra e dal piede destro: ci consente di sollevare il piede sinistro e incastrarlo nella fessura come mostrato in figura C07-37. Quando la fessura presenta un labbro che offre una buona presa per le mani possibile adotta-
re una particolare tecnica di opposizione chiamata Dulfer (vedi figura C07-38). L'alpinista afferra con le mani il labbro della fessura ed esercita una forte trazione verso di s spingendo con i piedi appoggiati sulle asperit della parete. L'innalzamento avviene mediante brevi spostamenti successivi delle mani e dei piedi. Anche in questo caso indispensabile mantenere la costante contrapposizione di forze tra braccia e gambe al fine di non perdere l'aderenza sulla roccia.
PROGRESSIONE IN DIEDRO
Il diedro formato dall'incontro di due pareti, pi o meno verticali, che formano un angolo diedro concavo di varia ampiezza. Molto spesso all'intersezione delle due pareti esiste una fessura che pu offrire un'ottima presa per le mani, oppure pu essere usata dagli arti inferiori come incastro. Solitamente la progressione in diedro quella di opposizione, per cui si sfruttano gli appigli e gli appoggi posti sui due piani di roccia: questo permette di scaricare maggiormente il peso del corpo sugli arti inferiori, purch si eviti di usare appoggi situati troppo allinterno, fatto che comporterebbe uno sbilanciamento del corpo ed al ricorso ad un grosso sforzo delle braccia (vedi figura C07-39). Qualora sia pi opportuno, in relazione alla conformazione della roccia, lalpinista pu salire lungo una delle pareti in arrampicata diretta, o comunque alternando larrampicata diretta
C07-38 Dulfer
C07-39 Diedro
Le tecniche di arrampicata descritte vanno applicate a seconda delle particolari strutture rocciose che si presentano all'alpinista durante l'arrampicata. L'esperienza e il buon senso indicheranno di volta in volta il sistema migliore di progressione. Le strutture di terreno misto che pi spesso si incontrano sugli itinerari sci alpinistici sono creste, paretine pi o meno articolate, barriere di rocce rotte, talora solcate da canalini o da piccoli camini, sovente coperte di neve o incrostate di vetrato. Le difficolt, in genere, non superano mai il secondo e il terzo grado. Un pericolo comune rappresentato dalla cattiva qualit della roccia. Importante dunque saggiare sempre appigli e appoggi e usare estrema cautela per non smuovere massi instabili che potrebbero colpire i compagni di gita con gravissime conseguenze. Se il passaggio pu essere superato trasportando gli sci, ciascun alpinista deve sistemarli accuratamente sul sacco fissandoli con le apposite cinghiette in modo che, durante l'arrampicata, eventuali oscillazioni o squilibri del carico non compromettano la stabilit e laderenza al terreno.
capitolo 8
Ancoraggi
INDICE
Premessa Ancoraggi su neve e ghiaccio
Viti e chiodi da ghiaccio Piccozza e martello-piccozza Ancoraggi con sci e corpi morti Clessidra di ghiaccio (metodo abalakov)
Ancoraggi su roccia
Ancoraggi di sosta
Collegamento degli ancoraggi di sosta Diagrammi degli sforzi su due ancoraggi in caso di sollecitazione verticale verso il basso
Collegamento mobile in parallelo (sistema classico) Collegamento mobile in parallelo ad asola inglobata Collegamento semimobile in parallelo
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Ancoraggi
PREMESSA
Nella progressione in cordata su qualsiasi tipo di terreno (neve, ghiaccio, roccia, creste, ghiacciai, ecc.), per poter applicare le tecniche di assicurazione (vedi capitolo successivo) occorre predisporre degli ancoraggi lungo il percorso, sui quali sostare per assicurare il compagno in movimento (ancoraggi di sosta) o ai quali collegare la corda al terreno scelto per la progressione (ancoraggi intermedi). Questi ancoraggi sono altres indispensabili per eseguire qualsiasi manovra di corda, come la corda doppia, il recupero da crepaccio, la calata di ferito. Secondo la loro costituzione, gli ancoraggi possono essere naturali (spuntoni, clessidre di roccia, ecc.) o artificiali (piccozze, sci, chiodi, blocchetti da incastro, ecc.). Si descrivono qui di seguito i vari tipi di ancoraggio pi comunemente in uso in base al tipo di terreno (su neve e ghiaccio ovvero su roccia) ed in base al tipo di utilizzo (ancoraggi di sosta, intermedi e di calata).
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Ancoraggi
esterno, che ne permette linfissione a mano per avvitamento, e da un anello in titanio o leghe speciali con occhiello fissato sulla testa, che ne consente il collegamento (tramite moschettone, cordino o fettuccia) alla corda di cordata. Alcuni tipi di viti hanno una manovella oppure una placchetta collegata allocchiello che ne facilit lavvitamento, utile soprattutto su forti difficolt. L'uso di viti e chiodi da ghiaccio, sebbene richieda meno pratica dellinfissione dei chiodi da roccia, richiede comunque adeguata capacit nellindividuare il pi opportuno accoppiamento chiodo-ghiaccio. Non va infatti dimenticato che la tenuta (forza di estrazione) dipende, oltre che dalle dimensioni e dalla qualit del materiale, anche dal tipo di ghiaccio. Molto sinteticamente, possibile fornire le seguenti indicazioni: - con ghiaccio poroso si preferiscono viti tubolari pi lunghe e di maggior diametro; - con ghiaccio compatto ma non fragile, vanno bene tutti i tipi di viti e chiodi; - con ghiaccio fragile che si rompe in grosse placche, preferibile usare viti tubolari dotate di ottima penetrazione. Si sottolinea che, su ghiaccio eccessivamente poroso e molle, viti e chiodi non garantiscono sicurezza sufficiente in quanto di lunghezza inadeguata e devono essere sostituiti con altri attrezzi (piccozze, fittoni, ecc.). La dotazione di viti e chiodi da ghiaccio per una cordata pu variare sensibilmente da caso a caso e deve essere fissata in relazione alle diffi-
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Ancoraggi
colt e al tipo di terreno. Anche per lattraversamento di un ghiacciaio opportuno che ciascuno dei componenti la cordata abbia almeno due viti da ghiaccio (manovre di recupero). Per salite su pareti di media difficolt e vie di misto, la dotazione va aumentata aggiungendo viti di varie dimensioni, per far fronte a situazioni di ghiaccio sottile. Per salite pi impegnative non possono essere date indicazioni al di fuori della raccomandazione di operare scelte attente basate sulla conoscenza del terreno e sullesperienza. Esistono in commercio viti da ghiaccio di vari diametri e lunghezze. Dopo averle estratte, soprattutto quando fa molto freddo, indispensabile togliere subito la carota di ghiaccio che vi si forma all'interno. Sistemazione di una vite nel ghiaccio: con la piccozza si pulisce la superficie e con la becca della piccozza si fa un piccolo buco di invito. La vite viene sistemata in modo che il suo asse sia perpendicolare al terreno di progressione (90); tuttavia esistono tipi di viti che prevedono una infissione leggermente pi inclinata verso il basso. (controllare le eventuali indicazioni fornite dal costruttore). Si inizia avvitando dapprima a mano, poi si utilizza lapposita manovella di avvitamento. La vite va avvitata fino all'anello; se ci non fosse possibile, si usa un cordino per diminuire il braccio di leva. (vedi figura C08-05).
Ancoraggi
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C08-06 Infissione -a
Piccozza e martello-piccozza
Si distinguono essenzialmente due modi di predisporre lancoraggio con piccozza o martello-piccozza: a) in verticale con neve compatta; b) in orizzontale con neve inconsistente (ancoraggio a T, del tipo corpo morto). Vari casi con piccozza infissa in modo verticale Su neve compatta e consistente si avvolge intorno alla testa della piccozza un anello di cordino: il collegamento pu essere eseguito senza incrocio (figura C08-08) oppure realizzando un incrocio (C08-09): questo secondo
S NO
NO
C08-07 Infissione -b
Ancoraggi
Su terreno quasi pianeggiante la piccozza si pianta fino alla testa, leggermente inclinata rispetto alla verticale. Su terreno ripido, la piccozza si pianta in un gradino in modo che risulti quasi parallela alla pendenza. In questo modo le sollecitazioni tendono ad affondare ulteriormente l'attrezzo. necessario ricavare un solco di uscita per il cordino. La piccozza deve essere tanto pi lontana dall'alpinista quanto meno ripido il pendio, per ridurre al massimo l'angolo di sollecitazione.
spiazzo per ancoraggio linea di massima pendenza
moschettone
Ancoraggi
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Ancoraggi
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Ancoraggi
lancoraggio. Anche in questo caso gli sci possono affondare nella neve fin oltre gli attacchi. Sci paralleli e verticali: su neve di poca consistenza o su pendenze moderate, si piantano gli sci vicini e paralleli con le solette rivolte a valle. I due bastoncini da sci vengono posizionati a ridosso del puntale degli attacchi e si realizza con un cordino un nodo a strozzo. Sci paralleli e orizzontali: su neve molto inconsistente o su pendenze pi accentuate si dispongono gli sci legati insieme in una fossa orizzontale profonda circa 50 cm. Il cordino dell'ancoraggio viene legato in corrispondenza degli attacchi e fuoriesce lungo un apposito solco. Gli sci vengono coperti di neve, che si comprime bene con i piedi. Corpi morti e fittoni: su neve di scarsa consistenza, oltre agli sci possono essere utilizzati taluni attrezzi, denominati corpi morti, che grazie alla loro estesa superficie, offrono una buona garanzia di tenuta rispetto ai metodi sinora illustrati. In particolare, risultano idonei a questo scopo larghe lastre di alluminio (corpi morti), a forma di scudo o romboidali, opportunamente forati ad una o pi estremit onde permetterne il collegamento, tramite un cavetto o un cordino, al moschettone di ancoraggio (da sistemare tanto pi distante dal corpo morto, quanto meno inclinato il pendio). Sono altres utilizzabili, quali corpi morti di emergenza, anche le pale da neve ed alcuni schienali rigidi posti internamente agli zaini.
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Ancoraggi
Ovviamente lefficace tenuta di tali sistemi di ancoraggio in diretta funzione dellesperienza e della capacit di valutazione del terreno nevoso. Inoltre risultano utili anche fittoni da neve lunghi da 50 a 150 cm da utilizzare piantati o sepolti come corpo morto.
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C08-19 Fittone
Ancoraggi
modo tale da intercettare la prima vite. Quando la seconda vite sta per incontrare la prima, estrarre questultima e completare il secondo foro. Tolte entrambe le viti, infilare nel foro pi profondo lapposito rampino oppure un leva-nut oppure un pezzo di filo di ferro e, nellaltro foro, il cordino. Estrarre quindi il rampino che, agganciando il cordino, lo far fuoriuscire senza fatica. In mancanza di un attrezzo specifico si pu utilizzare un cordino in kevlar, che infilato doppio nel foro, permetter di far fuoriuscire il cordino da abbandonare. Annodare il cordino, ottenendo cos lancoraggio desiderato. La distanza tra un foro e laltro va da un minimo di 10 cm a 20 cm e si impiega un cordino da 8-9 mm di diametro. Si sottolinea che il sistema Abalakov non va bene come ancoraggio intermedio di assicurazione, mentre risulta pi adatto per calate in corda doppia; per questa situazione si consiglia di costruire due clessidre e di collegarle tra loro.
ANCORAGGI SU ROCCIA
Ancoraggi naturali (spuntoni, blocchi
incastrati, strozzature, clessidre): si tratta di formazioni rocciose naturali la cui solidit va sempre verificata con la massima attenzione. Sono utilizzabili passandovi attorno un anello (preformato o da unire con un nodo di giunzione) di cordino o di fettuccia, avendo cura di verificare che non vi siano spigoli taglienti a contatto con lanello medesimo, e che (in caso di spuntoni) uno strappo o una sollecitazione
C08-22 Abalakov finito
Ancoraggi
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verso lalto non faccia fuoriuscire l'anello. Se lo spuntone arrotondato preferibile usare una fettuccia, che consente un'aderenza migliore rispetto a corde e cordini. Le strozzature sono formate da massi appoggiati alla parete con uno dei loro spigoli. Su formazioni calcaree talvolta possibile utilizzare le clessidre (fori naturali della roccia)
Chiodi da roccia
Per una trattazione completa sulluso dei chiodi da roccia si rimanda al manuale Alpinismo su roccia. In questa sezione vogliamo solo fornire delle indicazioni generali sullimpiego dei chiodi da roccia che riteniamo utili nellambito di una salita di ghiaccio: infatti in questo genere di escursioni sono presenti spesso dei tratti rocciosi sui quali a volte necessario realizzare soste e posizionare rinvii intermedi. Per piantare un chiodo da roccia bisogna essere dotati di un martello o di un martello-piccozza. L'uso dei chiodi richiede notevole pratica, sia nella scelta della forma e del tipo di metallo, sia nella ricerca delle fessure pi adatte in cui piantarli, sia nel controllo della loro solidit. Si dispone attualmente di una grande variet di chiodi. In base alla composizione del metallo con cui sono realizzati si distinguono tre tipi principali (vedi foto C08-24): 1) chiodi in metallo tenero che si deformano per adattarsi alla fenditura (chiodi a U e universali in alto nella foto) 2) chiodi in metallo duro che tengono per incastro e non si deformano (chiodi a V e universali a met nella foto)
Ancoraggi
3) chiodi al titanio resistenti e leggeri che si deformano (chiodi a L e a V in basso nella foto). La natura del terreno orienta sul tipo di chiodo da impiegare. Su rocce tenere (calcare, conglomerato, ecc.) vanno utilizzati preferibilmente chiodi di metallo tenero che si adattano alle fessure perch quelli in metallo duro tendono a rompere la roccia. Essi vanno piantati con energia e fino allocchiello (C08-25) e quando un chiodo entra lentamente e progressivamente significa che in genere buono. Su rocce dure (granito, gneiss, ecc.), si impiegano prevalentemente chiodi di metallo duro che se piantati correttamente lavorano in pressione fra le facce della fessura. Anche in questo caso i chiodi vanno infissi fino allocchiello e perch diano buone garanzie di tenuta su granito bene che inizialmente si possano conficcare con la mano fino quasi alla met della loro lunghezza. I chiodi realizzati in titanio in genere si adattano bene sia su strutture rocciose tenere che dure. Comunque si piantino fondamentale che la sollecitazione esercitata sul chiodo non rischi di farlo uscire dalla sua sede, bens produca una torsione che tenda ad incastrarlo maggiormente nella fessura.
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Ancoraggi
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Si consiglia di verificare la solidit del chiodo appena sistemato. Inoltre buona norma, prima di agganciarsi, provare i chiodi che si trovano gi piantati in parete. Quando un chiodo non infisso completamente la sua parte esterna svolge la funzione di leva che diminuisce la tenuta del chiodo stesso; possibile tuttavia ridurre questo braccio negativo in vari modi. Si pu usare una fettuccia a strozzo o un cordino chiuso con un nodo barcaiolo sulla lama il pi possibile vicino alla roccia.
C08-27 Riduzione leva friend
Ancoraggi
ANCORAGGI DI SOSTA
Nella predisposizione di una sosta ovvero di un punto di calata e, comunque, tutte le volte in cui un ancoraggio singolo non dia sufficienti garanzie di sicurezza, sempre necessario collegare due o pi ancoraggi, con le modalit descritte di seguito. Poich l'alpinista affida la propria vita e quella dellintera cordata a questo tipo di ancoraggi, non si insister mai abbastanza sull'enorme cura con cui devono essere predisposti. Caratteristiche del terreno e consistenza della neve possono rendere molto difficile la preparazione di un ancoraggio di sosta sicuro e solo una notevole pratica permette di adottare di volta in volta la soluzione migliore. Si tenga presente che perfettamente inutile conoscere i nodi, le tecniche di assicurazione e di soccorso se non si in grado di preparare una sosta affidabile. Un ancoraggio deve rispondere ad alcuni requisiti fondamentali: a) garantire la resistenza alle sollecitazioni trasmesse da una caduta o dal peso dell'alpinista che viene calato o recuperato b) essere disposto in modo da offrire resistenza in tutte le possibili direzioni di sollecitazione; per esempio, un cordino attorno a uno spuntone utilizzato come sosta serve unicamente a trattenere una sollecitazione verso il basso quale quella determinata dalla caduta del secondo di cordata - e non verso l'alto - quale quella determinata dalla caduta del capo cordata, dopo aver posizionato degli ancoraggi intermedi. Si deve altres tenere conto del tempo di realizzazione (ad es.: linfissione di un chiodo da
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ghiaccio molto pi rapida della costruzione di un fungo) e del materiale a disposizione. Un cenno a parte meritano chiodi, cordini e fettucce che si trovano in parete, sia nei punti di sosta sia in quelli intermedi, soprattutto su percorsi poco frequentati. Questi materiali devono essere sempre minuziosamente controllati perch possono essere stati maldisposti o essere giunti alla soglia di rottura per il deterioramento del materiale, dovuto alla continua esposizione alle intemperie e alle cadute di sassi; i cordini e le fettucce, di norma, vanno sempre sostituiti. fondamentale utilizzare sempre e solo materiale conforme alle norme europee (EN) o omologato UIAA ed in particolare cordini di diametro preferibilmente non inferiore a 6 millimetri (ad eccezione di quelli in kevlar o dyneema).
C08-30-b Ribaltamento
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pericoloso strappo, dovuto allallungamento improvviso del collegamento, che rischia di pregiudicarne la tenuta: pertanto consigliabile realizzare un collegamento il pi possibile corto, compatibilmente con unefficace ripartizione dei carichi sui singoli ancoraggi di sosta. Questo accorgimento, in caso di ribaltamento della sosta generato da una caduta del primo di cordata che abbia posizionato almeno un ancoraggio intermedio, ridurr la lunghezza del volo nonch la sollecitazione sulla sosta dovuta proprio al ribaltamento della stessa (vedi successivo capitolo Tecniche di assicurazione in parete). Per consentire unefficace distribuzione delle sollecitazioni sugli ancoraggi collegati in parallelo, langolo che il cordino (o fettuccia) di collegamento forma in prossimit del vertice inferiore del triangolo non deve oltrepassare i 90: angoli pi aperti determinano sugli ancoraggi di sosta un sovraccarico anzich una ripartizione delle sollecitazioni.
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Diagrammi degli sforzi su due ancoraggi in caso di sollecitazione verticale verso il basso
Gli schemi nella pagina seguente presentano il caso particolare di ancoraggi posti alla stessa altezza con la medesima sollecitazione verticale. Gli esempi, comunque, risultano sufficientemente indicativi di ci che accade anche in altre situazioni. Si consideri che su ghiaccio, ovviamente, pi facile sistemare convenientemente gli ancoraggi che non su roccia.
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A 100 daN
173 daN
173 daN
A 100 daN
Le forze sono qui indicate in daN (decanewton), come correttamente vengono descritte a livello internazionale. Gli schemi a lato evidenziano come, passando da un angolo, tra i rami del cordino, di 120 a un angolo di 90, di 60 e di 30, la sollecitazione sugli ancoraggi si riduca rispettivamente, del 30%, del 40% e del 50% (rispetto alla situazione di partenza). Si noti che nel caso di 120 la sollecitazione sugli ancoraggi eguaglia in valore quella applicata al sistema; ne consegue che bisogna fare in modo che, entro certi limiti, langolo sia il pi acuto possibile. Si noti peraltro la crescente lunghezza necessaria per il cordino a parit di distanza tra gli ancoraggi.
P= 200 daN 308 A 100 daN 100 daN d 100 daN B 100 daN
A 100 daN
58 daN
14 1
90
da N
-0,7 d
-0,7 d
11 6d aN
100 daN
104 d aN aN 104 d
1 14
N da
B 100 daN
-1,9 d
aN 6d 11
60
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-1,9 d
P= 200 daN
Vengono ora illustrati tre tipi di collegamento in parallelo: mobile con sistema classico, mobile ad asola inglobata e semimobile, con le relative caratteristiche. Nellesecuzione dei collegamenti degli ancoraggi di sosta si raccomanda di utilizzare moschettoni a ghiera.
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PRO: - ripartizione uniforme del carico su tutti gli ancoraggi collegati, anche con notevoli escursioni della direzione di sollecitazione o con il ribaltamento del triangolo di sosta verso lalto (volo del primo di cordata con protezioni intermedie). CONTRO: - il cedimento di uno degli ancoraggi collegati provoca un improvviso allungamento del collegamento, con forte strappo (pericoloso effetto cerniera) sullancoraggio rimasto - la rottura accidentale di un solo ramo del collegamento (caduta sassi) comporta il disfacimento dellintera sosta - un collegamento eccessivamente lungo determinerebbe, in caso di ribaltamento della sosta, un aumento dei carichi sulla sosta stessa e una maggior lunghezza di caduta - a differenza dellasola inglobata, il nodo di giunzione (presente se si utilizza un cordino annodato o si accorcia un anello di fettuccia precucito) viene a trovarsi lungo il collegamento e sussiste pertanto il pericolo (soprattutto in caso di volo del primo su rinvii intermedi) che il nodo medesimo vada ad interferire, scorrendo lungo i rami mobili, con ancoraggi e moschettoni applicati in sosta (autoassicurazione, freno, pseudo rinvio, chiodi, ecc.) compromettendo seriamente, in tali casi, la mobilit del collegamento.
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Consiste in un nodo di giunzione che va effettuato dapprima doppiando uno dei capi liberi di corda o fettuccia provenienti dagli ancoraggi di sosta, quindi effettuando un giro allindietro per poi passare allinterno (come per un nodo semplice) con lasola ricavata e laltro capo libero (vedi realizzazione nella pagina successiva). importante fare attenzione: i due capi liberi devono fuoriuscire dal nodo per una lunghezza pari ad almeno 10 volte il diametro del cordino utilizzato (ad esempio: cordino nylon 7 mm i capi devono avanzare minimo per 7 cm). Inoltre lasola deve essere piccola, lo spazio sufficiente per 2, massimo 3 moschettoni. opportuno precisare che, a differenza della altre giunzioni, in questo caso non estremamente importante pretensionare energicamente i nodi. Questo perch ci sono due capi che scor-
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rono contrapposti uno allaltro e, di conseguenza, il nodo tende a stringersi da solo. Per completare il collegamento, sar necessario abbassare il ramo di cordino che situato tra i due ancoraggi, per posizionarlo allaltezza dellasola inglobata, assieme alla quale sar agganciato al moschettone di sosta (senza il mezzo giro necessario per il collegamento mobile con sistema classico). PRO: - mobilit totale: ripartizione uniforme del carico su tutti gli ancoraggi collegati, anche con notevoli escursioni della direzione di sollecitazione - nodo di giunzione sempre al vertice della sosta: in caso di ribaltamento della sosta (caduta del primo di cordata che abbia posizionato degli ancoraggi intermedi), a differenza del collegamento mobile di tipo classico, non si pone alcun rischio di interferenza del nodo di giunzione con moschettoni e ancoraggi di sosta, in quanto il nodo di giunzione corpo unico con lasola posta al vertice del triangolo di sosta - presenza di unasola chiusa al vertice della sosta: viene garantito sempre un punto sicuro dove possibile agganciare indipendentemente due o pi moschettoni al fine di: a) autoassicurarsi e agganciare il freno (assicurazione classica bilanciata) b) autoassicurarsi e agganciare lo pseudo-rinvio (assicurazione ventrale) c) autoassicurarsi per i componenti della cordata, qualora gli anelli degli ancoraggi siano piccoli o non consentano lapposizione di idonei moschettoni.
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Soprattutto per i casi a) e b) il vantaggio elevato. Infatti la suddetta asola consente a chi assicura di tenere sempre vicino alla propria autoassicurazione il moschettone con il freno (assicurazione bilanciata) o quello dello pseudo-rinvio (assicurazione ventrale), senza correre il rischio che esso venga proiettato velocemente lungo il collegamento di sosta, in caso di caduta (su rinvii) del 1 di cordata. Per ovviare a questo problema, nei casi di collegamento mobile di tipo classico, si usa agganciare il moschettone del freno in quello dellautoassicurazione (ovviamente, quando questultima applicata al vertice del triangolo di sosta): tale operazione richiede per attenzione, in caso di caduta del primo di cordata, in quanto i moschettoni cos agganciati potrebbero lavorare non correttamente (torsioni, sollecitazioni laterali, ecc.) - velocit di esecuzione: rispetto ad altri nodi di giunzione (doppio inglese, nodo fettuccia, ecc.) la sua realizzazione meno lenta e laboriosa, permettendo di risparmiare tempo nella preparazione delle soste. CONTRO: - il cedimento di uno degli ancoraggi collegati provoca un improvviso allungamento del collegamento, con forte strappo (pericoloso effetto cerniera) sullancoraggio rimasto - la rottura accidentale di un solo ramo del collegamento (caduta sassi) comporta il disfacimento dellintera sosta - un cordino (o fettuccia) di collegamento eccessivamente lungo determinerebbe, in caso di ribaltamento della sosta, un aumento dei
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Il collegamento semimobile in parallelo utilizzato principalmente su ghiaccio, ma trova applicazione anche su roccia, a condizione che sia prevedibile la direzione delleventuale sollecitazione sullancoraggio di sosta. Il sistema prevede la realizzazione di un nodo semplice su ciascun ramo che va allancoraggio: ci comporta che la mobilit di questo collegamento tanto pi ridotta quanto pi i due nodi semplici vengono fatti scorrere verso il vertice del triangolo di sosta. Il nodo di giunzione del collegamento va sempre collocato nel tratto fisso creato tra lancoraggio (chiodo, ecc.) ed il nodo semplice, in modo da non interferire con moschettoni e ancoraggi. Lobiettivo principale di questo sistema consiste nel ridurre lo strappo sullancoraggio superstite nel caso di cedimento dellaltro ancoraggio in caso di ribaltamento della sosta. Le figure C08-39 descrivono la costruzione di un collegamento semimobile dotato di due nodi e realizzato con una fettuccia precucita. Invece nelle figure C08-40 si evidenzia cosa capita nel caso del cedimento di un punto di ancoraggio. PRO: - I nodi semplici realizzati sui rami del collegamento (eseguiti prima di inserire il cordino nei moschettoni dei due ancoraggi) riducono notevolmente, in caso di cedimento di un ancorag-
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gio, lallungamento del collegamento ed il conseguente strappo sullancoraggio superstite. - La presenza dei due nodi semplici impedisce il disfacimento della sosta in caso di rottura accidentale di uno dei rami del collegamento (caduta sassi). - Ripartizione uniforme del carico sugli ancoraggi, sebbene limitata a reggere escursioni nella direzione di sollecitazione prevista (pi i nodi semplici sono vicini al vertice, minore sar la mobilit dellancoraggio). CONTRO: - La direzione di sollecitazione deve essere prevedibile, altrimenti, in caso di ribaltamento della sosta verso lalto (volo del primo di cordata con protezioni intermedie), il carico graver su uno solo degli ancoraggi collegati (quello pi in basso). - Realizzazione complessa qualora si debba inserire il cordino di collegamento direttamente negli ancoraggi (ad es., nellocchiello del chiodo) anzich nei moschettoni (braccio di leva negativo, spazio insufficiente, ecc.). Un collegamento semimobile con i nodi realizzati in prossimit del vertice, presenta il vantaggio di ridurre (quasi annullare), in caso di cedimento improvviso di uno degli ancoraggi, sollecitazioni critiche su quello rimasto, ma al tempo stesso, soprattutto in caso di ribaltamento della sosta, raramente garantisce equidistribuzione dei carichi su entrambi gli ancoraggi. Un collegamento semimobile con nodi allontanati dal vertice in maniera adeguata (figura C08-42), aumentando la mobilit del collega-
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mento, garantisce equidistribuzione anche in caso di ribaltamento della sosta, a prezzo per di sollecitazioni pi critiche sulla stessa (allungamento maggiore del collegamento) in caso di cedimento improvviso di uno degli ancoraggi.
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ANCORAGGI DI CALATA
Per predisporre una calata in corda doppia (vedi apposita trattazione nel capitolo Manovre di corda), necessario realizzare innanzitutto un ancoraggio le cui caratteristiche di sicurezza e di affidabilit siano le stesse test illustrate per gli ancoraggi di sosta, infatti anche in questo caso si affida la propria vita alla tenuta dellancoraggio (realizzato da chi si cala o preesistente). Valgono altres le stesse considerazioni fatte per gli ancoraggi di sosta circa la necessit di collegare sempre e comunque due o pi ancoraggi, salvo casi particolari quali ancoraggi su tronchi dalbero, su manufatti in cemento, acciaio, ecc. indispensabile innanzitutto adottare i seguenti accorgimenti: - valutare subito la direzione di calata prevedibile, in modo da studiare opportunamente la collocazione ed il tipo di ancoraggi da posizionare e collegare - qualora lancoraggio di calata sia preesistente, anche se su percorso frequentato, verificare sempre con attenzione i singoli ancoraggi ed il collegamento, senza esitare nellaggiungere chiodi e nel rimuovere cordini o fettucce trovati in posto, sostituendoli con uno spezzone di cordino (o fettuccia) nuovo
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- trattandosi di un ancoraggio da abbandonare, il cordino (con numero adeguato di rami) o la fettuccia di collegamento vanno inseriti direttamente negli ancoraggi (occhielli dei chiodi, clessidre, ecc.) da collegare, senza interposizione di moschettoni. Viene comunemente utilizzato il collegamento fisso, la cui realizzazione, illustrata in foto, inizialmente la stessa del collegamento mobile in parallelo, salvo poi raccogliere i rami di cordino provenienti dagli ancoraggi collegati, in un unico nodo semplice (vedi figura C08-43). Le asole del nodo semplice cos ottenute costituiranno lanello di calata in cui inserire la corda. Per migliorare il recupero della corda possibile inserire nellasola una maglia rapida oppure un moschettone da abbandonare. Rispetto ai collegamenti mobile e semimobile, questo sistema garantisce il mancato abbassamento improvviso del vertice del triangolo in caso di cedimento di uno degli ancoraggi ed impedisce il disfacimento della sosta in caso di rottura accidentale (caduta sassi) di uno dei rami del collegamento. Nel caso di tre o pi punti collegati ed in caso di spezzoni di collegamento di diametro pari o superiore a 10 mm, per evitare la realizzazione di un nodo unico troppo voluminoso, anche possibile realizzare un nodo semplice per ciascuno dei rami di cordino provenienti dagli ancoraggi collegati, ricordandosi di inserire la corda di calata in tutte le asole cos ricavate. Unico svantaggio del collegamento fisso (che ne limita lutilizzo alle sole calate) lassoluta mancanza di mobilit dei rami con conseguente mancanza di equidistribuzione, sugli
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ancoraggi collegati, delle sollecitazioni in caso di cambio di direzione del carico. Proprio a tal fine indispensabile prevedere la direzione di sollecitazione gi al momento della formazione del nodo semplice (o dei nodi semplici) sul cordino o fettuccia di collegamento.
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capitolo 9
Considerazioni sullutilizzo del freno mezzo barcaiolo Confronto tra le tecniche di assicurazione al primo di cordata
Assicurazione con metodo tradizionale a spalla Progressione della cordata su terreno alpinistico
Generalit La progressione in parete con ancoraggi di sosta
Numero dei componenti Cordata di due persone Cordata di tre persone Progressione su pendio di ghiaccio o neve dura Posizionamento del primo ancoraggio intermedio
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PREMESSA
Per assicurazione si intende linsieme delle manovre di corda che, attuate su un ancoraggio di sosta, consentono di ridurre al minimo o neutralizzare le conseguenze prodotte dalla eventuale caduta di uno dei componenti la cordata. Tutte le tecniche di progressione applicate su qualsiasi tipo di terreno, a parte il movimento della cordata in conserva (vedi capitolo La progressione su ghiacciaio), sono basate su due presupposti fondamentali: - lautoassicurazione - lassicurazione del compagno (primo e secondo di cordata). In questo capitolo sono presentate quelle tecniche che, sulla base di unamplissima sperimentazione, sia nella pratica alpinistica che nelle prove di laboratorio, appaiono presentare le maggiori garanzie di sicurezza e, in generale, di efficienza. Essendo tuttora il settore in costante evoluzione, sono prevedibili, in futuro, innovazioni. Vengono dapprima ripresi in forma sintetica alcuni elementi che riguardano la catena di assicurazione: le soste, i rinvii, lautoassicurazione, limpiego dei freni nellassicurazione dinamica, le sollecitazioni sugli alpinisti, sulle soste e sullultimo rinvio. Si prosegue mettendo a confronto le tecniche di assicurazione al primo di cordata, descrivendo i sistemi pi idonei da adottare in base allaffidabilit degli ancoraggi di sosta e intermedi. Vengono quindi trattate le tecniche di assicurazione al secondo o ai due secondi di cordata. Infine viene trattata la progressione in parete della cordata di due o tre elementi con ancoraggi di sosta, mentre il movimento della cordata su ghiacciaio e su terreno facile (creste, neve, ecc.) verr trattato nei capitoli successivi. Limpiego della corda, che costituisce un vincolo materiale tra due o tre compagni impegnati nella stessa impresa e che ne rafforza lunit psicologica e morale, imperniato su regole molto semplici ma inderogabili, le quali richiedono di essere conosciute e applicate con la massima attenzione ed elevato senso di responsabilit. pertanto indispensabile che ogni alpinista conosca le manovre di assicurazione e che le sappia eseguire con correttezza e rapidit in tutte le situazioni. L'assicurazione eseguita sommariamente, con leggerezza o, peggio, con una manovra sbagliata, non consente di fermare l'eventuale caduta del compagno e mette a repentaglio la vita di tutti i componenti la cordata.
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La Commissione Centrale Materiali e Tecniche (CCMT), dintesa con la Commissione Nazionale Scuole di Alpinismo e Sci Alpinismo (CNSASA), con la Scuola Centrale di Alpinismo e con rappresentanti della Commissione Tecnica del Collegio Nazionale delle Guide Alpine, ha eseguito, nel corso di due anni, una dettagliata serie di esperimenti nelle pi diverse condizioni di utilizzo, sia su ghiaccio che su roccia, sulle tecniche di assicurazione al primo di cordata che implicano o meno il sollevamento dellassicuratore. I risultati di tali prove, a cui rimandiamo il lettore per un esame pi approfondito, sono riportati nel filmato Tecniche di assicurazione: confronto tra classica e ventrale e nel quaderno allegato Le tecniche di assicurazione in parete, prodotti dalla CCMT e distribuiti nel 2001 a cura della CNSASA.
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potrebbe essere una rientranza della parete oppure il lato di un canale piuttosto che restarne al centro - nella realizzazione di una sosta non si deve usare mai un solo ancoraggio, a meno di casi eccezionali (tronchi dalbero, manufatti in acciaio, cemento, ecc.). Quasi sempre vanno utilizzati due ancoraggi, ma in casi particolari pu essere necessario aumentarne il numero - nel predisporre gli ancoraggi di sosta ed il loro collegamento, va tenuto presente che gli stessi devono formare un sistema in grado di resistere a forze bidirezionali: le sollecitazioni possono infatti provenire dal basso, in caso di caduta del secondo di cordata, o anche del primo che ancora non abbia posizionato ancoraggi intermedi (rinvii), ovvero dallalto, in caso di caduta del primo di cordata qualora questi abbia posizionato almeno un rinvio al di sopra della sosta - compatibilmente con la distribuzione dei carichi sugli ancoraggi di sosta, opportuno realizzare un triangolo di sosta il pi corto possibile, in modo da ridurre leffetto negativo del ribaltamento della sosta in caso di caduta del primo di cordata su rinvii intermedi. La soluzione ideale sarebbe con ancoraggi posti sulla stessa verticale in quanto questo permette di ridurre a zero langolo e di avere la lunghezza del triangolo pi corta in assoluto - nella realizzazione di una sosta su ghiaccio, le distanze tra i chiodi collegati dipendono dalla consistenza del ghiaccio e dalle dimensioni del chiodo. L'autoassicurazione indispensabile in fase di assicurazione: infatti l'unica garanzia contro
le conseguenze di un malore, un sasso o una lastra di ghiaccio che cade dall'alto, un movimento falso, una distrazione. A questo proposito si tenga presente che l'autoassicurazione una manovra da eseguire, oltre che nelle soste su terreno alpinistico, anche durante le calate in corde doppia e durante l'esecuzione delle manovre di soccorso (recuperi, calate). In questi ultimi casi, in cui gli alpinisti non sono legati in cordata, ci si autoassicura fissando il moschettone di autoassicurazione ad una longe di cordino o di fettuccia opportunamente legata all'imbracatura (vedi capitolo Manovre di corda).
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parati), per permettere lo scorrimento della corda. Su un pendio uniforme di ghiaccio opportuno posizionare i rinvii in modo tale che siano pi ravvicinati nella parte iniziale della lunghezza di corda. Come successivamente evidenziato nel presente capitolo, particolarmente importante che il primo di cordata posizioni il primo ancoraggio intermedio, una volta partito dalla sosta, prima possibile e comunque non oltre 3 metri dalla sosta stessa. In un rinvio, sia il moschettone a contatto con lancoraggio che quello in cui scorre la corda devono avere la leva di apertura rivolta verso l'esterno rispetto alla parete, per evitare che possano accidentalmente aprirsi premendo contro una sporgenza della stessa. Durante la progressione, il capocordata deve inserire la corda nel moschettone del rinvio sempre dallinterno (lato parete) verso lesterno, onde evitare, in caso di caduta, pericolose torsioni del rinvio e soprattutto il rischio che la corda possa sfilarsi dal rinvio stesso, nel modo illustrato a fianco. Per lo stesso motivo test accennato il rinvio va posizionato sempre con le leve di apertura di entrambi i moschettoni rivolte in direzione opposta a quella di progressione. Nella figura C09-04 si nota un errato inserimento della corda dentro il moschettone: in caso di caduta del primo di cordata potrebbe verificarsi la fuoriuscita della corda.
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c) la figura C09-08 illustra una daisy chain connessa ad una estremit al moschettone che passa nel foro del puntale e laltra estremit collegata in modo regolabile allimbracatura. Va precisato che, nei casi finora visti, una volta inseriti le viti e realizzata la sosta, opportuno collegare gli attrezzi allimbracatura o alla sosta allo scopo di non perderli in caso di manovre o caduta di ghiaccio. 3) Un altro sistema consiste nellimpiegare due cordini che collegano gli attrezzi allimbracatura: risulta utile sia durante la progressione sia quando si devono avere le mani libere. Esiste una versione di cordini muniti di placchetta la quale consente la sospensione sugli attrezzi (vedi figura C09-09) ed una versione preconfezionata di cordini elastici avente soprattutto lo scopo di evitare la perdita dellattrezzo. 4) Sosta con uso degli attrezzi. Si fa notare che, in casi particolari, gli attrezzi ben piantati e collegati opportunamente tra loro possono partecipare assieme ad un altro punto di ancoraggio (vite o chiodo da ghiaccio, spuntone,..) alla realizzazione della sosta. Si sottolinea che durante tutta questa fase di preparazione il compagno di cordata mantiene lassicurazione fino alla realizzazione completa della sosta. Lautoassicurazione definitiva, cio il collegamento di chi assicura, dipende dallaffidabilit dellancoraggio che, a sua volta, condiziona il tipo di assicurazione al compagno. Per completare la presente sezione anticipiamo in modo sommario la descrizione dellautoassicurazione, la quale, a seconda del terreno, pu essere rea-
lizzata su uno dei punti di ancoraggio oppure al vertice. Le tecniche di assicurazione dinamica sono trattate in modo approfondito in una sezione successiva.
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A) Assicurazione dinamica
Lassicurazione dinamica linsieme delle tecniche di assicurazione che permettono la dissipazione per attrito di una parte rilevante dellenergia cinetica acquistata dallalpinista durante una caduta in parete. In situazione di corda frenata, questa energia viene quasi completamente dissipata da un freno e (tranne il caso di caduta in assenza di rinvii) dallultimo rinvio. Con attriti elevati lungo la catena di sicurezza (rinvii angolati, corda a contatto con la parete, ecc.), il freno potrebbe anche non entrare in azione, determinandosi cos una situazione di corda bloccata. Mettendo in atto unassicurazione dinamica, cio arrestando la caduta con un opportuno frenaggio progressivo della corda, si riducono fortemente sia lo strappo ricevuto da chi cade, sia le forze applicate allancoraggio di sosta ed allultimo ancoraggio intermedio (rinvio) posizionato dal capocordata. proprio la forza frenante esercitata dal sistema mano-freno che determina le sollecitazioni su tutta la catena di assicurazione, ed
in particolare: a) sullalpinista che cade b) sullancoraggio di sosta c) sullultimo ancoraggio intermedio (rinvio).
