Avery: Edizione italiana
Di Kat Savage
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Eppure, quando siede da solo sotto il suo portico ad ascoltare le cicale, ha una breve crisi di coscienza e desidera qualcuno con cui parlare.
A Helena Davenport non serve un uomo, né vuole averne uno. Erede della fortuna e degli affari del suo defunto padre, il suo scopo è avere successo. Ma apparentemente neanche nel Ventunesimo secolo è possibile sfuggire alle aspettative della società, e il consiglio d’amministrazione vuole che la regina incoroni un re.
Tutto cambia quando durante un addio al nubilato si ritrova a farsi tatuare da nientemeno che quel cattivo ragazzo di Avery e le viene in mente un piano. Lui è perfetto: tatuaggi, barba incolta, mente sveglia. Oh, ed è anche incapace di innamorarsi di lei. Il finto fidanzato ideale.
Se concederà ai membri del consiglio d’amministrazione ciò che le hanno chiesto forse smetteranno di starle addosso e dovranno rimangiarsi le loro parole. Cosa mai potrebbe andare storto?
Alcuni eventi sociali mettono alla prova la coppia e li costringono a stare vicini. Troppo vicini. La situazione si fa bollente e piuttosto preoccupante.
Il piano di mantenere le cose platoniche inizia a vacillare. Riusciranno i due a non perdere la calma, oppure cederanno al fuoco che divampa tra di loro?
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Anteprima del libro
Avery - Kat Savage
1
AVERY
ERA FACILE LASCIARSI NEGLI ANNI NOVANTA
Sono nel bel mezzo di un’esperienza extracorporea. Solo che non è affatto come la gente la descrive. Non sono fluttuato via dal corpo e fino al soffitto. Se abbasso lo sguardo verso la mia sagoma addormentata non assisto impotente allo svolgersi degli eventi. Potrei descriverla come una via di mezzo tra un’esperienza extracorporea e un dialogo tra i fantomatici angioletto e diavoletto sulla spalla.
Solo che non vedo nessuna traccia di angeli.
Mi sembra di starmene seduto accanto a me stesso e di ridere da solo al pensiero di rovesciare il drink davanti a me unicamente per divertimento.
Natasha siede all’altro lato del tavolo tra le mie due versioni, l’unica cosa reale su cui concentrarmi nel ristorante. Avventori e suoni sono sbiaditi e offuscati mentre lei mi molla. Perché secondo lei stiamo assieme. Ma non ho il coraggio di dirle, nelle parole dei poeti della strada, che era solo una scopata e nient’altro. Devo proprio essere una creatura senza cuore.
«Penso che non siamo fatti l’uno per l’altra,» mi spiega. «Non sono sicura che possiamo renderci reciprocamente felici come entrambi meritiamo.»
Le sue parole rendono la rottura gentile, per quanto possibile. Si sta comportando da persona generosa con me, e penso che lo sappiamo entrambi. Ma Natasha è dolce, forse troppo per uno come me. Non credo che abbia neanche una goccia di cattiveria in corpo. E di certo io non voglio peggiorare le cose comportandomi da stronzo.
«Capisco,» dico bevendo un sorso dell’acqua e limone davanti a me. Non ho ordinato niente di alcolico quando ci hanno fatto accomodare. A Natasha non piace quando bevo e io lo rispetto. Ora però vorrei averlo fatto.
«Forse siamo semplicemente troppo diversi,» aggiunge.
«Probabile,» concordo. «E tu ti meriti di meglio.»
I suoi occhi si velano di lacrime e distolgo lo sguardo. Non voglio vederlo.
«Non essere triste.» Tendo una mano sul tavolo per prendere la sua. «Andrà tutto bene, vedrai.»
Ho incontrato Natasha tre mesi fa nello studio di tatuaggi. Ho la fama di andare a letto con le clienti? Purtroppo sì. Non lo faccio apposta. È che lo rendono così facile. Okay, è una cosa stronza da dire, persino per me. Quello che intendo è che per loro sono la realizzazione di una fantasia. E a me non dispiace.
