Insegnare A Chi Non Vuole Imparare.

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vissuti

INSEGNARE
A CHI NON VUOLE IMPARARE

Giuseppe Bagni - Rosalba Conserva

Insegnare
a chi non vuole
imparare
Lettere dalla scuola, sulla scuola
e su Bateson

Giuseppe Bagni, insegna chimica in un istituto professionale di Firenze.


Rosalba Conserva, insegna italiano e storia in un istituto tecnico di
Roma.
Entrambi fanno parte del CIDI e del Circolo Bateson.
Il CIDI, Centro di iniziativa democratica degli insegnanti, fondato a
Roma nel 1973, opera nel campo della didattica e della ricerca in
campo pedagogico organizzando seminari, convegni, corsi di formazione. Nel corso degli anni il CIDI ha istituito centri in tutto il territorio
nazionale.
Il Circolo Bateson un laboratorio di studi e di ricerca sullepistemologia dei sistemi viventi. stato fondato a Roma nel 1990 da un gruppo
di amici interessati al pensiero di Gregory Bateson, in particolare alle
teorie relative al fondamento biologico della vita e della conoscenza.

Qual il posto della scuola che preferisci?.


Marco: Mi trovo bene sul terzo gradino delle scale.
Perch proprio il terzo gradino?.
Marco: il pi alto rispetto al pianerottolo che viene
controllato dalla portineria.
Da l si vedono tutti i compagni ma non si visti dagli adulti.
vietata la riproduzione anche parziale o ad uso interno o didattico e
con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia non autorizzata.

2005 EGA Editore


corso Trapani 95 - 10141 Torino
tel. 011 3859500 - fax 011 389881
www.egalibri.it / e-mail: [email protected]
ISBN 88-7670-551-1

Prima edizione: settembre 2005


anno
2005

edizione/ristampa
2006

2007

2008

II

III

IV

Stampato per conto di EGA Editore da: Tipografia Gravinese, Torino

Prefazione
di Marcello Cini *

Due insegnanti, Rosalba e Giuseppe, si interrogano sul loro


mestiere, nel corso di uno scambio di corrispondenza durato un
intero anno scolastico. Entrambi insegnano alle scuole superiori, lei
in un istituto tecnico, lui in un professionale. Colti, appassionati,
animati da un profondo senso di responsabilit per le conseguenze
del loro agire sulla vita dei ragazzi e da un intenso investimento
emotivo nei loro confronti, si trovano ogni giorno a dover tradurre
tutto questo patrimonio intellettuale e morale in azioni, comportamenti e giudizi, mettendo insieme le finalit istituzionali del loro
ruolo e i dettami della loro coscienza.
Nelle loro lettere si intrecciano dunque problemi didattici e
scrupoli deontologici, si alternano resoconti di sofferti interventi
dautorit e sincere prese datto di errori, vengono registrati episodi gratificanti e confessati momenti di sconforto. Alcune domande
di fondo ricorrono, come fili di una trama, nel corso di tutta la corrispondenza, e ad esse accenner brevemente pi avanti. Ma prima
vorrei cominciare presentando al lettore alcuni tratti della personalit dei due protagonisti, utilizzando anche le loro stesse parole.
Rosalba Conserva uninsegnante di lettere estremamente
attenta ad assumere la precisione, le regole e il rigore come punti di
riferimento essenziali del proprio insegnamento. proprio per
rimediare ai guasti di un frastornamento incauto spiega che
* Marcello Cini ha tenuto corsi di fisica teorica all'Universit La Sapienza, Roma,
della quale attualmente professore emerito. Oltre che della sua disciplina professionale, si occupato e si occupa tuttora di epistemologia e di storia della scienza.

preferisco applicarmi (e far applicare loro) alla cura delle procedure, al possesso degli strumenti ai quali ladottare il criterio di giusto e sbagliato meno aleatorio, direi quasi oggettivo. A
cominciare dallortografia, dalla punteggiatura, dalla costruzione di
frasi ben formate. Di qui, per esempio, viene la sua insistenza sullimportanza dellinsegnare ai ragazzi a dire le cose nel modo universalmente riconosciuto come appropriato: un dire piano, fluente,
grammaticalmente a posto, insomma, classico. E ancora: Il discorso parlato: ecco dove inciampano, ecco labilit che per loro sarebbe la chiave di tutto. Non fosse altro che per questo: nessuno si permetterebbe mai di bocciare, di giudicare male un ragazzo che sa dire
le cose che sa.
Giuseppe Bagni un insegnante di scienze che insiste continuamente a non voler trascurare nellinsegnamento di queste discipline il ricorso allimmaginazione, alla narrazione e allimprevisto.
Cosa dovrebbe fare linsegnante di scienze?, si domanda. In
primo luogo risponde riconoscere i contatti che le scienze
hanno con la struttura della narrazione: con la contingenza come
contesto che favorisce un evento rispetto agli altri e, a un altro livello, la scelta di una teoria rispetto ad altre possibili. Questo implica che le pagine dimenticate di vita della scienza gli anni di
pausa della cosiddetta scienza normale, il tempo delle teorie in
conflitto e i fattori che hanno spinto in favore delluna o dellaltra,
la scelta di una direzione e di un paradigma che automaticamente
hanno reso le altre vicoli ciechi, il loro recupero spesso avvenuto
in momenti successivi sono preziose per insegnare il modo della
costruzione delle conoscenze.
Ma non basta. Per non cadere nellerrore di proporre un altro
modo di imparare le scienze la storia della scienza al posto della
scienza bisogna aggiungere che questo atteggiamento aperto
alle alternative pone s un problema di contenuti, ma soprattutto di
metodo. Non si deve accettare la tesi che esista una scienza minorenne che si pu insegnare con un agire senza teorizzare, e poi una scienza maggiorenne, che si insegna teorizzando (con falsa linearit) senza

agire... Allora, le teorie da insegnare a scuola non sono le teorie della


scienza cos come le conosciamo oggi almeno non da subito ma
le risposte scientifiche che gli alunni di una certa et possono dare a
domande che scaturiscono da attivit e osservazioni adatte.
Lapparente contraddizione di queste due figure di insegnanti
rispetto allo stereotipo corrente dei rispettivi ruoli disciplinari non
deve stupire: essa alla base, invece, della loro ricchezza umana e
professionale. infatti conseguenza della profonda assimilazione
delle idee di Gregory Bateson, che entrambi hanno assunto come
riferimento costante. Lintuizione di Bateson scrive Giuseppe
che qualunque forma di apprendimento si muove su una linea a
zig-zag che unisce i due poli della dicotomia rigore/immaginazione,
per me fu una folgorazione fin dalla prima lettura. E ancora, qua
e l, ritroviamo continui riferimenti al pensiero batesoniano: Tra
le abitudini di pensiero scrive Rosalba che io e te abbiamo preso
da Bateson ce n una fondamentale: ammettere e coltivare visioni molteplici del mondo []. Che non la paralisi dellagire, ma
un salto di livello logico, un agire in parte consapevole e in parte no
dentro la cornice pi vasta che Bateson chiama storia naturale.
In sostanza, da Bateson che entrambi hanno imparato la capacit (che certamente era gi congeniale alla loro natura ancor prima
di scoprirlo) di creare un rapporto di empatia tra insegnante e allievo, come intreccio di conoscenza emotiva e di conoscenza razionale. La seconda modalit per altrettanto importante quanto la
prima. La conoscenza empatica spiega Rosalba anche ragionamento, consapevolezza, disciplina mentale. Non sono momenti
staccati e mai le due cose dovrebbero essere tenute distinte nella
educazione dei ragazzi: devono andare di pari passo, com per
rigore/immaginazione, diacronia/sincronia, ecc..
Delineate cos le figure dei due protagonisti veniamo al tema di
fondo che costituisce lossatura portante di tutto il libro, attorno al
quale ruotano le loro riflessioni critiche, sorgono i loro dubbi sulle
priorit da scegliere e dal quale nascono i problemi dellagire quotidiano. Esso gi esplicitato nel titolo scelto: Insegnare a chi non

vuole imparare. Quale deve essere si chiede Giuseppe la nostra


risposta al problema dei ragazzi che di scuola non ne vogliono?.
Una domanda che ne ha per corollario unaltra: La nostra acqua
disseta davvero? Quello che insegniamo, e in generale la scuola che
abbiamo oggi, quella buona, che forma i soggetti?.
Provo a individuare alcune delle risposte, ovviamente parziali e
problematiche, che a pi riprese affiorano nel dipanarsi del loro
dialogo. Alcune riguardano pi direttamente loro stessi, altre pi i
ragazzi e listituzione scolastica com e come dovrebbe essere.
I loro punti di vista non sono identici. La differenza che li contraddistingue cos spiegata da Rosalba: Da qualche tempo, se
proprio devo sollevare lo sguardo dal piccolo dominio che mi
dato praticare, ci che muove i miei interessi non la politica scolastica, n la politica in generale. Tu, dalla distanza che ti sei dato,
scopri laspetto politico e sociale dei problemi scolastici; io mi
allontano a una distanza che mi fa vedere il mondo vivente tutto
quanto (amebe comprese)... E allora, siccome il pianeta Terra non
lo posso salvare io da questo progresso dissennato, scelgo di
prendermi cura delle nuove generazioni: che imparino a pensare,
che abbiano strumenti di pensiero diversi da quelli che hanno portato il nostro pianeta allo stato attuale: uno stato che, volenti o
nolenti, tutti, anche io e te, abbiamo determinato.
E conclude: Allora s, educare lo sguardo, far s che i ragazzi
imparino a desiderare un mondo nuovo... E chiss che scrivendo
a te, essendo costretta a riflettere sui miei stessi pensieri, io non
diventi davvero capace di contemperare i due differenti livelli dellagire: il livello delle buone pratiche didattiche e quello della
compromissione nel sociale. E chiss che non mi riesca di diventare una brava persona, oltre che una brava insegnante.
Una traccia evidente della differente distanza scelta da
Giuseppe per guardare i problemi della scuola il suo aspetto politico e sociale il resoconto del coinvolgimento suo e dei suoi allievi nelle manifestazioni per la pace in occasione della guerra in Iraq.
In assenza del preside toccato a lui fronteggiare le richieste degli

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studenti che volevano manifestare, autorizzare luscita da scuola di


quelli che intendevano partecipare ai cortei cittadini, garantire a
quelli che preferivano restare allo svolgimento delle lezioni, chiarire
diritti e doveri di tutti. La pace si difende nelle strade ma si costruisce a scuola, con la pratica della democrazia e del dialogo. Gli atteggiamenti dei ragazzi non dobbiamo mai giudicarli tossici di per s
per la scuola, nemmeno quando le proteste sono proteste che rompono gli schemi consolidati. Si tratta di indicare i margini perch le
loro azioni restino compatibili con un dialogo.
Se il fine comune a entrambi (limperativo della maestrina cinese non uno di meno pi volte citato da tutti e due) quello di individuare come fare una scuola di tutti e con tutti, appare tuttavia evidente che ognuno dei due lo sente in modo diverso. La scuola
pubblica non qualunque scuola aperta al pubblico scrive
Giuseppe ma quella che d valore, per s e per la societ, al
costruire luoghi di apprendimento eterogenei dove le biografie di
alunni e alunne possano aprirsi e mescolarsi. Intrecciare storie di
generazioni, favorire le contaminazioni senza che si trasformino in
domini: questo lobiettivo. Non si pu dunque, come si tenta di
fare anche a sinistra, trovare un percorso su misura per quei trenta su cento che escono senza titoli dalla scuola. Coloro che si
concentrano sulleffetto trascurando la causa, legittimano e sorreggono un modello obsoleto anche per gli altri settanta. Insomma:
Per chi non ne vuole di scuola ci deve essere unattenzione particolare, ma non meno scuola La maggior parte di quelli che non
ne vogliono sono il prodotto di questa scuola e si recuperano
dimenticandoci dei trenta e pensando ai cento.
Mentre Rosalba dal canto suo tende a cercare di affrontare il
problema dei ragazzi non-bravi non solo di quei trenta che si
perdono, ma anche della maggioranza che subisce la scuola come
un noioso dovere , Giuseppe si domanda: Dove nasce lindifferenza dei ragazzi per la scuola?. E risponde: La societ, certo,
con i suoi nuovi valori e disvalori ci mette del suo. Ma, secondo
lui, lindifferenza viene soprattutto dalle poche attese che hanno,

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dai pochi successi e dai pochi riconoscimenti dei successi.


Vogliamo che imparino, conoscano nomi e formule, ma non curiamo abbastanza che ri-conoscano il valore di quello che fanno.
Non serve dunque motivare lapprendimento scolastico attraverso
la sua funzione di favorire in futuro promozione e inserimento
sociale, ma occorre dare ai ragazzi una ragione per venire a scuola e una per restarci, lavorando al livello delle relazioni di classe.
Da questo atteggiamento nasce una continua e comune ricerca
dei modi per realizzare questo obiettivo. Rosalba se la prende, ad
esempio, con una frase usata correntemente per giustificare gli
insuccessi scolastici: I ragazzi arrivano a scuola digiuni di qualsiasi nozione. Questa sentenza, infatti, tace su come stata accertata lignoranza totale di nozioni. Inoltre, molte nozioni non tutti
sono in grado di esplicitarle, non tutti sanno dare alle nozioni una
forma linguistica. Ne segue che essa conduce a una profezia che
si autoavvera: se mi convincer che tu sei completamente digiuno
di nozioni, mi comporter come si comporta chi attribuisce allaltro unignoranza totale. Ed molto probabile che laltro se ne convinca a sua volta e si comporti di conseguenza.
Questa continua ricerca porta spesso Rosalba ad essere agitata
da dubbi, da scrupoli di correttezza professionale, persino da sensi
di colpa. In un giorno di sconforto si chiede: Loro [i genitori], gli
ignari, gli incauti, li hanno affidati a me! E io? sapr io reggere alle
attese?. E, verso la fine dellanno, tirando le somme: Oggi avverto solo questo scrive il peso di quanto non si realizzato, delle
ore perse, dei giorni interi persi, del tempo che stato male impiegato. Mi ripasso le giornate sbagliate, gli errori che ho commesso:
di impostazione del programma, di interventi non tempestivi, leccesso di rigore in certe mie pretese.
La differenza dei rispettivi punti di vista si ritrova su altre questioni. Una la pratica studentesca dellautogestione che ogni anno
si rinnova, pi o meno ritualmente con risultati che Rosalba giudica assai severamente, mentre Giuseppe pur concordando nel
deplorare gli episodi di vandalismo ai quali talvolta le occupazioni

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danno luogo e nel constatare la velleitariet e la vacuit di molte di


queste azioni ne coglie anche alcuni aspetti positivi.
Dai giudizi negativi su assemblee e autogestione nascono anche
considerazioni autocritiche. Quante volte negli anni passati riconosce Rosalba abbiamo chiuso gli occhi di fronte a situazioni che
gridavano vendetta. E conclude: Cosa imparano i ragazzi da questo andazzo? Che idea si fanno dei diritti e dei doveri di una democrazia? Quando la scuola da essere riservata a una lite diventa
scuola di tutti non c altra scelta: deve essere rigida. Il modello? Il
primo che mi viene in mente Barbiana.
Anchio risponde Giuseppe sono anni che cerco di capire
cosa pensare di queste autogestioni/occupazioni che, quando va
bene, offrono molto a pochi studenti e pochissimo a molti. E cita
la sua esperienza: Due anni fa, dopo una forte tensione iniziale, listituto fu occupato. E poi? Nulla. Tutto un passeggiare avanti e
indietro, nessuna idea su cosa farsene della scuola finalmente conquistata Fu unesperienza disperante, da non dormire la notte a
pensare in che stato di malessere erano questi ragazzi. Ma continua: Lanno scorso cominci sotto i peggiori auspici Poi, la sorpresa: salta fuori un gruppetto di studenti di quarta con una sigla
mai sentita che stampano dei volantini molto efficaci sulla riforma
e anche ricchi di autoironia sullo stile di vita giovanile.
Questi due diversi esiti lo portano a concludere: Nella nuova
ritualit delle occupazioni vedo la domanda non di gestire la scuola nelle sue funzioni, ma il suo tempo, sempre pi prezioso perch
sempre pi lunico che scandisce, per ragazzi e ragazze, unesperienza collettiva. Quello che vediamo durante le autogestioni non
il risultato di quello che si o non si insegnato, n il teatrino di
studenti che vogliono sostituirsi ai docenti. Parlano anche di scuola ma soprattutto parlano a scuola daltro. E quelli che non parlano
di nulla ci rappresentano il dramma di ragazzi che non hanno nulla
di cui parlare e non sembrano soffrirne.
Mi accorgo a questo punto che tutto quello che ho detto lascia
fuori dalla porta i protagonisti veri di questo libro: le ragazze e i

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ragazzi che riempiono queste pagine con le loro vite di adolescenti, le loro difficolt scolastiche ed esistenziali, ma anche i loro successi e le loro scoperte. C, per esempio, Andrea Demarco, che fa
impazzire Rosalba: Certe volte mi cascano le braccia. Con
Demarco le ho provate tutte, fino a quando mi sono arresa Forse
gli ho detto sbaglio io, sbagliamo tutti noi a tirarti da una certa
parte, nellunica direzione che abbiamo scelto per te nonostante la
tua volont. Non un cattivo ragazzo, anzi pure simpatico. Di
tanto in tanto lo ritroviamo, nel corso dellanno scolastico, con la
sua rozza saggezza: Lei non si preoccupi rassicura la prof noi
abbiamo capito: solo che non lo sappiamo dire. Ma per lui non
finita bene: alla fine dellanno stato bocciato, nonostante gli scrupoli di Rosalba che tenta, senza riuscirci, di ripescarlo allultimo
momento. Non se laspettava: il giorno delluscita dei quadri ha
girato come un pazzo per la scuola inseguito dai bidelli che lo consolavano.
E allora Rosalba si domanda: Che hanno di diverso Demarco e
Cardelli (laltra bocciata con lui) rispetto ad altri che, come loro,
non hanno aperto un libro, e, come loro hanno fatto casino per
tutto lanno?. La risposta amara: Demarco e Cardelli, persone
innocenti, non sanno ricorrere alle giuste furbizie: quelle che noi
insegnanti ci aspettiamo perch lessere ingannati si accompagni al
riconoscimento della nostra autorit. Demarco e Cardelli sono
insomma ingenuamente e costantemente fuori contesto a scuola sintende, altrove se la cavano benissimo , e, per ragioni diverse, lasciati soli a sbrigarsela con gli affari di scuola.
A Capriati invece andata meglio. Fin dallinizio dellanno non
gli pareva vero di potersi esibire a tutto campo nel ruolo che gli sta
a pennello del piacione romano. Ma non il rompiscatole classico.
Partecipa come suol dirsi. Per vuole stabilire con me un rapporto privilegiato, che a lui sia permesso ci che agli altri severamente proibito: dire la battuta quando viene cio a sproposito ,
uscire ogni cinque minuti, fare i compiti s e no, scrivere le i senza
il puntino Mi domando cosa fare con lui. Assecondare un rap-

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porto che lui vorrebbe damicizia? Quando invece devo metterlo


sotto torchio? Devo catturarlo facendolo diventare bravo: non
appena dir o scriver una cosa sensata lo loder platealmente.
Altre volte ha funzionato.
E poi c Sonia Montagni, lalunna di Giuseppe, che alla fine di
una settimana di occupazione si dichiara felicissima di aver conosciuto pi ragazzi in quella settimana che nei tre anni precedenti e
tra questi alcuni molto in gamba dai quali ha imparato tantissimo. Nessuno mi toglie dalla testa commenta Giuseppe che
Sonia dentro lautogestione (dentro la scuola quindi) abbia trovato
un motivo per imparare, scoprendo un modello positivo di adolescente istruito. Un modello comprensibile per una studentessa
come lei, tipica di una scuola di massa, e alla sua portata.
Giuseppe ha visto giusto. La Sonia di cui ti ho scritto durante loccupazione scrive nellultima lettera raccontando degli scrutini
finali stata bravissima. La qualifica sopra il settanta, dopo due
anni di bocciature e tribolazioni.
E infine c la storia di Ledjon, lunico ragazzo rom che, finita la
scuola media, ha chiesto di continuare a studiare. Ma non ve la racconto, perch non voglio togliere ai lettori il gusto di scoprire come
va a finire.
Vi auguro buona lettura.

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Premessa

Dice un proverbio:
Io posso portare il cavallo allabbeveratoio, bere affar suo.
Insegnare non un semplice travasare la scienza da una mente a
unaltra mente. Insegnare e imparare presuppongono lazione attiva
di tutti i soggetti implicati nella relazione: cosa tanto facile da concepire in via teorica ma non altrettanto facile da realizzare nella pratica:
fosse pure una acritica trasmissione, quella culturale non mai
stata, nemmeno per i bravi scolaretti, una comoda passeggiata.
Chi conduce il cavallo allabbeveratoio non pu certo bere al
posto del cavallo. Tuttavia per restare nella metafora pur vero
che lintero contesto pu essere disegnato (e ri-disegnato) con svariate modalit: non c un unico modo di conduzione n un tempo
unico per arrivare alla meta; labbeveratoio pu avere forme diverse, lacqua pu essere pi o meno appetibile e, infine, il cavallo
un organismo vivente, predisposto perci ad apprendere, cos
come pu apprendere chi lo conduce.
Questo libro nasce da una intesa: scriversi delle lettere per ragionare di scuola nellarco di un anno scolastico.
In un lungo racconto che pone al centro il contesto e la relazione con i ragazzi*, entrambi ragioniamo di apprendimento e dei suoi
risvolti teorici; ma per le specificit delle materie che insegniamo e
per le diverse storie personali, ciascuno di noi portato a rendere
centrali anche altri e differenti temi, a sentire lurgenza e la neces* I nomi degli alunni citati sono, per ovvi motivi, tutti di fantasia e non riferibili a
persone realmente esistenti.

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sit di raccontarli: per Bagni la politica scolastica e non , per


Conserva la didattica nella sua quotidianit (per questa ragione le
parti del libro che la riguardano sono pi consistenti).
Il lettore trover che le nostre lettere non sempre si corrispondono in modo puntuale e lineare. Gli accordi presi inizialmente prevedevano infatti che ciascuno riflettesse sul proprio lavoro quotidiano
scrivendone allaltro, non che si sentisse obbligato a rispondere
punto per punto. Qualche volta perci una lettera riprende da unottica diversa uno stesso argomento o sposta il discorso su un diverso
piano; altre volte la risposta la riformulazione di una domanda
posta in una precedente lettera, con le nuove riflessioni che quella ha
generato e con lintroduzione di un nuovo tema, e cos via. Discorsi,
quindi, non del tutto integrati ma accostati, quasi giustapposti.
Il filo che li attraversa e li tiene insieme lepistemologia di
Gregory Bateson, la sua lezione di pensiero.
Giuseppe Bagni
Rosalba Conserva

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Il primo giorno di scuola

14 settembre

Accade che il primo gesto, la prima parola informino di s lo stile


e la sostanza del proseguire dellopera. Ma come lincipit di certi
romanzi porta il lettore fuori strada, cos i giorni di scuola che
seguiranno al primo lo ricorderanno come diverso, unico e irripetibile. Le cose infatti non andranno lisce, e non solo per rispetto alla
statistica e alle sue curve tendenziali (tasso di abbandono, di bocciati, di promossi con merito e con demerito), ma anche perch
in assenza di un Dio ordinatore perfetto, impegnato com a giocare a dadi col mondo toccher a noi fronteggiare e contenere
limprevisto programmando i correttivi anche nel dettaglio.
Domani conosceremo i nuovi ragazzi. Da due mesi non vediamo
ragazzi, per intenderci: quelli che la scuola riunisce in unaula e
chiama con un numero ordinale e una lettera dellalfabeto, e che un
insegnante identifica come suoi in virt del contesto dove quotidianamente li incontra.
A disegnare lestetica del primo incontro verr in aiuto lansia
dellattesa: conoscersi l non come conoscersi altrove.
Un quaderno, innanzitutto. Tra quelli a buon prezzo sar difficile trovarne con la copertina sobria e anonima. Lastuccio con matita, gomma, penne rosse e blu non va bene, potrebbe apparire una
debolezza, comunicare una relazione alla pari. Meglio una semplice stilografica, cercarla distrattamente nelle tasche: parler loro di
un insegnante di polso, dal quale possono aspettarsi di tutto.

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Noi che da studenti ne abbiamo conosciuti tanti cos cos di


polso abbiamo finito col credere che lessere educatori coincidesse con una adultit percepibile anche da lontano. E a volte ci
chiediamo come altro pu essere una persona che dovr costringere chi adulto ancora non ad accettare dellimparare una cosa di
per s naturale e umana la fatica che laccompagna.
Sulle loro facce attente e un po impaurite leggeremo le frasi che
gi li hanno messi in guardia dalle illusioni: questanno non si scherza!, sei alla scuola superiore, ti sei fatto grande
Confermare o no le attese di unautoritaria, rigida scansione
delle ore, lontane da cedimenti, senza affettivit n debolezze?
Difficile tracciare un confine tra come siamo e come dovremmo
o vorremmo apparire: persone che si prendono cura di istruire i
piccoli con quella attenzione distratta che li fa crescere.
Fatto lappello, dettato lelenco dei libri, entreremo nel merito
facendo lezione, e che sia una lezione ben fatta, quasi una metafora della rassicurante ritualit di tutto un anno di scuola; s, cominciare subito con un argomento di studio, molto meglio di quel vago
parlare di come va il mondo di come la pensi tu
vero, ci siamo specializzati nel dare spiegazioni prima di tutto
e su tutto, il nostro modo di rapportarci a loro insegnare loro ci
che ancora non sanno. La nostra affettivit? in quellostinarci a
credere che diventeranno bravi, bravi scolaretti sintende.
Anche chi insegna impara. Ha imparato, fra laltro, a sottrarre il
cosa studiare e il perch da lunghe inconsistenti contrattazioni. Da che esistono luoghi che chiamiamo scuola la relazione
maestro-allievo per definizione e per necessit asimmetrica: fatta
chiarezza sui rispettivi ruoli, non dovr apparire illogico quel perdere tempo su un sonetto di Foscolo senza altro motivo che questo: conoscere Foscolo meglio che non conoscerlo.
Destate li abbiamo visti: chiassosi, con gli abbigliamenti sdruciti, a fare notte davanti allorribile sala-giochi del quartiere. E se i
nostri studenti assomigliassero a questi? No, i nostri non gli assomigliano, abbiamo pensato. E tuttavia lo sappiamo gi che arrive-

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ranno a scuola con quegli stessi vestiti e con laura da sala-giochi


addosso. E gi sappiamo che guardandoli uno a uno e raccogliendo dalle loro frasi smozzicate singoli frammenti di singole storie,
anche questanno ci chiederemo: com che a noi capitano sempre
le classi migliori?
G. B.
R. C.

21

Roma, 25 settembre

Caro Giuseppe,
ieri mattina ho portato per la prima volta i ragazzi in biblioteca,
e posso dire ragazzi al maschile a buon diritto: sono tutti maschi, e
questo mi esonera dal dover menzionare sia maschile sia femminile, come oggi il politically correct impone: una cosa cui mi adeguo
sempre malvolentieri.
Solita sensazione di sgomento: tanta lofferta e poche le idee che
ho su quello che pu fare centro e inchiodarli a divorare un libro
fino allultima pagina. Per la loro et 14-15 anni , se dovessi considerare la loro et come condizione perenne e universale dello spirito, non soggetta quindi alle mode come invece , vanno bene
Guerra e pace, Delitto e castigo, Leducazione sentimentale e via
elencando i massimi.
Dapprima un giro illustrativo, guidati dal bibliotecario della
scuola. Ho chiesto aiuto: consigliali tu. Lui invece li ha lasciati liberi di scegliere. Si sono precipitati nella stanza riservata ai gialli, alla
fantascienza, allo sport. Uno ha preso un libro che spiega come si
gioca a calcio. Va bene?, mi ha chiesto. Ma non lo conosci gi il
gioco del calcio? ho detto io. Lui; S, ma leggerlo diverso.
Poi ci ha ripensato, ha preso un manuale sul gioco del golf:
Questo non lo conosco.
Caro Beppe, beato te che insegni una scienza precisa! Io invece devo educare, alimentare il loro immaginario come suol dirsi
e questo compito mi pesa, mi pesa lassenza di confini e aggiun-

23

gi la mia convinzione che, a quellet, nella lettura di buoni libri


uno si gioca tutto. Sar, la mia, una visione romantica della vita: che
il destino di ciascuno di noi tutto in quelle pagine folgoranti,
lette precocemente, che ti rovesciano addosso il mondo e tu diventi un altro Ne vieni fuori frastornato (Non ho capito niente!)
per sai per certo che l c un segreto che devi scoprire e che la
chiave nelle tue mani Quando aveva otto anni, a Marguerite
Yourcenar suo padre leggeva i Ricordi di Marco Aurelio nella traduzione inglese: La nostra epoca scrive ignora e nega troppo
la genialit dellinfanzia1.
Tornati in classe, sar perch i quattro muri spogli dellaula ti
rassicurano che un confine c e quindi un dominio che solo
tuo , e la cattedra ripristina la gerarchia, gli obblighi quindi del
mio ruolo che mi viene naturale nella versione classica , ho scritto alla lavagna la scheda da compilare a inizio e fine lettura.
Solo romanzi, ho aggiunto. Quanti?, Dieci, Possiamo
sceglierli noi?, S, dietro mio consiglio. Dobbiamo fare il riassunto?, ha chiesto uno. No, a fine lettura dovete scegliere una
pagina da leggere a voce alta ai compagni.
un metodo che ho seguito altre volte, e funziona per chi abituale lettore (di romanzi). Gli altri barano: scelgono la pagina (di
solito una delle prime) e non leggono il resto. Che faccio per cambiare le abitudini di questi ragazzi?, di questi, e sono i pi, che se
non imparano qui non c altrove che faccia scoprire loro il piacere di leggere? Non te lo so dire, non me lo ricordo. Ogni caso un
caso a s. Intanto li ho messi in un classico doppio vincolo: leggere un piacere/leggere un obbligo. Ma gli esseri umani, anzi
ogni creatura vivente come ci ha insegnato Bateson vive perennemente in doppi vincoli, e se la cava.
Rosalba

1 M.

24

Yourcenar, Ad occhi aperti, Bompiani, Milano 1987, p. 27.

P.S. Nella sala dingresso della biblioteca li osservavo standomene in disparte mentre aspettavano il turno per registrare il libro.
Seduti attorno a un grande tavolo discutevano tra loro disinvolti e
allegri. Si conoscono da due settimane e hanno tanto da dirsi, e
sono rispettosi luno dellaltro. Non c stato niente del genere nella
mia vita scolastica. Solo bugie, silenzi, giudizi sullaltro covati dentro, alleanze rivolte a ferire qualcuno, competizione E se fosse
questa loro innocenza il bene da preservare, la zona sacra che
non bisogna invadere, la promessa di un mondo migliore? E se
fosse che per loro Guerra e pace un di pi, non cos necessario?

Firenze, 2 ottobre

Cara Rosalba,
anchio ho avuto il primo incontro con la mia classe. Una prima
di diciassette alunni, tutti vivaci come si conviene negli istituti professionali. La classe quasi equamente ripartita fra femmine e
maschi e dodici, dei diciassette, sono accomunati da precedenti
bocciature subite in una qualche prima superiore o alle medie.
Quando in laboratorio abbiamo parlato delle loro scelte cera di
che disperarsi: chi aveva chiesto altri indirizzi ma non vi aveva trovato posto, chi aveva scelto per esclusione. In gergo scolastico la
chiameremmo una classe di raccattati. Eppure, come quasi tutti
gli anni, questi alunni da mani-nei-capelli, appena diventano i miei
alunni, mi entusiasmano. Mi sembrano tanti singoli mondi che
nascondono tante qualit, piccoli gioielli da portare alla luce.
Vorrei bruciare le tappe della conoscenza e, se potessi, li seguirei a
casa per scoprire di che materia sono fatti i loro discorsi, da chi
hanno preso i loro gesti e il modo di sorridere. So che non si pu e
soprattutto non si deve.
Anche questanno, lavorando in Presidenza, ho il semidistacco:
chimica e laboratorio nella sola prima classe, con otto ore settima-

25

nali. Pochi alunni, quindi, e quando incontro gli altri studenti in


Presidenza proprio la non condivisione con loro di una storia di
classe a crearmi disagio. Quelle mura che, mi scrivi, rassicurano
anche te, io me le lascio alle spalle proprio quando ne avrei pi
bisogno.
Mi hanno colpito le tue parole su come la lettura di buoni libri
possa dischiudere un orizzonte nemmeno immaginato, ma la mia
esperienza mi fa pensare che il nostro problema oggi di insegnanti che intervengono nella fase delladolescenza sia pi complesso. Non solo offrire occasioni dincontro con una cultura ricca
di segreti che devono scoprire ma, ancora prima, riuscire a collocarsi sul loro terreno e dare senso, per loro, a questa scoperta.
Non solo renderli consapevoli che la chiave per la stanza del
tesoro gi dentro di loro, ma convincerli che quello che vi troveranno davvero un tesoro, anche per loro. Anche se li potr portare oltre il loro mondo conosciuto, oltre i modelli della televisione e,
per la maggioranza dei miei alunni, oltre limmaginario che possono ereditare dai loro genitori. Convincerli non facile proprio perch si dischiude un orizzonte cos vasto e bisogna imparare ad
affrontare il senso di vertigine che ne deriva.
Daltra parte, Gardner ha scritto che lobiettivo prioritario oggi,
prima ancora di insegnare a leggere e scrivere, quello di ridarne
la voglia, ricostruirne il senso.
Per quanto riguarda il fatto che dovrei sentirmi beato perch
insegno una scienza precisa, questa da una batesoniana esperta
come te proprio non me laspettavo! Tu mi insegni che rigore e
immaginazione accompagnano sempre qualsiasi attivit umana: io
devo alimentare il loro immaginario proprio come te, ma con lulteriore difficolt di doverlo fare in un campo in cui ancora domina
il dogmatismo e si pensa di potervi trovare verit assolute. Ti trascrivo a questo proposito un brano tratto dallautobiografia di uno
dei pi grandi chimici, von Liebig, il quale riassume cos il senso
della realt di uno scienziato:

La chimica svilupp in me la facolt, tipica pi dei chimici che degli


altri filosofi naturali, di pensare in termini di fenomeni; non molto
facile dare una chiara idea dei fenomeni a chi non sappia richiamare
nella propria mente unimmagine mentale di ci che vede e ascolta
come il poeta e lartista, per esempio []. Il chimico ha una forma
di pensiero grazie alla quale tutte le idee diventano visibili nella
mente come le frasi di un immaginario brano musicale [].
La facolt di pensare in termini di fenomeni pu essere coltivata solo
se la mente costantemente allenata, e questo nel mio caso avvenne
tentando di eseguire, nella misura in cui i mezzi me lo permettevano, tutti gli esperimenti descritti nei libri []. Ripetevo quegli esperimenti [] un numero infinito di volte [] finch non conoscevo
nei dettagli ogni aspetto del fenomeno che vi si presentava [] una
memoria del senso, ossia della vista, una chiara percezione della
somiglianza o delle differenze delle cose o dei fenomeni che in seguito mi fu utilissima2.

