La voce dell'amore
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Annie Burrows
Sposata, con due figli, ha messo a frutto la sua laurea in letteratura inglese e la sua incredibile fantasia nel creare avvincenti storie d'amore ambientate nei più diversi periodi storici.
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Anteprima del libro
La voce dell'amore - Annie Burrows
1
Lord Matthison si aggrappò alla cancellata per non cadere, guardando la facciata della casa dove viveva Miss Winters.
Con la sua ambiziosa madre.
E il suo spietato padre.
Non aveva idea di come fosse arrivato a Curzon Street, alla casa della donna intrigante che lo aveva privato anche delle sue ultime speranze.
Naturalmente era ubriaco.
Aveva cominciato a bere già prima di mezzanotte. Ogni uomo che avesse avuto una settimana come la sua avrebbe fatto esattamente la stessa cosa. Anche se nei sette anni precedenti aveva rifiutato di dimenticare, quando le carte si erano rivoltate contro di lui e aveva perso cinquecento ghinee per la terza sera di seguito aveva dovuto accettare che era finita.
«Cora» mormorò come se il dolore per la sua perdita non fosse mai stato così intenso dal giorno in cui lei se n’era andata.
Il gin era ingannatore! Prometteva di dare sollievo a tutte le pene, invece gli aveva tolto la capacità di fingere che non gli importasse più. Aveva creduto di trovare un po’ di tregua, forse di riuscire perfino a tornare barcollando a casa. Non aveva mai pensato che la testa gli avrebbe fatto tanto male e che sarebbe stato ancora sveglio all’alba. E che i piedi lo avrebbero portato nell’ultimo posto al mondo dove avrebbe voluto andare.
«Non ti sposerò!» gridò alle finestre chiuse.
Una lattaia che passava lo guardò con sospetto e girò alla larga. Lui la notò appena, aveva preso la sua decisione. Che cosa gli importava se la reputazione di Miss Winters era rovinata?
Non era stato lui ad attirarla nello studio del padre, a spettinarla, a strapparle il vestito. Aveva fatto tutto da sola e poi si era lanciata su di lui per fare credere che fossero stati avvinghiati in un abbraccio appassionato.
Non che adesso avesse ancora tanta voglia di sposarlo, rise amareggiato. Le aveva fatto sparire in fretta dalle labbra quel sorriso trionfante.
«Così volete giocare con il diavolo?» le aveva chiesto con scherno, afferrandole il braccio quando lei avrebbe voluto allontanarsi.
«Mi fate male» aveva protestato incominciando ad apparire incerta.
«Sapete che tipo d’uomo sono. Non avete sentito che cosa dicono di me? Le fanciulle di natura sensibile praticamente svengono quando entro in una stanza. Con tutte le ragioni, non vi pare?»
Il suo sguardo confuso lo aveva indotto a chiedersi se davvero non avesse mai ascoltato quelle storie sul suo conto. Era possibile, visto che la sua famiglia non frequentava gli ambienti più esclusivi. Anche se avevano trovato casa in un quartiere alla moda, non avrebbero mai ricevuto un invito per Almack’s.
«Forse vi siete lasciata ingannare dal fatto che sono ancora ricevuto dappertutto» insinuò. «È stato ingenuo, da parte vostra. Ve lo spiegherò, dato che sembra che non comprendiate il modo di fare della gente dell’alta società. Alcuni ignorano quello che si vocifera sul mio conto per via della grande ricchezza che ho ottenuto dopo il mio patto con il diavolo. Sostengono che non importa, dato che sono un nobile, ma non mi permetterebbero mai di avvicinarmi alle loro figlie. Altri invece sono affascinati dall’aura sinistra che mi circonda. Si eccitano all’idea di raccontare ai loro amici che sono stati così coraggiosi da chiedere all’uomo che ha assassinato la sua fidanzata di partecipare a uno dei loro insipidi ricevimenti. Oh, così non lo sapevate?» le aveva chiesto notando la sua espressione inorridita. «Non sapevate che ho fatto un patto con il diavolo o che sono stato fidanzato, molto tempo fa? Con l’innocente e inconsapevole Miss Montague...»
Improvvisamente gli era sembrato un sacrilegio pronunciare il suo nome ad alta voce, mentre stringeva fra le braccia un’altra donna. Così aveva respinto la tremante Miss Winters.
