Contessa per errore
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Lord Tobias Spenlow, Conte di Worsley, irrompe in una locanda per fermare una fuga d'amore e riportare a casa la giovane compromessa. Peccato che carichi in carrozza la persona sbagliata. Ora tutti sono convinti che lui abbia rapito volontariamente la bella e innocente Miss Dorothy Phillips, governante, rovinandole la reputazione. Toby si considera un uomo d'onore, e le offre un matrimonio di convenienza, promettendole che sarà molto rispettoso. Lei, in cerca di lavoro per aiutare la sua famiglia e ormai convinta di essere caduta in disgrazia, è costretta ad accettare. Il rispetto che presto iniziano a provare l'uno verso l'altra sarà sufficiente a proteggere entrambi da un'attrazione che sembra ormai impossibile da controllare?
Annie Burrows
Sposata, con due figli, ha messo a frutto la sua laurea in letteratura inglese e la sua incredibile fantasia nel creare avvincenti storie d'amore ambientate nei più diversi periodi storici.
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Anteprima del libro
Contessa per errore - Annie Burrows
1
Dorothy Phillips sollevò il mento prima di oltrepassare la soglia della saletta del Blue Boar, simulando la sua espressione più determinata. Se voleva fare l'istitutrice, doveva abituarsi a viaggiare da sola. Gli altri viaggiatori che come lei dovevano pernottare alla locanda, in attesa della diligenza del mattino, erano perfetti estranei, ma doveva abituarsi anche a quello. Non doveva far altro che ignorarli.
Se qualcuno si fosse mostrato poco cortese, o le avesse mancato di rispetto, lo avrebbe fulminato con l'occhiataccia che aveva perfezionato sul giovane Gerry Benson, l'allievo più indisciplinato della scuola del villaggio in cui aveva insegnato fino a qualche settimana prima.
Funzionava sempre. Anche con gli adulti.
Fu dunque una Dorothy severa, per non dire accigliata, quella che fece il suo ingresso, un istante più tardi, nella saletta.
Un distinto giovanotto e un'elegante fanciulla sedevano su una panca, accanto alla finestra, ma si alzarono di scatto al suo ingresso. La ragazza lanciò un grido, sbiancò e perse i sensi.
Il giovane reagì prontamente, afferrandola prima che si accasciasse a terra.
Per un momento, Dorothy fu tentata di scusarsi per aver provocato una simile reazione, ma cambiò subito idea. D'altra parte, non aveva fatto altro che entrare nella sala in cui il locandiere di lì a poco avrebbe servito la cena a lei e agli altri ospiti. Non brandiva un pugnale né una pistola, né aveva alzato la voce, o minacciato qualcuno.
Il giovane, che teneva lo sguardo fisso sulla sventurata, alzò il capo. Nei suoi occhi scuri Dorothy scorse un'espressione angosciata, l'espressione di chi, non sapendo cosa fare, chiedeva aiuto.
Non si fece pregare. «Distendetela sul pavimento» lo istruì, raggiungendolo.
Lui eseguì, adagiando lentamente la giovane per terra. Dorothy le si inginocchiò accanto e le slacciò i nastri della cuffia. Tuttavia la giovane non accennava a rinvenire, perciò prese a smuoverle l'aria davanti al viso.
«Dovrei toglierle il giubbino» annunciò Dorothy. «È buona norma allentare i vestiti, in casi simili» spiegò, chiedendosi come mai la giovane avesse deciso di indossare abiti pesanti, tutt'altro che adatti a viaggiare.
Il giovane arrossì. «No, non potete...» annaspò, imbarazzato. «Non in pubblico, perlomeno. Potrebbe entrare qualcuno.»
Dorothy comprendeva le sue ragioni. Dopotutto, una persona così facile agli svenimenti sarebbe morta dall'imbarazzo se, rinvenendo, si fosse ritrovata mezza svestita per terra, circondata da uno stuolo di sconosciuti.
«Andiamo nella mia stanza» decise, afferrando la mano della ragazza. «Ce la fate a portarla di sopra?» Lì sarebbe riuscita a sfilarle il giubbino e ad allentarle i lacci del corsetto, al riparo da occhi indiscreti.