Il freno quellattrezzo che, pilotato dalla mano dellassicuratore, permette di rallentare ed arrestare la caduta. La forza frenante il risultato delleffetto combinato: a) della forza esercitata dalla mano dellassicuratore (15-30 daN) allentrata nel freno; b) della capacit frenante del freno (definito FMF, ovvero Fattore di Moltiplicazione delle Forze, come rapporto tra forza uscente e forza entrante nel freno). Questo significa che si ottiene lo stesso risultato frenante operando sia con un freno con elevato FMF e modesta trattenuta, sia con un freno con basso FMF ed elevata trattenuta. Tra i vari freni oggi esistenti che possono essere impiegati per lassicurazione, in questa sede tratteremo luso del classico nodo mezzo barcaiolo, riconosciuto in sede U.I.A.A. quale italian hitch (metodo italiano) e luso del cosiddetto secchiello (denominato pi correttamente tuber). Tali freni hanno una caratteristica in comune: si comportano come moltiplicatori di forze, cio come amplificatori della forza applicata alla mano, e generano in questo modo la forza frenante che agisce, attraverso la corda, sul corpo che cade. La forza frenante sviluppata dal mezzo bar-
caiolo, sebbene risenta molto dellabilit dellassicuratore, risulta maggiore di quella sviluppata da un tuber, a fronte di una identica forza generata dalla mano trattenente. A parit di condizioni e con i rami di corda posti a 180 (situazione di trattenuta in presenza di rinvii intermedi - sollecitazione verso lalto) si sviluppano le seguenti forze frenanti: - mezzo barcaiolo: da 90 daN a 240 daN (FMF 6~8) - tuber: da 45 daN a 150 daN (FMF 3~5) Va rimarcato che con i rami di corda, in entrata e in uscita dal freno, posti a 0, e cio paralleli tra loro (situazione di trattenuta in assenza di rinvii intermedi - sollecitazione verso il basso) molti freni meccanici come il tuber e lo Sticht presentano un FMF di circa 1,5~1,7 (come un rinvio) e cio estremamente basso, mentre il mezzo barcaiolo, in questa situazione, ha al contrario un FMF di circa 10, e cio vantaggiosamente molto alto. Si evidenzia, inoltre, che il valore del FMF del freno (mezzo barcaiolo, tuber, ecc.) dipende molto dal tipo di corda e dalla geometria del freno stesso.
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C09-17 Posizione del mezzo barcaiolo con rami di corda, in entrata e uscita dal freno, posti a 180
C09-17 Posizione del tuber con rami di corda, in entrata e uscita dal freno, posti a 180
il freno dipende dallenergia cinetica da dissipare, dal tipo di freno adottato, dalla mano dellassicuratore, dalla presenza di attriti dovuti ai rinvii e al contatto della corda con la parete.
A puro titolo di esempio, riportiamo il caso di caduta di un alpinista di 75 kg che, salito sopra la sosta di 8 metri, cade dopo aver posizionato un rinvio intermedio 4 metri sopra la sosta (Energia cinetica = 8 metri di volo*75 kg di peso = 600 daN da dissipare) mentre il secondo esegue unassicurazione ventrale, rispettivamente, con i due freni sottoelencati:
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Nel calcolo della corsa nel freno (corsa = energia/forza uscente dal freno) non si sono considerati gli attriti. I dati in tabella sono puramente orientativi e hanno il solo scopo di mostrare come, impiegando un freno con maggiore capacit frenante (FMF pi elevato) e mantenendo la stessa tecnica e lo stesso comportamento dellassicuratore in fase di trattenuta, si ottengano corse della corda nel freno pi basse a prezzo, tuttavia, di sollecitazioni pi alte sullalpinista che cade (forza darresto) e sullultimo rinvio. Si pu pertanto dedurre che possibile ottenere bassi carichi, nella catena di sicurezza, a prezzo di maggiori corse della corda nel freno. per importante ribadire che, a prescindere dal freno usato, la forza frenante dipende molto dal comportamento di colui che assicura. perci opportuno esercitarsi in palestra, effettuando prove di trattenuta, sia per capire le sollecitazioni in gioco, sia per conoscere meglio i freni impiegati. Un volo di 8 metri una caduta gi importan-
te: nella pratica alpinistica la corsa della corda nel freno con un mezzo barcaiolo, senza la presenza di rinvii, pari a circa 1/3 ~ 1/4 dellaltezza di caduta e cio circa 2 metri. Ben difficilmente, senza utilizzare dei guanti, lassicuratore potr far scorrere cos tanta corda senza subire delle lesioni. perci fondamentale che il capocordata, in partenza da una sosta, posizioni il primo ancoraggio intermedio appena possibile, e comunque non oltre 3 metri circa dalla sosta stessa.
ultimo rinvio
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freno
300 daN
510 daN forza frenante (300daN) + forza darresto (510daN)= carico allultimo rinvio (810 daN) C09-19 Carico sul rinvio 1
Queste tecniche vengono divise in due categorie: - tecniche che non implicano un sollevamento dellassicuratore: assicurazione classica. - tecniche che producono il sollevamento dellassicuratore: assicurazione classica bilanciata e assicurazione ventrale. opportuno far rilevare che, oltre allinnalzamento o meno dellassicuratore, esiste un altro importante aspetto che contraddistingue le due famiglie di assicurazioni e che ne rende consigliabile di volta in volta limpiego, in funzione dellaffidabilit degli ancoraggi di sosta e di protezione sui quali si opera. Nel caso di assicurazione con sollevamento dellassicuratore, si registrano carichi allultimo rinvio inferiori di circa il 10~20% rispetto allassicurazione classica: da unanalisi della meccanica della trattenuta si evidenzia che questo alleggerimento dei carichi sul rinvio (e su tutti gli elementi della catena di sicurezza) non dipende tanto dallentit del sollevamento dellassicuratore quanto dal comportamento di questultimo; quindi opportuno limitare tale innalzamento realizzando un collegamento di sosta pi corto possibile compatibilmente con la giusta ripartizione dei carichi sugli ancoraggi di sosta, senza con questo nulla togliere ai vantaggi di questo tipo di assicurazione. Vi sono altres molte varianti di esecuzione delle predette tecniche, da attuare in relazione alle
caratteristiche del terreno, allaffidabilit dellancoraggio di sosta, allesistenza di ancoraggi intermedi e allattrezzatura alpinistica a disposizione. Si ritenuto sufficiente descrivere in questo manuale le tecniche di assicurazione pi valide che trovano applicazione nei vari terreni, avvalendosi come freni dellutilizzo di: a) nodo mezzo barcaiolo b) freno tuber.
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Osservazioni
Nei disegni successivi gli ancoraggi di sosta sono stati raffigurati con un anello che simula il chiodo da ghiaccio o da roccia.
autoassicurazione
al primo di cordata
Pro
I pregi si possono cos riassumere: a) lassicuratore non coinvolto dal volo b) elevata forza frenante in caso di caduta con scarsi attriti e/o senza rinvii intermedi (caduta diretta sulla sosta) c) minori problemi, dopo la caduta, nelle manovre di autosoccorso.
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Contro
a) forte sollecitazione sulla sosta e sullultimo rinvio posizionato dal primo di cordata prima della caduta b) durante la trattenuta da parte dellassicuratore, vi una prima fase in cui il freno non operativo: tale fase dura tutto il tempo richiesto per il completo ribaltamento verso lalto del triangolo di sosta; solo allora, infatti, il freno inizia la sua funzione. Questo comportamento determina due aspetti negativi: - la caduta dellalpinista prolungata di unentit pari al doppio dellaltezza del triangolo di sosta (realizzare triangoli corti) - in tal modo si verr ad operare un forte carico sulla corda in quanto il freno, con il ribaltamento, si solleva molto e lassicuratore tende a tirare la corda dal basso con buona parte della sua massa: il risultato sar unelevata forza frenante (ad esempio 300 daN) con un conseguente elevato valore di carico sullultimo rinvio (810 daN) c) facile generare, specie con il mezzo barcaiolo posizionato alto rispetto allassicuratore, un lasco di corda che prolunga la caduta del capocordata
d) essendo funzionale alluso del solo freno mezzo barcaiolo, non permette di attuare la progressione con mezze corde passate alternate nei rinvii.
Conclusioni
Sviluppando unelevata forza frenante, rispetto alle tecniche con sollevamento dellassicuratore, una manovra consigliabile quando si opera con soste e ancoraggi particolarmente affidabili, sia su ghiaccio che su roccia. In definitiva, si pu raccomandare, in generale, di creare un triangolo di collegamento il pi corto possibile, compatibilmente con la funzione di ripartizione dei carichi sugli ancoraggi di sosta collegati, trovando cio un ragionevole compromesso tra lunghezza del cordino (o fettuccia) di collegamento e angolo al vertice del triangolo di sosta. Cos facendo si ridurr lentit del ribaltamento della sosta traendo benefici da una minor violenza della trattenuta. In genere, la posizione ideale dellassicuratore, per eseguire unefficace assicurazione con tecnica classica, si ottiene mantenendo il freno allaltezza del busto. Un corretto utilizzo del freno mezzo barcaiolo richiede infatti che la mano trattenente non venga mai tenuta troppo vicina al nodo, bens che sia posizionata a 40-50 centimetri dallo stesso in modo da consentire una corsa controllata della corda e permettere cos di modulare la frenata. La mano trattenente non deve quindi impugnare troppo rigidamente (a meno che non si abbia a che fare con voli importanti) la corda bens, pur tenendola saldamente
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(onde evitarne lo scorrimento incontrollato), deve cercare di accompagnarla verso il freno. Da uno scorrimento minimo di 40-50 cm della corda nel moschettone (che avviene anche se chi assicura si irrigidisce istintivamente nella trattenuta), con un adeguato allenamento in palestra si pu arrivare a scorrimenti controllati di lunghezza superiore, che consentono di ridurre notevolmente le sollecitazioni sulla sosta e sullultimo ancoraggio intermedio. Si sottolinea che il nodo mezzo barcaiolo deve sempre trovarsi lontano da ostacoli (nodi, roccia, altri moschettoni, ecc.) e in posizione di scorrimento verso il primo di cordata. In caso di recupero di corda lasca, lassicuratore deve sempre ricordarsi di ricapovolgere il mezzo barcaiolo in direzione favorevole allo scorrimento verso il primo di cordata. Infatti, qualora il primo di cordata dovesse cadere con il nodo capovolto, il freno potrebbe non funzionare, verificandosi cos una situazione di corda bloccata.
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golo di sosta e di ridurre le sollecitazioni sullultimo rinvio. Lautoassicurazione va realizzata al vertice inferiore del triangolo di sosta, tramite la corda di cordata ed un nodo barcaiolo. Con il collegamento degli ancoraggi di tipo semimobile, con cordino o fettuccia precucita, sul moschettone di autoassicurazione va inserito un secondo moschettone sul quale si effettua lassicurazione mediante mezzo barcaiolo (vedi figura C09-23). Invece con collegamento ad asola inglobata il moschettone di assicurazione va inserito dentro lasola; in questo modo laltro moschettone di autoassicurazione meno coinvolto da una eventuale caduta del primo di cordata. Lassicuratore, posizionato a circa 40-60 cm dal barcaiolo di autoassicurazione, pu essere sia appeso alla sosta sia con i piedi appoggiati a terra (ma sempre con il ramo di autoassicurazione ben teso). Si tratta quindi di una tecnica che utilizza come freno il nodo mezzo barcaiolo, analogamente a quanto capita per lassicurazione classica (lunico freno con FMF efficace in caso di caduta del primo senza rinvii intermedi). La figura C09-25 fa riferimento a un collegamento semimobile (realizzato con cordino o con fettuccia precucita) e mostra in primo piano il moschettone di assicurazione che si aggancia a quello di autoassicurazione. Invece la figura C09-26 fa riferimento ad un collegamento (mobile oppure semimobile) con asola inglobata e descrive nel particolare il moschettone di assicurazione che si aggancia dentro lasola.
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Pro
a) la forza frenante esercitata dal sistema manofreno pi alta dellassicurazione ventrale, ma pi bassa rispetto allassicurazione classica b) rispetto allassicurazione classica, si generano sollecitazioni minori sullultimo rinvio e, in genere, anche sulla sosta c) rispetto allassicurazione ventrale, in caso di ribaltamento della sosta si ottiene un sollevamento dellassicuratore pi contenuto in virt del collegamento diretto del freno al triangolo di sosta, che ammortizza linnalzamento.
Contro
a) la caduta del primo di cordata su rinvii intermedi sollever sempre, pi o meno violentemente, lassicuratore (in funzione dellaltezza del triangolo di sosta e dellautoassicurazione), salvo il caso in cui siano presenti rinvii angolati o comunque determinanti attriti della corda sulla parete b) nel caso in cui lassicuratore sia solo appoggiato e non sospeso alla sosta, la presenza di laschi di corda creer sicuramente strappi dannosi per una buona trattenuta; pertanto pre-
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feribile restare appesi c) si manifesta una maggiore difficolt nellapprontamento delle manovre di autosoccorso, specialmente in caso di sollevamento cospicuo d) come per la tecnica classica, lutilizzo del mezzo barcaiolo genera dei laschi di corda che allungano la caduta del capocordata e) essendo funzionale alluso del solo freno mezzo barcaiolo, non pu essere attuata in caso di progressione con mezze corde passate alternate nei rinvii.
In genere con punti di ancoraggio non particolarmente affidabili e con il vertice della sosta abbastanza distante dallassicuratore risulta pi conveniente adottare il collegamento semimobile; in assenza di rinvii intermedi e in seguito al cedimento improvviso di uno degli ancoraggi di sosta, il semimobile rispetto al mobile garantisce una ridotta sollecitazione sullancoraggio superstite.
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Assicurazione ventrale
Lassicurazione ventrale nata nei paesi anglofoni con lintento di contrapporre il peso dellassicuratore alle forze derivanti dalla caduta, cercando cos di preservare la sosta da carichi eccessivi. Sebbene lassicurazione in vita tramite tuber possa essere effettuata sia con una corda che con due mezze corde, viene qui descritta la versione in cui si impiegano due mezze corde che passano in modo alternato nei rinvii; lo scopo quello di ridurre al minimo le sollecitazioni sui rinvii e possibilmente sulla sosta qualora ci si trovi ad operare con ancoraggi particolarmente precari. La figura C09-29 fa riferimento ad un collegamento semimobile (realizzato con cordino o con fettuccia precucita) e mostra il pseudo rinvio che si aggancia a quello di autoassicurazione. Invece la figura C09-30 fa riferimento ad un collegamento mobile (oppure semimobile se vengono realizzati i nodi sui rami) con asola inglobata e mostra lo pseudo rinvio che si aggancia dentro lasola. Le caratteristiche di questo metodo sono le seguenti:
2 rinvio
- lassicuratore, tramite la corda di cordata, autoassicurato al vertice del triangolo di sosta (nodo barcaiolo su moschettone a ghiera) - il freno applicato allimbracatura tramite moschettone a ghiera che comprende sia lanello di servizio che lasola formata dalle due corde - condizione indispensabile nellesecuzione dellassicurazione ventrale che il primo di cordata, prima di partire, passi le due mezze corde attraverso un moschettone posto al vertice del triangolo di sosta (pseudo-rinvio). Ci allo scopo di evitare che, in caso di caduta prima di aver posizionato almeno un rinvio sopra la sosta, le sollecitazioni si scarichino direttamente sullimbracatura dellassicuratore, rendendo quantomeno problematica la trattenuta - nella progressione a corde alternate, le due mezze corde vanno comunque passate appaiate nello pseudo-rinvio e nei primi due ancoraggi intermedi che vanno posizionati entro i primi 5-6 m dopo la sosta - lo pseudo-rinvio consente anche di limitare linnalzamento dellassicuratore in caso di caduta del primo di cordata che abbia posizionato almeno un rinvio intermedio. Nella figura C09-32 illustrata una assicurazione ventrale con tuber in vita su cui passano due mezze corde. Il collegamento dei due punti di ancoraggio di tipo semimobile. Nella figura C09-33 mostrato il particolare dello pseudo rinvio che agganciato al moschettone di autoassicurazione. Nella figure C09-34 e C09-35 illustrato il secondo tipo di aggancio del pseudo rinvio. Collegando gli ancoraggi in modo semimobile
(con i due nodi) per mezzo di un cordino chiuso con unasola inglobata si pu inserire il pseudo rinvio nellasola: in caso di caduta del primo di cordata, in assenza di rinvii, il moschettone di autoassicurazione non viene coinvolto.
Pro
a) rispetto allassicurazione classica e alla classica bilanciata, lassicurazione ventrale, per il modo di operare indotto nellassicuratore (il moto della mano trattenente orizzontale e non coinvolge la forza peso della mano stessa), genera una forza frenante minore e quindi minori carichi su tutta la catena di sicurezza b) luso di due mezze corde passate in modo alternato nei rinvii (attuabile solo con questa tecnica) riduce notevolmente il carico sullultimo rinvio e sulla sosta, in caso di caduta c) permette di limitare al massimo i laschi di corda nella manovra del freno, non prolungando in tal modo la caduta del capocordata d) lassicurazione ventrale con impiego del tuber e di una corda semplice frequentemente utilizzata anche nellarrampicata sportiva su percorsi caratterizzati da ancoraggi affidabili e vicini tra loro: in questo caso eventuali voli del capocordata non dovrebbero creare particolari problemi a colui che assicura e nel contempo il tuber in vita gli consente una gestione pi precisa della corda rispetto ad altri sistemi frenanti.
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Contro
a) la caduta del primo di cordata sollever quasi sempre, pi o meno violentemente, lassicuratore; lentit del sollevamento in funzione della lunghezza del triangolo di sosta e del ramo di autoassicurazione
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b) solo la presenza di attriti e rinvii angolati pu giustificare il passaggio alternato delle corde nei rinvii, da ci derivando una notevole riduzione di sicurezza consistente nellavere una sola mezza corda interessata al volo (caduta sassi o ghiaccio, volo su una lama affilata, ecc.) c) soprattutto nella progressione con passaggio alternato delle corde nei rinvii, si determinano corse della corda nel freno molto alte, anche oltre 2 metri. Infatti, citando a titolo di esempio una delle prove di caduta effettuate con tuber in vita, si osserva che operando con due mezze corde accoppiate viene prodotto un carico di 499 daN con una corsa nel freno di 65 cm, mentre operando con due mezze corde alternate si produce un carico di 326 daN con una corsa nel freno di ben 265 cm (indispensabile luso dei guanti, pena lesioni alle mani) d) rispetto alle assicurazioni classica e classica bilanciata, presenta una maggiore difficolt nellapprontamento delle manovre di autosoccorso, specie nei casi di sollevamento cospicuo. A tale proposito si rimanda il lettore al capitolo 11 Manovre di corda nel quale viene descritta loperazione che consente di passare la corda in carico dal tuber alla sosta: infatti nel caso di caduta del primo di cordata colui che assicura deve bloccare la corda nel tuber che tiene in vita e portare la corda sotto carico alla sosta per poter quindi mettere in atto le operazioni di soccorso.
Conclusioni
Lassicurazione ventrale viene impiegata soprattutto quando si opera su terreni e protezioni
non particolarmente affidabili, su ghiaccio e su roccia. Questa manovra genera carichi inferiori, rispetto allassicurazione classica e a quella bilanciata, riconducibili in larga parte ad un diverso comportamento dellassicuratore (che conseguenza del suo innalzamento) e solo in minima parte allentit del sollevamento stesso: quindi opportuno limitare tale innalzamento - che potrebbe anche essere traumatico per lassicuratore - mediante una ridotta lunghezza del triangolo di sosta, senza nulla togliere alle prerogative di questo tipo di assicurazione. In generale, in caso di progressione con due mezze corde, in presenza di buoni ancoraggi e quando la preoccupazione maggiore di evitare la rottura della corda per una caduta di sassi o per una caduta su di una lama di roccia, consigliabile passare le corde accoppiate nei rinvii. In caso di ancoraggi precari o addirittura, in casi limite, quando non possibile allestire soste con buona tenuta bidirezionale e comunque, in generale, nelle situazioni in cui lobiettivo principale ridurre i carichi nella catena di sicurezza, preferibile adottare lassicurazione ventrale con corde passate in modo alternato nei rinvii.
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- A differenza di altri freni metallici, lunico freno che genera un attrito diretto corda su corda; in caso di cadute importanti produce un forte deterioramento della corda nel tratto in cui avvenuta la dissipazione - una corda che abbia subito uno strappo violento non dovrebbe pi essere usata.
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PREGI - facile manovrabilit - assicuratore non coinvolto dalla caduta - minori problemi nel lapprontamento di eventuali manovre di autosoccorso
DIFETTI
TECNICA
- sollevamento e forte - minori sollecitazioni sulla sosta e sullultimo strappo allassicuratore, con possibili significativi rinvio urti contro la parete; - facile manovrabilit e Assicurazione ventrale - maggiori difficolt nel comodit e classica bilanciata lapprontamento di - maggior precisione eventuali manovre di nella gestione della autosoccorso; corda - maggiore lunghezza del volo di chi cade
Il prospetto va opportunamente integrato con le seguenti precisazioni: - la sollecitazione sullultimo rinvio determinata da tecniche di assicurazione senza sollevamento molto maggiore di quella prodotta da tecniche con sollevamento; tale differenza si determina solo in caso di scarso attrito della corda lungo il percorso (ad es., un solo rinvio) e va riducendosi notevolmente fino a diventare trascurabile se gli attriti aumentano - operando con soste e ancoraggi affidabili (spit, fix, ottimi chiodi, ecc.), le tecniche che
non implicano il sollevamento dellassicuratore sono da preferirsi in quanto non coinvolgono il corpo dellassicuratore stesso e permettono corse limitate della corda nel freno - operando con soste e ancoraggi non particolarmente affidabili, le tecniche che implicano il sollevamento dellassicuratore sono da preferirsi in quanto sollecitano in modo minore la catena di sicurezza: in tal senso, allo stato attuale lassicurazione ventrale da preferirsi rispetto alla classica bilanciata - si ribadisce che la forza frenante deriva dalleffetto combinato della forza trattenente della mano e della capacit frenante del freno (FMF). Ci significa, in linea di principio, che un freno vale laltro salvo saper modulare opportunamente la forza della mano trattenente; tuttavia preferibile utilizzare un freno efficace che pu essere modulato morbidamente in caso di richiesta di basse forze frenanti, piuttosto che un freno poco efficace che non permette di trattenere cadute importanti. Va ricordato che una forza frenante debole richiede corse elevate della corda nel freno e che solo azioni frenanti vigorose sono in grado di fermare voli consistenti. infatti impensabile arrestare una caduta importante senza un cospicuo scorrimento della corda nella mano (a meno che la catena di sicurezza non presenti rinvii angolati e forte attrito della corda sulla parete): diventa allora indispensabile luso dei guanti da parte dellassicuratore, salvo bruciarsi le mani e/o perdere il controllo della corda - in caso di utilizzo di due mezze corde alternate, nellassicurazione al primo di
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Lobiettivo primario, in fase di assicurazione, quello di adottare il dispositivo che meglio consenta, da un lato, di trattenere efficacemente una caduta del compagno e dallaltro lato di sollecitare il meno possibile gli elementi della catena di assicurazione.
cordata indispensabile luso di un freno che tenga separate le due corde (tuber o piastrina Sticht), per evitare pericolosi sfregamenti tra le due mezze corde come capita, ad esempio, in caso di utilizzo del mezzo barcaiolo o di freni tipo otto. Un opportuno esercizio alluso delle varie tecniche consente di raggiungere una conoscenza ottimale delle stesse, specialmente per quanto riguarda il controllo dello scorrimento della corda nel freno. Si pu concludere osservando che il miglior sistema in assoluto non esiste. Si raccomanda pertanto di: a) esercitarsi nellapplicazione delle varie tecniche b) imparare ad utilizzare le diverse tecniche di assicurazione con spirito critico, in modo da saper adottare quella pi adatta in relazione alla situazione specifica. Per quanto sopra, ricordando che lobiettivo primario, in fase di assicurazione, quello di adottare il dispositivo che meglio consenta, da un lato, di trattenere efficacemente una caduta del compagno e dallaltro lato di sollecitare il meno possibile gli elementi della catena di assicurazione, si pu concludere che solo un addestramento costante e specifico alle varie forme di assicurazione, sperimentando di persona la propria capacit di modulare la frenata (tenuta decisa o tenuta morbida della mano trattenente) con i diversi metodi di assicurazione, con i vari tipi di freni e con diversi gradi di angolazione della corda (o di due corde, appaiate o sfalsate) sui rinvii intermedi, pu consentire di adottare la scelta di volta in volta pi oculata per una progressione della cordata in sicurezza.
Nella figura C09-38 mostrata una sosta in cui si applica lassicurazione classica. Nella figura C09-39 invece illustrata una assicurazione bilanciata.
Il recupero di uno o di due secondi di cordata in simultanea (vedi progressione della cordata a tre, successivamente trattata) pu essere eseguito realizzando unassicurazione statica, attraverso lutilizzo di appositi dispositivi autobloccanti. Nella foto a lato mostrata una piastrina autobloccante: si tratta di un attrezzo leggero e versatile che oltre a permettere il recupero di una o due corde contemporaneamente, pu essere altres utilizzato quale discensore per la corda doppia nonch per altre manovre di corda e di autosoccorso (vedi capitolo Manovre di corda). In caso di utilizzo di piastrine con una costola da un lato (tipo quella di cui alla foto in alto), il recupero di due secondi in simultanea va sempre effettuato applicando il moschettone a contrasto (quello trasversale alla piastrina) dal lato della piastrina privo di costola. Il funzionamento della piastrina autobloccante nel recupero di una o di due corde viene di seguito illustrato: il ramo superiore della corda quello che va al compagno da recuperare.
C09-40 Piastrina autobloccante
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Al compagno
Inserimento corda
Recupero di due corde C09-41 Uso piastrina con due corde a-b-c
Cos come avviene per lassicurazione con il mezzo barcaiolo, anche nel recupero di due secondi con la piastrina lassicuratore deve sempre tenere impugnate le corde in uscita dalla piastrina stessa.
verso il basso
Questa manovra viene, di norma, eseguita su terreno facile e solo in presenza di particolari condizioni di sicurezza, successivamente descritte. Lassicurazione a spalla va usata quando non sia possibile approntare un punto di sosta adatto a realizzare unassicurazione dinamica con freni. eseguibile anche senza disporre di imbracatura, verso il basso o verso l'alto, sia nei confronti del secondo che del primo di cordata. Trattandosi di un metodo indiretto, che sfrutta lattrito della corda attorno al corpo dellassicuratore, va posto in essere solo quando siano stati attentamente valutati gli effetti di uneventuale caduta o scivolata del compagno assicurato. Ci si deve innanzitutto autoassicurare ad un ancoraggio di sosta ritenuto affidabile (anche se pu sostenere sollecitazioni in una sola direzione): per fare ci, in mancanza di imbracatura, necessario quantomeno legarsi in vita con la stessa corda o con uno spezzone di corda o cordino (vedi capitolo Imbracatura e nodi - Realizzazione imbracatura di emergenza). Gli elementi essenziali sono la posizione del corpo e il modo di vestire la corda. L'alpinista che procede a questa manovra nei confronti del secondo di cordata, una volta autoassicuratosi, si dispone in piedi di fianco al pendio, con la gamba a valle tesa, la gamba a monte leggermente piegata e la spalla a monte possibilmente appoggiata alla parete. Il corpo assume cos una posizione inclinata verso monte, secondo l'asse dell'eventuale
strappo. Lo strappo viene assorbito dal corpo grazie all'effetto ammortizzante delle gambe. La corda che proviene dal compagno, impugnata dalla mano esterna con braccio disteso e pollice rivolto verso il basso, passa sotto l'ascella esterna, dietro al dorso e sopra la spalla a monte, scende davanti al corpo e viene impugnata dalla mano interna con il braccio piegato e il pollice rivolto verso l'alto. I gomiti sono tenuti aderenti ai fianchi e le mani saldamente chiuse a pugno. In caso di caduta del compagno, le braccia devono essere rapidamente incrociate davanti al petto in modo da bloccare la corda ottenendo il massimo attrito. Lassicurazione a spalla nei confronti del secondo di cordata va eseguita sempre a corda tesa, onde ridurre al minimo uneventuale scivolata del compagno e la conseguente sollecitazione proveniente dalla corda. importante che il sistema costituito da ancoraggio - assicuratore - compagno si mantenga in linea. Una eventuale caduta viene ammortizzata dallassicuratore che a sua volta sostenuto dallancoraggio. Invece nellassicurazione a spalla al primo di cordata, il quale deve disporre di corda per poter muoversi senza impedimenti, in caso di caduta si ricever un forte strappo direttamente sul proprio corpo e conseguentemente sulla sosta alla quale autoassicurato. Proprio per questo motivo lassicurazione al primo di cordata con metodo tradizionale va effettuata solo per brevi tratti e a condizione che vengano posizionati numerosi ancoraggi intermedi, il primo dei quali, ancor prima che il capocordata si muova dalla sosta, sar subito collegato alla
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Lassicurazione a spalla consigliabile eseguirla solo su terreni poco pendenti, misti o di cresta, dove abbondano spuntoni e cambi di direzione. Solo in tali condizioni, infatti, gli attriti della corda nel tratto interessato alla caduta, potranno permettere allassicuratore di trattenere la stessa efficacemente e senza pregiudicare la tenuta dellancoraggio di sosta.
medesima (vedi figura C09-44). consigliabile altres eseguire questa manovra solo su terreni poco pendenti, misti o di cresta, dove abbondano spuntoni e cambi di direzione. Solo in tali condizioni, infatti, gli attriti della corda nel tratto interessato alla caduta, potranno permettere allassicuratore di trattenere la stessa efficacemente e senza pregiudicare la tenuta dellancoraggio di sosta. A tale proposito si rimanda il lettore al capitolo 10 Progressione in conserva della cordata.
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Nel caso di una cordata a due la corda da utilizzare pu essere una corda semplice o due mezze corde.
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Utilizzando due mezze corde, risultano meno ingombranti due nodi a otto infilati rispetto a due bulini infilati.
Spesso per segnalare larrivo in sosta si usa il termine molla tutto; tuttavia persone poco esperte potrebbero interpretare male tale espressione e togliere anche la loro autoassicurazione prima che il compagno li prenda in carico.
con uno dei nodi visti in precedenza. Utilizzando due mezze corde, risultano meno ingombranti due nodi a otto infilati rispetto a due bulini infilati. Il principio fondamentale che i due alpinisti si muovano uno alla volta: mentre uno in movimento, laltro fermo e autoassicurato e provvede all'assicurazione del compagno. Una cordata di due elementi, nella progressione in assicurazione, su ghiaccio o roccia, procede nel modo seguente, scambiandosi le comunicazioni verbali sottoindicate: - il capocordata comincia a salire dopo essersi accertato che il secondo sia autoassicurato e in posizione di assicurazione dinamica - il secondo fila la corda al capocordata e lo assicura, controllando la sua progressione e avvisandolo, se opportuno, della disponibilit di corda rimasta (gridando, ad esempio, CINQUE, per comunicare il numero di metri approssimativamente mancanti alla fine della corda) - quando il capocordata arriva al punto di sosta, si autoassicura al primo ancoraggio affidabile (trovato in posto o realizzato), dopodich, posizionati gli altri ancoraggi di sosta (o verificata la solidit di quelli trovati in posto), li collega opportunamente (vedi capitolo Ancoraggi) e grida al secondo MOLLA E RECUPERO: al quale avviso il secondo, rimanendo autoassicurato in sosta, smonta lassicurazione, liberando la corda eccedente, e risponde al compagno CORDA LIBERA; (spesso per segnalare larrivo in sosta si usa il termine molla tutto; tuttavia persone poco esperte potrebbero interpretare male tale espressione e togliere anche la loro autoassicurazione prima che il compagno li prenda in carico) - il capocordata recupera quindi la corda ecceden-
te sino a che il compagno non comunica CORDA FINITA; a questo punto predispone lassicurazione per il recupero del secondo (piastrina autobloccante o mezzo barcaiolo, sempre fissata al vertice dellancoraggio) comunicandogli PARTI o VIENI - il secondo libera il collegamento dagli ancoraggi di sosta (rimuovendoli qualora non preesistenti), stacca per ultimo quello della propria autoassicurazione e risponde al capocordata PARTO o VENGO - durante la progressione, il secondo potr comunicare al capocordata RECUPERA in caso di corda non tesa, MOLLA qualora abbia bisogno di corda (per abbassarsi o aggirare ostacoli) e BLOCCA o TIENI qualora stia per perdere lequilibrio ovvero necessiti di riposare sulla corda, anche per rimuovere le protezioni intermedie posizionate dal capocordata (in montagna comunque buona norma che il secondo di cordata eviti di appendersi alla corda di cordata, magari sfruttando, se necessario, le protezioni intermedie quali punti di riposo) - raggiunto il primo, il secondo si autoassicura allancoraggio e consegna tutto il materiale recuperato nel tiro sottostante al capocordata, che nel frattempo pu smontare il dispositivo di assicurazione - prima di togliere la propria autoassicurazione, il capocordata si accerta che il secondo sia gi in posizione di assicurazione dinamica, e pu quindi partire per il nuovo tratto di arrampicata. La sequenza sopra illustrata ovviamente relativa alla progressione con un unico capocordata per lintera ascensione, mentre, nella progressione detta a comando alternato, ad ogni punto di
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Prima di togliere la propria autoassicurazione, il capocordata si accerta che il secondo sia gi in posizione di assicurazione dinamica, e pu quindi partire per il nuovo tratto di arrampicata.
sosta chi procede in un tiro di corda quale secondo di cordata prosegue nel tiro di corda successivo diventando capocordata.
Lassicurazione al primo di cordata deve essere sempre effettuata su entrambe le mezze corde, mentre, in caso di utilizzo di due corde semplici, il capocordata sar assicurato su una sola delle due corde.
Lassicurazione a ciascun secondo di cordata pu essere effettuata anche su una sola mezza corda, in quanto le sollecitazioni in caso di caduta sono, di regola, significativamente inferiori a quelle del primo di cordata.
Nel caso di una cordata di tre componenti, viene qui descritta la formazione a V rovesciata, meglio nota come cordata a forbice. Possono essere utilizzate due mezze corde o anche due corde semplici. Disponendo di una sola corda in tre persone il capocordata si lega a met corda (si consiglia il nodo bulino) e alle due estremit si legano gli altri alpinisti. Lassicurazione al primo di cordata deve essere sempre effettuata su entrambe le mezze corde, mentre, in caso di utilizzo di due corde semplici, il capocordata sar assicurato su una sola delle due corde; tuttavia in questo caso le corde vanno entrambe passate negli ancoraggi intermedi. Lassicurazione a ciascun secondo di cordata pu essere effettuata anche su una sola mezza corda, in quanto le sollecitazioni in caso di caduta sono, di regola, significativamente inferiori a quelle del primo di cordata. La formazione a forbice la pi funzionale e veloce per cordate di tre elementi, perch consente al capocordata di recuperare contemporaneamente i due secondi (se il terreno non particolarmente difficile); ha inoltre il vantaggio di non lasciare mai solo lalpinista meno esperto. Richiede tuttavia un certo affiatamento della cordata e punti di sosta sufficientemente ampi. I tempi di progressione e le comunicazioni tra i componenti la cordata sono gli stessi test descritti per la cordata a due, con le seguenti particolarit:
- il capocordata viene assicurato sulle due mezze corde dal secondo pi esperto, mentre il terzo componente fila le corde - i due secondi saranno assicurati e recuperati dal capocordata mediante assicurazione statica con una piastrina autobloccante fissata direttamente al vertice dellancoraggio - ricevuto lordine di salire, il primo a partire dei due secondi, ove non concordato in precedenza, grider al capocordata il colore della corda da recuperare (in caso di due mezze corde) oppure strattoner due-tre volte con decisione la corda da recuperare (in caso di utilizzo di corda unica monocolore) - i due secondi devono avere l'avvertenza di arrampicare a qualche metro di distanza uno dallaltro, per non intralciarsi a vicenda ed evitare il rischio che la caduta di uno coinvolga laltro - su tratti con roccia instabile, difficolt elevate o in traverso, il capocordata valuta se fare salire i compagni uno alla volta; analoghe decisioni saranno di volta in volta prese in discesa e in traversata.
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La progressione pi sicura si realizza con la sosta su almeno due ancoraggi e con il posizionamento di ancoraggi intermedi (rinvii) lungo il tiro di corda, prima di affrontare tratti impegnativi.
