Il Console Infiltrato
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Il 2 novembre 1972 tre giovani comunisti entrarono nel consolato francese a Saragozza (Spagna) e provocarono un incendio che uccise Roger Tur, console onorario di Francia. Anni dopo, in una declassificazione degli archivi della CIA, emerse che durante la guerra il console spiava i nazisti e consegnava i suoi rapporti agli americani.
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Anteprima del libro
Il Console Infiltrato - Esteban Navarro Soriano
IL CONSOLE INFILTRATO
Esteban Navarro
Contenuto
Diritti d'autore pag 7
Dedica pag 11
Citazioni
Avvertimento
Prefazione
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Epilogo dell'autore
Appendice 1
Appendice 2
Allegato 3
Ringraziamenti
Nota dell'autore
Altri romanzi
IL CONSUL INFILTRATO
© Esteban Navarro Soriano. luglio 2019
Formato Kindle di Esteban Navarro
www.estebannavarro.com
Copertina: Licenza Pixabay
ISBN: 9788494755897
ASIN: B07TLDCC5T
È severamente vietata, senza l'autorizzazione scritta del titolare dei diritti d'autore, sotto le sanzioni previste dalla legge, la riproduzione parziale o totale di quest'opera con qualsiasi mezzo o procedura, inclusa la riproduzione e l'elaborazione informatica, e la sua distribuzione a noleggio o prestito di copie.
Prima recensione giugno 2019
Il 2 novembre 1972, tre giovani comunisti entrarono nel Consolato Francese a Saragozza e appiccarono un incendio che uccise Roger Tur, Console Onorario di Francia.
Anni dopo, in una de classificazione degli archivi della CIA, è emerso che durante la guerra il console spiava i nazisti e consegnava i suoi rapporti agli americani.
A Esther, grazie a lei scrivo.
A Raúl, quando ero giovane avrei voluto essere come lui.
La morte del Console Roger Tur è stato uno stupido omicidio.
Maurice Schumann
(Ministro degli Affari Esteri di Francia nel 1972)
––––––––
Alla corte marziale è stato dimostrato che non avevamo intenzione di uccidere nessuno.
Non c'è niente di cui mi debba pentire.
Luis Javier Sagarra de Moor
(Membro del Collettivo Hoz y Martillo)
––––––––
Se qualcuno dice di avermi dato informazioni segrete, il crimine è stato commesso da lui, non da me.
Margaretha Geertruida Zelle
(Mata Hari)
Avvertimento
I luoghi che appaiono in questo libro sono vagamente ispirati a luoghi reali.
Anche i personaggi e gli eventi narrati sono ispirati ad eventi reali, o che avrebbero potuto essere reali, ma ricreati con la stessa libera ispirazione. La storia che segue deve essere considerata in ogni caso ed in tutti i punti di vista frutto della mia immaginazione e non deve attribuire atti o parole specifici a nessuna persona che esiste o che è esistita nella realtà. Gli eventi che ispirano questo romanzo potrebbero non essere accaduti in questo modo, ma è così che gli vedo ed è così che gli racconto.
––––––––
Esteban Navarro
PREFAZIONE DEL CONSOLE ONORARIO DI FRANCIA
Ingegno, coraggio ed umanità
Non ho potuto conoscere Roger Tur, Console Onorario di Francia a Saragozza dal 1934 al 1972, a causa della barriera temporale. Ma ho conosciuto caratteristiche della sua biografia attraverso coloro che si sono occupati di lui. Così mi sono reso conto che la sua vita a Saragozza merita studio e memoria.
Esteban Navarro ce l'ha fatta. Il suo romanzo Il console infiltrato
rende proprio omaggio a Monsieur Tur, la cui morte nel novembre 1972 fu uno degli episodi più tragici del tardo regime franchista a Saragozza.
Gli eventi che hanno concluso la sua vita erano chiari; gli conosciamo con ragionevole certezza. I fatti provati dalla sentenza finale sono considerati veri
. Il romanzo inizia proprio così, dalla fine della vita di Tur, da quello stupido omicidio di alcuni ragazzini agli albori della vita, vittime del franchismo e dell'alienazione ideologica.
Se la morte di Ruggero Tur fu oggetto di indagine e processo, per cui gli autori ebbero la difesa di illustri avvocati di Saragozza, la vita del Console Francese ci era però sconosciuta.
Il romanzo ha il pregio di portarci a spasso per Saragozza in due diversi periodi del Novecento: gli anni Quaranta ed i primi anni 70. L'autore descrive accuratamente luoghi, botteghe, strade e piazze, costumi ed ambienti.