Il giovane gonfiò il petto. «Certo. Fate strada.»
La seguì su per le scale e, quando ebbero varcato la soglia della modesta stanzetta nel sottotetto, l'unica che Dorothy potesse permettersi, la giovane esalò un lento sospiro. Spalancò gli occhi nell'attimo in cui venne adagiata sul letto.
«Gregory! Ma cosa...?» Si guardò intorno. «Dove mi avete portata?»
«Siete svenuta» rispose lui. «E questa signora» aggiunse indicando Dorothy, «è stata così gentile da mettervi a disposizione la sua camera.»
«Miss Phillips» intervenne Dorothy, presentandosi.
«Svenuta? Che vergogna!» mormorò la ragazza.
Un'uscita che sarebbe stata pronta a sottoscrivere, pensò Dorothy, e provò un'immediata simpatia per la giovane. «Immagino abbiate avuto una giornata molto impegnativa, sia per il caldo sia per il viaggio stancante, e magari non avete mangiato granché. E ci sono persone, di costituzione anche più robusta della vostra, a cui i continui sobbalzi di un viaggio in carrozza provocano un forte malessere.»
«È vero, Pansy cara» intervenne Gregory. «Oggi non hai mangiato quasi niente.»
«A questo possiamo rimediare» affermò Dorothy. «Giovanotto, rendetevi utile andando da basso a ordinare del tè, con pane e burro, per cominciare, mentre aiuto... Pansy, dico bene?» La giovane annuì. «Vi aiuto a mettervi comoda.»
«Oh, ma...» Pansy provò ad alzarsi, ma Dorothy la fermò.
«No. Dovete rimettervi in forze, perciò vi consiglio di mangiare qualcosa. Inoltre da basso si soffoca, mentre qui fa un bel fresco. Al mio arrivo, ho aperto la finestra proprio per far entrare un po' d'aria.»
«Sì, avete ragione, quest'arietta fresca è proprio piacevole» ammise Pansy. «Però...»
«State molto meglio qui, mia cara» insistette Gregory. «Meglio evitare di farvi vedere in pubblico.»
Pansy tornò ad adagiarsi sul cuscino e gli rivolse uno sguardo adorante, che Gregory ricambiò. Per un istante, l'aria sembrò vibrare di una tensione palpabile, che procurò a Dorothy un profondo imbarazzo.
«Non pensavo che avrebbe fatto così caldo» confessò Pansy, quando Gregory fu uscito e Dorothy cominciò a spogliarla. «Né che avremmo avuto così tanti intoppi. Speravamo di riuscire a fare molta più strada, prima di doverci fermare a pernottare in una locanda, ma... Chi poteva immaginare che un cavallo si sarebbe azzoppato e che avremmo avuto difficoltà a rimpiazzarlo? Ci mancava solo che si spezzassero i finimenti...» Un sospiro. «Quando mi è scoppiata questa terribile emicrania, poi, Gregory ha insistito perché ci fermassimo. Sebbene non possiamo ancora dire di essere fuori pericolo...» Si interruppe, e la sua aria colpevole confermò i sospetti che erano affiorati nella mente di Dorothy nell'attimo stesso in cui aveva visto i due giovani. Stavano scappando.
Una fuga d'amore, era pronta a scommetterci.
Ricacciò in gola l'affilato commento che le sarebbe uscito spontaneo se la ragazza non fosse stata reduce da uno svenimento e visibilmente sofferente. «Un'emicrania, avete detto? Dovrei avere qualcosa che può esservi di aiuto.» Attraversò la stanza e raggiunse la finestra, sotto la quale avevano depositato il suo baule. Frugò nella borsetta a rete, dalla quale sfilò la chiave che usò per aprirlo. «Faccio l'istitutrice, sapete» spiegò, «e i bambini si ammalano spesso, cadono, si sbucciano le ginocchia. È sempre bene avere qualche rimedio a portata di mano...»
La giovane si lasciò inumidire le mani e il viso con un telo bagnato e bevve l'infuso di erbe che Dorothy le preparò con l'acqua calda che una cameriera aveva portato insieme al cibo, quindi mangiò due fette di pane imburrato.
