La fattoria degli animali (Tradotto)
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Info su questo ebook
Che si chiamino Napoleon o Stalin, la fine della storia è sempre la stessa.
George Orwell
Fue en 1903 cuando Eric Arthur Blair, el escritor británico más conocido por su seudónimo George Orwell, nació en Motihari, India. Estudió en el Eton College de Inglaterra gracias a una beca, y prestó sus servicios en la Policía Imperial. Estuvo destinado en Birmania, de 1922 a 1927, fecha en que regresó a Inglaterra. Enfermo y luchando por abrirse camino como escritor, vivió durante varios años en la pobreza, primero en París y más tarde en Londres. Como resultado de esta experiencia escribió un primer libro 'Sin blanca en París y Londres' (1933), donde relata las sórdidas condiciones de vida de las gentes sin hogar. 'Días en Birmania' (1934), un feroz ataque contra el imperialismo, es también, en gran medida, una obra autobiográfica. Su siguiente novela, 'La hija del Reverendo' (1935), cuenta la historia de una solterona infeliz que encuentra de manera efímera su liberación viviendo entre los campesinos. En 1936 Orwell luchó en el ejército republicano durante la Guerra Civil española (1936-1939). El autor describe su experiencia bélica en 'Homenaje a Catalunya' (1938), uno de los relatos más conmovedores escritos sobre esta guerra y en el que se hace responsable al Partido Comunista Español (PCE) y a la Unión Soviética de la destrucción del anarquismo español que supuso el triunfo de la Falange. 'El camino a Wigan Pier' (1937), escrita en esta misma época, es una crónica desgarradora sobre la vida de los mineros sin trabajo en el norte de Inglaterra. Su condena de la sociedad totalitaria queda brillantemente plasmada en una ingeniosa fábula de carácter alegórico, 'Rebelión en la granja' (1945), basada en la traición de Stalin a la Revolución Rusa, así como en la novela satírica '1984' (1949). Esta última ofrece una descripción aterradora de la vida bajo la vigilancia constante del "Gran Hermano". Cabe citar entre otros escritos, la novela 'Que vuele la aspidistra' (1936) y 'Disparando al elefante y otros ensayos' (1950), ambas consideradas modelos de prosa descriptiva, y 'Así fueron las alegrías' (1953), un recuerdo de sus difíciles años de estudiante. En 1968 se publicaron en cuatro volúmenes sus Ensayos Completos: Periodismo y Cartas. Orwell murió de tuberculosis en enero de 1950, dejando tras de sí un profundo escepticismo por las marañas políticas
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Anteprima del libro
La fattoria degli animali (Tradotto) - George Orwell
LA FATTORIA
DEGLI ANIMALI
GEORGE ORWELL
1945
Traduzione a cura di David De Angelis 2020
Tutti i diritti di Traduzione sono riservati
CONTENUTO
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
George Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair (Motihari, 1903 – Londra, 1950), è stato un giornalista, saggista, scrittore e attivista britannico.
Orwell è uno dei saggisti di lingua inglese più diffusamente apprezzati del XX secolo.
La sua grande fama è dovuta a due romanzi scritti verso la fine della sua vita, negli anni quaranta: l'allegoria politica de La fattoria degli animali e 1984, che descrive una così vivida distopia totalitaria da aver dato luogo alla nascita dell'aggettivo «orwelliano», oggi ampiamente usato per descrivere meccanismi totalitari di controllo del pensiero.
Orwell condusse sempre la sua attività letteraria in parallelo con quella di giornalista e attivista politico.
CAPITOLO 1
Il signor Jones, della Fattoria Padronale, aveva chiuso a chiave i pollai per la notte, ma era troppo ubriaco per ricordarsi di chiudere anche le porticine di passaggio. Con l’alone luminoso della sua lanterna che ballava di qua e di là barcollò attraverso il cortile, arrivò alla porta sul retro dove, con un calcio, si levò gli stivali, poi si spillò un ultimo bicchiere di birra da un fusto nel retrocucina, e se ne andò di sopra, a letto, dove la signora Jones stava già russando.