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C09-47 Spostamento laterale in salita La posizione 3-4 metri laterale del primo di cordata evita che chi assicura sia colpito da pezzi di ghiaccio
Capitolo 10
Caratteristiche del terreno e generalit sulla progressione Terreno facile su neve e roccia - conserva corta Cenge con detriti e gradoni rocciosi - conserva corta Pendio di neve di pendenza moderata - conserva corta Tratti rocciosi e creste di bassa difficolt - conserva media Pendii di neve o di ghiaccio facile - conserva lunga
Prospetto di riepilogo
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PREMESSA
Nella pratica alpinistica e sci alpinistica i vari tratti di un itinerario, a seconda del tipo di terreno, delle capacit tecniche e delle condizioni fisiche e psichiche dei componenti, possono essere affrontati: - slegati - di conserva: i componenti della cordata si muovono simultaneamente adottando anche sistemi veloci di assicurazione - utilizzando le tecniche di assicurazione che si attuano in parete e che prevedono un movimento della cordata a tiri di corda. Nel capitolo precedente sono state illustrate le tecniche di progressione su ghiaccio e su terreno misto (roccia, ghiaccio e neve) da applicare alle grandi pareti e che prevedono un movimento della cordata per tiri di corda in cui quando un componente si muove laltro effettua lassicurazione ed vincolato al terreno tramite una sosta. In questo capitolo vengono invece descritte le tecniche della progressione in conserva cio il movimento contemporaneo di alpinisti o sci alpinisti che sono legati tra loro in cordata; si tratta di una progressione che avviene su difficolt inferiori di quelle presentate da una parete, ma che richiede comunque un certo grado di assicurazione. Nel capitolo vengono individuate due categorie di progressione: 1. la progressione in conserva su ghiacciaio effettuata sia a piedi che con gli sci 2. la progressione in conserva su pendii e creste; si considerano vari tipi di terreni: pendii di neve, tratti rocciosi facili, creste nevose e rocciose, pareti di neve o di ghiaccio facile
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di spessore e di larghezza. La parte bassa del ghiacciaio, detta lingua, pu dunque trovarsi al di sotto del limite delle nevi, in una zona dove si ha una fusione intensa o addirittura totale del ghiaccio. Ci avviene soprattutto per i grandi ghiacciai, come quello dei Vitelli, nel gruppo dell'Ortles-Cevedale, la cui lingua scende fino a 2.550 m, cio quasi 500 metri ai di sotto del limite delle nevi persistenti, che si vedono molto in alto nella figura C10-01. I ghiacciai pi grandi, che occupano una valle, vengono definiti alpini o vallivi; quelli derivanti dall'unione di pi colate vallive sono detti himalayani. Un grande ghiacciaio vallivo quello del Miage, sul versante italiano del Monte Bianco. Ha origine in un alto vallone della Val Veny e scende per 10 km fino a meno di 1800 m di quota. Come si vede dalla figura C10-02, gran parte della lingua coperta da materiale detritico, caduto dalle ripide pareti circostanti, che lo protegge dalla fusione. Si notano anche numerosi resti di valanghe che contribuiscono alla sua alimentazione. Esistono anche ghiacciai privi di lingua, che sono diffusissimi sulle Alpi; vengono detti di 2 ordine e sono localizzati in un circo, cio un ripiano circondato su tre lati da ripide pareti rocciose, che il ghiacciaio stesso insieme ai vari fenomeni crionivali ha scavato. Un tipico ghiacciaio di circo quello dellAviolo nel gruppo dell'Adamello. La figura C10-04 illustra le caratteristiche di una lingua di ghiacciaio vista in sezione. Di un ghiacciaio possiamo distinguere due zone: il bacino collettore e il bacino ablatore. Il bacino collettore situato al di sopra del
Alpinismo su ghiaccio e misto limite delle nevi perenni ghiacciaio coperto da neve bacino collettore seracco sospeso crepaccia terminale seraccata
crepaccio a campana
crepaccio a lati paralleli uscita di scarico delle acque glaciali C10-04 Sezione ghiacciaio
limite delle nevi persistenti, di colore bianco ed privo di morena superficiale perch i massi che vi giungono, precipitando dalle pareti attorno, vengono subito inghiottiti dalle nevi o mascherati da successive nevicate. il bacino che alimenta continuamente il ghiacciaio raccogliendo le nevi dalle pi diverse provenienze ed tagliato da pochi, ma talora grandi crepacci. Il bacino ablatore la continuazione a valle del bacino collettore; in esso, come dice il nome, si verifica il fenomeno della fusione del ghiaccio; esso in piena estate ha colore bluastro o verdastro, coperto da detrito morenico ritornato visibile insieme con i sottostanti strati di ghiaccio ed intersecato da crepacci delle pi diverse dimensioni. In figura C10-05 mostrato il bacino collettore del ghiacciaio Venerocolo nel gruppo dell'Adamello; questa zona situata al di sopra del limite delle nevi persistenti. Il ghiacciaio formato da materiale plastico,
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una via di mezzo tra lo stato solido e lo stato liquido, che scorre sul fondo del terreno; come gi detto la velocit con cui si muove variabile: ad esempio la Mer de Glace situata nel versante nord del gruppo del Monte Bianco si muove di 20-25 cm al giorno. Anche lo spessore assai variabile andando da 3000 m della Groenlandia al centinaio di metri delle Alpi. Sulla superficie di questa massa di ghiaccio si trova una crosta la cui altezza pu raggiungere anche i 50-60 m che si presenta pi dura e fragile dello strato sottostante. Quando la crosta sottoposta ad eccessive trazioni e compressioni si spezza e si frattura dando origine alle crepacce terminali, a crepacci e a seracchi. Il crepaccio situato pi in alto quello comunemente chiamata crepaccia terminale. Essa circonda con pi o meno continuit il bacino collettore e, come illustrato nella figura C10-04, segna il punto dove il ghiaccio cambia nettamente di pendenza. Spesso le terminali rappresentano uno degli ostacoli pi seri per gli alpinisti in quanto, nel loro superamento, si trovano ad affrontare pendenze pi impegnative. I crepacci si formano per le tensioni provocate dalla diversa velocit di deflusso delle varie zone del ghiacciaio e per l'inclinazione del letto su cui scorre il ghiacciaio stesso; essi si trovano sempre nelle stesse zone perch in esse vi la causa che li determina. Si chiamano crepacci trasversali quelli che tagliano per traverso la colata di ghiaccio e sono determinati dallaumento di pendenza del fondo oppure dalla presenza di un gradino roccioso. Si chiamano crepacci longitudinali quelli che si allungano
secondo la direzione di discesa del ghiacciaio e sono causati dal restringimento o dallallargamento della colata tra i fianchi della valle e della lingua frontale dove questa si allarga a ventaglio. Si formano poi crepacci obliqui nelle zone in cui la velocit del filone mediano del ghiacciaio diventa maggiore di quella che si ha ai lati, oppure dove la colata cambia direzione. Sono disposti a spina di pesce convergenti verso il mezzo e verso la valle. Quando la colata glaciale deve superare un brusco salto o dove il fondo roccioso si solleva a dosso, oppure sui pendii ripidi, si aprono crepacci in tutte le direzioni, che danno origine ai seracchi, blocchi di ghiaccio simili a torri o pinnacoli, il cui insieme forma la seraccata, che corrisponde alle cascate dei torrenti. Il nome deriva dalla somiglianza con i blocchi di formaggio tagliati che nel Vallese vengono chiamati Serarchi. In figura C10-06 si vede la seraccata del ghiacciaio di Scerscen Inferiore nel gruppo del Bernina. I seracchi sia su pendii che canaloni possono scaricare valanghe di ghiaccio a tutte le ore del giorno e della notte e in qualsiasi stagione. Indizio sicuro di questo pericolo sono i pezzi di ghiaccio sparsi sul nevaio e i solchi che questi frammenti scavano nella neve. Lungo gli orli del ghiacciaio, dove questo a contatto con pareti rocciose e non vi siano morene sovrapposte, si trova il crepaccio periferico; esso prodotto dalla differente temperatura della roccia rispetto al ghiaccio e quindi della accentuata fusione e pu presentare un distacco spesso notevole e talora alpinistica-
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C10-06 Seracchi
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C10-08 Morena
mente arduo da superare. Il crepaccio periferico, costituito da una parete di ghiaccio e da una parete di roccia, non va confuso con la crepaccia terminale la quale invece formata interamente da ambo le parti di ghiaccio. Sul fronte del ghiacciaio le acque derivanti dalla fusione penetrano attraverso i crepacci all'interno del ghiacciaio e raggiungono il fondo roccioso. Escono poi dalla fronte in forma di torrente da una apertura detta porta o bocca del ghiacciaio. Dotati come sono di movimento, i ghiacciai spazzano le montagne dal detrito precipitato dalle pareti che li circondano per effetto del gelo o di frane, trasportandolo a valle e abbandonandolo dove essi progressivamente si esauriscono fino a diventare torrenti dando cos origine alle morene; inoltre modellano e scavano il fondo roccioso e i fianchi tra cui la colata scorre producendo in questo modo una escavazione. Il detrito morenico, dovuto principalmente al disfacimento delle pareti che incombono sul ghiacciaio, emerge in modo sparso nel bacino ablatore oppure sotto forma di cordoni laterali che accompagnano lungo i fianchi la colata glaciale. Questi cordoni, sollevati talora di molti metri sulla superficie del ghiacciaio, non sono totalmente costituiti di detriti; la superficie morenica ma la struttura portante di ghiaccio vivo. importante tenere presente questo fenomeno per evitare pericolose scivolate sui cordoni di ghiaccio scuro mascherati dal fine detrito roccioso. Spesso le morene sono usate per accedere alle parti alte del ghiacciaio per bisogna fare atten-
Scelta dellitinerario
In genere le carte topografiche riportano le aree crepacciate e le zone dei seracchi e spesso anche le guide alpinistiche forniscono indicazioni sui percorsi pi sicuri e da quale lato sia pi conveniente entrare sul ghiacciaio. Si tenga per presente che i ghiacciai, essendo strutture in movimento, cambiano la loro conformazione col passare degli anni; se la carta non recente, si pu incorrere in spiacevoli sorprese. Una buona conoscenza della zona, un'ottima esperienza su terreno d'alta montagna, la capacit di valutare le condizioni della neve, il periodo stagionale favorevole, sono tutti fattori che concorrono a diminuire sino ad annullare la pericolosit di un tratto di ghiacciaio crepacciato. Non bisogna mai confidare solamente sulle probabilit di trovare una traccia precostituita. necessario innanzi tutto individuare il percorso sulla cartina, avvalendosi di relazioni oppure dei consigli di coloro che hanno gi praticato la traversata (gestori dei rifugi, alpinisti, guide, ecc..). In una zona del tutto sconosciuta risultano molto utili i sopralluoghi, tenendo presente che, per consentire lattacco delle vie alle prime ore del mattino, nella maggioranza dei casi l attraversamento dei ghiacciai si effettua nelle ore notturne. Le zone crepacciate si possono individuare ed evitare soprattutto osservandole da un punto distante, possibilmente situato in alto. A questo proposito si tenga presente che i crepacci e le seraccate non sono unicamente un
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pericolo, ma possono costituire un ostacolo naturale insuperabile. Lo strato di neve che copre la superficie del ghiacciaio varia con la stagione: massima in inverno e in primavera mentre man mano che lestate avanza diminuisce e raggiunge il livello minimo all inizio dellautunno. Il ghiacciaio si dice secco quando la superficie priva di neve. In questi casi i crepacci sono ben visibili ed evitabili. Viceversa se il ghiacciaio ricoperto di neve si dice che umido. I crepacci sono pi pericolosi all'inizio dell'inverno, mentre in primavera e in estate, quando la neve ben trasformata e indurita, i ponti che li ricoprono sono pi resistenti. Il pericolo si accentua sia dopo una nevicata, soprattutto se accompagnata dal vento che livella le asperit nascondendo l'andamento dei crepacci, che a primavera inoltrata con l'aumento pomeridiano della temperatura, che riduce la consistenza dei ponti di neve.
tone va appeso allimbracatura. Una volta legati alla corda la longe va tolta. Ci sono delle situazioni in cui il problema di quando legarsi non si pone: ad esempio in estate la classica traversata della Valle Blanche dal
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Il momento di legarsi e il modo di formare la cordata dipendono da numerosi fattori che sinteticamente illustriamo nella tabella: 1 Superficie del giaccio 2 Condizioni oggettive del ghiacciaio 3 Tipologia del percorso 4 Numero di elementi che compongono la cordata 5 Abilit alpinistiche dei componenti la cordata 6 Materiale tecnico a disposizione 7 Livello di conoscenza delle manovre di autosoccorso
Secco se ghiaccio vivo Umido se ricoperto di neve Poco tormentato Molto tormentato In salita In piano In discesa Due componenti Tre componenti Esperti Principianti N corde N piccozze Chiodi da ghiaccio Buona Scarsa o nulla
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Rifugio Torino al Rifugio des Cosmiques richiede che ci si leghi appena fuori dal rifugio. Il medesimo tragitto compiuto con gli sci nella stagione primaverile richiede sicuramente luso dellimbracatura ma spesso non esige la formazione della cordata. Una volta deciso di legarsi bisogna considerare che si opera in condizioni di maggiore difficolt quando si verificano le seguenti situazioni: a) il ghiacciaio risulta ricoperto di neve dura o fresca b) il ghiacciaio presenta numerosi crepacci c) il percorso ha dei tratti in discesa in zone crepacciate d) non tutti i componenti della cordata possiedono abilit alpinistiche idonee ad affrontare una situazione di emergenza e risultano carenti per quanto concerne le manovre di autosoccorso e) il numero dei componenti ed il materiale a disposizione minimale (2 soli componenti e una sola corda). comunque importante scegliere un posto dove effettuare la formazione della cordata sicuro da pericoli. La valutazione responsabile delle varie situazioni che si perfeziona attraverso lesperienza, e che soprattutto nella gestione di gruppi numerosi deve ispirarsi alla prudenza, detta di volta in volta il comportamento da seguire.
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7. nel caso in cui si disponga di due corde sar opportuno che la seconda corda sia affidata allultimo di cordata.
Terzo di cordata 378
Cordata a tre
Secondo di cordata Primo di cordata
met corda 10 m 10 m
2 Nodi a palla 3m 4m 3m
Secondo
Cordata a due
cordino da ghiacciaio
Primo
barcaiolo barcaiolo prusik 10 m minimo 5 mt met corda 2 Nodi a palla 3m C10-17 Cordata a due media 4m Nodi a palla 3m 1 prusik 5 mt
Modalit di legatura
Sia che la progressione su ghiacciaio avvenga a piedi che con gli sci si utilizza l'imbracatura bassa e il sistema di legatura uguale. 1. Sia nella legatura a due che in quella a tre si privilegiato un sistema che consenta a ciascun componente di poter effettuare qualsiasi manovra di soccorso e si adottata una distanza tra i componenti pari a 10 metri; poich alcune manovre richiedono un quantitativo di corda libera pari al doppio della distanza di collegamento necessario disporre di una corda semplice o mezza corda lunga almeno 50 metri. 2. In alcune situazioni 10 metri una distanza molto esigua per garantire la tenuta del compagno caduto ed logico che nei tratti del percorso ritenuti pi pericolosi questa distanza sia aumentata anche a scapito delle riduzione delle possibilit di manovre effettuabili. In questo caso la corda eccedente (conservare almeno 5 metri per effettuare eventuali recuperi) bene che sia tenuta da chi sta dietro, poich questi ha pi probabilit di rimanere fuori dal crepaccio. 3. Il primo e lultimo di cordata si collegano alla corda (10 metri tra componenti) mediante un nodo barcaiolo realizzato su un moschettone con ghiera che va collegato allanello di servizio della imbracatura: il nodo barcaiolo consente di modificare velocemente la lunghezza della corda rimanendo sempre assicurati ad essa. Da notare inoltre che la connessione allanello di servizio consente di abbassare il punto di applicazione dello strappo e quindi aumentare la capacit di trattenuta. 4. Nella cordata a tre il secondo si lega a met corda realizzando un nodo delle guide con fri-
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La corda eccedente va posta a tracolla e bloccata con unasola semplice (vedi figura C10-24) oppure pu essere posizionata sotto la patella dello zaino o anche inserita in un sacchetto contenuto nella parte alta dello zaino.
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Corda di cordata
zione conservando una asola lunga circa 50 cm che viene collegata allimbracatura tramite moschettone con ghiera e nodo barcaiolo. Lasola distanziatrice consente che in caso di caduta del primo di cordata possa intervenire anche il terzo componente per aiutare nella trattenuta mentre il nodo barcaiolo evita il movimento dellasola allinterno del moschettone. 5. Il primo e lultimo componente della cordata si legano anche le estremit della corda, con un otto infilato direttamente allimbracatura: ci consente di riutilizzare velocemente la lunghezza completa della corda restando sempre assicurati. La corda eccedente va infilata sotto la patella dello zaino oppure va avvolta ad anelli aderenti al corpo, avendo cura che il ramo che va al nodo barcaiolo non sia lasco. Anche nella progressione con gli sci si collegano le estremit libere della corda allimbracatura, perch in caso di dover soccorrere un compagno caduto in un crepaccio si gi legati e pronti a muoversi e predisporre la sosta per il recupero. 6. Procedendo in cordata si tiene sempre la corda tesa. 7. buona norma che ogni componente di una cordata abbia a disposizione almeno due chiodi da ghiaccio. Ci consentir, a chi caduto in un crepaccio, di auto bloccarsi e facilitare il compagno nella predisposizione di opportuni punti di ancoraggio e a chi rimasto fuori di predisporre un buon ancoraggio.
60 +70 cm
Cordino da ghiacciaio
Ciascun componente realizza sulla corda un nodo prusik mediante anello di cordino (lungo 3,20/3,50 m; nylon con diametro di 7 mm;
oppure kevlar o dyneema) congiungendo i capi tramite asola di bloccaggio e nodo di sicurezza. Questo cordino, che durante la marcia non si impugna e viene fatto passare sotto una fettuccia dellimbracatura, serve per le seguenti manovre: a)per ancorare e bloccare il compagno caduto in un crepaccio, infilando nell'anello di corda gli sci, i bastoncini, o la piccozza. Questo sistema permette di svincolarsi dalla corda di cordata, dopo essersi accertati che l'ancoraggio prescelto rappresenti di per se stesso un sostegno di assoluta garanzia b) per bilanciarsi con la mano, mentre il corpo tutto proteso in avanti durante il sondaggio dei crepacci c) nel caso di caduta in un crepaccio: con la semplice aggiunta di un anello di corda, questo prusik posto davanti al nodo di cordata permette di scaricare immediatamente il peso del corpo infilandovi un piede. Nelle figure a lato illustrata la sequenza per realizzare il cordino da ghiacciaio.
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Nodi a palla
Lo scopo dei nodi a palla (nodo delle guide con frizione ripassato), realizzati sulla corda di cordata durante la progressione su ghiacciaio, (generalmente due nodi alla distanza di 3-4 metri) quello di frenare e successivamente bloccare lo scorrimento della corda sul bordo del crepaccio in un eventuale caduta nello stesso. Luso dei nodi a palla raccomandato in particolare su ghiacciaio innevato quando lindividuazione dei crepacci risulta pi difficoltosa e il nodo tende ad incastrarsi sul bordo del crepaccio. In caso di ghiacciaio secco o con
C10-21 Cordino da ghiacciaio 3
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superfici gelate non conviene adottare il nodo a palla: infatti, in situazione di caduta, la corda di cordata scava un solco sul bordo del crepaccio e ci produce un certo attrito che rallenta la corsa; viceversa il nodo a palla tende a far fuoriuscire la corda dal solco e quindi non favorisce il bloccaggio della corda.
Con corde semplici oppure con mezze corde e cordata senza sci procedere fino al punto C. Il nodo richiede circa 80 cm. In cordata con sci e con mezze corde prevedere un avvolgimento in pi in modo da aumentare le dimensioni del nodo, procedendo fino al punto E. Il nodo con un altro giro richiede circa 100 cm.
C10-23 Nodo a palla Corde semplici punti: ABC Mezze Corde punti: ABCDE
corda viene tenuta a mano rovesciata (palmo rivolto verso il basso e pollice verso se stessi); questo accorgimento ha lo scopo di preavvisare che imminente la scivolata del compagno e quindi prepara colui che deve trattenere la caduta.
La marcia su ghiacciaio
Si traccia la pista cercando di seguire le zone meno crepacciate (anche quando il ghiacciaio appare uniformemente coperto di neve e privo di crepacci). Le morene laterali, quando siano percorribili, sono sicure e in caso di nebbia impediscono di smarrire la direzione. I bruschi rigonfiamenti che sono la causa della formazione di molti crepacci vanno evitati; bisogna per tenere presente che, nelle zone convesse, i crepacci sono in genere evidenti, mentre nelle zone concave possono costituire una vera trappola. Crepacci quasi insignificanti all'occhio si estendono in profondit con sezione a campana. Durante l'escursione bisogna seguire la via pi sicura, anche se talvolta obbliga a un percorso complicato e tortuoso. Si parte presto la mattina per trovare i ponti di neve gelati. Le tracce preesistenti non devono essere mai seguite alla cieca. Solo l'esperienza permette di intuire l'esistenza e l'orientamento dei crepacci in base alla struttura del ghiacciaio. I crepacci nascosti si distinguono sovente grazie alle strisce di neve portata dal vento,pi candida della neve circostante; oppure grazie a strisce di neve opaca, a leggeri avvallamenti, a un accenno di gradino, a sottili
C10-25 Crepaccio a V
spaccature nella neve. Le aperture laterali visibili possono indicare la direzione in cui continua un crepaccio. Durante il percorso bisogna, nei limiti del possibile, mantenere una direzione perpendicolare a quella degli eventuali crepacci. Anche un ghiacciaio dall'apparenza innocua pu nascondere gravi insidie, perch non sempre i crepacci sono facilmente identificabili in superficie. Un ghiacciaio senza neve presenta pochi pericoli perch tutti i crepacci che lo solcano sono evidenti; in genere, per, quanto pi si sale di quota, tanto pi il manto nevoso tende a nasconderli. Si tenga presente che il vento pu formare sottili ponti di neve (di pochi centimetri di spessore) su crepacci larghi fino a un metro. Nel percorrere un ghiacciaio in queste condizioni pericolose si procede con la massima circospezione sondando spesso il terreno con i bastoncini oppure con la piccozza e a volte assicurati; risulta utile a colui che sonda tenere il cordino prusik in mano.
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Movimento con gli sci su ghiacciaio Progressione con gli sci da slegati
Con il ghiacciaio ricoperto di neve e con gli sci ai piedi diminuiscono le probabilit di sprofondare in un crepaccio. Durante le soste su ghiacciaio si devono mantenere le distanze di sicurezza fra uno sciatore e l'altro per non rischiare di sollecitare un ponte con il peso di pi persone. Inoltre non si tolgono mai gli sci. Ogni volta che sia necessario compiere un'operazione sugli sci (per esempio, mettere o togliere le pelli, sciolinare, ecc.), si toglie uno sci solo alla volta. Quando le condizioni del ghiacciaio permettono di scendere non in cordata, traccia la pista chi ha la maggiore esperienza. L'apripista cerca, con gli stessi criteri adottati in salita, un itinerario sicuro (se possibile quello gi esplorato durante la salita), evita movimenti bruschi e cadute, presta la massima attenzione ai crepacci e segnala ai compagni i punti pericolosi e quelli sicuri per le fermate. Gli altri sciatori seguono esattamente le tracce del primo, a debita distanza per potersi fermare con sicurezza in qualsiasi momento. L'ultimo porta la corda. I ponti di neve vengono passati, secondo le circostanze, in posizione di spazzaneve, allo scopo di ripartire meglio il peso, oppure (su terreno facile) in velocit, per fermarsi oltre il crepaccio in un posto sicuro (con slittamenti alternati alla diagonale). Si tenga presente che in discesa difficilmente uno sciatore finisce in un crepaccio mentre in movimento (a patto che esegua le curve dolcemente e faccia attenzione al terreno). I momenti pi pericolosi sono le cadute e gli arresti (evi-
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tare le prime dunque di fondamentale importanza). Quando ci si ferma, si sceglie una zona sicura, si frena in maniera non brusca, ci si arresta sempre a monte dell'apripista (che potrebbe essersi fermato proprio sul margine di una zona pericolosa).
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sono gli unici non pericolosi). In caso di neve fresca e mancando ogni riferimento o indizio per identificare la presumibile direzione dei crepacci, oppure quando si ha il timore di procedere lungo l'asse longitudinale di un crepaccio, preferibile adottare una progressione pi faticosa, in cui il primo e il terzo componente della cordata seguono la stessa traccia, mentre il secondo procede su una pista diversa e parallela al senso di marcia.
dal vento) o neve marcia. Si pu valutare invece di non scendere in cordata su neve dura trasformata, oppure su ghiacciai con pochi crepacci, specialmente negli inverni con molta neve e se ben conosciuti in condizioni estive. Come in salita, anche in discesa durante le soste si mantengono le opportune distanze e non si tolgono mai gli sci (se necessario, uno solo alla volta). Prima di affrontare l'argomento della discesa in cordata si ricorda che l'impiego di questa tecnica ha senso solo se si rispettano due principi fondamentali: velocit ridottissima e uso delle tecniche alpinistiche di assicurazione nei punti ritenuti pericolosi. La discesa in cordata (possibilmente cordata di tre persone) si effettua normalmente in fila indiana; gli sciatori possono scendere disassati se si teme la presenza di crepacci paralleli alla direzione di discesa. In questo caso importante tracciare almeno due piste diverse per evitare di correre il rischio di cadere nello stesso crepaccio: il primo e il terzo scendono nella stessa traccia, il secondo segue una pista indipendente e parallela alla prima. Scendendo in cordata, si rinuncia ovviamente al piacere della discesa in favore della sicurezza. Per evitare cadute e per non essere trascinati dal compagno che sprofonda in un crepaccio, quanto pi difficile il terreno, tanto pi lento deve essere il movimento della cordata. La corda deve restare leggermente tesa fra i singoli componenti della cordata. Per ultimo scende lo sciatore alpinista pi esperto, che a voce pu guidare nella scelta
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dell'itinerario il compagno che scende per primo. Il primo sciatore tiene i bastoncini in mano,mentre gli altri, per non essere ostacolati nel maneggiare la corda, li infilano, con le rotelle in su, nello zaino. Su neve dura tengono in mano la piccozza. Se non vi sono crepacci visibili e lo spazio sufficiente, su segnale a voce o con bastoncino del primo, i componenti della cordata curvano contemporaneamente. Su terreno difficile e zona crepacciata,tutti scendono e voltano nella traccia del primo. Per evitare di calpestarla e danneggiarla con le lamine degli sci,bisogna tenere la corda sollevata con la mano che si trova all'esterno della curva. Per ripartire meglio il peso del corpo si gira a spazzaneve o con virate oppure con lapertura di coda dello sci a monte. Anche un dietro front preferibile a una curva brusca o con cattivo controllo degli sci. Su neve chi sprofonda improvvisamente in un crepaccio viene trattenuto dal compagno che mette gli sci di traverso per non venire trascinato, o si butta a terra facendo opposizione con il peso del corpo. Dopo avere arrestato la caduta occorre ancorare la corda con l'anello prusik infilandovi la piccozza, i bastoni (affondati con la manopola in gi) o gli sci (infilati di coda sino all'attacco); quando lo strato di neve non ha spessore sufficiente, nel ghiaccio sottostante si fissa la corda a un chiodo a vite o alla piccozza. Dopo avere ancorato il compagno necessario svincolarsi dalla corda di cordata per procedere alle manovre di recupero. Nelle cordate di pi di due sciatori alpinisti compito di un altro
componente trovare un ancoraggio sicuro, mentre chi ha bloccato la caduta trattiene il compagno, appeso nel crepaccio, con le sue forze. Gli accorgimenti sin qui descritti servono a evitare conseguenze gravi e fatali a uno o pi componenti della cordata qualora ceda improvvisamente un ponte di neve non individuato.
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dioso. In caso di scivolata la sollecitazione si trasmette in linea con il secondo e il terzo garantendo cos una buona tenuta. Nella figura C10-36 le condizioni richiedono di realizzare un ancoraggio con gli sci e assicurare con mezzo barcaiolo il capocordata che sta saggiando la tenuta di un ponte di neve.
lati al terreno da opportune soste. Questa progressione tiro per tiro poco consigliabile, a meno che uno dei compagni non abbia esperienza o sia infortunato o non si senta bene. Su questi terreni facili i componenti della cordata potrebbero slegarsi e procedere indipendentemente; questa soluzione che da un lato buona perch permette un notevole risparmio di tempo anche potenzialmente pericolosa perch un appiglio che cede, linciampo su un rampone, lessere colpiti da un sasso possono causare la perdita d equilibrio e una possibile caduta impossibile da trattenere. Solo raramente, quando i membri della cordata hanno elevata esperienza,medesime capacit ed un alto margine di sicurezza rispetto alle difficolt che devono superare, il procedere slegati pu risultare un rischio accettabile; nella maggior parte dei casi il pericolo a cui si espone la cordata viaggiando slegata non giustifica la riduzione dei tempi e leliminazione dei fastidi prodotti dalluso della corda. Il miglior sistema resta dunque la progressione in conserva che prevede la legatura in cordata, senza ladozione delle normali procedure di assicurazione e che tuttavia richiede molta esperienza, attenzione e decisione da parte dei componenti e soprattutto del pi esperto se nella cordata vi sono elementi che presentano una netta differenza di competenza. Ci sono due aspetti importanti che devono essere valutati di volta in volta dalla persona pi esperta. Il primo elemento costituito dalla grande variet di situazioni offerte dal terreno che necessitano la conoscenza di un
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gran numero di tecniche non sempre facili da gestire. Il secondo elemento da considerare costituito dal fatto che il vincolo tra cordata e la montagna realizzato dai componenti la cordata stessa, mancando spesso ancoraggi naturali e chiodi, cio ogni persona svolge contemporaneamente il ruolo di colui che assicura e di chi viene assicurato; lerrore di un componente si ripercuote subito sullintera cordata e le conseguenze negative potrebbero essere elevate. La persona pi esperta deve quindi saper adottare in qualsiasi momento le scelte necessarie a garantire la sicurezza applicando le tecniche pi opportune sia in base al terreno che alle condizioni psicofisiche della cordata; infatti a condizionare landatura e il tipo di progressione sar sempre il pi debole. Inoltre anche laspetto psicologico non va sottovalutato, soprattutto quando fra i componenti vi una netta differenza di esperienza: lalpinista esperto deve saper capire, anche su terreni facili, quando meglio legare alla corda una persona inesperta oppure stanca: oltre a fornire una sicurezza psicologica si produrr una velocit di progressione maggiore.
Indicazioni e suggerimenti
Prima di descrivere le varie tipologie di assicurazione adottabili nella progressione in conserva, riportiamo una serie di raccomandazioni frutto di anni di frequentazione della montagna. La corda tra due alpinisti deve stare sempre tesa; se essa rimane lasca e si trascina sul suolo, in molti casi minacciata la sicurezza della cordata.
Con corda tesa la caduta arrestata immediatamente per il fatto che essa quasi inesistente. Viceversa con corda lasca il colpo che si riceve dalla persona che cade e che acquista velocit tale da rendere assai difficile larresto. Si deve sempre cercare,per quanto possibile,di mantenere sempre il contatto visivo tra i componenti della cordata. In presenza di neve soffice bisogna assestare pi volte la neve con lo scarpone in modo da produrre una base stabile che non si sgretoli una volta caricata con il proprio peso: ci riduce il rischio di perdere lequilibrio e garantisce maggiore sicurezza sia individuale che alla cordata. Si consiglia, finch la pendenza e le proprie capacit lo consentono, di scendere con la faccia a valle perch si ha una visione dinsieme della discesa che permette di scegliere litinerario migliore; viceversa scendendo con la faccia a monte la vista pi limitata e spesso per capire dove si vuole andare bisogna prima sporgersi per esaminare la discesa e poi raccogliersi nuovamente per proseguire. Al ritorno di una salita, durante lattraversamento del ghiacciaio, bisogna mantenere sempre alta lattenzione e addirittura, in certe zone dove al mattino presto si era transitati senza corda, ora necessario legarsi in cordata. Infatti nella tarda mattinata e nel pomeriggio il ghiacciaio, oltre a essere crepacciato quanto landata, non garantisce pi la stabilit di certi ponti di neve a causa dellazione di riscaldamento del sole. importante continuare la marcia assicurati rispettando la distanza e la corda tesa; ci non sempre facile perch la salita terminata
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e si tende ad avvicinarsi al compagno per parlare un po e fare nuovi progetti. Se non si sicuri di poter praticare questo tipo di assicurazione mobile meglio procedere realizzando soste e tiri di corda.
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2. raggiunti i 5 m di distanza tra due componenti fissare la corda allanello di servizio tramite moschettone a ghiera e nodo barcaiolo; disporre la corda rimanente a tracolla e fissarla mediante il nodo bulino con bretella. Nella cordata a tre il 2 (la persona meno esperta) si lega alla met della corda con nodo barcaiolo allanello di servizio tramite moschettone con ghiera 3. il capocordata tiene 3-4 asole aperte in mano di lunghezza decrescente con la accortezza che la corda che va al compagno esca dalla mano in direzione del compagno. Nella cordata a tre anche il 3 tiene su una mano le asole di corda. 4. la corda deve essere tesa e la distanza effettiva tra due alpinisti circa 2 m; si tratta quindi di un tratto molto corto che permette la marcia senza toccarsi e soprattutto consente di sentire subito il tentativo di scivolata del compagno e quindi limmediato intervento 5. non si realizzano i nodi a palla e nemmeno il cordino prusik sulla corda 6. il pi esperto procede da primo in salita e nei traversi e da ultimo in discesa 7. se il percorso segue un tratto diagonale fianco al pendio gli alpinisti tengono la corda nella mano a valle e la piccozza in quella a monte con la dragonne ben stretta al polso.
primo di cordata
al secondo che segue dietro 397 C10-39 Asole per secondo dietro
terzo di cordata
secondo di cordata
2 m (legatura a 5 m) 398 met corda C10-41 Conserva corta a due Conserva corta a tre terzo di cordata primo di cordata
secondo di cordata
2m
met corda
2m
legatura a 5 m
La progressione in conserva corta si basa sul principio di arrestare la scivolata prima ancora che inizi. Per questo motivo tra i componenti della cordata la corda deve rimanere il pi tesa possibile. fondamentale che il capocordata, soprattutto nella cordata a due, tenga sempre sotto controllo il movimento del compagno: infatti in caso di scivolata di questultimo bisogna reagire immediatamente per avere buone possibilit di arrestare la caduta. Viceversa con corda lasca, a causa della velocit acquistata dalla persona, la trattenuta diventa molto difficile se non impossibile. La figura C10-43 mostra una discesa nella quale il capocordata si trova pi a monte e con-
trolla la progressione del meno esperto. In caso di scivolata del primo lintervento immediato. Invece nella figura C10-45 si osserva cosa pu capitare se la corda rimane lasca. In questo caso i due hanno risposto prontamente ed entrambi sono in posizione corretta per poter arrestare la scivolata.
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pi sicura di quella a due; valutiamo alcune situazioni in fase di salita o di traverso: a) la scivolata del meno esperto, posizionato al centro, sebbene venga osservata da chi procede dietro, richiede comunque di essere segnalata da colui che cade, per dar modo al primo di reagire prontamente b) nel caso dovessero scivolare il terzo o il primo, i quali tengono in mano gli anelli, la capacit di trattenuta offerta da due persone comunque superiore al caso di caduta del pi esperto in una cordata a due. Va comunque ribadita limportanza di valutare la pericolosit del percorso e le conseguenze di una scivolata collettiva; in caso di dubbio meglio affrontare dei singoli tratti di itinerario applicando le tecniche usuali di assicurazione in parete.
la. Nella cordata a tre il 2 (la persona meno esperta) si lega alla met della corda con nodo barcaiolo su moschettone con ghiera allanello di servizio; tenere 10 m +10 m di distanza e la corda rimanente va posta dal 1 e dal 3 a tracolla. Si utilizza il medesimo sistema di legatura adottato nella conserva corta, con la differenza che si allunga la distanza tra i componenti e non si usano i nodi a palla.
otto infilato barcaiolo barcaiolo barcaiolo corda a tracolla corda a tracolla 10 m 10 m
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3. Con mezza corda consuetudine usarla singola anche se in questa situazione consigliabile raddoppiarla. In ogni caso si dovr saper valutare volta per volta il terreno in quanto, in caso di volo di uno dei componenti, se la corda si dovesse impigliare attorno ad uno spuntone si creerebbe una situazione di corda bloccata: la mezza corda non avrebbe la capacit di sopportare questo tipo di caduta (per ulteriori dettagli vedere il capitolo 4). Nella cordata a due si adotta la stessa legatura del caso con corda semplice: 10 m di distanza, nodo barcaiolo su moschettone con ghiera collegato allanello di servizio dellimbracatura e corda rimanente a tracolla per entrambi.
bulino
conserva su cresta cordata a due con mezza corda barcaiolo bulino barcaiolo
Nella cordata a tre disponendo di una mezza corda lunga 50 m si realizza una cordata a V rovesciata: il capocordata si lega allimbracatura a circa met corda con bulino, raccoglie a tracolla circa 10 metri di corda e blocca i due rami con due barcaioli allanello di servizio.
12 m 2 1 barcaiolo otto infilato 3 otto infilato corda a tracolla 10 m C10-55 Conserva media a tre su cresta con mezza corda 2 barcaiolo bulino
I secondi si legano alle rispettive estremit con nodo a otto infilato avendo laccortezza di restare in posizione sfalsata in modo da evitare
interferenze durante la progressione. 4. Non si tengono asole di corda in mano. 5. Il pi esperto procede da primo in salita e nei traversi e da ultimo in discesa. 6. La corda non deve rimanere lasca e viene fatta passare intorno a lame e spuntoni perch questi aumentano la possibilit di trattenere eventuali cadute. a volte opportuno che il capocordata posizioni dei rinvii sfruttando gli ancoraggi naturali; in tal caso da prevedere dei punti di ricongiungimento della cordata per la riconsegna del materiale al primo. In caso di brevi passaggi tecnici pu essere adottata una sicura a spalla o una sosta veloce (cordino attorno a spuntone e mezzo barcaiolo). Si ribadisce limportanza di controllare la bont degli ancoraggi naturali perch a volte su basse difficolt si possono trovare blocchi o lame instabili. 7. Su terreno di misto a volte per superare un passaggio bisogna impegnare entrambe le mani: in tal caso la piccozza deve essere facilmente disponibile e comunque assicurata con un cordino. Essa pu essere posta sullo spallaccio oppure tenuta su un fianco sfruttando il porta-materiale dellimbracatura. 8. Se si dovesse verificare la caduta di un componente della cordata mentre si percorre il filo di cresta, bisogna aver fiducia nelle proprie capacit di trattenere il compagno e spostarsi velocemente sul versante opposto per controbilanciare il volo.
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5. Il pi esperto procede da primo in salita e nei traversi e da ultimo in discesa. 6. Il primo deve predisporre delle protezioni intermedie (viti da ghiaccio, chiodi, anelli di cordino su spuntoni e lame, nut e friend,...) che vengono recuperati dai secondi durante la progressione in conserva. bene avere sempre almeno due punti intermedi tra il capocordata e gli altri componenti: infatti nel caso di caduta del primo la sicurezza della cordata riposta nella tenuta delle protezioni intermedie la cui sollecitazione potrebbe essere molto forte. A questo proposito va sottolineato che su pendii innevati anche di modesta inclinazione (dai 30 in avanti) e a maggior ragione su tratti ghiacciati un corpo che cade produce uno scarso attrito sulla superficie e acquista in breve tempo alta velocit ed elevata energia cinetica. Si ribadisce limportanza di controllare la bont degli ancoraggi naturali. 7. Quando il primo di cordata prossimo a terminare il materiale deve predisporre una sosta e recuperare i compagni. Una volta ripreso il materiale il capocordata ricomincia la progressione e riprende la posa delle varie protezioni. 8. Se la cordata percorre il filo di una cresta rocciosa sarebbe opportuno collocare la protezione su un lato, poi spostarsi sullaltro e posizionare la successiva protezione: i rinvii vengono cos collocati in modo sfalsato. Se invece la cordata si muove lungo un canale pi probabile incontrare ancoraggi naturali su un lato. 9. Per cordate sufficientemente esperte pu risultare utile limpiego di un bloccante mecca-
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C10-57 Conserva lunga a due salita Nella figura C10-57 si osserva il primo di cordata che ha posizionato due rinvii; nella figura C10-58 egli sta approntando la sosta ed provvisoriamente assicurato ai due attrezzi
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C10-59 Tibloc
nico, che, posto in corrispondenza di un rinvio intermedio consente alla corda di muoversi solo in un verso: cos utilizzato lautobloccante trattiene leventuale scivolata del secondo di cordata senza coinvolgere il primo. Viceversa il volo del capocordata trattenuto dalla presenza di un rinvio e dallazione del secondo mentre il bloccante non interessato. A questo scopo viene utilizzato il tibloc, un bloccante unidirezionale della Petzl, che pu essere impiegato anche come risalitore, oppure per realizzare un paranco di recupero. Il tibloc un bloccante statico che funziona su corde aventi diametri compresi da 8 a 11 mm. Esso non progettato per trattenere forti cadute infati esercitando sul dispositivo una sollecitazione di 400 daN (400 kg forza) i dentini tranciano la corda (fattore di caduta = 1). Applicando invece una forza non superiore a 300 daN la camicia si segna ma la corda non si rompe: questa situazione si manifesta quando la corda non tesa e presenta un lasco di 50 cm (fattore di caduta = 0,5). Nella figura C10-62 il tibloc montato su un rinvio ed ha un orientamento tale da impedire lo scorrimento della corda verso il basso. Nella figura C10-61 si pu osservare meglio il particolare. La progressione in conserva prevede che i componenti della cordata si muovano contemporaneamente; il primo di cordata posiziona i rinvii e il compagno che segue man mano che sale li raccoglie. importante che il secondo mantenga la corda tesa e non consenta laschi superiori a mezzo metro, perch altrimenti, in caso di sci-
volata, si produrrebbero gravi lesioni alla corda e ripercussioni sulla sicurezza della cordata. Se il primo di cordata dovesse cadere, il tibloc non interviene e il rinvio svolge il normale compito di protezione (vedi figura C10-63). Con una cordata a due, composta da alpinisti di buone capacit e di pari livello, che si muove su un pendio di neve o ghiaccio facile e che dispone di 2 bloccanti si propone la seguente progressione: a) il capocordata posiziona dei rinvii intermedi e una volta arrivato alla fine della prima lunghezza di corda, colloca un chiodo da ghiaccio e vi collega un tibloc b) la cordata prosegue in contemporanea a corda distesa e quando il secondo giunge al rinvio con tibloc, il capocordata pianta un chiodo e inserisce un secondo tibloc, successivamente il secondo toglie chiodo e il primo tibloc e quindi la cordata riprende il movimento in conserva c) alla fine della terza lunghezza, terminati i tibloc e considerando comunque che saranno state posizionate 5-8 protezioni, si realizza una sosta nella quale si ricongiunge la cordata e si consegna il materiale al capocordata d) bisogna far notare che con luso dei tibloc il secondo non pu scendere, perch il bloccante impedisce alla corda di muoversi verso il basso e quindi egli non deve commettere degli errori di percorso in particolare nei tratti rocciosi.