«Ora vi lascio tranquilla.» Dorothy sistemò la tazza vuota e il piatto sul vassoio. «Cercate di riposare.»
«Sì, ma Gregory...»
«Sarà felice di sapere che state meglio, ora che avete avuto modo di rinfrescarvi e di rifocillarvi.»
«Be', in effetti sì» riconobbe Pansy, tornando ad adagiarsi sui cuscini.
Dorothy le sorrise, avviandosi alla porta. Non appena fu uscita, però, tornò ad accigliarsi. Se davvero quei due stavano scappando, intendeva fare una bella lavata di capo a quel Gregory. Come gli era saltato di mente di trascinare una creatura delicata e sensibile come Pansy in un'avventura che l'avrebbe di certo messa a dura prova? Se i genitori di lei si opponevano alla loro unione, doveva esserci una ragione più che valida. Forse erano molto facoltosi. I vestiti che la giovane indossava erano alla moda, e di ottima qualità, per quanto decisamente troppo pesanti per il clima estivo.
Sì, doveva essere così. Gregory era un cacciatore di dote. Del resto, ne aveva l'aspetto. Fascinoso, pieno di premure nei confronti dell'ereditiera... ammesso che Pansy lo fosse davvero.
Tornata nella saletta, lo trovò che camminava avanti e indietro e si mangiava le unghie, nervosissimo. Non si trattenne, e lo informò succintamente che Pansy si era ripresa, poi dichiarò senza mezzi termini che giudicava deplorevole la sua condotta.
La testa bassa, Gregory si passò una mano tra i capelli, riconoscendo di non essersi comportato come un gentiluomo. «Però sono pazzo di lei, e il pensiero di perderla mi è inconcepibile» aggiunse, a propria discolpa. «Si è presentata da me in lacrime e mi ha supplicato di salvarla, perché i suoi genitori volevano costringerla a sposare un uomo scelto da suo padre, perciò cos'altro potevo fare, se non proporle di diventare mia moglie? Anche a costo di dover fuggire così, in un modo che reputerei indecoroso per qualsiasi gentiluomo degno di questo nome.»
L'ammissione gettava tutta un'altra luce sulla situazione, e l'indignazione che Dorothy aveva provato fino a un istante prima svanì. Ora provava quasi pena per Gregory, perché era chiaro: dietro l'apparente fragilità di Pansy si nascondeva la malizia di una giovane capace di ammaliare un uomo e di manipolarlo, per sottrarsi alle grinfie di un padre autoritario.
«Non aggiungo altro» concluse, e andò a battergli una mano sulla spalla. «Anche perché mi pare abbiate compreso che quanto state facendo è sbagliato, e siete pentito.»
Gregory si accigliò appena. «Mi dispiace solo che Pansy si sia ammalata prima che io sia riuscito a portarla al sicuro.»
«Non è niente di serio, credetemi. Il mancamento è sicuramente dovuto alla stanchezza e al caldo. Quando l'ho lasciata, stava già molto meglio. Datele il tempo di riposare e di fare un bel pasto caldo, e potrà subito rimettersi in viaggio.»
«Lo pensate davvero?» Gregory le prese una mano nella propria.
«Certo.» Dorothy tentò di tirar via la mano, senza riuscirci. «Vado a vedere se si è addormentata» propose, visto che il locandiere tardava a servire la cena. «Nel frattempo andate a controllare se sono riusciti a riparare la carrozza» aggiunse, facendo un altro tentativo di sfilare la mano dalla stretta decisa di quella di Gregory.
«Siete un angelo.» Lui si portò la mano alle labbra e la baciò. «Non so come avremmo fatto, senza di voi. E dire che non so nemmeno come vi chiamate.»
«Dora» rispose lei, usando il diminutivo affettuoso con cui la chiamavano da sempre i suoi familiari.
In quel momento la porta della saletta venne spalancata dall'esterno, andando a sbattere contro il muro. E sulla soglia apparve l'uomo più alto e prestante che Dorothy avesse mai visto.
Indossava un cappotto lungo fino ai piedi, sovrastato da un'ampia mantellina sulle spalle e impreziosito da enormi bottoni di madreperla. Per un motivo che non seppe spiegarsi, Dorothy pensò si trattasse del conducente di una carrozza che, ubriaco, si era trascinato verso la porta sbagliata. Tuttavia si ricredette nell'attimo stesso in cui Gregory le lasciò andare la mano e trasalì.
