Scarlet - Morire per vivere
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Info su questo ebook
Dopo la morte e l'abbraccio, Scarlet ci racconta la sua storia, mostrandoci il mondo umano attraverso gli occhi di una nuova non-vita. Il rapporto speciale con la madre e la stregoneria, poi la perdita, l'amore ribelle, il dolore e la solitudine come rifugio, fino all'incontro con un personaggio dal volto misteriosamente familiare.
Sarà lui che condurrà Scarlet ad addentrarsi in una realtà oscura e spietata nelle notti di San Francisco, in cerca di risposte, costringendola a confrontarsi con le paure e i ricordi da cui era sempre fuggita.
Tutto ha un prezzo e dove trova fine la vita di Scarlet, inizia la sua trilogia.
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Anteprima del libro
Scarlet - Morire per vivere - Chiara Casalini
Vivere
Tutti i diritti sono riservati
© Chiara Casalini, 2013
Prima edizione, Ottobre 2013
℗ Loquendo Editrice
Seconda edizione, 2017
℗ Chiara Casalini
Modella: Lady Zora
Ph.: Neymaier Guidi
Editing: Emanuela Angius
A mia madre,
a tutte le persone che credono in me
e a O’Mark, senza il quale questo libro
non avrebbe mai avuto un inizio:
Grazie Master!
.
Indice
Prefazione
Storie di famiglia
L’ultimo sorriso
La mia ribellione
Frammenti di vita dei miei 17 anni
Dei miei 18 anni
Il silenzio di un cuore spezzato
Uno strano incontro
Ritorno a San Francisco
Veterans Day
Come lupi tra gli uomini
La festa
Le vacanze invernali
Buon Natale
La verità
Vacanze di primavera
Senza via d’uscita
Una lunga attesa
La mia natura
Senza più maschere
L’ultimo amore
P
refazione
Questo libro nasce dalla passione per il mito dei vampiri, per il loro oscuro e affascinante mondo che cattura in una visione romantica, pur senza dimenticare le leggende più sanguinarie. Il romanzo, tuttavia, non vuole descrivere la vita di un Vampiro, bensì rivedere il mondo umano attraverso gli occhi di una nuova non-vita: la storia di un’esistenza insolita, ricordata come in un diario postumo, dopo la morte e l’abbraccio.
Nel ricordare il proprio passato, la protagonista non si sofferma tanto sul ricostruire una sequenza esatta e completa degli eventi, se non dei più significativi, quanto piuttosto sulle emozioni, i sentimenti, le atmosfere; cose che catturano, a volte senza un perché. Da un ricordo magari ne emerge un altro che era stato dimenticato.
Così, Scarlet racconta la propria storia, i propri dolori e amori, a partire da un’infanzia felice con una madre italiana e un padre americano, tra gioie e benessere, seppur fuori dal comune. Un’infanzia tragicamente stroncata dalla morte dell’amata madre, preceduta da uno strano incontro, e dallo stravolgimento dei rapporti con il padre, trasformatosi in un carceriere assente, tutto tanto più incomprensibile agli occhi di una bambina di undici anni, che non può comprendere ciò che accade realmente intorno a lei.
Il dolore della tragedia e la solitudine sfociano nella ribellione di un’adolescente che manifesta il rifiuto del proprio status sociale e delle regole, di qualsiasi tipo esse siano, tramite la scelta delle proprie amicizie e, soprattutto, un amore al limite della legalità, vissuto per strada, in modo istintivo e intenso.
Una fredda solitudine è, per la protagonista, il rifugio da una vita fatta di dolore, ma l’incontro con un personaggio il cui volto le è misteriosamente familiare la porterà ad addentrarsi, per trovare le risposte che cerca, in un mondo oscuro e crudele, dove sarà costretta a confrontarsi con tutte le paure e i ricordi da cui era sempre fuggita.
Passo dopo passo, verità dopo verità, Scarlet trova le sue risposte e compie le sue scelte, scoprendo un nuovo modo di amare e una nuova realtà: una realtà che vive solo di notte.