Roger Tur viveva come un cittadino di Saragozza. Imprenditore notevole, gestiva una piccola fabbrica di melassa e liquirizia ed adempiva ai suoi obblighi come chiunque altro a Saragozza. Dal 1934 fu incaricato di rappresentare la Francia in città e facilitare la vita amministrativa dei suoi connazionali. E lo ha fatto. L'attività commerciale e la funzione consolare gli procurarono notorietà sociale, ma proporzionata, ragionevole, discreta. Tuttavia...
––––––––
Prima di leggere Il console infiltrato
avevo già avuto eco, attraverso la mia attività consolare, di qualche episodio notevole di Tur agli albori della guerra civile. In quell'estate del 1936, con ingegno, abilità ed esemplare umanità, seppe esercitare le sue funzioni ed aiutare i perseguitati per la loro ideologia, senza temere il pericolo cui era esposto. Roger aveva tratti comuni, mutatis mutandis, con altri diplomatici spagnoli nella seconda guerra mondiale:
Arguzia, coraggio ed umanità, in un clima di fanatismo ideologico e di stato di polizia.
Non c'è da stupirsi che una personalità come la tua abbia sentito il vecchio appello a difendere la tua patria - Aux armes, citoyens!
- dopo l'invasione tedesca. Roger ha combattuto il nazismo con i mezzi a sua disposizione. Era intelligente, aveva coraggio ed aveva molta umanità.
Il suo campo di battaglia era Saragozza. Il suo posto di combattimento, il consolato onorario.
Ed Esteban Navarro è stato incaricato di raccontarci, in modo divertente ed appassionato, come ha combattuto la sua particolare guerra.
Roger soffriva del problema della solitudine. I rapporti con la sua gerarchia nell'ambasciata, o con il consolato generale, erano complessi, così come il regime di Vichy. Non poteva chiedere al suo ambasciatore od al suo Console Generale istruzioni, ordini o consigli specifici. Ha combattuto da solo, a Saragozza, ascoltando e raccontando.
Esteban Navarro è riuscito a raccontare perfettamente la vita e la tragica fine di Roger Tur.
Era uno di più di Saragozza, di nazionalità francese, che durante gli anni più turbolenti del Novecento ha saputo essere una lingua viva che perpetua il grido -Saragozza non si arrende!-
Raphaël Emmanuel Ledesma Gelas
Console Onorario di Francia a Saragozza
Capitolo 1
Giovedì 2 novembre 1972.
Alle dieci e mezza di mattina la via La Salle è tranquilla come qualsiasi altro giorno della settimana. I negozi hanno appena aperto, le serrande si sono alzate da poco più di un'ora, lasciando entrare qualche cliente. Un Seat 127 rosso passa piano, con il classico ronzio del motore vecchio a carburatore ed il cigolare degli ammortizzatori arrugginiti. Appena dietro, abbastanza da quasi toccarsi coi paraurti, un Citroen GS di un giallino slavato simile a quella sciacquatura di piatti che chiamano champagne. Dall'altro lato della strada, una Renault 12 blu scuro sta parcheggiando davanti al numero 7. Un uomo scende e procede svelto, si guarda attorno tenendo stretto il bordo del cappotto di lana. Il capo è coperto da un cappello di quelli russi che coprono anche le orecchie. Si guarda ancora attorno, apre il portabagagli, prende rapido una valigia, si guarda ancora attorno, sbatte lo sportello. Al numero 5, un uomo in giacca e cravatta, dal completo scuro, resta appoggiato con la spalla allo stipite della porta, fischiettando una irritante canzone delle pubblicità.
Getta uno sguardo al marciapiede sgombro. Si avvicina il fine settimana e da Venerdì a Domenica non ci sarà nessuno a riordinare. Di fronte, alcuni uomini avvolti dalla nuvola di fumo delle loro sigarette conversano, sotto voce, alzando di tanto in tanto il tono. Qualche risata, poi di nuovo silenzio. Ricordi allegri che non smettono di sbiadire lentamente. Il tutto avvolto dal profumo di salmone, saltimbocca, formaggio e crocchette di merluzzo. E sopra ogni cosa, peperoni ripieni.