«Worsley!»
Il gigante fu costretto a inclinare il capo per entrare, e a girarsi un istante per richiudersi la porta alle spalle. Nel movimento il cappotto, che era sbottonato, si aprì, rivelando un panciotto simile a quelli che indossavano i conducenti delle carrozze e calde braghe di pelle di pecora, infilate in un paio di stivali che avevano visto tempi migliori. Alcuni gentiluomini non disdegnavano quel genere di abbigliamento. E poiché l'espressione di Gregory al cospetto del nuovo arrivato era un misto di timore e sfida, Dorothy si convinse che quel Worsley dovesse essere un gentiluomo.
«Immagino sia superfluo chiederti cosa ci fai, qui» lo apostrofò il nuovo venuto.
Gregory deglutì. «Non è come pensate.»
«È esattamente come penso» grugnì l'altro, togliendosi il cappello e scoprendo una folta massa di capelli chiari. Spostò su Dorothy due occhi di un azzurro intenso. «E ora che finalmente la conosco, capisco come sia riuscita a farti perdere il lume della ragione.»
Santo cielo!, gemette Dorothy fra sé. L'uomo l'aveva scambiata per la giovane con cui Gregory era scappato. Ma come poteva anche solo pensare che una come lei, con indosso quegli insignificanti abiti da istitutrice, ormai abbastanza in là con gli anni da potersi rassegnare all'idea di rimanere zitella, potesse aver ammaliato un giovane come Gregory? Era un'idea talmente ridicola che le sfuggì una risatina.
«Lo trovate divertente?» tuonò Worsley, trapassandola con un'occhiata affilata. «Rovinare la vita del mio protetto non solo inducendolo a desiderare un'unione così inadeguata, ma addirittura fuggendo di nascosto con lui? Spingendolo a compiere una pazzia che lo rovinerà in ogni modo possibile?»
«Io non sto facendo niente del genere» cominciò Dorothy, pronta a spiegare che aveva conosciuto Gregory meno di un'ora prima e che anche lei condannava la fuga dei due innamorati.
Worsley, però, non la lasciò finire. «Non sono nato ieri!» sbottò. «E non mi lascio certo ingannare da donne come voi. A differenza del mio protetto, ho capito a che gioco state giocando.»
Dorothy alzò lo sguardo per incrociare quello dell'uomo. Era molto alta, per essere una donna, ma Worsley la sovrastava di almeno due spanne. E aveva spalle ampie, possenti.
«Perciò tenete a freno la lingua» continuò lui, «e rassegnatevi all'idea di veder sfumare i vostri piani.»
Il fatto che fosse alto e massiccio non lo rendeva certo più intelligente. Al contrario, era proprio il genere di uomo che credeva di avere sempre ragione per il semplice fatto di essere un uomo, anche quando aveva torto marcio.
Curiosa di vedere che faccia avrebbe fatto quando avesse scoperto di essersi sbagliato, Dorothy decise di non contraddirlo. La questione, del resto, non riguardava lei, ma Worsley e Gregory.
Come giungendo alla stessa conclusione, Worsley tornò a rivolgere la propria attenzione al giovane.
«Quanto a te, ti credevo più sveglio. Non ti avevo avvisato di guardarti da donne come questa?» Indicò Dorothy. «Donne pronte a tutto pur di mettere le mani su un titolo? Per elevarsi di rango ed entrare nell'alta società?»
«No, statemi a sentire» provò a ribattere Gregory, impettito e pronto a tenergli testa, come forse non aveva mai fatto. «State commettendo un errore...»
«Niente affatto. Sto solo cercando di assicurarmi che non lo commetta tu» lo interruppe Worsley. «Non è troppo tardi per tirarti fuori dalla trappola che ti ha teso questa astuta signorina. Tornerai a Londra con me. Adesso. Dopodiché...»
«No!» Gregory puntò i piedi. «Non potrei mai lasciare una signorina perbene sola e indifesa in una locanda. E se foste anche solo la metà di quel gentiluomo che continuate a dire che vorreste farmi diventare, non me lo permetterete nemmeno voi.»