Mi dà un colpetto sulla mano, mi saluta, quindi si alza e se ne va in fretta.
Mi toccherà rimanere qui e mangiare da solo come un tipo strambo. Oh, e dovrò pure pagare il conto. Molto scortese. Comunque, probabilmente mi merito di peggio.
Negli ultimi tre mesi Natasha e io siamo usciti non più di tre volte, sebbene non li definirei proprio appuntamenti romantici. Lei invece sì. In altre occasioni sono andato da lei per guardare un film la sera dopo il lavoro.
Si stava riprendendo dalla relazione con il fidanzatino del college, un fighetto con la pelle più delicata della sua. E io? Io ero il rude tizio tatuato con la barba lunga e zero problemi a farle dimenticare l’ex a colpi d’uccello. Non credo che nel suo appartamento ci sia una singola superficie senza le impronte dei nostri culi.
Oh, be’. Passiamo alla prossima.
Finisco di mangiare e ordino una fetta di cheesecake alla fragola da portare via. La mangerò verso le due di notte, quando mi sveglierò con la voglia di uno spuntino. Capita praticamente tutte le notti.
Il telefono mi vibra in tasca mentre cammino sul marciapiede davanti al ristorante, diretto verso il mio pick-up.
Hawk: Domani c’è bisogno di te.
Io: Per cosa?
Hawk: Il tuo appuntamento preferito.
Eh? Il mio appuntamento preferito? E in quello che dovrebbe essere il mio giorno libero? Ci pensai per un istante prima di rispondergli, ma non avevo idea di cosa intendesse.
Io: Parla chiaro, coglione.
Hawk: Addio al nubilato.
Tempismo perfetto. Proprio il genere di cazzate di cui ho bisogno dopo questa sera. Anzi, in realtà mi servirebbero simili occasioni per far casino almeno una volta a settimana, ma mi accontenterò.
Confermo il mio orario d’arrivo e metto in moto la vecchia Loretta. Sì, sono quel tipo di ragazzo. Il mio pick-up arrugginito si chiama Loretta. Ce l’ho da dieci anni, e nel decennio precedente era appartenuta a qualcun altro. È vecchia e perfetta, ed è il primo banco di prova per le mie donne. Se a loro non piace, allora non posso farci sesso.
Lo so cosa state pensando: Il classico tizio con un vecchio pick-up che non vuole l’amore. E forse avete ragione. Ma ho degli strati. Un sacco di strati. E ci vuole più che una donna ammiccante in una gonnellina a fiori che vuole farsi un tatuaggio sul fianco per attirare la mia attenzione. Cosa posso dire? Sarò anche un mostro, ma non per colpa mia.
La ghiaia del vialetto scricchiola sotto le gomme nel momento in cui mi fermo e spengo il motore. A parte per l’abbaiare del cane si sente solo il coro delle cicale al limitare degli alberi. Certo, lavoro in centro in una zona trafficata, con un gran viavai di gente sul marciapiede a tutte le ore del giorno e della notte, ma quando torno a casa voglio solo godermi il tranquillo crepitare del fuoco in giardino e il conforto della mia cagnolina stesa ai piedi.
«Ehi, bimba,» dico, infilando le chiavi nella toppa e chinandomi per salutarla.
Vega mi appoggia il muso nel palmo, e io ignoro l’emozione che la sua età avanzata mi causa. Sembra solo ieri che era una cucciolotta vivace. Ora sul suo muso stanno sbucando i primi peli bianchi.
Accendo la luce in cucina e prendo un osso dal cestino sul bancone, che lancio alla mia bimba. Poi recupero una birra dal frigo, svito il tappo e lo getto nel cestino prima di incamminarmi verso il patio sul retro.
