Anche i pesci hanno il mal di mare
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Recensioni su Anche i pesci hanno il mal di mare
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Anteprima del libro
Anche i pesci hanno il mal di mare - Fausto Romano
© Alter Ego s.n.c., Viterbo, 2017
Collana: Specchi
I edizione digitale: febbraio 2017
ISBN: 978-88-9333-072-5
www.alteregoedizioni.it
A mio nonno Gino,
a Giuseppe Verdi,
a John Fante,
ai miei nipoti.
"Avevo io una lampada
avevi tu la luce.
Chi ha venduto lo stoppino?".
(Jacques Prévert)
"Trovo che amara più della morte è la donna,
la quale è tutta lacci: una rete è il suo cuore, catene le sue braccia".
(dal Libro di Qoelet)
"Prendila così,
non possiamo farne un dramma".
(Lucio Battisti)
anche i pesci hanno il mal di mare
Per le donne io sono troppo.
Sputo nel Tevere e con questa nuova scoperta me ne vado a casa a sudare. È luglio e ci sono trentadue gradi. Me lo dice la croce verde di una farmacia. La sola idea di dover stare sveglio un’altra notte a inzuppare d’acqua le lenzuola… sì c’è Tore, ma non serve a niente e poi da un po’ di tempo mi guarda in modo strano, come se provasse nei miei confronti una sorta di compassione. E infatti, appena entro in camera:
«NO, NO e NO! Così non va caro mio!».
«Lasciami stare Tore, non è giornata».
«Per un’altra donna, vero?».
«…».
«Sei masochista amico, lo sai? Sei un cazzo di masochista che non vede l’ora di prendersi il pisello e frustarsi la schiena. Sei peggio degli egiziani!».
«Gli egiziani?».
«Lo sai cosa pensarono quando furono invasi dalle cavallette?».
«No».
«Almeno ce le possiamo mangiare! AH! L’Egitto era un rave party d’invertebrati e quelli…».
«Ho mal di testa».
«… ma quando ogni loro primogenito morì col piffero che si dissero: almeno possiamo fare un bel funerale! NO NO, aspet…».
Gli stacco la spina. Tore rimane fermo, col volto verso la luna che sta inchiodata su un cielo neronero come l’anima mia.
Mi butto sul letto e rileggo il messaggio che mi ha mandato Gioia, due ore e cinquantuno minuti fa: Quello che sta succedendo tra noi è troppo. Semplicemente troppo
. Provo ancora una volta a telefonarle. Spento.
Mi addormento. Devo interpretare il Rigoletto. Non so una frase e sono stonato. Ho un costume con la gobba finta e sono dietro le quinte, vicino a mia figlia Gilda che ha i baffi e la voce da baritono. Chi ho ingravidato?! Sono traumatizzato dalla sua voce bassa e dalla figura di merda che sto per fare. Il sipario si alza. La sala applaude. L’orchestra attacca. Vengo spinto sulla scena. Sto muto. Non so che dire, che fare, mi sveglio.
Qualcuno batte con qualcosa contro qualcosa. Collego subito i rumori all’inizio dei lavori di restauro della facciata del palazzo. Strano a dirsi, i colpi non mi danno nessun fastidio, anzi… mi tranquillizzano. Poi mi eccitano. Prendo il cuscino, me lo metto tra le gambe e me lo faccio venir duro. Dopo, non sapendo che farmene, mi riaddormento.
Quando la sveglia suona allungo un braccio, prendo il cellulare: nessun messaggio, nessuna chiamata.
Con in testa il mio panama me ne vado nella chiesa tonda di cemento che sta di fianco a casa. Non c’è nessuno, per questo non mi tolgo il cappello. Mi seggo al terzo banco. Guardo il crocefisso. Improvviso un discorso: È sempre difficile… insomma, un figlio non dovrebbe dire certe cose al padre, ma… CRISTO! Mi hai VIZIATO! Con tutto questo tuo AMORE, mi hai riempito così tanto che ora trasbordo AMORE e devo per forza passarlo a qualcun altro sennò MUOIO. Cosa? Anche tu sei morto per amore? Sì, ma immagina che sotto la croce uno dei tuoi apostoli ti guarda, sbuffa e fa al centurione: «Eeeeh, se l’è cercata: era troppo!». Come ti sentiresti?! Gesù! Ho bisogno… ho bisogno di una donna per non pensare alle donne… voglio solo… lo sai che ogni tanto cerco di abbracciarmi da solo e mi do dei bacetti sulle ginocchia? Ok, basta! Ti lascio ascoltare le richieste di questa vecchia che ti sta pure accendendo un lumino elettrico… no, io non accendo lumini, elettrici poi! Se puoi far qualcosa falla, ma falla presto, perché fa caldo e io non sto bene. Dovevi avere più polso con me. Sei stato troppo buono. Mi spiace ma è così. Dev’essere difficile fare i padri… ok, ciao.