In altre parole: costruire con rigore le immagini su cui poter


poi immaginare Questa impresa mi stimola, ma non mi sento
certo beato!
Penso tu abbia ragione quando parli dei sentimenti (parli di
innocenza ma io preferisco evitare termini cos impegnativi)
come bene da preservare nei ragazzi. Con mio fratello tempo fa
parlavamo di qualcosa di analogo. Anche lui insegna le tue materie
e si trova a dialogare con alunni e alunne che separano completamente la sfera dei sentimenti da quella delle scelte di vita di tutti i
giorni. I sentimenti restano belli e universali, ma le pratiche della
vita quotidiana le tengono strettamente legate al mondo del possibile e della contingenza. Oltre a preservare, allora, non dovremmo anche aiutarli a vivere la vita di ogni giorno in coerenza rispetto ai loro valori?
Ti trascrivo il tema di Gerta, unalunna albanese di prima, da
pochissimo in Italia. Largomento era lacqua e il suo immaginario:
2 Il brano riportato in una nota del romanzo di O.W. Sacks, Zio Tungsteno. Ricordi

di uninfanzia chimica, Adelphi, Milano 2002.

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27

Resto seduta di fronte a lui e mi ciama, mi ciama in nome e mi soride con la sua facia dolce. Il suo colore da qualce parte blu e da qualche parte celeste mi tranquilla lanima. E iniziamo a parlare.
Io racconto tutte le mie cose, e lui mi ascolta. il migliore amico che
ho, che non mi tradisce mai e con nessuno.
Questo mio migliore amico laqua il mare.
Tutte le volte quando sto con lui aspetiamo con ansia il tramonto del
sole, che cambia il suo colore, e a me questo piache tanto anche se
dura poco. Quando sono triste lui mi abracia forte, mi tranquilla il
corpo e mi tolie tutti i pensieri tristi dalla mente. Ma quando triste
lui io non facio niente solo lo vedo, e lui questo vuole e piache.
Laqua non soltanto un elemento indispensabile alla nostra vita,
anche se questa la pi importante ma laqua anche un elemento
che ti aspira, ti tranquilla e in tanti casi ti fa sognare.
Ecco perch il mare il mio migliore amico.

Il giudizio della mia collega Isabella stato questo: Il tuo elaborato molto bello e pieno di poesia, anche la calligrafia molto
bella e chiara, cos mi dispiace sporcare queste pagine con la correzione. Lo correggeremo insieme.
Ho condiviso la delicatezza delle sue parole di fronte a un componimento tanto solare, frutto di una sensibilit che ignora i confini delle carte geografiche e sfugge alla prigionia delle regole grammaticali, tanto difficili, le nostre, e ancora sconosciute per Gerta.
Giuseppe

Roma, 4 ottobre

Caro Giuseppe,
spiegare: un verbo che identifica la scuola e che riassume in una
sola parola che diavolo fa un insegnante: che fa? Spiega.
Gli esseri umani non si accontentano di contemplare la realt. E
nemmeno si limitano alla pura e semplice descrizione: si appassio-

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nano invece a un procedimento cos contorto com quello di


proiettare una descrizione su una tautologia per dirla con
Bateson3. Poi tutto si risolve in quattro frasi tenute insieme da molti
perch, siccome, ecc.
La spiegazione per sua natura selettiva: seleziona quelle parti
della descrizione che poi dovr connettere con parole vuote
(congiunzioni, preposizioni) che daranno senso a frasi originariamente giustapposte e prive di senso. Insomma, spiegando noi
creiamo una sorta di tautologia, che in certi casi fuori del tempo
(un teorema euclideo lo giri e lo rigiri ma resta sempre lo stesso), in
altri aperta, soggetta cio a revisione: vedi le spiegazioni di
accadimenti storici. Queste cose tu le sai (scusa se le richiamo, per
giunta spiegandole!), e sai che ho studiato per anni la questione.
Fino a provare il rifiuto di concepire lo spiegare come una scelta
corretta dal punto di vista dellecologia delle idee, sintende.
Per, te lo confesso, spiegare mi piace, mi riesce bene.
Succede a chi sta spiegando che quella intuizione che tale prima
non era, in quanto silenzio, attenzione, raccoglimento erano imposti perch previsti dal ruolo, diventi un bel giorno davvero esperienza nuova. Che diventi, inoltre, esercizio di pensiero su come
potrebbe essere, anche fuori dellaula, una condizione eccezionale
di intimit: lascolto di unaltra persona, una persona qualsiasi,
che parla col suo essere intero, mente e corpo.
Non so quanto le mie spiegazioni di ora assomiglino a quelle dei
miei precedenti anni di scuola. Se tu mi fossi accanto mentre spiego, forse diresti che in fondo in fondo altro non faccio che raccontare delle storie. Pu darsi. Mi osservo a tratti mentre nel
silenzio dellaula, con gli sguardi tutti rivolti a me, faccio spettacolo: con passaggi repentini vado da ieri a oggi (dal paleolitico al
nomadismo dei Rom), trasferisco unidea da un contesto allaltro,
richiamo un pezzo del loro vissuto (capita anche a voi di), anticipo concetti e fatti che spiegher dopo, dichiaro la mia incompetenza su un campo che ho appena sfiorato (di genetica, per, so
3 Cfr.

G. Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano 1984, pp.113-122.

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molto poco) o quanto poco tutti quanti sappiamo di cose che crediamo di sapere (fortunati voi, che sarete in vita quando sar chiaro ci che oggi un punto oscuro).
Quanta libert mi prendo! E tuttavia questa libert la controllo
e a modo mio la definisco, fingo che qualcuno che ne sa pi di me
stia a guardare, mi immergo cio nella condizione di chi venga
osservato, ascoltato, valutato da un giudice sapiente e togato che
pu fare pollice verso.
Non farti lidea che spieghi sempre. Ho la fortuna di avere due
sole classi, in una ben dieci ore a settimana, e in due giorni ho tre
ore di fila Tu come organizzi il tempo della lezione? Io in quelle
tre ore di fila gi da molti anni metto in programma un solo
argomento (ti faccio un esempio: ieri in II G luso della virgola
prima del pronome relativo), e in questo tempo c spazio anche
per la classica spiegazione. Il resto laboratorio: esercizi, verifiche immediate, aggiustamenti un conversare quasi alla pari. A
venti minuti dalla fine detto le consegne per i compiti a casa, e qui
sono di una pignoleria che a qualcuno apparir maniacale.
Entrambi insegniamo in scuole scelte dai ragazzi perch qui si studia poco. Per fargli cambiare opinione bisogna perci dare un
segnale tangibile di quanto conta (e quanto sar tenuto in conto) il
loro impegno individuale. Ma io sto attento alla spiegazione! Non
basta?, chiede Manzi. S, una buona premessa dico facilita il lavoro a casa ma non lo sostituisce.
Oggi, mentre spiegavo prendendo gli oggetti a portata di mano
lastuccio era una pietra, la gomma da cancellare era una selce
e mostravo il gesto del battere una pietra sullaltra, quello straordinario passaggio evolutivo mi diventato chiaro come non mai. E mi
sono chiesta: chiss se lhanno capito come adesso lho capito io.
Spiegare vuol dire capire in un altro modo, capire con lintero
corpo: unesperienza che gli allievi devono poter fare: comunicare ad altri ci che si compreso, cercare la strada che sia convincente e avvincente Ma perch linterrogazione classica non
funziona? Perch di rimando abbiamo solo frasi smozzicate?

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Spiegare presuppone che di una certa cosa si abbia il pieno


dominio. E la tensione che si crea quando si vuole dire ci che si sa
a chi non lo sa la causa che mette in moto capacit esplicative
insospettate. Forse il meta-messaggio implicato nelle mie spiegazioni questo: spiegare unarte, un atto creativo, come ogni arte
richiede addestramento: rigore e immaginazione, sopra ogni cosa.
Rosalba

Firenze, 10 ottobre

Cara Rosalba
la tua lettera mi ha stimolato a riflettere sulla spiegazione.
Insegnando chimica, le spiegazioni che mi competono si giocano
tutte in campo scientifico, dove sembrano assumere un carattere
estremamente preciso. Bruner, in La cultura delleducazione, riassume molto bene levoluzione dello spiegare scientifico. Ti propongo
un breve passaggio del libro che trovo illuminante. So di rischiare
di appesantire le mie risposte con troppe citazioni, ma il piacere
dello scriverti per me sta anche nel riflettere, rileggere, ritornando
a storie che mi hanno coinvolto e sono state importanti per la mia
formazione. Allora eccoti il brano:
A partire dal diciassettesimo secolo lideale della comprensione
(qualunque ne sia loggetto) stata la spiegazione causale per mezzo
di una teoria: lideale della scienza. Una teoria che funziona tutto
sommato un miracolo: idealizza le nostre diverse osservazioni del
mondo in forma [...] ridotta allessenziale [...] permettendoci di
vedere i miseri particolari come esempi di un caso generale. Le teorie esplicative inoltre funzionano indipendentemente da quello che
se ne pensa e (almeno presumibilmente) dalla particolare prospettiva personale con cui si guarda il mondo4.
4 J.

Bruner, La cultura delleducazione, Feltrinelli, Milano 1997, p. 101.

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La spiegazione scientifica, quindi, cerca leggi eterne e avulse dal


contesto.
Storicamente, questo modo di intendere la spiegazione fondato
sulla generalizzazione e astrazione dal contesto ha goduto di un
prestigio indiscusso. In fondo riproduce un criterio di verit tipicamente umano, che vede degno di fede soprattutto ci che dotato
di universalit e permanenza nel tempo. Nel periodo positivista, nei
riguardi dellinterpretare, proprio delle scienze umane, lo spiegare
della scienza (in particolare la fisica) godeva di un tale strapotere
che le scienze umane venivano considerate non del tutto serie, infatti non spiegavano niente: servivano solo ad arricchire la mente.
Ma cosa succede nel secolo scorso a questo mondo cos fortificato su verit eterne?
Scrive Bruner che mentre i professori di scienze decretavano
[] la leggerezza delle materie leggere, lEuropa si avviava a una
nuova guerra mettendo in scena le storie della letteratura, della
storia, degli studi sociali che avrebbero dovuto solo arricchire la
mente. [] I gas velenosi [] potevano anche essere i frutti letali della scienza verificabile, ma limpulso a usarli nasceva dalle storie che ci raccontiamo []5.
Bellissimo modo, questo di Bruner, per introdurre la svolta
interpretativa che dapprima si espresse nel teatro e in letteratura, poi nella storia, poi nelle scienze sociali e infine in epistemologia. Oggi si esprime nelleducazione. Il suo fine principale la
comprensione.
E le nostre spiegazioni non devono mirare proprio a questo?
In fondo, per tutti noi si tratta di muoverci tra passato, presente
e possibile le tre P di Bruner6 e, lentamente spiegando, inter5 Ivi,

pp 102-103.
il passato, il presente e il possibile il titolo del quarto capitolo de La
cultura delleducazione citato.
Nel linguaggio scolastico questi temi sono oggetto delle materie studi sociali, storia
e letteratura, ma secondo Bruner la guida degli studenti alla comprensione vera di queste tre P (maiuscole) dellumanit coinvolge tutti gli ambiti di studio e apre le discipline stesse.
6 Insegnare

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pretando, raccontando, cercare di mettere in scena una sovrapposizione di approcci e rapporti col mondo che siano la scintilla capace dinnescare la comprensione.
Anche a me piace spiegare. E come pu non piacere? un palcoscenico interamente a nostra disposizione, una recita a soggetto
con il controllo diretto di tutti gli elementi della scena. Una bella
lezione coinvolge corpo e mente e, se davvero bella, penetra nella
sfera dellemotivit di tutti. Forse sono proprio le sue qualit di
completezza e coinvolgimento che generano quel senso dintimit
di cui tu parli.
Eppure quella stessa tua diffidenza verso la spiegazione mi si
andata via via rafforzando. Da anni ricorro sempre pi raramente alla
lezione classica; mi capita, certo, di farne, ma non pi la spiegazione pianificata dei miei primi anni. pi spesso un modo di introdurre il tema che approfondiremo. Procedo per accenni, innesco problemi che mi guardo bene dal chiudere, con linteresse preminente di
farli diventare un problema anche per loro. Preparo gli alunni a concentrare la loro attenzione su precisi passaggi della ricerca.
In altri momenti la lezione un tirare le fila, correggere la rotta,
chiudere lesperienza selezionando e connettendo (riprendo le tue
parole) le parti pi significative, l dove i miei giovanotti non arrivano. Detto cos, so che sembra la classica storia della comparsa
attenta ad assumere il ruolo del protagonista quando lattore protagonista cade malato. Ma appunto per questo, perch una storia
classica, non da escludere che sia un canovaccio buono anche per
la scuola.
La mia diffidenza cresciuta di pari passo con la mia pratica di
insegnante di laboratorio. Mi sono trovato negli ultimi anni a dover
imparare a fare a meno non solo della cattedra ma dellaula stessa,
cio del luogo che d fisicit alla lezione e ne favorisce lo svolgimento secondo regole canoniche.
Io stesso ho favorito, sette o otto anni fa, questo allontanamento
dallaula tradizionale: evidentemente era lesito naturale del mio
modo di intendere la lezione.

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Niente di particolare, ovviamente, solo che insegnare chimica mi


ha portato ad assumere quasi naturalmente il ruolo di una guida
che accompagna allesplorazione di un territorio che conosce bene,
cercando di far condividere ai visitatori la sua passione. Non cambia molto se il territorio si configura come un testo in cui bisogna
scavare per giungere alla vera comprensione, oppure se prende la
forma di una precisa procedura di laboratorio. Si tratta sempre di
essere catalizzatori di processi che li portano a una crescente consapevolezza. Per questo mi piace il laboratorio.
Mentre i ragazzi sono impegnati imparano a impegnarsi nella
stessa forma sia sul libro di testo o sulla guida pratica, sia con strumenti e sostanze io posso muovermi fra loro, posso arrivargli alle
spalle, mettermi accanto a loro e starci tutto il tempo che serve
(siamo in due docenti per un numero di alunni che non mai oltre
i venti).
Tu non immagini il piacere dellaccorciare le distanze, pratica
resa possibile in laboratorio. Quando superi la sorpresa, mista a diffidenza, di quei ragazzi e ragazze che, potendo, preferirebbero
nascondersi nellultimo banco, speranzosi di passare tutta la scuola
nel maggior anonimato possibile, e ti affianchi a loro, oltre la metafora. Significa aiutarli a capire, in un rapporto spalla a spalla
importantissimo, perch d ai ragazzi la certezza che in quel
momento il prof non li osserva, valuta, giudica; non incrocia cio il
loro sguardo ma vi sovrappone il proprio, a illuminare meglio lo
stesso oggetto.
A me piace in particolare perch offre lopportunit di fornire
doppie descrizioni e di farlo non nella forma della correzione di una
risposta sbagliata, ma assumendo lo stesso ruolo nello stesso
momento. I miei ragazzi scoprono cos che occhi esperti vedono
cose diverse anche quando guardano le stesse cose che guardano
loro.
Giuseppe

34

Roma, 11 ottobre

Caro Giuseppe,
mi dicevi del senso di vertigine che si prova davanti a tanto
orizzonte e che noi frastorniamo con i nostri discorsi. Ed
proprio per limitare i guasti di un frastornamento incauto, che
andasse cio a scombinare un equilibrio che non sappiamo dove si
appoggia n di cosa fatto, che preferisco applicarmi (e far applicare loro) alla cura delle procedure, dove il criterio di giusto e
sbagliato meno aleatorio (quasi quasi oggettivo). A cominciare dallortografia, dalla punteggiatura, dalla costruzione di frasi
ben formate (concordanze, congiunzioni, preposizioni, ecc.). So
anche che su queste evidenze oggettive si appunter il giudizio di
chi li prender dopo di me, al triennio: l, devono poter fare bella
figura, l che verranno mazzolati al primo errore di ortografia
E il giudizio che verr formulato sulla base del loro primo compito
in classe il loro biglietto da visita potr diventare un pre-giudizio che li favorir o li dannegger per tutto lanno. Forse esagero,
ma quante volte ci capita di restare tenacemente ancorati alla prima
impressione che abbiamo avuto dallincontro con una persona!
A inizio anno, a quegli studenti che scrivono in modo arruffato,
cos come gli viene, assegno per casa un dettato e un copiato al
giorno, e la verifica devono farla da s, scrivendo in calce il numero degli errori. A me tocca solo di apporre una sigla: Visto.
Le prime volte fanno una revisione alla grossa, e devo perci
controllare io ogni parola. Li sgrido per quanto tempo mi fanno
perdere, li terrorizzo (Non un mese! Tre, quattro mesi di copiato,
se domani trovo una sola parola sbagliata! Se ancora devo dannarmi per decifrare queste zampe di gallina!). Poco alla volta vengono fuori quasi dei quadri: le o tonde, ogni i col suo puntino
sopra, gli accenti al posto giusto, lapocope, insomma, errori
zero, pagine in bella grafia, impaginate con margini regolari, ecc.
Poi mi accorgo che gli altri compiti quelli assegnati a tutti e che
anche loro devono fare li fanno con la non-cura di prima. Perch?

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Pur sapendone ormai tanto di apprendimento e delle sue differenti tipologie, mi comporto spesso come se questo passaggio dal
caso alla generalit dei casi, dallelemento alla classe fosse un passaggio automatico e diretto. Ogni anno cado nello stesso errore,
comunico loro una fretta inopportuna. Non mi ricordo che il
miracolo avviene a met o a fine anno. E in verit qualche volta
non avviene.
sempre unimpresa scardinare abitudini a lungo coltivate, e
per loro quei compiti in pi il dettato e il copiato fatti come si
deve costituiscono una parentesi isolata dal resto.
Tornando alla tua prima lettera, anche io ho apprezzato la delicatezza dellinsegnante di Gerta: Gli errori li correggeremo insieme.
A noi che insegniamo italiano e sollecitiamo con i temi lespressione del cosiddetto mondo interiore, succede spesso di trovare ragazzi e ragazze potenziali scrittori. E siccome so quale dura disciplina
lo scrivere, questi ragazzi un po speciali cerco da un lato di incoraggiarli lodando la loro genialit, daltro canto per divento con loro
ancora pi severa, ancora pi intransigente, affinch non si facciano
illusioni (un famoso scrittore e critico letterario non ricordo il nome
alla domanda: Qual un metodo per insegnare ai giovani a scrivere?, rispondeva: Quale? Ce n forse un altro? Bastonarli!).
A quellet facile illudersi che baster andare dove il cuore
comanda: la creativit, innanzitutto! E le doppie? E i congiuntivi? Se
non intervieni subito e al biennio sarebbe gi tardi gli automatismi sbagliati non li smuovi pi, sono come le radici di un albero che
vanno sempre pi sotto per crescere comodamente indisturbate.
Ed forse il non sottovalutare il lato tecnico della scrittura la
ragione per cui a fare una buona riuscita sono i ragazzi che accettano il duro tirocinio che sta a monte della creativit, non i nostri
allievi ingenui, sregolatamente creativi.
A quellet, quando sei preso dalla melanconia che deriva dal
misurare la grandezza del tuo pensiero con la pochezza del
mondo che ti sta intorno, se non c chi ti sostenga puoi cadere nel
precipizio.

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Ogni anno trovo un pretesto per leggere ai ragazzi questo passo


dello Zibaldone:
[...] Considerare lampiezza inestimabile dello spazio, il numero e
la mole maravigliosa dei mondi, e trovare che tutto poco e piccino
alla capacit dellanimo proprio; immaginarsi il numero dei mondi
infinito, e luniverso infinito, e sentire che lanimo e il desiderio
nostro sarebbe ancora pi grande che s fatto universo7.

Pu accadere che quel ragazzo geniale incontri un maestro


geniale, il quale si proponga egli stesso consapevole o no come
modello, e che ottenga, s, buoni risultati, ma solo finch c lui
possibile scrive Wittgenstein che un maestro elevi i suoi scolari ad unaltezza per loro innaturale quando essi si trovano sotto il
suo influsso diretto, ma non sia capace di guidare il loro sviluppo
portandolo fino a quellaltezza; cos che essi precipitano appena il
maestro abbandona laula8.

In verit lincontro con un maestro non-banale costituisce una


fortuna per un allievo (nella nostra storia di scolari resta il ricordo
di quella particolare persona che ci ha scossi dal torpore). Per,
se pure auspicabile in un maestro una buona dose di genialit, occorre che egli la temperi, in modo che possa abbandonare
laula in qualsiasi momento, senza troppi rimpianti. Prendiamola
come una doppia verit: bisognerebbe riuscire ad essere entrambe le cose: banali e non-banali. Ci verr in aiuto lironia, lautoironia, lo sguardo disincantato e anche lo sguardo che trova fonte di
meraviglia in ci che per altri una insignificante ovviet.
Rosalba
P.S. La doppia verit, il mio eterno rovello te ne parler in
unaltra lettera.
7 Da
8 L.

G. Leopardi, Pensieri, LXVIII, Garzanti, Milano 1985, p. 41.


Wittgenstein, Pensieri diversi, Adelphi, Milano 1980, p. 79.

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Roma, 12 ottobre

Caro Giuseppe,
oggi ho chiesto in II G: Dove siete arrivati lo scorso anno con la
storia?. Nessuno se lo ricorda. O fingono di non ricordarlo. La
caduta dellImpero romano? Forse s, forse no Ho dato unocchiata al programma di questanno: troppo vasto per metterci pure
quattro capitoli (e che capitoli!) dellanno precedente. Allora ho
detto: state a sentire, vi faccio un riepilogo dei fatti Arrivati al
Cristianesimo, abbiamo letto insieme una pagina sulla modernit del
pensiero di Paolo di Tarso: il suo ripudio di quelli che oggi chiamiamo fondamentalismi (non mescolare lo Stato con la fede religiosa!). Vedete, ho detto, le idee che sono il pane dei nostri tempi lui le
propagava duemila anni fa. San Paolo! e vai!!. Tutti contenti,
come fosse il portiere della Roma. Demarco: Noi, modestamente,
ce labbiamo qui! (la basilica di san Paolo accanto alla scuola).
Ieri il preside ha proiettato sullo schermo i dati dello scorso anno:
medie di profitto per materie, per classi parallele, ecc. Colonne di
varia altezza si stagliavano sullo schermo nella loro palese oggettivit: gli alunni sono strati di intere colonne, sono numeri.
Oggi che i ragazzi della I G erano impegnati in un compito, li
osservavo uno a uno. Mi chiedo quale descrizione di loro pi
appropriata. Che cosa vedo io, con quali tratti li identifico.
Riotti: fra i tanti Andrea, Massimiliano, Danny, ecc. porta un
nome originale, vale a dire antico: Pasquale. Quando detto i
compiti a casa, anzich prendere il diario e la penna guarda stupito, come per dire: che sta succedendo?
Corbelli come lui, quando assegno i compiti mi guarda sbalordito, ci mette un po per riprendersi. Mi ricorda mio figlio in prima
elementare: ogni mattina chiedeva: Anche oggi?. Arrossisce, il
rossore sulle guance perenne, una soluzione adattativa economica, per non doverci pensare ogni volta.
Fleuri: presentandosi al gioco di mi ricordo, ha detto: Mi
ricordo del giorno che ho creato il mio sito. Ora lo guardo ammi-

38

rata. Capisco vagamente la ragione del suo successo con i compagni: uno che sa il fatto suo. Si distrae di continuo, riempie fogli
con scritte del tipo murales, e i suoi traffici non finiscono qui. Gli
ho detto: Continua cos e alla fine dellanno sarai bocciato. E lui:
Impossibile, io sono bravo.
Tonucci invece ha paura, paura di essere bocciato. Il giorno che
gli ho chiesto perch non risponde mai alle domande ha detto: Io
sono timido, ho sempre paura. Anche alle medie ero cos. Io a
modo mio lho rassicurato: Fai bene ad avere paura, la paura ti
rende cauto, ti garantisce contro la tentazione di lasciarti andare. Sembrava convinto, poi se ne tornato al banco suo ondulando le spalle come un damerino. Non ho ancora capito se la lezione la segue davvero, intento com a sistemarsi di continuo i due
riccioli laterali sulla fronte. Va fiero dei suoi pantaloni nuovi in stile
militare, con la cintura stretta in vita e portata molto in alto, non
molto in basso come usa adesso.
Marangoni: non mette la stanghetta alla a e nemmeno il puntino
sulla i. Quanto al resto, si fa notare per la faccia da bambino e la
corporatura da uomo fatto. un atleta, pratica uno sport (forse
il calcio) da quasi professionista. amico di Capriati, il quale ogni
tanto se lo abbraccia. Sedevano vicini, li ho separati. Hanno accettato senza fiatare, eppure mi immaginavo di dover affrontare faticose contrattazioni. Strano come Marangoni sia acquiescente agli
ordini miei, forse obbedire gli viene facile per la consuetudine
con il mister. Ora sta vicino a DAngeli, uno bravo. Sta buono,
ma si annoia, sbadiglia. Almeno prima lottava. Capriati gli ha fatto
la campagna per farlo eleggere rappresentante di classe: un voto
plebiscitario. Ora devi dare lesempio, ho detto. E lui: Mi hanno
voluto loro, io non volevo.
Corsetti: ha un dente canino cresciuto di traverso. Giorni fa si
assentato perch si dovuto operare, al ritorno mi ha fatto vedere
la ferita sul palato. Fa errori di ogni tipo, di tutti i tipi, quando scrive e quando parla: perch ho il dente malato, dice lui. Ha un taglio
degli occhi orientale, furbesco, ma un agnellino.

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Gionfriddo: quello che diventer, da grande, una brava persona. Riservato, diligente, sobbalza quando sente il suo nome. Di lui
un compagno ha scritto: Porta i capelli dipinti sulla testa, chiss
che cosa voleva dire
Carandini: che dire di lui? bravo, lallievo che tutti sogniamo.
Uno che in altri tempi sarebbe stato normale. Qui una quasieccezione. Studia ogni giorno, senza affanno. Suo nonno lo aiuta
nelle ricerche, gli stampa le pagine dei Promessi sposi da Internet.
Reyes e Puruggan sono stranieri. Tutti e due hanno fatto le medie
qui. Reyes preoccupato di non saper rispettare le regole di impaginazione. Per i margini do loro due possibilit: tre centimetri a
sinistra e otto a destra, oppure la mezza colonna, rigorosamente
mezza per chi fa errori di grammatica, pi di mezza per gli altri
Reyes non ha ancora deciso in quale categoria stare. Si agita, allinizio consegnava il foglio sgualcito, ora va meglio: prima di mettersi a scrivere disegna i bordi con la matita e la squadra.
Osservo la tensione che si crea durante il compito in classe. Io,
dalla cattedra o passando tra i banchi, provo a garantirne la durata. Riotti non sembra minimamente turbato dalla eccezionalit del
momento. Tra una chiacchiera e laltra riesce a scrivere e a non perdere il filo. Lui. Gli altri non si perdono una sua battuta di spirito,
sono tuttorecchi.

Per una settimana i ragazzi dovevano tenere un diario: Prendete


nota di come cambia una persona, oppure un animale, una pianta,
nel corso del tempo.
Oggi ho letto alla classe le pagine scritte da Provenzano: aveva
osservato quel giocherellone di Manzi a cui stato cambiato il
posto due volte nellarco della settimana, e ora sta seduto da solo
quasi attaccato alla cattedra. Un compito riuscito? ho chiesto
alla classe Ha rispettato le consegne? Ha notato, ha registrato
davvero dei cambiamenti?. Discussione. Marangoni ha detto: Ma
in fondo, dal compito di Provenzano viene fuori che Manzi fa sempre le stesse cose!.
In effetti Provenzano ha raccontato la stabilit nel mutare del
tempo stato qui che ho tirato fuori la storia dellequilibrista e
in aggiunta la teoria generale sullapprendimento e levoluzione. Il
silenzio era totale. C sempre una grande partecipazione (stavo per
dire emozione, ma forse questa riguarda pi me) quando si toccano i presupposti: Come fatto il mondo vivente? Che cos un
animale, un uomo che impara a convivere con il doppio vincolo,
con il paradosso? E via divagando.
Per te scienziato per davvero queste non sono soltanto divagazioni
Rosalba

Rosalba

Roma, 15 ottobre
Roma, 13 ottobre

Caro Giuseppe,
oggi, pensa un po, ho parlato ai ragazzi di identit e cambiamento. Ricordi la metafora che usa sempre Bateson? Lequilibrista sta sul
filo e cambia continuamente la posizione del bilanciere e delle
braccia, dei piedi, ecc. per restare dove sta, per non cambiare.

40

Caro Giuseppe,
ieri in II G una ragazza caduta in quello che io chiamo da
anni lerrore di Pomponio.
Devi sapere che tanti anni fa, quando insegnavo nella scuola
media, avevo una classe terribile, tutti maschi (ah! come invidiavo
quelli che insegnano alle magistrali: tutte donne!). Molti di loro

41

venivano da un quartiere periferico di Bari: caseggiati cadenti, strade male illuminate, al centro la piazza deserta, qualche ragazzino
dietro al pallone. Questa classe faceva disperare tutta la scuola. La
diedero a me perch ero lultima arrivata. Lalunno Pomponio era
alto e grosso, faceva il pugile. Ai miei occhi di allora, non esperti,
sembrava un uomo, e lo rispettavo, lo lasciavo stare, come fa una
donna (del sud) riguardo al maschio di casa. Naturalmente non studiava mai e mai unassenza, sembrava venisse a scuola solo per
riposarsi. Al primo banco, si distoglieva dai suoi pensieri solo per
mettere a tacere la gazzarra quando lui aveva mal di testa.
Un giorno stavo spiegando (lottando per spiegare) le congiunzioni subordinanti, in particolare la differenza tra perch e
affinch. Scrissi una frase alla lavagna: Lascensore si fermato
perch andata via la corrente. Cosimo Pomponio alz la testa,
lesse la frase, ne fu colpito, e chiese: Di che marca lascensore?.
Io dissi che questo non centrava niente, e tuttavia presi sul serio la
sua domanda: Gli ascensori dissi vanno a corrente elettrica,
eccetera. Lui replic: Non era un ascensore Bellomo. Suo
cognato lavorava alla ditta Bellomo. Alz le braccia come per
annunciare il Verbo, e rivolto alla classe disse: Gli ascensori
Bellomo non si fermano, anche quando non c la luce. Segu un
applauso.
Ieri Monica Cardelli ha detto qualcosa di simile. Ha commentato
la frase scritta alla lavagna, che esemplificava luso dei correlativi
nn : Marco non n bello n intelligente, tuttavia ha successo, dicendo che era impossibile, che per avere successo eccetera
eccetera. Allora, come faccio ogni anno, ho raccontato la storia di
Pomponio, e come ogni anno ho assegnato la paternit dellerrore a
chi per primo c cascato: ieri, in II G, Cardelli. Uso il metodo di
denominare gli errori con la persona che li fa perch ho scoperto
che cos se li ricordano: per esempio, lerrore di Colosimo riguarda
la paragrafazione (a ogni frase, punto e a capo); lerrore di
Provenzano mettere la congiunzione dopo la copula (La rotazione agricola quando), e cos via.