Vega mi accompagna con lealtà inossidabile, tutta contenta con il suo bocconcino. I cani sono semplici. Vogliono amore, qualche osso e un po’ di esercizio fisico. E non importa quanto a lungo stai via, sono sempre felici di vederti tornare. Sono le donne a darmi problemi. Troppe emozioni, pensieri e sentimenti.
Non è così che sono cresciuto. A casa mia non ci si abbracciava né baciava. Niente storie della buonanotte o cene in famiglia, e di certo non parlavamo di sentimenti. In effetti, devo ritenermi fortunato di essere riuscito a svignarmela senza beccarmi una delle lezioni da uomo di mio padre, ovvero finire a fare il ruolo del sacco da boxe.
Quindi non è che non voglia trovare l’amore o una donna con cui riempire questa casetta con qualcosa di diverso dal silenzio. Più che altro che non penso di essere tagliato per certe cose. Cosa ho da offrire?
Niente di buono, ride l’altro me stesso al mio fianco. Proprio niente di buono.
2
HELENA
CHE STRESS
Non conosco nessuno che cerchi di semplificarsi la vita. Niente incontri con poche persone o pasti tranquilli, figuriamoci assurdità come affrontare le decisioni della vita con un briciolo di umiltà.
Ecco perché quando mia sorella Blythe ha accettato la proposta di matrimonio del suo fidanzato ho subito capito che mi sarei trovata ad affrontare una sfilza di eventi per il matrimonio e le damigelle.
Questo week-end sarà il momento dell’addio al nubilato, con tanto di viaggio un paio d’ore a nord per farci dei tatuaggi. Perché abbiamo dovuto lasciare Nashville, guidare quasi tre ore fino a Louisville tutte stipate in una limousine, per farlo? Perché Blythe non poteva solo prenotare un appuntamento di gruppo per i tatuaggi, no. Ha insistito che pagassimo per far chiudere l’intero studio e averlo tutto per noi.
Carino, vero? E visto che stiamo andando a tatuarci, nessuna sta bevendo, ma abbiamo un paio di casse di champagne per il dopo, e mia sorella ha abbastanza acqua minerale da annegare un mulo. Lei non beve più, e io sono orgogliosa di lei. Non impedisce alle altre di divertirsi, però. Inutile dire che trovarmi in mezzo a tutte queste donne senza neanche il conforto dell’alcol mi sta rendendo nervosa.
«Penso che mi porterò a letto uno degli spogliarellisti,» dice Sandra ridacchiando.
«Oddio, che schifo,» la rimprovera Victoria.
Vanno avanti così da due ore. Per fortuna siamo quasi arrivate. Voglio bene a Blythe, davvero, ma le sue amiche sono insopportabili. Sono le ultime superstiti dei suoi giorni da festaiola. Non ne sono sopravvissute molte, quindi non me la sento di rimproverarla per quelle che le sono rimaste.
In quanto damigella d’onore mi è stato dato l’incarico di mantenere in riga le sue amiche e assicurarmi che Blythe non faccia niente di stupido. E mi è stato affidato questo ruolo per un motivo: la mia resting bitch face è da manuale. Neanche il suo fidanzato Monroe, uno specialista nel settore della sicurezza, è preoccupato.
Quando un’ora dopo ci accalchiamo fuori dall’ingresso dell’hotel in centro, sono sollevata per l’aria fresca che mi accarezza il viso. Quella nuvola di profumo costoso stava iniziando a sopraffarmi. Inclusa la sposa, siamo in otto in totale. Non conosco gran parte delle partecipanti, se non di nome, visto che frequentiamo gli stessi circoli. Inoltre, a giudicare dal loro comportamento, le cose rimarranno così.
«D’accordo, signorine,» ci chiama Blythe. «Saliamo nella suite, rinfreschiamoci e tra un’ora andiamo allo studio.»
Il suo entusiasmo basta a rendermi felice. Quello e l’idea del tatuaggio. Non ne faccio uno da quando nostro padre è morto. Sono felice di aggiungerne un altro alla mia piccola collezione.
