Una sposa impulsiva
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Info su questo ebook
La giovane debuttante Georgiana Knight non ha alcuna intenzione di sposare l'uomo che la sua odiata matrigna ha scelto per lei. Decide così di screditare il futuro sposo, raggiungendolo in un locale di dubbia fama, per poter dimostrare che non è il bravo ragazzo che dice di essere. L'ingenua mossa di Georgiana la mette però molto presto nei guai: venduta all'asta come cortigiana per una notte, viene tratta in salvo dal proprietario del locale che, per salvaguardare la sua reputazione, si offre di sposarla.
Frederick Challenger è un ex soldato che ha combattuto a Waterloo, un uomo freddo e controllato, l'esatto opposto di Georgiana che invece è esuberante e impulsiva. Il matrimonio non parte nel migliore dei modi: i litigi fra i due sono frequenti, ma il fuoco della passione è pronto a divampare in entrambi.
Christine Merrill
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Una sposa impulsiva - Christine Merrill
successivo.
1
I ballerini si fermarono e i musicisti posarono gli strumenti, e Georgiana Knight non era mai stata più lieta di sentir finire un brano.
«Danzate come un angelo.» Il suo ballerino, Sir Nash Bowles, non accennò a lasciare la mano che stringeva, tentando invece di sistemarsela nell'incavo del braccio per accompagnarla fuori dello spazio riservato alle danze.
Se avesse udito il complimento, la sua matrigna si sarebbe affrettata a puntualizzare che non c'era proprio niente di angelico, in Georgiana. Per Marietta, infatti, la figliastra era priva di buonsenso e di buone maniere. Negli anni successivi alla morte della madre, suo padre l'aveva lasciata libera di scorrazzare per la campagna come un maschiaccio. Il danno che ciò aveva causato al suo carattere era probabilmente irreparabile.
A George – così l'avevano sempre chiamata, da bambina – andava benissimo così, era felice com'era. Di certo non voleva diventare l'angelo di nessuno, sarebbe stato come danzare sulla punta di uno spillo, invece che sulla lama del rasoio della cortesia su cui si teneva in equilibrio, quando aveva a che vedere con Sir Nash. L'uomo era cugino di Marietta, pertanto ogni accenno di scortesia da parte sua sarebbe stato riferito alla sua matrigna, la quale, durante il ritorno a casa in carrozza avrebbe reagito con l'ennesima, noiosa ramanzina sulla sua condotta.
George strattonò la mano per liberarla dalla sua presa in modo tanto repentino che per poco non gli lasciò in mano il guanto vuoto. Senza dubbio Sir Nash lo avrebbe spifferato, e ci sarebbe stata un'altra discussione.
Forse non era troppo tardi per limitare i danni, pensò George rivolgendogli il sorriso più dolce che riuscì ad abbozzare, anche se non tentò di prendergli il braccio. «Vi ringrazio, sir. Anche voi siete un ballerino eccellente.» Una delle tante virtù, insieme con la ricchezza e le conoscenze della sua famiglia, che Marietta le avrebbe gettato in faccia nel momento in cui George avesse rifiutato la sua proposta di matrimonio, inevitabile.
Sir Nash le riprese la mano, come se avesse più diritto di toccarla di quanto lei ne avesse di respingerlo. «Un altro ballo? Ho sentito l'orchestra prepararsi per un valzer.»
Lei dovette reprimere il brivido di repulsione che l'idea le trasmise. Quell'uomo era riuscito a starle fin troppo vicino durante la più ordinaria delle quadriglie, solo il cielo sapeva cosa avrebbe tentato se avesse avuto un pretesto per tenerla tra le braccia. «Non vorrei alzarmi per poi dovermi fermare prima del termine del ballo.» Prese il ventaglio e lo aprì, creando una fragile barriera tra loro, poi lo richiuse e lo usò per sfiorarsi l'orecchio sinistro, utilizzando il linguaggio dei segni che le gentildonne avevano ideato per evitare scene imbarazzanti.
Desidero che mi lasciate sola.
Poi pronunciò quella che ambedue sapevano bene essere una cortese bugia per non metterlo in imbarazzo. «L'ultimo ballo mi ha affaticata molto. Penso sia meglio che mi riposi un poco.»