Non appena la luce nella camera da letto fu spenta ci fu un’agitazione e uno sbatter d’ali in tutti gli edifici della fattoria. Durante il giorno si era sparsa la voce che il vecchio Maggiore, un pregiato verro di razza grande York bianca, aveva avuto uno strano sogno la notte precedente e desiderava comunicarlo agli altri animali. Era stato concordato che si sarebbero riuniti tutti nel grande granaio non appena fossero stati sicuri che il signor Jones si fosse tolto di mezzo. Tra gli animali della fattoria, il vecchio Maggiore (veniva sempre chiamato così, anche se il nome con cui era stato messo in mostra era La Meraviglia di Willingdon
) godeva di una considerazione così grande che tutti erano ben pronti a perdere un’ora di sonno per sentire che cosa avesse da dire.
Su un lato del grande granaio, sopra una specie di palco rialzato, il Maggiore si era già sistemato sul suo letto di paglia, sotto una lanterna che stava appesa a una trave. Aveva dodici anni e negli ultimi tempi si era fatto piuttosto corpulento, ma era ancora un maiale dall’aspetto maestoso, che ispirava saggezza e benevolenza nonostante le sue zanne non fossero mai state tagliate. Dopo non molto gli altri animali cominciarono ad arrivare e a mettersi comodi, ognuno alla propria maniera. Prima vennero i tre cani, Campanella, Jessie e Pizzicotto, e poi i maiali, che si sistemarono nella paglia subito davanti al palco. Le galline si appollaiarono sui davanzali delle finestre, i piccioni svolazzarono sulle travi del tetto, le pecore e le mucche si stesero dietro i maiali e iniziarono a ruminare. I due cavalli da tiro, Pugile e Trifoglio, arrivarono insieme, camminando molto lentamente e facendo molta attenzione a dove posavano i loro grandi zoccoli pelosi, per paura che ci fosse qualche animale piccolo nascosto nella paglia. Trifoglio era una robusta giumenta materna che si avvicinava alla mezza età, e che non aveva mai riacquistato del tutto la propria figura dopo aver dato alla luce il suo quarto puledro. Pugile era una bestia enorme, alta quasi diciotto spanne e forte quanto due cavalli normali messi insieme. Una striscia bianca lungo il suo naso gli dava un aspetto un po’ stupido, e in effetti non aveva un’intelligenza di prim’ordine, ma era universalmente rispettato per la fermezza del suo carattere e per il grandissimo lavoro che era in grado di svolgere. Dopo i cavalli vennero Muriel, la capra bianca, e Beniamino, l’asino. Beniamino era il più vecchio degli animali della fattoria, ed era quello con il carattere peggiore. Parlava di rado, e, quando lo faceva, di solito era per fare qualche commento cinico; per esempio, diceva che Dio gli aveva dato una coda per tenere lontane le mosche, ma lui avrebbe preferito non avere né coda né mosche. Era l’unico animale della fattoria che non rideva mai. Se gli veniva chiesto perché, diceva che non vedeva nulla per cui ridere. Ciononostante, senza ammetterlo apertamente, era molto attaccato a Pugile; loro due di solito trascorrevano le domeniche insieme nel piccolo recinto dietro il frutteto, pascolando fianco a fianco e non parlando mai.
I due cavalli si erano appena distesi quando una covata di anatroccoli, che avevano perso la madre, entrò in fila nel granaio, pigolando debolmente e vagando di qua e di là per trovare un posto dove non venissero calpestati. Trifoglio fece una specie di barriera intorno a loro con la sua grande zampa anteriore, e gli anatroccoli vi si annidarono dietro e si addormentarono subito. All’ultimo momento Mollie, la sciocca e graziosa giumenta bianca che tirava il calesse del signor Jones, entrò camminando con grazia, a passettini, mentre mordicchiava una zolletta di zucchero. Prese posto davanti al palco e iniziò ad agitare la sua bianca criniera, sperando di attirare l’attenzione sui nastri rossi con cui era ornata. Per ultima giunse la gatta, che si guardò intorno, come di consueto, cercando il posto più caldo, e alla fine si schiacciò tra Pugile e Trifoglio; lì fece le fusa con soddisfazione per tutta la durata del discorso del Maggiore senza ascoltare una sola parola di quello che questi stava dicendo.