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In Alfabetizzazione e oralit9 Scoles e Willis sostengono che: data


una certa frase, gli alfabetizzati sono in grado di esaminarla a prescindere dal suo significato, ignorando cio il suo riferimento a una
qualche realt esterna. Ci che della frase diventa oggetto di studio
il piano interno: i fonemi, i sintagmi (nel nostro caso: n bello/n
intelligente). Diversamente da quanto avviene nelle societ alfabetizzate, le societ non alfabetizzate sviluppano una grammatica che
tiene conto sempre della realt a cui il linguaggio si riferisce, vale a
dire che accettano o rifiutano una frase non analizzando la sintassi,
lortografia, ecc. ma sulla base di propriet essenzialmente pragmatiche. Un esempio: Mario rub i soldi a Luigi sbagliata perch
Mario non lo doveva fare. Questa grammatica, che noi chiameremmo di Pomponio, viene chiamata dai linguisti estensionale10.
Nella scuola superiore, noi abbiamo a che fare con ragazzi da
lungo tempo alfabetizzati, eppure perfino durante la lezione di
grammatica, quando chiaro che conta solo il livello intensionale, linteresse verso laspetto pragmatico del messaggio emerge
spontaneamente: con una spontanea confusione di piani logici.
Ci non accade per tutti i ragazzi, sintende. Di regola essi colgono lerrore di tipo logico. Ma a me interessa non tanto la regola quanto leccezione.
Nel caso che ti ho appena raccontato, il persistere di modalit di
pensiero ingenuo rende evidente una verit sacrosanta: quello di
Pomponio e di tutti gli altri un errore scolastico!, e il pragmatismo di questi ragazzi ingenui dimostrerebbe quanto il linguaggio
sia nato e si sia radicato in modo non scisso dalle cose che dice.
Tutto ci mi riporta a domande che da tempo mi arrovellano: che
cosa si acquista, e che cosa si perde con listruzione?
Anni fa alluniversit di Mogadiscio ho insegnato litaliano a
degli studenti somali, in particolare il linguaggio della scienza
(dovevano poi iscriversi a una facolt scientifica). Erano quasi tutti
9A

cura di D.R. Olson - N. Torrance, Raffaello Cortina, Milano 1995.


Cfr. il cap. 13 di Linguisti, alfabetizzazione e intensionalit, del libro di Olson e
Torrance citato, in particolare le pp. 238-240.
10

43

poco alfabetizzati, ricchi della loro cultura orale. Che cosa insegni
in Italia?, mi chiese uno studente. E quando dissi che insegnavo
italiano agli italiani dapprima si mise a ridere, poi disse: In
Somalia diverso, il somalo qui lo sanno tutti.
Ecco, e se stessimo sottovalutando che si pu soffrire di troppa alfabetizzazione?
Alle volte, poi, mi viene il sospetto che noi occidentali stiamo
correndo il rischio di disconnetterci dal resto del mondo E siccome nessuna risposta mi viene facile, provo con Bateson ad allargare la domanda: Qual la struttura che connette tutte le creature viventi?.
Rosalba

Roma, 16 ottobre

Caro Giuseppe,
siamo in I G e largomento della lezione per tutta la settimana la
descrizione. A descrivere i ragazzi sono stati esercitati lungamente
gi alle medie e conoscono gi un gran numero di regole. Eppure
Dato un racconto una nave corsara che va verso le Antille , lesercizio chiedeva di completare il testo inserendo una descrizione: la
descrizione del capitano della nave. Facile, no? Invece molti ragazzi
i pi ingenui spontaneamente completano lesercizio non
descrivendo il capitano, ma raccontando che cosa lui fa.
Coltivare nei ragazzi la loro naturale tendenza a narrare: senzaltro positivo, e tu, da scienziato, lo rivendichi anche per la tua
materia. Ma a scuola dobbiamo culturalizzare la natura (scusa la
definizione affrettata). E mi torna il dubbio: perch censurare la
tendenza a vedere le cose nel tempo (narrare) affinch imparino a
vederle come fossero fuori del tempo? (descrivere, generalizzare,
dare definizioni). Cosa si guadagna? Cosa si perde? E come si fa

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a contemperare esigenze contrapposte? Per esempio, si pu ignorare del tutto il rigore del linguaggio scientifico?
Prendiamo la definizione.
Lesperienza mi dice che quando un ragazzo, interrogato, inizia
col definire correttamente ci che poi dovr sviluppare, gi sulla
buona strada. stato in Somalia, insegnando il linguaggio scientifico a partire da zero, che ho capito quanto importante nelle culture scritte definire un concetto in una o due frasi, in un linguaggio
altamente formale.
Insomma, definire una cosa seria, tanto seria che viene quasi la
tentazione di far ripetere a pappagallo le definizioni prese dal libro.
Molti insegnanti, anche di materie scientifiche, dicono invece ai
ragazzi: Esprimiti con parole tue. Io credo che proprio qui non si
debba barare: non forse qui che si identifica il linguaggio scientifico? Si pu accettare una definizione fatta alla belle meglio
soltanto nella fase iniziale, per partire da l e portare poi i ragazzi a
riflettere sulle peculiarit, sui vincoli, sulla brevit, sulla densit,
anche leleganza una delle caratteristiche della definizione. Serve a
scuola ragionare su queste sottigliezze? Qualche dubbio ce lho, ma
invece di coltivare il dubbio, con i ragazzi ragiono di sottigliezze.
Quanto al riassunto, qui lassenza di incertezze pressoch generale: a scuola si deve imparare a riassumere, senza se e senza ma.
Ti racconto ci che accaduto ieri. Mi stato chiesto di verificare la preparazione in storia di un ragazzo che viene da unaltra
scuola, un allievo di seconda che ha un debito formativo. Non si
preparato, questa estate non ha studiato niente: lha detto lui.
Prendo il libro, gli faccio leggere un paragrafo: vediamo se sai riassumere ci che hai capito. Il paragrafo diceva pressa poco questo:
Insieme con larte del levigare la pietra, gli uomini del neolitico, i
quali ormai vivevano in comunit numericamente pi grandi, sviluppano larte delladdomesticamento degli animali, imparano a
selezionare i semi per lagricoltura, ecc.. Incertezza, silenzio.
Qual lidea centrale?, gli chiedo. E lui, dando unocchiata al
libro: Gli uomini del neolitico erano pi numerosi.

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Forse conosci laneddoto dellantropologo che spiega agli abitanti di un villaggio africano con laiuto di un filmato come si usa
un certo congegno, mettiamo una trivella a mano, e quelli, alla
domanda avete capito? avete domande da fare?, rispondono:
Dove finita la gallina?. La scena era stata filmata, e nel filmato
si vedeva una gallina che per tutto il tempo ha razzolato alle spalle
dellantropologo.
Racconto ai ragazzi questa storia quando capita che uno commetta lerrore di rendere centrale una informazione secondaria. Da
quel momento, per designare la natura dellerrore diciamo: Tu hai
visto la gallina.
Rosalba

Firenze, 28 ottobre

Cara Rosalba,
il tuo alunno Pomponio mi ha ricordato mio figlio Filippo. Anni
fa, facevo con Filippo i compiti di matematica per le vacanze. Un
problema parlava di un certo Marco, di quarantadue anni, sposato
a una Carla. La somma degli anni della coppia faceva sessantatre.
Quanti anni aveva Carla? Filippo stette a lungo in silenzio (o cos
parse a un padre insegnante), poi disse che chi scriveva questi esercizi era davvero scemo: quando mai una ragazza di ventuno anni
sposerebbe un vecchio (sic) di quarantadue! Ricordo che discutemmo a lungo se queste coppie esistessero davvero oppure no. Il
suo interesse era giustamente altrove rispetto al compito richiesto.
E sempre Pomponio mi ha fatto ricordare cose passate: i tempi
in cui insegnavo al serale. Non tanto per limpegno che nei miei
studenti della notte era altissimo, specialmente confrontato con
quello delle classi che avevo al mattino, ma per lassenza, nella
descrizione che fai di quel ragazzo, dellesuberanza tipica degli

46

adolescenti. Perch Pomponio ha molto in comune con i miei alunni adulti, che venivano in classe con una cartella gi piena di storia
vissuta.
Quel rispetto che tu portavi allalunno Pomponio come una
donna (del sud) al maschio di casa io lo portavo ai miei alunni;
una sorta di soggezione come di un figlio laureato (del centro) di
fronte al padre, che ormai sovrasta per cultura ma da cui sovrastato per tutto il resto.
Per loro, come mi par di capire per Pomponio, la definizione di
studente perdeva molto del potere connotativo. Troppo poco infatti avevano da spartire con la vita dello studente, molto pi giusto
dire che questi uomini diventavano studenti in un pezzetto serale
della loro vita. Per quanto valore attribuivano a quel piccolo e faticoso segmento!
Certo non mancavano aspetti atipici e curiosi rispetto ai criteri
usuali che abbiamo della vita di classe, come lintervallo che si dilatava in una sorta di pausa-cena con i banchi apparecchiati con un
tovagliolo, una bottiglia di vino e una bella fetta di pane. Alle ultime ore cera sempre qualcuno che si addormentava (quasi sempre
il fornaio cedeva prima delle undici). Eppure qualche volta mi
viene da pensare che quella fosse vera scuola.
Non ti ho parlato dei miei anni al serale solo per lanalogia datteggiamento dei miei adulti con il tuo giovane pugile ho ben chiaro, Rosalba, che solo una somiglianza superficiale ma perch
hanno molto influito su quello che penso del famoso errore di
Pomponio.
Errore senza tempo, difficile da sradicare per le sue connessioni
con latteggiamento psicologico molto naturale che privilegia lesperienza soggettiva diretta e confida nel senso comune.
Anche nelle classi di oggi sono convinto che ci siano molti alunni che commettono lerrore di Pomponio. Colgono i significati
complessivi e non riescono spesso nemmeno ci provano ad analizzare gli aspetti strutturali del discorso. un atteggiamento analogo a quello che nella mia materia li porta a cercare in fretta la

47

definizione pi semplice di ci che vedono, evitando la fatica di


osservare e descrivere dettagliatamente quello che sta accadendo,
oppure la preferenza verso aspetti non centrali, non pertinenti, per
noi insignificanti ma per loro significativi (s, anche i miei vedono
spesso la gallina).
un errore senza classe sociale, ma ovviamente pi difficile da
rimuovere nei vari Pomponi, che di scuola non ne vogliono, perch
soprattutto a scuola che gli errori di tipo logico possono apparire come errori. Nella vita quotidiana infatti, il pensiero estensionale tutto sommato funziona. tipico delle societ non alfabetizzate, ma non c una crescente analogia tra queste lontane civilt e
la nostra, occidentale, che Ong ha definito a oralit secondaria?11.
In effetti con le macchine si dialoga, ma linterattivit di oggi affida
ad esse la gestione dei tempi della comunicazione, dominio che era
assente, invece, nel concetto dinterazione. Il linguaggio diventa
sempre pi iconico, bidimensionale come lo schermo del computer,
appunto, senza profondit perch non cerca, anzi ostacola, la combinazione con altre letture.
Ed ancora unicona, quella della clessidra, che segnala i tempi
della macchina e scandisce quelli delle nostre risposte: tutte le azioni riflessive sono costrette in un angolo, imprigionate in tempi
senza soggettivit.
Tutte cose che sappiamo bene, come conosciamo bene leffetto
della televisione, la cattiva maestra di Popper, ladra di tempo e
serva infedele12.
Tuttavia non mi sento di usare i toni apocalittici che si sentono
spesso in sala docenti.
Non affatto detto che una societ che riscopre loralit ma
con modi e forme nuove, appunto secondarie non possa essere
comunque riflessiva e civile.
Quello che invece sicuro che la lingua che parla la scuola non
pi in sintonia con la lingua madre dei ragazzi. Ci sono molti pre11 W.J.
12 K.

48

Ong, Oralit e scrittura, Il Mulino, Bologna 1986.


Popper, Cattiva maestra televisione, Marsilio, Venezia 2002.

supposti impliciti nel nostro insegnamento che non hanno pi il


carattere di postulati, e dovremmo rimetterli in discussione, serenamente. Le cose a cui chiediamo di pensare e che chiediamo di
fare a scuola sono sempre pi lontane da quelle che i ragazzi pensano e fanno quando non sono a scuola. Eppure, proprio per questa minor pertinenza nel contesto delle loro vite, la scuola ha paradossalmente sempre pi importanza. Diventa lunico luogo dove si
gioca al gioco del raddoppio: si parla delle parole, si decide sulle
decisioni, ci si interroga sulle domande da porci. Luogo del deuteroapprendimento, dove si scava alla ricerca di un tesoro, tanto prezioso oggi, che appare cos superfluo, ma tuttaltro che semplice da
portare alla luce. Non saremo in grado di aiutare nessuno senza
essere consapevoli che il passaggio dal livello complessivo (o estensionale) a quello analitico (intensionale) per molti ragazzi un triplo salto mortale. Conquista alfabetica in epoca di riscoperta delloralit.
Un passaggio non spontaneo da fare in un ambiente non naturale come la scuola. C niente di pi difficile? Quando siamo in laboratorio, faccio fare molta fatica ai miei alunni. Rallento sempre i
loro ragionamenti, discutiamo a volte di una definizione per ore (s,
anche per me la forma delle definizioni cruciale nelleducazione
alla mentalit scientifica). Pongo delle questioni e voglio che scrivano la loro risposta su strisce dacetato, che poi ricompongo sulla
lavagna luminosa. In gruppo discutiamo delle risposte di ciascuno,
tutte ugualmente proiettate sulla parete (sulla lavagna ci sono sette
o otto risposte in contemporanea). Minaccio il taglio della mano a
chi lalza per rispondere a voce, evitando di fare la fatica di riflettere prima per iscritto.
Ma sono consapevole della fatica che fanno, come lo sono delle
tante assurdit che proponiamo loro. So di dovermi far carico della
motivazione del loro impegno, perch nulla e nessuno fuori dallaula lo giustifica pi veramente, e sento con la stessa chiarezza che
potremo giudicarli solo dopo che avremo proposto loro una scuola
complessivamente meno assurda.

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Non sono per niente daccordo con chi trancia giudizi categorici sui nostri giovani (stupidi, ignoranti). Prima diamo una scuola
di qualit, per tutti e per ciascuno, spendiamo per aiutare i pi
sprovvisti di risorse e motivazioni (senza chiuderli in riserve indiane) e poi saremo legittimati a discutere di quello che, comunque, ci
sembrano essere.
molto superficiale pensare che i nostri alunni siano gli stessi di
cinquantanni fa, solo progressivamente pi scemi e svogliati. Ma
veramente non possibile fare di meglio? Ancora non siamo in
grado di accontentare Popper, che gi un secolo fa sognava una
scuola che non pretendesse risposte non sollecitate a domande mai
poste? Tu, riflettendo da studiosa di Bateson quale sei, mi scrivi che
barcamenandosi nei doppi vincoli gli uomini imparano a crescere.
Bene, anche noi docenti dobbiamo prendere atto che in quello che
scegliamo di fare a scuola si misura un doppio vincolo: da un lato
deve avere un valore disciplinare vincolo epistemologico dallaltro deve adattarsi alla mente di chi apprende vincolo psicologico.
Come dice mio fratello Andrea, al senso del dovere che chiediamo ai nostri alunni corrisponde, per noi, il dovere di dar senso al
loro apprendere.
Giuseppe

Firenze, 29 ottobre

Voglio tornare alla questione della intensionalit. Anche nelle


scienze ci sono grandezze estensive e intensive ed interessante il
confronto con le grammatiche. Nelle scienze, le prime dipendono
dalle dimensioni del campione che si sta analizzando, le seconde
sono invece una propriet del materiale, indipendenti dalle qualit
delloggetto specifico. Estensivo, per esempio, il peso, intensiva la

50

densit. Ma la differenza concettuale e psicologica non cosa da


poco. Il peso degli oggetti, la densit delle sostanze. Tra oggetti e
sostanze c un salto abissale di livello dastrazione: il peso appartiene alla sfera della percezione, e Piaget proprio a questo ha imputato il dcalage13 della sua conservazione, cio il ritardo rispetto al
concetto di conservazione della sostanza, attraverso cui i bambini
capiscono che il peso non cambia se schiacciamo una pallina di
creta per farne una pizza (in effetti la sola percezione direbbe che
pesa meno la pizzetta perch preme su tutta la mano e non solo su
un suo punto); la densit il peso di una unit di volume. La diversa complessit gi tutta in queste poche parole. Ogni insegnante
minimamente ragionevole parte dal peso per poi introdurre la
grandezza derivata della densit. Derivata appunto, non solo matematicamente ma anche psicologicamente, perch dal caso delloggetto, di ferro per esempio, si passa alla classe di tutti gli oggetti
fatti di ferro.
Tutta questa tirata per dirti che lerrore di Pomponio mi sembra un bel punto di partenza. Anzi, il punto di partenza per risolvere il nostro doppio vincolo.
C dellaltro: gira intorno allidea di utilizzare la discussione
sulla marca Bellomo; ma devo fare un passo indietro.
Non solo, come diceva Vygotskij14, lapprendimento precede
sempre lo sviluppo (siamo tutti avanguardisti!), ma oltre a questa
fatica, oggi chiediamo ai nostri alunni una sorta di atto di fede:
credere nello sviluppo che la scuola cura, sapendo che questo solo
uno dei loro futuri possibili, e forse, oggi, nemmeno il pi remunerativo. Oggi, sempre di pi, la scuola sembra una madre che chiede
alla figlia di mettere da parte una dote inutile per un matrimonio
che non si far. Se la societ impone di adattarsi a cambiare anche
fino a undici mestieri nel corso della vita, perch spendere tanta
13 Le opere di Piaget sono numerose, come gli scritti sulla sua teoria. Io considero
molto bello e completo il testo di J.H. Flavell, La mente dalla nascita alla adolescenza
nel pensiero di Piaget, Astrolabio, Roma 1971.
14 L.S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, Laterza, Roma-Bari 1990.

51

energia per essere qualcosa di preciso? Se padri e madri se la sono


cavata con poca istruzione e mestieri precari, non si capisce perch
i figli dovrebbero darsi tanto da fare a scuola se quel precariato
comunque nel loro futuro.
Giuseppe

Roma, 29 ottobre

Caro Giuseppe,
te lo dico spesso, tra le righe e qualche volta sopra le righe: a
procurarmi non poche perplessit non tanto linsegnamento dellitaliano quanto un certo insistere nel voler istruire i giovani contrastando la naturalit del loro crescere, pensare, agire, ecc.,
ignorando la loro personale epistemologia, per dirla con Bateson.
Con listruzione si acquista da un lato e si perde dallaltro. Agli
occhi di alcuni i nostalgici dellet delloro (se mai esistita) di
unumanit perfettamente integrata con il mondo vivente si perde
soltanto, e qualcosa di fondamentale: una sorta di innocenza,
anche in senso letterale: la capacit di non-nuocere. Sempre sia il
mio cuore aperto ai piccoli / uccelli che sono il segreto del vivere /
qualsiasi loro canto meglio del sapere dicono i versi di una
poesia di Cummings15 che amo citare.
E se fosse sbagliato mettere in riga il mondo?
So bene che spostando lattenzione tutta e soltanto sulla naturalit dellapprendimento rischiamo di cadere in una semplificazione
grossolana, anche di comodo: una buona scusa per lavarsi le mani,
per lasciare le cose come stanno (e spesso le cose stanno malissimo).
Tuttavia pur sempre una verit, e cio una possibile descrizione
di un fenomeno che altri spiegano in altro modo, questo: listruzione, la cultura che identifica lessere (il divenire) umani.
15 May my heart always be open to little, in E.E. Cummings, Poesie, Einaudi,
Torino 1974, p. 167.

52

Tra le abitudini di pensiero che abbiamo preso da Bateson ce n


una fondamentale: ammettere e coltivare visioni molteplici del
mondo. Ce lo ripetiamo continuamente: contemperare due e
anche pi sguardi relativi allo stesso oggetto. Non la paralisi dellagire, come qualcuno potrebbe pensare, ma un salto di livello
logico, un agire in parte consapevole e in parte no dentro la cornice pi vasta che Bateson chiama storia naturale ([] senza storia naturale ogni conoscenza morta, opaca o bigotta16).
Non ci dato di vedere e giudicare le cose da un punto esterno
dal quale cogliere la verit ultima. E allora, di fronte a questioni
che mi tirano in due direzioni opposte entrambe a mio giudizio
vere mi chiedo piuttosto: questa faccenda come pi conveniente pensarla?
Mi dirai che la questione che ponevo prima (linnocenza contrapposta a qualcosa come lesperienza) rimanda non tanto al
cosa insegnare ma al come insegnarla. Questo lo capisco benissimo: ci sono modi di trattare il sapere che guastano lestetica del
vivere, che rendono morta ogni conoscenza E io ce la metto
tutta a trattare le cose che so e a stare con i ragazzi curando lestetica. Eppure mi torna spesso il dubbio che tenerli chiusi in unaula scolastica sia davvero necessario. E ammettendo che listruzione
a livelli superiori continui a occupare un posto alto nella gerarchia
dei valori di una societ democratica (e ci non mi difficile
ammetterlo) mi chiedo anche: istruire s, ma per quanto tempo?
Qual la misura ottimale? E questa misura uguale per tutti? C
una soglia che non va superata, pena linsorgere di patologie? E
che danno fa una istruzione non-riuscita?
Per mia esperienza, proprio nelle scuole di livello superiore,
specie quelle che non sono licei, che listruzione non riesce, o riesce
solo per una percentuale bassa di allievi. Qui, al biennio soprattutto, si dimostra il lato in-sensato e necessariamente coercitivo dellistruzione. Solo costretti, gli esseri umani (liceali e non), nella
16 G.

Bateson, Una sacra unit, Adelphi, Milano 1997, p. 354.

53

fase di crescita, accettano di stare rinchiusi in una stanza a sentir


raccontare strane storie e a prendere sul serio, ad applicarsi in
cose che non hanno senso.
Ma questa nostra cultura, raffinata (o solo complicata?) sul piano
formale, forse per come fatta selettiva? E veniamo allora a quella
che chiamerei la seconda verit: questa nostra cultura non richiede forse che venga perduta loriginaria innocenza, vale a dire la
capacit naturale, che di ogni essere vivente, di ragionare per
connessioni, di percepire, di coltivare prioritariamente le relazioni?
Per un alfabetizzato occidentale, la perdita (possibilmente precoce, gi alle elementari) dello sguardo infantile sul mondo costituisce infatti un vantaggio. Gli studi sulla mente ci dicono che gli
apprendimenti che si sedimentano nel profondo e che perdurano
sono quelli che si acquisiscono nei primi anni di vita, perci un
vantaggio essere instradati precocemente verso processi mentali
governati dalla logica astratta, dal linguaggio formale (proposizionale, come lo chiama Raffaele Simone17), proprio come un vantaggio per chi voglia fare il pianista lessere addestrato da piccolo
allascolto e alla esecuzione della musica.
Come forse ti ho gi detto, in II G perdo spesso la pazienza, in I
G mi succede di rado (a proposito, io riesco ad affezionarmi davvero a una sola classe: cos per te?). Laltro giorno mi sono arrabbiata moltissimo perch non riuscivo a cavare da loro una frase
decente dopo aver spiegato e rispiegato le propriet del gerundio.
Loro le regole le intuiscono, le sanno applicare, ma io pretendo che
imparino a usare il linguaggio logico-formale proprio delle teorie,
che sappiano argomentare attorno a una teoria: nel nostro caso,
spiegare, dare una definizione del soggetto nascosto del gerundio.
Demarco, calmo, ha detto: Lei non si preoccupi, noi abbiamo
capito, solo che non lo sappiamo dire.
Rosalba
17 Cfr.

54

La terza fase, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 128-135.

Roma, 30 ottobre

Caro Giuseppe,
rinunciare a insistere con chi non ce la fa, con chi non portato per gli studi teorici? Accettare che siano differenziati i percorsi? Chiss. A patto che nel percorso detto di serie B vengano
impiegati gli insegnanti migliori, il meglio che oggi c sul mercato.
Parlo di una scuola dove il sapere non sia separato dal saper
fare, dove insomma si coltiva una mente non-divisa: qui che
potrebbe nascere unidea di istruzione nuova e un tipo di essere
umano pienamente umano. Mi dirai che questa scuola stata gi
inventata: che altro sarebbero gli istituti professionali! In linea di
principio hai ragione. Ma non forse, quella, una scuola trattata da
serie B? Vissuta davvero come una scuola inferiore?
E ritorno a quella che ho chiamato laltra verit, radicata in
molti adulti istruiti, inconsapevolmente in molti insegnanti di scuola superiore, anche i buoni insegnanti, anche i pi democratici.
Guardiamo come adattano il programma affinch rispecchi il
livello della classe. Abbassare il tiro una soluzione che avvantagger i ragazzi: andare incontro ai loro gusti, alle loro tendenze,
non affaticarli troppo, non chiedere limpossibile! e chiss che
limpossibile non sia ci che ragionevolmente essi potrebbero
capire e imparare.
Dai discorsi che sento fare sugli studenti raccattati ho tratto
una riflessione generale: un insegnante insegna bene ai ragazzi che
gli assomigliano. Con quelli che non gli assomigliano si dispera, non
li capisce. E quando, dopo faticose contrattazioni, riesce a ottenere
dieci righe di riassunto senza strafalcioni, la data del congresso di
Vienna potrebbe chiedersi: ne valeva la pena? E se fosse che altre
curiosit, altre passioni stavano mettendo radici e io le ho disseccate mettendoci il concime sbagliato, adatto a unaltra pianta?
Accostando (non sostituendo) una verit allaltra, riuscendo a
contemperarle entrambe, a vivere cio dentro un doppio vincolo,
la domanda: che cosa andato perduto? diventa una domanda legit-

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tima. Provo a precisare mettendomi nei panni (e mi viene facile) dellinsegnante dubbioso: che cosa non ho educato della sua mente che
poteva pi facilmente e con maggiore efficacia essere educata? Che
cosa non ho valorizzato di ci che potenzialmente egli ha gi e poteva acquistare altro valore? Quel poco dieci righe, una data
garantisce davvero la struttura che lo connetter alla societ in cui
vive? A quella parte della societ che io insegnante considero, nel
bene e nel male, espressione della migliore tradizione culturale?
Nel frattempo, mi chiedo, forse andato perduto uno sguardo
nuovo? (Che succede se diventa importante saper guardare la gallina?). Io non lho capito, e se lho capito non lho saputo n raccogliere n assecondare n metterlo in primo piano perch, mi
dico nei giorni neri, questo sguardo nuovo non mi parla, e
quindi non so educarlo. Ed proprio in quei giorni che mi appare
non-legittima la pretesa di mettere in riga una visione del mondo
che poteva crescere a suo piacere, nella sua forma.
Per, per, e qui mi viene in soccorso laltra verit: in quale
altro luogo, se non nella scuola, poesia e prosa, mito e scienza, sentimento e ragione, possono convivere e combinarsi in uno stesso
pensiero?
Ma allora, chi mai sar questo educatore?, il quale vede sfuggire di mano lestetica dellessere vivi (per non dire dellinnocenza) se mai lha conosciuta
Rosalba

Firenze, 31 ottobre

Cara Rosalba,
voglio raccontarti una storia.
Balli un mio alunno di questanno che ha cambiato classe dopo
appena una decina di giorni. Ho conosciuto la madre. venuta in
Presidenza a scrivere la domanda di passaggio ad altro indirizzo.

56

Poche parole al Preside, non pi di mezza pagina. una signora


molto giovane a cui ho pensato fosse sufficiente dettare le parole
burocratiche del caso. Invece la madre ha riempito le poche righe
derrori di tutti i tipi. Si vergognata, di me e del figlio, ha ricopiato la domanda dicendomi di scusarla ma anche la seconda copia era
uno schifo. stato allora il ragazzo a intervenire dicendo alla
mamma che stesse tranquilla e la lettera al Preside la ricopiava lui,
per la terza volta: lei lavrebbe solo firmata.
Tu, Rosalba, sai il dolore quasi fisico che provo di fronte a queste scene, quindi credimi quando ti assicuro che stato solo per la
sorpresa che non sono riuscito a risolvere prima e meglio la situazione per esempio scrivendola io al computer, come faccio spessissimo quando vedo per tempo i segni dellanalfabetismo. Ma
quello di cui vorrei dirti davvero il peso, enorme, che ho misurato sulle spalle del mio Balli, chiamato ad assumere verso la madre
un atteggiamento che ribaltava i ruoli fra loro. A quindici anni, con
pochissima istruzione, era gi ben oltre la madre. Chiss quante
altre volte gli sar gi capitato.
Lo stesso pensiero mi viene quando vedo gli alunni cinesi che
traducono le norme delliscrizione ai loro genitori, veri ambasciatori di unintegrazione difficile, o quando arrivano la mattina assonnati per le notti di lavoro al telaio di Prato o nelle pelletterie di San
Donnino.
Per tutti questi ragazzi, molto pi adulti degli altri, molto pi vissuti come quelli del serale di cui ti ho parlato e che restano quasi
sempre ai margini dellistruzione, si pu e si deve offrire la stessa
scuola di qualit, la stessa classe dei pi bravi Per, per agganciarli ai nostri discorsi di scuola, bisogna forse partire pi da vicino, stare pi dentro allesperienza quotidiana.
Dalla parola alla frase; dalla frase alla parola; anche se il soggetto della frase fosse lascensore Bellomo.
Giuseppe

57

Roma, 1 novembre

Caro Giuseppe,
ma che fatica star dietro agli interessi dei ragazzi per agganciarli, come tu dici, ai nostri discorsi di scuola!
Gi, i nostri discorsi. In unaltra lettera mi facevi osservare che
la scuola non pi in sintonia con la lingua madre dei ragazzi.
Ma la scuola non parla, non pu parlare nella lingua madre. Per il
semplice fatto che la scienza (tutto ci che oggetto di studio) non
stata scritta nella lingua materna. E non mi sorprende che questo
ritorno al linguaggio materno-naturale sia uno come te a sostenerlo: un fiorentino che insegna scienze, non una meridionale come
me, lungamente smaliziata da studi linguistici. Io la lingua madre la
insegno (al Sud era e forse ancora quasi lingua straniera), e vedo
i ragazzi inciampare di continuo nellerrore, e non perch la lingua
madre troppo diversa dai linguaggi formali della scienza ma perch gli assomiglia troppo: qui la difficolt, qui linganno.
Tu, crescendo, hai assimilato il linguaggio scientifico al punto
che non ne avverti pi lestraneit: per te, quel linguaggio per davvero materno. Il caso ha voluto che il passaggio sia stato
graduale, indolore, forse non lo hai avvertito. Come non labbiamo
avvertito da ragazzi io e i miei fratelli: tra noi e la scuola cera di
mezzo un padre che correggeva i nostri svarioni e voleva che parlassimo come un libro stampato (per me lemancipazione stata
non soltanto andare via di casa ma poter dire le cose in modo
sgrammaticato). Ma per i nostri ragazzi, cosa ci corre in mezzo?
Proprio quel triplo salto mortale di cui parli. Un salto che per
alcuni davvero mortale: vedi quelli che abbandonano gli studi,
quelli che arrancano fino alla fine
Ricordi quello che ti ho detto di Marguerite Yourcenar immersa
precocemente nella letteratura, e Norbert Wiener che leggeva
Darwin e Spencer a sei anni Persone fuori del comune, dirai.
Dietro ogni genio ci sono storie cos. Per, le persone geniali
in quanto casi estremi come lo sono i casi al loro esatto opposto
ci fanno capire meglio la normalit.

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In una lettera precedente ti ho parlato dei vantaggi di una precoce alfabetizzazione alta (linguaggio proposizionale, saper generalizzare, definire, ecc.). I destini degli studenti si giocano in
famiglia, nella cura della mente e del corpo non guasta una buona
alimentazione. Mi dirai che ho scoperto lacqua calda. Allora diciamo anche questo: per uno come Balli, che ha una madre non
istruita, pu diventare cruciale il divenire consapevole che si tratta
davvero di un triplo salto mortale, e che questo difficile salto ha
una valenza politica. Ricordi Gramsci? Nel progettare una scuola di
tutti, che sapesse dare a ogni cittadino la possibilit di diventare
governante, Gramsci sapeva bene che non sarebbe stato facile far
accettare laspetto non dilettevole dello studio a chi, abituato alla
fatica del lavoro, vedeva le complicazioni dello studio come un trucco a suo danno (Vedono il figlio del signore compiere con scioltezza e apparente facilit il lavoro che ai loro figli costa lacrime e
sangue, e pensano che ci sia un trucco)18.
Mi viene in mente quello scrittore americano, nero (non ricordo
il nome), che da piccolo abitava in un sobborgo newyorkese, in un
caseggiato dove norma erano il crimine, lo spaccio di droga, la prostituzione e cos via. Si chiese: come faccio a uscire di qui? La scuola! Andare bene a scuola, prendere una borsa di studio E cos
fece. Senza andare oltre oceano, la storia di Giuseppe Di Vittorio19,
che da ragazzo, bracciante, studiava a lume di candela con un dizionario e un quaderno Casi isolati. Per, nel passato, ne ho avuti
allievi cos: rari, ma li ho avuti. Ragazzi che, come dici tu, si facevano una dote non richiesta da alcun matrimonio.
Rosalba

18 A. Gramsci, Quaderni del carcere, vol. III, Quaderno 12, 1555, Einaudi, Torino
1975.
19 Giuseppe Di Vittorio (1892-1957), segretario generale della CGIL dal 1945.