«Cerco subito un posto a sedere» si offrì lui all'istante, ignorando il suo messaggio, il tono e tutto ciò che George aveva fatto nel corso delle ultime settimane per scoraggiare i suoi tentativi di corteggiamento. Quando parlava c'era un debole sibilo che le ricordava sempre quello di un serpente. Il suo corpo era troppo tarchiato per farlo assomigliare a un rettile, ma i suoi movimenti, che danzasse o camminasse, erano fluidi e silenziosi. Anche quando non si trovava con lui, George temeva che potesse apparire all'improvviso con una parola inappropriata o un tocco sgradito.
Si posò il ventaglio sulla guancia sinistra.
No!
«Non c'è bisogno che mi accompagniate» replicò per ribadire il segnale, prima di aprire il ventaglio e sventolarlo con foga. «Devo recarmi nelle stanze delle signore.» Sarebbe stato assai più facile se lui fosse stato il tipo che calpestava gli orli delle gonne. A parte strapparsi la veste da sola, non le rimase altra scusa che le necessità naturali per rifugiarsi nelle stanze delle signore. Che Sir Nash pensasse pure quello che voleva sulle ragioni che l'avevano indotta a recarvisi, purché lei non fosse costretta a dichiarare a voce alta che cercava di sfuggirgli.
Lui annuì sconfitto e la lasciò andare, ma la sensazione spiacevole che le fece rizzare i capelli sulla nuca assicurò a George che l'uomo seguiva ogni passo della sua ritirata per assicurarsi dove fosse diretta.
Giunta al sicuro dietro la porta, George si lasciò cadere sulla sedia più vicina, ignorando l'andirivieni delle donne intorno a lei. Perché gli uomini meno affascinanti erano sempre i più insistenti? Il fatto che Sir Nash appartenesse alla famiglia della sua matrigna rendeva tutto ancor più imbarazzante. Marietta non faceva che tessere le sue lodi nella speranza di un'unione che, se fosse dipeso da George, non ci sarebbe mai stata.
Rabbrividì di nuovo. La sua matrigna non le piaceva, ma doveva sforzarsi di mantenere la pace per il bene di suo padre. Tuttavia, ciò non significava che fosse costretta a dedicare più di un ballo a Sir Nash.
«Georgiana!» La voce della sua matrigna lacerò i suoi pensieri come una scheggia di vetro.
«Sì, Marietta» rispose con un sospiro.
«Sir Nash mi ha detto che non ti senti bene.»
«E voi siete venuta a sincerarvi che sia vero» terminò George al suo posto.
La donna le lanciò un'occhiata torva. «Non voglio che te ne stia rintanata qui dentro, quando dovresti divertirti.»
«Io mi sto divertendo» ribatté lei, sincera, suo malgrado. «Mi diverto molto di più qui, sola, che danzando con vostro cugino.»
«Fanciulla orribile e ostinata!» La matrigna la guardò con il consueto, malcelato disprezzo. A diciannove anni George non piaceva a quella donna più di quanto le fosse piaciuta sette anni prima, quando Marietta aveva sposato suo padre. George aveva rinunciato da tempo a cercare di ottenere un'approvazione che non sarebbe mai arrivata.
Resistette alla tentazione di mettere il broncio e di comportarsi come la bambina viziata che Marietta l'accusava di essere. «Cerco di essere gentile. Se non mi interessano le sue attenzioni, sarebbe crudele da parte mia illuderlo.»
«Se pensi che respingerlo senza motivo sia una virtù, ti sbagli di grosso» sbottò Marietta.
«Ho ragioni più che sufficienti» ribatté lei mentre si guardava intorno. La loro discussione stava attirando attenzione sufficiente senza bisogno che descrivesse i dettagli più sordidi dei momenti trascorsi con Sir Nash.
«Se pensassi che il tuo desiderio di restare attaccata alle code della giacca di tuo padre sia una buona ragione per evitare il matrimonio, concorderei con te.»
«E che dite del vostro interesse nel costringermi a sposare vostro cugino per liberarvi di me?» reagì George, tagliente. «Sono più che disposta ad andarmene, ma non se dovrò sposare Nash Bowles.» In quel momento il suo viso si contorse nella smorfia che aveva cercato di sopprimere, ma fu più forte di lei. Menzionare il nome di quell'uomo bastò perché tutto, dentro di lei, si ritraesse con disgusto.
«Georgiana!»
Era l'inizio di quella che con tutta probabilità si sarebbe dispiegata come una colorita arringa riguardo alle molteplici mancanze del suo carattere, resa ancor più umiliante dalla presenza di decine di gentildonne e cameriere che fingevano di non udire ogni parola. Non intendeva sopportarlo, avrebbe preferito andare a sedersi nella carrozza. Forse, se lo avesse implorato, il cocchiere l'avrebbe riportata nella campagna a cui apparteneva perché, da quando era arrivata a Londra, non aveva avuto un momento di pace. George si alzò di scatto, scansò Marietta e uscì dalla porta, sbattendosela alle spalle.
