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L'amore occulto
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E-book250 pagine3 ore

L'amore occulto

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Info su questo ebook

Una famiglia di ebrei (padre, madre e Clea, la figlia adolescente) durante la guerra per sfuggire alle camere a gas si nasconde a Berlino nella villa di Julia e Manfred, una coppia di ricchi borghesi. Ci rimangono per tre anni. La convivenza forzata provoca conflitti, e passioni che si cercano di soffocare. I sentimenti e l’amore sono errori che possono provocare la scoperta da parte dei nazisti e la fine. Una mattina all’alba, fa irruzione la Gestapo, gli ebrei vengono deportati.
25 anni dopo a Gerusalemme, Julia racconta quel che accadde, perché il marito dovrebbe essere nominato Giusto tra i popoli, tra gli amici di Israele, anche se non riuscì a salvare i suoi ospiti. Le domande sembrano amichevoli, ma risvegliano ricordi crudeli, sensi di colpa. Finì male per un caso o qualcuno tradì, Klaus l’amico nazista, una vicina troppo curiosa, o Clea fu imprudente? Ma forse neppure Julia conosce la verità.
LinguaItaliano
Data di uscita29 lug 2021
ISBN9788861558847
L'amore occulto

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    L'amore occulto - Roberto Giardina

    Roberto Giardina

    L’amore occulto

    I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati.

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    ISBN 978-88-6155-884-7

    Proprietà letteraria riservata

    © Giraldi Editore, 2019

    Edizione digitale realizzata da Fotoincisa BiCo

    Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistenti è puramente casuale o utilizzato dall’autore ai fini della creazione narrativa.

    Per Fernanda

    Spesso i fatti insidiano la verità

    (Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra)

    Personaggi

    A Berlino

    Manfred, un medico di famiglia

    Julia, sua moglie

    Kurt von Hart, Obersturmführer delle SS

    Ursula, una vicina curiosa

    Joseph Rosenbaum, entertainer

    Judith, sua moglie

    Clea, la figlia

    Lotte Lasenstein, pittrice ebrea

    A Gerusalemme

    Elia Ludwig Montefiore, ebreo di Livorno

    Angela, sua madre

    Moshe Landau, il giudice di Eichmann

    Moshe Bejski, il giudice dei Giusti

    Ruth, cameriera al King David

    Cronologia

    1933 Presa di potere Hitler

    Prime ordinanze contro gli ebrei 10 marzo 1933

    Leggi razziali di Norimberga contro gli ebrei settembre 1935

    Stop agli espatri

    No degli Usa

    1938 Leggi razziali in Italia

    Viaggio della St. Louis, la nave dei dannati. Il 13 maggio del ’39 salpa da Amburgo diretta a Cuba con 937 passeggeri ebrei. L’Avana vieta lo sbarco. Il 2 giugno la St. Louis lascia l’Avana. Il 4 giugno il presidente Roosevelt vieta lo sbarco. Il 17 giugno gli ebrei vengono accolti in Belgio.

    9 novembre 1938 Notte dei Cristalli

    1 settembre 1939 Inizio guerra, ancora 240mila ebrei risiedono in Germania

    10 giugno 1940 Entrata in guerra Italia

    Giugno 1941 Chiuse tutte le rappresentanze consolari americane in Germania, impossibile ottenere un visto

    25 novembre 1941 Tolta la cittadinanza agli ebrei, senza passaporto impossibile lasciare il paese

    7 dicembre 1941 Gli Stati Uniti dichiarano guerra alla Germania

    Inverno 1942 Stalingrado, inizio combattimenti. Fine della battaglia il 2 febbraio del 1943

    25 luglio 1943 Operazione Gomorra, inizio dei bombardamenti a tappeto su Amburgo con bombe al fosforo

    22 novembre del 1943 Incursione su Berlino, allarme alle 19,30, le prime bombe cadono un’ora dopo, colpita la Gedächtiniskirche, e il Castello di Charlottenburg.