TIPO DI TERRENO
TIPO DI ASSICURAZIONE
MODALIT DI PROGRESSIONE distanza di legatura 10 m, corda tesa corda eccedente su zaino oppure a tracolla cordino prusik allimbracatura nodi a palla con superficie innevata legatura a 5 m, distanza effettiva 2 m 3-4 asole aperte in mano corda tesa nodo barcaiolo su moschettone con ghiera collegato allanello di servizio della imbracatura e corda rimanente a tracolla il pi esperto procede da primo in salita e nei traversi e da ultimo in discesa legatura a 5 m e corda tesa non si tengono le asole in mano si procede lungo la linea di massima pendenza nodo barcaiolo su moschettone con ghiera collegato allanello di servizio della imbracatura e corda rimanente a tracolla il pi esperto procede da primo in salita e nei traversi e da ultimo in discesa legatura a 10 m, corda tesa non si tengono le asole in mano nodo barcaiolo su moschettone con ghiera collegato allanello di servizio della imbracatura e corda rimanente a tracolla aggirare spuntoni; assicurazioni veloci la mezza corda va usata doppiata corda semplice oppure due mezze corde corda completamente distesa e tesa almeno due protezioni intermedie tra il capocordata e gli altri componenti; quando il primo prossimo a terminare il materiale deve predisporre una sosta e recuperare i compagni utile un bloccante meccanico (tibloc) posto in un rinvio per trattenere il secondo di cordata senza coinvolgere il primo
Ghiaccio
Conserva media
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Terreno facile: pendii nevosi non ripidi, creste nevose e rocciose ampie e con poca pendenza, cenge e gradoni con singoli brevi tratti pi impegnativi (3m) Pendio di neve, privo di crepacci, che possa presentare anche brevi tratti in cui si adoperano le punte avanti dei ramponi
Conserva corta
Conserva corta
Tratti rocciosi e creste che presentano basse difficolt e dove sono presenti spuntoni e lame
Conserva media
Pareti di neve o pendii di ghiaccio facile, creste che presentano tratti con pendii aperti nevosi o ghiacciati oppure successione di gradoni
Conserva lunga
capitolo 11
Manovre di corda
INDICE
Premessa Avvolgimento e trasporto della corda La corda doppia
Generalit Realizzazione della longe per autoassicurazione e corda doppia Corda doppia con discensore e autobloccante Corda doppia con metodo Piaz Corda doppia su Abalakov Corda doppia su fungo di neve o di ghiaccio Corda doppia su neve e ghiaccio con recupero dellancoraggio (piccozze, vite da ghiaccio, sci orizzontali) Allestimento della corda doppia per gruppi numerosi Corda doppia guidata dallalto Corda doppia guidata dal basso
Attrezzatura di passaggi con corda fissa Passaggio delle corde in carico dal tuber alla sosta
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Manovre di corda
PREMESSA
In questo capitolo si prenderanno in considerazione alcune manovre di corda di uso comune nella progressione alpinistica ed unaltra serie che potrebbe risultare utile per realizzare operazioni di sicurezza e di autosoccorso. Nel primo gruppo descriviamo il trasporto della corda e la discesa in corda doppia con laggiunta del recupero degli attrezzi. Nel secondo gruppo illustriamo la risalita della corda con i nodi autobloccanti, l'attrezzatura di passaggi (corda fissa) e loperazione che, nellambito della assicurazione ventrale, consente di passare le corde in carico dal freno tuber alla sosta.
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Un secondo sistema, meno consigliato, chiamato matassa ad anello: si eseguono una serie di anelli sufficientemente ampi da poter essere trasportati a spalla. Con lestremit libera si realizzano dei giri intorno alla matassa e alla fine questa viene bloccata. In questo caso si manifesta lattorcigliamento e il successivo scioglimento potrebbe rivelarsi pi laborioso.(vedi figura C11-02)
LA CORDA DOPPIA
Generalit
una manovra di uso frequente che consente all'alpinista di scendere, affidandosi completamente alla corda, un tratto di parete di lunghezza pari alla met della corda di cui dispone. Un tempo la corda doppia era considerata una manovra eccezionale, per via della scomodit e precariet dei metodi allora in uso e della difficolt pratica di esecuzione. Da alcuni anni, la semplificazione di questa manovra di calata,
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unitamente allintroduzione di attrezzi discensori appositamente realizzati, ha banalizzato loperazione al punto da rendere una consuetudine la discesa con questo metodo, in voga soprattutto sulle vie alpinistiche delle montagne pi frequentate, in prossimit delle quali non raro trovare itinerari con soste appositamente attrezzate per la discesa in corda doppia. Quanto sopra ha portato come conseguenza un innalzamento in termini percentuali del numero di incidenti mortali, perlopi imputabili ad una eccessiva confidenza con la tecnica in questione: cedimento dei punti di ancoraggio, rottura dei cordini, sfilamento delle corde, sono solo alcuni esempi degli incidenti pi frequenti. Una sola disattenzione durante lesecuzione di una calata generalmente non concede possibilit di appello, risultando quasi sempre fatale. Si ritiene pertanto indispensabile che, da un punto di vista organizzativo e di metodo, venga stabilita la sequenza di operazioni sottodescritta, che oltre a risultare utile in chiave didattica, permette di memorizzare e rendere pi rapida e sicura leffettuazione della manovra. Le fasi della manovra sono: 1. messa in opera dellancoraggio di calata 2. predisposizione della corda doppia 3. effettuazione della calata 4. recupero della corda doppia.
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realizzazione di questo tipo di ancoraggio, al quale l'alpinista affida la propria vita, si rimanda allapposita trattazione nel precedente capitolo Ancoraggi. Si raccomanda ancora una volta di verificare attentamente ed eventualmente rinforzare o sostituire chiodi, cordini, fettucce, moschettoni o maillon rapide preesistenti. Il cordino (o fettuccia) di collegamento dellancoraggio deve essere libero da attriti e deve possibilmente sporgere sulla parete in modo che il recupero della corda dal basso possa effettuarsi agevolmente.
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Nodi alle estremit della corda doppia: si consiglia di annodare le estremit con due nodi separati e segnare il capo da tirare. Pregi: le corde si lanciano separatamente e si attorcigliano meno in fase di discesa. Difetti: se non si scioglie il nodo della corda che sale la fase di recupero diventa impossibile fintanto che non si arrivi a scioglierlo risalendo sulla corda recuperata. anche possibile realizzare un unico nodo con i due capi di corda. Pregi: si forma un unico anello e nel caso si inizi accidentalmente a recuperare con il nodo ancora da sciogliere si pu ovviare tirando dallaltro lato. Difetti: si attorcigliano molto di pi le corde durante la discesa e si devono lanciare contemporaneamente le corde. Nota sui nodi: in caso di forte vento o in presenza di situazioni particolari si pu scegliere di evitare i nodi finali, se questi corressero il rischio di bloccarsi in fessure o altro, fuori dalla linea di discesa. d) Si raccoglie la corda in anelli ordinati e la si lancia nel vuoto, orizzontalmente e non verso il basso, in modo che i primi anelli, sotto il peso del nodo, facciano srotolare la corda rapidamente (attenzione in caso di vento a tenere conto della deviazione che pu subire la corda). e) Dopo essersi accertati che la corda sia giunta fino ad un punto di arrivo, ci si predispone per la calata. In caso di terreno con ostacoli (piante o rocce sporgenti) pu convenire scendere con le corde appese allimbracatura, in modo che non si incastrino col lancio.
capo da tirare
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autoassicurer tramite la propria longe sempre prima di togliere discensore e autobloccante, dando poi il segnale di corda libera al compagno successivo. - Se per la discesa si sono giuntate due corde, importante ricordarsi quale delle due da recuperare per evitare che, allatto del recupero, il nodo si incastri nell'ancoraggio: a tal scopo, lultimo componente a scendere potr inserire un moschettone nel ramo da recuperare. - Nel caso le corde tendessero ad intrecciarsi, l'ultimo che scende pu utilizzare un moschettone infilato fra le due corde per tenerle separate.
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attenzione ai nodi
corda
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modo tale da ottenere unasola sfalsata, nella quale verr inserito il moschettone collegato al discensore. Allasola terminale sar infine fissato (nodo barcaiolo) il moschettone a ghiera di autoassicurazione alle soste. Nella corretta posizione di calata, la longe del discensore non deve superare i 30-40 cm, in modo che il discensore stesso si posizioni allaltezza degli occhi. Per effettuare numerose calate pu essere utile bloccare il moschettone di autoassicurazione con un gommino usato nei moschettoni da rinvio.
C11-09 Moschettone e gommino
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autobloccante
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metodo consente di guidare e controllare la discesa facendo scorrere verso il basso, con una mano, lautobloccante durante la calata. fondamentale che il collegamento autobloccante-imbracatura sia pi corto di quello discensore-imbracatura, onde evitare che lautobloccante finisca a contatto con il discensore, perch in questo caso non intervenendo con le mani la corda nel discensore continua a scorrere. quindi importante prima di partire provare il sistema sotto carico e verificare che, senza toccare con la mano lautobloccante, la discesa non possa avvenire. Descriviamo con le foto alcuni tipi di freni. In figura C11-11 la piastrina autobloccante svolge la funzione di freno ed e collegata allimbracatura tramite una daisy chain; lautobloccante machard collegato allanello di servizio. In figura C11-12 il tuber svolge la funzione di
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freno ed collegato allimbracatura tramite una longe costruita con fettuccia precucita; il ramo pi lungo della longe utilizzato come autoassicurazione. Il machard collegato allanello di servizio. In figura C11-13 il robot svolge la funzione di freno ed collegato allimbracatura tramite una daisy chain opportunamente regolata; come di consueto il machard collegato allanello di servizio. In mancanza di un discensore, la discesa in corda doppia pu essere effettuata con un freno-moschettone impiegando preferibilmente moschettoni con ghiera e tenendo le aperture alle estremit e sui lati opposti (vedi figura C11-14 e particolare di figura C11-15). Disponendo di un solo moschettone anche possibile realizzare sulle corde di calata un nodo mezzo barcaiolo, che per determina fastidiosi attorcigliamenti delle stesse.
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Trattandosi di un sistema di calata molto scomodo (forti attriti della corda sullinguine e sulla spalla) e pericoloso, se ne raccomanda leffettuazione solo su terreno poco pendente, ovvero per brevi tratti.
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arrotoli e faccia scorrere la corda con ridotti attriti. Le due corde della doppia sono tenute unite, al disotto del fungo, da un moschettone fissato alla corda che si dovr tirare, con nodo barcaiolo. Vengono infine unite le estremit delle due corde e si segna il capo da tirare.
Nel capitolo 8 dedicato agli ancoraggi stata illustrata la possibilit di realizzare una clessidra di ghiaccio (metodo Abalakov). Una volta individuata una zona di ghiaccio necessariamente compatto, vengono realizzati due fori tramite vite da ghiaccio tubolare, (consigliata la lunghezza di 22 cm) e attraverso la clessidra artificiale viene fatto passare un cordino di calata, che poi verr abbandonato.
puntale un cordino (1). Si pianta la piccozza con il cordino verticalmente nella neve e se ne
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mette una seconda in senso trasversale, collegandole tra loro tramite le dragonne con un moschettone che sar agganciato anche al cordino (1). Si passa il cordino dietro al manico della piccozza trasversale, fissandone laltro capo ad un ramo della corda (precedentemente passata attorno al manico della piccozza verticale) con un nodo bulino, creando unasola chiusa e ampia (2). Sullo stesso ramo di corda avvolto dal cordino viene quindi costruito un nodo delle guide semplice (3), collocato appena a monte del bulino. Si annodano infine i capi terminali della corda con un nodo delle guide con frizione. Ultimata la discesa, baster che l'alpinista tiri il ramo della corda cui legato il cordino per sfilare la piccozza piantata e tutto il materiale ad essa collegato. Nel caso non avesse esito positivo la fuoriuscita degli attrezzi, si recuperer la corda dallaltro capo.
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Vite da ghiaccio. Per il presente sistema di calata sono necessarie condizioni ottimali del ghiaccio. Inoltre si sottolinea che su questo tipo di ancoraggio si caler solo lultimo alpinista della cordata, mentre per gli altri componenti lancoraggio stesso dovr essere rinforzato con materiale che verr recuperato dallultimo prima di calarsi. La vite va inserita nel ghiaccio e va subito estratta, espellendone la carota, inoltre si dovr avvitarla e svitarla pi volte: in questo modo si crea una sede che, pur tenendo salda la vite
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stessa durante la calata, non ne ostacoler il successivo svitamento a distanza. Dopo aver collocato un rinvio preparato sul corpo della vite, si fissa un cordino (diametro 3-5 mm) sullocchiello della stessa tramite un nodo strozzante; si gira quindi il cordino intorno al corpo, tra occhiello e rinvio, nel senso inverso allavvitamento. Il numero di giri del cordino deve superare di almeno tre unit quello dei giri della vite. La corda doppia di calata viene ora collocata nel moschettone a base larga di tipo HMS del rinvio precedentemente fissato alla vite. Lestremit libera del cordino viene quindi avvolta attorno ad un ramo della corda doppia, e fissato con un nodo bulino, creando cos unasolina chiusa e non strozzante. Sullo stesso ramo di corda avvolto dal cordino viene infine costruito un nodo delle guide semplice, collocato appena a monte dellasola di bulino. Si annodano infine i capi terminali della corda con un nodo delle guide con frizioasola ampia e ne e si segna il capo da recuperare. A discesa chiusa con bulino ultimata, baster tirare il ramo della corda sul quale costruito il nodo, per imprimere alla vite un moto rotatorio che la far uscire dalla sede, recuperandola con corda e cordino. Nel caso la vite rimanesse bloccata nella parete possibile recuperare la corda tirando laltro capo. Loperazione agevolata dalla presenza di capo da tirare un moschettone a base larga, attraverso il quale C11-20 Doppia con vite pu passare il nodo della corda e dallasola sufficientemente ampia del cordino.
Manovre di corda
collegare il bastoncino
Battere una piazzola di neve della lunghezza degli sci e ricavare uno scavo, in modo che al momento del recupero gli sci possano senso di rotazione ruotare ed uscire di punta dalla buca. degli sci Attorno agli sci, fissati tra loro per offrire la maggior tenuta, viene C11-21 Doppia con sci avvolto con 4-5 giri il cordino per il recupero il quale poi viene fatto uscire a monte. I bastoncini vanno collocati sul bordo, a valle dello scavo, in modo che in fase di recupero il cordino, passato sopra, tiri gli sci verso capo da lalto. A discesa ultimata si recuperare tirer il capo di corda segnato. segnare la corda
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Giunto in fondo alla corda doppia e predisposto il nuovo ancoraggio, avendo avuto cura di mantenere sempre le corde in tensione con il peso del proprio corpo, il capocordata invita il compagno a togliere lautoassicurazione e a staccarsi dalla parete; quindi regola la velocit di discesa dal basso con una leggera trazione sulle corde. Loperazione effettuabile anche con pi compagni, collegandoli tutti, tramite i rispettivi discensori, nella corda doppia e facendoli poi scendere uno alla volta, a partire da quello pi a valle. Tale metodo consente anche di verificare la correttezza delle operazioni di calata da parte degli altri componenti.
secondo allievo in attesa, il pi esperto ancoraggio di calata discensore gi collegato alla doppia
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discensore primo allievo per calata, regolando la tensione delle corde dal basso
Manovre di corda
p2
una manovra che consente di salire lungo una corda in condizioni di costante sicurezza. Pu essere necessario ricorrere a questo sistema per risalire un tratto di corda al quale si rimasti appesi (caduta in crepaccio) ovvero per liberare una corda doppia bloccata in alto: in questultimo caso i nodi autobloccanti devono essere avvolti intorno a tutte e due le corde contemporaneamente (evitare assolutamente di risalire su una corda sola). Per la progressione si utilizzano due cordini: uno per il busto e laltro per un piede. Il primo viene collegato allimbracatura dopo aver realizzato sulle corde un nodo autobloccante machard (p1). Il secondo collegato ad un altro nodo autobloccante machard (p2), posizionato al disotto del precedente e sullaltra estremit viene formata unasola chiusa con nodo delle guide con frizione, che va usato come staffa per il piede. Il cordino della staffa, passando allinterno dellimbracatura, consente di restare in asse durante la distensione della gamba. Nella figura C11-26 rappresentata schematicamente la successione delle varie fasi della manovra di risalita. Le operazioni vengono descritte partendo dal basso. Prima di iniziare il movimento opportuno verificare la tenuta degli autobloccanti. Nella fase A il peso grava tutto sul piede (staffa). Nella fase B si distende la gamba e si innalza lautobloccante collegato allimbracatura p1
Manovre di corda
p1
Nella fase C ci si appende allautobloccante collegato allimbracatura, si scarica il peso dal piede e si fa scorrere quanto pi possibile in alto lautobloccante p2 connesso alla staffa. Nella fase A si carica lautobloccante del piede e si distende la gamba; si ritorna cos nella posizione iniziale.
p2 I A s p2 I c p1
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SISTEMI DI PARANCHI
A volte necessario tendere una corda fissa oppure collegare tra loro degli ancoraggi. Descriviamo sinteticamente le fasi di costruzione di due sistemi di paranchi.
c p1 I
p2 B I s c p1 p2 A
C11-27 Pacco
Manovre di corda
Paranco di Poldo
Nella fase A si realizza sulla prima estremit un nodo delle guide e si fa passare dentro il secondo capo; nella fase B si forma sul secondo capo un altro nodo delle guide che si aggancia al moschettone; nella fase C si effettua la trazione tirando in basso il ramo centrale e si tirando in alto il ramo destro.
A B C
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pagni sul passaggio. L'attrezzatura dei passaggi si fa mediante corde fisse, che possono essere tese in verticale o in trasversale, secondo le caratteristiche del passaggio. Gli ancoraggi devono essere controllati spesso, perch vengono sollecitati molto e un loro cedimento avrebbe conseguenze gravissime per quanti ci si affidano. Per gli stessi motivi, nel percorrere i passaggi attrezzati, occorre mantenere opportune distanze. La corda fissa tesa in verticale viene ancorata solidamente in basso e in alto, a uno o pi ancoraggi idonei; se il tratto obliquo pu presentare dei punti fissi intermedi. Le cordate o il gruppo superano rapidamente il passaggio, servendosi della corda fissa come passamano nei passaggi pi delicati o esposti, autoassicurandosi con un nodo prusik e facendolo scorrere nel senso della progressione. I primi salitori che hanno il compito di attrezzare utile che, oltre alla corda da fissare, per la progressione in cordata dispongano di una seconda corda. La figura C11-29 mostra il tensionamento di una corda fissa sullancoraggio finale.
A B C D
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ancoraggio finale
La corda fissa tesa in traversata, oltre a essere solidamente ancorata alle estremit, deve avere alcuni ancoraggi intermedi, in particolare in corrispondenza di spigoli taglienti e di deviazioni di percorso. Per gli ancoraggi si possono sfruttare spuntoni e clessidre di roccia, oppure usare i chiodi, la piccozza o, su neve alta e inconsistente, gli sci opportunamente piantati nella neve. La corda viene fissata agli ancoraggi intermedi con cordini bloccati con nodo prusik, in modo da rendere indipendente ogni tratto. La corda tesa in traversata pu servire da passamano e ci si assicura a essa con un prusik e un moschettone collegati all'imbracatura.
ancoraggio finale
prusik
Manovre di corda
Se la traversata orizzontale non presenta tratti in salita o discesa, ci si assicura alla corda fissa semplicemente inserendovi uno dei due moschettoni collegati allimbracatura tramite longe a due rami, come nella progressione su vie ferrate. Una corda tesa orizzontalmente pu servire di sicurezza nell'attraversamento di un ponte su un crepaccio.
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ancoraggi intermedi
ancoraggio iniziale
prusik
Manovre di corda
Nel caso in cui si verifichi la caduta del primo di cordata, il compagno che sta effettuando una assicurazione ventrale con limpiego del freno tuber riceve una spinta verso lalto; a seconda della sollecitazione egli, dopo aver eseguito la trattenuta, pu trovarsi ancora appeso alla sosta oppure trovarsi sopra gli ancoraggi che si sono ribaltati. In ogni caso le corde in carico che vanno al compagno bloccano lassicuratore; pertanto necessario portare le corde in carico dal freno tuber alla sosta per svincolare lassicuratore che dovr poi mettere in atto le operazioni di soccorso pi idonee. Si descrive in forma sintetica la successione delle fasi. Nelle foto si impiegata una sola corda per rendere pi chiare le operazioni; analogamente la manovra eseguibile con due corde.
Manovre di corda
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C11-32 Tuber-sosta 1
C11-33 Tuber-sosta 2
Le figure 1 e 2 mostrano gli ancoraggi collegati con asola inglobata, la autoassicurazione effettuata al vertice del triangolo di sosta, lo pseudo rinvio inserito nellasola.
C11-34 Tuber-sosta 3
C11-35 Tuber-sosta 4
Figura 3: dopo la trattenuta del compagno, con una mano sul tuber si tengono bloccate le corde. Con la mano libera si prendono le corde libere e si passano allinterno del moschettone formando unasola. Si passa la mano allinterno dellasola cos formata e si prendono la corda che fuoriescono dalla parte opposta del moschettone.
Manovre di corda
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C11-36 Tuber-sosta 5
C11-37 Tuber-sosta 6
Figura 5: si realizza sulla corda in carico un nodo autobloccante (machard) e si collega al moschettone tramite barcaiolo uno spezzone di cordino.
Figura 6: lo spezzone va collegato al vertice della sosta tramite un moschettone eseguendo un mezzo barcaiolo e asola di bloccaggio.
C11-38 Tuber-sosta 7
C11-39 Tuber-sosta 8
Figura 7: dapprima si scioglie la corda di cordata e si mette in carico lo spezzone. Poi si inserisce al vertice della sosta un moschettone e si collega la corda di cordata con mezzo barcaiolo e asola di bloccaggio.
Figura 8: si scioglie il mezzo barcaiolo dello spezzone e il carico passa alla corda di cordata.
capitolo 12
Recuperi da crepaccio
INDICE
Premessa Indicazioni sulla quantit di forza da applicare in un recupero Messa in sicura della cordata e predisposizione del sistema iniziale di recupero da crepaccio
Tenuta Predisposizione del primo sistema di assicurazione Caricamento dellancoraggio provvisorio Predisposizione allancoraggio definitivo Collegamento dei punti di ancoraggio Caricamento dellancoraggio definitivo Autoassicurazione e riduzione degli attriti
Paranco semplice con rinvio al compagno (compagno in grado di collaborare) Recupero con azione interna ed esterna (compagno in grado di collaborare) Paranco Vanzo (compagno in grado di collaborare) Paranco Mezzo Poldo con piastrina Paranco Mezzo Poldo con piastrina e spezzone ausiliario Paranco Mezzo Poldo con piastrina su terreno misto
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Recuperi da crepaccio
PREMESSA
In questo capitolo vengono analizzate le manovre che allo stato attuale appaiono pi valide ed efficienti nel caso in cui si debba soccorrere e recuperare un compagno caduto in un crepaccio oppure, su terreno misto, sollevare una persona che non in grado di proseguire in modo autonomo. Il loro adattamento alle diverse condizioni che caratterizzano ogni singolo caso dovr essere lasciato al giudizio ed allesperienza dellalpinista. Diverse varianti sono infatti possibili, ma la loro utilit e sicurezza dovranno preventivamente essere vagliate con particolare attenzione. Per nostra fortuna queste manovre sono di applicazione assai poco frequente ed quindi facile dimenticarne la tecnica di esecuzione, trovandosi cos nellemergenza incapaci di effettuarle; quindi opportuno, soprattutto nel caso degli Istruttori e di tutti coloro che si assumono la responsabilit della conduzione di una cordata, esercitarsi periodicamente nella loro esecuzione. Nel capitolo vengono descritte le seguenti manovre: 1. Messa in sicura della cordata e predisposizione del sistema iniziale di recupero da crepaccio (manovra che sar comune a tutte le tecniche di recupero descritte) 2. Paranco semplice con rinvio al compagno (compagna in grado di collaborare) 3. Recupero con azione interna ed esterna (compagno in grado di collaborare) 4. Paranco veloce con sistema Vanzo (compagno in grado di collaborare) 5. Paranco Mezzo Poldo con piastrina 6. Paranco Mezzo Poldo con piastrina e spezzone ausiliario 7. Paranco Mezzo Poldo su terreno misto Lultimo sistema illustrato (7) considera il recupero di un compagno impossibilitato a proseguire in modo autonomo su un tratto verticale di ghiaccio o roccia. Le manovre di recupero proposte hanno in comune la prima fase che si conclude con il caricamento dellancoraggio definitivo e che prevede lutilizzo della piastrina autobloccante. Dato che tale fase sempre antecedente alla verifica delle condizioni del compagno caduto e quindi anche alla scelta del sistema di recupero da attuare, si ritenuto opportuno realizzare un sistema di ancoraggio in cui si possa operare nella situazione peggiore, nella quale cio il compagno non sia in grado di collaborare. Poich il sistema di recupero pi idoneo in una simile circostanza il paranco Mezzo Poldo (eventualmente anche con spezzone ausiliario), vantaggioso che lancoraggio preveda la presenza della piastrina autobloccante. Altre manovre non necessitano di tale dispositivo ma si preferito privilegiare una procedura che consideri la situazione meno favorevole.
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Lo scopo delle varie manovre proposte in questo capitolo di ottimizzare il rapporto tra forza applicata nel recupero, tempo di applicazione della forza stessa e sollevamento del caduto, in relazione alle varie possibili situazioni in cui ci si trova ad operare. Ci consente di affermare che: - la riduzione dellattrito della corda sul bordo del crepaccio pu essere ottenuta mediante linserimento tra luna e laltro di un attrezzo (piccozza) o un capo di vestiario; - la riduzione o annullamento dellangolo tra verticale del caduto e direzione del recupero, e quindi anche dellattrito, pu essere ottenuta mediante lapplicazione di determinati metodi di recupero successivamente descritti (recupero con azione interna ed esterna oppure paranco veloce - sistema Vanzo), ma realizzabili solamente nel caso in cui il caduto sia in grado di collaborare ed il bordo del crepaccio sia agibile dal soccorritore. - la demoltiplicazione delle forze pu essere ottenuta applicando il principio delle carrucole multiple. - Una riduzione dellattrito sul moschettone di circa il 18% pu essere ottenuta mediante lutilizzo di una piccola puleggia. Il posizionamento della puleggia verr meglio precisato nei diversi paranchi.
C12-01 Puleggia
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giore di quanto deve essere sollevato il compagno. Vari fattori intervengono negativamente ed in modo sensibile nella quantificazione della forza necessaria per il sollevamento: attrito della corda che scorre sul moschettone posto in vita al caduto, attrito sul bordo del crepaccio, langolo tra verticale del caduto e direzione del recupero. In tali condizioni il recupero potr essere effettuato in presenza di almeno tre/quattro soccorritori (cordata da tre).
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perare quattro volte maggiore di quanto necessita per sollevare il compagno. Da prove condotte dalla CMT del VFG, in cui stato considerato lattrito della corda sul bordo di roccia, per sollevare un peso di 77 daN la forza da applicare nel recupero di circa 42 daN e di circa 35 daN con una puleggia; in altre parole con questo paranco e senza pulegge si richiede una forza circa pari alla met del peso del caduto.
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MESSA IN SICURA DELLA CORDATA E PREDISPOSIZIONE DEL SISTEMA INIZIALE DI RECUPERO DA CREPACCIO
Se la cordata si muove con corda tesa e con un sistema di legatura corretta, la caduta di un alpinista in un crepaccio non dovrebbe risultare troppo rovinosa e larresto dovrebbe avvenire in uno spazio limitato a pochi metri. Di seguito vengono descritte le sequenze delle fasi di trattenuta e di preparazione del sistema di recupero, comuni alle varie tecniche che saranno proposte successivamente.
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1-Tenuta
Colui che assicura si oppone con tutte le proprie forze allimprovvisa trazione, gettandosi nella direzione opposta se calza gli sci o cercando di abbassarsi se indossa i ramponi, eventualmente aiutandosi piantando la becca della piccozza nella direzione opposta a quella della trazione. Una volta bloccata la caduta, con il peso del compagno che grava sullimbracatura, lassicuratore provvede a stabilizzare la propria posizione in modo da poter operare con una certa libert. La posizione migliore, successivamente alla trattenuta, prevede che lassicuratore sia in linea con la corda in modo da scaricare sui piedi la trazione esercitata dal caduto (evitare in ogni modo di trovarsi con la testa rivolta al bordo del crepaccio ed i piedi nella direzione opposta). Il caduto, per quanto possibile, dovr cercare di
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scaricare il proprio peso ancorandosi ad una delle pareti del crepaccio in modo da agevolare il pi possibile il soccorritore durante la prima fase di messa in sicura della cordata.
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Predisporre un ancoraggio provvisorio (da realizzarsi il pi velocemente possibile) sul quale scaricare parzialmente la trazione esercitata dal caduto, in modo da poter predisporre successivamente, in condizioni di maggior sicurezza e comodit, lancoraggio definitivo: questultimo dovr essere in grado di offrire assoluta garanzia di tenuta. Nelle figure C12-02 e C12-03 vengono mostrati due esempi di ancoraggi uso corpo morto su neve poco consistente. Si rimanda comunque il lettore al capitolo 8 Ancoraggi. Nelle figure C12-04 e C12-05 si illustrano due ancoraggi su neve consistente. A seconda delle condizioni della neve o del ghiaccio, lancoraggio provvisorio dovr essere realizzato come sotto indicato:
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- Neve poco consistente: seppellire la piccozza o gli sci o lo zaino orizzontalmente, allinterno di una buca appositamente scavata, facendovi uscire il cordino precedentemente fissato al baricentro dellattrezzo sepolto mediante un nodo barcaiolo o Prusik (corpo morto). - Neve con sufficiente consistenza: infiggere il pi profondamente possibile e con la dovuta inclinazione il manico della piccozza o piantare gli sci in verticale. - Neve molto dura o ghiaccio: piantare la becca della piccozza o avvitare un chiodo da ghiaccio.
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Si raccomanda, per una maggior velocit e semplicit di esecuzione delle fasi successive, di fare in modo che lancoraggio definitivo si trovi sempre a monte dellancoraggio provvisorio.
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curazione al compagno caduto, necessario prevedere un autobloccante sul ramo di corda che viene trazionato, oppure fare in modo che il soccorritore posto pi lontano dal bordo del crepaccio effettui il recupero a spalla.
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(questo sistema pur essendo equivalente in tutto al precedente si diversifica dal fatto che nellancoraggio principale al posto della piastrina presente solo un moschettone. Questa differenza comporta una maggior velocit e semplicit di esecuzione nella prima fase, ma in caso di difficolt durante le operazioni di recupero il passaggio a metodi diversi potrebbe richiedere una serie di operazioni piuttosto complesse) 1. Nel caso non si disponga di piastrina i soccorritori possono bloccare il ramo di corda proveniente dal compagno caduto direttamente al punto di derivazione dellancoraggio mediante un barcaiolo (anzich la piastrina). 2. Inviare quindi al caduto la corda disponibile
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doppiata e predisposta con un moschettone a ghiera che il caduto dovr agganciare allanello di servizio della propria imbracatura. 3. Effettuare il recupero mediante una trazione coordinata dei soccorritori. Durante la fase di recupero, per garantire lassicurazione al compagno caduto, necessario prevedere un autobloccante sul ramo di corda che viene trazionato, oppure fare in modo che il soccorritore posto pi lontano dal bordo del crepaccio effettui il recupero a spalla. Nota 1: per rendere meglio versatile il sistema (dare corda se serve) pi conveniente realizzare sul moschettone di ancoraggio un mezzo barcaiolo con asola di bloccaggio e controasola anzich il barcaiolo (sotto carico non consente di dare corda). Nota 2: al fine di facilitare leventuale conversione ad altri sistemi di recupero, anzich utilizzare il barcaiolo per bloccare la corda di cordata, possibile utilizzare il mezzo barcaiolo con asola di bloccaggio e controasola. Nota 3: il cordino da ghiacciaio presente in C12-11 e C12-13 pu essere rimosso una volta realizzato lancoraggio definitivo.
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ANCORAGGIO DEFINITIVO
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Questo metodo richiede: - un soccorritore esterno; - una quantit di corda disponibile pari a circa il doppio della distanza tra compagno caduto ed ancoraggio su cui questo stato assicurato dopo la caduta; - il caduto in grado di collaborare fattivamente;
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- lutilizzo di una staffa ottenuta mediante un anello di cordino agganciato, mediante un moschettone, ad un Machard bidirezionale costruito sul ramo fisso della corda doppiata. 1. Si provvede alla messa in sicura della cordata ed alla predisposizione del sistema iniziale di recupero come indicato allinizio del capitolo (paragrafi dall1 al 6); si collega la piastrina e si inserisce la corda utilizzando un moschettone a ghiera con base larga in modo da favorire il cambio di posizione anche sotto carico. (vedi figura C12-15) 2. Una volta accertato che il compagno in grado di collaborare, bloccare il ramo di corda in uscita dalla piastrina mediante un barcaiolo realizzato su un moschettone posto nel foro inferiore della piastrina stessa. (vedi figura C12-16)
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corda in carico
ramo libero
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3. A questo punto bisogna doppiare la corda e realizzare una staffa; sono possibili due soluzioni: 3a. Inviare al caduto la corda disponibile doppiata e predisposta con un moschettone a ghiera che il caduto dovr agganciare allanello di servizio della propria imbracatura; il caduto predisporr un nodo Machard bidirezionale sul ramo di corda fisso tra i due che gli sono stati calati (ramo che va al barcaiolo). A questo autobloccante il caduto collegher un anello di cordino sufficientemente lungo che dovr utilizzare come staffa per innalzarsi. 3b. Per facilitare le operazioni del caduto, il soccorritore, valutata la opportuna distanza, posiziona sullansa della corda doppiata un moschettone a ghiera e realizza sul ramo fisso un nodo machard chiuso con moschettone a cui collega il cordino per la staffa. Quindi ansa e staffa vengono calati al compagno. 4. Il cordino della staffa (nodo barcaiolo sul moschettone), per ridurre lo sforzo sulle braccia, dovr passare allinterno del cinturone dellimbracatura e dovr essere chiuso attorno allo scarpone mediante un barcaiolo. Per ottenere una maggiore escursione possibile far passare la staffa all'esterno dell'imbracatura; tuttavia il sollevamento richieder uno sforzo di braccia superiore. Si preferisce collegare il moschettone dellansa allimbracatura del caduto perch nel caso non dovesse funzionare la staffa il recupero verrebbe comunque effettuato mediante il paranco semplice (vedi figura C12-11) 5. Contemporaneamente il soccorritore provveder a predisporre il ramo scarico di corda proveniente dal caduto nel foro ancora libero della piastrina, in posizione di recupero, facen-
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dola passare nel moschettone a ghiera gi presente sulla stessa, in modo da poter recuperare il caduto durante le successive fasi di innalzamento. 6. A questo punto il recupero sar di fatto molto simile ad una risalita autonoma di corda, con il caduto che innalzer il piede posto nella staffa, spostando verso lalto il relativo nodo autobloccante, e quindi si isser aiutandosi con le mani sullo stesso ramo di corda sul quale stato costruito lautobloccante (ramo fisso della corda). 7. Il soccorritore, al contempo, provveder a recuperare il ramo mobile della corda mediante la piastrina facendo in modo che risulti costantemente teso. 8. Esaurito il movimento di sollevamento il caduto scaricher il proprio peso sullimbracatura e riprender loperazione di risalita ripetendo i movimenti descritti in precedenza.
capo da recuperare
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PARANCO VANZO
(sistema utilizzabile con caduto in grado di collaborare si basa sul principio di effettuare il recupero esattamente sulla verticale del caduto con conseguente eliminazione di ogni attrito lavora il ramo di corda privo di nodi a palla) Questa manovra richiede: - un soccorritore esterno - una quantit di corda disponibile pari a circa il doppio della distanza tra compagno caduto ed ancoraggio su cui questo stato assicurato
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dopo la caduta (la corda deve essere sufficiente almeno a raggiungere il compagno caduto ed a risalire oltre il bordo del crepaccio) - il caduto in grado di collaborare anche solo parzialmente - il bordo del crepaccio privo di cornici e sufficientemente solido - uno spezzone di cordino in dyneema della lunghezza di 3,20 - 3,50 m (si pu usare il cordino da ghiacciaio). Tale manovra consente di annullare gli attriti che normalmente si generano tra corda e bordo del crepaccio, ottimizzando il rapporto tra forza applicata e sollevamento del caduto. Il soccorritore dovr operare, opportunamente assicurato, sul bordo del crepaccio, esercitando una trazione diretta sullinfortunato (trazione verticale). Il fatto che le operazioni di recupero vengano effettuate sul ramo di corda scarico (non interessato durante la caduta) consente inoltre un agevole recupero del compagno caduto anche nel caso in cui uno o entrambi i nodi a palla avessero superato il bordo del crepaccio. 1. La fase iniziale della manovra, che prevede lapprontamento dellancoraggio definitivo, comune alle manovre precedenti e descritta nei paragrafi antecedenti. 2. Dopo aver approntato lancoraggio definitivo ed averlo caricato con il peso del caduto, bloccare la corda scarica in uscita dalla piastrina bloccante mediante un barcaiolo costruito su un moschettone agganciato al foro inferiore della piastrina stessa. (vedi C12-24) 3. Impiegare se possibile il cordino da ghiac-
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C12-23 Vanzo 2
C12-24 Vanzo 3
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C12-25 Vanzo 4
C12-26 Vanzo 5
ciaio (dyneema lungo 3,50 m) oppure si potranno utilizzare in modo opportuno pi cordini. 4. Doppiare il cordino di 4/5 m. facendo in modo di ottenere due rami con lunghezze leggermente differenti e costruire un nodo Prusik, chiuso con nodo delle guide, sul tratto di corda non in tensione (ramo di corda in uscita dal barcaiolo di cui al punto 2). 5. Realizzare lautoassicurazione del soccorritore mediante un nodo barcaiolo costruito sul ramo pi corto del cordino, in prossimit del capo, ed agganciato al moschettone a ghiera posto nellanello di servizio dellimbracatura (ci consentir una facile regolazione della distanza). Ricordare di realizzare il contronodo di sicurezza in prossimit del capo di questo ramo di cordino. 6. Inviare al caduto la corda doppiata e dotata di moschettone a ghiera affinch il compagno possa provvedere ad agganciarlo allimbracatura. 7. Eseguire sulla parte di corda di ritorno dal compagno un nodo autobloccante bellunese (o Machard infilato), con il ramo pi lungo ed ancora libero del cordino utilizzato per autoassicurarsi. 8. Durante la fase di recupero mantenere il nodo bellunese allaltezza del bordo del crepaccio e sempre in tiro mediante la realizzazione, a monte del bellunese stesso, con un cordino sottile, di unasola sufficientemente larga da far scorrere agevolmente la corda che verr recuperata durante il sollevamento del caduto, ma tale da trattenere il nodo bellunese. Il ramo libero di questo cordino verr avvolto attorno allo scarpone facendo attenzione a far uscire il ramo
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che porta allasola sopra descritta sotto ed esternamente allo scarpone. Tale sistema impedir al nodo bellunese di salire durante il recupero del compagno impedendo di perdere corda durante le fasi di rilascio. 9. Il recupero potr a questo punto avere inizio trazionando la corda che risale dal compagno che sar stata precedentemente disposta sotto lascella e sopra la spalla opposta. Il sollevamento, al fine di non affaticare la schiena, dovr avvenire piegando e distendendo le gambe, mantenendo il busto verticale. 10. Al fine di ridurre lo sforzo del soccorritore, nel caso in cui il caduto fosse in grado di collaborare fattivamente, sarebbe opportuno che questi realizzasse una staffa sul ramo fisso di corda tra i due che gli sono stati calati. In questo modo la fase di recupero assomiglier a quella precedentemente descritta (recupero con azione interna ed esterna). Porre particolare attenzione affinch lultimo nodo autobloccante costruito (bellunese o Prusik infilato) sia sempre in tensione in quanto garantisce lassicurazione al compagno una volta che sar stato iniziato il recupero. N.B.: nella pratica sci alpinistica questo metodo di recupero non sempre utilizzabile a causa della presenza sul bordo del crepaccio di cornici che lo rendono impraticabile da parte delloperatore.
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vo ed averlo caricato con il peso del caduto mediante la piastrina bloccante, inserire un moschettone a base larga (possibilmente a ghiera) (C) nel foro della piastrina (B). 3. Su questo moschettone (C) passare lo spezzone del Mezzo Poldo o un tratto della stessa corda di cordata. 4. Portarsi con laltro capo dello spezzone sul bordo del crepaccio. 5. Costruire sul ramo di corda in tensione (ramo che scende al caduto) un nodo Machard bidirezionale molto corto. Inserire nel Machard bidirezionale un moschettone (M1). 6. Far passare il capo libero dello spezzone del Mezzo Poldo nel moschettone del Machard (M1) e quindi costruire un nodo barcaiolo (con nodino di sicurezza) nel quale inserire un moschettone (M2). 7. Ripassare il ramo libero dello spezzone ausiliario nel moschettone (M2). 8. Recuperare linfortunato trazionando il ramo di corda in uscita dal moschettone M2 fino a che sul ramo in tensione si venga a formare un lasco tale da consigliarne il recupero mediante piastrina bloccante 9. Quando necessario riposizionare lo spezzone del Mezzo Poldo, bloccandolo con una mano (impugnare con una mano la corda in entrata ed uscita da moschettone M2) e facendolo scorrere verso il crepaccio sui due moschettoni in cui infilato (C M1). 10. Di tanto in tanto il lasco che si former durante la fase di recupero sul ramo di corda al quale appeso linfortunato verr recuperato mediante la piastrina (B).
piastrina bloccante B C
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Spezzone per il mezzo poldo (pu essere anche un tratto della cordata)
recupero
M1
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N.B.: Durante le fasi di recupero, i nodi a palla giungeranno ad interferire dapprima con lautobloccante Machard bidirezionale del Mezzo Poldo e successivamente con la piastrina bloccante. Nel primo caso sar sufficiente tensionare la corda di recupero mediante la piastrina bloccante e quindi sciogliere il Machard bidirezionale per ricostruirlo a valle del nodo a palla. Nel secondo caso nodo a palla a ridosso della piastrina sar necessario bloccare lo spezzone del Mezzo Poldo mediante asola di bloccaggio e controasola, dopo aver recuperato sufficiente corda da consentirne il reinserimento nella piastrina a valle del nodo a palla. Sfilare quindi la corda dalla piastrina e reinserirla oltre il nodo a palla. Mettere in tensione la corda di recupero mediante la piastrina, sciogliere contro asola ed asola di bloccaggio dallo spezzone del Mezzo Poldo e riprendere le operazioni di recupero (vedi fig. C12-29).
