L amante di sua maestà: Harmony Collezione
Di Penny Jordan
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Info su questo ebook
Le antiche leggi del regno prevedono che ogni debito debba essere onorato. Con qualunque mezzo. Per questo Ionanthe sa perfettamente che dovrà lasciare la propria libertà e i propri sogni alle porte del castello: sarà lei a pagare per gli errori della sorella.
... e il suo prezzo.
Max, principe di Fortenegro, ha appena ereditato la corona del suo paese, e ha tutte le intenzioni di traghettarlo verso il XXI secolo, ben sapendo che dovrà lottare contro i privilegi dell'aristocrazia. Non prima, però, di aver incontrato la sua futura sposa.
Penny Jordan
Scrittrice inglese, attiva da parecchi anni nell'area della narrativa romantica, è notissima e molto apprezzata dal pubblico di tutto il mondo.
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Anteprima del libro
L amante di sua maestà - Penny Jordan
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
A Bride for His Majesty’s Pleasure
Harlequin Mills & Boon Modern Romance
© 2009 Penny Jordan
Traduzione di Raffaella Perino
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.
© 2010 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5898-653-0
Prologo
«E se mi rifiutassi di sposarti?» Ionanthe ostentò un tono indifferente per nascondere il proprio turbamento, ma era consapevole del leggero tremolio che le alterava la voce.
Max la guardò. «Credo tu conosca già la risposta a questa domanda.»
I raggi del sole al tramonto filtravano dalle finestre della torre e le illuminavano i capelli neri, rivelando la bellezza classica del viso e accarezzandole il collo.
Era una donna moderna intrappolata in un maleficio antico e potente, frutto della tradizione e della barbarie di quel popolo, considerò Max tra sé.
L’intensità della reazione fisica ed emotiva che sperimentò lo colse del tutto alla sprovvista. Era un insieme pericoloso fatto di compassione e desiderio, sentimenti che non avrebbe dovuto provare. Soprattutto il desiderio. Max si allontanò da lei, sentendosi come un adolescente che cerca di mascherare l’eccitazione causata dalle trasformazioni del proprio corpo.
Ma lui non era più un ragazzino, ed era perfettamente in grado di controllare gli impulsi e le emozioni. Il suo corpo lo aveva tradito? Be’, non avrebbe più permesso che accadesse.
Non si trovava in quella situazione per scelta, né per un tornaconto personale. Stava compiendo il proprio dovere, e lei era il mezzo per arrivare a ciò che gli serviva per aiutare chi lo meritava davvero. Era un terribile dilemma: o sacrificava lei, e in un certo senso anche se stesso, o avrebbe rischiato di sacrificare la sua gente. Non aveva la fortuna di potersi occupare dei propri interessi personali e privati. Il suo dovere lo obbligava a pensare alle persone che aveva giurato di servire nel momento in cui aveva accettato la corona ed era diventato il principe di Fortenegro.
Alla sua gente.
E a quella della donna che gli stava di fronte.
Si girò di nuovo verso di lei. C’era così tanto in gioco, il futuro dell’intera nazione era nelle mani di quella donna. Avrebbe preferito essere onesto con lei, ma come avrebbe potuto, considerando il passato della sua famiglia? Lei era la nipote di un uomo ricco. Max sapeva che il nonno era stato a volte iperprotettivo con i suoi nipoti, altre volte esageratamente severo, con il risultato di farli diventare propensi all’inganno e motivati solo dal proprio interesse.
Ionanthe guardò l’uomo che le stava di fronte, un uomo che rappresentava tutto ciò che lei detestava di più. «Vuoi dire che mi darai in pasto ai lupi?» lo incalzò. «Dovrò ripagare in questo modo i debiti che la mia famiglia ha nei tuoi confronti?» Rise amaramente quando lui non rispose. «E hai il coraggio di definirti una persona civile?» lo schernì.
«Tutto questo non dipende da me. Sono impotente quanto te in questa situazione.»