Credeva che la serata non sarebbe potuta andare peggio, ma appena fuori della stanza si imbatté nell'unica persona che desiderava vedere meno di Sir Nash.
Mr. Frederick Challenger se ne stava appoggiato alla parete proprio di fronte alla porta. Per quale ragione si aggirava fuori della stanza delle signore? Oppure possedeva un istinto malevolo che lo attirava sempre nel punto in cui si trovava lei, per impedirle di recuperare anche solo un briciolo della sua dignità?
Lui si comportò come faceva ogni volta che la vedeva. Non si diede la pena di rivolgerle il saluto educato che perfino un mascalzone come Sir Nash le avrebbe tributato, puntò lo sguardo nella sua direzione con un sorrisetto, poi la guardò come se non esistesse.
Come aveva sempre fatto, dal primo momento in cui si erano incontrati. Ammesso che si potesse definire incontro un'occhiata fuggevole che non aveva portato a una presentazione. Era successo da Almack's qualche settimana prima, Marietta la stava quasi trascinando per un orecchio verso di lui. «Georgiana, devi conoscere Mr. Challenger. È il secondo figlio del Conte di Roston, un eroe di Waterloo, desiderabile e ricco!» Lo aveva dichiarato a voce talmente alta che tutti nelle vicinanze l'avevano udita.
Anche Mr. Challenger, il quale si era sentito insultato. Aveva rivolto uno sguardo assente nella loro direzione, quindi si era voltato e se n'era andato prima che potessero rivolgergli la parola. Da quel momento in poi era andata sempre così. Impossibile scusarsi, visto che non erano stati presentati. Non che George si sentisse in colpa per qualcosa che non aveva fatto. Al contrario, se lui fosse stato un vero gentiluomo, avrebbe finto di non aver udito parole che non erano state indirizzate alle sue orecchie.
Invece sembrava che il suo talento principale fosse ficcare quel suo naso perfetto in questioni che non lo riguardavano. Ovunque George andasse, c'era anche lui, sempre intento a osservarla fingendo di non notarla, senza mai rivolgerle la parola, ma sempre pronto a sorridere a ogni suo passo falso. Perché avrebbe dovuto stupirla che l'avesse sorpresa, furiosa, il volto arrossato dopo la discussione con la sua matrigna?
I loro occhi si incontrarono per un momento, in modo del tutto casuale, George ne fu certa. Quelli di lui si apprestavano già a scivolar via, ricordandole il suo disinteresse in modo doloroso. Per tutta risposta, lei gli scaricò addosso tutta l'irritazione per la serata con un grido muto fatto di rabbia ed esasperazione.
Mr. Challenger la ricompensò inarcando appena un sopracciglio, come per comunicarle che era consapevole della sua presenza, ma che era ben contento di non doverle parlare.
George trasse un respiro profondo per riprendere il controllo e rispose con quello che si augurò fosse un sospiro sdegnato che lo avrebbe dichiarato maleducato e indegno della sua attenzione. Quindi lo oltrepassò, dirigendosi verso le porte esterne.
In quel momento si accorse che la gonna era rimasta incastrata nella porta dietro di lei. La sua uscita solenne venne boicottata del suono della garza lacerata e da una pioggia di lustrini sul tappeto. Dal momento che le stanze delle signore erano uno dei tanti posti da cui cercava di fuggire, ritenne inutile tornare dentro per farsi riparare il vestito. Afferrò ciò che restava della gonna e corse verso la porta, seguita da una sommessa risata maschile.
«... e poi ha attraversato la sala da ballo correndo, con la sottoveste scoperta fin quasi alla vita!»
«Si è trattato di un incidente» borbottò George per quella che le parve la centesima volta. Sedeva nell'abitacolo della carrozza di fronte alla matrigna, un gomito sul finestrino, il mento appoggiato sul pugno, intenta a fissare il traffico londinese.
«Basta, Marietta.» La voce di suo padre le giunse dal posto in cui sedeva accanto alla moglie, anche lui intento a guardare fuori del finestrino. «Non l'ha fatto di proposito.» Poi sospirò.