C12-29 Mezzo Poldo 2
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tica al caso precedente, con laggiunta di un ulteriore spezzone (spezzone ausiliario). Il paranco, considerando lattrito su un bordo di ghiaccio e non utilizzando puleggie, necessita, nel recupero, di una forza circa pari ad un terzo del peso del caduto, mentre la quantit di corda da recuperare otto volte maggiore di quanto deve essere sollevato il compagno. Questa manovra inoltre richiede: - spazio minimo per la manovra 1,50 m - un soccorritore esterno; - una piastrina bloccante oppure nodo Edi o nodo cuore - n 6 moschettoni (consigliato moschettone C a base larga) - spezzone di cordino o tratto di corda isolato dal resto - n1 cordino per autobloccante machard bidirezionale - n 2 tratti di corda isolati dal resto o 2 spezzoni di cordino per paranco - eventuale puleggia da inserire nel moschettone M2 (lo sforzo si riduce del 18%). Descrizione delle fasi: 1. La fase iniziale della manovra, che prevede lapprontamento dellancoraggio definitivo, comune alle manovre precedenti. 2. Dopo aver approntato lancoraggio definitivo ed averlo caricato con il peso del caduto mediante la piastrina bloccante, inserire un moschettone a base larga (possibilmente a ghiera) (C) nel foro della piastrina (B). 3. Su questo moschettone (C) passare lo spezzone ausiliario. 4. Portarsi con laltro capo dello spezzone ausiliario sul bordo del crepaccio. 5. Costruire sul ramo di corda in tensione
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Moschettone a ANCORAGGIO base larga per ospitare il barcaio- DEFINITIVO lo dello spezzone ausiliario e lo spezzone del Mezzo Poldo
Nodo barcaiolo 468 per bloccare il capo dello spezzone del Mezzo Poldo C
PIASTRINA BLOCCANTE B
RECUPERO
M3
M1
(ramo che scende al caduto), un nodo Machard bidirezionale molto corto ed inserire nel Machard bidirezionale un moschettone (M1). Sino a questo punto le operazioni corrispondono a quelle della manovra precedente. 6. Far passare il capo libero dello spezzone ausiliario nel moschettone del Machard bidirezionale (M1) e quindi costruire un nodo barcaiolo (con nodino di sicurezza) nel quale inserire un moschettone (M2). 7. Bloccare allancoraggio lo spezzone ausiliario mediante un barcaiolo infilato nel moschettone posto nellanello inferiore della piastrina (C) (valutare opportunamente la lunghezza). 8. Passare un ramo del secondo spezzone (spezzone del Mezzo Poldo) nel moschettone posto nellanello inferiore della piastrina (C) (a fianco del barcaiolo precedentemente costruito). 9. Predisporre in un capo del secondo spezzone (spezzone del Mezzo Poldo) un nodo barcaiolo con moschettone (M3) 10. Passare il ramo attrezzato con il moschettone (M3) nel moschettone (M2) posizionato sul capo del primo spezzone (spezzone ausiliario). 11. Ripassare il ramo libero dello spezzone del Mezzo Poldo nel moschettone (M3). 12. Recuperare linfortunato fino a che sul ramo in tensione si crei un lasco tale da consigliarne il recupero mediante piastrina bloccante.
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M2
M1
5. Svincolarsi dal capo di corda al quale si era legati. 6. Inserire un moschettone a base larga (possibilmente a ghiera) (C) nel foro libero della piastrina (B). 7. Su questo moschettone (C) passare lo spezzone del Mezzo Poldo oppure un tratto della stessa corda di cordata (vedi ultimo disegno di questa serie). 8. Portarsi con laltro capo dello spezzone sul bordo del terrazzino e, sul ramo di corda in tensione, realizzare un nodo Machard bidirezionale molto corto ed infilarvi un moschettone (M1). 9. Far passare il capo libero dello spezzone del Mezzo Poldo nel moschettone del Machard (M1) e quindi costruire un nodo barcaiolo (con nodino di sicurezza) nel quale inserire un moschettone (M2). 10. Ripassare il ramo libero dello spezzone del Mezzo Poldo nel moschettone M2. 11. Il paranco a questo punto terminato. Ora bisogner inserire la corda in tensione nella piastrina (B). 12. Recuperare linfortunato fino a che sul ramo in tensione si crei un lasco tale da consentire linserimento nella piastrina (B) della corda sotto carico. 13. Bloccare mediante asola di bloccaggio e contro-asola lo spezzone del Mezzo Poldo, mantenendolo in tensione. 14. Inserire la corda recuperata nella piastrina nel modo bloccante e recuperare con la piastrina stessa tutta la corda lasca rimanente. 15. Sciogliere contro-asola ed asola di bloccaggio dallo spezzone del Mezzo Poldo. Nota: da questo punto la manovra comune
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quella vista su ghiaccio 16. Iniziare il recupero vero e proprio dopo aver eventualmente riposizionato lo spezzone del Mezzo Poldo (riportare il moschettone (M2) infilato nel barcaiolo verso il basso, a ridosso del moschettone (M1) posto nel Machard). 17. Quando necessario riposizionare lo spezzone del Mezzo Poldo, bloccandolo con una mano e facendolo scorrere sui due moschettoni in cui risulta infilato. 18. Di tanto in tanto il lasco che si former durante la fase di recupero sul ramo di corda al quale appeso linfortunato verr recuperato mediante la piastrina (B). Nota: nel caso si rendesse necessario il recupero dellinfortunato fino allancoraggio, possibile, quando questi giunge in prossimit del terrazzino, staccare il Machard presente sulla corda in tensione ed agganciare il moschettone M1, ora libero, allimbracatura dellinfortunato. A questo punto continuare le fasi di recupero normalmente.
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La manovra consiste nel predisporre due sistemi di recupero contrapposti: il principale necessario per il sollevamento del compagno caduto nel crepaccio, il secondario, realizzato con una seconda corda sullaltro lato del crepaccio, per portare il compagno stesso sulla verticale del crepaccio che ne consenta la fuoriuscita. 1. Provvedere ad impostare la manovra di recupero secondo uno dei vari metodi sinora descritti (escluso il sistema Vanzo per linagibilit del bordo del crepaccio) 2. Predisporre un sistema di recupero secondario sullaltro lato del crepaccio, utilizzando una seconda corda od uno spezzone sufficientemente lungo ed uno dei sistemi di recupero descritti in precedenza. 3. Predisporre, mediante un barcaiolo e nodo di sicurezza, un moschettone sul capo di questa corda ed agganciarlo alla corda di cordata sulla quale appeso il compagno caduto, al di sotto del nodo a palla che si trova pi in basso (sar necessario che il compagno caduto collabori in questa operazione o, se ci non fosse possibile, che uno dei soccorritori venga calato nel crepaccio per poter effettuare loperazione stessa). 4. Recuperare mediante il sistema di recupero secondario in modo da spostare verso il centro del crepaccio il compagno caduto e leventuale nodo a palla che avesse oltrepassato il bordo del crepaccio. 5. Una volta che il caduto avr raggiunto la verticale libera del crepaccio, iniziare le operazioni di sollevamento con il paranco principale. 6. Di tanto in tanto trazionare il paranco secondario in modo da mantenere il compagno caduto sempre sulla verticale di uscita dal crepaccio.
capitolo 13
PREMESSA
Riteniamo importante che l'alpinista comprenda le principali trasformazioni che subisce il manto nevoso e le cause che sono allorigine del distacco di una valanga. Questo evento purtroppo prodotto per oltre il 90 % dei casi dallimperizia degli alpinisti che non rispettano le norme di sicurezza. Crediamo che appropriate conoscenze e una adeguata esperienza maturata in montagna ci consentano di interpretare correttamente le informazioni contenute nel bollettino nivometeorologico, di scegliere una salita con criteri pi oggettivi e di muoversi sul terreno in modo pi consapevole soprattutto pi sicuro. Nel presente manuale questa tematica trattata in forma sintetica; per approfondimenti rimandiamo il lettore al manuale Sci alpinismo oppure a testi pi specialistici.
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(ghiaccio)
(acqua)
(vapore)
congelamento
condensazione
SUBLIMAZIONE INVERSA
La neve un elemento molto particolare: dispone di vita propria, in continuo cambiamento. La neve composta da aria e da acqua. Per capirne le trasformazioni necessario tenere presente gli scambi di materia fra i tre stati dellacqua: liquido, solido, gassoso. Lacqua passa dallo stato liquido a quello di gas mediante il processo di evaporazione; al contrario il vapore acqueo (gas) torna allo stato liquido per condensazione. Il passaggio dellacqua dallo stato liquido a solido (ghiaccio) definito congelamento e il processo inverso da solido a liquido chiamato fusione. Pu verificarsi anche il passaggio diretto da ghiaccio a vapore acqueo e allora si parla di sublimazione; il procedimento contrario prende il nome di sublimazione inversa.
In natura non esiste aria assolutamente secca, priva cio di vapore acqueo; l'aria, a seconda della temperatura, contiene in sospensione una diversa quantit di acqua.
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Massima quantit di acqua 1,1 2,4 4,8 9,4 17,2 (grammi in un metro cubo)
Altitudine e zero termico: in una massa d'aria ferma (assenza di correnti) la temperatura diminuisce progressivamente, allaumentare della quota di 0,6 C ogni 100 metri. La quota dello zero termico, laltitudine alla quale, la temperatura media si aggira intorno agli 0C, se misurata in aria libera, cio non influenzata dal terreno.
Le nubi
Quando si raffredda, una massa d'aria diminuisce la sua capacit di trattenere l'acqua in sospensione e pu arrivare al limite della saturazione.
Alla temperatura di 20C la quantit dacqua massima contenuta in un metro cubo daria di 17g.
Per avere la formazione di nuvole necessaria una forte concentrazione di vapore acqueo e la presenza di nuclei di condensazione.
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L'acqua eccedente condensa, dapprima in minutissime goccioline che formano la nebbia e le nubi, infine in pioggia, grandine o neve. Tuttavia per avere la formazione di nuvole si richiede una forte concentrazione di vapore acqueo e la presenza di nuclei di condensazione, costituiti da particelle di sale derivate dalla evaporazione dei mari, oppure da particelle minerali di origine vulcanica oppure da prodotti della combustione industriale. Ad esempio, dopo il transito di un aereo, se si forma in coda una scia di colore biancastro, essa causata dai nuclei di condensazione presenti nei gas di scarico.
CRISTALLI DI GHIACCIO
cristalli di ghiaccio
metri al di sotto dellisoterma di 0C. Se in prossimit del suolo la temperatura superiore a +3/4C piove, e i cristalli fondono. Gli studiosi hanno individuato in natura oltre 3000 tipi di cristalli. Viene presentato il sistema di classificazione della neve fresca, elaborato dalla Commissione Internazionale Neve e Ghiaccio (ICSI) prevede 10 forme di cristalli di neve fresca: colonne, aghi, piastre, dendriti stellari, cristalli irregolari, neve pallottolare, grandine, sferette di ghiaccio. L'immagine C13-03 mostra sei cristalli di neve fresca.
C13-03 Classificazione neve
1a Colonne prismi corti di forma allungata cavi o pieni tipo a forma di ago, spesso cilindrica
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1b Aghi
1c Piastre
1d Dendriti stellari
cristalli esagonali a forma di stella, piani o spaziali grappoli costituiti da cristalli molto piccoli cristalli brinati in seguito a contatto con gocce dacqua goccioline trasformate in ghiaccio e di seguito ingrossate goccioline congelate e trasformate in sfere di ghiaccio
1e Cristalli irregolari
1f Neve pallottolare
1g Grandine
1h Sferette di ghiaccio
aghi
stella brinata
478
colonna
C13-04 Cristalli di neve fresca foto realizzate da Mto-France/ CNRM/ CEN
Crosta da rigelo
La superficie del manto nevoso che ha subito apporti di calore (ad esempio irraggiamento solare), ai quali hanno fatto seguito diminuzioni della temperatura o episodi di forte vento, presenta delle croste superficiali pi o meno compatte. Tali superfici possono reggere il peso di uno sciatore oppure rompersi rendendo difficoltose sia la salita che la discesa.
C13-06 Neve compattata dal vento
Neve primaverile
Il manto nevoso primaverile ha gi subito processi di fusione e rigelo. La superficie della copertura, nellarco della giornata, pu presentarsi a seconda della temperatura: a) di neve dura, resistente e ghiacciata, durante la notte o di prima mattina; tanto da richiedere luso dei rampanti o dei ramponi. b) Firn, cio neve appena sgelata in superficie, ma compatta in profondit e portante. La neve fiorisce per lazione del sole e per laumento della temperatura. La superficie uniforme, scorrevole, ideale per la pratica dello sci. Tale situazione non dura a lungo: con laumento dellinsolazione il manto nevoso diventa molle e si sprofonda sempre di pi. c) Di neve marcia: la superficie caratterizzata dalla presenza di acqua che pu anche scorrere allinterno del manto nevoso. Il forte aumento
di temperatura, la pioggia, il calore del sole sono i fattori che causano la riduzione della coesione tra i cristalli.
Erosioni da superficie
Spesso la superficie del manto non omogenea e presenta una serie di irregolarit; ne citiamo alcune. solchi lungo la linea di massima pendenza determinati dalla pioggia che si infiltra nel manto nevoso e poi scorre su uno strato pi duro oppure sul terreno; dune e sastrugi, ondulazioni prodotte dallazione del vento in superficie. La quantit di neve che pu essere erosa o trasportata dipende da quanto sono legati i singoli cristalli tra di loro (coesione) nonch dallintensit del vento. Il passaggio di uno sciatore o di un alpinista sulla neve fresca produce una compattazione della neve; le tracce diventano quindi meno asportabili dal vento e restano visibili in rilievo. Una superficie erosa dal vento si presenta irregolare, non omogenea e quindi malamente sciabile.
C13-10 Erosioni
Neve pallottolare
costituita da cristalli di neve formati in masse nuvolose turbolente e che a contatto di goccioline dacqua si sono brinati. Tale cristallo non si trova comunemente come gli altri tipi, cade soprattutto in inverno e al suolo forma uno strato di piccolo spessore. Questa neve pallottolare, una volta ricoperta da altri strati di neve, pu diventare un piano di slittamento su cui si muove una valanga.
Brina di superficie
La superficie della neve presenta un particolare cristallo che si forma al suolo e non nellatmosfera. Soprattutto allinizio della stagione invernale e durante notti fredde e stellate il terreno si raffredda molto rispetto al giorno. Il vapore acqueo contenuto nellaria accumulato durante le ore di sole, con le basse temperature notturne sublima a contatto con la superficie della neve, che diventata pi fredda dellaria, e si trasforma in aghi o in foglie. La dimensione dei cristalli notevolmente pi grande rispetto alla neve fresca. Con temperature rigide, nelle zone ombreggiate la brina di superficie pu mantenersi per molti giorni. Essa forma uno strato ideale di slittamento delle valanghe. I suoi cristalli si legano poco sia tra loro che con gli altri strati di neve e si sciolgono solo per infiltrazione di acqua nel manto nevoso con temperature miti o pioggia, oppure in primavera.
Il vapore acqueo, con le basse temperature notturne, sublima a contatto con la superficie della neve, e si trasforma in aghi o in foglie.
strati superiori
strati inferiori
C13-15 Interno strato
al di sotto di quella del suolo. Durante le ore pi calde la superficie riceve calore, mentre durante le ore pi fredde essa cede calore. La distribuzione della temperatura allinterno del manto nevoso pu avere un andamento molto diverso a seconda della stagione, dellesposizione e della quota. Ad esempio in pieno inverno la temperatura parte da 0C a livello del suolo e man mano che si sale verso la superficie essa diminuisce facendo registrare valori negativi. Invece in primavera durante la fase di fusione la temperatura su tutto il profilo del manto nevoso presenta un valore uniforme vicino a 0C.
TEMPERATURA C
-10 SERA -5 0 70 60 50
In inverno la temperatura del manto nevoso parte da 0C a livello del suolo e verso la superficie, gradatamente, diminuisce. In primavera, invece, presenta un valore uniforme vicino a 0C.
483
SCAMBIO DI CALORE
MANTO NEVOSO
ANDAMENTO DELLA TEMPERATURA
GIORNO
40 30 20 10 0
MANTO NEVOSO
SUPERFICIE TERRENO 0
TERRENO
484
Lelemento fondamentale nelle trasformazioni della neve la temperatura, anzi la differenza di temperatura tra la superficie del manto nevoso e il terreno.
Vengono stabiliti convenzionalmente tre diversi tipi di gradiente: debole gradiente: GT < 0,05 C/cm medio gradiente: GT compreso tra 0,05 C/cm e 0,20 C/cm forte gradiente: GT > 0,20 C/cm Riportiamo di seguito tre esempi di gradiente, nei quali vengono analizzati lintero manto nevoso oppure un singolo strato.
t1 = -14C
altro stato
neve
h = 50 cm
t0 = -12C
altro strato
Situazione di debole gradiente temp. strato inf.: -12C temp. strato sup.: -14C diff. di temp.: 2C altezza neve: 50 cm GT = 2 = 0,04 C 50 cm Situazione di medio gradiente temp. strato inf.: -9C temp. strato sup.: -12C diff. di temp.: 3C altezza neve: 30 cm GT = 3 = 0,1 C 30 cm Situazione di forte gradiente temp. strato inf.: 0C temp. strato sup.: -9C diff. di temp.: 9C altezza neve: 30 cm GT = 9 = 0,3 C 30 cm
neve
h = 30 cm
t0 = -9C
altro strato
neve
h = 30 cm
t0 = 0C
suolo
485
Con passaggi da uno stato allaltro, la forma dei grani e il legame tra di essi subiscono delle modificazioni che influenzano la stabilit del manto nevoso.
I metamorfismi avvengono in due modi diversi a seconda della umidit della neve: 1) Metamorfismi della neve asciutta o secca: si verificano quando la temperatura inferiore a 0C e la neve non contiene acqua allo stato liquido. In queste condizioni si manifestano le seguenti situazioni: a) debole gradiente con GT < 0,05 C/cm la forma originale del cristallo non pi riconoscibile; si formano grani fini e rotondi, ben saldati tra di loro; b) medio gradiente con GT compreso tra 0,05 e 0,20 C/cm che determina la formazione di grani sfaccettati con spigoli evidenti e di dimensioni maggiori dei grani fini; c) forte gradiente con GT > 0,20 C/cm che determina la formazione di grani di notevoli dimensioni a forma di calice o piramide chiamati brina di profondit (o cristalli a calice). 2) Metamorfismo della neve umida o bagnata: si verifica quando la temperatura della neve vicina a 0C, per cui inizia un ciclo continuo di scioglimento durante il giorno e di solidificazione durante la notte, che porta alla formazione di gruppi aggregati di grandi dimensioni e di forma arrotondata, chiamati grani da fusione e rigelo. 1.a - Metamorfismo da debole gradiente (metamorfismo distruttivo) Questo tipo di trasformazione si verifica quando esiste una debole differenza di temperatura allinterno del manto nevoso: il GT deve essere inferiore a 0,05C/cm.
Con i metamorfismi di neve asciutta o secca si formano: con debole gradiente, grani fini e rotondi; con medio gradiente, grani sfaccettati; con forte gradiente, la brina di profondit.
COLLI
GRANO
ALTA TEMPERATURA
SUPERFICIE TERRENO 0
487
TERRENO
Dagli strati inferiori (pi caldi) si manifesta un flusso di vapore acqueo verso gli strati superiori (pi freddi) e queste molecole dacqua allo stato gassoso si trasferiscono dalle parti convesse (superfici dei grani) alle parti concave (colli). Di conseguenza gli spigoli si smussano, i grani di neve si arrotondano, le dimensioni originali del grano diminuiscono, si ingrossano i colli e i legami tra i grani aumentano in quantit. La velocit di questi cambiamenti aumenta con la temperatura: molto rapida vicino a 0C e quasi nulla attorno ai -40C. Le saldature che si realizzano tra i grani attraverso ponti di ghiaccio aumentano la coesione della neve e determinano una maggiore resistenza del manto nevoso. Il metamorfismo da debole gradiente, chiamato anche distruttivo, produce grani arrotondati (simbolo ), di piccole dimensioni con diametro da 0,2 a 0,4 mm. In sintesi questo tipo di trasformazione produce un generale arrotondamento dei grani e rafforza la struttura del ghiaccio per la formazione dei colli tra i grani. Se, nel corso dellinverno, allinterno del manto nevoso si verificasse una situazione di medio gradiente i grani fini e rotondi potrebbero trasformarsi in grani sfaccettati.
Le saldature che si realizzano tra i grani attraverso ponti di ghiaccio aumentano la coesione della neve e determinano una maggiore resistenza del manto nevoso.
1.b - Metamorfismo da medio gradiente (metamorfismo costruttivo) Questa situazione si presenta quando esiste una media differenza di temperatura allinterno del manto: GT compreso tra 0,05 e 0,2 C/cm.
488 C13-22 Metamorfismo da medio gradiente
GRANO GRANO GRANO FREDDO GRANO GRANO FLUSSO DI CALORE VAPORE ACQUEO CALDO SUPERFICIE TERRENO 0 C
TERRENO
Nel metamorfismo da medio gradiente i grani non sono ben saldati tra loro, la neve si presenta fredda e leggera e non si lascia appallottolare con le mani.
I grani aumentano di dimensione, diventano angolosi e presentano facce piane a volte a forma di scalini; i singoli grani si allargano mentre le dimensioni dei colli restano pressoch costanti, quindi in contrasto con quanto capita nel metamorfismo a debole gradiente. Questo processo di costruzione del grano si verifica perch il vapore acqueo, passando da zone di alta temperatura a zone di bassa temperatura, si deposita sulle facce e non sui colli dei grani pi freddi, posizionati pi in alto. In questo metamorfismo il trasferimento di massa (acqua in forma gassosa) va ad ingrossare i grani ed i punti di contatto diventano pi esili. Quindi i grani non sono ben saldati tra loro (bassa coesione), la neve si presenta fredda e leggera e non si lascia appallottolare con le mani. La struttura del manto nevoso meno resistente di quella offerta da una neve che ha subito un metamorfismo da debole gradiente. Il metamorfismo da medio gradiente, chiamato anche costruttivo, produce cristalli sfaccettati (simbolo ) che presentano un
diametro compreso fra 0,3 e 0,5 mm. Se, nel corso dellinverno, allinterno del manto nevoso si verificasse una situazione di debole gradiente, i grani sfaccettati potrebbero trasformarsi in grani fini e rotondi. La presenza di grani sfaccettati si osserva soprattutto nei seguenti casi: luoghi allombra sia in prossimit del terreno (dove la vegetazione consente una migliore circolazione del vapore), sia allinterno del manto nevoso; con un limitato spessore della coltre nevosa (alto gradiente di temperatura). 1.c - Metamorfismo da forte gradiente (metamorfismo costruttivo) Questa situazione si presenta quando esiste una forte differenza di temperatura allinterno del manto: GT superiore a 0,2C/cm. Con il perdurare per pi giorni di questa differenza di temperatura, i grani a facce piane continuano a crescere seguendo il medesimo meccanismo illustrato per il medio gradiente. I grani di neve vecchia vicino al suolo, per effetto della temperatura mite, sublimano salendo dal basso verso lalto. Il flusso daria trascina con s le molecole di vapore dacqua che, a contatto con i grani pi freddi degli strati superiori, sublimano inversamente, cio cristallizzano sulla superficie. Le dimensioni aumentano e le forme assumono le sembianze di piramidi esagonali cave e successivamente anche piene. Questi nuovi grani si chiamano brina di profondit oppure cristalli a calice (simbolo ) e presentano un diametro variabile fra 0,5 e 1
489
Nel metamorfismo da forte gradiente i grani di neve vecchia, vicino al suolo, sublimano e le molecole di vapore, a contatto con i grani pi freddi degli strati superiori, vi cristallizzano in superficie.
mm, (ma che pu raggiungere anche gli 8 mm). I cristalli a calice assomigliano ai bicchieri retrattili da campeggio, sono fragili e presentano una scarsa coesione tra loro.
C13-23 Metamorfismo da forte gradiente
GRANO GRANO FREDDO GRANO FLUSSO DI CALORE
490
VAPORE ACQUEO
CALDO
Questi grani compaiono da una settimana ad un mese dopo che il processo iniziato e si possono osservare anche a occhio nudo. La brina di profondit una trasformazione irreversibile e sparisce solo alla fusione della neve o in seguito ad un riscaldamento consistente del manto nevoso. La brina di profondit si osserva soprattutto nei seguenti casi: in prossimit del terreno e in presenza di vegetazione e avvallamenti dove le irregolarit lasciano pi spazio alla circolazione del vapore; durante gli inverni con scarse precipitazioni nei quali presente un limitato spessore del manto nevoso (alto gradiente di temperatura); nei luoghi allombra (bassa temperatura in superficie e quindi gradiente alto) e in particolare durante lunghi periodi di tempo buono e freddo.
2.a - Metamorfismo da fusione e rigelo (trasformazione della neve umida) Questa trasformazione si verifica quando nella neve c dellacqua allo stato liquido e la sua temperatura prossima a 0C. Lacqua libera pu essere prodotta da un riscaldamento dovuto allazione del sole, da vento caldo, da temperature miti oppure pu essere fornita direttamente dalla pioggia. Durante la fase di fusione lacqua scende negli strati del manto nevoso, riempie le aree vuote, fonde i grani piccoli prima di quelli grandi e ricopre con una sottile pellicola dacqua i grani rimasti. Durante la fase di rigelo la temperatura si abbassa e causa il congelamento dei grani rimanenti riunendoli in gruppi. Lalternanza di questi due processi forma degli aggregati chiamati grani da fusione e rigelo di forma rotonda (simbolo ), con diametro compreso fra 0,6 e 1,5 mm. Le dimensioni sono ben superiori a quelle di un grano prodotto dal metamorfismo da debole gradiente. La resistenza di uno strato varia molto a seconda della fase che si considera: durante la fusione i grani sono praticamente divisi e quindi la struttura plasmabile, mentre durante il rigelo si formano dei legami di ghiaccio molto solidi. la caratteristica tipica della neve primaverile. Da notare che in presenza di un manto nevoso di spessore consistente il consolidamento si riscontra durante le ore pi fredde solo in superficie; infatti gli strati pi profondi restano bagnati, soprattutto quando il raffreddamento dura poco tempo.
La brina di profondit una trasformazione irreversibile e sparisce solo alla fusione della neve o in seguito ad un riscaldamento consistente del manto nevoso.
491
Il metamorfismo da fusione e rigelo si verifica quando nella neve c dellacqua allo stato liquido e la sua temperatura prossima a 0C.
acqua libera
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Con il sopraggiungere delle ore pi calde il manto nevoso perde di compattezza e la superficie non riesce pi a sostenere il peso della persona. Il metamorfismo da fusione causa la scomparsa della coltre nevosa e conclude il processo di trasformazione del cristallo di neve che in questultima fase si trasforma in acqua. A quote elevate tuttavia il manto nevoso non sparisce, ma bench di spessore inferiore, acquista notevole compattezza: si tratta del nevato, che permane fino allarrivo delle nuove nevicate invernali. Esso dar poi origine al ghiaccio dei ghiacciai.
++
Particelle frammentate
C13-27 Stella
DECELERAZIONE
DEPOSITO
LE VALANGHE
Mentre i movimenti lenti della neve (vedi figura a lato) non si possono ritenere uninsidia per le attivit umane, i movimenti veloci, cio le valanghe, rappresentano il pericolo maggiore per gli sciatori e gli alpinisti che frequentano terreni innevati. Il termine italiano valanga, sinonimo di slavina, deriva dal vocabolo francese avalanche. Consultando dizionari ed enciclopedie si possono trovare svariate definizioni di valanga o slavina. Gli uffici valanghe italiani dellA.I.NE.VA. si sono accordati nel definire una valanga come una massa di neve piccola o grande in movimento lungo un pendio. In questo capitolo si parler di valanghe sportive (o dellescursionista) e non delle grandi valanghe catastrofiche che precipitano sulle strade e distruggono i centri abitati. Queste ultime si staccano in genere in condizioni meteorologiche eccezionali, quando sciatori e alpinisti assenati non dovrebbero essere in azione. Le statistiche dimostrano che oltre il 90% dei casi il distacco della valanga provocato dagli infortunati stessi. La trattazione che segue si pone lobiettivo di fornire al frequentatore della montagna le nozioni per comprendere meglio il fenomeno delle valanghe e derivare norme di comportamento atte ad evitare di esserne coinvolto. Per valanga si intende una massa di neve, piccola o grande che sia, in movimento lungo un pendio.
Gli uffici valanghe italiani dellA.I.NE.VA. si sono accordati nel definire una valanga come una massa di neve piccola o grande in movimento lungo un pendio.
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B B C
C13-32 Valanga dimostrativa A- Zona di distacco B- Fianchi C- Zona di scorrimento D- Zona di accumulo
In genere per ogni valanga possibile individuare una zona di distacco, una di scorrimento e una di arresto o di accumulo. La zona di distacco il luogo dove prende origine la valanga. Essa spesso collocata in vicinanza di creste, al di sopra del limite della vegetazione o nei luoghi dove la neve si accumula per effetto del vento o di nuove precipitazioni. La zona di scorrimento larea compresa tra la zona di distacco e quella di arresto; spesso presenta inclinazioni superiori ai 25 gradi ed caratterizzata dallassenza di vegetazione. La velocit per le valanghe che si muovono radenti al suolo varia dai 30 ai 140 km allora. La zona di accumulo il luogo dove la massa nevosa rallenta progressivamente fino a fermarsi. Pu essere un ampio ripiano, un fondovalle oppure il versante opposto di una valle. Il rallentamento e larresto avvengono su pendii con inclinazioni comprese tra i 10 e i 20 gradi. Un criterio di classificazione costituito dalla causa del distacco: il distacco si dice spontaneo quando prodotto da cause naturali: accumulo di neve trasportata dal vento, caduta di cornici o di sassi, riduzione delle resistenze interne; il distacco si dice provocato quando prodotto dallintervento delluomo: passaggio di sciatori o di alpinisti (es. per garantire la sicurezza delle piste e far scaricare pendii considerati pericolosi, talvolta si ricorre alluso di cariche esplosive per provocare artificialmente il distacco).
La zona di distacco il luogo dove prende origine la valanga; la zona di scorrimento larea compresa tra la zona di distacco e quella di arresto; la zona di accumulo il luogo dove la massa nevosa rallenta progressivamente fino a fermarsi.
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rottura puntiforme
Umidit della neve bagnata o asciutta Durezza delle neve sempre soffice Tipo di neve non compatta (senza coesione); reazione a catena che interessa solo una parte dello strato. Rumore distacco senza rumore Innesco della valanga possibile solo se vicino alla zona di distacco
Questa valanga si genera solo con neve poco compatta e cio a debole coesione, nella quale, contrariamente a quanto avviene per le valanghe a lastroni, le sollecitazioni imposte al manto nevoso non si trasmettono a distanza. Raccogliendo con una pala una certa quantit di questa neve, essa si dispone a forma di cono. Anche la valanga di neve asciutta lo scivolamento di uno strato di neve a debole coesione che si produce generalmente in inverno (gennaio, febbraio), in seguito a nuove precipitazioni con basse temperature dellaria. Si verifica soprattutto su pendii ripidi e si osserva in genere, durante o subito dopo una nevi-
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Le valanghe di neve umida a debole coesione non devono essere sottovalutate perch possono originare distacchi pi pericolosi.
cata. Questa valanga prende anche il nome di colata di neve fresca o scaricamento. Si possono osservare delle valanghe di neve umida a debole coesione quando la neve fresca o vecchia comincia a sciogliersi sotto lazione del sole. In questo caso la neve ha una densit superiore a quella della neve asciutta e presenta temperature vicine agli 0C. Il punto di inizio del movimento sempre chiaramente individuabile; nel caso sia uno sciatore o un alpinista a determinare questo tipo di valanga, il distacco si origina al di sotto della sua traccia. Se la pendenza del versante non molto elevata la distanza percorsa da queste valanghe breve e non si raggiungono elevate velocit. Anche lestensione in larghezza risulta complessivamente ridotta rispetto alle valanghe a lastroni. Questo tipo di valanga non deve essere sottovalutato perch pu originare valanghe pi pericolose. Infatti uno scaricamento prodotto su di un pendio esposto al sole potrebbe: a) innescare una valanga a lastroni; b) in presenza di un canale ammassare molta neve e coinvolgere eventuali escursionisti; c) con neve molto bagnata mettere in movimento ingenti masse di neve; d) trascinare una persona travolta e sospingerla oltre un salto di rocce sottostanti.
LA VALANGA A LASTRONI
Le valanghe a lastroni sono la causa, sullarco alpino, della maggior parte degli incidenti che vedono coinvolti gli sciatori e gli alpinisti. Quasi sempre sono le stesse vittime, che con il loro sovraccarico, determinano il distacco.
strato non distaccato perch pi stabile fronte di rottura
C13-36 Schema valanga a lastroni Caratteristiche delle valanghe a lastroni: Distacco da una linea (fronte largo). Umidit della neve bagnata o asciutta. Durezza della neve soffice o dura 499
Tipo di neve compatta, parte tutto lo strato; la neve, avendo una certa coesione trasmette le tensioni Rumore gli strati duri si staccano con uno schianto, gli strati pi soffici senza rumore
deposito
Poich le cause dellinstabilit del manto nevoso sono da ricercare allinterno della sua struttura, le valanghe a lastroni sono le meno prevedibili e le pi pericolose per le attivit sportive in montagna. La presenza delle condizioni necessarie alla formazione di lastroni si pu verificare quando, raccogliendo con la pala un certo quantitativo di neve, si osserva un blocco pi o meno compatto. Le valanghe a lastroni, che si formano con maggior frequenza su pendii aventi inclinazione variabile tra 30 e 50, sono dovute al distacco improvviso di un intero strato di neve, a partire da un fronte pi o meno esteso. La neve si distacca a lastre e solo durante il movimento
Innesco della valanga possibile anche a distanza; in genere sono gli stessi sciatori che staccano la valanga
500
si divide in frammenti di minori dimensioni. La neve presenta sempre un certo grado di coesione, dovuta prevalentemente allazione del vento durante una nevicata o successivamente ad essa. Si produce una frattura iniziale in un punto critico, dal quale poi, altre fessure si propagano molto rapidamente in tutte le direzioni, fino al distacco dellintero lastrone. La trasmissione delle sollecitazioni a grande distanza reso possibile dalla presenza di neve con coesione. Le valanghe a lastroni possono essere di superficie o di fondo a seconda che si muovano solo alcuni strati superficiali o lintero manto nevoso. Le prime sono le pi comuni: in esse uno strato pi fragile funge da piano di scorrimento e su di esso slitta uno strato pi o meno spesso di neve asciutta che generalmente il deposito da vento.
Lastroni soffici
Parlando di lastroni si pensa a un manto nevoso duro e compatto che si rompe in blocchi pesanti con spigoli vivi; molto spesso invece il lastrone costituito da neve soffice nella quale si sprofonda sia a piedi che con gli sci. Sembra neve apparentemente polverosa, in realt lazione del vento ha legato i grani consentendo quindi la propagazione della sollecitazione. Una valanga a lastroni lascia poche possibilit di fuga a chi lha provocata: spesso la frattura si forma pi a monte dellescursionista che si trova dunque allinterno della zona in movimento.
C13-38 Valanga a lastroni soffici
Le valanghe a lastroni possono essere di superficie o di fondo a seconda che si muovano solo alcuni strati superficiali o lintero manto nevoso.
La fessura si propaga alla velocit del suono (nella neve) in tutte le direzioni, causando la rottura per sovraccarico anche delle zone circostanti. Si ribadisce la pericolosit dei lastroni di neve soffice perch sono difficilmente individuabili e facilmente staccabili anche a distanza. Subito dopo il distacco, i lastroni soffici si sfaldano in neve a debole coesione, mentre i lastroni di neve dura conservano la loro forma pi a lungo e si spezzano in blocchi.
Piccoli pendii
Lattraversamento di un piccolo pendio, specie se percorso senza precauzioni, a volte innesca il fenomeno valanghivo con risultati spesso tragici.
502
Non dobbiamo pensare che la pericolosit di una valanga sia legata solo alla sua dimensione, sottovalutando cos il pericolo insito in pendii apparentemente piccoli e innocui. Le statistiche dimostrano che talvolta proprio lattraversamento di un piccolo pendio, specie se percorso senza precauzioni, a innescare il fenomeno valanghivo con risultati spesso tragici. Un piccolo lastrone di 10x10 metri avente uno spessore di 50 cm e composto da neve che pesa 300 kg al metro cubo, coinvolge una massa di neve del peso di 15 tonnellate.
50 cm
!
10m
Peso totale del piccolo lastrone! 10m x 10m x 0,5m x 0,3t/m3 = 15 tonnellate
Le valanghe di neve bagnata sono pi prevedibili di quelle a lastroni per la velocit di scorrimento piuttosto bassa che permette di intuire il percorso e soprattutto perch si verificano a seguito di un forte rialzo termico, cio la condizione necessaria al distacco, facile da valutare.
simo riscaldamento solare e quindi entro la mattinata. Inoltre, in caso di esposizione forzosa a questo tipo di pericolo, devono essere evitati i percorsi attraverso canaloni, vallette e conche, dove si ammucchia la neve sia durante la fase di scorrimento che in deposito.
504
506
I lastroni di neve asciutta per staccarsi necessitano di una inclinazione minima di circa 30 mentre sono sufficienti 25 perch si verifichi la caduta di una valanga di neve bagnata. determinante linclinazione massima dei pendio, non quella media. Su terreni con inclinazioni tra i 30 e i 45 sono frequenti le valanghe di neve a lastroni. Su pendii con inclinazione tra i 40 e i 60 sono frequenti le valanghe di neve senza coesione (scaricamenti spontanei). I pendii con inclinazione superiore ai 50 scaricano in continuazione durante le nevicate per cui la neve non vi si pu accumulare in grandi quantit. Su pendii con inclinazione inferiore ai 25 la neve in genere non si mette in movimento. Tuttavia perch la valanga si propaghi senza sensibile rallentamento, basta che sul percorso di scorrimento linclinazione superi i 10- 20.
C13-46 Valanghe e inclinazione Distribuzione delle valanghe secondo varie classi di inclinazione Scaricamenti frequenti >60 Valanghe di neve a debole coesione 40-60 Valanghe di neve a lastroni 30-45 Distacchi di neve umida o bagnata <30
Un pendio di 10-20 pu quindi essere pericoloso se si trova alla base di uno pi ripido.
Essa pu essere misurata: a) sulla carta topografica valutando la distanza delle le curve di livello e utilizzando un apposito regolo oppure mediante dei calcoli; b) sul terreno tramite due bastoncini da sci, oppure mediante clinometro.
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Perch le tensioni possano propagarsi allinterno del manto nevoso, la neve deve presentare una certa coesione, cio disporre di grani legati tra loro.
Per valutare se uno strato presenta coesione, si pu eseguire il test della pala: ponendo su essa un blocco di neve, quella coesa non si disintegra alla sollecitazione di piccole scosse.
La neve senza coesione costituisce una condizione rara; si tratta nella maggioranza dei casi di neve fresca caduta con bassa temperatura e vento debole.
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pu successivamente (dopo solo poche ore) trasformarsi in neve legata. Certi pendii che immediatamente dopo le nevicate potrebbero essere percorsi, perch coperti da neve a debole coesione, in seguito allassestamento possono presentare pericolosi lastroni. In genere la neve senza coesione costituisce una condizione rara; si tratta nella maggioranza dei casi di neve fresca caduta con bassa temperatura e vento debole.