Storie di famiglia
"I ricordi sbiadiscono nello scorrere di un Eterno,
perdendosi nelle nebbie del tempo"
Così, questa notte inizio a scrivere la mia storia, seguendo il consiglio dell’ultimo uomo che ho amato, colui che ha posto fine alla mia vita e dato inizio alla mia non-vita, condannata a nutrirmi solo di chi lui mi ricorda. Mai abbastanza lontana per dimenticarlo; incapace di recidere questo legame.
Scarlet, questo il mio nome. Nata il 21 dicembre 1982, dei miei genitori ricordo l’amore, il calore, le storie che mi raccontavano del loro primo incontro, magico, folgorante. Si incontrarono in autunno, durante un viaggio d’affari di mio padre in Italia, a Torino. Lui stava camminando per strada, ancora reduce dai postumi del jet lag, quando il suo sguardo incrociò due occhi viola e profondi, in cui si perse in un sol attimo. Quante volte ho sentito questa storia, quante volte l’ho letta nel diario di mia madre immaginando, sentendo, capendo quelle emozioni che minuziosamente descriveva fino a renderle vive e palpabili. Si incontrarono, si amarono, e mia madre lo seguì a San Francisco senza indugi; un anno dopo nacqui io. Lei si adattò con una certa facilità al nuovo stile di vita, senza però cambiare ciò che era… e mio padre l’amava per tutto quello che era.
Ricordo una vita tranquilla, fatta di piccoli gesti in famiglia, nonostante mio padre lavorasse moltissimo, e compleanni deliranti, tra feste e regali. Tanta gioia, tanta vita.
Mia madre era sempre presente e attenta a tutto e tutti: nessuno poteva sfuggire alle sue attenzioni. Tante cene, tante persone, conoscenti e affaristi. Tuttavia, lei non aveva molti amici, le persone di cui si fidava si potevano contare sulle dita di una mano: tre a Torino e due San Francisco.
Lei, sempre presente, padrona del suo piccolo regno: la nostra casa. So che la ristrutturarono mentre lei era incinta; i miei genitori ci misero il cuore per renderla perfetta ai loro occhi… e ai miei. Un piccolo salone ad accoglierti, con un pavimento in marmo scuro e un lampadario in cristallo che da bambina mi incantava.
Appena entrati, sulla sinistra il guardaroba e a destra lo studio di mio padre, il posto che meno conoscevo e che meno ho vissuto: lì non si giocava mai.
Di fronte alla porta d’accesso si apriva quindi la zona giorno, suddivisa in due ambienti da un ampio arco a volta, muri candidi e marmo rosato. A sinistra il salotto con un grande divano angolare in pelle nera, un buon televisore e un camino che d’inverno trasmetteva calore a tutta la stanza, non tanto in termini di temperatura, quanto di atmosfera. Un’ampia libreria in nero ebano si stagliava sul muro alle spalle del divano, dando un tocco di stile alla stanza, con libri e riviste varie.
Sulla destra un’esplosione di luce portava al soggiorno, con un enorme tavolo, in mogano e cristallo, e alte sedie con seduta in pelle nera. Ciò che davvero colpiva era la vetrata che dava sul giardino, occupando quasi l’intera parete esterna. Era stata mia madre a volerla, il giardino era il suo angolo di paradiso, a cui si dedicava con costanza, tra fiori, piante ed erbe di qualsivoglia genere. Le piaceva poter conversare stando ad ammirare quello squarcio di natura.
La scala che portava al reparto notte, separava in modo netto alla vista il soggiorno dalla cucina: il pavimento riprendeva i toni scuri della sala d’accesso, in contrasto con i mobili bianchi che l’arredavano. Quando non avevamo ospiti eravamo soliti mangiare lì: un luogo decisamente più intimo e informale, in cui era facile trovare un contatto e parlare tutti assieme, scherzare.