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Firenze, 2 novembre

Cara Rosalba,
ho appena finito di leggere la tua lettera. Come sempre sincera,
appassionata. Pi di altre per me coinvolgente. Sembri rispondere in
anticipo alla mia ultima che ti ho scritto. Ti voglio rispondere subito, a caldo e senza rileggere. Poi ci saranno occasioni per riflettere.
Cera una volta
una ragazza che in Inghilterra lavorava come parrucchiera.
Era fidanzata con un ragazzo che le voleva bene, o almeno tutto lo
faceva pensare. Due lavori normali, ma sufficienti per poter contare su un futuro in linea col loro presente: il sabato sera passato al
pub, con gli amici; qualche ubriacatura ogni tanto come da regolamento per sentirsi liberi da regole. Una casa, dei figli.
La ragazza decide di iscriversi alluniversit. Perch lo fa? Forse
perch su quel futuro non vuole pi contare.
Corsi serali che il college inglese organizza per gli studenti lavoratori. Il tutor che le viene assegnato un professore di letteratura,
molto disincantato sui vantaggi dellistruzione, che non avrebbe nessuna voglia di perdere tempo con una parrucchiera, se non fosse
imposto dalle norme. Il loro inizialmente uno scontro: lei entusiasta, che vuole imparare di tutto; lui annoiato, che non crede nelle parrucchiere che vogliono istruirsi, n nel suo lavoro alluniversit. Lei
che gli invidia la cultura, il linguaggio; lui che non sa pi cosa farsene.
A una lezione, il professore domanda agli studenti perch un
uomo che viene colpito da una tegola in testa mentre passeggia
una disgrazia ma non una tragedia. La ragazza produce nella
classe un effetto dirompente osservando che per la letteratura non
sar una tragedia, ma per chi lha presa in testa s.
In un altro momento, quando il tutor le propone di cimentarsi su
un possibile componimento per lammissione ai corsi universitari,
dal titolo Come risolverebbe il candidato i problemi tecnici di messa
in scena del Peer Gynt di Ibsen?, la ragazza risponde in un rigo che
basterebbe darlo alla radio

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Lentamente, dopo le prime arrabbiature, il professore viene colpito dalla spontaneit e dalloriginalit del pensiero della ragazza, cose
che vede perdersi nei suoi studenti regolari, spenti e stereotipati.
Alla fine del percorso, alle soglie dellesame dammissione, il
professore fa di tutto per convincere la ragazza a tornare al suo
lavoro, al fidanzato, al pub del sabato sera; tutte cose pi vere di
quelle che cerca nelluniversit. La esorta a tenersi la sua testa e il
suo forte accento dialettale, di sfuggire allomologazione, unico
destino che lattende dentro luniversit.
Arriva il giorno della prova. Il tema che esce dalla busta chiusa
proprio quello sulla messa in scena del Peer Gynt
La sera il professore le chiede notizie, le dice che spera che abbia
scritto alla commissione quel rigo che lei aveva tanto difeso di fronte a lui come legittima risposta.
La ragazza risponde che era stata tentata, ma alla fine aveva deciso
di scrivere quattro pagine, accettando di misurarsi sul terreno che le
veniva proposto. Il professore le chiede perch, che cosa lavesse convinta, che cosa sentisse daver imparato per accettare di stare al gioco.
Lei risponde che era stata un attimo a riflettere prima di decidere come affrontare la prova. In quel momento aveva ripercorso
tutto quello che la scelta di studiare aveva significato per lei. La
separazione dal fidanzato e dai vecchi amici, la rinuncia alle certezze, la fatica, le umiliazioni e tutto il resto. Poi si era resa conto di
avere gi vinto la sua scommessa. Si era resa conto che era libera di
scegliere se e come svolgere il componimento. Per la prima volta in
vita sua aveva sentito di poter decidere tra pi futuri possibili.
Cera una volta
un uomo che saliva con la macchina verso lAmiata.
In un tratto disabitato un vecchio corre allimpazzata per la
discesa sotto la pioggia. Proprio mentre sta oltrepassando una macchina, cade a terra sulla strada. Luomo alla guida si ferma, lo aiuta
a risollevarsi: la faccia coperta di sangue, pronuncia frasi sconnesse. Poco dopo sopraggiunge una macchina che si ferma accanto alla

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sua. il figlio che inizia a offendere il vecchio padre che di nuovo


scappato dallospizio dove lhanno rinchiuso.
Si viene a sapere che il vecchio non correva per sua scelta: la sua
capacit di controllare le gambe non era pi sufficiente per frenarsi lungo quella discesa cos ripida.
Tutto questo gli era gi successo: sapeva di essere imprigionato
dagli anni assai pi che dalle mura dellospizio, eppure tentava di
nuovo la fuga.
Un vecchio fuori di testa, dice quel figlio sgradevole. Luomo che
lha soccorso decide che quando ripenser allaccaduto si ricorder
di una testa fuori dal recinto, del sogno di un vecchio di sfuggire
allunica possibilit di futuro che gli veniva concessa.
Delle due storie una vera laltra inventata. Ma che importanza
ha? Parlano entrambe del diritto alla possibilit; di averne finalmente una, di averne ancora una.
Non ti sembrano comunque due menti non-divise che hanno
imparato il valore della libert di scelta nel corso della loro vita?
Imparato da chi? Insegnato direttamente dalla scuola? Forse la
risposta non c. Appreso e basta, frutto della combinazione di
scuola ed esperienza; n solo contenuto, n solo metodo: unemergenza delle buone relazioni giocate su buoni contenuti.
Tutto qui, per ora. Nella prossima lettera ragioner ancora sulle
due storie.
Giuseppe

Roma, 4 novembre

Caro Giuseppe,
ho letto le tue storie. La libert di scegliere si impara facendo esperienza. Altrove, la scuola non basta. Da giovani bisogna correre la
prateria, ci diceva alluniversit Vittorio Bodini, ispanista e poeta.

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Oggi, in II G, solita musica: chi non sta attento, chi non prende
a cuore la propria concentrazione, chi non si attrezza perch il filo
dei discorsi rimanga teso Studiare unimpresa troppo faticosa!
Alla vostra et bisognerebbe essere per strada e correre la prateria.
Io, alla vostra et ho aggiunto se avessi potuto a scuola non
ci sarei andata. Ci sono andata perch mio padre non immaginava
per me un destino diverso. Stupore generale. E voi? ho detto
guardando negli occhi quelli degli ultimi banchi C qualcuno tra
voi non obbligato? Che pu sfuggire a una tale condanna?. Ma
che dice?! , avranno pensato . Questa qui sta dicendo tutto il contrario delle prediche che sentiamo a casa. Che senso ha far male
lunica cosa che qui vi viene chiesto di fare?, ho detto. Traccio alla
lavagna la freccia del tempo e indico la punta della freccia: Voi
siete qui, non torner indietro questo tempo. Se lo perdete, se perdete le occasioni che questo tempo vi offre, le perdete e basta.
A scuola tutto viene predisposto perch tutto funzioni come un
orologio: il sogno di un universo newtoniano in perfetto accordo
con regole certe e immutabili e in tutto e per tutto prevedibili
come se si fosse miracolosamente realizzato. Orario delle lezioni
pronto gi dalla prima settimana di scuola, la campanella elettronica non sbaglia un colpo, collegi, consigli di classe, persino data e
ora degli scrutini di giugno li sappiamo gi a settembre, il regolamento distituto al capitolo giustificazioni delle assenze disciplina il
dettaglio (i ritardi: di un minuto, non si giustifica, da due in poi s,
a dieci si entra alla seconda ora), le circolari avvertono giorno per
giorno di nuove evenienze, e anche di queste vengono regolamentati causa ed effetto Eppure, tutto intorno congiura affinch il
filo si perda. Basta un giorno di vacanza inaspettata uno sciopero
per esempio a cui furbescamente viene fatta seguire la richiesta
dellassemblea degli studenti ( sabato), il luned successivo magari io ho il giorno libero e il marted mi ritrovo in mezzo al mare.
Con somma gioia dei ragazzi: Ma noi pensavamo che lei mica ci
aveva detto che. Ognuno ha un libro diverso, io stessa non
ricordo niente.

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Al tanto che ci scodella il programma (i libri di testo, non ne parliamo) io mi sforzo di contrapporre il poco selezionando il
meglio: i granelli di sabbia in cui si concentra il significato e il senso
del mondo intero: due ottave di Ariosto, un sonetto di Petrarca, di
Foscolo, un film di Olmi, e poterli ricordare, richiamare.
Varcato il cancello della scuola, sui ragazzi si riversa un mondo che
con la scuola non ha a che vedere. Il centro dei loro discorsi qualche
volta siamo, s, noi, ma i nostri tic, le nostre debolezze, chi simpatico e chi no Laltro giorno ho chiesto a Riotti: Come andavi alle
medie in italiano? e potevo evitarmi la domanda, che tanto la risposta gi la sapevo: Tutto bene. La professoressa era simpatica.
Andiamo dicendo da qualche tempo che la relazione prioritaria
rispetto ai termini, agli oggetti implicati nella relazione: io e te, da
bravi batesoniani, non leggiamo forse il mondo creaturale sotto
questa luce? Essendo Riotti e compagni creature viventi, al primo
posto per loro c il modo di relazionarsi (buono o cattivo) degli
insegnanti. Eppure quando sento parlare della simpatia degli
insegnanti do i numeri: ma che centra adesso, che vuoi che me ne
importi se ti piaceva o no la professoressa!
Io per quello che mi ricordo, dalla media in su, non ho mai pensato ai miei professori in termini di simpatia, forse non li consideravo nemmeno come umani. Ma lasciamo perdere. Io appartengo alla preistoria e, alla mia et, il passato viene letto per
apparire migliori.
Rosalba

Roma, 7 novembre

Caro Giuseppe,
oggi alle mie tre ore se ne sono aggiunte due (la collega di scienze in permesso). Cinque ore di fila. Una buona occasione per correggere i compiti individualmente. Puoi immaginare quanto mi

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costi organizzare tutto in modo che gli altri si tengano impegnati.


Ho scelto perci un racconto dallantologia: lettura ed esercizi, ciascuno lavori con il compagno di banco. Scarso il controllo da parte
mia. I buoni scolaretti subito ubbidiscono: la testa sul libro e
loccorrente per scrivere. Capriati fa il pazzo. Non gli pare vero di
potersi esibire a tutto campo nel ruolo che gli sta a pennello del piacione romano. Ma non il rompiscatole classico. Partecipa,
come suol dirsi. Per vuole stabilire con me un rapporto privilegiato, che a lui sia permesso ci che ad altri severamente proibito: dire la battuta quando capita cio a sproposito , uscire ogni
cinque minuti, fare i compiti s e no, scrivere le i senza il puntino
Mentre correggevo i temi uno a uno, si seduto accanto a me:
Posso?, ha detto portandosi la sedia sulla cattedra. E si messo
a commentare gli errori che via via sottolineavo e spiegavo al compagno di turno. Al momento del voto perorava la causa.
venuto il suo turno. Il suo tema era zeppo di errori (la punteggiatura: due virgole in tutto), voleva il sei, mentre io gli ho dato
quattro, allora ritornato tra i banchi sparpagliando penne e quaderni lungo il cammino. Poi ha chiesto di uscire, le braccia alzate:
urgente!.
Mi domando cosa fare con lui. Assecondare un rapporto che lui
vorrebbe damicizia quando invece devo metterlo sotto torchio? So
che il pomeriggio vaga tra il bar, la palestra e il negozio dello zio. E
so che a scuola incontra adulti diversi, che ne resta colpito, ma vorrebbe da noi insegnanti unapprovazione che non possiamo dargli:
per come e per quello che fa. Se non cambia destinato alla bocciatura. E questo sarebbe niente; quello che peggio che se continua cos si rafforza in uno stile che lo penalizza, lo inchioda al
ruolo del buffone di classe. Per i compagni, un diversivo, per lui
solo amarezze (nascoste dietro unesibita soddisfazione di s).
Devo catturarlo facendolo diventare bravo: non appena dir o
scriver una cosa sensata, lo loder platealmente. Altre volte ha
funzionato, ma questi trucchi riescono quando un insegnante sa identificarsi nel mondo di un ragazzo, e soltanto se la classe ha piena fidu-

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cia in lui. Per conquistarmi questa fiducia mi impegno io per prima


(ma non sempre ci riesco) ad essere una brava scolaretta: mai trascurare la verifica dei compiti, concedersi pochi fuori programma,
rispettare tempi, scansioni. Anche per quel che riguarda i manuali in
uso: mai trattarli con sufficienza! Non li ho forse scelti io?!
Lantologia di questanno un librone del quale salver venti o
trenta pagine al massimo. Sempre cos: adotto unantologia e poi
non mi piace.
Ci fu un periodo due o tre anni di fila in cui adottai unantologia di classici-classici: Iliade, Odissea, Eneide. Niente altro. Per
due anni solo questo (e pochissimo altro). Mi chiederai se ha funzionato. Ha funzionato.
Come la scriverei io unantologia? Solo il meglio, solo i capolavori.
Non vero che le cose facili sono le pi adatte. O che esista una
gradualit. Non riesco a immaginare niente di pi bello (e di pi
facile) di Omero, Virgilio passi dai Dialoghi di Platone. E poi
Dante, Petrarca, Ariosto, Foscolo, Leopardi da leggere e rileggere.
Per racconti e romanzi c la biblioteca: letture da fare a casa. Alla
mia antologia (che per la verit non una mia trovata: ce ne sono
state cos nel passato, editorialmente degli insuccessi) aggiungerei sintesi storiche e biografie quasi in forma di romanzo. Un libro scarno,
senza note; magari in corsivo le riflessioni di qualche filosofo o scienziato, o critico letterario (cinque o sei righe), le note invece da costruire insieme, e cos gli esercizi: che ci sta a fare, senn, linsegnante?
Rosalba

Firenze, 8 novembre

Cara Rosalba,
ti ho proposto nellultima mia lettera due storie che ho associato
sotto la suggestione delle tue parole. Vorrei provare adesso, con pi
calma, a ragionarci sopra.

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Tu poni problemi vivi, che toccano il senso dellinsegnamento e


la qualit delle relazioni genealogiche le definisce Ida
Dominijanni20 attraverso cui questo si realizza a scuola. Sei sicuramente consapevole che non ci sono risposte certe e, se ce ne sono,
sono tante.
Io che di risposte non ne ho, che forse nemmeno le ho cercate
con convinzione, temo di non essere in grado di reggere con te una
conversazione a questo livello. Ma con le mie due storie volevo proporti un altro punto di vista, sapendo di non rispondere alle questioni, ma per spostarle sullo sfondo di una rappresentazione che
non perde comunque di significato perch lascia i soggetti in carne
e ossa al centro della scena.
Tu mi scrivi anche a proposito del tuo alunno Capriati che
forse un docente deve potersi immedesimare nei propri alunni. Io
penso che non deve essere cos. Se fosse vero, per quelli come me,
che insegnano in scuole che non avrebbero mai frequentato da studenti, sarebbe un bel problema. Secondo me, invece importante
imparare a non contare sui nostri alunni.
Non contarci, nel senso che dobbiamo insegnar loro a camminare
perch camminare bello e utile. A prescindere da dove andranno
in fondo da qualunque luogo, sapendo camminare, si pu tornare
indietro e anche se ci fanno arrabbiare perch non si rendono
conto dellimportanza per loro stessi dellimparare a camminare.
Il gusto delle passeggiate un frutto maturo.
Ricordo quando andavamo in montagna con i figli, tutto facevano meno che passeggiare. A tratti correvano avanti, poi restavano indietro. Cercavamo di abituarli ad andare con passo regolare
perch potessero arrivare pi lontano, senza stancarsi subito, ma
sapevamo bene che non potevano godersi nello stesso modo di noi
adulti quelle camminate. Erano piccoli, alti pi o meno come le
20 I. Dominijanni, giornalista de il manifesto, ha partecipato a un dibattito sulla
scuola a Firenze allinterno del Social Forum Europeo (6-10 novembre 2002). Con
questo termine intendeva sottolineare lo scambio tra generazioni che si realizza nelle
relazioni scolastiche.

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piante a fianco del percorso e quindi il panorama che vedevano con


i loro occhi era davvero diverso dal nostro, che potevamo alzare lo
sguardo fino alle montagne.
Allora ce li mettevamo sulle spalle e le cose andavano un po
meglio (tranne che per le spalle), ma cos non avrebbero mai imparato a camminare
Adesso che ci ripenso, ricordo che le uscite pi divertenti erano
quelle quando riuscivamo a inventarci lungo il percorso una storia
in cui si inserivano le cose che vedevamo o facevamo sul sentiero.
Solo esteriormente, quindi, la nostra esperienza era uguale alla loro;
landare con lo stesso passo, finalmente insieme, era diventato possibile lasciandoli vivere la passeggiata a modo loro. Come unavventura che dava senso, per loro, alla fatica che facevano nel salire.
Fa riflettere.
Molte volte ci arrabbiavamo, ma non eravamo veramente arrabbiati con loro: volevamo capissero che noi ci tenevamo, come capita a te con i tuoi alunni.
Penso che tu faccia bene ad arrabbiarti, ma per loro pi che con
loro.
Dare possibilit di scelta non cosa da poco, anche se non garantisce sulla scelta.
Io, nel mio piccolo, cerco di imparare ad essere soddisfatto
quando mi sembra di aver allargato lorizzonte dei miei alunni,
anche se questo far da sfondo a scelte di vita povere, diverse da
quelle che vorrei per loro.
Tu sai bene che il contesto conta molto. Pu far scattare, per
contrasto, la consapevolezza in qualunque momento della vita che
quella scelta povera. Ma, appunto, in qualunque momento
della vita. Il nostro successo o insuccesso non lo misuriamo nei
tempi del nostro contatto con loro.
Mi rendo conto che nel mio caso pu sembrare pi facile questa
proposta di vita docente: io parlo di chimica, cerco di far rivivere il favoloso mondo degli scienziati, qualcosa comunque che non
tratta direttamente questioni valoriali e che resta lontana dalla real-

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t di tutti i giorni. Si potrebbe pensare che sono meno in gioco di


un insegnante delle tue materie.
Non questo il punto. Il punto che sono in gioco come gli altri,
ma meno degli altri posso illudermi di dirigerlo fino a un risultato
certo.
Ma quali certezze ragionevole cercare?
Non facile rispondere. Io prima di tutto sento il bisogno di
essere sicuro della qualit di ci di cui sono unico responsabile:
buone proposte sulle cose da imparare, trasmettere passione, desideri, ambizioni. Pretendo di essere seguito, anche se sono disposto
ad attenderli o rintracciarli se scantonano. Non cerco, per, segnali di somiglianza.
Giuseppe

Firenze, 9 novembre

Cara Rosalba,
trovo che tra la struttura scolastica e le storie che vi si svolgono
ci sia una relazione per molti versi analoga a quella batesoniana tra
forma e processo. La mia idea di occuparci sia della forma, che ci
compete, sia dei processi, che ci coinvolgono. Mi pare di averti gi
scritto che mi piace molto lidea di una scuola che coinvolge i
ragazzi in unimpresa collettiva di valore. Valori vissuti in prima persona, che possano diventare storie di valori.
La forma della nostra scuola usurata, anacronistica, obsoleta. Se i contenuti e i metodi non funzionano, non ci sono buone
relazioni che salvino la situazione. La simpatia un ingrediente
importante ma hai ragione a dire che se lunica qualit di un insegnante non una qualit.
Vorrei raccontarti qualcosa della mia esperienza di studente,
sopravvissuto al liceo degli anni Sessanta-Settanta, per chiarirti
meglio il peso che attribuisco alla forma.

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Ho dei ricordi molto vivi della mia esperienza di studente liceale. Iscritto alla prima nel 1977, la maturit esattamente trentanni
fa. Anni di tumulto, non solo ormonale. Nella memoria ho tutti o
quasi i compagni, molti professori ma nulla, dico nulla, della scuola insegnata. Questa tabula rasa della memoria contenutistica
non la sento come una conferma della priorit delle relazioni non
credo che nemmeno ci faccia bene stabilire delle priorit pi semplicemente non cera niente degli insegnamenti che mi abbia davvero segnato dentro.
Certo vi molto di mio in questo disastro liceale. Entrai in prima
come vincitore di concorso nella scuola media per uscirne dopo cinque anni col minimo impegno, il minimo dei voti e la certezza che, se
dopo la quinta ci fosse stata una sesta, non sarei sopravvissuto.
Eppure avrei ben voluto allora essere coinvolto, almeno quanto
oggi ricordare qualcosa di scuola, non soltanto i compagni, le amicizie, in generale i valori umani. Perch quello era il momento della cultura disinteressata non finalizzata e non specialistica, dove trovare
aiuto per impadronirsi degli strumenti di cittadinanza. Li ho conquistati da autodidatta; nella scuola, certo, ma quasi nonostante la scuola.
Fallimentari non erano tanto le persone e le relazioni, per lo
meno non tutte, quanto la proposta che mi veniva fatta. Quella
forma con cui leggiamo le storie scolastiche non la vedo granch
modificata, anche oggi che diventata ancor pi anacronistica
rispetto alle caratteristiche nuove dei ragazzi peggiori? E se anche
fosse questo, ci assolve forse dal riflettere su quale scuola vada proposta loro? Oggi, prima del saper leggere, scrivere e far di conto
serve ridare un motivo per farlo, dice Gardner. Io aggiungerei che
altrettanto importante insegnare a ri-leggere, ri-scrivere, fare altri
conti. Abbiamo alunni malati dai troppi messaggi, linguaggi, saperi dozzinali di senso comune. Abbiamo bisogno di una didattica
dello svuotamento e della ricostruzione.
Ma tu ti sfoghi per la loro poca partecipazione, e hai ragione.
Giuseppe

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Roma, 12 novembre

Caro Giuseppe,
che te ne pare di come vestono le nostre ragazze? Disposte a
cedere su tutto tranne che sulla lunghezza delle loro imbarazzanti
magliette (limbarazzo mio). Eppure credo che qualcuno dovrebbe dirlo a Cardelli e Velati che a scuola non ci si dovrebbe vestire
cos Oggi avrei voluto chiamarle in disparte, parlare loro da
donna a donna, ma non lho fatto, non so quali siano le parole adatte per una questione tanto personale.
Il disappunto mi resta dentro, e per non alimentarlo apro subito
il libro e senza fare lappello inizio la lezione.
Il nome. Il capitolo lavevano gi studiato (tutti? ovviamente no)
e due ore mi bastano appena per precisare, farli riflettere
Finita la prima ora, insofferenza negli ultimi banchi; nei primi
laria persa. Perci passo alla pratica con questioni terra-terra: i
nomi in -cia e -gia come fanno al plurale? Che fine fa la i? Il plurale lo deducevano automaticamente, ma la regola non lavevano studiata o non se la ricordavano. Allora, nuovo esercizio: un elenco di
nomi. Il mio umore peggiorava a ogni incertezza. Insomma, a cinque minuti prima della fine della seconda ora, scrivete sul diario:
ripasso del nome. Esercizi: tutti!
Nellora successiva mancava linsegnante, e siccome sarebbe
stata unora di diritto, abbiamo letto insieme le due pagine assegnate: diritto pubblico, diritto privato. I reati che ricadono nella
sfera pubblica, evadere le tasse per esempio; luso privato dei beni
pubblici: i muri dei palazzi utilizzati per fare le scritte, per esempio.
Noto da un po di tempo che qui, a scuola, avete rispetto dei beni
comuni, ho aggiunto. Le aule, per esempio, restano incustodite
durante la ricreazione (ben venti minuti, e tutti sono fuori, al bar
della scuola, nei corridoi) e non si registra un solo furto! In anni
recenti, invece, la processione dei derubati che andava a chiedere
giustizia al preside, collettivi convocati ad hoc, genitori che sporgevano denuncia contro ignoti O sono diventati tutti pi ricchi,

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oppure sono tutti pi civili. La seconda, a mio parere. Quindi ero


sincera quando li ho lodati per come tengono pulita laula, perch
non sazzuffano Sono certa che nessuno di voi scrive sui muri
ho detto . Voi fate ben sperare in un mondo migliore. Proietti ne
ha approfittato per chiedere: Allora ci toglie dieci esercizi?.
Rosalba

Roma, 15 novembre

Caro Giuseppe,
come la capisco la collega di matematica. La sua disperazione di
ieri assomiglia alla mia di oggi.
Siamo sempre in II G: il testo argomentativo. Gi a casa avrebbero dovuto fare gli esercizi. Verifica: hanno fatto i compiti i soliti
quattro. Riassumo le regole dellargomentazione e per esemplificarle leggo la recensione di un film presa da La Stampa. Mentre leggevo, e molto piano, notavo che il silenzio non era motivato da interesse, anzi, quasi tutti parlottavano sottovoce fra loro. Mazzanti
scribacchiava sul diario, Proietti meditava fra s cose sue, ecc. Ma
ho fatto credere di non essermi accorta della finta attenzione e poi
li ho puniti. Come immediata verifica, farete un elenco scritto degli
argomenti che Lietta Tornabuoni ha addotto a favore del film.
Sconcerto. Avevano preso quella lettura per un intermezzo, come
fosse la pubblicit dentro uno sceneggiato.
Mi sono distratto, vuole rileggere larticolo?, dice Proietti.
E io: No. Procedete. Quindici minuti di tempo. Varr come
interrogazione orale (e mi trover a dover dare 3 a tutta la classe,
bel risultato! Ben mi sta!).
Consegnano i compiti, ne prendo uno e lo leggo ad alta voce:
misera cosa. Unargomentazione poggia sui fatti, ho detto, non sui
giudizi ( bello, brutto, mi piace). E poi, argomentare e questo dovreste saperlo significa mettere al centro una tesi.

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Da qui, un sermone sulle responsabilit che riguardano soltanto


loro (Io posso portare il cavallo allabbeveratoio, bere affar
suo).
Il fatto che Demarco, Proietti e gli altri fanno coincidere quello che chiamano studio con il semplice venire a scuola ogni mattina. Lo zaino con i quaderni e i libri, cinque ore di filato al proprio
banco Il mio dovere lho fatto! E invece noi sappiamo (io ne
sono convinta profondamente) che la vera differenza sta nello studio individuale, a casa. qui che i destini (scolastici e non) dei pierini e dei gianni si dividono. Mi dici tu come potranno mai i
Demarco, i Capriati fare il salto di livello se non si danneranno lanima sui libri?
Il guaio che quando una questione la prendi di petto (come ho
fatto oggi) finisci con lo svilirla, porti il discorso su un piano sbagliato e ti ritrovi tra le mani solo amarezza. Avrei dovuto invece
fare come fai tu, tendere la mano e dire senza dirlo: vi capisco, queste cose sono lontane dalla vostra vita di ragazzi, ma proviamo
insieme a far quadrare il cerchio, facciamo un passo alla volta.
Insomma, stare al loro fianco, non davanti a loro, dietro una cattedra, e su un piedistallo!
Adesso che sono a casa, mi restano ben due giorni interi (sabato
e domenica) per riflettere sui miei sbagli. Provo a elencarli:
1. assegno troppe pagine da studiare, troppi esercizi. Davanti a quel
vasto mare facile che molti scelgano di non imbarcarsi;
2. vado di corsa e non mi preoccupo che mi stiano dietro;
3. sono insofferente verso le loro innocenti (e prevedibili) trasgressioni;
4. non curo abbastanza il contesto: ho confuso clamorosamente i
piani. Lignoranza delle regole dellargomentazione potr mai
essere corretta da una predica sui doveri del bravo scolaro?;
5. non mi controllo, finisco col dire una parola di troppo;
...aggiungi tu il resto.
A mia discolpa dico che mi fa rabbia la loro pigrizia, il loro defilarsi, la mancanza di orgoglio, quel loro sciupare le occasioni, ecc.

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Mi accorgo adesso di aver seminato, questa mattina, solo inquietudine, e quel che peggio un sentimento di sfiducia: quella l, staranno forse dicendo, non sa nemmeno lei che caspita vuole!
Devo rimediare, vigilare sul mio umore, devo avere cura di me
stessa. Domani far un giro per villa Ada, dalla parte del laghetto
E luned sapr, senza averlo programmato, voltare pagina.
Adesso dimmi tu una parola buona (e non farmi aspettare
troppo).
Rosalba

Firenze, 15 novembre

Pazienta Rosalba, i nostri alunni sono ormai studenti del


mestiere, abituati ad adeguarsi a richieste stereotipate.
Nellortodossia scolastica, la lettura di un articolo vale meno dello
studio del libro di testo da pagina a pagina. A me capita qualcosa
danalogo con la disciplina in laboratorio: ci si pu muovere, quindi un po meno scuola e un po pi ricreazione. Ma questa ortodossia ancora un problema di forma che non si imposta da
sola. Ci vuole lavoro e, ancora, pazienza.
Tu mi dici spesso dei tuoi dubbi sulla naturalit del pensiero che
viene dispersa, spesso ostacolata volontariamente dallistruzione
formale. Certo qualcosa si perde, ma tu stessa concludevi in unaltra lettera che la scuola resta lunico, forse lultimo, luogo che tiene
insieme la poesia e la prosa, loralit e lalfabetizzazione: questo, mi
pare, possa essere il pensiero forte che ci pu rassicurare.
Inoltre, una mente ecologica quella in equilibrio col mondo
naturale e ben inserita nella cultura. Luomo senza cultura meno
naturale, preda del senso comune, degli stereotipi.
Dovrebbero i nostri ragazzi prendere coscienza del valore politico dellistruzione? S, ma la presa di coscienza sempre difficile.