Terza condizione: presenza di un piano di slittamento e scarso legame tra il piano di slittamento e lo strato superficiale Presenza di piani di slittamento (stati critici)
Le condizioni di stabilit dipendono molto dalla presenza allinterno del manto nevoso di uno o pi piani di scivolamento, detti anche strati critici, che riducono molto lattrito con il lastrone soprastante. Questi piani di slittamento possono essere costituiti da:
a) strato di brina di fondo o di grani sfaccettati ricoperto da lastrone; b) strato a contatto con il terreno di brina di fondo ricoperto di neve; c) crosta da fusione e rigelo su cui poggia neve recente; d) strato sottile di brina di superficie ricoperta da lastrone; e) superficie di contatto tra neve vecchia e neve fresca. Gli strati deboli costituiti da brina di superficie ricoperta, cristalli sfaccettati e brina di profondit sono chiamati strati deboli persistenti in quanto possono durare per diverso tempo (un mese o pi) nel manto nevoso. Si ritiene che essi siano i maggiori responsabili (60 % dei casi) degli incidenti da valanghe.
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Una diminuzione delle resistenze e degli attriti pu essere prodotta: da un importante aumento della temperatura. Il riscaldamento del manto nevoso pu interessare gli strati pi profondi, se significativo e dura pi giorni. Oltre a questa causa principale ci sono altri fattori che favoriscono e accelerano la diminuzione delle resistenze: la presenza allinterno del manto nevoso di strati critici (croste da rigelo, brina di fondo, grani sfaccettati, brina di superficie, neve pallottolare) che riducono ladesione tra gli strati. Nella trattazione che segue vengono descritte le varie cause che determinano il distacco di una valanga. Inoltre sono illustrati in forma sintetica altri fattori che influiscono sulla stabilit del manto nevoso in particolare: temperatura, esposizione ai versanti, quota.
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La neve fresca il fattore pi importante nella formazione delle valanghe. Alcuni giorni dopo che ha smesso di nevicare, con temperature relativamente calde, il pericolo diminuisce per effetto dellassestamento del deposito nevoso.
Se allinizio o durante linverno si formano depositi di neve fresca che superano i 50 cm, si ottiene una base (fondo) molto solida.
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Durante gli inverni con poca neve gli incidenti da valanga che coinvolgono sciatori e alpinisti sono decisamente pi numerosi che negli inverni con molta neve. Ci accade perch la coltre sottile di neve, caduta allinizio dellinverno, si conserva per un periodo prolungato, con tempo freddo e senza precipitazioni.
Il vento, non per nulla chiamato costruttore di valanghe, un fattore che ne determina la formazione molto pi spesso del caldo.
situazione di pericolo locale di valanghe di neve a lastroni. Dallosservazione della superficie erosa (sastrugi) si pu determinare la direzione del vento al suolo. Ci molto importante per dedurre dove si depositata la neve trasportata.
superficie prima del vento
Si sottolinea che non si deve tenere conto delleffetto vento solo durante la nevicata. Il vento in montagna rappresenta la regola: anche con tempo bello spesso abbastanza intenso da trasportare grandi masse di neve e accumularle nelle zone sottovento.
Lazione erosiva del vento, provoca la riduzione dello spessore originario del manto nevoso e la compattazione del manto con formazione di croste superficiali.
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li. Sul versante opposto, cio sottovento, la velocit del vento diminuisce, grazie allaumento della sezione attraversata dal flusso (espansione). Qui ha luogo il deposito della neve trasportata con conseguente formazione di accumuli a forma lenticolare (sottili ai bordi, spessi al centro). Questi accumuli, chiamati lastroni da vento, possono essere formati da cristalli aventi una coesione pi o meno elevata, e spesso sono instabili in quanto mal legati al manto nevoso preesistente.
direzione del vento
Osservando il profilo di un cresta si possono individuare i luoghi dove pu accumularsi la neve trasportata dal vento, detti zone di accumulo da vento.
Infatti a causa della frantumazione il formato dei grani pu raggiungere 1/10 del formato originario caduto in assenza di vento: si genera cos un deposito di neve (lastrone) i cui grani sono legati tra loro (coesione) e avente una densit maggiore rispetto a quella della neve sottostante. Da notare che questa scarsa stabilit pu permanere per parecchi giorni, soprattutto se la neve ventata appoggia su uno strato debole (grani sfaccettati, brina di fondo, neve pallottolare).
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sottovento
sopravento
Anche nei versanti sopravento, la neve, sebbene in quantit inferiore, pu essere accumulata: su pendio aperto, sotto gli ostacoli naturali, nei canali e nelle conche. Analizzando lo strato superficiale del manto nevoso possibile riconoscere le zone di accumulo dalle zone di erosione. Dove il manto nevoso stato eroso, la superficie si presenta irregolare con scanalature e crestine. I dossi che si presentano quasi privi di neve segnalano una forte attivit del vento. La zona di deposito, si presenta invece con una superficie uniforme, priva di asperit frequentemente di spessore assai consistente. Si tenga ben presente che la direzione del vento nella libera atmosfera, visibile ad esem-
pio osservando le creste, solo indicativa e non rappresenta necessariamente la direzione del vento al suolo, molto influenzata dalla micromorfologia del terreno.
C13-56 Cornici
Sulla linea di cresta che separa due versanti a diversa esposizione rispetto al moto del vento, oppure sui lati delle gole, frequente la formazione di cornici. Cio di depositi di neve spesso instabili che sporgono sul versante sottovento. Sono un chiaro indicatore della direzione predominante del vento in una determinata zona e in un dato periodo. Le cornici crescono come strati successivi che vengono aggiunti durante ogni periodo di trasporto della neve. Dopo essersi attaccati al tetto questi strati tendono ad estendersi oltre la facciata della cornice e si deformano per effetto della gravit assumendo la forma di una lingua incurvata che talvolta imprigiona uno strato daria. La densit della cornice pu superare i 300 kg per metro cubo. necessario prestare attenzione quando la scarsa inclinazione dei due versanti non consente la formazione di cornici: ci non significa che non vi siano comunque accumuli di neve trasportata dal vento.
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I movimenti che fanno parte della progressione con e senza sci, sia in fase di salita che in fase di discesa, con medesime condizioni della neve, imprimono sollecitazioni molto diverse fra loro.
Un riscaldamento brusco, dovuto ad un aumento della temperatura oppure allarrivo di vento secco e caldo come il Fhn, accresce a breve termine il pericolo di valanghe.
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Il freddo conserva il pericolo esistente e le tensioni, allinterno del manto nevoso, permangono per lungo tempo.
Le variazioni della temperatura influenzano in modo considerevole lo stato del manto nevoso; inoltre lentit del riscaldamento risente molto dellorientamento dei versanti e dellaltitudine. Nel corso del periodo invernale (mesi di novembre, dicembre, gennaio) un aumento della temperatura della durata di alcuni giorni, diminuisce le tensioni del manto nevoso e facilita lassestamento. Soprattutto quando tale riscaldamento seguito da un raffreddamento. Ci si verifica maggiormente sui versanti esposti ai quadranti meridionali, i quali, ricevendo una maggiore radiazione solare, si stabilizzano pi in fretta rispetto ai versanti settentrionali dove invece pi probabile la formazione di brina di fondo. Invece con il perdurare di
basse temperature il processo di assestamento viene rallentato e un eventuale pericolo latente si conserva per un periodo di tempo pi lungo in quanto: a) i lastroni di neve depositata dal vento richiedono pi tempo per legarsi alla neve circostante; b) sui pendii da nord-est a nord-ovest continua la formazione di strati deboli (brina di superficie, grani sfaccettati, brina di fondo): permane quindi pi a lungo una instabilit dovuta al fatto che le successive nevicate poggeranno su strati di scorrimento. Nella parte iniziale e centrale dellinverno, per motivi di sicurezza consigliato, soprattutto alle persone che non sono in grado di valutare correttamente la stabilit del manto nevoso, di evitare i pendii esposti a nord e nord-ovest. Durante il periodo primaverile (mesi di marzo, aprile, maggio) il manto nevoso generalmente pi assestato rispetto al periodo invernale. Esso si presenta con neve trasformata da numerosi cicli di fusione e rigelo ed anche i pericolosi strati intermedi deboli sono meno numerosi. Le condizioni di instabilit del manto nevoso sono dovute in prevalenza alla fusione della neve che riguarda dapprima i versanti esposti a est e progressivamente a sud e a ovest, mentre in seguito il riscaldamento interesser anche i versanti settentrionali. Il pericolo di valanghe sar quindi in aumento nel corso della giornata e fino alle ore serali. Lungo i pendii ripidi soleggiati alla base delle rocce, in presenza di neve fresca, si potranno verificare distacchi spontanei di valanghe di neve umida. Il forte calore inoltre provoca la caduta di pietre imprigionate
Nella parte iniziale e centrale dellinverno, per motivi di sicurezza, consigliato evitare i pendii esposti da nord-est a nord-ovest.
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Negli strati di neve caduta alle quote elevate la trasformazione pi lenta. Alle quote basse, invece, lassestamento pi rapido perch le temperature sono pi alte.
dal ghiaccio nei canaloni racchiusi da rocce e la caduta di cornici sul lato sottovento delle creste. Anche la quota riveste un ruolo importante in quanto la trasformazione pi lenta negli strati di neve caduta ad altitudini elevate allinizio dellinverno. Alle quote basse, invece, lassestamento pi rapido perch le temperature sono pi alte. opportuno ricordare che la temperatura generalmente diminuisce con laumento della quota: in media di 0,6C ogni 100 m di dislivello. Quindi, non considerando il fenomeno dellinversione termica (frequente in inverno), se a 1000 metri di altitudine si misurano 10C, a 2000 metri la temperatura sar di 4C e a 3000 metri il termometro misurer 2C. In particolare nel periodo primaverile consigliabile evitare, nelle ore calde della giornata, i canaloni e i pendii esposti da tempo al sole specie se carichi di neve recente. Le gite dovranno quindi essere portate a termine prima di mezzogiorno, al fine di evitare gli effetti del forte riscaldamento.
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SCI IN PISTA 3%
L'elaborazione dei dati raccolti dal 1994 al 2001 ha evidenziato che la maggior parte degli incidenti avvenuto con i gradi di pericolo 3 (marcato) e 2 (moderato).
I travolti da valanga
Il 35% delle persone coinvolte in una valanga rimangono completamente sepolte e cio con la testa e le vie respiratorie sotto la neve. Da osservazioni risulta che il 37% delle persone coinvolte in valanga rimane in superficie. Esse dunque, in aggiunta alle eventuali persone del gruppo non coinvolte, potrebbero portare soccorso ai sepolti e ai semi sepolti. In realt ci avviene difficilmente a causa dello stato psicologico ed emotivo in cui versano. tuttavia certo che i primi minuti dopo lincidente sono fondamentali e diventa essenziale lazione di autosoccorso.
tuttavia certo che i primi minuti dopo lincidente sono fondamentali per la sopravvivenza dei travolti e diventa quindi essenziale lazione di autosoccorso.
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Entro i primi 15 minuti dal seppellimento le probabilit di ritrovare persone in vita sono del 93%.
% 100 93 80
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MINUTI
La curva di sopravvivenza in valanga elaborata nel 1992 ha rivelato che le cause principali dei decessi sono state lasfissia e lipotermia.
Durante tale periodo subentra la morte per asfissia acuta per tutti i sepolti che non dispongano di una cavit daria in prossimit delle vie aeree superiori. Tra i 45 e i 90 minuti dal seppellimento, una piccola percentuale di persone (circa il 20%) pu sopravvivere se dispone di una certa quantit daria ed ha sufficiente libert toracica per i movimenti respiratori. In seguito, tra i 90 e i 130 minuti, si muore per ipotermia. Resta perci fondamentale ritrovare e disseppellire la persona sepolta entro i primi 15 minuti dallincidente per nutrire una ragionevole aspettativa di salvare il travolto. La curva di sopravvivenza in valanga stata elaborata nel 1992 da Brugger e Falk sulla base di 422 persone sepolte nel periodo dal 1981 al 1991. Le cause principali dei decessi sono state lasfissia e lipotermia.
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Sar irrinunciabile operare con velocit e precisione, qualit spesso in antitesi. Tutti i superstiti abili psicologicamente e fisicamente, dovranno operare nellautosoccorso nei primi 15-20 minuti, evitando di avere persone inoperose e tempi morti; si eviter inoltre lo spreco di risorse in esecuzioni inutili. Si cercher di conservare una mentalit positiva e fattiva, tesa al successo dellintervento; sono da evitare atteggiamenti di sfiducia, o pessimistici commenti verbali, perch potrebbero essere eventualmente recepiti dal sepolto ed interpretati come segnali di abbandono. Per una trattazione pi approfondita delle metodologie di autosoccorso in valanga, si rimanda al manuale di sci alpinismo. In questo capitolo si indicano quelle minime azioni di emergenza da eseguire in caso di travolgimento da valanga, considerando purtroppo che, durante la stagione invernale o primaverile, A.R.VA., pala e sonda non fanno ancora parte della attrezzatura abituale che lalpinista pone nello zaino. indispensabile che i compagni, anche se privi di A.R.VA., pala e sonda, non scendano subito a chiedere soccorso a valle, ma mettano in atto quelle azioni che possono portare al ritrovamento del travolto. In considerazione di quanto sin qui illustrato riassumiamo le azioni da intraprendere secondo un ordine cronologico di importanza: - individuazione del responsabile della ricerca e relativi compiti - individuazione aree primarie - ricerca vista udito - richiesta di soccorso organizzato.
C13-67 Incidente da valanga
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RICERCA VISTA-UDITO
Il coordinatore, dopo una analisi della situazione, attiva la ricerca vista udito e cio incarica delle persone di eseguire tale ricerca, in base al numero dei presenti e alla dimensione della valanga. I ricercatori sulla valanga, devono esplorare con gli occhi le zone della valanga nella speranza di cogliere segni che mostrino la presenza o il passaggio del travolto (es. il ritrovamento di oggetti personali). La ricerca vista e udito deve essere eseguita su tutta la superficie della valanga, condotta in silenzio, per poter udire eventuali anche se improbabili lamenti, e per ascoltare i suggerimenti del responsabile. Il ritrovamento di oggetti va subito comunicato al coordinatore. Loggetto ritrovato deve essere segnalato e posto in evidenza sulla superficie della neve, senza rimuoverlo dal luogo del ritrovamento. Intorno alloggetto ritrovato il ricercatore esegue un rapido sondaggio, in modo da verificare la presenza o meno del corpo del travolto. capitato a superstiti di correre a valle per chiedere aiuto e il soccorso organizzato al suo arrivo ha individuato dei travolti mediante perlustrazione della valanga col metodo vista udito.
La ricerca vista e udito devessere eseguita su tutta la superficie della valanga, condotta in silenzio, per poter udire eventuali anche se improbabili lamenti, e per ascoltare i suggerimenti del responsabile. Il ritrovamento di oggetti va subito comunicato al coordinatore.
La lettura del terreno valanghivo pu comportare alcune difficolt se si dispone di un limitato angolo di visuale. Ecco la necessit di portarsi in un punto pi favorevole di osservazione dello scenario, con dispendio tuttavia di tempo ed energie.
necessit di portarsi in un punto di migliore osservazione dello scenario. Occorre osservare attentamente la valanga per cercare zone prioritarie, dove indirizzare la ricerca con pi probabilit di successo.
531 C13-69 Probabile seppellimento
P1 Ostacolo
E T
P2 Curva P3 Cambio di pendenza P4 Accumulo finale P5 Neve intatta ai bordi O Osservatori E Traccia di entrata T Punto di travolgimento S Punto di scomparsa L Linea di flusso P Aree primarie di ricerca
S P1
P2 P5
P3 P4
P2
Nel caso di valanghe di pendio, su terreno aperto e privo di particolari ostacoli (figura C13-69), importante, quando possibile, acquisire informazioni sui presunti punti di ingresso, di travolgimento, e di scomparsa: questi punti dovrebbero essere al pi presto marcati, in maniera da restare ben identificabili per tutto il successivo prosieguo del soccorso. La presenza di ostacoli naturali, curve, o cambi
Travolgimento
NO
Scomparsa
60 NO
Travolgimento Travolgimento
Massima velocit
di pendenza lungo il piano di scorrimento, rallentando il flusso, e favoriscono piccoli accumuli locali che possono divenire punti di probabile arresto del corpo trascinato (figura C1369, P1-P2-P3). Allineando il punto di travolgimento e quello di scomparsa (se noti con certezza), si pu identificare un area a valle del secondo, con ampiezza di circa 60, e simmetrica alla traiettoria stimata, che costituisce zona preferenziale di ricerca lungo laccumulo (figura C13-70). La zona di ricerca pu essere ridotta anche in base ad altri elementi: la direzione (e velocit) in cui si muoveva linfortunato prima di essere travolto, se scendeva il pendio con gli sci (stima della somma vettoriale fra forza dinerzia dello sciatore e forza di trascinamento della valanga); la posizione relativa che i travolti (se in quantit maggiore ad uno), avevano al momento dellincidente (in assenza di disomogeneit del terreno, le distanze fra di essi si mantengono inalterate anche nella zona di arresto); gli indizi ricavati dagli oggetti trovati in superficie (reperti); anche se spesso gli sci o i materiali leggeri si trovano in punti diversi da quello di seppellimento del travolto. In ogni caso, soprattutto quando il punto di scomparsa molto pi a monte della zona di accumulo oppure non ben individuato, bene esplorare come zona primaria la parte centrale della zona di arresto (accumulo finale). In particolare il piede della zona di accumulo. Anche le zone di neve fresca contigue ai bordi, devono essere valutate, perch il sepolto pu essere stato sospinto allesterno dei bordi (figura C13-69, P5).
Per quanto concerne i meccanismi di deposito del corpo del travolto, si consideri inoltre quanto di seguito descritto. Il moto di una massa nevosa in movimento soggiace ai principi che governano la dinamica dei fluidi, e sul terreno ci comporter che al centro del flusso la velocit di scorrimento sar maggiore rispetto ai bordi della massa (figura C13- 71). Superando una curvatura, la velocit del flusso sar maggiore al bordo esterno rispetto al lato interno della curva. Il corpo umano presenta densit maggiore della neve, per cui durante il travolgimento, ed in assenza di un tentativo di galleggiamento (movimenti natatori), questo verr gradualmente sospinto in profondit. La componente di spinta al seppellimento, massima nelle zone suscettibili ad una diminuzione della velocit di flusso, ed il corpo del travolto tender appunto ad essere depositato in dette zone (figura C13-72). Questi concetti andranno particolarmente tenuti presenti nellesaminare situazioni di valanghe incanalate. Riassumendo ora quanto sin qui descritto sullargomento, possiamo in genere ritenere aree di ricerca primaria: la zona di accumulo finale; le zone di accumulo laterali, l dove la valanga compie delle curve; gli avvallamenti; le zone dove la valanga perde velocit e dove il pendio diventa meno ripido; le zone poste a monte e a valle di ostacoli naturali (alberi, rocce, ecc.).
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Il moto di una massa nevosa in movimento soggiace ai principi che governano la dinamica dei fluidi, e sul terreno ci comporter che al centro del flusso la velocit di scorrimento sar maggiore rispetto ai bordi della massa.
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La richiesta del soccorso organizzato viene attivata immediatamente subito dopo aver concluso la fase organizzativa della manovra di autosoccorso, qualora si disponga di telefono portatile o radio ricetrasmittente (RT). Le realt del Soccorso Alpino diffuse sul territorio, attualmente sono in grado di garantire prestazioni, sotto il profilo dei tempi di intervento e della qualit dellintervento stesso, tramite lelisoccorso, inimmaginabili sino a pochi anni fa. I tempi di intervento dal momento della chiamata dipendono da: Distanza e dislivello tra base elisoccorso e valanga Situazione meteorologica Conoscenza del territorio Validit e completezza informazioni Individuazione del sito valanghivo Eventuale assistenza a terra Con la chiamata al soccorso alpino (Tel. 118 per lItalia), grazie alluso dellelicottero, arriveranno in zona valanga una unit cinofila, un medico rianimatore, un tecnico di soccorso alpino. Nellarco di pochi minuti avremo cos la possibilit di poter contare sullaiuto di una quipe di specialisti del soccorso in valanga. Non sempre per possibile lutilizzo della telefonia cellulare (ovvero radio RT). Con questo presupposto, almeno due persone dovranno avviarsi alla volta del pi vicino posto di chiamata, col compito di allertare il soccorso organizzato. Ci avverr non prima di aver parteci-
pato comunque ai primi 15-20 minuti di azione intensiva del gruppo. Nel caso in cui le condizioni meteo non permettessero limpiego del mezzo aereo, il raggiungimento della zona, a carico della colonna di soccorso, dovr avvenire via terra, implicando la relativa dilatazione dei tempi di intervento. Lintervento del Soccorso Alpino non si sostituisce alla manovra di autosoccorso, ma diventa un necessario complemento, in quanto sicuramente il travolto necessiter di assistenza medica, e dovr essere ospedalizzato. Qualora la manovra di autosoccorso risultasse con esito negativo, lunit cinofila provveder, con tempi maggiori, a localizzare il sepolto. pertanto necessario, durante le manovre di autosoccorso, non inquinare la valanga, in modo da non ostacolare leventuale ricerca del sepolto da parte dellunit cinofila. Ricordiamo ancora che il Soccorso Alpino, in caso di travolgimento valanghivo deve essere attivato perch: il travolto dovr quasi sicuramente essere ospedalizzato; i superstiti potrebbero non essere in grado di organizzare e di condurre positivamente la manovra di autosoccorso; le dimensioni della valanga potrebbero essere maggiori della media; potrebbero sussistere gravi difficolt di movimento sulla valanga; i presenti sono in stato di confusione mentale; vi sono molti travolti e pochi superstiti.
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La richiesta di soccorso organizzato va effettuata subito dopo aver concluso la fase organizzativa della manovra di autosoccorso.
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capitolo 14
Pericoli soggettivi
Mancanza di conoscenze e impreparazione tecnica Incapacit e impreparazione fisica Stato danimo e condizione psicologica inadeguati Formazione della cordata poco equilibrata nelle capacit Rischi di caduta e scivolate
Schema per pianificare la salita e per orientare nella scelta Condizioni degli alpinisti Condizioni della montagna Bollettino meteorologico Bollettino valanghe e scala del pericolo Informazioni complementari Guide alpinistiche e classificazione delle difficolt Studio dell'itinerario con la carta topografica e preparazione del tracciato di rotta Equipaggiamento e attrezzatura alpinistica Particolari organizzativi per una comitiva Comportamento nei rifugi e bivacchi Comportamento di un gruppo
Responsabilit dellaccompagnatore
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PREMESSA
Conoscenza delle proprie capacit e stima del pericolo
Lascensione, ovvero lavvicinarsi ad una montagna e poi il salirla lungo un certo itinerario, non comincia nel momento in cui si parte al mattino, ma molto tempo prima quando si inizia ad elaborare il progetto. Lalpinista, fin dalla stagione precedente, si pone una serie di domande: che montagna salire e su quale itinerario, come prepararsi e in che periodo effettuare lascensione. Le ragioni di una scelta sono numerose e personali: limmagine di una certa montagna, una cresta particolare, una parete rinomata. Lalpinismo riesce ad esprimere una ampia serie motivazioni: lesplorazione e il desiderio di avventura , la conoscenza della natura, la capacit di sentire la montagna e di adattarsi allambiente, il superamento delle difficolt, la scoperta delle nostre capacit e dei nostri limiti, il confronto e il rapporto con gli altri. Per dedicarsi allattivit alpinistica, oltre alle motivazioni e ad una buona dose di entusiasmo, sono necessari altre doti quali la prudenza e la lucidit. Essere lucidi significa mantenere la capacit di valutare la situazione evitando che fatica e stress emotivi pregiudichino la visione dinsieme; lalpinista deve conservare un sufficiente distacco dalle condizioni contingenti per prendere decisioni obiettive. Ad esempio prima della salita bisogna accertarsi che le proprie capacit e quelle dei componenti della cordata siano adeguate al tipo di ascensione; durante la salita bisogna essere in grado di fare il punto della situazione onestamente, mettendo da parte le passioni e la voglia di riuscire ad ogni costo, per valutare con precisione gli eventuali pericoli e le forze psico-fisiche della cordata, allo scopo di decidere se continuare oppure ritornare. Lalpinista deve rendersi conto che non possibile eliminare totalmente i pericoli legati ad una salita alpina e che quindi spetta a lui scegliere la giusta via tra laudacia e la prudenza. Quando unazione interessa lincolumit della nostra persona e quella dei compagni e di eventuali soccorritori, la preparazione richiesta non tollera pressappochismo o un distorto senso dellavventura. Un attenta pianificazione e scelta dellescursione deve essere considerata come parte integrante dellazione. La prudenza e diligenza non devono essere interpretate come principi in contrasto con il piacere e la soddisfazione che spingono a intraprendere un'attivit di questo genere. In ogni caso previsioni favorevoli, carta, bussola, relazione di salita non risolvono tutti i problemi: bisogna valutare anche il freddo, il vento, il percorso
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durante le ore notturne, le incognite della salita, la nostra personale preparazione e quella dei compagni di cordata. Lobiettivo di adottare tutte le misure precauzionali affinch lattivit alpinistica comporti un rischio residuo accettabile e per questo dobbiamo essere prudenti anche se la prudenza un margine di sicurezza che dipende dalle capacit e conoscenze dell'individuo e dal tipo di situazione. Conoscere i pericoli per poter meglio evitarli una regola fondamentale. La pratica dellalta montagna presenta due tipologie di pericoli: quelli oggettivi dovuti alle condizioni meteorologiche (pioggia,neve, vento, nebbia, temporali,..), alla caduta di pietre e ghiaccio, ai crepacci e ponti di neve, alla caduta di valanghe e quelli soggettivi che riguardano la persona stessa (incapacit e impreparazione fisica, inadeguata forza danimo, impreparazione tecnica, imprudenza). Il rischio residuo dipende da molti fattori ed perci molto difficile da valutare. Sono sicuramente importanti le capacit e lesperienza dei partecipanti: in una stessa situazione, gli esperti corrono un rischio minore dei principianti. Il grado di percezione del rischio dipende dalla persona; in modo analogo anche lesperto accetta maggiori incognite quando affronta gite impegnative o situazioni difficili. Nessuno quindi al riparo da incidenti, siano essi principianti o alpinisti affermati. Ci che conta essere coscienti della propria capacit di valutazione; bisogna assumere un atteggiamento critico nei confronti delle proprie conoscenze e abilit. Per conoscersi c un unico sistema: analizzare e non giustificare i propri errori, ascoltare e valutare le critiche, i consigli e le osservazioni dei compagni di salita. Bisogna ricercare con umilt e tenacia i segni che la natura spesso ci offre, ascoltare se stessi e conservare il senso di rispetto verso la montagna. Un accurata pianificazione fondamentale per la riuscita della escursione in montagna. Il successo dipende, oltre che dalle proprie capacit, anche dalla scelta appropriata del luogo dove svolgere lescursione e naturalmente dalle condizioni meteorologiche. A volte, pur a malincuore, necessario rinviare la realizzazione di una salita, perch vengono a mancare le condizioni di sicurezza: cattive condizioni del tempo o nevicate recenti possono costringere a disdire il rifugio prenotato da mesi o a rinunciare ad una ascensione da tempo agognata. Nel capitolo vengono presentati i principali pericoli oggettivi e quelli soggettivi, nonch la condotta pi opportuna da adottare. Viene poi trattata la scelta dellascensione in base alle capacit della cordata, quindi si descrivono le fasi di preparazione di una salita. Si conclude il capitolo con una serie di considerazioni sui compiti e le responsabilit di chi coordina un gruppo.
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PERICOLI OGGETTIVI
Scarsa visibilit
La nebbia si forma per raffreddamento dellaria al contatto con il suolo e ci avviene prevalentemente durante le notti serene, in presenza di poco vento ed alta umidit degli strati bassi; il dissolvimento della nebbia sopraggiunge generalmente per il riscaldamento diurno dellaria.
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Cattive condizioni di visibilit, oltre a determinare problemi di orientamento, diminuiscono il nostro livello di percezione dei pericoli oggettivi.
Il grado di visibilit in montagna dipende da molti fattori. Esso varia nello spazio e nel tempo. Lorientamento facilitato da tutti gli oggetti che assorbono la luce (rocce, alberi, ecc.) ed ostacolato da tutto ci che riflette la luce (es. neve, ghiaccio). Gli elementi che compromettono maggiormente la visibilit sono la nebbia, le nubi basse o le nevicate. In particolare la nebbia costituita da una massa di minutissime goccioline dacqua in sospensione negli strati atmosferici in prossimit del suolo. Essa si forma per raffreddamento dellaria al contatto con il suolo e ci avviene prevalentemente durante le notti serene, in presenza di poco vento ed alta umidit degli strati bassi; il dissolvimento della nebbia sopraggiunge generalmente per il riscaldamento diurno dellaria. In roccia i punti di riferimento sono pi numerosi che non sulla neve, le creste sono pi facili da seguire; viceversa su ampi ghiacciai, dove la valutazione delle distanze e dei pendii diventa assai difficile, il rischio di perdersi o di cadere in un crepaccio elevato anche per un conoscitore del posto. Cattive condizioni di visibilit, oltre a determinare problemi di orientamento, diminuiscono il nostro livello di percezione dei pericoli oggettivi. Spesso la concentrazione nella ricerca della direzione con tutti gli strumenti a disposizione e lapplicazione rigorosa delle nozioni e delle capacit tecniche consentono di orientarci, ma distolgono lattenzione dal cogliere i segnali
della natura. Con scarsa visibilit tutto acquista unaltra dimensione, le distanze sembrano aumentare, le forme si dilatano, le pendenza non si percepisce pi correttamente, tanto che a volte non si distingue se si sale o si scende. La luce diffusa confonde il limite tra il terreno e la nebbia e i contorni degli oggetti visibili. I rumori risultano attenuati e spesso difficile udire i propri compagni se si procede in cordata. La cattiva visibilit influenza inoltre la nostra disposizione mentale verso ci che si sta facendo, pu aumentare il nervosismo verso i compagni e creare tensioni allinterno del gruppo. A volte anche la mancanza di visibilit a causa di luce debole e diffusa su un terreno innevato, prima dellalba e dopo il tramonto, a cielo sereno, pu essere critica, in particolare per quanto riguarda il riconoscimento dellinclinazione dei pendii situati sopra e di fianco a quelli su cui si stanno procedendo.
La cattiva visibilit influenza la nostra disposizione mentale verso ci che si sta facendo, pu aumentare il nervosismo verso i compagni e creare tensioni allinterno del gruppo.
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Come comportarsi
Osservare costantemente le condizioni meteorologiche ed accorgersi per tempo che la visibilit sta diminuendo. Utilizzare carta, bussola ed altimetro per fare il punto prima che la visibilit sia troppo scarsa. Orientarsi continuamente, in modo da conoscere esattamente la propria posizione, seguendo i riferimenti naturali e approfittare di ogni schiarita per aggiornare il punto sulla carta topografica. Attendere che la nebbia si alzi oppure, in certi casi, non esitare a tornare sui propri passi per ritrovarsi nel punto noto sulla carta topografica.
C14-01 Visibilit ridotta
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A parit di temperatura e di indumenti, un aumento di velocit del vento accentua la dispersione di calore e quindi la sensazione di freddo; pi forte il vento e pi in fretta sar rimossa la pellicola daria calda che si forma sopra la pelle non coperta da indumenti come ad esempio il viso oppure le mani.
GRADO 1 2 3
Molto forte
60-90
Fortissima
>90
La velocit del vento misurata in km/h aumenta normalmente con la quota; venti deboli in fondo valle non devono far pensare che a quote superiori la situazione sia la medesima. Lattenta osservazione del movimento delle nubi pu dare unidea dellattivit del vento prima che si inizi unescursione. Ad esempio se lo zero termico previsto a 2000 metri con forti venti, a 3600 m di quota ci sono da aspettarsi allincirca -10 C e una velocit del vento di 60 km/h : la perdita di calore corrisponde ad una situazione in cui la temperatura si aggira sui -35C con rischio quindi di congelamento per la pelle esposta al vento.
C14-03 Azione del vento
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Lalpinista prima di intraprendere una escursione, anche se breve, deve ascoltare il bollettino meteo.
za con cirri o cirrostrati, oppure annuncia limminente formazione di queste nubi. Dopo un periodo di tempo buono lalone segnala la presenza di umidit in quota e pu presagire larrivo di una perturbazione ancora prima dellarrivo dei cirri.
Dopo un periodo di tempo buono lalone attorno al sole o alla luna segnala la presenza di umidit in quota e pu presagire larrivo di una perturbazione ancora prima dellarrivo dei cirri.
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Altocumuli
Gli altocumuli sono conosciuti come il classico cielo a pecorelle: si tratta di nubi medie con base tra 3000 e 4000 metri. Sono generalmente disposti in modo regolare, in bande trasversali alla direzione di provenienza del vento. La permanenza di queste nuvolette breve, circa 15-30 minuti e il fenomeno dura solo qualche ora finch il calore del sole non abbia assorbito lumidit. Se si osservano gi al primo mattino esse preludono con buone probabilit a uno sviluppo pomeridiano di cumuli con successivo arrivo di temporali; in tal caso tenderanno ad invadere il cielo, prima sgombro da nubi, e a divenire pi scuri.
C14-04 Altocumuli
Nuvolosit stratiforme in quota seguita da nubi basse da ovest (arrivo di una perturbazione)
Gli strati, altostrati e nembostrati sono nubi medie a carattere stratificato che tendono a coprire il cielo in modo uniforme e hanno la caratteristica di assorbire la luce quanto pi sono cariche dacqua. Gli altostrati presentano una base compresa tra 3000 e 4000 metri e sono le principali portatrici di pioggia o di neve, insieme ai nembostrati (base fino a 1000m), che si formano quando i primi diventano pi densi e spessi. La precipitazione dura almeno qualche ora.
Nubi cumuliformi con forte sviluppo verticale e base scura (rovesci o temporali)
I cumuli, se gi presenti al mattino, indicano condizioni di instabilit pi elevate ed il riscaldamento dellaria a contatto con il suolo non fa altro che aumentare tale instabilit. Si avr cos un maggior sviluppo di nubi convettive, che diverranno pi spesse nel corso della giornata e, se la parte di cielo coperta diviene maggiore della parte di cielo sereno, vi alta probabilit di rovesci. Limminenza della precipitazione in relazione sia al colore della nube sia al colore scuro della base. Un cumulo ingrossato assume la forma di un cavolfiore oppure, a causa di instabilit maggiore, si formano protuberanze a forma di torri sulla sua sommit, sinonimo di accrescimento verticale. I rovesci associati ai cumuli interessano unarea di circa 10-12 km quadrati e durano approssi-
C14-06 Cumuli
mativamente dai 10 ai 30 minuti. Invece rovesci associati al fronte freddo hanno una durata maggiore e risultano pi intensi.
Cumulonembi
I cumulonembi sono le nubi pi spesse in atmosfera e si sviluppano in verticale dal suolo fino a 10-12 km ed anche in orizzontale raggiungono i 16-20 km. A volte la base dei cumulonembi non si trova al suolo bens ad una certa quota (vedi figura C14-08). Alla sommit essi si allargano e si espandono assumendo la tipica forma ad incudine. I fenomeni associati a questo tipo di nube possono essere molto violenti (temporali, grandine, forti rovesci). Lesperienza ci insegna che in montagna la frequenza dei temporali maggiore nel pomeriggio piuttosto che durante la mattinata; anche nel caso di precipitazioni dovute a cumulonembi si assiste alla formazione di cumuli gi durante il mattino. Quando i bordi netti della nube temporalesca cominciano a sfilacciarsi significa che il temporale maturo.
I fenomeni associati ai cumulonembi possono essere molto violenti (temporali, grandine, forti rovesci).
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C14-08 Cumulolembi
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possibile stimare la distanza tra il temporale e il luogo in cui ci si trova sfruttando la differente velocit di propagazione del lampo e del tuono prodotto dalla scarica. Poich il suono si propaga nellaria con una velocit di circa 340 m al secondo sufficiente moltiplicare il numero dei secondi trascorsi tra il lampo e il tuono per 340 metri. Eseguendo pi volte questo calcolo si pu capire se il temporale si allontana oppure si avvicina.
Il fulmine si abbatte preferibilmente sulle punte, cio in luoghi che sporgono in modo evidente rispetto ai dintorni come ad esempio cima dei monti, creste, campanili, pinnacoli, alberi alti, edifici e alberi isolati. Inoltre va ricordato che la frequenza delle scariche elettriche in montagna, soprattutto in quota, netta-
scariche molto frequenti zona di sicurezza relativa scariche probabili scariche probabili
mente superiore a quella di pianura. A partire dal punto di impatto si forma un campo elettrico di forma circolare ed intensit decrescente verso lesterno per cui i luoghi compresi in un raggio variabile dai 10 ai 30 metri sono considerati pericolosi. Il raddrizzarsi dei capelli o il crepitio dellaria sulle punte sono evidenti segnali di un forte potenziale elettrico che ci impongono di abbandonare al pi presto quel posto. Le folgorazioni dirette producono la morte; se invece il fulmine cade nelle vicinanze le conseguenze sul corpo umano dipendono dai punti di contatto della persona con il terreno. Se tocchiamo due punti a potenziale elettrico diverso il corpo verr attraversato da una corrente che oltre produrre bruciature e ustioni determina pesanti effetti anche sul sistema nervoso: ad esempio contrazioni muscolari involontarie capaci di gettare lontano la persona, come se qualcuno imprimesse una improvvisa spinta. La regola pertanto quella di toccare un solo punto del terreno. Bisogna pertanto allontanarsi prima possibile dai luoghi dove pi elevata la probabilit di scariche. Il passaggio di corrente facilitato dalla presenza di corde metalliche (ad esempio ferrate), dal terreno o dal vestiario bagnato; anche una fessura oppure foro comunicanti tra grotta ed esterno possono diventare un canale di passaggio per la corrente. un errore cercare riparo sotto uno strapiombo o ai piedi di una fessura verticale perch in questi posti si propagano le correnti di superficie (vedi figure C14-11 e 12).
fulmine
corrente
roccia
ddp alta
NO
NO
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Vetrato
Se si verifica un brusco abbassamento di temperatura lacqua di scorrimento presente sulle rocce oppure lacqua di fusione prodotta dai nevai sospesi si trasformano in vetrato, cio una pellicola di ghiaccio sottile e spesso trasparente estremamente scivolosa. A volte il vetrato si forma anche allimprovviso, quando le gocce di pioggia sono ancora liquide mentre la temperatura inferiore a 0C (stato di soprafusione): lurto sulla roccia, che pu trovarsi anche ad una temperatura leggermente superiore a 0C, modifica lequilibrio e lacqua si trasforma subito in un velo di ghiaccio. In queste situazioni la progressione diventa pi lenta, si richiede a volte luso dei ramponi e diventa spesso necessario scrostare con il martello la pellicola di ghiaccio che ricopre appigli e appoggi.
C14-13 Vetrato
Il vetrato si forma anche allimprovviso, con le gocce di pioggia, a temperatura inferiore a 0 C (stato di soprafusione), che urtando sulla roccia si trasforma subito in un velo di ghiaccio.
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Su superfici nevose la precipitazione di neve a grani pu produrre uno strato di scorrimento per le successive nevicate.
Su superfici nevose la precipitazione di neve pallottolare (grani arrotondati simili a chicchi di grandine ma pi leggeri) pu produrre uno strato di scorrimento, una volta che questo sia stato coperto da successive nevicate.
Tormenta
A volte vento impetuoso e precipitazioni nevose si uniscono dando luogo alla tormenta. Questo fenomeno, che causa altres scarsa visibilit e un forte abbassamento della temperatura, pu durare parecchie ore e anche qualche giorno. In questa situazione gli alpinisti devono indossare gli indumenti pi adatti e progredire con calma e prudenza: con larrivo del brutto tempo si tende infatti ad agire in fretta e a trascurare certe operazioni di sicurezza adottate in condizioni normali. Se la progressione diventa impossibile, bisogna cercare un riparo contro il vento, proteggersi con teli termici dalla precipitazione, rimanere vicini e mantenere alto il morale.