A pochi metri di distanza, una Seat 850 gialla rallenta in un sibilo di freni nuovi, e volta l'angolo, infilandosi in una stretta stradina laterale in direzione della vicina scuola La Salle. Si ferma, il motore si spegne, e ne scendono tre giovani che si incamminano verso la strada principale. È una buona macchina, si dice il giovane che l'ha noleggiata. I suoi 843 centimetri cubi - da cui il nome 850 - sono sufficienti per spostarli in quelle strade, ma non sono abbastanza se dovessero fuggire dalla polizia. Camminano di fretta ed a viso scoperto, con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni.
I tre si erano incontrati quella stessa mattina, alle otto e mezzo, nel bar Picón, situato in Avenida Tenor Fleta, numero 3. Luis Javier Sagarra de Moor era stato il primo ad arrivare e, mentre aspettava i suoi compagni, si era acceso una Pall Mall presa da un pacchetto che gli aveva regalato suo padre, prelevato direttamente dal Consolato Americano, dove aveva un amico che gli riforniva di tabacco ed alcol importati. Álvaro Noguera Calvet apparve cinque minuti dopo. Disse al cameriere che non voleva prendere niente e, guardandosi attorno con rapidi scatti del viso, prese una sigaretta dal pacchetto che Sagarra aveva lasciato sul tavolo; Lo accese con un nervosismo che era insolito per lui. I due si guardarono attraverso lo schermo di fumo denso che si alzava, per svanire su di un soffitto sporco ed unto. Il terzo, José Antonio Mellado Romero, era così irrequieto che gli aspettava sulla porta del bar; non aveva nemmeno la voglia di entrare. Era appena arrivato e si era limitato ad affondare il collo tra le spalle, mentre si stringeva la giacca al corpo. Da una delle finestre che si affacciavano sulla strada, gli salutava alzando la mano in modo che potessero vederlo. Tutti e tre, ora che se ne rendevano pian piano conto, mostravano una tensione insolita. Quarantotto ore prima, quando avevano pianificato cosa avrebbero fatto quella mattina, avevano visto tutto con una prospettiva migliore di adesso, che non sembrava più un piano così praticabile.
Erano emotivamente spinti a continuare ed a non essere intimiditi.
-E la macchina?- Noguera fece un cenno del capo in direzione di Sagarra.
-Alla porta- Alzò la testa per vedere se riusciva a vederla dall'interno del bar, ma nessuna delle finestre si affacciava sulla zona dove si trovava l'auto.
-Immagino che tu abbia benzina...-
-Si, come no-
-L'hai affittata a tuo nome?-
-Credi che sia davvero così tonto? Con un nome falso, ovviamnerte-
-E quale nome hai dato?-
-E che ne sò! Non me lo ricordo!-
-Potevi aver affittao un Seat 124, che è più bella e corre molto di più, in caso dovessimo fuggire- Continuò Noguera.
-Una 124 è un'osso duro per la polizia-
-In caso di fuga, è meglio che lo facciamo a piedi- Intervenne Sagarra.
-O pensi che siamo come El Vaquilla o El Lute? Se vogliono prendermi, lo faranno quando sarò morto, te lo posso assicurare-
-Smettila- Protestò Mellado, prendendo a calci il suolo per scrollarsi di dosso il freddo o l'irrequietezza.
-E ora andiamo-
Camminano in fretta, con l'angoscia disegnata sul viso dalle loro espressioni. Tutti e tre indossano pantaloni tergali e si proteggono dal freddo con giacche abbottonate fino in cima. L'aria è così fredda che è difficile respirare, graffia la gola ed il viso. Uno di loro, quello che cammina in mezzo, forse il più anziano dei tre, tiene tra le labbra violacee una sigaretta bionda, il cui fumo svanisce in un cielo plumbeo che preannuncia l'arrivo imminente del freddo intenso. Si tratta di un Bison senza bocchino, che qualche settimana fa ha sostituito con le 3 Caravelle con bustina rossa.
Ecco cosa sono in quel momento, tre caravelle.
Il giovane alla sua destra fissa la locandina del film che verrà proiettato quel fine settimana al cinema Palafox. Questo è Il seduttore, di Clint Eastwood. Pensa che vorrebbe essere come lui. Dimentico della paura, indifferente al dolore. Determinato come un pistolero del selvaggio West che entra in un bar brandendo un revolver Colt ed intimidisce spudoratamente i clienti.
Quello a sinistra guarda la locandina che annuncia la terza settimana di proiezione al Teatro Fleta del film più premiato nella storia del cinema: Ben-Hur. Legge che ci saranno due spettacoli quel pomeriggio, uno alle sette ed un quarto e l'altro alle nove. Ma per una strana sensazione sa che quel pomeriggio, appunto, non potrà andare a vedere quel film od altro.
