Manuale per il testing pedagogico ed educativo professionale
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Ma i test per Educatori Professionali sociali e Pedagogisti esistono. Non sono una realtà di ieri, e coprono un vastissimo ambito di applicazione, concorrendo a rendere le Scienze dell’Educazione un approccio realmente scientifico e evidence based.
Il testo chiude metaforicamente il quadrato di base delle abilità fondamentali per poter svolgere la libera, trattate negli altri testi della collana, ma è assolutamente fruibile anche dai professionisti che lavorano in ambito cooperativistico o scolastico.
La prima sezione comprende una descrizione pratica che accompagna il professionista dall’acquisto del test fino al colloquio di restituzione, mentre la seconda sezione include una disanima analitica di 100 test dedicati a educatori sociali e pedagogisti.
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Anteprima del libro
Manuale per il testing pedagogico ed educativo professionale - Pier Paolo Cavagna
analitico
Prefazione
La consapevolezza dell’oggetto di studio della pedagogia induce, da diversi anni, a una domanda: a quali condizioni possiamo ritenere di agire in modo sperimentale nella valutazione e nella rilevazione di infor-mazioni in ambito educativo?
Lo stesso John Dewey nel testo Le fonti di una scienza dell’educazione
asseriva: Adotta metodi sistematici di ricerca che, quando vengono applicati ad un complesso di fatti, ci consentono una migliore comprensione e un controllo più intelligente e meno confuso e abitudinario
.
Il pedagogista, dunque, nel suo ruolo di esperto in scienze dell’educazione, non può non avvalersi del contributo conoscitivo e metodologico scaturito anche da altre scienze: questa la consapevolezza che oggi si pone come base di partenza incontrovertibile.
È anche un’evidenza assodata che tra gli strumenti, le tecniche e gli approcci adottati da parte delle professioni pedagogiche siano inclusi l’osservazione sistematica, il colloquio pedagogico di consulenza, i focus group, le check list, le interviste biografiche, i questionari (strutturati e semi-strutturati), la progettazione e la supervisione pedagogica personalizzata. Tuttavia, la mia personale esperienza maturata nell’ambito dell’orientamento lavorativo e della formazione professionale, insieme ai miei studi accademici, mi ha donato l’opportunità di non precludermi, in modalità aprioristica, la considerazione di strumenti che, di primo acchito, come ben esposto dall’autore del testo, potrebbero suscitare vivaci discussioni o addirittura perplessità tra i pedagogisti; nonostante vi sia già una corposa letteratura scientifica e accademica scaturita da discipline quali la pedagogia sperimentale, la docimologia, i modelli statistici per l’analisi e la valutazione dei processi educativi, la metodologia e tecnica della ricerca sociale e la metodologia della ricerca pedagogica.
Pertanto, sulla base di tali premesse, ho accolto positivamente l’occasione di scrivere la prefazione di un manuale incentrato su uno dei temi tra i più spinosi
e, forse, anche meno sondati
nella nostra odierna pratica pedagogico-professionale, per diversi ordini di motivi:
• si tratta di un contributo dal taglio pratico fornito da chi la professione la vive
e la svolge concretamente nel territorio, piuttosto che da dietro una cattedra;
• è in progressivo aumento l’istanza di oggettività, con la conseguente produzione di risultati tangibili
e le esigenze di compara-zione, anche nella valutazione che si attua in campo educativo e formativo;
• per ultimo, ma non meno importante, il testing pedagogico rientra all’interno di quel poliedrico patrimonio epistemologico che pedagogisti ed educatori dovrebbero conoscere e padroneggiare anche se, non necessariamente tutti, lo adotteranno nella propria pratica lavorativa.
In relazione ai punti sopra elencati, un’ulteriore puntualizzazione dobbiamo inevitabilmente rivolgerla alla crescente richiesta di tangibilità
in contesti o relazioni costituiti da variabili difficili da materializzare o quantificare. Non possiamo negare a noi stessi, ogni qualvolta si associa l’oggettività alla sfera dell’educativo, di nutrire il timore che si possa perdere di vista il ruolo centrale della biografia individuale o addirittura il rispetto dell’unicità della persona a cui ci rivolgiamo; non è neanche così inconsueto assistere alla contestazione del testing, tout court, talvolta anche senza conoscerlo, adducendo come motivazione il limite di incasellare
l’altro all’interno di rigide categorie. Sulla base di quanto espresso, nel momento in cui ci poniamo tali perplessità precostituite senza promuovere un atteggiamento critico nella costruzione della conoscenza, forse rischiamo di ritrovare anche noi stessi tra coloro che pongono una prima etichetta non annoverando uno strumento, ed è mia premura ribadire che è uno, non certamente il solo, che dovrebbe rientrare nel nostro bagaglio di fondamenti teorici, metodologici e progettuali.