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Ed vero che ce ne sono di ragazzi che fanno politica nei movimenti per la pace, nel volontariato. Li ho visti alla recente manifestazione per la pace in Iraq. Ma ricordo anche quanti studenti di
Firenze hanno disertato la scuola durante il Social Forum Europeo
standosene alla larga dai luoghi di dibattito: a casa a dormire o
davanti alla televisione. Impauriti. Credo che il motivo abbia molto
a che vedere proprio con la loro debolezza come studenti, incapaci ancora di usare gli alfabeti per rileggere e comprendere le cose
che accadono intorno: candidati naturali a un futuro da esclusi.
Facili prede delle nuove forme di comunicazione e di coloro che
riducono il significato dellinserimento nella comunit a quello di
seguire, tutti, gli stessi quiz televisivi.
Non trovano nessun problema a giudicare lagire senza applicarvi i criteri del giusto, del vero e del bello che pure possiedono
spontaneamente. Sono quindi divisi in due senza sentire alcuna
contraddizione. Renderli liberi lo scopo dellistruzione: solo se
liberi saranno veramente naturali, menti che tornano ad essere nondivise, capaci di seguire linsegnante che mette in riga il mondo
per trovare la propria riga nel mondo.
Giuseppe

Roma, 16 novembre

Caro Giuseppe,
hai presente le nostre uscite con i ragazzi? Quellacchiappaacchiappa chi sta indietro, chi si ferma al chiosco dei gelati, quelli
che fingono daver sbagliato autobus e te li ritrovi alla meta e non
sai come ci sono arrivati
Prima di entrare nel merito delle storie che mi hai raccontato,
voglio raccontarti anchio una storia tratta da I 400 colpi di F.
Truffaut: la sequenza della lezione di ginnastica. La lezione si fa

75

per strada, il professore porta fuori la classe, e da vero atleta, vestito come devessere un corridore (maglietta e calzoncini bianchi),
corre davanti ai ragazzi a passo cadenzato e regolare. Quelli corrono a modo loro, e dapprima lo seguono, infreddoliti, con il cappotto abbottonato stretto sui calzoni alla zuava, sciarpa e berretto,
le scarpette non da ginnastica; vanno dietro di lui a due a due, a tre
a tre. E a due e a tre, man mano si nascondono in un portone, o
cambiano strada La scena si chiude con limmagine del professore che corre da solo.
La domanda : lui lo sa? Lo sa che sta perdendo via via i ragazzi? E se lo sa (e io sono convinta che lui lo sa), perch non si volta
mai?
Ho ragionato a lungo su questa storia, al di l delle intenzioni del
regista. Lho letta come metafora di un rapporto gerarchico (e
anche della segretezza: tema che ricorre spesso nei nostri incontri di
studio, nei seminari del Circolo Bateson, e di cui ti parler in unaltra lettera): chi sta sul gradino pi in alto deve chiudere un occhio,
e qualche volta due occhi, per concedere a chi sta in basso qualche
innocente libert: purch resti non svelata, purch non se ne parli.
Nel film di Truffaut ho poi trovato esemplificato un rapporto tra
padri e figli, insegnanti e allievi che stato della mia adolescenza.
Quel prendersi cura dei ragazzi ma mai fino in fondo, senza prendere sul serio i moti dellanima le speranze, le paure : la strada per crescere, per adattarsi al mondo dovevano trovarla da s.
Cos era per i ragazzi della scuola media che ho avuto negli anni
Settanta, a Bari.
Non c societ che non si impegni a istruire i piccoli: ogni societ lo fa a modo suo, e la trasmissione culturale pu consistere nellinsegnare a scuoiare un capretto, a potare alberi, a riconoscere il
volo degli uccelli. Dalle nostre parti un ragazzino deve saperne di
chimica, di storia antica, moderna, di informatica, ecc. Ma quando
la trasmissione culturale non funziona, chi e cosa deve produrre
adattamento? il sistema di istruzione che deve adattarsi alle
richieste (nuove) dei giovani? Oppure sono loro che devono forza-

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tamente adattarsi? Far sperimentare loro la caduta nel precipizio


oppure evitare che si portino sullorlo del precipizio?
In I G abbiamo letto alcuni passi della Lettera al padre di Kafka.
Era cos leducazione di una volta, ho chiarito alle loro facce sconcertate: va bene la severit, ma un padre che umilia il figlio, che
denigra gli amici del figlio! Questo proprio no! Eppure, erano loro
stessi a non giustificare lirriconoscenza del figlio nei confronti dei
sacrifici fatti dal padre per farlo studiare.
La cura dei figli, la vicinanza dei padri ai figli, lessere compresivi
e amici dei figli ho detto una moda recente. Prima sarebbe
stata una eccezione. Solo le madri erano amorevoli, e non sempre:
il giovane Leopardi, per esempio, non trov mai un posticino nel
cuore gelido di sua madre (La prego di volermi bene, le scriveva
da Roma). Per proseguire il discorso, ho assegnato come compito
una lettera a Franz Kafka, oppure (a scelta) a suo padre, immaginando una cosa che in verit non accadde: che lui avesse letto la lettera del figlio. C, persino, chi ha difeso il padre: Caro Franz, tuo
padre sembra cattivo, ma ti vuole bene.
Tempo fa trovai su un giornale uninteressante chiave di lettura
dellepisodio di Ettore sulle mura di Troia. Astianatte piange terrorizzato in braccio alla nutrice al vedere il padre con quel po po di
armamentario addosso. Ettore allora si toglie il cimiero e lo poggia
per terra. Ma non si toglie la corazza. A viso scoperto prende in
braccio il figlio e se lo stringe al petto con la corazza addosso. Da
questo modo di congedarsi dal figlio (e dalla vita: Ettore sa che tra
poco andr a morire), potremo trarre un insegnamento. Tra padre
e figlio non c mai (non dovrebbe esserci) un contatto diretto, c
sempre un diaframma, un impedimento. La corazza pu essere
pi o meno spessa, dura o flessibile, ma c.
Estendiamo questa metafora al rapporto tra noi e i nostri ragazzi: da quale pratica di vita, da quali esperienze trarremo insegnamento per indossare, a scuola, la corazza del giusto spessore?
Ripeto la domanda: far sperimentare loro la caduta nel precipizio oppure evitare che si portino sullorlo del precipizio? E noi per

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primi, quale nozione abbiamo di dove e di come noi stessi stiamo


precipitando?
Anche qui, come lo spessore della corazza: imparare a riconoscere il limite, sapendo bene che siamo portati, noi esseri umani
(con laggravante di occidentali), a violare i confini, a considerare progresso ogni sorta di superamento di antichi modi di pensare e di agire, a considerare ogni sorta di barriera come ostacolo
solo momentaneo, una sorta di muro di Berlino che la tecnica e la
scienza prima o poi prenderanno a picconate.
Vedo che mi sto allargando, e che potrei scivolare nellapocalittico. Per, mi ricorda Maria Rocchi (la nostra saggia amica), non
tempo questo per pensieri deboli o troppo cauti: dobbiamo pensare in grande.
Rosalba

Roma, 17 novembre

Caro Giuseppe,
da un bel po di anni che i voti (a numeri) mi sembrano una grande trovata. Non che non ne veda la balordaggine (dare un numero
a una persona!), per mentre da giovane mi sarei fatta torturare pur
di non prendere sul serio questa storia di dare numeri, adesso li
trovo uneccellente risorsa in caso di emergenza. Come sono andato?
chiedeva ogni cinque minuti un ragazzo che anni fa mi faceva disperare, uno che stava sempre sul chi vive. E io, allistante: sette. Questo
trucco funziona perch hanno fede: nei numeri e in me.
Piuttosto ragionerei sullopportunit di dichiararlo o di tenere
segreto il voto.
Ai miei tempi, dopo uninterrogazione il voto non si doveva
sapere. Forse, senza averlo consapevolmente deciso, con questo
trucco i professori ci tenevano sulla corda. Facciamo lipotesi che
sia ancora utile tenere gli studenti in uno stato dallerta (non c

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vera conoscenza senza pathos), allora: quali nuovi espedienti noi


dovremo inventare?
Prendiamo la questione pi in generale: se la scuola unorganizzazione gerarchica (e non potrebbe essere altrimenti), come rende
manifesta la gerarchia? E il voto: che centra?, dirai a questo punto.
Vista in astratto, la scuola, presa nella sua intera configurazione,
non diversa da qualsiasi altro sistema gerarchico che, a garanzia
della sua stabilit, deve vigilare su come e dove vengono diffuse le
informazioni. E allora, che voleva dire nella scuola del passato la noncomunicazione del voto? Il fatto che laffissione pubblica dei voti
finali fosse preceduta dalla segretezza dei passaggi intermedi? (come
in un Conclave, a cui segue lannuncio pubblico: Habemus Papam).
La mia ipotesi che in quel caso la segretezza comunicava sulla
forma della relazione, vale a dire che confermava il piano gerarchico
dei rapporti.
Mi obietterai che quella stupida segretezza serviva solamente
a marcare una distanza, che obbediva cio a una logica di autorit
esasperata. Esasperata, s, eppure a mio parere ben tollerata perch
conforme a modelli pi generali di educazione: i padri non davano
conto ai figli delle loro scelte, nemmeno del perch li picchiavano.
Spesso buttiamo in mare procedure antiquate, vecchi contenuti,
ecc. prima di chiederci e di avere davvero compreso a quale esigenza rispondevano (qualche volta mi viene da pensare che abbiamo irriso ai pensierini della vecchia scuola elementare senza aver
sostituito qualcosa che educhi altrettanto stabilmente lautomatismo della frase formale).
Guardiamo ora i procedimenti correttivi: retroazione e calibrazione, come ci insegna Bateson, intendendo per retroazione il cambiare, il correggere via via in corso dopera (come quando correggiamo
la punteggiatura, lortografia, ecc.), e per calibrazione il cambiamento dellintero processo: una correzione su molti fronti, compresa la correzione di noi stessi. Allinterno di questo quadro teorico, il
non comunicare il voto poteva indurre nellallievo comportamenti
di costante autocorrezione: egli non sa come andata linterrogazio-

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ne, deve continuamente verificare dal procedere delle lezioni se ha


fatto la cosa giusta.
Noi il voto lo diciamo subito, e se non positivo mettiamo in
atto strategie correttive ad hoc. Ci auguriamo anche che la correzione normativa riferita a un singolo errore (retroazione) comporti per lo studente la correzione di s (la giusta calibrazione
della sua persona). Ci invece non avviene: il singolo caso di regola non modifica la classe dei casi.
Proviamo a pensare che la segretezza del voto comportasse per
davvero una correzione del s. Facciamo lipotesi cio che limplicito
messaggio devi conformarti alla situazione mirasse non alla correzione di un oggetto specifico ma al carattere dellallievo e al contesto.
E oggi? Quali analoghi messaggi abbiamo sostituito a quei metamessaggi, che siano altrettanto incisivi e facilmente percepibili?
E ancora: attraverso quali messaggi, attraverso quali rituali noi
oggi tracciamo la differenza adulto-giovane, e comunichiamo e
confermiamo la relazione gerarchica? (vedi la corazza di Ettore).
Per concludere. So di aver toccato una questione delicata e di
aver corso il rischio di fraintendimenti, e gi qualcuno, nel Circolo
Bateson, mi ha messo in guardia: queste tue riflessioni potrebbero
essere tradotte meccanicamente in singole azioni gerarchizzanti!
E il decalogo delle cose da tenere segrete non pu essere stilato una
volta per tutte
Veniamo allora a unaltra domanda: qualora ammettessimo tratti di non-comunicazione, chi, cosa costituir per noi la garanzia che
avremo scelto ci che davvero conviene tenere segreto?
Come ti ho detto altre volte, i miei studenti somali ridevano del
fatto che noi in Italia insegniamo litaliano agli italiani. Noi somali,
dicevano, la nostra lingua semplicemente la parliamo.
Ed cos per i bravi maestri. Hai presente il maestro del film
Essere e avere21? Che fanno di tanto speciale lui e i maestri come
lui? Semplicemente insegnano. Vale a dire che in un rapporto con21 Film-documentario

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di N. Philibert (Francia 2002).

trassegnato da un costante dialogo, la non-comunicazione e il


rispetto dellaltro nella gerarchia sono una questione di stile, e
cio di percezione inconsapevole delle soglie oltre le quali una
parola di troppo, un atteggiamento poco conforme al ruolo rischiano di distruggere la relazione e di snaturare il contesto pi ampio.
E io invece quella parola di troppo, specie in II G, quante volte
me la lascio sfuggire!
Rosalba

Firenze, 17 novembre

Cara Rosalba,
mi hai parlato di contesti gerarchici e di segretezza. Provo a
risponderti spostando il discorso sui rapporti di continuit fra generazioni. E ti parlo di altri ragazzi. Una Babele di ragazzi e ragazze che, alcuni anni fa, parteciparono al Social Forum di Firenze.
Ricordo che si riposavano nel prato e, allo stesso tempo, ricordo
lincredibile disciplina e attenzione con cui seguivano le conferenze e i workshop. Una Babele alla rovescia, cos la defin Guglielmo
Ragazzino22.
Quellesperienza stata molto importante per me, perci voglio
rifletterci insieme a te. Solo apparentemente fuori tema rispetto
allimpegno che ci siamo assunti di scrivere sulla nostra esperienza
scolastica. Centra eccome.
I ragazzi e le ragazze che ho visto a Firenze in quei cinque giorni erano abitanti di un altro pianeta? Forse E allora come sarebbe bello se la terra si lasciasse invadere da questi marziani!
Questa generazione che a scuola viene definita priva di interessi
e ambizioni, che non connette e non capisce, conformista tanto in
22 Giornalista

de il manifesto.

81

quello che indossa quanto in quello che pensa, ha mostrato in quella occasione una faccia che i conformisti non si aspettavano. Credo
che i ragazzi che ho visto al Social Forum non siano una sacca residuale della deriva consumistica: pochi corpi solidi ancora da
fondere da parte della nostra modernit liquida che, come dice
Bauman, penetra, avvolge, trascina.
Pu darsi siano davvero i primi visibili anticorpi che questa
modernit produce.
Non credo di peccare di ottimismo (anche se ne abbiamo tutti
bisogno) se dico che quasi settantamila deleghe, in gran parte
paganti, non sono un fenomeno marginale. Settantamila persone, in
maggioranza giovani, che hanno partecipato almeno a un giorno di
dibattiti ma spesso a tutti facendo la coda per le cuffie, stando
in seconda o terza fila in piedi ad ascoltare relatori che raccontano
in dieci, quindici minuti le proprie esperienze, non possono essere
liquidate come un fenomeno epidermico, la ribellione di pochi
emarginati. In quei giorni, a Firenze, non si respirava emarginazione ma latmosfera attiva e polverosa di un cantiere. Un grande cantiere edile per costruire cosa? Vedremo. Per il cemento sembra di
buona qualit. gi qualcosa.
Giuseppe

Firenze, 18 novembre

Cara Rosalba,
continuando il discorso, ci sono in particolare due argomenti di
cui oggi ti voglio parlare: i legami e i riti.
C stato di recente un forum su Saperi, formazione e globalizzazione. Te ne ho gi fatto un accenno: Ida Dominijanni ha osservato
che le relazioni che si stabiliscono a scuola non sono n orizzontali,
nel senso di una simmetria totale tra i soggetti coinvolti, n di tipo
semplicemente gerarchico. Le ha definite genealogiche, per metter-

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ne in evidenza il carattere di incontro tra generazioni. Mi sembra un


bellaggettivo che spiega in modo molto naturale i diversi ruoli del
maestro e dellallievo dentro la relazione, senza farne un problema
di autorit bens di diversa responsabilit la stessa responsabilit
che nei giorni del Social Forum si respirava ovunque.
Un incontro di generazioni, dicevo, dove chi al mondo venuto
prima parla del mondo che ha trovato e di quello che lascia a chi
viene dopo. Dando vita a una comunicazione che allora mi parve
particolarmente vera e per nulla formale. Un passaggio del testimone tra soggetti che si capiscono non solo perch condividono il
quadro concettuale di riferimento, ma soprattutto perch si ritrovano sui valori eterni, che sono alla base del pensare e dellagire
di ciascuno. Quindi una consonanza prima umana e poi politica.
Ne fu una conferma esplicita al Social Forum il passaggio di un
grande vecchio come Pietro Ingrao. Il merito di ci che si diceva e
discuteva era passato, per certi versi, sullo sfondo della testimonianza di un uomo politico a cui vengono universalmente riconosciuti impegno e coerenza.
Anche i contenuti del dialogo confermavano questo carattere
genealogico della relazione. Ingrao non volle lusingare il movimento
identificandosi con esso. Anzi, ne contest nettamente i connotati
non specificamente politici, il suo rifiuto di misurarsi sul parlamento, le carte, le leggi. Discontinuit non celata ma anzi posta al centro,
letta come un limite da chi nel terreno della politica ha lottato una
vita e nello stesso tempo fortemente voluta da chi cerca nuove forme
di partecipazione e identificazione. Eppure questo non ha impedito
a Ingrao di riconoscere i fallimenti della sua generazione e della
forma dazione politica che allora fu adottata. Il modo che scelse per
concludere lintervento: laugurio di buona fortuna, ripetuto pi e
pi volte, fino a suscitare la commozione della sala (enorme e tuttavia stipata allinverosimile), fu un chiaro segnale di fiducia. Qualcosa
di pi della condivisione, perch laffidarsi a una generazione con
cui si sente di nuovo possibile unidentit di presupposti e principi,
a prescindere dal trovarsi poi insieme nellazione.

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Un atteggiamento che pu derivare solo dal riconoscimento di


una continuit profonda che supera di slancio le tante discontinuit apparenti. Discontinuit che toccano i temi e i linguaggi della
politica, cos come stata finora intesa, ma che stanno avendo il
grande merito di aver individuato un terreno nuovo di discussione
e confronto, nel quale riescono a tenere insieme, nelle manifestazioni per la pace, i boy-scout in pantaloncini corti e i disubbidienti, passando attraverso la presenza dellassociazionismo cattolico,
profondamente coinvolto, e di quello laico e sindacale.
Tu mi hai gi scritto sulla necessit di identificarsi con i propri
alunni per essere buoni insegnanti e io ti ho gi risposto. Ora
aggiungo che forse potremmo essere daccordo nel riconoscere che
indispensabile credere in una continuit. Siamo i poli di una relazione dispari e asimmetrica con la consegna di non approfittarcene,
anzi, di darne vantaggio agli altri e sappiamo o dovremmo sapere che la qualit della nostra prestazione professionale dipende
dal nostro coinvolgimento.
Io che insegno agli altri ragazzi, quelli svogliati e cialtroni, che si
preparano rifiutando di studiare a scuola a diventare i nuovi extracomunitari della modernit liquida. Quelli che si tengono lontani
dalla politica, dai dibattiti, dai movimenti per la pace (moltissimi, nel
dubbio, anche dalla scuola) mostrando verso chi si impegna lo stesso miscuglio di timore e disprezzo con cui guardano a un campo
nomadi. Io, dicevo, come potrei pensare che vale comunque la pena
spendersi per loro se non fossi convinto che sotto questo loro modo
di pensare e agire, epidermico e indotto, scorre un fiume che trasporta le stesse nostre passioni, gli stessi entusiasmi e furori pronti a esplodere quando trovassero una via per raggiungere la pelle?
Laltro aspetto di cui ti voglio raccontare la forma della partecipazione dei giovani sempre allora, al Social Forum.
Il dialogo di persone che vogliono confrontarsi, per capire e
capirsi, esplicitando regole e procedure del confronto, per affermarne il valore di per s. come se la partecipazione dei singoli divenisse valore per tutti, un bene della collettivit, attraverso il rispet-

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to di un vero e proprio rituale, fortemente simbolico. Ma come possiamo interpretare la richiesta di rispettoso silenzio dei coordinatori di conferenze che si svolgevano in capannoni pieni fino
allinverosimile di ragazzi gi in perfetto silenzio?
Regole, appunto.
Insomma, una partecipazione non priva di emozione, che testimoniava il rispetto riconosciuto a tutte le esperienze vissute e narrate brevemente dal microfono, ma che si faceva essa stessa messaggio a un livello pi alto e simbolico; dove forse questi ragazzi
stanno tracciando le linee per una nuova identificazione.
Tu mi ricordi che lidentificazione passa quasi sempre attraverso
azioni rituali. Ma quello che allora mi sorprese fu la grande somiglianza di queste occasioni con quelle che pensiamo necessarie per
una buona pratica di scuola.
C oggi, in molti giovani, un desiderio di nuova ritualit; qualcosa di indimenticabile, solido, duraturo. Una voglia di identificazione senza gerarchie. ( unutopia? E conviene coltivarla?).
Marco Revelli23 sostiene che oggi gli individui si connettono con
grande facilit ma non si legano. Una causa la virtualit dellidea
stessa di connessione. Il legame un vincolo, una delimitazione,
una rinuncia. In passato il legame sempre stato garantito da unidentificazione gerarchica ad esempio allepoca delle corti con il
re , oggi questo non pi possibile. Per i legami servono luoghi
veri; luoghi del contatto e dei doveri reciproci.
Ho visto i fiorentini alle finestre legati ai manifestanti che riempivano la strada dal comune desiderio di vivere unesperienza,
appunto, indimenticabile.
Quello che si desidera molto importante. Qualcuno ha detto
che nel futuro troveremo quello che impariamo a desiderare nel presente.
Beppe
23 Anche

Marco Revelli era relatore al dibattito gi citato sulla scuola allinterno del
Social Forum Europeo nel novembre 2002.

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Roma, 22 novembre

Caro Giuseppe,
mi parli di forma e processo, di legami, rituali, relazioni: spiegano i fenomeni della vita, compreso il Social Forum, compresi i
tuoi studenti svogliati e cialtroni. Compreso tutto ci che
oggetto di studio, specie le nozioni che ci sono pi familiari e che
quindi ci appaiono ovvie.
Se insisto con i ragazzi su soggetto e predicato, analisi logica e
cos via, perch il terreno gi stato coltivato alle medie. E cos
oggi in I G ho richiamato il modo abituale e che gi conoscono
di intendere la gerarchia delle componenti di una frase, e ho fatto
capire, ne sono certa, che la definizione di nucleo della frase come
coincidente con il soggetto e il predicato non sbagliata, ma solo
una mappa meno precisa di un territorio del quale possiamo
dare descrizioni che siano meno lontane dalla sua natura, dalla
sua autodescrizione. Ieri avevo preso ad esempio la frase
Prima della battaglia, molti doni i sacerdoti porteranno agli dei:
qui il nucleo molti doni i sacerdoti porteranno agli dei, in quanto il complemento oggetto (i doni) e il complemento di termine
(agli dei) vanno considerati nella stessa gerarchia dimportanza
del soggetto (i sacerdoti): sono le tre valenze del verbo. Diremo
piuttosto che la valenza detta soggetto ha in pi, nella lingua italiana, questa peculiarit: una stretta relazione formale (morfologica)
con il verbo, pur quando il soggetto grammaticale non coincidesse con il soggetto logico. Quindi, dico ai ragazzi, la classica
domanda chi fa lazione? non va posta prima ma solo dopo aver
cercato e rilevato la relazione formale soggetto-predicato. Un procedimento, questo, pi lungo, che sembra non porti dritto alla meta.
Del resto proprio cos: mai in materia di apprendimento la strada
pi breve una linea retta: sinuosa, un fiume che fa giri oziosi.
Il modo che io propongo di descrivere e analizzare la frase non
si aggiunge, precisandolo, al modo prima da loro praticato, ma lo
cambia, e pi in generale introduce (tende a introdurre) un cam-

86

biamento nei modi di intendere e di pensare i fenomeni viventi: noi


possiamo approssimarci al mondo creaturale con una qualche
ambizione di cogliere una qualche verit circa la sua struttura
organizzata. Vedete, ho detto, quellalbero l fuori (un platano): noi
siamo in grado di descriverne la forma, di analizzarlo nelle sue parti
e di dare a queste un nome; facciamo confronti, annotiamo somiglianze e differenze, ricorriamo a tassonomie gi note (classe, ordine, famiglia) ecc.; e a sua volta lalbero si autodescrive, descrive
se stesso mostrandosi alla luce, crescendo, cambiando nel tempo,
proprio come succede a noi, che abbiamo una verit interiore,
che la nostra verit, la verit riguardo a noi che emerge dal
nostro punto di vista, e magari ce ne rendiamo conto solamente
quando una persona attribuisce unetichetta al nostro carattere
(timido, espansivo, sospettoso, ecc.) e noi sentiamo che quella persona ha colto nel segno, oppure che sta sbagliando, che non ha
capito davvero chi siamo e come siamo fatti. Lo capiamo, anche se
non sappiamo dire a parole chi siamo davvero. Ecco, sia che la
teniamo per noi, sia che la esplicitiamo raccontandoci (attenzione! Anche qui possiamo sbagliare: le parole saranno sempre imprecise), questa seconda verit, e cio la descrizione che noi abbiamo di noi stessi, accostata allaltra la descrizione che ci viene dallesterno pu aprirci a una visione pi profonda di noi. (Bada!
Quello che dicono di te sempre vero!, mi disse una volta una persona saggia a cui confidavo il mio disappunto per un giudizio malevolo che un tizio aveva dato di me e nel quale io non mi riconoscevo. Bateson direbbe che si tratta della verit [prioritaria] della relazione tra me e te, e che non sta n dentro di me n dentro di te.)
Ora, non pretendo che i ragazzi a loro volta sappiano riferire i
miei discorsi teorici. Piuttosto, spero di aver dato loro altri elementi
per pensare in modo pi rigoroso ai fenomeni della vita.
Non abbiamo bisogno soltanto di marziani impegnati nella
politica ma anche di marziani che pensano in modo eco-logico
Rosalba

87

Firenze, 24 novembre

Cara Rosalba,
la descrizione che noi abbiamo di noi stessi scrivi la
nostra verit. E quanto conta per un insegnante tenere conto di
come i suoi ragazzi si autodescrivono e si raccontano! E che dire,
poi, di quelli che non hanno le parole per raccontarsi
Unamica, preside in una scuola media, mi diceva di un questionario svolto dai loro alunni. Alla domanda su quale luogo della
scuola fosse il preferito, un ragazzo ha risposto: Mi trovo bene sul
terzo gradino delle scale, prima della campanella. Lei gli aveva
chiesto perch proprio sul terzo gradino e lui aveva spiegato che il
terzo gradino il pi alto prima del pianerottolo controllato a vista
dalla portineria. Da quella posizione si vedono tutti i compagni e
ancora non si visti dagli adulti.
Invece Davide Forti non riuscito a trovare un gradino analogo
nella mia scuola. A dire il vero non lha neppure cercato. Lanno
scorso si iscritto in prima, certificato dalla media. Certificato per
cosa? mi chiederai. Al mio primo incontro non lavrei saputo dire:
non era un mio alunno e io lho conosciuto nella mia funzione di
Vicepreside, perch dopo due mesi di scuola non comunicava, non
si apriva, mostrava carenze di ogni tipo, necessitava insomma di un
riorientamento. Oggi direi che era affetto da mal di scuola, una sorta
dallergia che di norma consiglia il soggiorno nei professionali.
Davide un ragazzo dallo sguardo vispo, curioso verso la scuola, ma di quella curiosit tipica di un turista in viaggio in un paese
molto diverso dal suo. Non ho mai avuto la sensazione che considerasse lesperienza scolastica come qualcosa che appartenesse alla
sua vita reale. Tutto quello che vede lo confronta col suo mondo:
zona Piagge, periferia di Firenze; madre che lavora tutto il giorno,
padre assente, la sua stanza pi grande il marciapiede della strada, condiviso con gli amici.
So bene che non una storia originale, daltra parte i casi delle
scuole raramente corrispondono a ragazzi o ragazze con storie par-

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ticolari, pi spesso assomigliano a problemi di interfaccia tra un


organismo e un ambiente entrambi sani e completamente descrivibili, ma divisi da una superficie che non traspira. Problemi di
membrane divenute impermeabili. Ecco, era come se Davide stesse nel suo banco, chiuso in un sacchetto di plastica.
Per farlo sentire meno solo, fu deciso di spostarlo: dallindirizzo
molto qualificato dovera, alla specializzazione pi umile dellistituto. Ma dubito che dallinterno del suo sacchetto abbia colto
una qualche differenza, se non quella che nella nuova classe i
ragazzi nel sacchetto erano molti di pi.
Davide non ha nemmeno terminato lanno perch la madre ha
chiesto un percorso integrato con la formazione dellente locale.
Ben presto il percorso diventato a frequenza alternata: presente
nei giorni di attivit al centro di formazione e assente nei giorni
destinati allistituto. Nessuno vi ha fatto molto caso, come se sapessimo che non poteva finire altrimenti.
Questanno frequenta il Centro di formazione. Ho chiesto sue
notizie al responsabile del Centro, che mi ha detto di aver incontrato Davide in corridoio: era stato espulso dalla classe perch nel
questionario dove si chiedeva agli allievi cosa volessero fare di lavoro da grandi lui aveva scritto che da grande voleva fare il ladro...
Gi, un bel problema cercare dinsegnare qualcosa a chi non sa
che farsene. Le storie come quella di Davide sembrano confermare
che non esiste una scuola adatta a chi di scuola non ne vuole.
Secondo Bateson, ogni processo mentale richiede una fonte di
energia collaterale. Pensare dinsegnare per pura abilit o perch
si trovata la scuola alla portata di quella testa, come ostinarsi
sui rubinetti quando manca pressione nellacquedotto.
Ho spesso la sensazione che molti colleghi si difendano dietro un
atteggiamento che sconfina nel fatalismo, addossando la responsabilit di questa disaffezione allo studio alle nuove generazioni, oppure
vedendovi il frutto amaro dellabbrutimento della nostra civilt, stritolata tra mass media e computer Si sono scordati che nei bei
tempi passati la scuola si dedicava soltanto ai gi bravi, a quelli che

89

avevano voglia di studiare. I ragazzi come Davide erano fuori dai


giochi gi prima della fine della media, e pace per loro. Il problema
nato quando landare a scuola diventato un obbligo per tutti, e
lo Stato lo ha posto al di sopra della libert di scelta individuale.
E allora, che senso ha prendersela con gli studenti che vengono
a scuola perch ce li mandano quando sarebbe meglio dire che
siamo noi a chiamarli? Sarebbe gi un bel passo avanti decidere se li
vogliamo davvero oppure no, senza lipocrisia di rispondere di s,
purch vadano in scuole diverse dalle nostre. Perch se davvero li
vogliamo, allora il problema ci riguarda, e anche se non possiamo
garantirne la soluzione, cambia il nostro ruolo in maniera definitiva.
Nella scuola di tutti in cui io vorrei essere, quella del non uno
di meno, so che sar chiamato non solo a regolare il rubinetto ma
anche ad avventurarmi lungo i tubi, nei tanti casi in cui lacqua non
arriva. Certo non tutti possono imparare tutto, n allo stesso livello, ma questa verit troppo banale: quello che ci dovrebbe interessare di pi sono i tanti ragazzi che possono imparare ma che non
vogliono farlo, a scuola.
Il vero, unico problema di Davide era che per lui la scuola non
era un problema.
Tante volte nella mia esperienza scolastica mi sono trovato di
fronte a ragazzi e ragazze sigillati nei loro sacchetti di plastica,
apparentemente impermeabili a qualunque approccio, ma non mi
lamento sugli esiti del mio lavoro. Accanto agli inevitabili fallimenti porto nei miei ricordi anche tracce di sacchetti fatti a pezzi e di
guasti allacquedotto riparati. Credo che abbia contato proporre
percorsi, tempi e modi dellapprendere adatti alla fascia det degli
alunni, ma non solo. Conta anche imparare a pensare come si pensa
dallinterno del sacchetto, partecipare della piacevolezza dello stare
sul terzo gradino, riflettere sui modi dellapprendere, saperli sfruttare tutti e non lasciarsi tentare dallimporre per forza il nostro.
Confidarmi con te mi aiuta a sostenere limpresa.
Beppe

90

Roma, 25 novembre

Caro Giuseppe,
ieri in II G (la classe era dimezzata per via delle gare sportive)
successo questo: stavamo correggendo per lennesima volta la parafrasi di un canto di Leopardi. Procediamo lentamente, annotiamo
poche cose per volta. da pi di un mese che stiamo dietro a due
sole poesie. Ricerca dei significati delle parole, studio della sintassi,
del verso, prove (intermedie) di lettura a voce alta, ecc. DUrso si
era fermato a che travagliosa / era mia vita: ed , n cangia
stile (Alla luna) perch non aveva capito. E cos una buona
mezzora se ne andata su questa frase, sul valore dei due punti,
sulla omissione del nome (travagliosa) dopo il predicato (ed ),
sulle cesure, sulla posizione degli accenti dellendecasillabo, ecc.
Poi, in conclusione, ho fatto leggere la poesia a tutti i ragazzi, a
turno.
Lo vado dicendo da anni: una poesia bisogna saperla leggere. A
voce alta. Punto e basta. Tutto il lavoro precedente, arrivati l, pu
essere buttato nel cestino delle carte. E loro hanno letto bene, si
capiva benissimo dalle pause e dallintonazione che avevano compreso ogni sfumatura. (I voti sul registro: dallotto in su.)
Puoi immaginare la mia soddisfazione e anche quella dei ragazzi, dopo il loro personale travaglio. Quando sono scesa in sala
insegnanti ho raccontato tutto a una collega e ho trovato conforto
nel fatto che anche lei procede cos, anzi fa di pi, registra le letture meglio riuscite e a fine anno le raccoglie in un CD. Allo stesso
tavolo doveravamo noi, due colleghi si raccontavano le solite barzellette sugli svarioni dei ragazzi, sulla loro stupidit, ecc.
Com che reagisco sempre male, come se mi pugnalassero,
quando sento denigrare gli studenti? Le storie dei nostri ragazzi
non dico di no, ma andrebbero raccontate in luoghi protetti, non
in luoghi aperti al via vai, non accanto alla porta del gabinetto!
Rosalba

91

P.S. I due punti dopo era mia vita: che eleganza, che soluzione
geniale quel giustapporre le due frasi! ho detto ai ragazzi, anche
loro ammirati del genio di Leopardi. Poi ho aggiunto: a una distanza planetaria risulter che oggi abbiamo soltanto perso tempo!
(Mi piace insistere sulla gratuit, sulla inessenzialit di quello
che a scuola studiano: lo trovo altamente educativo, di questi tempi.)
Altra annotazione: la lettura espressiva di una poesia non
ammette alcuno sbaglio: anche una sola sillaba cambiata comporta
linterruzione della prova, che viene rimandata ad altro giorno
Albanese infatti stato rimandato.
Nellesercitarsi a casa per non sbagliare le parole e nel tenere in
debito conto questo vincolo basilare (non si pu leggere diversamente da come il poeta ha licenziato al pubblico la sua opera!)
succede che, senza accorgersene, imparano la poesia a memoria.

Roma, 26 novembre

Caro Giuseppe,
in attesa di una tua lettera, mi siedo sul terzo gradino e provo
a dare voce alle domande che tengono me e te sulla corda: sempre necessario obbligare i ragazzi che di scuola non ne vogliono?
Chi sono io che li obbligo? io che decido il cosa e il come. E in
generale, accrescere le conoscenze comunque un fatto positivo?
Noi due insegniamo in un tipo di scuola dove giorno per giorno
tra gioie e dolori siamo portati (anche involontariamente) a ragionare sulla natura della nostra cultura. Non un caso che proprio
nelle scuole che non sono licei trovino facile terreno le domande di
fondo (e legittime) sullistruzione. E come gi successo ad altri,
anche per noi c il rischio che ci si attesti sui due punti estremi: o
farne una tragedia o buttarla a ridere (fino ad ora: la prima).
Al Circolo Bateson ieri Mauro Chicca ha parlato delle teorie di
Tomatis sulleducazione allascolto (al ritmo, allarmonia) e sulla
giusta calibrazione di pensiero e linguaggio. A questo proposito

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ha ripescato una pagina dove Steiner scrive tra laltro che ai bambini bisogna far imparare a memoria cose di cui non capiscono il
significato24.
Succedeva nelle scuole di una volta. Era cos anche per le preghiere, per la messa in latino, recitate storpiando le finali, attaccando e staccando impropriamente le parole e nellignoranza quasi
totale di quello che volevano dire. Magari uno lo capiva da grande
( successo a me), quando il bla-bla ti ritornava alla mente e di colpo
le parole si dichiaravano. Ma fino ad allora il mistero era fitto.
Ripetendo meccanicamente si imparava forse la durata di una
frase? A esercitare sulla frase il tempo del respiro? Ammettiamo
per ipotesi che tutto questo abbia a che fare con la crescita inconsapevole della forma del pensiero. E allora, non forse qui, nella
forma pi che nella sostanza come ci ha insegnato Bateson che
il mondo biologico incontra il terreno delle necessit, vale a dire
del sacro? E chiss che quel ripetere meccanicamente senza capire fosse il presupposto per un salto di livello
Mi fermo qui. Sono domande troppo grandi, che mi trovano
impreparata. Guardiamo invece lopinione che hanno gli insegnanti dellapprendimento meccanico: grosso modo sostiene Bateson
sono schierati cos: i conservatori lo considerano positivo, i
progressisti no, e insistono perch gli allievi capiscano.
Da che mi ricordo di aver imparato qualcosa, solo al catechismo,
in parrocchia, mi veniva chiesto di ripetere a memoria e basta.
Devo aver avuto una maestra progressista: niente a pappagallo, anche le poesie rigorosamente a memoria bisognava averle
capite, e averci aggiunto pensieri formulati con parole proprie
spesso solo sciocchezze.
Insomma, nel bene e nel male, il nostro sapere critico. Essendo
fondato sul testo sulla scrittura, sul commento di testi scritti
un sapere critico anche quando un testo crediamo di assumerlo cos com.
24 R.

Steiner, Arte nelleducazione, Ed. Antroposofica, Milano 1995, p. 86.