I tre si fermano davanti al numero 3 della via La Salle. Si scambiano alcuni sguardi d'intesa, cercando di confermare che ciò che hanno pianificato per tutta la settimana, finalmente verrà realizzato. Non c'è dubbio nell'espressione dei loro occhi. Non c'è esitazione, ma c'è paura.
A vent'anni non hanno il buonsenso di ripensare a ciò che faranno, ma nei loro occhi c'è una paura insolita, la paura del fallimento. L'avevano già sperimentata un paio d'ore prima, al bar Picón, ma era solo un mormorio indistinto, una scappatoia nel piano frettoloso, ed ora è una certezza.
Sono lì e non c'è tempo o motivo per annullare ciò che è stato detto. I tre si guardano.
Nei loro occhi contemplano che c'è sicurezza, o l'illusione di una sicurezza che possono controllare solo quando tutto è andato bene.
-Ci siamo?- Chiede Sagarra.
-Ci siamo!- Rispondono all'unisono.
Hanno ancora qualche secondo per ricordare come solo tre giorni prima si erano incontrati in una casa che i genitori di Luis Javier Sagarra hanno a Garrapinillos. Non è il leader, ma è quello con le idee più chiare. Lotta per convinzione, e quando qualcuno è convinto di qualcosa è impossibile che possa sbagliare. Gli altri lo conoscono con il soprannome Fidel Guevara
.
Fidel per Castro. Guevara per il Che.
Molto prima avevano già parlato approfonditamente dell'impresa che stavano per eseguire. Si erano incontrati alla locanda Venta de los Caballos, situata sulla strada di Madrid; altre volte a Casa Agustín, nel quartiere chiamato Delicias a Saragozza. Non sapevano ancora cosa, ma sapevano come e perché. Avevano convenuto che dovesse essere un'azione rapida, efficace e sensazionale. La stampa farà eco alla notizia, o così sperano. Deve essere un colpo così forte e spettacolare che negli ambienti universitari, a Saragozza, nel resto delle associazioni comuniste ed in tutto il Paese sarà segnalato come un grande progresso nelle rivendicazioni. In quelle conversazioni avevano deciso di assalire il Consolato Francese in via La Salle. Sarebbe un gesto semplice: entrerebbero dalla porta d'ingresso, che non è custodita, e minaccerebbero il custode e la segretaria. Sarebbe stato rapido: portare a termine il loro piano ed uscire dalla porta, sparpagliandosi subito dopo. Per giorni non ci sarebbero stati altri discorsi.
Non hanno nulla contro il Console, né contro il personale del Consolato, ma è così che vogliono lanciare un messaggio alla Francia, per il sostegno che dà al governo franchista nella lotta per porre fine ai movimenti che si stanno verificando a Bayonne. Un messaggio rosso
.
Un messaggio spaventoso per essere sicuri che i francesi ricevano l'avvertimento. Il piano è semplice: entreranno in Consolato, chiederanno chi è il console e gli getteranno addosso il flacone di vernice acrilica rossa, della marca Titanlux, che hanno comprato il pomeriggio precedente alla farmacia Alfonso del Coso. Fuggendo creeranno confusione e non c'è niente che causi più disordine di un incendio. Quindi alla stazione di servizio di Los Links hanno riempito una tanica di benzina da tre litri. Sorpresa, vernice, benzina e paura sono gli ingredienti che avrebbero reso la loro impresa un successo assicurato.
Andrà tutto bene, si ripetono tutti e tre. Tutto andrà come previsto.
Capitolo 2
I tre restano in piedi, inchiodati davanti al portone del palazzo del consolato, davanti all'indifferenza di pedoni e veicoli che viaggiano nei due sensi. È come se l'incudine di un fabbro inesistente avesse imprigionato i loro piedi ed impedito loro di avanzare. In strada c'è molto rumore. Movimento di persone che entrano ed escono dalla scuola La Salle, che è di fronte.
Rumore proveniente da un bar. Due bidelli chiacchierano mentre fumano. Un terzo spazza ancora la porta, fischiettando una canzone orecchiabile da uno spot televisivo. Ma, ed è questo che gli sorprende di più, non c'è nessuno alla porta del consolato, perché nessuno gli aspetta.
Quello in mezzo, Luis Javier Sagarra de Moor, getta il sigaro sul marciapiede, sotto lo sguardo