«Non hanno mai trovato il suo corpo» si era compiaciuto di informarla, «così non hanno potuto processarmi. Ma dato che ad accusarmi era stato il mio migliore amico, che mi conosceva fin dall’infanzia, devo averla uccisa, no?»
La fanciulla aveva cominciato a massaggiarsi le braccia, dove l’aveva afferrata, ma lui non si era sentito in colpa. Anzi, aveva insolitamente espresso l’amarezza che provava.
«Dal giorno in cui lei è scomparsa ho avuto una fortuna fenomenale al gioco. Non è la prova che ho macchiato la mia anima con il sangue di una vergine? Mi chiedo perché mai la gente continui a sfidarmi a carte, ben sapendo che non posso perdere. Come mi chiedo perché voi speriate che la vostra piccola farsa abbia qualche effetto su di me. Non crederete davvero che un uomo con l’anima nera come la mia si affretterà a mandare ai giornali un annuncio di matrimonio, soltanto perché si è messo in una situazione compromettente con una vergine?»
Aveva pensato che la cosa non avrebbe avuto alcun seguito. Lei era fuggita singhiozzando dalla stanza, per gettarsi fra le braccia della madre. Non aveva dovuto faticare molto a raggiungerla, dato che Mrs. Winters era dietro la porta.
La fanciulla doveva avere cambiato idea sul loro matrimonio, purtroppo suo padre aveva ben altra tempra.
«Non potete compromettere una ragazza innocente e poi credere di farla franca raccontando una storia che sembra uscita da un romanzo gotico!» gli aveva gridato Mr. Winters facendo irruzione nel suo alloggio da scapolo, nel tardo pomeriggio del giorno successivo.
«Davvero?» si era limitato a replicare Lord Matthison senza nemmeno alzare gli occhi dal mazzo di carte che aveva in mano.
«Come gentiluomo dovete chiedere la mano di mia figlia!»
«Non se ne parla neppure» gli aveva risposto tagliando il mazzo a metà e poi mischiando le carte con la consumata abilità di un vero giocatore professionista. «Sono già fidanzato.»
Una dichiarazione che non era riuscita a zittire l’uomo per più di due secondi. «Vi state riferendo a Miss Montague?»
Lord Matthison era inorridito sentendogli pronunciare quel nome con tanta disinvoltura. E alla battuta successiva: «È morta, no?», le carte erano cadute e si erano sparse sul tavolo.
Si era alzato, era andato alla finestra e aveva guardato nel cortile cercando di resistere al desiderio di aggredire il suo visitatore.
«Sì» aveva risposto finalmente, con una calma letale. «Potreste affermare che tecnicamente sarei libero di sposare un’altra donna ma, dato che nessuno ha mai scoperto il suo corpo, la sua famiglia continua a ritenerla sperduta. Così, da un punto di vista legale, sono ancora vincolato a lei.»
Un legame che andava ben al di là delle convenzioni e delle leggi, più profondo di quanto chiunque avrebbe mai potuto sospettare.
«Perciò non dovremo fare altro che spezzare questo vincolo legale e non avrete più scuse per rifiutarvi di fare di mia figlia una donna onesta.»
Prima che lui potesse rispondere che nessuno poteva rendere onesta una donna come sua figlia, Mr. Winters aveva dichiarato che non gli importava quanto gli sarebbe costato o quanto tempo ci sarebbe voluto: Miss Montague avrebbe dovuto essere dichiarata legalmente defunta, in modo che lui fosse libero di diventare suo genero.
Quella conversazione era avvenuta tre giorni prima. Tre giorni prima Mr. Winters aveva dichiarato di voler uccidere Cora Montague per la seconda volta.
Ma quell’uomo non conosceva Robbie Montague, pensò incrociando le braccia e appoggiandosi alla cancellata. Il buon vecchio Robbie non avrebbe mai rinunciato alla possibilità di ritrovare sua sorella, di celebrare una funzione funebre e di deporla sotto una pietra tombale.
Robbie non gli avrebbe mai permesso di sposare un’altra e di riempire Kingsmede con figli che non fossero di sua sorella. La sua sola soddisfazione sarebbe stata di tenerlo per sempre sospeso in quel limbo legale.