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Questo sapere critico, questo ragionare da s cercando interpretazioni originali, si acquisisce nel liceo, dopo il tirocinio del ginnasio con la traduzione quotidiana dal latino e dal greco: puntuale,
fedele, quasi banale. Nei primi anni di scuole come la tua e la mia
non c quasi niente che assomigli a quel lavorare nel ginnasio giorno dopo giorno coltivando un qualche perfezionismo: gli automatismi relativi al linguaggio scritto e di conseguenza parlato. Le
materie da noi sono tante, mal collegate o collegate solo sulla carta:
tante materie, tante conoscenze in pi dir qualcuno tante possibilit di comprendere il mondo in cui viviamo... Con tante
materie il tempo passa certamente pi in fretta, e di conseguenza
ogni apprendimento frettoloso. Si impara, s, ma bene nulla.
Prendiamo Manzi: vivace, attento, pronto, lui riassume perfettamente le caratteristiche dello studente non-liceale di oggi. Gli procura un grande piacere conoscere come andarono le cose tra
Persiani e Ateniesi, la differenza duso tra perch e poich e altre
quisquilie. Messo davanti a un test con le crocette mette le crocette giuste. il primo a consegnare i test, altro non vuole fare.
Mi dirai che in tutte le scuole superiori il tran tran lo stesso dei
licei: dalle norme convenzionali alla creazione di un proprio stile,
dalla imitazione alla invenzione, dal mettere i passi in un terreno
sicuro (regole gi definite, facili da applicare) al mare aperto del
pensiero libero (si fa per dire). Insomma, quello che ho detto
prima va corretto cos: da noi, oggi, anche gli insegnanti pi progressisti non sottovalutano i vantaggi degli automatismi. Forse che
non assegnano compiti a casa per lesercizio meccanico di regole?!
Giorni fa, esco di pomeriggio per una passeggiata nel giardino
della basilica di san Paolo, incontro ragazzi e ragazze dellet dei miei
studenti. A gruppi, stesi sul prato fanno chiacchiere, sfaccendati:
come! Sfaccendati? E i compiti? Non gli hanno dato compiti a casa?
O sono loro che hanno deciso di non farli? I miei ragazzi invece
Come sono brava! Io! Che li metto al riparo dalla tentazione di sfuggire ai loro doveri: il tipo di compiti che assegno io richiede una
necessaria applicazione, esercizi che possono essere svolti anche senza

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una guida, e che per loro natura impongono riflessione, lentezza


Oggi, per esempio, ho assegnato altri 40 versi dei Sepolcri da parafrasare (apprendimento di livello uno), cos oltre che a tradurre (e tradurre la strada privilegiata per imparare le sfumature della propria
lingua) imparano un metodo (apprendimento di livello due).
importantissimo alla loro et imparare a far bene una cosa,
fosse anche quella sola! Ma quanta fatica per far loro accettare la
noia della parafrasi!
Tornando a casa, mi sono detta: lo so gi che domani mezza classe verr impreparata, o con un compitino fatto alla belle meglio.
Com che non mi riesce davvero di stato allora, allimprovviso, che linvenzione del ginnasio, con lobbligo di tradurre ogni giorno dal latino e dal greco una cosa, se vogliamo, perfettamente inutile mi parsa una trovata geniale.
Rosalba
P.S. Giorni fa, al CIDI, hai parlato dei vicoli ciechi della scienza. Non mi ricordo gran che. Ricordo solo la storia della mela di
Newton: possiamo calcolare la traiettoria della mela ma non come,
quando, perch cadr. Qui le variabili sono tante, conta anche la
stagionatura dellalbero hai detto. E allora, quanto contano i
nostri modi stagionati di insegnare?, i quali fanno resistenza alle
tante e divergenti sollecitazioni dei nostri ragazzi

Firenze, 28 novembre

Cara Rosalba,
se mi fai un poco di posto mi siedo accanto a te, sul terzo gradino. E riprendo le belle domande che poni portandole nel campo
che mi appassiona di pi che , come sai, quello delle scienze.
Tu mi scrivi sullimportanza della crescita inconsapevole della
forma del pensiero e ti chiedi se questa non sia legata anche ad

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apprendimenti meccanici, a esercizi che potrebbero sembrare perfettamente inutili come le quotidiane traduzioni del ginnasio. Se
con meccanico intendi automatico e inconsapevole sono daccordo
con te, ma non ho dubbi che la crescita inconsapevole della forma
del pensiero richiede la scelta consapevole da parte di noi insegnanti
di temi sensati. Limportanza del fare esercizio non va contrapposta a quella dellaffrontare problemi significativi.
Per spiegarmi meglio ed evitare di scivolare nel banale riprendo
gli argomenti che ho utilizzato quando mi hai invitato a Roma per
presentare il libro di Elena Gagliasso25.
Tutto quello che seguir potrebbe essere titolato: La mela di
Newton e i vicoli ciechi della scienza. Ovvero la scienza e la struttura della narrazione, con il ruolo che vi giocano la contingenza
come contesto che favorisce un evento rispetto ad altri possibili
una teoria rispetto ad altre possibili e il tempo, responsabile dellirreversibilit dei fenomeni.
Dice Prigogine che la natura come una stanza. In essa vi sono
parti gi allequilibrio che di conseguenza non mostrano alcuna
tendenza a ulteriori trasformazioni; ad esempio laria della stanza
dove le particelle dei gas componenti si muovono con un disordine
ormai stabile. Ma anche con oggetti ben lontani dallequilibrio,
come lo sarebbero i fiori posti in un vaso: strutture molto organizzate e soggette a una trasformazione permanente e irreversibile.
Ecco che la stanza contempla nello stesso momento lannullamento del tempo e la sua funzione costruttiva. Ora, proprio il ruolo
del tempo e il concetto di irreversibilit giustificano la grande attualit dellapproccio storico-narrativo anche in ambito scientifico.
In una conferenza del 1988 Popper26 osserva che anche se
Newton ha descritto perfettamente il moto della caduta di una
mela, prevedendone istante per istante la posizione, le mele reali
25 E. Gagliasso, Verso unepistemologia del mondo vivente, Guerini Studio, Milano
2001.
26 K.R. Popper, Un universo di propensioni, in Verso una teoria evoluzionistica
della conoscenza, Armando Editore, Roma 1990.

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non sono proprio quelle di Newton! Esse, normalmente, cadono


quando tira il vento. In effetti, pur con tutta la conoscenza che
abbiamo accumulata sul moto della mela in caduta, non saremo
mai in grado di prevedere quando la mela cadr. Sul quando sono
decisive le condizioni di salute dellalbero, lo stato della mela, il
vento, appunto. Troppe variabili per una sola equazione!
Ma il punto di vista che illustra Popper non da contrapporre a
quello di Newton: la mela la stessa solo vista da unottica pi
ampia che abbraccia sia la prevedibilit del moto che limprevedibilit del quando levento accadr. Ci che succede ha pi modi e
tempi di succedere e non si lascia mai prevedere completamente.
un po come durante unescursione in montagna dico ai
ragazzi. L possiamo seguire sentieri ben disegnati, che scorrono in
vallate strette fra alte montagne. Noi escursionisti non abbiamo in
quei tratti alcuna alternativa. Mettiamo poi che la vallata finisca e
che il sentiero si biforchi in due percorsi che si inerpicano faticosamente sui due lati della montagna: diventa obbligatorio fare una
scelta. Mettiamo anche che nessun fattore oggettivo ci possa guidare. Allora eventi normalmente insignificanti come le piccole difficolt che si incontrano a ogni passo possono diventare decisivi.
Sono questi momenti che rendono impossibile una completa predizione del percorso della passeggiata, anche se una volta fatta una
scelta nei punti delle biforcazioni anche il termine di
Prigogine poi seguono lunghi periodi di previsionalit.
Tali punti fanno nascere un fattore storico che rende possibile
solo una post-dizione, come dice Elena nel suo libro. In effetti
molte volte anche il tragitto di una passeggiata in montagna pu
essere analizzato solo dopo che si concluso, e a partire dalla
mappa dei sentieri possibili. Ma questa mappa cos se non la
somma di tutte le possibili scelte, bivio dopo bivio?
Ecco che i vicoli ciechi perdono il carattere di strade senza
uscita e diventano momenti di una esplorazione, apparentemente
marginali rispetto alla strada maestra che viene scelta, ma fondamentali per capire il metodo della scelta.

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Cosa dovrebbe fare linsegnante di scienze? In primo luogo riconoscere i contatti che le scienze hanno con la struttura della narrazione: con la contingenza come contesto che favorisce un evento
rispetto agli altri e, a un altro livello, la scelta di una teoria rispetto
ad altre possibili. In questa prospettiva le pagine dimenticate di vita
della scienza gli anni di pausa della cosiddetta scienza normale;
il tempo delle teorie in conflitto e i fattori che hanno spinto in favore delluna o dellaltra; la scelta di una direzione e di un paradigma
che automaticamente hanno reso le altre vicoli ciechi; il loro
recupero spesso avvenuto in momenti successivi sono preziose
per insegnare il modo della costruzione delle conoscenze. La scienza caratterizzata da una domanda appassionata, non da una
risposta (ancora una splendida espressione di Prigogine).
Ma se al centro la domanda tutta la nostra ricostruzione della
scienza a scuola monca e impoverita, perch nasconde ai ragazzi
il travaglio della risposta: il conflitto tra le risposte possibili, gli
eventi che ne hanno fatto preferire una sulle altre.
Tuttavia, per non cadere nellerrore di proporre un altro modo di
imparare le scienze la storia della scienza al posto della scienza
invece che insegnare ad essere uno scienziato, bisogna aggiungere
che questo atteggiamento aperto alle alternative, che cerca sempre di
chiarire i presupposti delle scelte ed disponibile alle revisioni, continua, pone s un problema di contenuti ma soprattutto di metodo.
Allora, le teorie da insegnare a scuola non sono le teorie della scienza cos come le conosciamo oggi almeno non da subito ma le
risposte scientifiche che gli alunni possono dare a domande che scaturiscono da attivit e osservazioni adatte alla loro fase evolutiva.
La risposta scientifica sempre un primo livello di astrazione.
Non si deve accettare la tesi che esista una scienza minorenne che si
pu insegnare con un agire senza teorizzare, e poi una scienza maggiorenne, che si insegna teorizzando (con falsa linearit) senza agire.
Sarebbe come sostenere che i minorenni agiscono senza il sostegno di un pensiero che condivide del loro agire la stessa natura, per
cos dire, minorenne.

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Un pensiero, Rosalba, che utilizzando le tue parole acquista la


sua forma in modo inconsapevole, come se questa fosse il residuo
solido segnato sulle etichette dellacqua minerale che, mi faceva
notare uno studente, di solido a guardarla non ha niente.
Camminare sui sentieri secondari un esercizio necessario; prevede la ripetizione di azioni e di ragionamenti al solo scopo di prendere il passo dellescursionista esperto.
Il percorso, allora, importante quanto la meta.
Non pi, per, del trasmettere il gusto dellandare.
Beppe

Roma, 30 novembre

Caro Beppe,
oggi siamo andati nellaula multimediale.
Quaranta minuti di grande meraviglia. Le scarne illustrazioni del
libro di geografia, per i ragazzi della I G sono diventate storie.
Ah, come sarebbe bello se ogni lezione fosse accompagnata da uno
spettacolo cos memorabile.
Noi siamo nellala della scuola detta vecchia: per raggiungere
lala nuova, dove si trovano le aule speciali, occorrono lunghi spostamenti, e non ti sto a dire gli incidenti di percorso: questi, tutti prevedibili (Manzi si ferma al bar, Reyes finge di essersi perso nel piano
seminterrato, Tonucci va nella stanza del bidelli a pettinarsi i riccioli
davanti allo specchio...). E cos devo limitare le lezioni speciali.
Eppure lo so, e la psicologia dellapprendimento lo dimostra: le
nuove tecnologie sono molto pi efficaci, anche pi democratiche,
delle spiegazioni tutte e solamente verbali. Se i ragazzi possono
imparare anche a scuola non soltanto fuori della scuola attraverso
procedimenti pi veloci e che suggeriscono immagini mentali non
ambigue, che le precostituiscono cio, perch contrastare questa

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naturale tendenza? E fingere che una frase basta leggerla per avere
tutto chiaro? Senti questa; era scritto sul libro di Storia: I Romani
dovettero fronteggiare una massiccia invasione dei Sabini. Come
te la immagini? ho chiesto laltro giorno a Corsetti Quale immagine si formata nella tua mente?. E Corsetti, alzandosi in piedi e
allargando le braccia: Un mucchio di pietre grandi cos.
Ha quindi ragione chi propone di destinare alle tecniche
sequenziali alla spiegazione verbale in primo luogo il 30% del
tempo scolastico, non il 70% come di norma si fa. Il 70% alle tecnologie audiovisive, informatiche, interattive, che favoriscono il
pensiero simultaneo, cos vivo nei ragazzi.
Domani ce lo fa vedere il documentario sugli Etruschi?, chiede Corsetti. Ma se lavete visto una settimana fa alla televisione!
rispondo. E insisto a tenermi il mio 70%: adesso dovete studiare
dal libro! Dovete leggere anche i documenti
Mi chiedo se sono troppo obsoleta, con luso esclusivo di gesso
e lavagna unica aggiunta alla spiegazione. Eppure credo che imparare attraverso il linguaggio verbale sia un arricchimento, e una
occasione che soltanto la scuola pu dare. Quella capacit di aggirare lostacolo della linearit delle parole e di riuscire a tra-durre un
concetto (fatto di parole) in una immagine mentale, e tale che chi
lascolta si crei la stessa immagine... Per, per niente di pi efficace e di pi veloce della fotografia di un coccodrillo per capire
come fatto un coccodrillo!
C pure chi sostiene (uno di questi Pino Longo27) che la differenza del supporto un computer oppure un libro una differenza in cui si giocano la stabilit, la memorabilit a lungo termine, la qualit delle informazioni. Per di pi, da quando le elaborazioni logico-formali sono state affidate alle macchine (tv, computer)
i ragazzi si sentono esonerati dallesercitarle. Non parliamo poi dellargomentare! Spiegare come si scrive un testo argomentativo o un
27 G.O.

Longo, Il nuovo Golem. Come il computer cambia la nostra cultura, Laterza,


Roma-Bari 1998.

100

tema a tesi richiede lunghe, noiose spiegazioni e numerosi esercizi


intermedi.
Colosimo (II G): Io ai temi sono andato sempre bene, io scrivo
di getto, come mi viene. E come sai che il tema ti venuto bene?
ho detto E il giorno che scrivere non ti viene facile che fai?.
Per riuscire a scrivere bene, anche senza passione, bisogna imparare le tecniche, esercitarsi, fare esperienza, conoscere i parametri per
giudicare da s la riuscita di un tema
Agli esami di maturit, negli anni passati, ho detto, mi capitava di
leggere temi che sostenevano una tesi e il suo esatto contrario: le cose
stanno cos, anche se Insomma, il candidato non si assumeva la
responsabilit di esplicitare chiara e tonda la sua opinione, si barcamenava invece tra posizioni contrapposte come per mettersi al riparo dal giudizio dellesaminatore (chi lo sa come la pensa quello l!).
Dopo una spiegazione in negativo lerrore del candidato: lo
chiameremo dora in avanti cos ho dettato loro uno schema: a.
esposizione della tesi, b. sviluppo degli argomenti, c. ripresa della tesi
iniziale in forma riassuntiva. Dovete cimentarvi nel trovare argomenti convincenti! Riprendere gli argomenti contrari per smantellarli poi
uno a uno! Mai perdere di vista lo scopo! Direte a voi stessi: quella e non unaltra la tesi che voglio sostenere e dimostrare. Magari
scrivetevi su un pezzetto di carta bella e chiara, messa in evidenza
sul banco una frase che esprime in modo inequivocabile la vostra
tesi: questo per evitare che i pensieri vi portino lontano, per evitare
che il ragionare sulla tesi contraria anzich demolirla vi porti ad
abbracciarla. Prendiamolo come un esercizio di retorica
Rosalba
P.S. Chi non ammette di avere torto pu insegnare solo le tecniche, scrive Bateson. E io, con il tema a tesi non sto forse smantellando le versioni molteplici del mondo? Non sto esercitando
labitudine di pensiero che le cose stanno in un modo solo? Forse
vero piuttosto che la vita ci pone, s, di fronte a due o pi possi-

101

bilit, ma ci impone una scelta sola. E allora, avere acquisito labitudine a tenere fede a un ragionato solido convincimento pu
esserci utile. Ma il dubbio resta Con la retorica dellargomentare
attorno a una sola tesi mi pare di legittimare e rinforzare una prassi che gi i ragazzi conoscono: di scontro frontale su posizioni rigide, che non fanno evolvere nuove idee vedi i dibattiti televisivi. E
la vita invece non fatta cos!

Firenze, 1 dicembre

Cara Rosalba,
la cosa mi convince, anzi mi appare ovvio che lo spazio da destinare alla lezione tutta e soltanto verbale debba essere ridotto a vantaggio delloperativit e dei linguaggi visivi: ovvio per la mia materia, per le materie tecniche e scientifiche sintende, dove spiegazioni ed esperienze di laboratorio si combinano necessariamente con
una oralit rigorosa e anche poco rigorosa, purch sia viva.
Per quanto riguarda le mie personali abitudini, io adesso preferisco
imparare studiando, e sui libri, ma unabitudine adulta: di fatto ho
studiato pi da insegnante sulla scuola che da studente a scuola, eppure anche in quel tempo ho imparato. Quando ho letto Oralit e scrittura di Ong mi sono fatto lidea che i miei nonni vivessero ancora in
una civilt orale in quanto entrambi analfabeti, eppure non li definirei
ignoranti. Gli appartenenti alle culture orali [] imparano molto,
posseggono e praticano una profonada saggezza ma non studiano,
scrive Ong28. I miei nonni invece avevano imparato molto senza studiare, sul luogo di lavoro e attraverso le relazioni della quotidianit.
Mio padre ha interrotto gli studi alla quarta elementare, facendo
appena in tempo a imparare a leggere e scrivere, eppure divenuto
imprenditore e per una vita ha mandato avanti una fabbrica con oltre
28 Ong,

102

op. cit., p. 27.

cento dipendenti. Penso si possa dire che ha goduto per anni di una
cittadinanza piena, anche culturale, eppure oggi fatica a prendere i
soldi allo sportello bancomat. Non capisce quel linguaggio: le risposte da dare in un certo tempo per non tornare alla schermata precedente, la necessit di conferma del dato, la risposta da dare non su
un rigo ma toccando un punto di una mappa bidimensionale. Per
questo e per tanti altri motivi, oggi un cittadino minore.
Vorrei tanto che certi nostri ragazzi capissero il senso della
minorit che li attende rifiutando dimparare a scuola, ma so che
non nelle loro corde. E daltronde, a inviare segnali contraddittori la stessa societ del sapere: da un lato moltiplica le fonti della
conoscenza (mai usciti nel passato tanti libri, mai tanti documentari
scientifici alla tv, e poi Internet), dallaltro non disdegna di allevare i giovani come semplici consumatori di beni. Diventa di conseguenza puramente didattico il problema di quali strade possiamo
percorrere per in-segnare segnare dentro chi cerca di attraversare il tempo della scuola in fretta e sui marciapiedi pi bui.
Offrire meno scuola a chi non vuol imparare una scelta insensata, almeno quanto aumentargli le ore con i corsi di recupero al
pomeriggio. Sarebbe come se una madre al figlio che non mangia
proponesse solo scatolette e a tutte le ore. Anche se pu apparire
paradossale, nella mia esperienza il mal di scuola si guarisce solo
con la scoperta del gusto dellimparare. Come quando, per esempio, i miei alunni imparano, nel senso pi ricco del termine, le
norme di sicurezza da seguire negli ambienti di lavoro lavorando il
vetro ai bunsen del laboratorio di chimica. Norme apprese senza
studio poi verr anche quello grazie alla loro applicazione in
una procedura che per di pi permette loro di farsi i propri strumenti di laboratorio. Li useranno tutto lanno, compagni di lavoro
e, insieme, oggetti carichi dapprendimento, sottoponibili addirittura a una valutazione estetica che si tratti di una definizione ben
fatta o dellapprezzamento di una procedura.
Oggetti e procedure carichi di significati, appunto, che mi fanno
ripensare alla radio costruita dal protagonista del film Padre padro-

103

ne29 durante il servizio militare, lunica della classe che si accende


perfettamente sintonizzata su un brano di musica classica. Quella
musica, sparata a tutto volume, la colonna sonora che sottolinea il
successo del ragazzo. La stima che quellapparecchio gli conquista
presso il professore e i compagni attraversa anche la sua pelle, e
diventa la stima di s che lo spinger, finita la leva, lontano dalla
Sardegna, in cerca di un futuro diverso da quello disegnato dal padre.
Ho sempre pensato che etichettiamo troppo schematicamente con
sapere e saper fare due aspetti di ununit ben pi complessa e
interconnessa, spezzando la relazione circolare che li lega per leggerla come un senso unico che dal sapere scende alle sue applicazioni.
Per molti le cose non funzionano cos, forse addirittura per nessuno.
Ricordi la storia di Davide Forti? (il ragazzo chiuso nel suo sacchetto di plastica). Avrei voluto che Davide assomigliasse al fratello maggiore di Gattaca30, un film di fantascienza che racconta di
una famiglia con due figli, nati il primo per atto damore e il secondo con una progettazione genetica che garantisce il miglior accoppiamento tra seme e ovulo. Al maggiore diagnosticano dalla nascita una pi bassa attesa di vita e mille altre magagne che ne condizionano tutta lesistenza. Il secondo pi forte fisicamente e predestinato al successo. Eppure il maggiore, intorno ai ventanni,
riesce a batterlo nel nuoto, in una gara a chi ha pi coraggio ad
allontanarsi dalla riva. Il fratello minore gli chiede come aveva fatto
a sfidare cos il destino, quando fin dalla nascita gli davano l80%
di possibilit di essere gi morto per malattie cardiache. Il maggiore, continuando a nuotare verso il mare aperto, gli risponde che ha
vinto scommettendo sul restante 20.
Come sarebbe bello se anche i Davide Forti (i Riotti, i
Demarco) decidessero di scommettere su di s, magari trovando
ciascuno il proprio terzo gradino!
Beppe
29 Film
30 Film

104

di P. e V. Taviani (Italia 1977).


di A. Niccol (USA 1997).

Roma, 2 dicembre

Caro Beppe,
ognuno di noi, specie se insegna italiano, d ai ragazzi unimpronta, uno stile dellimparare che loro si portano nel tempo. Pu succedere allora che laver preso un certo stile da un certo insegnante non
li metta del tutto in grado di affrontare le verifiche a cui altri li sottoporranno. Mi dirai che ci che conta che imparino a pensare. Forse
per insegnare a pensare io sacrifico le cosiddette nozioni Ma no,
non cos... Per far apprendere nozioni, per stabilire collegamenti,
anche io cos come fanno tutti delimito il campo isolando specifici argomenti (e come altrimenti si potrebbe insegnare?).
Credo che il mio insegnamento sia molto cambiato da quando ho
imparato qualcosa di circuiti di retroazione e di processi ricorsivi, ma non saprei dirti come e dove si fa concreto ci che ho
imparato. Quello che so per certo che, procedendo in modo cibernetico in negativo cio: constatata lalternativa che si realizzata, interrogarsi sul perch le altre alternative concepibili non si sono
realizzate , riesco ad afferrare la complessit dei sistemi viventi (i
miei studenti compresi), e forse mi avvicino, in positivo, allatteggiamento estetico che mi fa apprezzare le uscite creative dei
ragazzi e ogni sorta di passaggio di livello: come per esempio il
negare qualcosa, che ha le sue regole, per affermare qualcosaltro
sulla base di nuove, differenti regole. Ricordi lesempio del granchio? Bateson osserva che la chela pi grande dellaltra non semplicemente asimmetrica: Essa dapprima propone una regola di
simmetria e poi nega sottilmente questa regola proponendo una
combinazione di regole pi complessa31.
In I G stavo spiegando la differenza tra descrizione oggettiva
e soggettiva (qui la mia anima costruttivista avrebbe dovuto
ribellarsi: non esiste alcuna descrizione oggettiva! Sono tutte
31 La spiegazione cibernetica, in Verso unecologia della mente, edizione ampliata, Adelphi, Milano 2000, p. 446.

105

mappe di un territorio la cui verit ultima non ci dato conoscere, ecc. ecc.; invece ho sorvolato per ora). Una delle caratteristiche della descrizione soggettiva la personalizzazione degli
oggetti. Cerco di esemplificare la cosa guardandomi attorno. La
parete di fronte occupata per intero da un attaccapanni: vuoto,
c soltanto un ombrello appeso dalla cordicella, prendo di l lo
spunto e dico: Lombrello se ne sta timido e solitario al gancio dellattaccapanni. Capriati si alza e appende accanto a quello il suo
ombrello. Lerrore di Pomponio! E invece no, un finto-errore-diPomponio. Infatti Capriati propone e lo fa con lscamotage dellironia luso del livello pragmatico (estensionale) della frase
dopo averne attraversato mentalmente e negato (con un computo
velocissimo, quasi inconsapevole) luso intensionale. Vale a dire
che lui ha affermato e allo stesso tempo negato la funzione esemplificatrice di quella frase. Questo errore un attraversamento di
tipi logici mi ha fatto pensare per analogia al granchio, che propone la a-simmetria attraversando la negazione della simmetria.
Nella vita succede anche che le idee nuove restino senza regola o
che non trovino chi le raccoglie: si perdono e basta. Succede nel
cammino della scienza, me lo dici spesso: qui le idee perdenti
non si contano
Rosalba

Firenze, 3 dicembre

Cara Rosalba,
su alcune tue lettere sono rimasto indietro, e tento ora di mettermi a paro come dicono i tuoi studenti.
Lascio decantare ancora qualche giorno la lettera dove mi parli
della segretezza nella scuola. Ci rifletter sopra rileggendo qualcosa di Bateson e di Portmann.

106

Oggi voglio riprendere il discorso sulla distanza tra la lingua


madre e la lingua della scuola.
vero che la scuola non parla la lingua naturale dei ragazzi,
rischierebbe di banalizzarsi. Si sa che luomo lunico animale che
ha destinato un luogo e un tempo specifico per la trasmissione delle
conoscenze. Atto volontario che ha prodotto un linguaggio tuttaltro che spontaneo, molto riflessivo e votato allinterpretazione e
alla spiegazione.
Ma io avevo in mente qualcosa di diverso.
C stato un tempo in cui si poteva imparare anche senza studiare. Lesperienza quotidiana produceva un apprendimento che oggi
non pi in grado di indurre. I motivi sono tanti e diversi. Certo i
lavori erano a minor contenuto teorico e rendevano efficace il semplice apprendistato sul luogo di lavoro. Oggi la tecnologia dialoga
con chi istruito alla sua comprensione. Anche quando adotta linguaggi amichevoli, lamico lo trova solo tra coloro che hanno
transitato con un certo profitto sui banchi di scuola. Mi sembra giusto riferirsi alla tecnologia includendovi anche lalfabeto, quindi le
pratiche del leggere e scrivere sono tecnologiche se accettiamo,
come propone de Kerckhove, che introiettare lalfabeto nel cervello stato come installare un programma eccezionalmente potente in un computer eccezionalmente potente32.
Quindi, il mondo esperibile oggi senza istruzione una fetta
molto residuale dellesperienza possibile e di conseguenza lapprendimento che produce non pi sufficiente per garantire alcun
tipo di cittadinanza, n sul lavoro n nella vita sociale.
Vero, ma non basta. C qualcosa che cambia nel nostro modo di
apprendere e, a un altro livello, dentro il mondo che deve essere
appreso.
Apro una breve parentesi per tornare al vecchio detto tra il dire
e il fare c di mezzo il mare. Ne parla Longo in un passaggio dove
dice che il proverbio ancora valido, ma come se si fosse ribalta32 D.

de Kerckhove, Brainframes. Mente, tecnologia, mercato, Baskerville, Bologna

1993.

107

to: oggi molto pi facile fare che dire; o meglio ri-dire, come ricostruzione degli algoritmi che sottendono lagire33.
Tuttavia fare un verbo bellissimo, che per a scuola ha avuto
pochissima fortuna. Allepoca della pedagogia dellattivismo si era
tradotto nella priorit dellagire manuale, o gi di l, con danni
gravi per tutti. Nella pedagogia odierna, invece, torna come distinzione tra sapere e saper fare, con grande rischio che con essa
tornino anche i danni di un tempo.
Eppure fare resta un verbo centrale nella vita di tutti e incarna il desiderio di lasciare traccia di noi nel mondo. Il senso comune e forse non solo il senso comune tiene fare e desiderare ben
separati. Sembrano divisi dallabisso che separa il mondo materiale
dallimmateriale, ma se luomo fatto della sostanza di cui sono
fatti i sogni, allora questa distinzione solo superficiale.
Quando si ripensa al passato sempre nella forma del cosa si
fatto nella vita, non del cosa si imparato o studiato. Non ti sembra,
allora, che ci che chiediamo di imparare debba misurarsi con ci che
si in grado di capire, fare, apprezzare per s? Che cio il nostro insegnamento debba collocarsi tutto in quello spazio di sviluppo possibile (zona di sviluppo prossimale lha chiamata Vygotskij) che sta oltre
le capacit degli studenti, ma non cos oltre da perdere il dialogo
con loro ed essere seguiti solo da quelli che accettano le fatiche della
scuola sempre e comunque, per il rispetto di regole altrove assimilate?
Per dialogare bisogna conoscere il loro linguaggio e far conoscere il nostro. La mia curiosit verso la psicologia dellapprendimento si spiega proprio per la convinzione che ne sappiamo ancora
troppo poco. Eppure lesplosione delle facolt della mente che ha
realizzato il software alfabetico una volta installatosi nel cervello,
non dovuto proprio al suo essersi veramente incorporato, proprio
come avviene nel tai-chi?
Pu darsi che abbia usato male il termine, ma limportante
chiarire che non penso affatto a una scuola materna nel senso che
33 G.O.

108

Longo, Homo technologicus, Meltemi, Roma 2001, p. 17.

si limiti ad assistere il bambino e la bambina nella loro crescita


naturale. C un modo di apprendere che incorporato nella biologia di ciascuno, che cambia nel tempo e su cui dovremmo interrogarci molto di pi, se davvero vogliamo una scuola di qualit per
tutti. Molto insegnamento non si preoccupa di fare qualcosa di
simile al tai-chi, di farsi cio incorporare, ma si accontenta di essere
indossato come fosse la giacca-e-cravatta necessaria per accedere a
un ristorante di lusso.
Il problema, Rosalba, che non solo cambia si riduce il
dire direttamente deducibile dal fare tecnologico di oggi, ma la
nostra epoca manda messaggi subdoli, di facile presa sugli adolescenti, che dicono che, in fondo, non c nemmeno bisogno di dire.
Si pu fare a tutti i livelli, oggi, grazie alle interfacce, ai linguaggi
amichevoli appunto, che la tecnologia ha interposto tra noi e il
mondo e che lo rendono direttamente accessibile apprendibile
addirittura senza alfabeti, n grammatiche da possedere.
Cambia il modo di apprendere non sequenziale ma simultaneo e cambia il modo in cui il mondo vuole essere appreso.
Da un lato la scuola giacca-e-cravatta fallisce perch non prende
atto della psicologia dellapprendimento la sua lingua madre ,
ignora il pensiero narrativo e il fatto che, come tu mi scrivi, il vero
apprendimento devessere emozionante (non c conoscenza senza
pathos); dallaltro fallisce perch la societ ha bisogno di consumatori. Ladolescente copre oggi una fetta dei consumi impensabile solo pochi anni fa. Se il ristorante richiede giacca-e-cravatta, ai
ragazzi destiniamo la pizzeria.
Esagero? Lanno scorso ho concesso ai miei allievi di seconda di
andare al cinema nelle mie ore a vedere I cento passi34. Il ricatto
a cui li ho costretti stato quello di far loro scrivere un commento
sulle differenze che vedevano tra la loro vita, e la vita, gli interessi
di quei ragazzi siciliani. La maggioranza ha risposto che i ragazzi
del film erano molto pi impegnati, molto pi irrequieti: per que34 Film

di M.T. Giordana (Italia 2000).

109

sto fondavano la radio libera e si ribellavano alle regole imposte


dalla convivenza con la mafia. Ma la causa di ci lhanno trovata nel
fatto che loro, oggi, hanno molto di pi. Hanno, a sentir loro, quasi
tutto quello che gli occorre: il cellulare che li tiene in contatto fra
loro in maniera permanente, il motorino che allarga enormemente
il loro territorio di pertinenza. La televisione in camera eccetera. Lo
scrivevano, per, non con felicit ma quasi con dolore. Il contatto
virtuale e la libert di movimento sembrano ampliare la relazione
ma non legano davvero, come ti ho gi scritto.
il problema del troppo pieno degli adolescenti, che pi difficile da combattere del troppo vuoto.
Beppe

Firenze, 4 dicembre

Cara Rosalba,
in una lettera mi parlavi di Di Vittorio35. Al tempo in cui visse Di
Vittorio la scuola era un modo per uscire da un orizzonte e conquistarsene altri. Il caso dello scrittore nero americano che scommette sullandare a scuola, o meglio nellandar bene a scuola, per
uscire dal ghetto ne un altro esempio. Ma questo messaggio di
fiducia nella scuola come via di fuga e di autodeterminazione veniva lanciato dalla societ stessa. Oggi, invece, alla fine del percorso
distruzione si prospetta ancora insicurezza e precariet, celate dietro le esigenze di un mercato che promuove soprattutto lavoro flessibile e a tempo determinato.
Tutte cose che si sanno. La scuola delle tre i (tra cui non c la i
di italiano: ma allora, vedi che i somali avevano ragione?) significa
meno-scuola-per-molti i soliti non portati e saperi segmentati, velocemente capitalizzabili per linserimento nel mercato del
35 Cfr.