La tormenta causa scarsa visibilit e un forte abbassamento della temperatura che pu durare parecchie ore o addirittura giorni. In questa situazione gli alpinisti devono indossare gli indumenti pi adatti e progredire con calma e prudenza
Bivacco di fortuna
In montagna pu capitare che particolari circostanze, come una tormenta improvvisa, lo smarrimento dellitinerario, la nebbia, lallungamento dei tempi richiesto dalla salita, costringano gli alpinisti a bivaccare. In questi casi necessario decidere il bivacco per tempo, organizzandosi bene, per evitare che l'affaticamento e la notte non permettano di trovare un posto adatto. La scelta del luogo dipende dalla disponibilit di tempo, dalla natura del terreno e dai mezzi
per effettuare un eventuale scavo . Potendo scegliere tra realizzare il bivacco nella neve oppure su roccia bene preferire la prima perch allinterno di una caverna di neve si ha pi caldo che fuori. Luoghi idonei per costruire una caverna si trovano dove la neve stata ammucchiata cio su pendi sottovento, in conche, intorno a grandi massi e in prossimit di rocce. In un primo tempo si scava una nicchia sufficiente per rimanere seduti; successivamente si pu ingrandire il vano per poter dormire sdraiati. Il soffitto deve essere leggermente a volta e ben liscio, per evitare lo stillicidio dellacqua. L'apertura del bivacco deve essere piccola e chiusa con blocchi di neve oppure con pietre. Il soffitto deve essere basso e le cuccette sopraelevate, per sfruttare meglio il calore (la temperatura all'interno sale in genere fino ad alcuni gradi sopra lo zero). Le dimensioni del ricovero consigliate sono da 2 a 4 persone. L'aerazione si assicura mediante fori praticati nel soffitto o lateralmente, che, in caso di nevicate, devono essere costantemente tenuti liberi.
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Luoghi idonei per costruire una caverna si trovano dove la neve stata ammucchiata cio su pendi sottovento, in conche, intorno a grandi massi e in prossimit di rocce.
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In caso di bivacco sulla roccia, conviene usare il telo termico come coperta: in questo modo si impedisce la dissipazione del calore corporeo e si ci protegge dallacqua.
Sulla roccia bisogna scegliere un luogo riparato dal vento e dalle scariche di sassi; si pu trovare rifugio sotto un piccolo tetto della parete e costruire intorno dei muretti di sassi. Conviene usare il telo termico per avvolgere le persone come una coperta: in questo modo si impedisce la dissipazione del calore e si ci protegge contro le gocce dacqua che provengono dallalto. preferibile che il posto si trovi qualche metro al di sopra del fondo di una valletta o di un canalone perch si gode di una temperatura di 5-10C gradi superiore (a condizione che il luogo sia riparato dal vento), in quanto l'aria fredda, pi pesante, si accumula in basso.
siasi agente e per qualsiasi pericolo. In montagna ci sono i rigori del clima, bisogna conoscerli e sapere proteggersi.
Pericolo di valanghe
Le valanghe non caratterizzano solo il periodo invernale. In alta montagna, anche destate, dopo il passaggio di un fronte freddo che ha apportato neve fresca, sui pendii con inclinazione di almeno 30, sussiste il pericolo di valanghe.
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In alta montagna, anche destate, dopo il passaggio di un fronte freddo che ha apportato neve fresca, sui pendii con inclinazione di almeno 30, sussiste il pericolo di valanghe.
Spesso la neve fresca si deposita su uno strato di neve vecchia molto duro o addirittura si appoggia sul ghiaccio vivo: in entrambi i casi siamo in presenza di un piano di slittamento molto favorevole. Il periodo pericoloso generalmente di breve durata, perch il forte riscaldamento del sole accelera lassestamento, tuttavia sono indispensabili 2-3 giorni di bel tempo per dare agli strati di neve la consistenza necessaria. A volte bisogna attendere un periodo pi lungo soprattutto se c stata unazione importante del vento, sia durante la precipitazione che dopo il periodo di brutto tempo: in estate nelle zone in ombra e su superfici di ghiaccio vivo conviene aspettare almeno una settimana di tempo buono in primavera, con temperature in quota pi basse, i tempi di assestamento sono pi lunghi per cui bisogna attendere anche 15 giorni di bel tempo prima di impegnarsi nelle ascensioni.
Una valanga che si stacca nel corso della giornata indica che il manto nevoso assai instabile; spesso nel giro di qualche ora viene seguita da altre. Se lorigine del distacco prodotto da un rialzo termico (riduzione delle resistenze) o dalla pioggia (sovraccarico e riduzione delle resistenze), tutti i pendii aventi la stessa quota e la medesima inclinazione di quello interessato dalla valanga possono ritenersi pericolosi. In presenza di neve asciutta, la formazione di fessure al momento del carico del manto nevoso e rumori woum di assestamento sono chiari segnali di grande instabilit, cio si constata una situazione di pericolo forte. Il rumore provocato dalla fuoriuscita dell'aria dalle cavit del manto nevoso quando questo si assesta sotto carico. Ci si deve allora fermare e intraprendere tutte le precauzioni possibili per abbandonare la zona.
Se lorigine del distacco prodotto da un rialzo termico o dalla pioggia, tutti i pendii aventi la stessa quota e la medesima inclinazione di quello interessato dalla valanga possono ritenersi pericolosi.
renti che si formano sulla superficie del ghiacciaio, sia i ponti creati da coni di valanga che coprono lacqua che scorre al di sotto. In entrambi i casi lacqua scava e lalpinista deve fare attenzione a non trovarsi su un arco estremamente fragile che potrebbe aprirsi sotto i suoi passi.
C14-18 Sondaggio di un ponte di neve
Fino a questo punto abbiamo trattato i pericoli dovuti agli agenti atmosferici. Ora passiamo a valutare dei pericoli quali la caduta di pietre, di ghiaccio e di seracchi che rappresentano i pericoli oggettivi pi severi ai quali esposto lalpinista. I cambiamenti climatici oggi in atto hanno ulteriormente aggravato la situazione ponendo questi pericoli al primo posto e riducendo la possibilit di effettuare durante la stagione estiva molte ascensioni su ghiaccio e misto che, viceversa, alcuni anni fa si svolgevano normalmente nei mesi di luglio e agosto. Gli anni Novanta sono stati globalmente il decennio pi caldo da quando sono disponibili strumenti di misurazione affidabili (attorno al 1860); i risultati di diversi studi indicano che il riscaldamento fatto registrare nel XX secolo un fenomeno mai riscontrato dallinizio del millennio. Linizio dellindustrializzazione coinciso con la conclusione di un periodo freddo. I processi di riscaldamento naturali e quelli prodotti dalluomo (aumento della concen-
trazioni dei gas e effetto serra), si sono cos sommati: laumento della temperatura ha prodotto nelle Alpi larretramento dei ghiacciai e linnalzamento del limite del permafrost che a sua volta ha determinato un forte aumento di frane, smottamenti, cadute di massi e di ghiaccio. Con il termine permafrost si intende un qualsiasi terreno che rimane al di sotto della temperatura di 0C per pi di due anni; inoltre si definisce come strato attivo lo strato di terreno posto immediatamente al di sopra del permafrost che subisce annuali congelamenti e scongelamenti. Recenti studi hanno evidenziato come la copertura nevosa stagionale svolga una importante azione sia sul permafrost che sullo strato attivo, svolgendo il ruolo di materiale isolante: soprattutto in estate, lo strato di neve isola il terreno dall onda termica che determina lo scongelamento dello strato attivo. In alta montagna il permafrost si forma sia su roccia solida, sia su materiali sciolti, conoidi detritici e morene. Negli ultimi 100 anni nelle Alpi il limite del permafrost si innalzato di 150-200 metri di altezza. Attualmente la fascia altimetrica del permafrost si sviluppa al di sotto delle regioni glaciali a partire allincirca da 2600 m di quota; per i prossimi 50 anni, delle ricerche condotte in Svizzera prevedono, per un riscaldamento tra 1 e 2 C, un ulteriore spostamento in altezza di 200-750 metri. La riduzione del permafrost aumenta linstabilit dei versanti; canali e conoidi perdono con il ghiaccio il collante che li rende coerenti e si pu prevedere una maggior frequenza
Con il termine permafrost si intende un qualsiasi terreno che rimane al di sotto della temperatura di 0 C per pi di due anni.
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La caldissima estate del 2003 ha prodotto tali danni sul permafrost che gli esperti prevedono che siano necessari almeno 10 anni di abbondanti precipitazioni nevose in quota accompagnate da estati fresche per compensare la maggiore ablazione estiva dei ghiacciai.
di frane, cadute di ghiaccio e smottamenti. La riduzione dei ghiacciai un fenomeno in atto dalla met dellOttocento: rispetto al livello massimo di espansione del 1850 sono scomparsi nelle Alpi Svizzere circa 100 ghiacciai, mentre in tutta Europa i ghiacciai alpini hanno perduto circa la met del loro volume di ghiaccio ed il 30-40% della superficie originale. La caldissima estate del 2003 ha prodotto tali danni sul permafrost che gli esperti prevedono che siano necessari almeno 10 anni di abbondanti precipitazioni nevose in quota accompagnate da estati fresche per compensare la maggiore ablazione estiva dei ghiacciai. Tuttavia, finch lo zero termico permane per molti giorni a 4500 metri, tale ipotesi rimane una remota speranza.
Caduta di pietre
La caduta di pietre in genere si verifica sugli itinerari dominati da pareti di roccia friabile, soprattutto nei canali che le solcano e convogliano i sassi, oppure allinterno dei pendii costituiti da detriti e ricoperti pi o meno completamente da ghiaccio e neve. La caduta di pietre generalmente provocata dallalternanza di gelo e disgelo e si manifesta con maggior frequenza allarrivo del sole e con laumento della temperatura. Per queste ragioni nel corso di estati calde e secche queste cadute sono pi frequenti e in certi casi assumono le proporzioni di vere e proprie frane. Riassumiamo la condotta da tenere per prevenire la caduta di pietre: a) scegliere con oculatezza lescursione
La caduta di pietre generalmente provocata dallalternanza di gelo e disgelo e si manifesta con maggior frequenza allarrivo del sole e con laumento della temperatura.
b) osservare le zone soggette alle scariche: striscie nere di detrito, solchi scavati nella neve, presenza di blocchi c) superare le zone pericolose prima del levar del sole d) evitare i canali e prendere di preferenza i dossi e le creste e) posare i piedi con precauzione e tenere la corda sollevata in modo da non smuovere sassi f ) in parete scegliere i posti pi protetti dove effettuare le soste g) evitare i percorsi troppo frequentati soprattutto se ci sono cordate che ci precedono. Se malgrado le precauzioni prese ci si trova sorpresi dalla caduta di pietre, che sentiamo fischiare intorno, necessario: a) lanciare il grido di avvertimento sassi b) in parete, appiattirsi fortemente contro il terreno, meglio se sotto delle asperit, ed evitare di guardare in alto (rischio di sassi sul viso) c) mantenere la calma, osservare con attenzione la traiettoria dei sassi, individuare un luogo pi sicuro e, quando pronti, raggiungerlo.
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Caduta di ghiaccio
Le scariche di ghiaccio si manifestano con la caduta di piccoli blocchi di ghiaccio instabili, con il crollo di cornici, con la caduta di seracchi. I primi due fenomeni si verificano soprattutto sulle pareti esposte allazione del sole e durante le ore pi calde. La traiettoria dei frammenti pi lineare di quella dei sassi; i blocchi non rimbalzano in modo vario e tendono ad ammucchiarsi su uno spazio pi ristretto. Le cornici si formano sulle creste e presentano strapiombi di neve sul versante del pendio sotto vento. Esse presentano un duplice pericolo: minacciano il pendio sottostante perch il crollo oltre a produrre frammenti pu causare linnesco di valanghe; la cornice pu anche crollare sotto il peso dellalpinista che si muove sul balcone di neve o che, raggiungendola dal pendio, la deve oltrepassare. difficile prevedere in anticipo la linea di possibile rottura; il cedimento pu provocare non solo la caduta della parte strapiombante, ma anche di una parte di cresta di cui fa parte. La caduta di seracchi determinata soprattutto dal movimento del ghiacciaio e dalla instabilit che una parte di esso subisce quando la colata glaciale deve superare un brusco salto o dove il fondo roccioso si solleva a dosso (vedi capitolo 10). Il crollo di seracchi perci casuale e non ha orari tipici. Di fatto si notato che la frequenza della cadute di seracchi aumentata nei periodi in cui la quota dello zero termico era superiore ai 4000 metri. Segnaliamo alcuni comportamenti da adottare nellattraversamento di zone a rischio per cadu-
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Le cornici si formano sulle creste e presentano strapiombi di neve sul versante del pendio sotto vento. Esse presentano un duplice pericolo: possono crollare sul pendio sottostante - possonocrollare sotto il peso dellalpinista.
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ta di ghiaccio o crollo di seracchi: a) osservare i frammenti gi caduti e chiedersi se sono recenti e da dove sono caduti b) in parete scegliere i posti pi protetti dove effettuare le soste (evitare di sostare nelle rigole, rimanere in direzione di speroni di roccia che possono deviare la caduta, ripararsi sotto sporgenze,..) c) ridurre al minimo il tempo di esposizione nelle zone a rischio sotto i seracchi instabili, evitando le fermate ed effettuando veloci attraversamenti; con esposizioni previste troppo lunghe rinunciare al passaggio e trovare un percorso alternativo pi sicuro.
PERICOLI SOGGETTIVI
In montagna i pericoli soggettivi dipendono dallindividuo stesso:
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Lesperienza ci insegna che la maggior parte degli incidenti in montagna non causata dai pericoli oggettivi bens dallalpinista; proprio perch sono legati alla persona i pericoli di natura soggettiva possono e dovrebbero essere evitati.
a) mancanza di conoscenze e impreparazione tecnica b) incapacit e impreparazione fisica c) stato danimo e condizione psicologica inadeguati d) formazione della cordata poco equilibrata nelle capacit e) incapacit di superare le difficolt con le proprie forze e probabilit di una caduta f ) superficialit nellorganizzazione della salita: stima non corretta delle difficolt in rapporto alla propria esperienza con possibili errori nella scelta della ascensione. Tale argomenti verranno trattati nella sezione preparazione della salita. Lesperienza ci insegna che la maggior parte degli incidenti in montagna non causata dai pericoli oggettivi bens dallalpinista; proprio perch sono legati alla persona i pericoli di natura soggettiva possono e dovrebbero essere evitati.
La conoscenza dellambiente permette una sicura frequentazione; solo allora si sa come affrontarlo, si applicano le tecniche adeguate, si attivano i mezzi fisici e la forza mentale, si sceglie lattrezzatura e labbigliamento.
stata elaborata una cultura e sono state messe insieme le conoscenze capaci di far fronte alle avversit e di prevenire le situazioni potenzialmente pericolose. Modelli di comportamento proposti da una certa stampa sensibile solo alla prestazione spettacolare, oltre a dare informazioni superficiali e distorte, tendono purtroppo a banalizzare e a trasformare in fatti ordinari attivit che richiedono invece anni di preparazione ed esperienza. Limpreparazione tecnica e la mancanza di conoscenze in campo scientifico e culturale costituiscono una fonte importante di pericoli non solo per chi gi si dedica allattivit alpinistica, ma soprattutto per lalpinista esordiente. Il principiante soggetto a due aspetti negativi: la mancanza di esperienza che lo porta a sottovalutare il pericolo e leccesso di entusiasmo che lo spinge a sopravvalutare le sue capacit. La preparazione tecnica fa riferimento alle modalit di progressione sulla roccia, sulla neve e sul ghiaccio, ai metodi di assicurazione, alle manovre di corda e di autosoccorso e allutilizzo del materiale alpinistico. Le conoscenze di carattere scientifico riguardano limpiego della cartina topografica e dei sistemi di orientamento, la neve e le valanghe, le rocce e il ghiacciaio, la meteorologia, i pericoli a cui ci si espone frequentando la montagna, le iniziative da intraprendere in caso di incidente. Gli aspetti culturali hanno attinenza soprattutto con lo stile di comportamento delluomo nei confronti della montagna e delle persone: importante conoscere chi ha fatto la storia delle salite alpine e leggere i loro racconti, apprende-
Il principiante soggetto a due aspetti negativi: la mancanza di esperienza che lo porta a sottovalutare il pericolo e leccesso di entusiasmo che lo spinge a sopravvalutare le sue capacit.
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Gli aspetti culturali hanno attinenza soprattutto con lo stile di comportamento delluomo nei confronti della montagna e delle persone: importante conoscere chi ha fatto la storia delle salite alpine e leggere i loro racconti, apprendere gli usi e i costumi di chi vive in montagna, studiare la flora e la fauna alpina per apprezzare questa grande ricchezza che la natura ci offre.
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re gli usi e i costumi di chi vive in montagna, studiare la flora e la fauna alpina per apprezzare questa grande ricchezza che la natura ci offre. Spesso lalpinista preferisce lallenamento e lazione rinviando a quando sar meno in forze il tempo da dedicare a questi temi. Tuttavia importante capire che la sola conoscenza delle tecniche non sufficiente per formare un alpinista ma che anche necessario formarsi unetica di comportamento che tuteli lambiente naturale e che si ispiri a valori di rispetto e solidariet nei confronti delle persone con cui arrampichiamo o veniamo in contatto. In questo ambito listruttore o colui che guida il gruppo non esercita solo un ruolo di accompagnamento ma deve svolgere anche unazione culturale ed educativa.
La conoscenza dei propri limiti si apprende solamente con la pratica sul terreno affrontando itinerari di impegno crescente con gradualit; e questa regola vale soprattutto nellalpinismo su ghiaccio e misto. Grazie allesperienza maturata lalpinista confronta le sue forze con le prestazioni richieste dallitinerario ed in grado, quando affronta imprese alla sua portata, di riservarsi un margine adeguato di sicurezza. Unaltra fonte di incidenti, che si pu trovare sia in principianti che in alpinisti affermati, la presunzione di credersi capaci di superare qualsiasi situazione; questo comune atteggiamento si differenzia solo dal grado di difficolt che essi affrontano.
Lalpinista deve rendersi conto dei limiti delle sue capacit, delle sue forze, della sua resistenza alla fatica di fronte non solo alle difficolt descritte da una guida ma anche ipotizzando situazioni impreviste (quota, cattivo tempo) che potrebbero impegnarlo maggiormente.
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Volont, determinazione, tenuta psico -fisica sono qualit altrettanto indispensabili quanto quelle fisiche e la mancanza di tenacia e di spirito di reazione nei momenti difficili pu condurre a situazioni assai critiche per la propria e altrui incolumit.
al vento turbinoso o sotto un acquazzone violento, oppure a seguito di un incidente si deve reagire con lucidit e non bisogna perdersi danimo. Volont, determinazione, tenuta psico fisica sono qualit altrettanto indispensabili quanto quelle fisiche e la mancanza di tenacia e di spirito di reazione nei momenti difficili pu condurre a situazioni assai critiche per la propria e altrui incolumit.
Lalpinista deve interrogarsi spesso sulla qualit della neve (molle, dura, ghiaccio), sulla necessit di legarsi e di posizionare protezioni e su tanti piccoli problemi che richiedono rapide decisioni.
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I singoli concetti relativi alla scelta e preparazione della gita vengono quindi successivamente trattati in modo approfondito. Si fa notare che la condotta da assumere e le tecniche da adottare durante lascensione sono state descritte nei precedenti capitoli.
571 C14-29 Schema pianificazione salita
1 - FORMAZIONE DELLA CORDATA E SCELTA DELLA SALITA Condizioni degli alpinisti Situazione personale: forma fisica e allenamento; condizione psicologica; preparazione tecnica Compagni di cordata: esperienza alpinistica e competenze tecniche (arrampicare da capocordata, progressione in conserva, effettuare manovre di corda e recuperi da crepaccio); capacit psico-fisiche Condizioni della montagna Scelta del tipo di salita (gruppo montuoso, parete o cresta , ghiaccio, neve , misto) in relazione a stagione, quota, temperatura, luoghi meno esposti alle scariche di sassi e di ghiaccio 2 - CONDIZIONI METEO-NIVO Bollettino meteorologico precipitazioni previste e visibilit temperatura: con quota dello zero termico oltre i 4000 m valutare attentamente la fattibilit venti: direzione ed intensit in riferimento alla quota (con 50Km/h cambiare itinerario o rinunciare) previsioni a breve e medio termine Bollettino valanghe (emesso durante linverno e la primavera) grado di pericolo (con grado 3 evitare i pendii ripidi oltre i 30) altezza critica della neve fresca (pericolo marcato o superiore) a) con 40-50 cm di neve recente valutare altri itinerari o altre zone pi sicure b) bastano 20/30 cm di neve recente e condizioni sfavorevoli per cambiare itinerario o rinunciare allascensione segnali dallarme di forte pericolo (itinerario molto pericoloso e da evitare): valanghe spontanee cadute in giornata, fessure e rumori woum al momento del carico del manto nevoso Informazioni complementari gestori di rifugi, guide locali, ufficio guide, persone esperte e fidate
3 - INFORMAZIONI SULLA SALITA Guide, carte topografiche, tracciato di rotta accesso al massiccio, avvicinamento al rifugio caratteristiche dellitinerario: difficolt, dislivello, quota, orientamento dei versanti, accesso alla parete, ritorno individuazione zone critiche: tratti esposti alla caduta di pietre e ghiaccio, crepacci, seracchi, pendii ripidi da attraversare carte topografiche 1:25.000, bussola e altimetro - GPS preparazione del tracciato di rotta (marcia al buio, zona sconosciuta, nebbia) studio delle possibili varianti e relativo tracciato di rotta individuazione di itinerari alternativi
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4 - EQUIPAGGIAMENTO E ATTREZZATURA In base a: tipo di salita (ghiaccio, misto); difficolt, caratteristiche; modalit del pernottamento (rifugio, bivacco, tendina, a cielo aperto) si scelgono: equipaggiamento e viveri attrezzatura alpinistica individuale equipaggiamento ed attrezzatura collettiva materiale di pronto soccorso
Una buona forma fisica e lallenamento hanno molta importanza nella pratica dellalpinismo. assai utile effettuare un controllo medico adeguato a partire dal momento in cui si pratica uno sport e in particolare modo su difficolt impegnative. Una delle cause principali degli incidenti la fatica, conseguenza di una cattiva valutazione delle proprie possibilit o di una inadeguata condizione fisica. quindi assai opportuno che lattivit alpinistica in montagna si svolga con continuit e che sia accompagnata da un esercizio sportivo regolare e da una alimentazione adeguata. Larrampicata su ghiaccio o su roccia richiede un notevole impegno muscolare, forza esplosiva, coordinazione, mobilit articolare e una parete in quota va affrontata solo da chi
abituato allambiente di montagna con tutte le variabili che questo presenta. Bisogna allenarsi allalta montagna effettuando uscite con dislivelli crescenti e andando a toccare quote progressivamente pi elevate.
La salita e in particolare la permanenza a quote elevate senza adeguata acclimatazione possono favorire la comparsa del mal di montagna.
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Il mal di montagna colpisce a 3500 m il 30 % delle persone mentre a 4500 m ne coinvolge il 50 %; i sintomi lievi si manifestano con inappetenza, nausea, mal di testa, stanchezza eccessiva e insonnia.
parsa. Se si prevede di trascorrere la notte sopra i 3000 m, lavvicinamento deve essere fatto il pi possibile a piedi. Nel caso si usino impianti di risalita, opportuno non partire direttamente dalla pianura ma programmare una notte a quota intermedia.
C14-30 Percorso di cresta in quota
Prima di affrontare percorsi lunghi e di un certo impegno con una persona che si conosce poco bene capire il suo livello di abilit sui vari tipi di terreno effettuando salite di livello di difficolt inferiore.
Il livello tecnico non indica solamente la capacit di superare un certo grado di difficolt ma include la conoscenza dei vari terreni, labitudine allalta montagna, la capacit di poter tornare da met strada anche con il cattivo tempo.
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Sul piano tecnico rimane essenziale la condizione che in ogni ascensione non bisogna mai essere al limite delle proprie possibilit, cio bisogna avere sempre un margine di sicurezza che con lesperienza si sar in grado di valutare con maggior precisione.
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0 a 4500 m
accresciute capacit tecniche, alpinisti particolarmente appassionati si sono dedicati ad ascensioni su ghiaccio lungo gole incassate tra pareti di roccia (le cosiddette goulotte) e ripidi canali ghiacciati, che richiedono per la loro effettuazione ghiaccio compatto e basse temperature; tali situazioni si trovano spesso solo in inverno e comunque fuori dalla normale stagione estiva, altrimenti queste salite sarebbero molto pericolose per la caduta di sassi o addirittura non potrebbero essere nemmeno realizzate per mancanza di ghiaccio. Questa scelta, se da un lato ha ridotto il pericolo della caduta di sassi e di ghiaccio, ha tuttavia amplificato altri pericoli: maggiori probabilit di caduta di valanghe e condizioni generali dellascensione pi impegnative (giornate pi corte, basse temperature, difficolt di battere pista in salita e in discesa). Vogliamo porre laccento sul problema delle valanghe, perch si notato un aumento degli incidenti accaduti ad alpinisti che rientravano dopo aver effettuato una salita su ghiaccio. Infatti proprio nella stagione primaverile ed autunnale si devono adottare misure precauzionali maggiori in quanto le basse temperature e il minor irraggiamento solare non favoriscono, per un periodo pi prolungato, il consolidamento del manto nevoso. Con la conseguente permanenza di accumuli da vento e scarso legame tra gli strati. Pertanto a chi si impegna su salite di neve e ghiaccio che si sviluppano sopra i 3000 m di quota nei mesi primaverili e in autunno si consiglia di: 1. consultare con regolarit il bollettino nivo-
A causa dellaumento dei pericoli oggettivi c la tendenza di salire le pareti di ghiaccio nel periodo primaverile fino ai primi giorni di luglio e nel periodo autunnale dopo la caduta della prima neve.
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meteo 2. controllare che la quota dello zero termico permanga sotto i 3000 m 3. attendere 15 giorni di bel tempo prima di affrontare la salita 4. assumere tutte le informazioni possibili sulla fattibilit dellitinerario 5. portare con s A.R.VA. e pala da neve Lalpinista che intende svolgere attivit su ghiaccio nel periodo tipicamente estivo deve scegliere con grande oculatezza litinerario oppure orientarsi alle salite di misto su cresta, facendo comunque particolare attenzione, nella fase di avvicinamento, alle zone che possono potenzialmente scaricare. Si consigliano i seguenti comportamenti: 1. consultare con regolarit il bollettino meteo 2. se la quota dello zero termico permane per diversi giorni intorno ai 4500 m rinunciare alla salita su ghiaccio 3. se c stato un periodo prolungato con quota zero termico costantemente su valori di 40004500 m e poi si verificato un brusco abbassamento di temperatura non bene affrontare subito la salita; conviene aspettare 2-3 giorni a temperature pi basse per dar tempo allo strato di neve-ghiaccio presente sotto la superficie di raffreddarsi 4. se la quota dello zero termico resta sotto i 3500 m per qualche giorno e in precedenza si verificato un periodo di tempo perturbato, bisogna attendere almeno 2-3 giorni di bel tempo, con il permanere di temperature non elevate, prima di affrontare la salita 5. nel caso si decida di effettuare la salita assumere tutte le informazioni possibili sulla fattibilit dellitinerario.
Il bollettino meteorologico
Lascolto del bollettino nivo-meteo una operazione essenziale per la pianificazione della gita. Nel caso di incidente, il mancato ascolto del bollettino viene considerato in giurisprudenza come un atto di negligenza. Oggi si pu accedere ad informazioni meteo-nivo tramite: internet, mediante personal computer telefono, chiamando la segreteria telefonica dei servizi valanghe (annotare il messaggio) self-fax dei servizi valanghe la radio, televisione e i giornali. Sullarco alpino italiano operano 7 servizi di previsione delle condizioni meteo e del pericolo di valanghe che dipendono, amministrativamente, dalle Regioni e Province Autonome nelle quali ricade il territorio di pertinenza: Regione Piemonte, Regione Autonoma Valle dAosta, Regione Lombardia, Provincia Autonoma di Trento, Provincia Autonoma di Bolzano, Regione del Veneto, Regione Autonoma FriuliVenezia Giulia. Sulla dorsale appenninica, opera invece il Corpo Forestale dello Stato, che in collaborazione con il Servizio METEOMONT, diffonde bollettini nivo meteorologici. Informazioni essenziali da ricavare dal bollettino meteo: possibilit o meno di precipitazioni (nevose e/o piovose) e visibilit quota dello zero termico e andamento della temperatura presenza o meno di venti, loro intensit e direzione previsioni a breve e medio termine.
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La temperatura a livello del suolo presenta un andamento giornaliero, con valori massimi durante le prime ore pomeridiane e valori minimi durante la notte, in particolare poco prima dellalba.
cielo sereno
cielo coperto
dal terreno stesso; in pratica il suolo che riscalda e raffredda laria. Pertanto la temperatura a livello del suolo presenta un andamento giornaliero, con valori massimi durante le prime ore pomeridiane e valori minimi durante la notte, in particolare poco prima dellalba. In caso di cielo coperto lescursione termica limitata sia per la scarsa insolazione durante il giorno, sia per la presen-
za di nubi durante la notte che impediscono alla terra di irraggiare energia verso lo spazio. Nelle regioni alpine linsolazione diurna in gennaio circa il 10% di quella del mese di luglio. Inoltre importante ricordare che anche lesposizione del versante della montagna determina al suolo differenti temperature: i versanti esposti a sud ricevono circa 4 volte linsolazione dei versanti esposti a nord, mentre quelli rivolti a est ed ovest circa la met. Alla medesima quota si verifica quindi una escursione termica che in montagna pu arrivare ad alcune decine di gradi. Nel caso in cui il suolo sia coperto da neve si osserva, soprattutto con tempo buono e secco, un aumento della perdita di energia durante le ore notturne: la temperatura superficiale della neve misurata la mattina pu risultare anche di una decina di gradi inferiore a quella dellaria misurata a 2 metri di altezza dal suolo.
Nelle regioni alpine linsolazione diurna in gennaio circa il 10% di quella del mese di luglio
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Lo zero termico
Per zero termico si intende la quota alla quale laria si trova ad una temperatura di 0C, nella libera atmosfera, lontano dallinfluenza del terreno. In montagna a questo dato sono da collegare la quota delle nevicate, il tipo di precipitazione e le condizioni generali di temperatura di una certa zona. Se la quota dello zero termico stabile significa che la situazione meteorologica non in evoluzione. Alla quota dello zero termico durante una notte serena la temperatura della neve pu essere inferiore anche di 10C rispetto a quella dellaria, cio rispetto allo zero termico; in altre parole la quota a cui gela la neve
In montagna allo zero termico sono da collegare la quota delle nevicate, il tipo di precipitazione e le condizioni generali di temperatura di una certa zona.
sar inferiore allo zero termico. Durante il giorno, soprattutto con forte insolazione e scarsa nuvolosit, si potr invece misurare al suolo, alla quota dello zero termico, una temperatura dellaria superiore a 0C.
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11 hPa ogni 100 m negli strati vicini al suolo, di circa 8 hPa ogni 100 m fino a 3000 metri e di 5 hPa ogni 100 m a 10.000 metri di altezza. A parit di quota la pressione cambia a seconda che arrivi una depressione (ciclone) oppure un anticiclone. Nelle depressioni si verifica un moto di aria ascendente che contribuisce a formare zone di bassa pressione al suolo alleggerendo laria: la forza che determina lascensione si sottrae alla forza peso dellaria stessa. Quando nel corso di una giornata estiva la pressione subisce un brusco calo probabile larrivo di un fronte freddo temporalesco. Laltimetro, che a parit di quota indica un aumento di 100 m, segnala larrivo di un peggioramento.
Nelle depressioni si verifica un moto di aria ascendente che contribuisce a formare zone di bassa pressione al suolo alleggerendo laria: la forza che determina lascensione si sottrae alla forza peso dellaria stessa.
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2 Moderato
Il manto nevoso moderatamente consolidato su alcuni pendii ripidi, per il resto ben consolidato. Il manto nevoso presenta un consolidamento da moderato a debole su molti pendii ripidi.
3 Marcato
4 Forte
Il manto nevoso debolmente consolidato sulla maggior parte dei pendii ripidi.
5 Molto forte
2 Moderato
3 Marcato
4 Forte
raccomandabile la chiusura di vie di comunicazione, piste da sci e impianti di risalita interessati dai percorsi abituali delle valanghe.
5 Molto forte
Pu essere necessaria la Pu essere neceschiusura di vie di comuni- saria levacuaziocazione, piste da sci e ne degli edifici impianti di risalita, anche esposti. al di fuori dei percorsi abituali delle valanghe. C14-37 Scala del pericolo per utenti
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ferma su un pendio ripido, e presenta lunghezza minore di 100 m. Valanga media: valanga che pu seppellire e distruggere unautomobile, danneggiare un camion, distruggere una piccola casa o piegare alcuni alberi; raggiunge il fondo del pendio, e presenta una lunghezza minore di 1000 m. Valanga grande: valanga che pu seppellire e distruggere il vagone di un treno, un automezzo di grandi dimensioni, vari edifici o una parte di un bosco; presenta una lunghezza superiore a 1000 m, percorre i terreni a ridotta inclinazione (nettamente inferiori a 30) per una distanza superiore a 50 m, e pu raggiungere il fondovalle. Stabilit del manto nevoso Nella scala di pericolo, per descrivere il grado di stabilit viene utilizzata una "scala del consolidamento" del manto nevoso, con le seguenti definizioni: ben consolidato moderatamente consolidato da moderatamente a debolmente consolidato debolmente consolidato Inclinazione dei pendii Il pericolo valanghe non presente indistintamente su tutto il territorio ma si concentra sui pendii aventi una pendenza compresa tra i 30 e i 45; viene perci introdotto il concetto di inclinazione di un pendio e si utilizzano come riferimento i seguenti termini: pendio poco ripido: meno di 30 pendio ripido: da 30 a 35 pendio molto ripido: da 35 a 40 pendio estremamente ripido: pi di 40
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Tipo di distacco distacco spontaneo: distacco che avviene senza l'intervento dell'uomo (da cui si originano le valanghe spontanee) distacco provocato: distacco che avviene a causa di un intervento dell'uomo che aumenta le tensioni nel manto nevoso (peso proprio, esplosione ecc.). Sovraccarico di un pendio Per sovraccarico si intende la sollecitazione (al taglio) prodotta sul pendio da escursionisti o da sciatori. sovraccarico forte: gruppo compatto di sciatori o alpinisti senza sci, mezzo battipista, uso di esplosivo sovraccarico debole: singolo sciatore, escursionista senza sci (da 1 a 4 volte il sovraccarico prodotto da un singolo sciatore).
Informazioni complementari
La raccolta delle informazioni deve essere svolta per pi giorni consecutivi, perch la stabilit dei pendii cambia con rapidit (nevicate, pioggia, azione del vento, bruschi aumenti di temperatura, ecc.) e soprattutto per conoscere levoluzione che ha subito il terreno. opportuno integrare le informazioni attinte dai bollettini nivometeorologici con notizie dirette provenienti da persone qualificate residenti in luogo.Le informazioni attendibili provengono in genere da coloro che, oltre ad abitare in zona, effettuano salite o per esperienza personale conoscono gli itinerari della regione: gestori di rifugi guide alpine locali, uffici guide, istruttori del C.A.I. locali persone esperte e fidate. Per una corretta scelta della gita sarebbe opportuno:
opportuno integrare le informazioni attinte dai bollettini nivometeorologici con notizie dirette provenienti da persone qualificate residenti in luogo.
spigolo
cresta colle
sperone
goulotte
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1) valutare con attenzione se lescursione programmata sicura 2) se larea inizialmente scelta presenta una situazione meteo-nivologica non favorevole oppure un livello eccessivo di pericoli oggettivi, orientarsi verso unaltra regione, e quindi, assumendo le adeguate informazioni, individuare la zona che presenta le migliori condizioni di fattibilit 3) tra i vari itinerari preferire il percorso che rappresenti un buon compromesso tra le proprie aspettative e il livello di sicurezza.
cresta Alpinismo su ghiaccio e misto ghiacciaio pensile Preparazione e condotta della salitapinnacolo o gendarme crepacci parete
seraccata
morena
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U.I.A.A. e a fianco si riporta una tabella comparativa tra scala U.I.A.A. e scala francese. Ogni grado U.I.A.A. pu avere una ulteriore suddivisione di inferiore (-) o superiore (+). 2- Caratteristiche della via La guida fornisce precisazioni sulla lunghezza, intesa come dislivello delle pareti misurato dalla crepaccia terminale o dallattacco fino alluscita o alla cima; oppure considerata come sviluppo per certe creste o per salite dallo svolgimento non lineare. Vengono date precisazioni sulla continuit
U.I.A.A. I II III IV VV V+ VIVI VI+ VIIVII VII+ VIIIVIII VIII+ IXIX IX+ XX X+ 5b 5c 6a 6a+ 6b 6b+ 6c 6c+ 7a 7a+ 7b 7b+ 7c 7c+ 8a 8a+ 8b 8b+ 8c F 1 2 3 4 5a
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I. primo grado. la forma pi semplice dell'arrampicata, bisogna gi scegliere l'appoggio per i piedi; le mani utilizzano frequentemente gli appigli per mantenere l'equilibrio. Non adatto a chi soffre di vertigini. II. secondo grado. Qui inizia l'arrampicata vera e propria, che richiede lo spostamento di un arto per volta e una corretta impostazione dei movimenti. Appigli e appoggi sono ancora abbondanti. III. terzo grado. La struttura rocciosa, gi pi ripida o addirittura verticale, offre appigli e appoggi pi rari e pu gi richiedere l'uso della forza. Di solito i passaggi non si risolvono ancora in maniera obbligata. IV. quarto grado. Appigli e appoggi divengono ancora pi rari e/o esigui Richiede una buona tecnica di arrampicata applicata alle varie strutture rocciose (camini, fessure, spigoli, ecc.), come pure un certo grado di allenamento specifico. V. quinto grado. Appigli e appoggi sono decisamente rari e esigui. L'arrampicata diviene delicata (placche, ecc.) o faticosa (per l'opposizione o incastro in fessure e camini). Richiede normalmente l'esame preventivo del passaggio. VI. sesto grado. Appigli e/o appoggi sono esigui e disposti in modo da richiedere una combinazione particolare di movimenti ben studiati. La struttura rocciosa pu costringere a un'arrampicata delicatissima, oppure decisamente faticosa dov' strapiombante. Necessita un allenamento speciale e forza notevole nelle braccia e nelle mani. VII. settimo grado. Sono presenti appigli e/o appoggi minimi e molto distanziati. Richiede un allenamento sofisticato con particolare sviluppo della forza delle dita, delle doti di equilibrio e delle tecniche di aderenza.
delle difficolt, qualit della roccia, stato della chiodatura, pericoli oggettivi, possibilit di ripiegare o di deviare dalla via , ecc. 3- Valutazione dinsieme Si tratta di una valutazione complessiva, sia del livello tecnico che dellimpegno globale, anche psichico, richiesto da una ascensione, che tiene conto delle difficolt e delle caratteristiche (senza esserne n la somma n la media). Si considerano lisolamento, la variabilit di condizioni del terreno, la difficolt di una ritirata, ecc. Viene espressa mediante le sette sigle seguenti che possono essere completate con un (+) o un () per fornire una maggiore definizione : F = facile PD= poco difficile AD= abbastanza difficile D = difficile TD = molto difficile ED= estremamente difficile EX = eccezionalmente difficile 4- Difficolt su neve e ghiaccio Per questo genere di ascensioni si considerano le condizioni mediamente buone (non ottime) della montagna. Per analogia con la valutazione dinsieme delle salite su roccia, pur tenendo conto della variabilit degli elementi, si usano le stesse sigle (F, PD, AD, D, TD, ED, EX) e vengono fornite le inclinazioni dei pendii
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Scala canadese
Alla fine degli anni 80, con lavvento delle salite su cascate, stata introdotta unaltra scala, chia-
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mata canadese, che divide la difficolt tecnica da quella di ambiente. Essa composta da due numeri: il primo romano, indicante la difficolt globale (approccio, pericoli oggettivi, discesa, isolamento dallesterno, ecc.) ed il secondo arabo che d lindicazione della lunghezza o del tratto pi difficile. Ciascun numero pu esprimere sette gradi. Possiamo quindi avere vie molto comode e sicure, quindi con un numero romano basso, ma tecnicamente difficili, quindi con un numero arabo alto e viceversa.
Studio dell'itinerario con la carta topografica e preparazione del tracciato di rotta Carte topografiche
L'itinerario della gita viene studiato nei particolari consultando guide alpinistiche e carte topografiche che riportano i percorsi e i sentieri alpinistici. Una buona lettura consente di individuare la conformazione generale del terreno, lesposizione dei versanti che saranno percorsi in salita e discesa, eventuali rifugi, punti di riferimento significativi. Si traccia sulla carta l'itinerario pi sicuro in funzione delle condizioni della montagna evidenziando aree crepacciate, zone soggette a scariche di sassi, eventuale pericolo di valanghe da pendii ripidi, ecc.
Tracciato di rotta
sempre utile preparare preventivamente la tabella di marcia con il tracciato di rotta: non solo per itinerari complicati e percorsi su ghiacciaio, ma anche per tragitti meno impegnativi.
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Si possono infatti ridurre i problemi di orientamento durante la marcia effettuata nelle ore notturne o nel caso si manifestino situazioni di scarsa visibilit.