    6 gennaio 1944 Bombardamento di Lucca alle ore 13

    6 giugno 1944 Sbarco in Normandia

    Aprile 1945 L’armata rossa a Berlino

    11 luglio 1946 Attentato Hotel King David a Gerusalemme

    Giusti tra le nazioni 1963 Moshe Landau fino al 1970, Moshe Bejski dal 1970 al 1995

    Dicembre 1970 Willy Brandt si inginocchia nel ghetto a Varsavia

    I

    – Quei fiori rossi, laggiù…?

    – I fiori di Giuda, i primi a fiorire, alla fine dell’inverno.

    Una macchia sanguigna contro Gerusalemme, davanti a loro, la primavera stava per iniziare, e la sua Berlino era sotto la neve. L’uomo gentile la stordiva con le parole. La fioritura precoce, e il colore, le va dicendo, fecero nascere la leggenda tra i cristiani. La natura ricorda il tradimento di Giuda.

    – Sotto quest’albero avrebbe dato il bacio a Gesù. Appare robusto, ma i rami sono fragili, e si spezzano. Un albero ingannevole.

    – Povero albero –, disse lei, – una cattiva fama che non merita.

    L’uomo sorrise.

    Continuarono a salire per la collina. Una sposa araba si offriva di profilo per le foto di rito, vestita di bianco. Quando si avvicinarono, rovesciò sul capo il cappuccio di raso per nascondere il volto, ma le sembrò compiaciuta per i loro sguardi.

    – La guerra è finita da poco, quattro anni sono un breve tempo, prima o poi ne avremo un’altra, eppure si vive fianco a fianco, ebrei, arabi. E loro vengono su questa collina che da sempre appartiene a noi per le foto ricordo.

    E l’uomo, ancora da conoscere, aveva lo stesso nome della collina. Era strano, pensava Julia.

    Dicembre 1970

    La lettera arrivò il giorno del suo compleanno, il 7 dicembre del 1970, la posta a Berlino viene consegnata al mattino, e al pomeriggio, il postino salì fino al suo piano, alto, senza ascensore, quando cominciava a imbrunire. Si attendeva una mancia per Natale, non lo deluse, anche se di rado riceveva posta.

    Si rese conto che da una settimana non scambiava una parola. Non usciva perché il tempo era umido, e freddo. Aveva provviste a sufficienza. Frau Elisabeth, la signora che sbriga le faccende, è partita, andata dalla figlia a Hannover. Sarebbe tornata con il nuovo anno. Solo poche parole con il postino.

    La solitudine non le pesava. Una lettera da Israele. Non volle aprirla subito. Una cena leggera, si concesse una tavoletta di cioccolato, una intera. Un compleanno importante, sessant’anni.

    Al telegiornale delle 19, la notizia d’apertura era Willy Brandt, caduto in ginocchio al ghetto di Varsavia. Una mattina nebbiosa, come a Berlino. Inquadrarono il viso del Cancelliere, non le sembrò che fosse un gesto calcolato.

    Aprì la lettera, scritta a mano, con grafia chiara. Chi sarà mai Elia Ludwig Montefiore? Un nome tedesco, un nome ebraico, un cognome italiano. Doveva essere un ebreo italiano, o spagnolo. Chi erano gli ebrei di Spagna? I sefarditi? Si era sempre confusa, e poi non aveva importanza. Ebrei. Il signor Montefiore desidera incontrarla per parlare del suo passato. Una strana coincidenza, il compleanno, il gesto sconvolgente di Brandt in Polonia, nel ghetto. E la lettera.

    È disposto a venire fino a Berlino, ma non osa proporle, aggiunge in uno stile antiquato, di andare lei a Gerusalemme, in questo caso, l’ospiteranno, e le avrebbero rimborsato le spese di viaggio. Non tema per la sua sicurezza, la rassicura, non correrà alcun rischio. Ma a febbraio, hanno fatto esplodere un aereo della Swissair in volo per Tel Aviv. Julia lo ricorda vagamente, quanti furono i morti?