L’autore del testo, invece, assume come suo punto di partenza la consapevolezza di un approccio multidimensionale in cui si integrano metodi qualitativi e quantitativi nelle nostre osservazioni, ricerche, valutazioni e rilevazioni; la scelta dell’uso dei test, dunque, così come avviene per gli strumenti non standardizzati, è contemplata in relazione ai bisogni della persona, all’ambiente che lo circonda, al contesto in cui si agisce e agli aspetti che interessa mettere in luce.
Pertanto rientra nella competenza, nell’etica e nella deontologia professionale degli educatori e dei pedagogisti valutare di quale strumento usufruire per la propria ricerca, non trascurando che si tratta di un supporto per la raccolta dati e la rilevazione delle potenzialità personali, non certamente un surrogato
della relazione umana e delle sue molteplici sfaccettature.
Prima di addentrarci nell’oggetto del testo, è utile fare un breve salto indietro, al fine di focalizzare la nostra attenzione, senza eccessivi tecnicismi, sulla valenza della ricerca sperimentale nel campo dell’educazione la quale sembra essere, per certi aspetti, relativamente recente; pure l’odierna espressione di scienze dell’educazione, volta a soppiantare la tradizionale accezione di pedagogia, rappresenta un tentativo di rinnovata considerazione.
Già a partire dai primi anni del novecento Maria Montessori, grazie alla sua formazione accademica multidisciplinare e all’importanza cruciale assegnata alla pedagogia, investe sulla costruzione di una sua forma mentis
da scienziata dell’educazione che le permette di adottare un approccio empirico fondato sull’osservazione, sulla ricerca e sulla sperimentazione dei dati. Montessori, nonostante abbia anche ricevuto aspre critiche dai pedagogisti del suo tempo, tenta di emancipare
la pedagogia da disciplina di ordine filoso-fico, conferendole delle solide basi scientifiche attraverso l’osservazione del soggetto di studio, nel rispetto del suo principio di libera scelta, all’interno di un ambiente strutturato. Analogo percorso seguito dalle altre scienze umane, le quali tentano di divenire scienze autonome svincolandosi dalla filosofia. E ancora John Dewey, Èmile Durkheim e più recentemente Gaston Mialaret, Francesco De Bartolomeis volgono il loro sguardo a una scienza dell’educazione capace di raccogliere e sintetizzare conoscenze utili provenienti dalle altre discipline, cosicché da spostare la riflessione pedagogica su un orizzonte scientifico improntato al fare ricerca per la risoluzione dei problemi della realtà.
Dobbiamo anche considerare che, su un versante nazional popolare, un altro aspetto che non ha certamente contribuito a dare impulso alla ricerca educativa, pur la complessità nonché molteplicità di variabili a cui è connesso l’ambito disciplinare, scaturisce, perlomeno in parte, dalla scarsa considerazione di cui godono i veri
professionisti di area pedagogica: attualmente tutti si sentono esperti in materia di educazione. Anche i mass media talvolta banalizzano qualsiasi riflessione in merito nel momento in cui, per dibattiti legati alla scienza dell’educazione, coinvolgono una pluralità di esperti o addirittura semplici
personaggi dello spettacolo.
Dopo la brevissima panoramica storica, a questo punto, assumono interesse anche altri quesiti di non poco conto connessi all’oggetto che l’autore tratta nel testo: quali test possono essere adottati dai pedagogisti? Quali sono i livelli accessibili in relazione, non solo agli obiettivi, ma al proprio profilo e competenza professionale?
Il volume, dopo una premessa dedicata al concetto di misurazione in pedagogia, ci offre una minuziosa descrizione identitaria dei test:
le parti che ne compongono la loro struttura;
i livelli di accesso all’acquisto secondo gli standard internazionali;
le indicazioni degli editori che annoverano la testistica;
una guida pratica, con indicazione di tutti gli step, su come acquistare tramite i portali on line;
come proporre e utilizzare un test nel rispetto dell’imprescindibile diritto del destinatario di essere informato, su tutto, prima, durante e dopo la somministrazione.
E ancora, senza mai perdere come suo filo conduttore la valutazione pedagogica pensata nella sua inalienabile funzione di processo in divenire
, eterogeneo e dinamico che trova massima espressione nella progettazione di un piano educativo individualizzato per e con la persona, l’autore ci offre una panoramica di ben 100 test, dall’infanzia all’età adulta (per differente età cronologica o mentale) e in riferimento alla valutazione di diverse aree, competenze o abilità:
Dopo questa premessa, e con la presa di coscienza che non si può ottenere l’oggettività assoluta nel campo delle scienze umane, l’autore propone un’analisi dettagliata del testing nelle vesti di guida pratica per avviare un rinnovato spunto di riflessione e di intervento operativo. Il fine ultimo non è quello di discriminare o misurare le persone, bensì di sortire un effetto trasformativo
capace di condurre alla crescita e alla maturazione di competenze o comportamenti che la persona, magari, all'inizio non sa di possedere o di padroneggiare.
Anna Brigandì¹
Introduzione
L’uso dei test da parte di Pedagogisti ed Educatori Professionali è una di quelle tematiche che riesce, quasi sempre, a rendere un confronto dialogico animato.