Punti significativi Quota
QUOTA 1
Dislivello
Distanza
Azimut di marcia
Azimut di ritorno
Tempo
Note
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Si consiglia vivamente di dedicarsi con costanza a questa prassi; oltre ad interpretare pi facilmente i riferimenti topografici ed acquistare maggiore familiarit con la strumentazione, si otterr il grande vantaggio, quando serve, di essere tempestivi nelle decisioni e soprattutto di non sbagliare la direzione di marcia. Si tratta di un metodo notevole per aumentare la capacit di osservazione dellambiente e accrescere lautonomia personale. A tale scopo anche possibile impiegare il GPS. Linclinazione pu essere determinata sulla carta misurando la distanza pi piccola tra due curve di livello. Essa deve essere misurata perpendicolarmente alle curve di livello (lungo la linea di massima pendenza).
Inclinazione media in gradi
27 30 34 39 45 C14-43 Inclinazione pendio
Si pu effettuare la misura dellinclinazione anche tramite un regolo di plastica trasparente: per ricavare la pendenza bisogna far coincidere la distanza fra le curve di livello con quella delle linee del regolo. Si riporta a titolo di promemoria la sequenza di operazioni relative alla realizzazione di un tracciato di rotta: a) disporre di carte topografiche in scala 1:25.000
b) dotarsi di goniometro, squadretta, regolo per la misura dellinclinazione, lente di ingrandimento c) disegnare sulla carta litinerario d) individuare le zone critiche: pendii ripidi, tratti esposti alla caduta di sassi e ghiaccio, zone con crepacci o seracchi, versanti con esposizione sfavorevole (bollettino) e) studiare possibili varianti allitinerario principale e possibili vie di fuga f ) realizzare il tracciato di rotta dellitinerario principale utilizzando i punti di riferimento pi significativi (malghe, rifugi, selle, rocce affioranti, creste, vette, zone critiche) g) individuare i possibili percorsi alternativi h) realizzare il tracciato di rotta dei percorsi alternativi. Nel calcolo del tempo di percorrenza, occorre tenere conto del numero dei partecipanti, delle loro capacit e del loro grado di preparazione, delle difficolt della neve e del terreno. Di norma si pu calcolare di superare un dislivello di 300400 metri all'ora in salita, mentre in falsopiano possibile coprire una distanza di 4-5 km all'ora.
Nel calcolo del tempo di percorrenza, occorre tenere conto del numero dei partecipanti, delle loro capacit e del loro grado di preparazione, delle difficolt della neve e del terreno.
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Raccolta di informazioni
Oltre alle principali fonti di informazioni costituite dalle guide e dalle carte topografiche buona cosa chiedere notizie e suggerimenti al gestore del rifugio o ad altri alpinisti che hanno gi fatto la salita.
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Ora di partenza
La partenza dal rifugio deve avvenire molto presto, quasi sempre di notte, soprattutto se si tratta di una salita di neve e ghiaccio.
In genere unascensione in quota dura due giorni: lavvicinamento al rifugio o al bivacco il primo giorno e la salita vera e propria il giorno successivo. opportuno arrivare al luogo del pernottamento con un certo anticipo per poter individuare il percorso che si dovr compiere al buio o, a volte, per fare una ricognizione del ghiacciaio. La partenza dal rifugio deve avvenire molto presto, quasi sempre di notte, soprattutto se si tratta di una salita di neve e ghiaccio. Si tratta di una condizione assoluta di sicurezza, infatti utile: per evitare la caduta di pietre; mentre inizialmente, durante le ore fredde, sono tenute ben fissate dalla neve, pi tardi, risultano instabili a causa della fusione per sfruttare la possibilit di salire a piedi su neve dura (soluzione che spesso aumenta la sicurezza e diminuisce la fatica) per la maggior sicurezza offerta dalla neve non rammollita dall'innalzamento giornaliero della temperatura sui ponti sopra i crepacci e sui pendii ripidi da cui possono staccarsi valanghe di neve umida per disporre del necessario margine di sicu-
rezza in caso di imprevisti per evitare il possibile peggioramento meteorologico pomeridiano, caratteristico del periodo primaverile.
Suggerimenti utili:
Prima di partire al mattino si consiglia di controllare le condizioni del tempo: visibilit, presenza di vento, temperatura, cambiamenti della pressione. Laltimetro pu anche essere usato come barometro ogni volta che ci si sofferma qualche ora in una localit fissa, come per esempio un rifugio. Se rispetto alla sera precedente si leggono sulla scala delle variazioni di quota significative (oltre i 10-20 m), vuol dire che ci sono delle variazioni di pressione e un probabile cambio del tempo. Va precisato che esistono variazioni di modesta entit, poche decine di metri, che non segnalano un cambiamento del tempo, ma sono dovute al ciclo termico diurno, che presenta durante la giornata unalternanza di minimi e di massimi di pressione pari a 2-3 hPa. La regola delluso dellaltimetro come barometro prevede che: se laltitudine aumenta si va verso condizioni di brutto tempo; valori significativi sono 1 hPa/ora per almeno un totale nella giornata di 10 hPa (passaggio di una perturbazione) se laltitudine diminuisce si va verso condizioni di bel tempo; una variazione di 2-3 hPa nellarco della giornata normale.
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C14-45 Altimetro
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riali di prima necessit verso lalto (la corda dentro un sacchetto) e nella patella. Se il casco non si usa esso va collegato alle cinghie in modo che non dondoli. I ramponi vanno posti punte contro punte, oppure infilati nellapposito contenitore e collocati nella parte superiore dello zaino. In questo paragrafo si vuole porre lattenzione allutilizzo dellA.R.VA. (apparecchio per ricerca vittime di valanga) e di una pala da neve. Sebbene si tratti di materiali che di consuetudine non vengono portati da alpinisti che si muovono destate, si consiglia di assumere questa buona abitudine soprattutto se si affronta la montagna nei periodi primaverili ed autunnali. Tali alpinisti si trovano ad operare nelle stesse condizioni degli sci alpinisti. Si ricordi che per scavare 1 m3 di neve con una pala piccola sono necessari 15 minuti; invece lo scavo effettuato con mezzi di fortuna richiede circa un tempo 5 volte superiore (75 minuti).
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C14-46 A.R.VA.
sue particolarit, sia per propria soddisfazione personale, sia per prepararsi ad affrontare qualsiasi evenienza. Infine sarebbe consigliabile informarsi sull'equipaggiamento personale e di gruppo necessario e sui viveri occorrenti.
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C14-47 Rifugio
Tale comunicazione indispensabile per eventuali azioni di ricerca o di soccorso. Anche nei rifugi non custoditi, oltre al rispetto delle regole precedenti, doveroso pagare i servizi di cui si usufruito. Le tariffe sono sempre esposte al pubblico in apposite tabelle. Prima di lasciare un rifugio, si rimette tutto in perfetto ordine: si ripiegano le coperte, si ripongono gli zoccoli da riposo, si puliscono i tavoli. Se il rifugio non custodito, si scopa il pavimento, si pulisce la cucina, si spegne con cura il fuoco, si chiude eventualmente il gas, si serrano le imposte, le finestre, la porta. Il rifugio deve essere lasciato nelle condizioni in cui si vorrebbe trovarlo.
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C14-48 Ghiacciaio
Comportamento di un gruppo
Si osservato che numerosi incidenti sono stati provocati da errori di comportamento e da decisioni frutto di spinte emotive e psicologiche, piuttosto che da una errata valutazione dei pericoli oggettivi. Riportiamo alcuni comportamenti che si possono manifestare durante lattivit alpinistica di gruppo.
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La riluttanza ai cambiamenti
Luomo restio a cambiare idea: assunta una decisione, la porta avanti, anche se ci sono molti segnali contrari. Una buona contromisura alla ostinazione consiste nello studiare anticipatamente le alternative. Le difficolt al cambiamento si presentano soprattutto in gite di gruppo organizzate con largo anticipo; spesso capita infatti che, nonostante le condizioni nivo-meteo non siano favorevoli, limpegno con il rifugio, la disponibilit dei partecipanti, il desiderio di tentare comunque, inducano ad effettuare ugualmente luscita. Devono invece essere le buone condizioni del manto nevoso e del tempo a decidere lo svolgimento di una gita. Al fine di garantire ai partecipanti la maggior sicurezza possibile, cambiamenti di itinerario e spostamenti di date devono essere adottati con fermezza, anche se ci potr causare problemi organizzativi e malumori tra le persone.
Gruppo numeroso
Un piccolo gruppo pi mobile e pi rapido. Il responsabile di gruppi numerosi a volte tende ad assumersi pi rischi. Comitive formate da molti individui allungano i tempi di percorrenza e in
Emulazione e competizione
Esempio 1. Se in uno stesso luogo sono presenti gruppi diversi possono manifestarsi situazioni di emulazione o di competizione. Il tempo sta volgendo al brutto e la visibilit riducendo: lorientamento del gruppo sarebbe quello scegliere un itinerario pi semplice. Tuttavia la presenza di un altro gruppo che precede induce la scelta di seguirne le tracce. Esempio 2. A seguito di recenti nevicate si valuta poco prudente risalire un canale tecnicamente interessante e remunerativo e sarebbe preferibile ripiegare su una meta meno impegnativa ma pi sicura. Tuttavia, poich un altro gruppo in zona ha scelto una escursione ugualmente difficile, si decide di riprendere il percorso inizialmente abbandonato.
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opportuno prevedere un itinerario meno impegnativo di riserva, che potrebbe rivelarsi utile per i meno esperti in caso di peggioramento del tempo oppure in seguito a forti ritardi nella tabella di marcia.
Un principiante sarebbe in forte difficolt a badare ad altri e a maggior ragione a gestire un autosoccorso. opportuno prevedere un itinerario meno impegnativo di riserva, che potrebbe rivelarsi utile per i meno esperti in caso di peggioramento del tempo oppure in seguito a forti ritardi nella tabella di marcia. In modo particolare durante i corsi, la gita deve essere commisurata alle capacit dei partecipanti e al livello del corso, cercando sempre di conservare un buon margine, sia per quanto riguarda la sicurezza in termini di valanghe, sia per quanto riguarda limpegno globale richiesto dallescursione. Come ben noto, la gita studiata per gli allievi.
Una persona poco allenata rispetto allimpegno richiesto dallescursione, oppure in cattive condizioni fisiche, procede con lentezza, non osserva lambiente circostante ed poco reattiva. Soprattutto in primavera, quando la stabilit del manto nevoso diminuisce con lirraggiamento solare, il ritardo provocato dalla lentezza pu condurre a situazioni assai delicate. Ma anche in inverno, quando loscurit cala precocemente, una escursione che si conclude al tramonto potrebbe avere serie conseguenze se ad esempio si verificasse un incidente in fase di discesa. Si raccomanda quindi di consultare persone esperte circa le caratteristiche della salita e scegliere un itinerario che presenti un livello di impegno inferiore alle proprie condizioni fisiche.
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Accanto alle caratteristiche individuali si ravvisano, tra le prerogative del responsabile del gruppo, altre specifiche qualit che gli conferiscano autorevolezza e capacita di assumere le decisioni pi corrette, sia in fase di preparazione che di conduzione della gita.
trova in difficolt. Avere una visione di insieme ed essere tempestivi nelladozione delle misure precauzionali. Maturare la capacit di prendere la decisione pi corretta sulla base di informazioni incomplete e contraddittorie (intuizione). Sviluppare la capacit di ragionare anche sotto stress ed essere in grado di assumersi la responsabilit di decidere. Cercare di esprimersi con chiarezza. Dare poco per scontato. Accrescere la capacit di comunicare, di scambiare opinioni, di confrontarsi, di accettare le critiche e riconoscere gli errori. Ricercare una concordanza di intenti allinterno del gruppo, spiegando la situazione e motivando le scelte piuttosto che imporre le decisioni in modo autoritario e senza giustificazioni.
LA RESPONSABILIT DELLACCOMPAGNATORE
Il responsabile di un gruppo, oltre a dimostrare in varie occasioni competenza e buon senso, deve tenere in opportuna considerazione le responsabilit che vengono attribuite al capo comitiva dallordinamento giuridico. Laccompagnatore (istruttore, capo gita, collaboratori), nello svolgimento della propria attivit nellambito dellorganizzazione C.A.I., si pone in relazione con altri soggetti, interni od esterni allorganizzazione, che si affidano ad essa per svolgere attivit alpinistiche (o sportive
in genere). Con liscrizione ad un corso (o ad una gita) lallievo (o il partecipante) si affida allorganizzazione C.A.I., che agisce attraverso i propri accompagnatori, confidando sullesperienza e sugli insegnamenti di questi. Nello svolgimento della propria attivit laccompagnatore, oltre a tenere un comportamento etico, cio conforme ai principi che ispirano lattivit dellorganizzazione cui appartiene (C.A.I.), deve primariamente rispettare il diritto assoluto di ogni persona a non subire pregiudizio alla propria vita, integrit ed incolumit personale. Lorganizzazione e laccompagnatore, cui lallievo del corso o il partecipante alla gita si sono affidati, sono perci chiamati a rispondere (responsabilit) nel caso in cui, nello svolgimento della loro attivit, si verifichi una lesione del diritto allintegrit fisica dellaccompagnato. Ci avviene, tuttavia, soltanto quando tale lesione deriva da un comportamento dellaccompagnatore contrario alle regole dellordinamento giuridico (comportamento illecito). Tale responsabilit pu venire in rilievo su due principali piani: responsabilit penale, consistente nella violazione di una norma penale (reato), che comporta la irrogazione della sanzione penale (reclusione, arresto, multa o ammenda). La responsabilit penale strettamente personale, cio ascrivibile unicamente alla persona fisica che ha tenuto il comportamento illecito causativo della lesione (esempio: Art. 590 C.P.
Nello svolgimento della propria attivit laccompagnatore, oltre a tenere un comportamento etico, deve primariamente rispettare il diritto assoluto di ogni persona a non subire pregiudizio alla propria vita, integrit ed incolumit personale.
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Responsabilit penale, consistente nella violazione di una norma penale (reato), che comporta la irrogazione della sanzione penale (reclusione, arresto, multa o ammenda).
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Responsabilit civile, consistente nella violazione di una norma civile (inadempimento di un obbligo), che comporta il pagamento di una somma di denaro a risarcimento del danno.
La colpa un difetto della condotta concreta rispetto ad un modello di condotta astratta imposto da una regola (legale o non legale) finalizzata ad evitare il turbamento della civile convivenza.
Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309); responsabilit civile, consistente nella violazione di una norma civile (inadempimento di un obbligo), che comporta il pagamento di una somma di denaro a risarcimento del danno. In tal caso lobbligo di risarcire il danno pu far capo anche a soggetti diversi dallautore della lesione, tenuti a rispondere insieme con lui (C.A.I.) o a garantirlo (Assicurazione). Si veda ad esempio lart. 2043 C.C. Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. In entrambi i casi, perch si possa parlare di responsabilit dellaccompagnatore, necessario che la lesione del diritto allintegrit fisica dellaccompagnato sia derivata da un comportamento quantomeno colposo dellaccompagnatore. La colpa un difetto della condotta concreta rispetto ad un modello di condotta astratta imposto da una regola (legale o non legale) finalizzata ad evitare il turbamento della civile convivenza. Quando il comportamento che ha causato la lesione non stato conforme alla condotta astratta prevista da una norma di legge, di regolamento o altre discipline, anche tecniche, dettate nel nostro campo di azione, si parla di colpa specifica, quando invece vi violazione delle regole comuni di prudenza, diligenza e perizia si parla di colpa generica.
Il criterio di valutazione a cui si ricorre quello della cosiddetta prevedibilit dellevento: sussiste colpa se il responsabile era in grado di rendersi conto o aveva il dovere di farlo, usando la propria esperienza o quella che doveroso pretendere in chi ricopre una determinata qualifica o assume un determinato ruolo ai fini della tutela della sicurezza di altre persone.
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azioni od omissioni poste in essere dai vari soggetti concorrenti esplichino una efficacia causale adeguata al prodursi dellevento dannoso, secondo le regole della comune esperienza. fonte di responsabilit non solo il comportamento attivo che produce levento dannoso, ma anche la mancata adozione (omissione) di misure idonee ad impedirlo, che laccompagnatore ha, in quanto tale, lobbligo di attuare. Il rapporto di causalit tra lazione/omissione e levento dannoso escluso soltanto dalla causa sopravvenuta che sia da sola sufficiente a produrre levento. bene ricordare che lattivit dellaccompagnatore si svolge in forma organizzata nellambito della struttura del C.A.I. Possono perci venire in rilievo, nel caso di incidente ascrivibile a comportamento illecito dellaccompagnatore, anche le responsabilit degli altri soggetti, gerarchicamente o funzionalmente sovraordinati a questo che hanno lobbligo di vigilanza sulla sua azione (direttore del corso, direttore della scuola, presidente di sezione).
bene ricordare che lattivit dellaccompagnatore si svolge in forma organizzata nellambito della struttura del C.A.I.
che arrischia troppo e va incontro a pericoli; chi dimostra leggerezza, spericolatezza, precipitazione. imprudente, ad esempio, iniziare una escursione in caso di previsione di forte maltempo, affrontare pendii ripidi con forte innevamento o sovraccaricare con un gruppo numeroso pendii ritenuti sospetti, non attrezzare con corde fisse o corde doppie tratti alpinistici decisamente impegnativi rispetto al livello tecnico dei partecipanti; in un ghiacciaio togliersi gli sci e girovagare a piedi senza corda, sopravvalutare le capacit e la resistenza dellallievo, frequentare un luogo totalmente sconosciuto, ecc. Negligenza la violazione di regole positive (comandi). Le regole di diligenza sono quelle che prevedono le modalit con cui vanno compiute le azioni, soprattutto lattenzione. persona diligente chi esegue un compito con cura e scrupolo. Viceversa persona negligente chi presta scarsa cura al compito da svolgere; chi dimostra trascuratezza, disattenzione, dimenticanza, pigrizia, difetti dovuti ad incuria. negligente non ascoltare il bollettino nivo meteo prima di intraprendere una gita; utilizzare materiale alpinistico non adatto o in cattive condizioni; durante unescursione procedere in testa al gruppo senza pi curarsi della situazione degli accompagnati e dellandamento della salita. Imperizia la violazione delle regole tecniche prescritte per il compimento di una determinata attivit.
imprudente iniziare unescursione in caso di previsione di forte maltempo, affrontare pendii ripidi con forte innevamento o sovraccaricare con un gruppo numeroso pendii ritenuti sospetti, non attrezzare con corde fisse o corde doppie tratti alpinistici decisamente impegnativi rispetto al livello tecnico dei partecipanti.
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persona competente chi tiene un comportamento conforme alle regole della buona tecnica dettate nel suo campo di azione, ponendole in essere senza difficolt ed in modo tempestivo; per le quali adeguatamente preparato, esperto ed aggiornato.
persona competente (perita) chi tiene un comportamento conforme alle regole della buona tecnica dettate nel suo campo di azione, ponendole in essere senza difficolt ed in modo tempestivo, per le quali adeguatamente preparato, esperto ed aggiornato. il caso della guida alpina, del maestro di sci, dellistruttore, che hanno acquisito nozioni teoriche e maturato abilit pratiche mediante consolidata attivit; tali competenze costituiscono il necessario bagaglio di chi opera in un determinato settore. Viceversa, limperizia il mancato o difettoso impiego di tali nozioni e abilit e limpreparazione a svolgere certe attivit. Dimostra imperizia la persona che svolge con scarsa competenza un compito, per inesperienza o vera e propria incapacit. Si manifesta imperizia nello scegliere un percorso tecnicamente troppo impegnativo per le capacit dei partecipanti al gruppo, sbagliare in modo grossolano la direzione di marcia disponendo di cartina topografica, bussola e altimetro; posizionare in modo errato un ancoraggio, ecc.
quel particolare percorso, oppure laffidamento della gestione di un gruppo particolarmente numeroso ad un solo responsabile, senza la collaborazione di altri alpinisti esperti, sono elementi che possono far ricondurre le responsabilit al Presidente di Sezione. Indicazioni per una condotta corretta del responsabile del gruppo a) Laccompagnatore deve essere dotato di capacit ed esperienza adeguate al tipo di escursione e possedere una buona condizione fisica. b) Nel caso di gite che richiedono un impegno alpinistico, si deve informare sulle capacit fisiche e tecniche dei partecipanti e si deve assicurare che essi siano adeguatamente attrezzati. Inoltre deve valutare la necessit di eventuali collaboratori. c) Il responsabile di gita sezionale gode di autonomia di valutazione ed ha la facolt di stabilire i requisiti di accesso alla escursione, di accettare o escludere la presenza di alcuni soggetti, di opporsi a che il gruppo diventi troppo numeroso. d) Laccompagnatore durante lescursione ha la prerogativa di effettuare le scelte che si rendono pi opportune, secondo i canoni della prudenza e della diligenza (e della perizia nel caso dellaccompagnatore professionale e di quello qualificato). La negligenza da parte dellaccompagnato potrebbe escludere o ridurre la responsabilit di chi lo accompagna. Gli ordini vanno impartiti con chiarezza e decisione e con la dovuta autorevolezza. e) Laccompagnatore ha lobbligo di ammonire
Il gruppo numeroso, la difficolt di imporre la disciplina, la scarsit di collaboratori esperti, richiedono che la gita sezionale sia organizzata con diligenza.
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e richiamare coloro che nelle escursioni si comportano in modo imprudente. f ) In caso di indicazioni non veritiere circa le proprie capacit, al partecipante pu esser impedito di continuare il corso o di prendere parte alla gita. Nellambito di una escursione, anche davanti a manifesti segni di incapacit e spossatezza, nessuno per potr essere lasciato solo. g) Poich in montagna non si possono mai prevedere in modo totale i rischi di incidenti (es. perdita di orientamento, scivolata, malore), occorre prestare attenzione a tutti i partecipanti ed essere in grado di prestare eventuale assistenza. Indicazioni per una condotta corretta del partecipante al gruppo a) A carico degli accompagnati, se richiesto, esiste il dovere di informazione circa le proprie capacit e conoscenze tecniche. Le precedenti esperienze da parte dellescursionista o alpinista sono a volte determinanti per accettare la sua partecipazione ad un corso o ad una gita. b) Il partecipante deve possedere una preparazione fisica e tecnica adeguata al tipo di gita. c) Il partecipante deve contribuire alla buona realizzazione dellescursione con un comportamento prudente e con impegno. d) Laccompagnato dovr adeguare il suo comportamento alle indicazioni di chi lo guida; in caso di disubbidienza assumer in proprio le conseguenze e laccompagnatore verr sollevato dalle responsabilit.
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Svizzera http://www.meteosvizzera.ch Francia http://www.meteo.france.com Chamonix http://www.chamonix.com Austria http://www.lawinen.at/austria/ Baviera http://www.lawinenwarndienst-bayern.de Slovenia http://www.arso.gov.si/ Spagna Pirenei Orientali http://www.icc.es/allaus/castella/cbutfrocc.html Spagna Pirenei Occidentali http://www.icc.es/allaus/castella/cbutfrori.html Arco Alpino http://www.avalanches.org
capitolo 15
Richiesta di soccorso
INDICE
Premessa Numeri di chiamata del soccorso alpino sulle Alpi Segnali internazionali di soccorso alpino
Segnalazione acustica o ottica Segnalazione visiva
Il soccorso aereo
Richiesta di soccorso
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Richiesta di soccorso
PREMESSA
Riportiamo in questo capitolo le norme fondamentali di comportamento da osservare in caso di richiesta di soccorso e durante il suo svolgimento. La trattazione divisa in due parti; nella prima si richiamano al lettore i segnali che, per convenzione internazionale, devono essere adottati in caso di richiesta di soccorso. Nella seconda, viene considerato il caso, particolarmente importante, del soccorso aereo, cio tramite elicottero. Vengono ovviamente fornite solo le indicazioni che appaiono essenziali per potere efficacemente interagire e collaborare con i soccorritori, nonch le informazioni che possono risultare di particolare utilit allalpinista. Per ulteriori informazioni e precisazioni anche di natura tecnica si pu consultare la letteratura pi specializzata e in particolare il manuale tecnico di soccorso alpino, edito dal C.A.I.-C.N.S.A.S.
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Richiesta di soccorso
I segnali di soccorso alpino debbono assolutamente rispettare, il pi accuratamente possibile, il codice stabilito per convenzione internazionale.
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UN MINUTO
UN MINUTO DI INTERVALLO
UN MINUTO
Continuare l'alternanza di segni e intervalli fino alla certezza di essere stati localizzati
RISPOSTA DI SOCCORSO
Emettere richiami acustici o ottici in numero di 3 OGNI MINUTO
(un segnale ogni 20 secondi) (un segnale ogni 20 secondi)
UN MINUTO
UN MINUTO DI INTERVALLO
UN MINUTO
Continuare l'alternanza di segni e intervalli fino alla certezza di essere stati localizzati
Richiesta di soccorso
Segnalazione visiva
Quando esiste il contatto visivo tra colui o coloro che necessitano di aiuto e colui o coloro che possono intervenire, direttamente (soccorso) o indirettamente (avviso al posto di soccorso), i segnali da utilizzare, illustrati nella figura, sono i seguenti.
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Segnalazione convenzionale di avvenuto avvistamento con loscillazione usata quando esiste il contatto visivo e non possibile quello acustico.
SI
C15-03 Segnali convenzionali visivi Posizione: in piedi con le braccia alzate, e spalle al vento. Risposta affermativa ad eventuali domande poste dai soccorritori. Atterrate qui, il vento alle mie spalle
NO
Posizione: in piedi con un braccio alzato e uno abbassato, e spalle al vento. Non serve soccorso. Risposta negativa a eventuali domande poste dai soccorritori.
Come evidente dalla loro descrizione, le segnalazioni di cui sopra sono utilizzate normalmente nel caso di soccorso tramite elicottero ed questa quindi la loro applicazione pi frequente e importante.
Richiesta di soccorso
Il SOCCORSO AEREO
Il soccorso aereo oggi efficientemente organizzato in tutti i paesi in cui si pratica lattivit alpinistica. Lelicottero il velivolo che per le sue peculiari caratteristiche tecniche costituisce il mezzo pi idoneo per effettuare in ambiente montano operazioni di soccorso e sgombero urgente di ammalati e/o traumatizzati gravi, sempre che le condizioni meteorologiche ne consentano il volo. La foto C15-04 mostra la calata di un soccorritore da elicottero mediante verricello. Limmagine C15-05 illustra una ricerca di travolti da valanga eseguita da un elicottero dotato di un A.R.VA. con speciale antenna ricevente.
Richiesta di soccorso
Ci riferiamo qui a richieste di intervento effettuate per via telefonica o radio. 1. Digitare il numero di telefono del soccorso sanitario (per lItalia 118). 2. Specificare alloperatore che ci si trova in montagna e comunicare il nome della localit in cui avvenuto lincidente. 3. Fornire il nome di chi chiama e il numero di telefono da cui si sta chiamando (se la chiamata dovesse interrompersi importante che il telefono venga lasciato libero per consentire alla centrale operativa di richiamare). 4. Specificare il luogo esatto dove avvenuto levento e la sua quota o in ogni caso un riferimento importante di ricerca, rilevabile dalla cartina. 5. Riferire cosa successo (lasciarsi in ogni caso
Lelicottero il mezzo pi idoneo per effettuare in ambiente montano operazioni di soccorso e sgombero urgente di ammalati e/o traumatizzati gravi, sempre che le condizioni meteorologiche ne consentano il volo.
Richiesta di soccorso
intervistare dalloperatore di centrale che avr la necessit di conoscere la dinamica dellincidente). 6. Precisare quante persone sono state coinvolte. 7. Dire quando successo (la conoscenza dellora dellevento pu far scattare diverse procedure).
C15-06 Atterraggio su ghiacciaio
Sebbene si sia in attesa dellarrivo dellelicottero, le operazioni di autosoccorso, condotte dai componenti della cordata o della comitiva, devono continuare.
8. Comunicare la posizione dellinfortunato (appeso, sepolto dalla neve, disteso, seduto) e se la persona coinvolta ha difficolt respiratorie; se cosciente; se perde molto sangue. 9. Di norma lintervento di soccorso gi scattato, ma in ogni caso indispensabile rispondere alle domande delloperatore, che servono per inquadrare con pi precisione quanto potr essere necessario allequipe di elisoccorso. 10. Informare sulle condizioni meteo del luogo: eventuali precipitazioni in corso, vento e visibilit. 11. Informare sulla situazione del terreno sul quale avr luogo latterraggio (terreno aperto, bosco, pendio ripido, presenza di cavi sospesi, linee elettriche, funivie). 12. Fornire altre notizie che possono risultare utili per meglio organizzare loperazione di soccorso. Si tenga inoltre presente che, sebbene si sia in attesa dellarrivo dellelicottero, le operazioni di autosoccorso condotte dai componenti della cordata o della comitiva devono continuare; a maggior ragione se sussiste una situazione di travolgimento da valanga nella quale la velocit di ritrovamento dei sepolti riveste la massima importanza.
Richiesta di soccorso
Richiesta di soccorso
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6. non devono essere presenti materiali od oggetti che possano essere sollevati dal flusso daria generato dal rotore: indumenti lasciati sul terreno o malamente indossati e svolazzanti, copricapo mal fissati, corde e cordini, attrezzi sporgenti, giacche, possono costituire serio pericolo sia per lelicottero che per i presenti; 7. qualora larea di atterraggio fosse su terreno innevato, la neve deve essere ben battuta attorno alla piazzola; ci per ridurre il turbinio di neve che provoca il flusso daria del rotore e compattare la superficie (spesso in presenza di neve il velivolo non si appoggia al suolo per evitare di sprofondare in modo irregolare); 8. eventuali altre cordate, o singoli alpinisti presenti sul luogo dellintervento, devono rimanere il pi possibile fermi e in posizione non troppo vicina, per non ostacolare le operazioni o addirittura mettere in pericolo persone e mezzi (scariche di sassi, ghiaccio o altro). Ci particolarmente importante nel caso si trovino in posizione sovrastante larea delle operazioni e/o lo stesso elicottero; 9. le persone presenti e non direttamente coinvolte nelle manovre bene vengano raggruppate in un unico punto, in condizioni di sicurezza e ben visibili da parte del pilota.
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Fase di atterraggio
La piazzola viene segnalata da una sola persona, che si pone con le braccia alzate, le spalle al vento, e resta immobile dinanzi al punto dove si vuole che atterri lelicottero. Chi segnala non deve muoversi, perch in quel momento lunico punto di riferimento per il pilota; prima che lelicottero atterri bisogna abbassarsi e restare fermi, in attesa di indicazioni da parte dellequipaggio o del pilota. Questa regola vale soprattutto in caso di terreno innevato in cui, a causa della neve sollevata dalle pale, diventa estremamente difficile per il pilota valutare la profondit e in quelle situazioni egli va quasi ad appoggiarsi con lelicottero contro il segnalatore. In alcune situazioni - ad esempio persone che dallalto possono confondersi con lambiente - utile segnalare la propria posizione sventolando un indumento dal colore sgargiante, che cio ben contrasti con lo sfondo circostante. Non dimenticare di allacciare bene indumenti e copricapo e fare attenzione ad oggetti che potrebbero volare creando situazioni di pericolo.
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Richiesta di soccorso
STOP
OK
4. su terreno in pendenza ci si avvicina e ci si allontana dallelicottero dal lato a valle e non si deve mai percorrere il lato a monte; 5. procedere in posizione piegata, e restare in contatto visivo con i membri dellequipaggio;
C15-11 Avvicinamento
Richiesta di soccorso
6. non avvicinarsi con indumenti o materiale che possano volare via (cappelli, giacche a vento aperte, ecc.) e con equipaggiamento o attrezzi che possano aumentare lingombro verticale (sci, piccozze, zaini a torre, ecc.). Nel caso ci si trovi in prossimit di parete o di un pendio, per laccesso e per lallontanamento si utilizza il lato a valle. Se esistono degli avvallamenti che permettono di sostare in condizioni di sicurezza, possibile restare accovacciati sul lato a monte e attendere indicazioni dallequipaggio, per salire a bordo.
Fase di decollo
Si tenga presente che anche nella fase di decollo si deve rimanere fermi e in posizione abbassata, finch lelicottero non si sia allontanato.
C15-16 Decollo
Richiesta di soccorso
Richiesta di soccorso
possibile lappoggio dei pattini per problemi relativi ad ostacoli al rotore principale.
SOCCORSO IN CREPACCIO
Sullarco alpino gli incidenti da caduta in crepaccio sono abbastanza frequenti e richiedono un intervento rapido ed efficace. Il tempo di sopravvivenza di una persona caduta in un crepaccio dipende da vari fattori; per garantire una buona riuscita della manovra di soccorso bisogna cercare di recuperare linfortunato
Richiesta di soccorso
entro unora, soprattutto se abbigliato con vestiario leggero, oppure ferito o incastrato tra le pareti di ghiaccio. Tale compito spetta pertanto ai compagni di escursione, perch lintervento del soccorso per quanto tempestivo potrebbe comunque risultare tardivo. Nel caso i compagni non siano riusciti nella manovra, il soccorso organizzato proceder al recupero allestendo, se necessario, un cavalletto sul bordo del crepaccio o ricorrendo anche allimpiego di un martello pneumatico per raggiungere linfortunato.
Numeri telefonici dei Paesi Alpini: ITALIA: 118 FRANCIA: 15 AUSTRIA: 144 GERMANIA: 110
Bibliografia
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Bibliografia
BIBLIOGRAFIA MANUALI
Chouinard Y., 1979 Salire su ghiaccio Edizioni Zanichelli Silvia Metzeltin Biscaini, 1986 Geologia per alpinisti Edizioni Zanichelli
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Allen F. - Iain P., 1990 Il manuale dellalpinismo Idealibri Munter W., 1992 Il rischio di valanghe - nuova guida pratica Edizione congiunta C.A.I.CAS Cresta R., 1993 La neve e le valanghe Mulatero Editore Bertolotti, 1995 Alpinismo su ghiaccio: tecniche e materiali per una progressione sicura su pendii nevosi e cascate Nordpress edizioni Mc Clung D. - Schaerer P., 1996 Manuale delle valanghe Edizioni Zanichelli G. Kappenberger, J. Kerkmann, 1997 Il tempo in montagna Edizioni Zanichelli Collegio Nazionale Guide Alpine Italiane, 1998 Progressione su Ghiaccio Vivalda Editore Collegio Nazionale Guide Alpine Italiane,1998 "Sci fuoripista e sci alpinismo" Vivalda editori Smiraglia C., 1992 e ristampa 1998 Guida ai ghiacciai e alla glaciologia Edizioni Zanichelli Cagnati A. ARPAV Centro Valanghe di Arabba, 1999 La valutazione della stabilit del manto nevoso, Guida pratica per sci alpinisti ed escursionisti. Tamari Edizioni CAI SVI, 1999 La meteorologia in montagna serie di diapositive con fascicolo
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Bibliografia
C. Zanantoni I marchi CE ed UIAA per gli attrezzi da alpinismo La rivista del Club Alpino Italiano, settembre-ottobre 1997, novembre-dicembre 1997 C. Zanantoni, C. Melchiorri Le imbracature a confronto: limbraco basso, completo e combinato La rivista del Club Alpino Italiano, maggio-giugno 1999
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G. Signoretti Corde e luce solare: una questionedi colore La rivista del Club Alpino Italiano, luglio-agosto 1999 Carlo Zanantoni Corde e Dodero La rivista del Club Alpino Italiano, gennaio-febbraio 2000 E. Guastalli Moschettoni con chiusura a ghiera La rivista del Club Alpino Italiano, marzo-aprile 2000 V. Bedogni Preparati per arrampicata La Rivista del Club Alpino Italiano, maggio-giugno 2000 V. Bedogni, G. Bressan, C. Melchiorri, G. Signoretti, C. Zanantoni Le tecniche di assicurazione in parete La rivista del Club Alpino Italiano, gennaio-febbraio 2001 M. Lucentini, L. Goldoni La catena di sicurezza: brevi appunti sui sistemi di sicurezza nellalpinismo e nellarrampicata documentazione CAI, Sezione Ligure-sottosezione Bolzaneto, febbraio 2001 G. Signoretti Lacqua che non ti aspetti La rivista del Club Alpino Italiano, gennaio-febbraio 2001 V. Bedogni, G. Bressan, C. Melchiorri, G. Signoretti, C. Zanantoni Le tecniche di assicurazione in parete, luglio 2001 con videocassetta P. Casavola, C. Melchiorri, C. Zanantoni Lapparecchio DODERO: passato, presente e futuro La rivista del Club Alpino Italiano, luglio-agosto 2001 A. Carboni, Commissione VFG Materiali e tecniche La torre di Padova - didattica di assicurazione e test dei materiali 1 Le Alpi Venete primavera-estate 2002 A. Carboni, Commissione VFG Materiali e tecniche La torre di Padova - didattica di assicurazione e test dei materiali 2 Le Alpi Venete autunno-inverno 2002 P. Casavola, C. Melchiorri, C. Zanantoni Nuove attrezzature per studi sulle corde dinamiche La rivista del Club Alpino Italiano, luglio-agosto 2003
Bibliografia
V. Ba Lasola inglobata La Rivista del Club Alpino Italiano, settembre-ottobre 2003, Commissione VFG Materiali e tecniche Sistemi di carrucole per lautosoccorso della cordata 1 Le Alpi Venete primavera-estate 2003 Commissione VFG Materiali e tecniche Sistemi di carrucole per lautosoccorso della cordata 2 Le Alpi Venete autunno-inverno 2003 Commissione VFG Materiali e tecniche Sistemi di carrucole per lautosoccorso della cordata 3 Le Alpi Venete primavera-estate 2004 A. Manes La Catena di Assicurazione: la normativa europea e i materiali primavera 2004, documentazione CLMT V. Bedogni, E. Guastalli Cordini per alpinismo: caratteristiche, problematiche e suggerimenti La Rivista del Club Alpino Italiano, maggio-giugno 2004 Commissione VFG Materiali e tecniche Sistemi di carrucole per lautosoccorso della cordata 4 Le Alpi Venete autunno-inverno 2004 Commissione VFG Materiali e tecniche Sistemi di carrucole per lautosoccorso della cordata 5 Le Alpi Venete primavera-estate 2005
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GUIDE ALPINISTICHE
CAI- TCI Collana Guida dei Monti DItalia Pause W., 1974 100 scalate di ghiaccio e misto Gorlich Editore Rebuffat G.,1974 Il massiccio del Monte Bianco. Le cento pi belle ascensioni Edizioni Zanichelli Devies L., Henry P 1975-1978 La Chaine du Mont Blanc 1 2 3 volume Guide Vallot Buscaini G., Devies L., 1979 La chaine du Mont Blanc - 4 Volume Guide Vallot Rebuffat G.,1981 Ghiaccio neve e roccia Edizioni Zanichelli
Bibliografia
Rebuffat G., 1978 Il massiccio dell Alto Delfinato. Le 100 pi belle ascensioni ed escursioni Edizioni Zanichelli Vaucher M., 1979 Le Alpes Valaisannes. Les cent plus belles courses Denoel, Paris Quagliotto R., 1981 Scalate su ghiaccio. Classiche ed estreme sulle Alpi Edizioni Agielle Grassi Gian C., 1982 Gran Paradiso e Valli di Lanzo. Le 100 pi belle ascensioni ed escursioni Zanichelli Bologna Miotti G., 1984 Disgrazia Bernina Edizioni Melograno Vanis Gogna A., 1984 Cento pareti di ghiaccio nelle Alpi Zanichelli, Bologna Vaucher M., 1984 Le Alpi Pennine. Le 100 pi belle ascensioni tra il Gran San Bernardo e il Sempione Zanichelli, Bologna Parodi A., Scotto F., Villani N., 1985 Montagne d'Oc. Itinerari alpinistici dal Col di Nava al Monviso CDA, Torino Cipriani E., 1986 Vie di ghiaccio in Dolomiti: guida alle pi belle ascensioni su ghiaccio e misto nellarea dolomitica Labande F., 1988 Monte Bianco. Guida Vallot selezione di vie 1 2 volume Edizioni Mediterranee Quagliotto R., Bonfanti G., 1988 Arrampicare in piolet traction. Proposte di salite nelle Alpi occidentali Edizioni ISGA Milano Grassi G. C., 1989 Ghiaccio dell'Ovest AB stampa, Torino Quagliotto R.,1993 Pareti di cristallo.100 proposte in: Alpi Pennine, Gruppo Masino-BregagliaDisgrazia, Gruppi Adamello-Presanella, Gruppo Ortles-Cevedale, Gruppodella Palla Bianca e Marmolada Edizioni Euroalpi Biner H., 1996 Guide du Valais. Du Trient au Nufenen CAS, Berna
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