    Dovrebbe venire per conoscere gli uomini e le donne che sono tornati a vivere nella loro terra, grazie anche al sacrificio di suo marito, e grazie a lei, signora. Io pure, conclude Elia Ludwig Montefiore, le sono grato se oggi vivo a Gerusalemme. Il suo tedesco era di un altro tempo, ma la calligrafia non era di un vecchio.

    Finì la tavoletta di cioccolata. Aveva comprato una bottiglia di Sekt ma non l’aprì, uno spreco per un solo bicchiere di spumante. Chissà che età aveva Montefiore. Non gli rispose, non sapeva che dire, ma non voleva apparire scortese.

    Il gesto di Brandt non piacque, non a tutti. Un cancelliere non si inginocchia, o con lui si inginocchia la Germania. La lettera da Gerusalemme aprì una ferita. La mise da parte, ma non la distrusse.

    Si chiedeva se vivesse quasi da reclusa a causa degli anni trascorsi nella villa, come in prigione, sotto le bombe, per proteggere Joseph, Judith e la piccola Clea dalle camere a gas. Lei e Manfred furono costretti a condividerne la vita. Diffidare dei vicini, evitare gli sguardi indiscreti, non provocare rumori sospetti. Si sorprendeva a chiudere le tende di sera, quando accendeva la luce, si sentiva a disagio se incontrava i vicini per le scale. La costrizione si era trasformata in abitudine. L’avranno giudicata una signora stramba, una come tante.

    Aveva affittato la villa dove tutto avvenne, riceveva una pensione, e l’azienda di famiglia ad Amburgo di cui non si curava, grazie al fratello, le garantiva un reddito sicuro, e sempre più generoso. La gente non rinuncia al caffè, e da tre generazioni, anzi quattro, il loro era il migliore. Le bastavano due stanze con vista sul fiume, un salone e una camera da letto.

    Del passato conservava solo il quadro.

    Lo appese in camera da letto, il ritratto di Clea, una tela senza cornice, come sarebbe piaciuto a Lotte, la pittrice, che fuggì per tempo in Danimarca e non era più tornata.

    Clea la guarda ogni giorno, e al tramonto, se spalanca le tende tra aprile e maggio il sole incendia i suoi capelli. Lotte amava le donne, non si vedeva ma si sentiva. Una bambina e un corpo che stava per mutare, una adolescente, la donna che sarebbe diventata, velata da una stoffa impalpabile con margherite e papaveri.

    Clea confidò a Julia il suo primo dolore, il cancello chiuso, le amiche che la rifiutarono senza dire una parola. "Ich bin eine Jüdin, non capivo che volesse dire, Julia. Non giocai più con loro." Un abito a fiori da ebrea. L’avvolgeva ma non la vestiva.

    Un quadro realistico e irreale, Clea non più bambina non ancora adulta, un tempo sospeso.

    La villa, risparmiata dalle bombe, la depredarono dopo la fine del Reich. Quasi trascinata via da Kurt, i russi che già combattevano casa per casa alla periferia, salì sull’aereo quando il motore rombava, con una valigetta e un rotolo. La tela pesava poco. Riuscì a tenerla con sé, nelle diverse case dove sopravvisse, fino al ritorno a Berlino. Clea con l’abito a fiori che la guardava, dipinta da Lotte che se ne partì prima di ritrarre lei e Manfred.

    La villa venne occupata dai tedeschi fuggiti davanti all’Armata Rossa dai territori dell’est, perduti per sempre. Tre famiglie. Non si presentò alla porta di casa sua per chiedere di vedere. Attese che le restituissero la villa. La trovò vuota, le pareti imbrattate, senza porte, il legno era finito nelle stufe in inverno. Ma non avevano divelto il parquet. Nel salone le doghe erano bruciacchiate in tre punti, dove avevano sistemato i fornelli, una cucina di fortuna per ogni madre di famiglia.