Mr. Winters aveva una bella gatta da pelare.
Gli ambulanti che arrivavano spingendo i loro carretti gli suggerirono che ormai era mattina. La mattina del quarto giorno dalla dichiarazione di Mr. Winters.
Per tre sere di seguito, lui aveva perso pesantemente a carte.
La sera precedente aveva finalmente accettato il significato di quel fatto.
Aveva gettato le carte ed era uscito dalla bisca per affrontare il suo inferno personale, combattendo il senso di orrore che lo invadeva.
Non che gli importasse del denaro che aveva perso. Non era la necessità finanziaria che lo spingeva a giocare, ma un bisogno di natura diversa.
«Cora» aveva mormorato nella strada deserta. «Non potevo evitarlo!» Ma nemmeno l’eco aveva risposto.
Lei non c’era.
Per la prima volta in sette anni non era riuscito a sentire la sua presenza.
Aveva maledetto Mrs. Winters per avere cospirato con sua figlia per comprometterlo, il marito per avere parlato di Cora come se non contasse nulla. E la ragazza per avere premuto le labbra contro le sue, in una parodia dissacrante di un bacio. In tre avevano fatto quello che nemmeno la morte era riuscita a compiere.
L’avevano allontanata da lui.
Non aveva mai rivelato a nessuno che lei lo perseguitava, avrebbero pensato che fosse impazzito. Lui stesso a volte si chiedeva se lo fosse davvero.
Erano trascorsi solo pochi giorni dall’ultima volta che aveva sfiorato la sua morbida pelle quando aveva sentito il suo spirito librarsi accanto a lui.
A una corsa di cavalli, dove era andato con le orecchie che ancora risuonavano delle accuse di Robbie.
«Se credi davvero che abbia ucciso tua sorella, allora rivorrai indietro questi!» gli aveva detto lanciandogli addosso quello che restava del denaro che gli aveva prestato per pagare le nozze.
La borsa del denaro era caduta a terra, Robbie non l’aveva raccolta.
«Hai abbastanza amici da queste parti, almeno così sembra. Nessuno ti accuserà e, senza un cadavere, il giudice dice che non può processare l’unico figlio del signorotto locale.»
Si erano scambiati ancora insulti, e il culmine era arrivato quando Robbie gli aveva gridato di andare a marcire all’inferno con il suo titolo.
Si era sentito davvero all’inferno e, come molti dannati, aveva cercato di distruggersi puntando quel denaro su un cavallo che avrebbe certamente perso.
Fra tutti ne aveva scelto uno che il fantino infuriato aveva dovuto spingere a frustate alla partenza. Cora, che aveva un cuore tenero, si sarebbe impietosita. Povera creatura, avrebbe detto.
Così aveva giocato il denaro su quel ronzino che lei avrebbe compatito.
E che aveva vinto la corsa di una lunghezza sul secondo arrivato.
Gli era sembrato di sentire la risata divertita di lei. E di vederla battere le mani per la gioia.
In uno stato di totale confusione era andato a ritirare la vincita, sentendosi come Giuda all’idea del denaro che gli stava per finire nelle mani. Lo aveva puntato di nuovo, nella corsa seguente, sul peggiore animale che era riuscito a scovare. Doveva perdere quei soldi.
Purtroppo, appena prima dell’arrivo, un cavallo senza cavaliere aveva tagliato la strada a quelli in testa, disorientandoli, e il ronzino aveva vinto.
Cora aveva gridato per la gioia, lui era sicuro di averla sentita.
Allora si era ricordato del giorno in cui era finalmente riuscito a metterle al dito l’anello di fidanzamento.
«Niente ci separerà mai» le aveva detto come se la stesse sposando. «Tranne la morte.»
«Neppure la morte» aveva risposto lei con lo sguardo adorante.
In quel momento aveva capito che non importava quello che Robbie poteva pensare, Cora era ancora sua. Aveva sentito che gli metteva la mano sulla manica della giacca e gli diceva di non giocare più. Le aveva obbedito perché sapeva che lo amava troppo per vedergli sprecare il denaro in quel modo.
Da quel giorno in poi non aveva fatto nulla senza prima chiedersi che cosa ne avrebbe pensato la sua fidanzata. E più se lo chiedeva, più la sentiva vicina a sé.