Worsley esitò un istante, soppesò brevemente le parole di Gregory, poi annuì. «Hai ragione. Sarà meglio che riporti questa giovane perduta dai suoi genitori.» Così dicendo, afferrò Dorothy di peso e se la caricò in spalla come se fosse stata un sacco di patate.
Sorpresa, Dorothy si ritrovò piegata in due, su quelle spalle ampie e solide come marmo, che, a ogni sobbalzo, le svuotavano i polmoni dell'aria.
Aveva già percorso tutto il corridoio che conduceva all'uscita della locanda quando ritrovò abbastanza fiato per parlare, e la forza di battergli i pugni sulle spalle. «Che state facendo?» protestò.
Una domanda stupida, perché la risposta era più che evidente.
«Mettetemi subito giù!» urlò, indignata.
Ma lui non le badò. Continuò a marciare verso l'uscita della locanda.
Fu però bloccato dal locandiere, che gli sbarrò la strada. «Che intenzioni avete?» esclamò senza lasciarsi intimidire da quello sconosciuto.
«Toglietevi dai piedi» ringhiò Worsley, «o andrò a dire in giro che avete dato ospitalità a una coppia di innamorati in fuga, e che di fatto siete stato complice nel rapimento di una minorenne.»
«Non sono minorenne» provò a protestare Dorothy, che dalla sua posizione a testa in giù riusciva a vedere solo i piedi del locandiere, in mezzo alle gambe di Worsley. «Credetemi, c'è stato un equivoco...» I piedi dell'uomo, però, uscirono dalla sua visuale, e il suo aguzzino si rimise in marcia.
Raggiunsero la porta e Dorothy, superata la sorpresa, cominciò ad allarmarsi. Provò allora a dimenarsi, per divincolarsi, ma un braccio deciso la bloccò, dando prova di una forza di gran lunga superiore a quella che fino a quel momento lei aveva solo intuito.
«Se non la smettete, sarò costretto a legarvi e imbavagliarvi» la minacciò lui. «Vi riporto a Coventry. E niente di quello che potrete dire, o fare, potrà impedirmelo, statene pur certa.»
«Coventry? È lì che vorreste riportarmi? Ma se non ci sono mai stata in vita mia! Oh, per l'amor del cielo, fermatevi e statemi a sentire, stupido babbeo che non siete altro!»
Worsley continuò a marciare, imperterrito. «E cosa dovrei stare a sentire, le vostre frottole? Per chi mi avete preso?»
«Per uno... degli uomini più stupidi... in cui abbia mai avuto... la sventura di imbattermi!» proruppe lei, il fiato mozzato da quel continuo sballottare a testa in giù. «Non potete... portarmi a Coventry!»
Aveva un posto prenotato sulla carrozza che sarebbe partita per Edimburgo, il mattino dopo. E cosa sarebbe accaduto se non si fosse presentata dal suo nuovo datore di lavoro? Come avrebbe fatto a recuperare il baule, che conteneva tutti i suoi averi? Anzi, forse lo avrebbe trovato vuoto, dal momento che lo aveva incautamente lasciato aperto, quando era scesa a parlare con Gregory.
«Stupido... idiota!» annaspò. «Non vi rendete conto di quel che state facendo...»
Ma stava solo sprecando fiato.
Worsley aprì lo sportello della carrozza e ve la scaraventò dentro. «Voi ve ne tornate a Coventry» tuonò, perentorio. Si raddrizzò e indietreggiò. «Perciò piantatela di fare storie, tanto non me la date a bere. Cosa credete? Non avete a che fare con uno sprovveduto come Gregory, che si lascia abbindolare dal vostro bel faccino.»
Dorothy aprì la bocca per ribadire che no, non stava cercando di dargliela a bere, ma dalle sue labbra venne fuori una specie di gorgoglio indistinto. E poi, mentre cercava di drizzarsi a sedere, ebbe un improvviso capogiro: un nugolo di farfalle prese a danzarle davanti agli occhi, ed ebbe bisogno di qualche istante per tornare a respirare normalmente.
Nel frattempo