Dopo quella che sembra un’eternità di battutine e cotonature siamo pronte ad andare. Per la cronaca, dopo aver sentito che tatuaggi vogliono fare le altre, sono terrorizzata. Non credo che ci abbiano pensato molto. A parte mia sorella. Una di loro vuole chiedere al tatuatore di decidere al posto suo. Un’altra intende bendarsi e scegliere alla cieca. A quanto pare questo è ciò che chiamano cogliere l’attimo. E non fa per me.
Dieci minuti dopo siamo di fronte a un edificio che sfoggia l’insegna Bird’s Eye Tattoo Studio. Il logo, coerentemente, è un teschio d’uccello.
Ci fermiamo tutte quando un uomo esce ad accoglierci. E con uomo intendo un dio in abiti mortali. Per l’esattezza wow, questo sì che è un uomo.
La sua comparsa zittisce il gruppo, e già questo è un miracolo. Okay, ho mentito. Non è un dio. Decisamente è un demone che conosce diversi trucchetti.
«Benvenute, signorine,» ci saluta. «Mi chiamo Hawk e sono il proprietario del Bird’s Eye. Ci aspetta una serata divertente.»
La futura sposa fa un passo avanti e gli stringe la mano, ringraziandolo per la sua disponibilità. I denti candidi di Hawk ci abbagliano tutte.
Una donna bionda e minuta compare al suo fianco e si presenta come Drew, la moglie. Un sospiro collettivo perfettamente udibile percorre il gruppo mentre entriamo nello studio. Ovvio che uno così sia sposato. Per dire la verità, non ci stavo davvero facendo un pensierino.
Trovo assurdo che la gente creda che sia impossibile ammirare fisicamente qualcuno senza secondi fini. Non è che due persone debbano saltarsi addosso per forza, ma significa solo avere occhi per vedere.
Le ragazze iniziano ad aggirarsi per lo studio osservando le stampe alle pareti e sfogliando i cataloghi. Sapevamo che in quel posto lavoravano quattro artisti, tre fissi e uno ospite come aiuto. Quattro di loro, otto di noi: questo significa due giri di tatuaggi. Non male. Hanno anche portato lo champagne da bere dopo il nostro turno.
Una volta dissuaso Blythe dal tatuarsi addosso il nome di Monroe e aver convinto un’altra delle ragazze a evitare il tatuaggio di un coniglietto scelto alla cieca, fanno accomodare le prime quattro di noi. Io scelgo di aspettare il secondo turno per riflettere ancora un po’ sulle mie idee. Non è facile decidere, ma non per mancanza di opzioni. Continuo a ripassare tutte le alternative, ma quando è ora di scegliere mi blocco.
Il familiare ronzio della macchinetta da tatuaggi che prende vita mi manda un brivido lungo la schiena. Adoro questo suono. È praticamente inebriante. Decido di fare un giro davanti ai cubicoli dei tatuatori nella speranza di sbirciare il loro stile e poter così scegliere quello con cui mi sento più in sintonia.
Il proprietario, Hawk, è silenzioso e concentrato, mentre la donna su cui sta lavorando non tace un attimo e continua ad arricciarsi i, capelli. Drew è all’altro capo della stanza e non sembra colpita. Scommetto che la loro relazione è molto salda. Di certo sono abituati alle attenzioni che lui riceve.
Il tizio successivo probabilmente è l’ospite, perché il suo cubicolo è meno ingombro e non ci sono oggetti personali come negli altri. Il suo nome è scarabocchiato su un pezzo di carta invece che su un’elegante targa come per gli altri. Jericho. Con quel nome dovrebbe indossare un cappello da cowboy e un cinturone con una gran fibbia dorata. I suoi capelli pettinati all’indietro e gli occhi verdi sono comunque piuttosto affascinanti.
Segue un certo Hanson. La chioma lunga fino al mento è spettinata e la tiene scostata dal viso legandola in un codino. Ha una barba corta e piena. Di tutti i tatuatori lui è il più loquace e allegro. La sua risata è vivace e contagiosa.