Aveva preso le sue difese, ma sembrava leggermente deluso. Un tempo l'aveva amata, George ne era sicura, ma negli ultimi tempi, quando parlava, sembrava sempre stanco. A causa di Londra e dei suoi impegni al Parlamento? Oppure era stanco di lei?
«A Georgiana accadono troppi incidenti» dichiarò Marietta. «Dal momento che non vi siete dato la pena di insegnarle le buone maniere, qualcuno deve farlo. Mi sorprende che sia riuscita ad attirare il pur minimo interesse in ambito matrimoniale.»
«Il che ci riporta a Sir Nash, come immaginavo» dichiarò George con una smorfia. «Datemi pure un marito, se volete, ma trovate qualcun altro.»
La sua matrigna raddrizzò le spalle, indignata. «Non c'è niente che non vada, in Sir Nash. È un membro rispettabile della mia famiglia.»
«Non ne dubito, ma ciò non significa che io sia riuscita a nutrire un interesse nei suoi confronti.»
«A differenza del resto di Londra, tuttavia, sembra molto preso da te» osservò Marietta.
E così tutta Londra la detestava, si disse George. Be', a giudicare da Mr. Challenger, forse era proprio vero.
«Mi ha addirittura assicurato che in tutta Londra non esiste un'altra fanciulla che potrebbe renderlo felice» proseguì Marietta.
«E non esiste uomo al mondo che potrebbe rendermi più infelice.» George guardò il padre in cerca di aiuto. Anche se voleva che se ne andasse, aveva conosciuto Sir Nash, di certo capiva quanto fosse disperato quel piano.
«Hai detto lo stesso di tutti gli altri uomini che Marietta ha raccomandato» le fece notare lui con un altro sospiro, senza distogliere lo sguardo dal finestrino.
«Perché tutti gli uomini che Marietta ha raccomandato sono sbagliati per me» ribatté lei prima di poter riflettere, subito pentita per la propria mancanza di diplomazia. Tuttavia era vero, non era riuscita a far di meglio quando aveva cercato per conto suo. Le sembrava di aver danzato con tutti gli uomini della città, ma nessuno di loro aveva destato in lei alcun interesse.
Marietta toccò suo padre con la punta di un dito per richiamare la sua attenzione e annuì, come per dire che quella era la conferma che George era davvero schizzinosa come la consideravano.
In quel momento suo padre la guardò con l'espressione distante che negli ultimi tempi assumeva sovente. «Sono stanco di dover fungere da arbitro in queste controversie familiari.»
George sorrise sollevata, era la discussione a infastidirlo, non lei. Marietta non sarebbe stata contenta del seguito, ma, sebbene suo padre nutrisse dell'affetto per la seconda moglie, non era niente paragonato a ciò che aveva sempre dimostrato nei confronti della sua unica figlia.
Poi lui parlò. «Devi sposarti, Georgiana. Hai diciannove anni, non sei più una bambina. Non vedo perché non dovrebbe essere con Sir Nash.»
«Ma...» Le parole le morirono in gola. George non aveva mai immaginato che, quando fosse stato costretto a decidere, suo padre si sarebbe schierato con Marietta contro di lei.
«L'altra sera ha cenato con noi, e mi è parso che tu gli piaccia davvero molto.»
«Lui...» George scosse il capo, non sapendo come spiegare cosa fosse andato storto, quella sera. Sir Nash non aveva detto niente di inappropriato quando avevano parlato, qualche sera prima, né nelle altre occasioni. Poi, però, quando le si era seduto accanto sul divano, aveva menzionato una passione per il tabacco da fiuto e le aveva offerto di servirsi dalla sua tabacchiera.
George lo aveva trovato inconsueto, ma vagamente intrigante. Doveva essere gradevole, altrimenti la gente non ne avrebbe fatto uso. Tuttavia, dal momento che non le veniva in mente nessuna donna perbene che annusasse il tabacco, aveva dedotto che ci fosse qualcosa di scandaloso nel farlo. Alla fine aveva rifiutato, non sapendo se suo padre avrebbe approvato, nonostante la sua permissività.
Sir Nash si era stretto nelle spalle e aveva posato la tabacchiera sul tavolino accanto al fuoco, nel caso lei avesse cambiato idea. Un tentativo di civettare bizzarro, ma non pericoloso. Poi George aveva riportato lo sguardo sulla tabacchiera.
A prima vista la scena dipinta sul coperchio del contenitore di pietra liscia sembrava ordinaria come la serata. Una giovane coppia in una radura, lui la pregava, lei si copriva il viso con una mano, rifiutandosi con un sorriso timido.