    Sulla copertina di Stern, il primo numero dell’anno, misero una ragazza dai capelli rossi, come lei, come Clea, poche efelidi, Was bringt uns das Jahr 1971, che cosa ci porterà l’anno 1971, si chiedeva il titolo, un anno dai capelli rossi.

    Willy Brandt promette una soluzione per Berlino, la città dove lei si ostina a vivere. Per la rivista Time Willy era l’uomo dell’anno, i tedeschi grazie a lui cominciavano a riscattarsi dal passato. I risparmi in banca aumentavano, semplicemente non aveva desideri. Viaggiare, ma da sola, senza scopo? E i giorni erano freddissimi.

    Lasciò che fosse Clea a decidere, quando si convinse di dover rispondere al signore sconosciuto che la invitava in Israele. Su due fogli scrisse ja e nein, li appallottolò, li fece roteare sul tavolo tra lei e il quadro, guardò Clea e ne scelse uno, lo aprì, sulla carta spiegazzata nein. Non partire Julia, le sorrise Clea.

    Julia partì all’inizio di marzo, non si gioca con il destino.

    Per il viaggio prese il romanzo di Siegfried Lenz, Deutschstunde¹, ispirato alla figura del pittore Emil Nolde, durante il nazismo gli fu vietato di esporre e vendere i suoi quadri. Un bestseller. Sua madre aveva due bei suoi paesaggi del Baltico, un miscuglio di colori accesi e lividi. In realtà, Nolde era stato un fanatico ammiratore del Führer. Gli scrive di continuo, centinaia di lettere, le aveva raccontato Kurt, ma Hitler è scocciato, non gli risponde mai. E lui insiste, è anche un antisemita, sostiene di subire torti da mercanti o critici ebrei, non so bene, e consiglia a Hitler come eliminarli in modo radicale.

    È bastato un quarto di secolo, e già si confondono le vittime con i colpevoli, pensava Julia.

    Lo vuole leggere in volo perché è ambientato nel nord della sua infanzia. Quei quadri ora avrebbero avuto un valore notevole, ma li lasciò al fratello. Tutti e due? chiese Albert, che non era avido, sempre preoccupato di non ledere gli interessi della sorella. Quel quadro, una costa rocciosa e il mare grigio, gli avrebbe ricordato Kurt.

    La sorresse sulla scaletta dell’aereo, e le diede una busta. Aprila tra un anno, se non mi sentirai, mi fido di te, Julia.

    Farò come vuoi.

    Lo so, sei una brava ragazza di Amburgo.

    Le brave ragazze non sono curiose, mantengono la parola. Quanto eravamo sciocchi, noi tutti, Kurt.

    II

    Marzo 1971

    Si svegliò per la luce che si spandeva per la camera all’alba, Gerusalemme sembrava d’oro liquefatto sotto il sole. Non dovrei essere qui, pensò, cosa vorranno da me? Non ho preso impegni, si rassicurò, potrei ripartire quando voglio, anche domani. Un lungo viaggio per quella vista. Un tocco leggero alla porta annunciò la prima colazione.

    Era stata una notte di sogni inquieti, dopo un giorno spossante, il viaggio in aereo, l’incontro con Montefiore. All’arrivo, a Tel Aviv, lo cercò tra le persone in attesa all’uscita del gate. Era incerta, l’uomo alto l’abbracciò con forza. Un benvenuto inatteso.

    – Avevo perso la speranza.

    – Come andremo a Gerusalemme?

    – Con la mia auto, Gerusalemme non è lontana, ma la strada è tortuosa –. Monteforte guidava con attenzione, esitava nel superare i molti camion, impiegarono quasi due ore.

    – Ha scelto l’albergo migliore, signora.