L’ultimo… lo vedo a stento in faccia. Ha una bella barba, molto più lunga di quella di Hanson. Indossa un berretto girato all’indietro ed è curvo in avanti e concentrato. Non sembra rivolgere la parola a Victoria. Scruto il suo scompartimento e mi fermo al cartello che mi rivela che il suo nome è Spider. Che strano. Non mi ricorda per niente un ragno. Guardando Hawk si nota subito che quel nome gli sta a pennello. O almeno io l’ho notato. Invece questo tizio non c’entra niente con il soprannome che ha scelto.
Questo cubicolo mi piace, però. Le sue opere appese alle pareti sono notevoli. E poi non interagisce: un altro punto per lui. Pare che io abbia scelto il mio campione.
3
AVERY
ASPETTA UN ATTIMO!
Nonostante il mio silenzio mentre tatuavo questa ragazza, lei è comunque riuscita a darmi il suo numero di telefono, scribacchiato sulla banconota della mancia. Me l’ha infilata in tasca con una certa aggressività. Sfacciata, lo so. Non mi ricordo neanche come si chiami. So solo che è molto sicura di sé, e lo rispetto.
Facciamo una pausa tra il primo giro di tatuaggi e ci prepariamo per il secondo. Per dieci minuti beati torno in ufficio, butto giù una mezza bottiglietta d’acqua e chiudo gli occhi.
Oggi non sono al massimo della forma. Non ho voglia di flirtare con queste donne. Pensavo che l’avrei avuta. Davvero. Non fraintendetemi: nell’insieme sono bellissime. Sono sicuro che potrei convincere una qualsiasi di loro a venire a casa con me. A parte la sposa.
Drew bussa alla porta. «Esci dal tuo nascondiglio,» dice. «Devi punzecchiare la prossima.»
Faccio un ultimo respiro ed esco, ma lo butto fuori mentre mi avvicino al mio cubicolo. La bionda in piedi lì dentro sta sfiorando con dita delicate il disegno che ho realizzato due anni fa.
«Ti piace?» le chiedo. Gira sui tacchi, chiaramente sorpresa dal mio arrivo. «Scusa, non volevo spaventarti,» le dico.
«No, va tutto bene. E comunque sì, mi piace molto.»
Lancio un’altra occhiata al dipinto. Vivide sfumature di rosso e blu, qualche pennellata di viola, ed ecco comparire qualcosa che ricorda un cuore anatomico. Eppure, da artista non riesco a ignorarne i difetti. Se lo dipingessi ora sarebbe molto diverso.
«Grazie.» Faccio una pausa aspettando che mi dica il suo nome.
«Helena,» risponde.
«Grazie, Helena.» Le sorrido. «Siediti pure.»
Si accomoda e si appoggia allo schienale della sedia finché non è comoda.
«Allora,» inizio. «Cosa facciamo?»
La guardo mordicchiarsi il labbro, ma non in maniera sensuale. Affonda i denti di lato, e tutta la parte inferiore del suo viso si contorce. Non è sexy, ma è carina. Spesso le donne si sforzano troppo di apparire affascinanti. Mi piace molto di più quando non lo fanno.
«Vorrei un fiore di lavanda. Un piccolo bocciolo,» risponde.
«Perfetto. Dove?»
Si guarda con desiderio il braccio per un attimo, poi cambia idea: sulla schiena, sotto la scapola. Il suo sguardo mi dice che non lo vorrebbe lì, ma non insisto. È raro che cerchi di dissuadere i clienti dalle loro decisioni. Certo, se arriva un tizio e vuole farsi un unicorno sulla testa pelata provo a farci due chiacchiere.
La ragazza è carina e indossa una blusa di seta bianca con i bottoni. Il suo abbigliamento è molto diverso da quello del resto del gruppo.
Solleva lentamente le mani e slaccia il primo dei bottoni di perla, poi il secondo. La guardo