Al piano di sopra tutto il pavimento era coperto di caldo parquet, che conferiva un tono alla stanza decisamente accogliente. Sia la mia camera che quella dei miei genitori avevano un bagno personale, poi vi erano un paio di alloggi per gli ospiti, altri due bagni, meno importanti, e una stanza che mi era stata riservata come studio: in realtà fungeva da sala giochi nell’infanzia.
Mia madre tenne per sé la soffitta, a cui si accedeva da una piccola scala laterale, proprio di fianco la loro camera. Adoravo quel posto: vi trascorrevo così tanto tempo con lei: tempo prezioso, unico.
Decisamente non mi è mai mancato nulla: ho avuto un’infanzia felice. Nonostante le altre bambine leggessero giornaletti che io ritenevo inutili, riuscivo a integrarmi con facilità, mentre mia madre mi istruiva ai suoi culti, antichi e misterici, assai lontani da quel mondo, ma vicini a me.
Ho sempre vissuto e visto ciò che mia madre era, ma fu al compiere dei miei sei anni che iniziò la mia istruzione, fatta di leggende non più fantastiche, ma di frammenti nascosti di una realtà per i più impossibile; oggetti e gesti calati in un mondo sottile ed etereo che pian piano entrarono nel mio quotidiano e che costruirono un legame indissolubile tra me e lei. Ore di meditazione in una solitudine mai vuota, in un silenzio ricco di parole, che solo chi ha provato può tentare di capire. Libri e manoscritti il cui profumo ancora riecheggia nella mia mente, causandomi una stretta al cuore per emozioni ormai non più tangibili.
Lei scriveva molto, tutto: ogni dettaglio, anche apparentemente insignificante, era un mattone con cui costruire la propria forza e ampliare le proprie conoscenze. Nulla doveva andare dimenticato, perché anche le pratiche più antiche potevano essere modificate, adattate, amplificate.
Al tempo non comprendevo veramente tutto ciò: mi sembrava eccessivo e maniacale, ma era la verità ch’ella cercava di trasmettermi. Ogni vita finisce e tutto sarebbe andato perso se quei pezzi non fossero stati scritti per essere tramandati.
Nonostante ciò, c’era qualcosa che lei non aveva considerato: un’altra realtà, una non-vita, eterna e sterile, in cui la solitudine diventa un vuoto interminabile e la conoscenza, un bagaglio sempre più pesante da trascinare attraverso il tempo.
Le uniche due amiche di mia madre qui a San Francisco erano Amy e Kayla, due donne che avevano circa la sua stessa età. Si trovavano quasi ogni giorno: la sera in famiglia, per bere un caffè e chiacchierare degli argomenti più comuni; di pomeriggio, invece, soltanto fra di loro, per affrontare discorsi di tutt’altra levatura, estremamente intensi, in uno studio continuo della natura umana nei suoi molteplici aspetti e potenzialità.
Un giorno, però, Amy dovette trasferirsi a New York per affari del marito e restò via un paio d’anni, se la memoria non m’inganna. Quando tornò, io avevo circa dieci anni e il suo approccio alla vita era molto diverso; ancora oggi, non so cosa sia successo, ma iniziai a essere tenuta in disparte dalle conversazioni private tra lei e mia madre.
Chi varcava la porta di casa non poteva sfuggire all’attenzione di mia madre, sempre accorta, cordiale e disponibile con tutti. Quegli occhi riuscivano a seguirti ovunque in casa, o almeno quella era la sensazione che lei mi trasmetteva, e le sue attenzioni erano così argute da precedere, talvolta, le richieste stesse.
Lei era sempre presente quando ne avevo bisogno: era una madre, ma anche un’amica, senza mai perdere la sua genitorialità. Forse per questo la sua mancanza ha lasciato un vuoto incolmabile in chi l’ha amata così tanto.
L’ultimo sorriso
Un week-end di luglio, prima del mio undicesimo compleanno, mio padre ci portò a Disneyland: una splendida giornata tra giostre, dolci, spettacoli e, soprattutto, con i miei genitori.
Non so dire quante corse gli