Erano quindi presenti tutti gli animali tranne Mosè, il corvo domestico, che dormiva su un trespolo dietro la porta sul retro. Quando il Maggiore vide che tutti si erano messi comodi e che stavano aspettando prestando attenzione, si schiarì la gola e cominciò:
"Compagni, avete già saputo dello strano sogno che ho fatto la scorsa notte. Ma verrò al sogno in un secondo momento. Ho qualcos’altro da dire prima. Io non penso, compagni, che sarò ancora con voi per molti mesi, e prima che io muoia, sento che è mio dovere trasmettervi la saggezza che ho acquisito. Ho avuto una vita lunga, ho avuto molto tempo per pensare mentre stavo disteso da solo nella mia stalla, e penso di poter dire di capire la natura della vita su questa terra così come la natura di ogni animale oggi vivente. È di questo che desidero parlarvi.
"Ebbene, compagni, qual è la natura di questa nostra vita? Diciamolo: le nostre vite sono miserabili, faticose e brevi. Nasciamo, ci viene dato giusto il cibo necessario per mantenere in vita i nostri corpi, e quelli di noi che sono in grado di farlo vengono costretti a lavorare impiegando fino all’ultimo atomo della propria forza; e nel momento esatto in cui la nostra utilità finisce veniamo macellati con una crudeltà orrenda. Nessun animale in Inghilterra conosce il significato della felicità o dello svago dopo aver compiuto il primo anno di età. Nessun animale in Inghilterra è libero. La vita di un animale è miseria e schiavitù: questa è la pura verità.
"Ma questo fa semplicemente parte dell’ordine naturale delle cose? È così perché questa nostra terra è tanto povera da non poter offrire una vita decente a quelli che vi risiedono? No, compagni, mille volte no! Il suolo d’Inghilterra è fertile, il suo clima è buono, è capace di offrire cibo in abbondanza a un numero di animali immensamente più grande di quello che oggi la abita. Questa nostra fattoria, da sola, potrebbe dare sostentamento a una dozzina di cavalli, venti mucche, centinaia di pecore, e tutti questi animali potrebbero vivere in una condizione di benessere e di dignità che oggi sono quasi al di là della nostra immaginazione. Perché dunque continuiamo con questa condizione miserabile? Perché la quasi totalità del prodotto del nostro lavoro ci viene rubato dagli esseri umani. Lì, compagni, sta la risposta a tutti i nostri problemi. Si riassume con una sola parola: Uomo.
"L’Uomo è l’unico vero nemico che abbiamo. Togliendo l’Uomo dalla scena, la causa che sta alla radice della nostra fame e del nostro eccesso di lavoro viene abolita per sempre.
"L’Uomo è la sola creatura che consuma senza produrre. Non dà il latte, non fa le uova, è troppo debole per tirare l’aratro, non può correre abbastanza veloce da catturare i conigli. Eppure è il signore di tutti gli animali. Li fa lavorare, gli rende lo stretto necessario per far sì che non muoiano di fame e il resto lo tiene per sé. Con la nostra fatica il terreno viene lavorato, con il nostro sterco viene concimato, eppure neanche uno di noi possiede qualcosa di più della propria nuda pelle. Voi mucche che vedo davanti a me, quante migliaia di galloni di latte avete dato durante quest’ultimo anno? E cosa è accaduto a quel latte che avrebbe dovuto far crescere dei vitelli vigorosi? Ogni goccia di quel latte è finita nelle gole dei nostri nemici. E voi galline, quante uova avete fatto in quest’ultimo anno, e quante di quelle uova sono state covate fino a schiudersi dando alla luce dei pulcini? Le altre sono finite tutte al mercato per far guadagnare dei soldi per Jones e per