Poi Sir Nash aveva preso un'altra presa di tabacco e aveva posato un'altra volta la tabacchiera sul tavolo, battendo le dita sul coperchio per attirare l'attenzione di George. L'immagine era cambiata. La giovane, che prima indossava una veste rosa, sembrava nuda. La mano sul suo viso sembrava meno un rifiuto innocente e più un gesto disperato e atterrito.
Il giovane con lei non era più un giovane, il petto era nudo, le gambe coperte di peluria, i piedi trasformati negli zoccoli bifidi di un capro. Il punto in cui le gambe si incontravano, però, era umano quanto una statua greca. Stava facendo...
... qualcosa.
George non aveva capito bene di cosa si trattasse, ma era certa che la giovane nel dipinto apparisse al contempo disgustata e soggiogata. La strana sensazione provata osservando l'immagine le assicurò che era qualcosa di cui non avrebbe dovuto sapere niente. E che quella tabacchiera era un oggetto che un gentiluomo perbene non avrebbe dovuto mostrare alla fanciulla che corteggiava.
Quando fu certo che lei l'avesse vista, Sir Nash prese la tabacchiera e se la mise in tasca. Poi le rivolse un sorriso malizioso e lodò i suoi capelli, dichiarando che aveva sempre preferito le bionde.
Bionde come la giovane nel dipinto sulla tabacchiera.
«Vedete?» George fu riportata al presente dalle parole di Marietta. «Non riesce a trovare una spiegazione logica per il suo rifiuto.»
«Non mi piace» dichiarò in modo più debole di prima.
Perché mi ha mostrato qualcosa che non capisco e ho paura di chiedervi cosa sia.
«A volte l'affetto si sviluppa con il tempo.» Nella voce di suo padre risuonava una debole speranza, poi lui rivolse una breve occhiata alla moglie prima di tornare a guardare fuori del finestrino.
«Non intendo sposarlo. Non potete costringermi.» Per poco George non gridò quelle parole nel tentativo di riguadagnare la sua attenzione.
«Al contrario, mia cara. Possiamo, e tu lo sposerai.» Marietta le rivolse un'occhiata gelida. «O sposi Nash, o me ne vado.» Quindi guardò il marito e gli rivolse la strana, rigida smorfia che considerava un sorriso. «Non sopporto più questa situazione, sono certa che lo capirete. Se non vi decidete a rimettere in riga vostra figlia, tornerò sul Continente, dove sono certa che troverò qualcuno che mi rispetti. E voi due resterete di nuovo soli, come vuole lei.»
Dopo sette anni di litigi, a George parve fin troppo bello per essere vero. Guardò suo padre con gli occhi colmi di speranza, in attesa della sua risposta.
Quando arrivò, non fu la rivincita che aspettava, ma l'ennesimo sospiro affaticato. «Hai sentito tua madre, Georgiana. Ha perso la pazienza. Finiamola con questa sciocchezza di rifiutare una proposta ancor prima che venga avanzata, in particolar modo da parte del cugino di tua madre.»
Per un momento George non riuscì a credere alle sue orecchie. Suo padre era stato costretto a scegliere e, senza un momento di titubanza, aveva scelto Marietta. «Non è mia madre.» Le sue parole suonarono puerili, ma non riuscì a tacere.
In quel momento la carrozza arrivò di fronte alla dimora londinese dei Knight, e George spalancò la portiera e balzò a terra ancora prima che si fosse fermata del tutto. Poi varcò di corsa la porta d'ingresso e salì le scale precipitandosi in camera sua, prima che il suo cuore si spezzasse del tutto.
La cameriera si era assopita su una poltrona, in attesa del suo arrivo. Si riscosse subito, guardò il vestito da ballo strappato e mormorò: «Oh, signorina!», prima di aiutarla a sfilarselo. «Vi faccio portare una tazza di latte caldo, poi vi metterò a letto.»
«Non trattarmi come una bambina» sbottò George, subito pentita per la reazione stizzita. Trasse un lungo respiro profondo. «Mi dispiace, Polly, ma non voglio andare a letto. Non ho intenzione di passare un'altra notte in questa casa. Fai portare i miei bauli. Ce ne andiamo.»
La giovane la guardò con un sorriso allarmato. «Dove andiamo, signorina?»
Un'ottima domanda, alla quale George non sapeva rispondere. Non c'era un parente, vicino o lontano, che sarebbe stato disposto a ospitarla, se suo padre avesse voluto che tornasse a casa. E