Impotente. Non era certo una parola scelta a caso, considerò Ionanthe, dato che le aveva appena comunicato che avrebbe dovuto sposarlo e dargli un figlio per rimediare ai torti che sua sorella gli aveva fatto. Se avesse rifiutato, sarebbe stata processata, grazie alla feudale forma di giustizia che vigeva a Fortenegro e che niente aveva a che fare con l’equità.
Mentre aspettava la sua risposta, Max ripensò agli eventi che avevano portato entrambi a quell’inattesa situazione...
1
«La nazione esige vendetta, Maestà.» Il cortigiano si rivolse a Max in modo categorico.
Senza dubbio il conte si considerava in grado di comandare l’isola di Fortenegro, che prendeva il nome dalle scure scogliere a picco sul mare che proteggevano le coste dell’isola.
«Bisogna dimostrare che giustizia sarà fatta» ribadì con forza il conte Petronius.
Il conte, come la gran parte dei cortigiani, era sulla sessantina. La società di Fortenegro era fiera della sua struttura patriarcale, con le sue leggi inclementi e perfino crudeli che riflettevano il rifiuto di adattarsi ai tempi moderni. Un rifiuto che Max era fortemente intenzionato a eliminare. L’unica ragione che lo aveva spinto a succedere al cugino e ad assumere il governo del principato era stata la determinazione di voler portare a compimento ciò che suo padre aveva tanto desiderato, ossia traghettare Fortenegro e la sua gente fuori dal Medioevo e dentro la luce del ventunesimo secolo. Ma tutto ciò avrebbe richiesto tempo e pazienza, e per prima cosa Max avrebbe dovuto guadagnarsi il rispetto e la fiducia della sua gente.
Il popolo di Fortenegro si opponeva a ogni forma di cambiamento, soprattutto se, come sostenevano i cortigiani, alterare lo status quo significava mettere in discussione il loro modo di vivere e i valori in cui credevano, come il bisogno di vendicarsi per un insulto o un’offesa, reale o presunta che fosse.
«Occhio per occhio, dente per dente. Questa è la legge dei nostri sudditi» continuò il conte con entusiasmo. «E loro si aspettano che lei la rispetti. Ai loro occhi, un principe che non salvaguarda il proprio onore non è in grado di proteggere il loro. Questo è ciò che credono, e il modo in cui vivono.»
E non sono i soli, rifletté Max guardando a uno a uno i vecchi cortigiani, già consiglieri di suo cugino. Benché adesso fosse lui il sovrano dell’isola, erano riluttanti a cedere il potere che si erano accaparrati durante gli ultimi anni del regno del cugino.
Ma Cosmo era stato un playboy, un libertino sfrenato ben poco interessato all’isola su cui avrebbe dovuto regnare, e tanto meno alla sua gente; a lui importava solo la ricchezza che derivava dallo sfruttamento delle materie prime.
Cosmo, tuttavia, era morto. La sua prematura scomparsa, a trentadue anni, era stata causata dall’abuso di sostanze stupefacenti, delle quali era diventato dipendente. Non avendo un erede, il titolo era quindi passato a Max.
Senza ombra di dubbio andava fatta giustizia, lo sapeva, ma l’avrebbe fatta a modo suo, seguendo l’istinto e rimanendo fedele ai propri ideali.
Il più anziano tra i consiglieri di suo cugino stava ancora parlando. «La gente si aspetta che lei si vendichi del tradimento di sua moglie.»
Max sapeva che il nonno di Eloise e il conte erano stati acerrimi nemici, in comune avevano solo il rispetto di un codice morale primitivo e arcano. Ora che sia la moglie che suo nonno erano morti, lui si sarebbe dovuto vendicare sull’unico membro della famiglia rimasto, la sorella di Eloise. Sarebbe stata lei a pagare perché la sorella aveva tradito il marito, oltre a non avergli dato l’erede promesso.
Ai loro occhi vendicarsi non era solo un suo diritto, ma il suo dovere di regnante, secondo le vecchie consuetudini riguardanti i torti inflitti all’onore di un uomo. La famiglia della sua defunta moglie avrebbe dovuto pagare per la vergogna che lei gli aveva procurato. Secondo la tradizione, il marito tradito avrebbe potuto abbandonare la moglie e prendere in cambio una sorella o una cugina, che avrebbe dovuto dargli il figlio che la moglie gli aveva negato.