Il motivo è presto detto: solitamente le posizioni in campo sono due più una. Tralasciando la terza posizione, quella costituita da coloro i quali non solo non hanno mai utilizzato un test, ma nemmeno sapevano di poterlo fare, le altre due posizioni si collocano agli opposti di un continuum.
Gli strenui difensori, invero pochi, della validità dell’uso di un test all’interno di un percorso educativo, e i detrattori, solitamente molto più numerosi.
Le motivazioni dei detrattori sono molto più stimolanti in questa sede, per cui gli dedicheremo maggiore spazio.
Il leitmotiv su cui confluiscono le critiche all’uso si fonda su una visione distorta dello strumento e, per estensione, del ruolo che essi giocano nell’approccio alla Persona.
L’accusa, spesso neanche tanto recondita, è quella di etichettare la Persona calandola in un orizzonte di stigmatizzazione, congiuntamente alla pretesa di voler ridurre la complessità umana a uno sterile valore numerico. Dietro il tutto si colloca lo spauracchio dell’approccio medicalizzante.
Innegabilmente, se così stessero le cose, sarebbe molto difficile avallare l’utilizzo di un test in ambito educativo. Il farlo si scontrerebbe in maniera drammatica con la deontologia e l’etica professionale.
Tuttavia, seguendo questa logica, dovremmo finire a sbucciare le mele con le unghie, per scongiurare il pericolo di uccidere qualcuno dotandoci di un coltello.
Il discorso sull’uso di uno strumento, qualsiasi sia la sua natura, non è assolutamente trascurabile. E lo è ancor meno in un ambito come quello educativo, dove il rispetto della Persona deve venire prima di qualsiasi altra condizione.
In sintesi, dunque, le motivazioni di un rifiuto aprioristico dei test in ambito pedagogico ed educativo professionale pare più dettato da una profonda mancanza di cultura in materia, piuttosto che non da un reale pericolo.
Anche perché, in caso contrario, risulterebbe molto difficile continuare a insegnare nelle facoltà di Scienze dell’Educazione materie come Pedagogia Sperimentale e Metodologia e Tecniche della Ricerca Sociale. E il nome stesso della Facoltà, con quel rimando forte al concetto di Scienze, perderebbe buona parte del suo significato.
Si può, dunque, essere rispettosi della Persona e della sua dignità unica e irrepetibile, anche proponendole un approfondimento testistico. Senza per questo volerla intrappolare in un numero, o spazzando via le sue molteplici sfaccettature emotive, relazionali e cognitive.
Prima del test arriva sempre la Persona. E accanto alla Persona arriva il professionista che lo propone. Un test non deve mai essere elemento decontestualizzato e coercitivo, ma utile strumento in più nel ventaglio delle possibilità utilizzabili dal professionista.
Come purtroppo accade per molti strumenti applicativi, la letteratura a riguardo specificatamente indirizzata al settore educativo è molto carente e poco aggiornata.
Il manuale che avete tra le mani ha diversi obiettivi. Tra cui quello di avviare un dialogo sulla tematica colmando, almeno in parte, l’oblio al quale sono stati relegati i test in ambito educativo.
Come tutti i volumi della collana I F.A.R.I. il taglio è pratico e indirizzato all’uso reale nella pratica professionale quotidiana. Quindi la teoria presente è funzionale al supporto della metodologia proposta, e trova riscontro nell’uso diretto degli strumenti illustrati.
Il concetto di misura in pedagogia
Prima di addentrarci nel variegato mondo dei test è necessario -indispensabile!- spendere qualche parola sul concetto di misura. Esistono molteplici possibilità di misura. Ed è ben comprensibile che esistono grandi differenze tra il misurare l’altezza di una porta e il comportamento adattivo di un individuo.
A questo punto, penso che abbiate tutti fatto un cenno di assenso con la testa.
Si, ma in pratica, che differenza sussiste tra le due misurazioni? L’altezza della porta è un dato fisicamente osservabile e rilevabile. Il comportamento adattivo non lo è. In altri termini quando parliamo di misura di un’altezza stiamo facendo riferimento a una grandezza estensiva, cioè divisibile in parti, sommabili e direttamente misurabili. Infine, sono dotate di una unità campione sulla quale operare in termini additivi e sottrattivi.
Il comportamento adattivo, così come tutte le misure che andremo a incontrare nei test, è una grandezza estensiva. Non è cioè direttamente osservabile, non è sommabile ma -badate bene- è graduabile. Le grandezze estensive, per loro natura, devono fare riferimento a delle teorie di fondo che ne determinino l’origine. Sono, quindi, delle variabili teoriche alle quali ci si riferisce con il termine di costrutti.
Queste variabili sono per lo più latenti, e vengono desunte sulla base di una teoria dal comportamento di un singolo o di un gruppo. Qui però sorge un problema di non poco conto. Poiché, come s’è detto, le teorie sono il vero cardine su cui poggiano le misurazioni, sovente si assiste a un notevole divario tra diverse teorie. Il che determina una notevole eterogeneità nelle misurazioni.