110

lavoro. Competenze come figurine Panini da raccogliere in un


album chiamato portfolio. Tutto va bene, tutto fa brodo.
Come si fa, allora, a parlare di riscatto sociale e di uscita dal ghetto dai tanti ghetti della modernit se la qualifica di saldatore
assolver lobbligo formativo e distruzione e condanner a un
futuro da addestrato?
C stato un tempo in cui non esisteva il supermercato dei futuri, disponibili per tutte le taglie; e non era la scuola a dover insegnare il valore della conquista del proprio futuro. Era una consapevolezza diffusa, la base di partenza per affrontare le difficolt del
percorso. Ma se ciascuno trova il proprio orizzonte dipinto davanti al naso, perch rischiare il triplo salto mortale?
Certo i ragazzi non dovrebbero abboccare ai messaggi che li
bombardano e dovrebbero rispondere con lo studio ostinato,
accurato, rigoroso. Ma non credo che ci possiamo permettere il
lusso di lasciare che il fiume faccia giri oziosi (come tu scrivi), n
di attenderli lungo il cammino, perch in questo contesto sono
sempre meno quelli che si mettono in cammino da soli. Dobbiamo
andare a prenderli l dove sono, e metterli in moto spingendo sul
gusto dellimparare anche perdendo tempo , sulla bellezza del
sapere disinteressato il pi rivoluzionario di tutti , sullemozione della scoperta dei propri talenti.
E se si parla di gusto, ecco che torna la necessit di intervenire
nel linguaggio-macchina (resto nella metafora informatica) dei
ragazzi. Lunico dove non si risenta della povert prodotta dalladeguamento alle nuove, banalizzanti interfacce.
Perch nella cosiddetta societ dellapprendimento in realt
capace di apprendere solo chi ha gi appreso prima. Se fossero formati in una buona scuola saprebbero gestire le interfacce senza farsi
deformare da esse. Ecco cosa intendo per alfabetizzazione alta.
Beppe

lettera del 1 novembre.

111

Roma, 4 dicembre

Caro Beppe,
quando si legge in classe, come salutare (per me) pensare insieme ai ragazzi. Ieri, per esempio, dal libro di geografia, una bella
descrizione della Via della seta. E chiss come ognuno di loro si
costruiva mentalmente gli scenari, e come avrei voluto essere nella
loro testa per vederli!
Insomma, mi sono fatta labitudine a leggere e a riflettere in compagnia. Se leggo da sola mi vengono solamente brutti pensieri
oppure sono belli ma li perdo subito.
Ma veniamo alloggetto di questa lettera: la manipolazione.
Lultimo incontro del Circolo Bateson aveva per oggetto il capitolo
Apologia della fede (Dove gli angeli esitano). Com per ogni
scritto di Bateson, si torna sempre sui presupposti, ogni argomento
buono per ripassare i fondamenti: della vita, della conoscenza A
proposito di non mi ricordo che cosa, qualcuno ha detto: e noi?
come la intende ciascuno di noi la manipolazione? Sergio Boria
psichiatra e psicoterapeuta ha detto che nel suo lavoro la intende
come una proiezione della sua personale immagine del mondo sullimmagine che ne ha inconsapevolmente il suo paziente. Uno psicoterapeuta sa di cosa fatto il mondo dei sogni del suo paziente
mentre questo lo sa senza saperlo ed (sarebbe) facile per lui
riversare sul paziente il proprio mondo affinch ristrutturi laltro.
come se lo psicoterapeuta dicesse senza dirlo per a chiare
lettere : cos che devi pensare quello che finora hai pensato.
Ecco, ha detto Sergio Boria, questa per me manipolazione.
Come ne esci? gli abbiamo chiesto. E lui: Cerco di creare le premesse perch il paziente racconti delle storie. E questo meno
facile, richiede pi tempo di quanto ne occorre per dare al paziente una veloce regolata.
Far emergere storie non difficile con gli studenti (anzi, a
volte bisogna fermarli), ma nella psicoterapia bisogna attendere
qualche volta mesi, e non detto Per indurre nel paziente un

112

modo diverso di pensare, e quindi un diverso agire, la strada pi


semplice non forse quella che porta dritto dritto allo scopo?
Siamo in un contesto di cura, dove c una persona che ha
preso a cuore la sofferenza e la guarigione di unaltra...: se pure lo
manipola non lo fa per un proprio tornaconto ma per accorciargli il tempo del dolore
E a scuola? Le strategie nostre sono diverse caso per caso. Nello
sforzo di contemperare rigidit e flessibilit siamo sostenuti dalla
presunzione di poter dire, a conclusione di tutto: ce lho fatta! Se
poi sia morale raggiungere lo scopo costi quello che costi, vale a dire
con mezzi che ci ripugnerebbe teorizzare come giusti punizioni, raggiri, ogni sorta di trucco ecc. , questa storia vecchia
quanto la storia dellumanit.
Con questi pensieri in testa (si fa per dire: i pensieri non stanno
nella testa ma in tutto il corpo, mente e corpo: come difficile parlare in modo ecologicamente appropriato!), ho ripassato fatti
di scuola alla luce di quanto ho imparato al Circolo Bateson.
Mi sono ricordata di quando in I G ho spiegato la civilt mesopotamica. La nascita della citt: divisione del lavoro, accumulo
delle risorse, lesercito, la creazione di un clero, potere politico e
potere religioso, ecc. Le citt nascono e muoiono, ho detto, facendo esempi di citt nate e morte nel tempo antico e recente, e ho
aggiunto: non detto che la citt sia un esito scontato del processo
evolutivo di una comunit di uomini. Chi ci dice che la citt rester una forma vincente? probabile che si riveli non necessaria, che sopravvengano altri processi adattativi
Non stavo pensando alle previsioni apocalittiche di certa letteratura, anche cinematografica, non pensavo cio a crolli traumatici
della civilt urbana (questo lho pensato dopo, quando mi sono
chiesta: chiss se a loro venuto in mente uno dei tanti film a effetti speciali che passa la tv?). Non pensavo al come e al cosa potrebbe sostituire la citt: facevo solamente un discorso teorico.
Ti starai chiedendo: che centra tutto questo con la manipolazione? E veniamo al punto: centra. A casa infatti mi sono detta: ho

113

messo un altro mattone allidea che progresso non (non sempre) la continuazione in meglio di ci che gi c. Insomma, io so
che nella loro immagine del mondo gli occhiali con cui lo vedono lidea di progresso si accompagna con lidea che tutto ci di
cui oggi siamo circondati un avanzamento in positivo rispetto a
ci che prima cera (e questo nonostante da due mesi faccia una
celebrazione esagerata dei modi di vivere e di pensare degli uomini della preistoria!). Non solo, c in loro anche lidea che questo
nostro mondo (nella versione detta occidentale) il migliore dei
mondi possibili. In verit, certe volte anchio mi cullo in questa
idea: se penso allhabeas corpus, allIlluminismo, alla FIOM, allesenzione dal ticket per i malati poveri, agli asili di Reggio Emilia,
alla lavatrice elettrica, ecc. In me, per, questa idea corretta da
un vigile senso critico, anzi, dir meglio: da una seconda, da una
terza, da infinite altre verit.
Contemperare tante verit ci permette di confrontare ci che
accaduto con le diverse alternative che avrebbero potuto presentarsi, di non predeterminare quindi la soluzione, di non far derivare lagire linearmente da una sola descrizione (e interpretazione)
dei fatti. Tutto questo ha a che fare con la spiegazione cibernetica. Quello che comunque conta, per me, linsegnamento che ne
ho tratto: di fronte a un dilemma, anzich cercare unimmediata
soluzione, conviene porsi in una posizione dalla quale ampliare la
prospettiva e quindi la domanda. Affrontando il rischio, meglio: il
vantaggio di trovarsi nel bel mezzo di un doppio vincolo.
Ma torniamo alla premessa (la manipolazione). Ammettiamo che
gli allievi abbiano senza sapere di saperlo una visione del
mondo che io reputo sbagliata. Che faccio io allora? Mi adopero
per indurre in loro un deutero-, meta-, insomma un secondo
apprendimento, vale a dire che giorno per giorno li educo a una
diversa abitudine di pensiero senza che loro ne abbiano consapevolezza. Utilizzo un messaggio esplicito (la nascita della citt un
fatto recente nella storia umana) per veicolare un metamessaggio
(dovete ristrutturare la vostra idea di progresso), proprio come

114

succede con certi messaggi pubblicitari ben riusciti, dove lo scopo


ultimo creare un bisogno o un modo di pensare viene nascosto
o abilmente mescolato al messaggio esplicito.
La tentazione di usare strumentalmente le teorie insomma la
prima cosa su cui dobbiamo vigilare! Le teorie servono per pensare,
non per applicarle a esservi viventi. Questi, tuttavia, per loro (e
nostra) fortuna, hanno energie proprie per reagire alle nostre invasioni
Rosalba
P.S.: Il giorno che studiammo la civilt mesopotamica leggemmo
una nota del libro sulla religione: La religione alimentava il senso di
colpa, laldil era rappresentato nel suo grigiore. Era grigio per
i poveri aggiunsi io per i sottomessi, che erano i pi. Con il
Cristianesimo invece. Riotti: S, c inferno, paradiso e purgatorio. No dissi il purgatorio stato aggiunto nel medio evo,
volevo dire inventato, ma mi parve poco rispettoso nei loro riguardi. Tutti erano stupiti e un po sospettosi. Riotti invece la prese come
una cosa normale: hanno fatto bene, cos meglio, c una speranza. Tu al purgatorio ci credi? chiesi. E lui: Si capisce!.
Come vedi, caro Beppe, non c tanto da rammaricarsi se manipoliamo la storia o le coscienze: i ragazzi si difendono bene restando ancorati ai loro solidi presupposti.

Roma, 5 dicembre

Caro Beppe,
la collega di disegno ha suggerito che si nomini un tutor per i
ragazzi che non vanno bene: cos si fa nelle scuole francesi, ha detto.
Ieri ho dato unaccelerata alla lezione per dedicare una delle tre ore
alla nomina dei tutor. Mi sono dovuta inventare alcuni bravi scola-

115

retti, perch il numero dei bisognosi di tutoraggio supera quella dei


loro tutori. E cos sono stati introdotti nuovi incarichi di responsabilit, nella quasi generale soddisfazione. E a me chi mi guarda?, ha
detto Marangoni, il quale allonere di rappresentare la classe ( stato
votato contro il suo volere) deve ora aggiungere quello di controllare
a vista Fleuri, che passa il tempo ad allenarsi a disegnare scritte per i
murales sul quaderno. Solo tu ci puoi riuscire, ho detto.
Donati, che nasconde dietro unespressione angelica molte furbizie, stato affidato a Dario Petrone, il quale, salito immeritatamente di grado, ha nascosto subito un foglietto sotto il libro, e
preso Donati per il braccio lo ha strattonato mentre stava scartando il panino (non suo) poggiato sul banco di dietro. Poi, per farsi
perdonare, gli ha fatto tenere uno dei suoi guanti a mezzo dito.
Alcuni accoppiamenti sono stati contestati, ma io non ho tenuto
conto delle loro richieste.
In conclusione, da adesso in poi alla gerarchia unicamente incentrata nella posizione frontale uno contro tutti , s aggiunta una
gerarchia interna a chi mi sta davanti.
Dove finito quello stare seduti in cerchio, anche linsegnante, tutti
alla pari, come i cavalieri della Tavola rotonda? Definitivamente sepolto, insieme al ricordo di tempi in cui lottavamo contro la scuola di
classe e contro un autoritarismo reso manifesto nella cattedra appoggiata sul piedistallo, che suggeriva un primo e facile bersaglio nellattesa che ben altra e sostanziale immaginazione andasse al potere.
Questa storia della disposizione alternativa dei banchi mi
riporta agli anni difficili in cui insegnavo nelle medie. Ero a Bari,
erano gli anni Settanta, e insegnavo in un quartiere di poveri, un
quartiere oggi si direbbe a rischio. La scuola, un orribile palazzo
di nuova costruzione, le aule arrangiate al piano terra, al posto dei
negozi rimasti invenduti e presi in affitto dal Comune: stanze anguste che si chiudevano con la saracinesca. Ricordo perfettamente due
gemelli terribili che in classe giocavano a nascondino. Stavano attenti solo allIliade, Ettore che si scontra con Patroclo, poi con Achille,
e mentre i compagni parteggiavano a gran voce per luno o per lal-

116

tro, loro due impersonavano ciascuno il proprio eroe facendo a


botte sul pavimento. Magrissimi, portavano i pantaloni legati in vita
con lo spago. Dopo aver lavorato a smantellare i banchetti del mercato rionale, giocavano fino a sera tardi per strada, solo a tarda sera
la madre tornava dai servizi e finalmente apriva la porta di casa.
In quegli anni mi sarebbe servita lesperienza di scuola che ho
adesso: anche se mi riusciva non sempre, sintende di tenere
buoni i ragazzi, non posso dire di aver insegnato loro quello che
sapevo e che forse avrei potuto insegnare (noi militanti nella sinistra aspettavamo la rivoluzione, ci sembrava che mutato il quadro politico il resto sarebbe venuto da s).
Da classi come quelle, dove regnavano i gemelli di strada e i
vari Pomponio, si usciva a fine giornata sfiniti con la domanda: e
domani, ce la far?
Venne a Bari, invitato dal CIDI per una conferenza, Albino
Bernardini (ricordi? Il maestro di Pietralata)36. Lo pregai di restare
un altro giorno e di venire in classe da me a darmi una mano, un
consiglio. Avvertii i ragazzi che avremmo avuto un ospite di riguardo e il preside per onorare lospite chiam la televisione, una tv
locale allora nascente e molto seguita.
Eravamo a maggio, faceva caldo, e quella mattina i ragazzi arrivarono a scuola con il cappotto. Si capiva che quel cappotto non
era il loro per la misura troppo larga o troppo stretta. Con il bavero alzato e gli occhi bassi a simulare indifferenza verso la telecamera, tutti, compresi i gemelli, si misero in posa e tacquero tutto il
tempo. Bernardini rimase meravigliato del fatto che io non avessi
disposto i banchi in cerchio: era quello il trucco, il dettaglio che
avrebbe salvato me, i ragazzi, la scuola. Il giorno dopo feci come mi
aveva suggerito, ma presero ugualmente il sopravvento, con la differenza che adesso dovevo contenere le loro sfrenatezze seguendo
una strategia circolare.
Rosalba
36

A. Bernardini, Il maestro di Pietralata, Einaudi, Torino 1968.

117

Firenze, 7 dicembre

Cara Rosalba,
vorrei parlare della segretezza: vorrei parlarne anche come spazio
di rispetto.
Il primo anno in cui ero vicepreside, circa otto anni fa, un pomeriggio una madre venne a prendere suo figlio a scuola per portarlo
a una visita medica. Era una signora dimessa, piuttosto giovane e di
una loquacit fuori misura. Nellattesa che suo figlio arrivasse in
Presidenza, mi aveva raccontato la storia di tutta la famiglia. Ero
stato io ad avviare la conversazione chiedendole che tipo di controllo dovesse fare il ragazzo e mi disse che lo portava dallo psicologo perch era anoressico. Io le chiesi ancora del figlio perch era
la prima volta che sentivo di unanoressia maschile (sembra che il
fenomeno sia in crescita) e la signora mi raccont che il ragazzo
aveva cominciato a smettere di mangiare da cinque o sei mesi,
quando era passato alla scuola superiore. Lui diceva alla mamma
che aveva qualcosa in gola che lo infastidiva quando ingoiava, e saltava pranzo e cena. Da qui la prima diagnosi di anoressia. Era passato in cura da uno psicologo che aveva formulato una diagnosi
molto pi complessa e scomoda abbastanza velocemente.
La signora mi aveva gi fatto capire che i rapporti in famiglia
erano burrascosi, ma non per cose gravi: erano i litigi di tutti i giorni che pensava che accadessero in tutte le famiglie. Invece il dottore aveva scoperto che i problemi del figlio erano cominciati dal
momento in cui aveva abbandonato lorario (anticipato) di uscita
della scuola media, che lo portava a mangiare da solo in cucina, e
aveva seguito quelli della nostra scuola che lo portavano ad essere
a tavola insieme ai genitori: il ragazzo non sopportava quella tavola, quelle voci alterate, forse le grida. Di conseguenza tutta la famiglia era stata messa in terapia.
Unesposizione inopportuna, prematura rispetto alla sua capacit di fare a meno di certezze fondamentali come lequilibrio familiare, aveva prodotto nel ragazzo uno stato quasi patologico. Come

118

se un meteorite fosse piombato nella sua atmosfera e perforato la


sua superficie.
Tu hai posto il problema della manifestazione della gerarchia
nella scuola, facendomi il bellesempio di Ettore che si toglie lelmo
quando abbraccia il figlio ma mantiene la corazza. Bello, perch
propone un punto di vista organico e vitale che unifica tutta la
nostra esperienza.
Eppure io non sono convinto di questa lettura della segretezza,
cio cos estroversa da richiedere segnali specifici di visibilit.
Per farti capire come la penso ti propongo ancora unimmagine
della mia memoria.
Di mio padre non posso dire che fosse il trionfo del calore paterno: semplicemente non era nelle sue corde. A maggior ragione,
quando ci abbracciava e baciava percepivo il significato del suo
gesto e, per opposizione, sentivo confermata la gerarchia familiare
che poneva lui a garante della salute economica della famiglia e
nostra interfaccia con il mondo adulto. E questa gerarchia la sentivo proprio nellistante in cui si negava e si scioglieva in un abbraccio. Era la percezione di una diversit di ruoli e responsabilit che
si manifestava nella consapevolezza di un atto unico, raro. Una
distanza a cui ero abituato, che non leggevo come freddezza e che
quando si accorciava esprimeva da sola tutto il significato del
momento.
Mio padre non si mai dovuto preoccupare di togliersi la corazza. Mi faceva lo stesso effetto la sua pelle da adulto, con la barba
che mi pungeva anche quando era fatta di fresco. Lo stesso capita
ai miei figli con me: forse labbraccio della mamma ha sempre qualcosa di pi gradevole di quello del padre.
In altre parole credo, come te, che la segretezza sia una conoscenza estetica, inconscia. Che i vincoli e le barriere siano indispensabili per il funzionamento degli organismi, ma troppo pericoloso progettarne di artificiali. fondamentale conoscerne il
ruolo e preservare le superfici opache che permettono le relazioni
nascondendo al contempo i meccanismi intimi e profondi dei reci-

119

proci funzionamenti, ma bisogna lasciare allevoluzione tanto


delle specie quanto delle strutture come la scuola il compito di
indicare quali sono quelle necessarie e quali quelle dettate da interessi particolari e, spesso, di potere.
Quanto alla segretezza del voto, io ho sempre detto e dir sempre il voto che assegno. Lo spiego, ovviamente, ma succede anche
che i ragazzi non lo trovino giusto comunque. In questi casi non ho
mai pensato di appellarmi alloggettivit della prova o sciocchezze
simili: richiamo i ragazzi alle diverse responsabilit, loro e mie, e
chiarisco che io le mie me le assumo fino in fondo. Per essere pi
chiaro, dico fin dai primi giorni di scuola che i voti li do io, punto
e basta; non si discutono o contrattano, ma per non essere letto
come autoritario cerco di far vedere quanta mole di loro lavoro utilizzo per la valutazione: test, relazioni, riflessioni scritte (quando ci
troviamo di fronte a un problema di laboratorio), risultati delle
ricerche, ecc.
Spero che i miei alunni imparino a valutarsi attraverso i modi
della mia valutazione, quindi faccio molta attenzione ad assumere
decisioni coerenti, il pi possibile prevedibili. Vorrei, in altre parole, offrire come tu dici qualcosa che non cambia, una forma su
cui proiettare i processi per riuscire a leggere il nuovo che portano
con s.
Tra retroazione e calibrazione c una circolarit che non si spezza mai. In ogni singola azione ci vedo luno e laltro. Per fare un
esempio, pensa alla lettura dellora con un orologio.
Si insegnano tecniche di riduzione dellerrore che mi sembra si
possano collegare alla retroazione: ci sforziamo di correggere ogni
singola lettura per averla pi precisa possibile, e apparentemente
non avrebbe alcun senso pensare che la precisione della lettura dellora al tempo uno possa avere alcun effetto sulla lettura al
tempo due. Ma c un argomento di scienze, che affronto nelle
prime classi, che dice che questa in fondo solo unapparenza. Si
tratta della differenza, per la misura, tra la precisione e laccuratezza (ma vale lo stesso discorso nel caso della differenza tra errore

120

accidentale e sistematico). In laboratorio abbiamo un orologio di


quelli moderni, senza numeri sul quadrante. Chiediamo ai ragazzi
di scrivere secondo loro che ora esattamente, deducendola dalla
posizione delle lancette. Poi facciamo la media delle loro opinioni
e scriviamo lora con lindicazione dello scarto massimo dalla
media: la precisione sistemata. Poi cominciamo a porre altre questioni: siamo davvero sicuri che sia quella lora esatta? E se lorologio va indietro o avanti? Se addirittura fosse fermo? La precisione
della macchina non si riduce ripetendo le prove con la stessa
macchina. A questo punto c sempre qualcuno degli studenti che
si accorge che lunico modo di scoprire la precisione dellorologio
confrontarlo con altri orologi. Una volta calibrato lorologio,
della sua accuratezza potremo far tesoro per tutte le nuove serie di
misure.
Se fosse questo il qualcosa che non cambia? Questo modo
complesso di imparare e decidere, che coinvolge sempre diversi
livelli?
A scuola, allora, pi che ripensare a nuove e vecchie segretezze
un terreno molto scivoloso si potrebbero moltiplicare i punti di
vista e le descrizioni degli apprendimenti, cosicch, se vero che il
singolo caso non modifica la classe dei casi, imparare a scegliere i
casi significativi e il modo della loro lettura possono diventare lautovalutazione. Che, non scordiamolo, capacit di agire.
Non sul voto che entra in gioco la segretezza ma sulla valutazione della valutazione. La segretezza non la negazione di un esito
ma la difesa della complessit dei meccanismi e dei dosaggi che ne
stanno alla base. Un po come larrossamento o limpallidire del
viso comunicano il sentimento senza svelarne le ragioni che nascono nellintimit di ciascuno. Questa complessit non si presta ad
analisi, ma si pu trasferire (comunicare) qualcosa che non cambia considerandola nella sua totalit.
Beppe

121

P.S. parlando di segretezza dicevi tra laltro: Mai prendersi cura


dei ragazzi fino in fondo. Aspetter che sia finita loccupazione
per rifletterci di pi sopra. Per ti confesso che non ho simpatia per
chi vuol invadere tutti i campi dellazione. Se anche gli angeli riconoscono delle soglie, e quindi esitano, possibile che noi umani non
ne riconosciamo alcuna?

Firenze, 7 dicembre

Cara Rosalba,
oggi ritorno a parlare di scienza che mi permette di fare meno
chiacchiere in astratto. La scienza, come tu mi ricordi, non certo
fondata sul senso comune. Spiega il noto per mezzo dellignoto
dice Popper , proponendo teorie antiintuitive per spiegare cose
che sembrano spesso banali.
Il linguaggio della scienza non naturale ma comunque profondamente radicato nella natura umana e nellesperienza.
Si fonda sul desiderio di spiegare, richiede immaginazione e
rigore, ricorre a doppie descrizioni come moltiplicazioni dei punti
di vista. Non solo linguaggio riflessivo, formalizzato. soprattutto un punto di vista che si pu apprendere naturalmente.
Per farti capire cosa intendevo quando ti ho scritto che bisogna
ridurre la distanza con la lingua madre dei ragazzi, ti riporto le
pagine di due quaderni di scienze di alunne di una quarta elementare di Barberino di Mugello (le uso spesso nei corsi del CIDI perch mi sembrano molto significative).
Si tratta del resoconto di due esperienze fatte in unaula normale,
senza attrezzature particolari, ma con un esito tuttaltro che comune.
Riscaldiamo una piccola quantit di acqua distillata. Descrivi quello
che succede allacqua nel beker.
Oggi abbiamo provato a riscaldare su una piastra elettrica un beker
con lacqua distillata. Allinizio allacqua non succedeva niente.

122

Piano piano abbiamo visto che si iniziavano a formare le prime bolle.


Non erano molto grandi, anzi, erano proprio minuscole quasi da
non accorgersi che cerano. Alcune erano depositate sul fondo e salivano in superficie piano piano.
Dopo si iniziato ad appannare il beker e a uscire sempre pi fumo.
Poi da quanto il beker era appannato cascavano gocce. Lacqua stava
diminuendo e salivano sempre pi bolle e erano pi grosse di quelle allinizio. Finch lacqua iniziata a bollire.
Si sentiva il rumore delle bolle che scoppiavano. Era un rumore piacevole! Dopo abbiamo lasciato la piastra elettrica accesa per un po.
Adesso nel beker non c quasi pi acqua distillata.

Una descrizione ricca, curiosa, anche poetica.


Di solito questa fase di osservazione e descrizione viene saltata
perch sembra troppo poco astratta e concettuale. Si pensa che levaporazione e lebollizione sono fenomeni noti perch i termini
sono conosciuti nella vita quotidiana. Allora ci si concentra sulla
spiegazione pi generale e formalizzata. La pi accreditata in questo senso quella che descrive lebollizione come il passaggio di
stato che avviene quando la temperatura raggiunge il valore in cui
la tensione di vapore del liquido raggiunge la pressione atmosferica. Anche se pu darsi che qualcuno la semplifichi un poco, di solito si tratta di una banalizzazione di questa, teoricamente ineccepibile. Si commette quindi ancora un errore epistemologico nel giudicare semplici i concetti come quello di pressione atmosferica (a
volte anche quello di tensione perch si pu tradurre con tendenza a) perch di uso comune nella vita quotidiana.
Spero tu sia daccordo nel giudicare che questa pratica, la pi
comune a scuola, non assolutamente alfabetizzazione alta, non
insegnamento ma addestramento, indifendibile da qualunque
punto di vista.
C stato un tempo in cui gli alunni erano disposti a imparare a
memoria queste pappardelle incomprensibili; oggi di questi alunni
se ne trovano sempre meno, ma di quel tempo non ho nessuna
nostalgia.

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Altro esempio: esperienza sulla solubilit. La maestra ha posto il


problema di che fine fanno le sostanze che spariscono in acqua.
La classe ha deciso di fare delle ricerche sulle soluzioni.
Per verificare se le sostanze solubili sono ancora nellacqua oppure
no, abbiamo deciso di riscaldare le tre soluzioni:
1. acqua D. e sale
2. acqua D. e zucchero
3. acqua D. e solfato di rame
gioved 11 marzo siamo scesi in laboratorio, abbiamo preso tre bacchette di vetro, tre capsule e un fornellino. In una capsula ci abbiamo messo il sale e lacqua demineralizzata, nellaltra lo zucchero e
lacqua demineralizzata e nellultima il solfato di rame e lacqua. Poi
con le bacchette le abbiamo mescolate. Quando il fornellino era
pronto per riscaldare le tre soluzioni abbiamo appoggiato la capsula
del sale e acqua. Vedevamo che lacqua bolliva e alcune bollicine
uscivano dalla capsula e si andavano a posare sul banco e quando
scoppiavano si vedevano i chicchini del sale.
Dopo un po lacqua iniziava a diminuire e si iniziava a vedere il sale
appiccicato ai bordi della capsula. Dopo abbiamo provato a mettere
sul fuoco lo zucchero e lacqua, dopo un po meraviglie delle meraviglie! Si iniziava a sentire lodore del caramello e poi lo zucchero si
caramellato!
Poi abbiamo messo la capsula del solfato. Lacqua diminuiva e bolliva. Quando lacqua era sparita si vedeva il solfato di rame sul fondo.
Sul tavolo cerano bollicine azzurre.
Mi ero sbagliata! Credevo che le sostanze fossero sparite invece da
questa verifica ho la prova che ci sono ancora!!!

C rigore e immaginazione, riflessione e sorpresa, anche coinvolgimento emotivo. Siamo vicini alle parole di Bruner, quando
chiede agli insegnanti di scienze di ricostruire il clima avventuroso
che caratterizza la vita degli scienziati e di non limitarsi a un resoconto della scienza finita. Se ricordo bene, la scienza finita la chiama addirittura morta.
Questa lalfabetizzazione alta che io vorrei. In questo senso non
la considero estranea alla lingua madre dei ragazzi, perch vi affon-

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da le radici, anche se poi si staccher cercando lignoto delle spiegazioni pi ricche e complesse.
Mi fermo qui. Ti scrivo dalla Presidenza, con la scuola prossima
alloccupazione, e mentre scrivo mi arrivano continuamente sollecitazioni ad altri discorsi, a collegamenti che mi dispiace far cadere
o rinviare.
A presto.
Beppe

Roma, 8 dicembre

Caro Beppe,
anche io oggi ho sentito la parola che ogni anno, tra novembre e
dicembre, secondo un rituale ormai (malamente) collaudato si
ripresenta carica di promesse e di minacce: autogestione.
Mercoled terranno unassemblea. Staremo a vedere.
Negli scorsi anni li mettevo in guardia da avventure dissennate,
questa volta ho preferito lasciar perdere. Da noi assemblea (le
poche volte che si fa per davvero) e autogestione sono uno sbraco
totale. Funziona bene soltanto il servizio dordine, che i capi
organizzano con geometrica precisione perch riesca il gioco di
guardie e ladri: se da autogestione si passa a occupazione, vengono occupate le aule sotto la stretta sorveglianza di quelli che con
la fascia rossa al braccio vigilano.
Ricordo i quattro che giocavano a carte sulla cattedra e proprio
in quel periodo al Circolo Bateson si discuteva della ritualit e del
sacro: quella scena mi parve un esempio di dissacrazione.
Lesperienza mi dice che pochi ragazzi se ne avvantaggiano (acquistano durante lautogestione una sapienza nuova), mentre tutti
gli altri, che proprio a novembre hanno cominciato a entrare nella
macchina, si perdono.

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Abbiamo parlato in altre lettere dellimportanza di una cornice


rituale affinch lapprendimento prenda forma e si sedimenti (lo so,
il rito pu uccidere limmaginazione ma noi due sappiamo farne
buon uso, vero?). Per noi, lo scorrere uguale del tempo si combina
con lattesa vigile dellimprevisto, e questo puntualmente arriva e
d nuova vita ai nostri piani senza sconvolgerli.
Ma quando la rottura della cornice rituale ha carattere di punto
di svolta di esperienza che ristruttura il contesto e chi ci sta dentro , il contesto appare in una luce nuova: una sorta di nuova verit, un passaggio di livello. Interrompendo bruscamente (e in modo
traumatico) il tran tran quotidiano, lautogestione potrebbe portare
alla luce la natura della scuola e di ci che a scuola si fa; insomma, la
natura politica dellistruzione, con il suo corollario di domande sul
come e sul perch, sui rapporti di potere a scuola e fuori della
scuola , ecc. Cos stato nel 68. Cos stato, in seguito, in certi casi
isolati (anche il 68, per, non fu esperienza di massa).
Invece, da noi, nella nostra scuola, i pi ne escono spenti o vergognosi per non aver saputo onorare le aspettative.
A parte le eccezioni. Come quellallievo di qualche anno fa
Piero Zampa sempre pronto al dibattito, ad accogliere ogni novit. Viene mandato a una assemblea cittadina, un coordinamento
studentesco che si tiene al Tasso, lo storico liceo romano da sempre politicizzato. Torna il giorno dopo che gli occhi ancora gli brillavano: l diverso disse ai compagni voi non ve lo potete nemmeno immaginare quant diverso l: quelli discutono!
Fu quellanno che suggerii a un gruppetto di incerti lautogestione del ripasso. Dissi: mi volete? Loro dapprima no, poi mi vennero a cercare. Furono due settimane intense. Sette persone attorno
ai libri, a ragionare, a imparare le minuzie. Nella stessa atmosfera
attiva e polverosa del cantiere che tu hai visto al Social Forum di
Firenze, passavamo intere mattinate immersi nel laboratorio di scrittura. Vidi in due di loro brillare davvero gli occhi, alla scoperta di
quanto c di artificioso nel mestiere dello scrivere, quando sperimentavano i trucchi della retorica, o quando prendevano atto del

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carattere altamente formale del linguaggio scientifico e apprezzavano leleganza di una definizione Ecco, quella volta ho capito come
non mai che cosa pu essere un insegnamento partecipato, quanto
conta la forma della partecipazione, e quanto sia cruciale il contesto:
un tempo disteso, nessuna urgenza di finire al suono di una campanella, un luogo non affollato, lassenza di variabili distraenti (gli
altri, gli sfaccendati, erano in giro a tirare calci al pallone), una condizione di intimit cos necessaria allo studio.
Fu da quella esperienza che imparai a programmare diversamente la scansione delle lezioni: non pi unora di questo e unora di
questaltro. Non pi, grammatica, antologia, Promessi sposi, storia (e
in prima, anche geografia) diluite nellarco della settimana. No. Una
sola materia al giorno, anche per tre ore di seguito un solo argomento, e per certi periodi e per certi argomenti si andava avanti per tutta
la settimana. Cos faccio ancora adesso. Quindi, lautogestione serve.
Mi raccontavi tempo fa dei ragazzi impegnati in politica: partecipano ai dibattiti, sono rispettosi della ritualit, delle regole e delle
procedure... Quelli non sono i nostri ragazzi. So gi che i nostri nelle
prossime giornate di protesta se ne andranno per Mc Donalds o
resteranno a casa a dormire. Ma la democrazia si regge sulle minoranze. Dovremmo semmai temere se nemmeno una minoranza si
muove.
Rosalba

Roma, 9 dicembre

Caro Beppe,
la campanella dellautogestione suonata. Le mie due classi questa mattina erano dimezzate. Ho fatto una lezione dimezzata.
Un ragazzo di terza entrato come una furia (E voi, che fate
qua?) e ha spiegato agli indecisi le ragioni della protesta: le porte

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antincendio si aprono allincontrario! Perch non chiedete al consiglio di istituto che le aggiustino? ho detto. Non ci hanno fatto
fare le prove di evacuazione ha detto lui, leggendo da un foglio
che aveva in mano.
Devi sapere che la mia scuola, costruita da ingegneri di una volta,
quelli tutti dun pezzo, una scuola dove ha sempre insegnato e insegna un buon numero di ingegneri i quali tengono a norma laboratori e il resto, una delle pi sicure del mondo. (Ti aggiorner
sugli sviluppi).
Caro Beppe, quante volte negli anni passati abbiamo chiuso gli
occhi di fronte a situazioni che gridavano vendetta! E cosa imparano i ragazzi da questo andazzo? Che idea si fanno dei diritti e
doveri di una democrazia? Quando la scuola, da essere riservata a
unlite, diventa scuola di tutti, non c altra scelta: deve essere rigida. Il modello? Il primo che mi viene in mente Barbiana.
Rosalba

Roma, 10 dicembre

Caro Beppe,
tu dici sempre che occorre dare senso a ci che si fa. Questo
dare senso a ci che a scuola si fa viene inteso da alcuni come un
dover giustificare e adattare le scelte di metodo e di contenuto alla
luce della contemporaneit, alla vita questa s, vera fuori della
scuola. Quando invece e questo lo credo fermamente la scuola
ha senso se sensato ci che si fa allinterno di un progetto che
non detto sia sensato visto dallesterno. Faccio un esempio. Che
vuol dire ragionare ore e ore attorno alla morfologia del soggetto o
alla scansione dellendecasillabo? I miei ragazzi, futuri meccanici,
informatici, elettronici, usciti dalla scuola mai troveranno chi gli
chieder conto di cesure ritmiche e di concordanze morfologiche.