Erano antiche leggi non scritte, e Max era sconvolto alla prospettiva di doversi piegare a esse e a coloro che le rispettavano. Ma non aveva scelta, non se voleva conquistare la fiducia della sua gente. Senza di essa, gli sarebbe stato impossibile cambiare le cose e traghettare l’isola e i suoi abitanti nel mondo moderno. Aveva già sacrificato una volta le sue convinzioni, sposando Eloise. Voleva davvero farlo una seconda volta, specialmente quando ciò implicava coinvolgere anche qualcun altro? E poi, perché?
Il prestigio e la ricchezza che derivavano dal governare l’isola avevano poca importanza per lui. Era già ricco di famiglia, e l’idea di comandare non corrispondeva ai suoi ideali. Ma era di fatto il padrone dell’isola, che lo volesse o meno, e quindi doveva prendersi cura della sua gente. Poteva non avere successo nel cambiare la mentalità delle generazioni più vecchie, ma per il bene dei loro figli e nipoti doveva guadagnarsi almeno la fiducia degli anziani più autorevoli, così da poter lentamente mettere in pratica gli auspicati cambiamenti.
Rifiutarsi di accettare il loro modo di vivere, e ignorare le leggi che significavano così tanto per loro, voleva dire creare inutile ostilità. Max era consapevole di tutto ciò, ma quella faccenda dell’onore e della vendetta continuava a sembrargli ripugnante.
Un anno prima avrebbe riso di gusto al solo pensiero di trovarsi a governare un’isola nel mar Egeo. Naturalmente era a conoscenza dell’esistenza dell’isola e della sua storia. Suo padre ne aveva parlato spesso, e l’argomento era stato anche fonte di frequenti discussioni con suo fratello maggiore, che si rifiutava di riconoscere che per il bene degli abitanti dell’isola era necessario spendere parte delle loro ricchezze per migliorare la qualità di vita e l’istruzione del popolo.
Suo padre gli aveva spiegato che l’isola era prigioniera del proprio passato, e che gli uomini che erano stati consiglieri di suo nonno - e del suo bisnonno prima di lui - avversavano ogni forma di modernizzazione, per paura che nuocesse alla loro ricchezza e al loro status. Forte della sua spiccata intelligenza e dell’amore per il prossimo, aveva dimostrato come fosse possibile essere sia ricchi sia filantropi, e dopo la sua morte Max aveva continuato a lavorare a capo della fondazione umanitaria che il genitore aveva creato. Grazie alle conoscenze finanziarie di Max, la sua ricchezza personale e quella della fondazione erano cresciute, e lui era entrato a far parte di quella cerchia ristretta e discreta di milionari che usava il proprio patrimonio per fare del bene agli altri. L’anonimato era una virtù apprezzata in quel gruppo di generosi benefattori.
Max e suo cugino non avrebbero potuto essere più diversi uno dall’altro.
Tramite la famiglia di suo padre, Max aveva ereditato il fisico alto e imponente del principe guerriero che aveva conquistato l’isola molte generazioni prima. Aveva folti capelli neri, e il suo profilo rivelava così poche emozioni da sembrare scolpito in quella stessa roccia che proteggeva l’isola dai nemici.
Aveva preso dalla madre inglese solo gli occhi color ardesia. Il resto di lui, come spesso suo padre gli aveva fatto notare, era pura razza Fortenegro. La prova della veridicità di quell’affermazione era il profilo stampato nelle vecchie monete locali. Ma sebbene il suo aspetto rispecchiasse quello dei suoi antenati, il carattere era del tutto originale. Era un uomo che intendeva ardentemente rimuovere il giogo di oppressione sotto cui giacevano i suoi sudditi.
Quando era salito al trono, si era ripromesso di liberarla dal vincolo della povertà e della mancanza di opportunità che la affliggeva