Robbie era tornato in Scozia; i suoi genitori non volevano più saperne di lui, i vicini lo guardavano con sospetto, i conoscenti lo evitavano.
Cora, però, era sempre rimasta al suo fianco.
C’erano stati momenti in cui si era sentito così disperato da desiderare di seguirla nell’aldilà. Ma gli sembrava di vederla mentre gli diceva che il suicidio è un peccato mortale. Non gli sarebbe importato, se fosse bastato a riportarli insieme, purtroppo qualcosa gli suggeriva che lei si trovava in un luogo da cui i peccatori come lui erano esclusi.
Perciò doveva continuare a vivere, se quella si poteva chiamare vita.
Bandito dalla famiglia e dagli amici, aveva cominciato a frequentare tutte le bische di Londra. Erano i soli luoghi dove veniva ricevuto a braccia aperte.
Anche lì lei lo seguiva, ridendo delle espressioni stupite di quelli a cui vinceva denaro, azioni e beni di ogni genere.
Era stata lei a spingerlo ad andare al White’s. E aveva riso di gioia quando ne era uscito molto più ricco.
Era stata una grande soddisfazione pagare l’ipoteca di Kingsmede, quando suo padre era morto. E pagare anche tutti gli altri debiti ereditati, proprio grazie al denaro vinto giocando con le persone che avevano spogliato i suoi genitori di tutti i loro beni.
Ed era riuscito anche a fare tutte le migliorie alla tenuta di cui un tempo gli aveva parlato Cora.
I suoi fittavoli forse mormoravano a proposito del modo in cui aveva guadagnato quel denaro, ma erano contenti che mettesse a posto i tetti delle loro case e che drenasse i campi per migliorare i raccolti.
Non che gli importasse che cosa pensavano di lui. Non lo faceva per loro, ma per compiacere Cora, la sua opinione era l’unica che gli importasse.
Era la sola persona con cui sentisse di avere una connessione, anche se era morta.
Se quello significava essere pazzo, che lo fosse pure.
Tornava ai tavoli da gioco per udirla mormorare che i suo avversari erano degli ubriaconi, o per sentire il suo fiato sui dadi, quando ci soffiava sopra per buon auspicio. Non gli importava che la sua presenza invisibile fosse un barriera fra lui e il mondo.
Cora era sempre stata al suo fianco.
Fino a quando Miss Winters l’aveva baciato.
«Cora» mormorò di nuovo, piegandosi sconfitto contro la cancellata.
Un venditore ambulante di legna lo guardò e scosse la testa, prima di continuare a spingere oltre il suo carretto.
Doveva dare una pessima impressione mentre se ne stava lì, in mezzo alla strada, a supplicare una donna morta da sette lunghissimi, terribili anni. Se avesse davvero avuto i poteri diabolici che la gente gli attribuiva, in quel momento li avrebbe usati. Se solo avesse conosciuto qualche formula magica...
All’improvviso si ricordò di qualcosa del genere. Bisognava ripeterlo per tre volte...
E mentre recitava quella formula, che doveva essere un ricordo di un dramma di Shakespeare, qualcosa attirò la sua attenzione dai gradini di una casa poco più avanti.
Era una donna piccola e giovane, vestita alla moda ma sobriamente, con una giacca blu scuro e una cuffia con ampia visiera. Non seppe perché, in mezzo a tutta quella gente, il suo sguardo fosse stato attirato proprio da lei, finché non vide il suo volto per un attimo.
Gli sembrò che qualcosa gli avesse risucchiato di colpo tutta l’aria dai polmoni.
Era Cora.
«Per l’inferno!» imprecò afferrando la cancellata, sentendo le ginocchia cedere. Con quella formula magica era riuscito a evocare la sua ombra! Per sette anni aveva sentito il suo profumo, la sua presenza, ma non aveva mai potuto vederla in quel modo... «Per l’inferno!» ripeté.
La giovane donna era già sparita dietro l’angolo. Lo aveva ignorato, come se avesse avuto qualcosa di più importante da fare.
Con un’altra imprecazione Lord Matthison si gettò al suo inseguimento, ma al tentativo di mettersi a correre il marciapiede ondeggiò sotto i suoi piedi, come se avesse una vita propria. Per non cadere dovette aggrapparsi alle