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Queste cose hanno senso per due soli motivi: 1. se vengono


imparate bene, con il necessario rigore; 2. se hanno attinenza con
un programma pi generale, deciso per tutti.
So che questo mio ragionamento vale anche per le materie scientifiche. Per noi di italiano ci attardiamo attorno a questioni per
loro natura obsolete e perci stesso svincolate da una utilit pratica (i minori del Quattrocento: bah!). E credo che qualcosa di
simile valga anche per le scienze, quando educazione scientifica
significa non soltanto descrivere il mondo con categorie scientifiche
ma acquisire anche un atteggiamento estetico (Mary Catherine
Bateson ricorda che suo padre riusciva a vedere nella disposizione
delle parti di un fiore una dissertazione metafisica).
Insomma, prendiamo un ragazzo che viene da una famiglia non
istruita, non in grado di colmare da s le eventuali mancanze della
scuola, un ragazzo che in casa ha s, magari, una stanza tutta per s
ma ha anche una televisione tutta per s, e quindi una sconfinata
libert di sconfiggere la noia dello studio A certi ragazzi cresciuti scolasticamente a met succede che arrivino allet critica
senza aver mai conosciuto una sola giornata di studio abbastanza
severo da mettere alla prova le proprie capacit. E allora? Allora
qualcuno, a un certo punto, lo studio glielo deve imporre. E questo
qualcuno deve essere convinto che lesercizio del suo ruolo comporta necessariamente una condotta rigida e anche, ma non solo,
non troppo, flessibile.
Quando parlo o scrivo di intransigenza o della complementarit di rigore e immaginazione, e metto laccento sulla parola
rigore, mi spaventa lidea che qualcuno intenda i miei discorsi come
un vagheggiare puro e semplice la scuola del passato. Mi gi accaduto di essere accusata di questo. A mia difesa posso dire che cerco
sempre di fare attenzione alla sacralit della epistemologia dellaltro: il punto cruciale dove gli angeli esitano a mettere piede.
Sentire empaticamente le ragioni e il cuore dellaltro (sia
laltro un essere umano, un animale, una pianta) una cosa che si
impara. Lempatia, per quanto oscura, anchessa una discipli-

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na, e chiss se basta una vita per non sbagliare, per sbagliare di
meno E chiss che tenendo in classe i ragazzi a fare mezze lezioni, in giorni, questi, dove i loro compagni partecipano alla baraonda che infuria nel cortile, io non li stia privando di una esperienza
necessaria...
Ma com che non esiste mai una sola verit?!
Rosalba
P.S.: A proposito di empatia: ho letto che gli operatori del film Il
popolo migratore37, dopo le lunghe ore passate in cielo a filmare gli
uccelli cos da vicino che sentivano il loro affanno, quando scendevano a terra scoppiavano in un pianto disperato.

Firenze, 11 dicembre

Cara Rosalba,
mi parli dellautogestione del tuo istituto. Nel mio appena finita e prendo lo spunto per tornare sulla cura e sulle soglie del
nostro agire, se vi sono.
Ti sento molto amareggiata e non mi stupisce: anchio sono anni
che cerco di capire cosa pensare di queste autogestioni/occupazioni che, quando vanno bene, offrono molto a pochi studenti e
pochissimo a molti. Di solito se ne parla come delle vendemmie:
questanno andata bene, meglio dellanno scorso oppure stata
unannata da dimenticare. Fenomeno stagionale, ineluttabile e
imprevedibile.
Due anni fa nel mio istituto fu appunto una di quelle annate da
dimenticare. I ragazzi pretendevano autogestione e occupazione
37

Film-documentario di J. Perrin, J. Cluzaud e M. Dabats (Francia-GermaniaItalia-Svizzera, 2002).

130

senza neanche fare la fatica di unassemblea o di una qualunque


altra forma di consultazione fra loro. Decidemmo che in queste
condizioni non avremmo concesso le aule e, fatti entrare i ragazzi
che volevano fare lezione, chiudemmo le inferriate dellingresso. Fu
un errore adesso facile dirlo ma allora sembrava la risposta pi
giusta per loro e scaten il finimondo. I ragazzi con meno parole
e idee, che ripongono per conseguenza pi fiducia nel potere derimente delle braccia, quando videro lostacolo fisico delle inferriate
caricarono lingresso. Seguirono scene da stadio delle quali preferisco non parlare.
Di qua dallinferriata, noi insegnanti allibiti e costernati; adulti
incapaci di qualunque azione di fronte a una situazione di quelle
che nella vita di tutti i giorni si cerca solo di evitare.
In quei momenti lunghi e tesi, ricordo di essermi chiesto come
fosse possibile che studenti e insegnanti, protagonisti in questo
momento di due contesti cos apparentemente inconciliabili, potessero dopo appena qualche giorno superare una tale frattura e ritrovare un terreno comune di lavoro e dialogo.
Eppure, anche in quella situazione quasi drammatica, fu possibile che la Becheroni, prof di anatomia, riconoscesse un suo alunno subito di l allinferriata e lo chiamasse per nome. Il ragazzo le
sorrise e iniziarono una discussione molto civile, amichevole e
rispettosa. Un momento di scuola di tutti i giorni, ma, in quel mattino da incubo, una perla che pareva brillare di luce propria.
Alla fine un varco lo trovarono e listituto fu occupato, non senza
subire le conseguenze di tanta tensione accumulata. E poi? Nulla.
Tutto un passeggiare avanti e indietro, nessuna idea su cosa farsene
della scuola finalmente conquistata. Dopo un paio dore o poco pi
i ragazzi si fecero mandare fuori senza nessuna difficolt: bast far
loro osservare che non stavano facendo nulla e che noi dovevamo
fare le pulizie. Il nulla della loro occupazione aveva ingoiato anche
loro.
Ne parl la cronaca locale, i ragazzi della scuola furono descritti
come vandali e teppisti. Loro si lessero e, per fortuna, non si piac-

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quero. Dal giorno dopo la tensione cal: noi scegliemmo di lasciare comunque le porte aperte, loro entrarono uno alla volta e fecero
molta attenzione a non provocare danni, ma fu lunica cosa che
misero in mostra. Il dominio del nulla non venne scalfito minimamente e i ragazzi si facevano mandare a casa sempre prima. Fu
unesperienza disperante, da non dormire la notte a pensare allo
stato di malessere in cui si trovavano questi ragazzi.
Lanno scorso cominci sotto i peggiori auspici. Arrivati alla stagione propizia per le autogestioni, chi entrava doveva percorrere la
scalinata coperto dai fischi di chi se ne andava. Ma nessuno osava
mettere piede nella scuola se non per fare lezione: era come se del
vuoto di idee messo in mostra lanno prima tutti avessero coscienza e paura.
Poi la sorpresa: salta fuori un gruppetto di studenti di quarta con
una sigla mai sentita (naps) che stampano dei volantini molto efficaci sulla riforma e anche ricchi di autoironia sullo stile di vita giovanile. Una mattina mi chiedono microfono e amplificatore e sulla
scalinata tengono per unora i ragazzi a discutere dei comportamenti dellanno precedente. Cera moltissima autocritica su quello
che era avvenuto e un taglio politico molto pi netto. Ricordo che
hanno letto una lettera di Gino Strada38 e discusso della povert. I
molti applausi e lattenzione concessa al gruppo ci hanno fatto
capire che sarebbe arrivata di l a poco lautogestione a guida naps
e cos stato.
Questanno il gruppo ha di nuovo guidato lautogestione con un
radicalismo maggiore dellanno scorso, ma tutto sommato con
responsabilit. Mentre lanno prima ci avevano chiesto di controllare che nessuno fumasse nelle aule e ci chiamavano a buttare fuori
i grandi di quinta del tecnico (loro, di terza e quarta del professionale, si sentivano un po in soggezione), questanno invece
hanno chiarito subito che loccupazione non si fa daccordo col preside e non si deve chiedere il permesso.
38 Medico

132

fondatore dellassociazione Emergency.

Ovviamente non andata proprio cos, si giustamente contrattato molto fra le parti, fino alla possibilit di dormire nellistituto,
cosa che i ragazzi hanno imposto accettando per di usare la palazzina che abbiamo destinato allo scopo.
Ovviamente non cerano i duemila e passa alunni dellistituto,
ma la presenza stata sorprendente, con film e dibattiti molto
seguiti e qualche classe che ha scelto di svolgere comunque lezione.
Che dire in conclusione? Che forse vero che pochi se ne avvantaggiano e molti ne escono delusi per non aver saputo onorare le
aspettative come dici tu , eppure ci sono state cose che ci hanno
colpito tutti. Il gruppo di lavoro per la scrittura degli striscioni, ad
esempio, ha appeso per la prima volta la frase che il professore
(parole di un professore! ti rendi conto?) dice al giovane Holden:
Ci che distingue luomo immaturo che vuole morire per una
causa, mentre ci che distingue luomo maturo che vuole vivere
per essa.
Un altro striscione rifiutava le tre i della scuola di Berlusconi
ribattezzandole come Ignoranza, Ingiustizia e Intolleranza. Il pi
grande, dal tetto dellistituto si prendeva cura di avvertire i passeggeri dei treni in arrivo alla Firenze-Rifredi che non ci avrete mai
come ci volete voi. Tutte cose assolutamente inusitate nel nostro
professionale.
La mia ex alunna Sonia Montagni, ora in terza chimico-biologico,
si molto impegnata in tutta la settimana dellautogestione; lho trovata a scuola sia al mattino sia al pomeriggio e allora sabato, lultimo giorno, le ho chiesto come fosse andata per lei, che non sapevo
cos impegnata. Sonia mi ha detto che era stanchissima, che non
aveva mai spazzato cos tanto in vita sua, che era arrabbiatissima con
chi votava per lautogestione e poi stava a casa, ma era felicissima:
aveva conosciuto pi ragazzi in questa settimana che nei tre anni
precedenti e ne aveva conosciuti di molto in gamba. Professore,
questi ragazzi del naps sanno un sacco di cose e io ho imparato tantissimo!. E mi ha garantito che avrebbe continuato ad andare alle
riunioni anche quando la scuola sarebbe tornata alla normalit.

133

Che dire? Sonia mi venuta in mente quando mi hai scritto del


tuo Piero Zampa, al ritorno dal Tasso. Certo loro due potrebbero essere buoni esempi di quei ragazzi che, come tu dici, sanno
avvantaggiarsi dellautogestione. Ognuno misura il gradino che la
sua gamba pu fare, ma ci che conta che per salire bisogna
comunque alzare lo sguardo, e desiderare quel nuovo punto di vista.
Allora si sale, anche se coster fatica.
Ho sempre pensato che la differenza tra gli studenti bravi e i
non-bravi parta proprio dalle diverse direzioni dei loro sguardi, da
ci che imparano o non imparano a desiderare.
Beppe

Firenze, 13 dicembre

Cara Rosalba,
come vedi, torniamo sempre sul problema del come insegnare a
chi non vuole imparare: nessuno mi toglie dalla testa che Sonia nellautogestione (dentro la scuola, quindi) abbia trovato un motivo
per imparare, scoprendo un modello positivo di adolescente istruito. Un modello comprensibile per una studentessa come lei e alla
sua portata. Ecco qualcosa che noi trascuriamo, Rosalba.
Ma se ovvio, almeno tra noi insegnanti, che per insegnare a chi
non vuole imparare senza per questo trascurare i bravi ci vuole
una buona scuola, non sarei come te sicuro che lautogestione la
faccia peggiorare. Tu scrivi che la vedi come unoccasione persa per
far risaltare la natura politica dellistruzione; io non lo direi, perch oggi non sono le occasioni a mancare, ma gli adolescenti capaci di coglierle.
Nel 68 la scuola era una barca scossa dai venti della rivolta giovanile, oggi la scuola il vento che deve portare le barche degli studenti fuori dalle secche. Tutto cos diverso che non mi paiono

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possibili confronti. Anni fa i ragazzi certo, non tutti nemmeno


allora partivano dallanalisi politica per decidere il loro agire; oggi
il loro agire che li porta alla politica. Chiaro allora che un punto
darrivo molto pi maturo, non pi il punto di partenza come lo fu,
confuso quanto vogliamo, per la nostra generazione.
Ma perch minimizzare cosa pu succedere ai ragazzi che sanno
avvantaggiarsi delle pi diverse situazioni?
Tu, Rosalba, mi scrivi frasi nette e decise che la scuola per tutti
deve essere rigida, che deve aver senso allinterno di un progetto
che non detto sia sensato visto da fuori , al punto che ho la
sensazione che ti sia esposta molto pi del solito in quella lettera.
Come se fossi scesa a un livello pi profondo di riflessione sulle tue
convinzioni di insegnante, sotto la spinta di questa sospensione del
tempo, nel quale la scuola rivela, per negazione, i suoi presupposti
pi profondi. Mi scrivi che stato nel caos di settimane di questo
tipo, a contatto con studenti sfaccendati che giocano al pallone nei
corridoi e siedono sulle cattedre, che hai sperimentato con pochi di
loro un diverso tipo di lezione, che mantieni ancora adesso. Tu stessa concludi che lautogestione allora serve, pu servire.
Su questo io la penso come te e credo che un processo analogo
nelle debite proporzioni si messo in moto nella mia Sonia.
Lautogestione lha costretta a un inevitabile posizionamento rispetto a cosa stava avvenendo. Quando lazione parte dagli studenti,
con tanto di votazione classe per classe, loro dopo si giudicano.
Sonia ha giudicato la preparazione dei ragazzi pi in vista (e quel
suo quanto sanno! mi fa sperare che abbia giudicato nelle forme che
la scuola le ha insegnato!); ha anche dato giudizi sullassenza dei
suoi compagni, che dal canto loro hanno giudicato lautogestione
per poi scegliere di rimanere a casa. Tutti quindi, sia i presenti che
gli assenti; sia quelli che si sono davvero impegnati nei gruppi che
quelli che hanno giocato al pallone nei corridoi, che quelli che
hanno proseguito le lezioni; tutti hanno appunto scelto.
Certo, ci saranno molti studenti che hanno eluso la riflessione sui
propri comportamenti, per in molte classi, alla ripresa della scuo-

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la, ci sono state aspre discussioni tra gli alunni grazie al fatto che letica della partecipazione molto pi sentita delletica dellimpegno
scolastico. In qualche modo allora, individuale o collettivo, si pu
sperare che un ripensamento ci sia stato. Che quel vuoto messo
in mostra diventi ingombrante e scandaloso per loro stessi, nel
momento in cui dilaga nella scuola e ne ferma le lancette.
Ma non credo che sia giusto giudicare, Rosalba: il loro non
non pi un vero attacco allistituzione-scuola e non mi pare che
ci interroghino in quanto insegnanti di una disciplina.
Nella nuova ritualit delle occupazioni vedo non la domanda di
gestire la scuola comera nel 68 , ma il suo tempo, sempre pi
prezioso perch sempre pi lunico che scandisce, per ragazzi e
ragazze, unesperienza collettiva. Quello che vediamo durante le
autogestioni non il risultato di quello che si o non si insegnato, n il teatrino di studenti che vogliono sostituirsi ai docenti.
Parlano anche di scuola ma soprattutto parlano a scuola daltro. E
quelli che non parlano di nulla ci rappresentano il dramma di
ragazzi che non hanno nulla di cui parlare e non sembrano soffrirne. Ma sar poi cos?
Alla fine dellautogestione c sempre del materiale che gli studenti hanno elaborato. Questanno, come ti ho detto, stata una
buona annata, con parole dordine e articoli per il giornalino piuttosto ben fatti (penso a un Voi dateci la cultura che il lavoro ce lo scegliamo da soli), eppure non questo laspetto pi importante.
Daltra parte questi periodi non intaccano lenergia collaterale
che manda avanti la scuola. Quel ragazzo che parlava con la
Becheroni lo faceva nel nome di una pratica quasi quotidiana di
relazione che superava di slancio linferriata che li divideva; era una
storia comune che negava la tensione, come se quella conversazione
stesse avvenendo su una nuvola scesa per puro caso sulla scalinata.
Voglio dire che c una ritualit che non si deposita nelledificio ma
che, in una buona scuola, si conserva nei soggetti.
Forse, come accadeva nelle vecchie civilt orali, diventiamo
memorabili per opposizione, quando veniamo negati.

136

Ho gi scritto troppo. Ti sarai accorta che non ho ripreso le tue


parole pi decise, quelle che dici potrebbero essere lette come una
spinta verso un ritorno alla scuola del passato. So bene che non
intendi questo e so anche cosa intendi per intransigenza e costrizione allo studio. Sono daccordo, pur continuando a pensare che
non questo il centro del problema. Gi la legge sancisce o
meglio sanciva prima della Moratti lobbligo scolastico, che ha
molti significati, certo non ultimo quello di obbligare allo studio.
Bateson ha chiarito come gli organismi viventi comunichino grazie a fonti denergia collaterali (Se date un calcio a una pietra, essa
si muove con lenergia che ha ricevuto dalla vostra pedata; ma se
date un calcio a un cane, esso si muove con lenergia che ricava dal
suo metabolismo).
Il nodo non risolto quale sia, oggi, lenergia collaterale dei
ragazzi (la motivazione, il desiderio, ecc.) e come noi possiamo metterla in moto per sostenere il loro studio.
Ma questo uno dei nostri fili conduttori e non necessita di una
risposta diretta basta che il mio non rispondere tu non lo legga
come una lettera non scritta
Beppe

Roma, 13 dicembre

Caro Beppe,
ieri pomeriggio abbiamo consegnato nelle mani dei genitori il
pagellino non ha lo stesso valore della pagella di fine quadrimestre, ma questo i genitori non lo sanno.
Immagina il mio sgomento al sovrappi di informazione, quando
vengo a sapere dalla madre di un ragazzo le storie di famiglia,
com lui adesso, come era prima, come lo giudicano i parenti, e
devo perci riaggiustare il tiro sulla base dei nuovi racconti, accostare al mio il loro punto di vista.

137

Quanto sarebbe comoda una visione semplice, poter dire e


pensare che le cose stanno in un modo solo! Purtroppo, per, sappiamo per certo che le cose non stanno mai in un modo solo, che
due, tre descrizioni sono meglio di una Penso alle tante volte che
gli studenti mi dicono che ho sbagliato nel valutare un compito
e spesso vero, e anche quando non vero ci mi fa capire che non
ho saputo comunicare un messaggio correttivo.
Dicevo del mio sconforto: loro (i genitori), gli ignari, gli incauti,
li hanno affidati a me! E io? Sapr io reggere alle attese? Quel
senso di inadeguatezza al commisurare il mio lavoro sgangherato
con le singole storie, le storie dei ragazzi intrecciate con quelle
delle madri e dei padri... i quali hanno fiducia in me: fiducia che io,
da parte mia (incautamente) alimento: stia tranquillo, lo seguir
meglio, domani lo chiamer in disparte, gli parler, ecc. Faccio
molte domande per farmi unidea di come i figli passano la giornata dopo la scuola: se c chi li aiuta, se vanno in palestra, se hanno
in camera la tv. Come!? Nella stanza dove studia?! Il computer va
bene, ma la tv Al pomeriggio devono studiare. Punto e basta.
Come spesso succede, lidea che mi ero fatta di loro viene smentita: la madre di Reyes: Com che mio figlio non ha mai compiti
da fare a casa? (?!). E la madre di Albanese, un ragazzo che avevo
appena finito di lodare perch viene sempre preparato:
Veramente noi a casa lo vediamo sempre davanti ai videogiochi. Solo il padre di Donati ha chiesto: Potrebbe dargli meno
compiti?. Io assegno compiti uguali per tutti, a certi ragazzi (Reyes
uno di questi) anche un supplemento di esercizi, e ciascuno li
svolge in modi e tempi disuguali, tra la palestra e un videogioco, e
io me ne accorgo solo dopo che ho parlato con i genitori!
Mi barcameno tra rassicurazioni e promesse: star dietro a suo
figlio, controller pi spesso il suo quaderno, ecc. E mano mano
cresce il mio sgomento: ce la far a tenere impegnati i faciloni? A
dare a ciascuno il giusto, azzeccato programma-stampella (dettati, riassunti, lettura a voce alta, ecc.)? A non sovrapporre troppo il
mio tempo con la loro percezione del tempo?

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Tornata a casa con la quasi certezza di aver sbagliato tutto, faccio piani meticolosi: per due settimane lascio perdere la storia,
rendo pi agevole la grammatica con un unico modulo su frase
semplice e complessa e sulla punteggiatura, sposto la geografia al
venerd: due ore di esercizio in classe, per gruppi: uno ripete la
lezione, il compagno lo sta a sentire e lo corregge, con il libro aperto (il libro che ho in adozione si presta ad essere ri-usato per fare
discorsi: lunghi paragrafi di storia economica e politica, le religioni, le lingue, i costumi dei popoli extra europei). Questo metodo
(tu lo dici a me io lo dico a te) me lha suggerito una collega: pare
che funzioni.
Quanto alle verifiche, prima della vacanze di Natale tre giorni di
compito in classe. Lultima ora del luned, in I G, correzione dei
compiti alla lavagna: sospender per due settimane la lettura dei
libri di narrativa. Insomma, far in modo che quelli finora incerti
poggino i piedi ben piantati su un terreno certo.
Ma so gi che non potr contare su un periodo liscio: luned
c la prova di evacuazione, venerd lassemblea di Istituto, gli insegnanti ATA39 sono in fermento, le prime due ore di gioved la classe ha un incontro con la psicologa Bisogna imparare s a fare
piani, ma soprattutto bisogna imparare a disfarli.
Rosalba

Roma, 15 dicembre

Caro Beppe,
tu insegni una materia scientifica e il metodo per capire la scienza, io devo dare gli strumenti linguistici perch il capire abbia
voce. Litaliano il pane. Eppure anche a me, anche se cerco di
39 Attivit

tecnico aggiuntive.

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ridimensionare il ruolo della mia materia nel tentativo di alleggerire le mie responsabilit, succede di pensarla come la pensano tutti:
Come va in italiano? Chi linsegnante di italiano?, chiedo quando so di un ragazzo che va male a scuola.
Noi capiamo, solo che non lo sappiamo dire, disse Demarco.
Tu scrivevi tempo fa che molto pi facile fare che dire, e poi
argomentavi sulla bellezza del fare e del desiderare Per noi
donne ci scontato, inscritto a tal punto nella nostra cultura
che non potremmo condurre la nostra vita diversamente. per gli
uomini che la bellezza del fare e del desiderare costituisce una scoperta (le donne, nel frattempo, stanno scoprendo lutilit del dire e
del farsi sentire).
La lingua materna incorporata in ciascuno scrivi ,
diverse sono le storie personali, ciascuno ha un modo di apprendere incorporato nella biologia: e questa una premessa indubitabile. Lasciare che si sviluppino sapere e saper fare nella variet e
diversit dei percorsi. Ah, come bello il mondo quando vario!
Se non fosse che, usciti dalla scuola, a scegliere cosa fare sono
soltanto quelli che le cose le sanno fare e soprattutto dire nel modo
universalmente riconosciuto come appropriato: un dire piano,
fluente, grammaticalmente a posto, insomma: classico.
Il discorso parlato: ecco dove inciampano. Ecco labilit che per
loro sarebbe la chiave di tutto, la carta vincente. Non fosse altro che
per questo: nessuno si permetterebbe di bocciare, di giudicare male
un ragazzo che sa dire le cose che sa.
E i nostri ragazzi? Che fanno loro a casa? Leggono, capiscono,
chiudono il libro. Oppure capiscono a scuola (dalla spiegazione) e
a casa danno solo unocchiata al libro. Invece, proprio quelli che litaliano non lo masticano e sono i pi, nelle scuole come la mia e
la tua sintende a casa dovrebbero ripetere il contenuto.
Ricordi la bella formuletta? Ripetere il contenuto. Tu dici che
non hai nessuna nostalgia del tempo in cui si imparavano a memoria pappardelle incomprensibili. E quel tantissimo che ha imparato la tua Sonia Montagni non viene certo da un acritico bla-bla.

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Nel passato, anche io ridevo a sentire di una pratica cos poco


intelligente. Ma poniamoci laltra domanda: e se fosse salutare ripetere a memoria pappardelle? E se questo bla-bla fosse non stupido
ma necessario? Magari riferito a cose gi lette e comprese?
Leggere e ripetere il contenuto, questo semplice e grandioso suggerimento, cos essenziale e cos facile da applicare, mi ha fatto
ripensare a tanta pratica didattica (recente) incentrata su verifiche
veloci, oggettive: risposte a domande, domande mirate a risposte
mirate: Elenca i personaggi della storia, oppure: Qual il luogo
della vicenda? In quanto tempo si svolge?, ecc.
Com che cos difficile ricordare le cose studiate a scuola?,
ho detto ai ragazzi della II G. Com che un fatto, una storia, un
concetto li capiamo ma il giorno dopo ce li siamo gi dimenticati?
Perch non ci dimentichiamo come si attraversa la strada, come si
allacciano le scarpe, come si parcheggia il motorino? Perch la
formazione della Roma, della Lazio, titolari e riserve nel campionato di due, tre anni fa quanti goal, quanti calci dangolo, chi era
larbitro li tenete impressi indelebili nella memoria?.
Lapprendimento culturale labile, scivola come lacqua su una
pietra dura e impermeabile Ho disegnato alla lavagna un cerchietto (una pietra liscia) e, accanto, due tratti ondulati e paralleli
(una zolla porosa), poi goccioline di pioggia. Vedete, qui la pioggia incontra resistenza e non si ferma, la zolla invece lacqua se lassorbe. La Storia, la Fisica, ecc. se ne vanno chiss dove, non penetrano nella vostra mente, la memoria non le ferma. A meno che
e qui ho disegnato dei piccoli fori nella pietra a meno che voi
non scaviate dei varchi per far penetrare lacqua. Questo lo studio: il leggere, ripetere, titolare, fare schemi, riassunti, ecc. incardinano nella mente la memoria di quello che studiate, fino al punto
che potrete dopo richiamare nozioni e concetti quasi senza rendervene conto: la memoria inconsapevole (mente e corpo insieme),
la stessa che ci preserva dal finire sotto le ruote di unautomobile.
In I G sto lavorando attorno alla coerenza: come si realizza,
linguisticamente, la coerenza di un testo. I ragazzi spesso non sanno

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organizzare un discorso, dirlo, scriverlo di filato. E allora? Dove se


non a scuola possono imparare a organizzare discorsi coerenti?
Ti dicevo in una precedente lettera: quando li interroghiamo
restiamo delusi, solo frasi smozzicate. Una delle ragioni (non lunica, certo) che la scuola li abitua sin da piccoli e poi via via la procedura resta uguale a questa forma di comunicazione: linsegnante spiega (fa discorsi compiuti), lo studente risponde a domandine
con rispostine. Ma che succede dopo? Dopo che si fa? Forse bisogna esporre (ripetere) il contenuto. Tu da bravo bruneriano mi
correggerai: meglio sarebbe dire che dopo si raccontano storie. La
sostanza non cambia. Per trovo pi pregnante anche se generico, e
forse pi efficace proprio in virt della sua genericit, ripetere il
contenuto: diamo cos a genitori e alunni una consegna allantica, che poggia sulla memoria di almeno un secolo di scuola.
Rosalba

Roma, 17 dicembre

Caro Beppe,
certi giorni vivo in uno stato di grazia: nessun lavoro bello
come il mio. In I G consegno i compiti di storia. Molti gli otto e i
nove. Alla lista delle voci per la valutazione (paragrafazione, ortografia, concordanze, ecc.) ne avevo aggiunto due nuove: capacit
di attenzione e coerenza del discorso, e queste sarebbero state
decisive per il voto. Il giorno del compito avevo letto ai ragazzi la
pagina di un capitolo di storia: cretesi e micenei, gi studiati una
settimana prima; dovevano perci costruire un discorso su un argomento gi noto e rimasticato. Una difficolt alla volta: nei giorni
precedenti, capire e ragionare (domandine e rispostine), adesso,
costruire anzi ri-costruire un discorso speculare a quello appena
ascoltato: una prova sulla coerenza, sulla sintassi. E per lasciare un

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solo vincolo (le scelte sintattiche), la scaletta dei fatti lavevo dettata io.
Ho preso i compiti uno per uno, ho letto a voce alta i passaggi
logici grammaticalmente riusciti, riusciti anche nel compito di
Tonucci, Riotti e Corsetti. Tonucci ha tirato fuori da una delle
numerose tasche la calcolatrice per aggiornare la media dei suoi
voti. Riotti ha chiesto due volte: Allora, sono andato bene?. Io ho
finto di non essermi meravigliata del suo successo: Che lo chiedi a fare? Io non dubitavo che ci saresti riuscito. Capriati e Manzi
sono stati gli unici a non aver tenuto conto dei vincoli della prova.
Hanno preso quattro un compito scopiazzato. Superati dai compagni che ritengono peggiori, si sono svegliati dal lungo sonno,
finalmente. Da oggi non capeggiano pi il gruppetto dei candidati
alla bocciatura: gli manca il seguito. Prevedo perci un ravvedimento. Posso sedermi al primo banco? ha detto Manzi venendo
dal fondo dellaula gi carico delle masserizie: le sciarpe della Roma
e una pila di libri, lui li porta tutti ogni giorno perch non sa mai
che diavolo si far quel giorno. Gli stato cambiato per tre volte il
tutor, lultimo della Lazio, durato poco. Lintera macchina del
tutoraggio non ha funzionato: dapprima si scambiavano i ruoli, poi
non si capito pi niente.
Rosalba
P.S.: Ho appena finito di leggere un libro sulla nozione giapponese di iki: una parola intraducibile in italiano: forse con seduzione, estetica, bellezza... Iki una casa dal tetto appena appena
spiovente, iki il chimono tradizionale dalle righe parallele, unica
forma decorativa della stoffa. Poi verranno in uso motivi complicati: e si perde liki. Si perde la purezza della forma, in cambio di
fronzoli. Ricordo lo scriba giapponese che al museo di arti popolari si esib nella cerimonia della scrittura: un rito lungo, complicato,
lungo e complicato quanto la cerimonia del t. In Giappone ancora oggi le famiglie della borghesia intellettuale curano leducazione

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estetica dei figli adolescenti mandandoli periodicamente alla cerimonia del t.


Quando penso che per ricrearsi lo spirito Capriati e compagni
vanno al centro commerciale di Spinaceto Allora ho avuto come
unilluminazione, ho deciso: compiti per le vacanze di Natale: niente storia, niente geografia, niente grammatica (un sol uomo: evviva!). Andrete in gruppo a bere lacqua alla fontana di piazza di
Spagna, a raccogliere fiori di malva al giardino degli aranci
(Aventino), alla serra delle orchidee dellOrto botanico (alla lavagna, le istruzioni per arrivarci: Roma non la conoscono).
E se uno dice che ci andato e invece non vero?. C modo
di provarlo: una fotografia.

Roma, 16 gennaio

Caro Giuseppe,
vorrei dedicare pi tempo a entrare nel merito delle tue lettere,
ma il pomeriggio, tra compiti da correggere e lezioni da preparare,
il tempo che resta se ne va a tenere aggiornato il mio diario (che
il laboratorio per queste lettere). Il fatto che la quotidianit, nei
suoi minuti particolari, occupa quasi interamente i miei interessi.
Lo sento come il solo terreno sul quale ho qualcosa da dire.
A partire da quanto hai scritto tu sullautogestione, mi restano in
sospeso alcune domande, a cominciare da questa: cosa accade
quando insegnanti e studenti diventano consapevoli della natura
politica dellistruzione? Per me, significa accentuare laspetto pragmatico del mio lavoro; per loro diventa la scoperta che a scuola si
pu discutere anche daltro, e, come tu dici, si diventa capaci di
valutare quel diverso modo di stare a scuola e di pensare la scuola
con strumenti che nella scuola stessa hanno appreso. Non quindi con parametri esterni, non in una scala di giudizio in cui la cultura occupi un posto secondario o nessun posto (questa tua osservazione la trovo interessante).

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