    – Non voglio rimborsi, Herr Montefiore, non ho ancora capito che cosa desidera, diciamo che per me è una vacanza. Posso pagare il conto, mi creda –. Temette di essere stata brusca.

    Nella hall l’atmosfera era calda e antica, come Julia si attendeva, un vecchio albergo coloniale, dove trovarsi a casa pur sentendosi straniero. Montefiore la seguì fino all’ascensore.

    – L’attendo per andare a cena, signora.

    – Farò in fretta. Per che ora ha prenotato?

    – Signora, non ho prenotato. È venerdì, tra poco comincerà lo shabbat, il sabato, e i locali migliori sono chiusi, si potrebbe cenare qui al King David, la cucina è ottima, ma internazionale. Andremo a cena da mia madre.

    – La vuole disturbare per me? – Gli uomini continuano a non capire quanto siano fastidiosi per le mogli, o le madri, gli ospiti invitati all’improvviso.

    – Non si preoccupi. A mia madre piace dimostrare quanto sia insuperabile ai fornelli. È ebrea e anche italiana. Puoi sfuggire a una e non all’altra. Una madre insopportabile, una doppia madre, ma la conquisterà. Anzi, ho una terza madre, la signora Golda Meir, che ci governa e ci protegge –. E, come se avesse intuito i suoi pensieri, aggiunse: – Mia madre sa del suo arrivo, e l’attende, la cena è pronta da ore.

    Strano quest’uomo gentile, con la tendenza a decidere per lei. Di solito non ti portano mai dalla mamma, gli uomini, o solo quando il rapporto diventa serio. Lui la presentava alla madre quando si erano appena conosciuti. Un uomo imprevedibile.

    Si immaginava una signora meridionale, la figura robusta, una casalinga prepotente con i maschi di casa. Una serata da sopportare per gentilezza. La doppia madre di Montefiore l’accolse come se la conoscesse da sempre. Alta e slanciata, vestiva con una elegante semplicità.

    – Chiamami Angela, e tu sei Julia.

    Le parlava in tedesco, a volte veloce, a volte cercando una parola in un passato lontano, e adattava la frase al ritmo musicale dell’italiano. E quando non la trovava, le bastava guardare il figlio, che le suggeriva la giusta espressione.

    – Julia, mia cara, – disse in italiano, – si dimentica in fretta se sogni in un’altra lingua. Colpa di un marito che se ne è andato altrove.

    In tedesco Angela usò un’espressione ambigua, e lei rimase incerta se il padre di Montefiore fosse morto o l’avesse abbandonata. Non le parve opportuno indagare. Fin da piccola, nella sua Amburgo, l’avevano educata a non porre domande private. Se non lo sai, le diceva la madre, significa che non è importante, o è troppo importante perché tu lo sappia. Ma era venuta a Gerusalemme per rivelare la sua vita a uno sconosciuto, una storia che le era rimasta dentro come un grumo dolente. Avrebbe fatto meglio a non partire.

    La cena era pronta, piatti preparati al pomeriggio, da riscaldare al forno, o da gustare freddi, senza una linea precisa tra antipasti e piatti da portata.

    Carciofi, che per lei da ragazza erano qualcosa di esotico, come il mango o la papaya, ripieni come le melanzane e i peperoni, piccanti e dolci, speziati e con rosinen, l’uva passa, pinoli, e mandorle. E altre specialità, le spiegava piatto dopo piatto Montefiore, un po’ italiane e un po’ebraiche. La cucina a Roma, e in Sicilia, assicurava, deve molto alla nostra. Poi vennero i dolci. Julia si lasciò andare, l’arte culinaria di Angela tra le due sponde del Mediterraneo le diede forza e fece svanire i dubbi.

    – Non ho mai imparato le vostre regole di cucina, Angela. E fu un problema con i nostri ospiti.

    – Non sono una osservante rigorosa, Julia. Seguo le regole per rispetto degli amici, mi preoccupo di non offenderli. Ma trovo

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