Mi faccio un segno di croce e me ne esco dalla chiesa. Guardo a destra, a sinistra. Decido di andare in biblioteca.
Appena varco l’entrata della Biblioteca Comunale l’aria condizionata mi dà due schiaffi e le rispondo con uno starnuto. Qui dentro si gela! Gioia mi aveva chiesto di fare una classifica dei luoghi più freschi di Roma, perché mi prendeva in giro per il fatto che, per cercare un po’ di tregua, traghettavo il mio corpicino tra l’ufficio postale e il negozio di surgelati. E ieri le ho mandato da qui una mia foto con la didascalia al terzo posto
. Forse non le è piaciuta la foto? Eppure ero bello.
Me ne vado diretto al primo piano, alla sezione narrativa. Sullo scaffale d’ingresso ci sono le proposte
. Guardo per vedere se, per caso, vi hanno esposto il mio libro. Avevo scritto il titolo tempo fa sul quaderno delle richieste
. Alla causale avevo messo: Giovane autore molto interessante. Volevo aggiungere qualche altro aggettivo ma non c’era più spazio. Chissà se l’hanno comprato? Figurati! Il mio primo romanzetto. Sento che è arrivato il momento di dare in pasto all’umanità il secondo. Sì, me ne devo liberare. Al più presto. Ma prima devo finirne uno. Ho tre bellissimi incipit. Devo scegliere quello che mi piace di più. Ah, poi ho anche due trattamenti cinematografici, una decina di racconti e altrettanti appunti per interessanti personaggi. Tutta questa immensa produzione è avvenuta nell’arco degli ultimi sei mesi nei quali, col mio profilo destro illuminato dal sole, ho allenato le mie falangi, falangette, falangine. Naturalmente il tutto senza cagare un centesimo ché se non fosse per mio padre e mia madre – santi! santi! – ora me ne starei a casuccia, nel lettino, con le coperte sopra il naso a sentire l’odore delle mie scoregge. Ma… sono uno scrittore e gli scrittori, tutti, all’inizio e alla fine, hanno patito la fame; ché senza la famE non c’è la famA. Tutta ’sta fatica per una vocale. Se andavo alla Ruota della Fortuna facevo prima.
Ah, se solo mio padre mi avesse raccontato delle buone storie da piccolo invece di congedarmi con un bacio e lasciarmi lì nel buio. E allora io, dopo l’Ave Maria e il Padre Nostro, dovevo raccontarmi qualcosa, per far venire i sogni belli, e iniziavo a scrivere nella mente e inventavo inventavo… Ed eccomi qua. A ventisei anni. Al buio del mondo. Che continuo a inventarmi storie. Incapace io di vivere le mie storie.
Moravia, cerco subito Moravia. Quanto mi piace leggerlo quando sono depresso; m’identifico con i suoi personaggi, sempre alla ricerca di qualcos’altro, indifferenti a tutto e a niente.
La noia, La ciociara, Agostino, Il disprezzo… oh, Il disprezzo! Che capolavoro! Me lo regalò una francese. Prima di lasciarmi. Per colpa sua non taglio i capelli da mesi. Diceva che "avevano una lovo potenza". E io ancora ci credo. E questo? Non l’ho letto. Una raccolta d’interviste. Lo prendo e mi siedo su un divanetto in finta pelle nera. Di fronte a me c’è una ragazza con gli occhi chiusi e il mento appoggiato sul petto; sulle gambe un quaderno con degli appunti sottolineati da un pennarello rosa. Forse è morta. Se ne accorgeranno all’orario di chiusura, quando spengono l’aria condizionata per mandare via la gente.
Signor Moravia cosa pensa del romanzo impegnato? Sono contro il romanzo impegnato. E dell’arte? L’arte è come un sogno, serve all’uomo per spurgare. Faccio di sì con la testa e vado avanti, salto i capitoli sulla politica, sul Sessantotto e nel mentre rifletto sull’arte come sogno… mi viene una crisi di panico. Mi sembra tutto futile, idiota, inutile… anch’io che ora sto qui seduto, in questo posto pieno di parole morte scritte da gente morta. Sto impazzendo! Mi gira la testa. Respiro a fatica. Stringo i denti e inizio a dondolare le gambe. La ragazza di fronte a me si sveglia, mi guarda con i suoi occhietti piccoli, si passa una mano tra i capelli e ritorna a leggere i suoi appunti. E mo’ che faccio? Il tetto del mondo è troppo basso per me. Dove andare? Da lei. Prenderla in braccio, baciarla, stringerla forte… chiudo il libro. Lo ripongo tra gli altri. Mando il mio dito in avanscoperta di nuovi titoli interessanti e sfioro quello di una donna. Ha un vestitino bianco con sopra delle fragoline rosse. Le si vede il culo. Porta mutandine nere. Di pizzo. Queste si allontanano da me, tagliano il gran salone in due portandosi dietro tutti gli occhi degli uomini. Si sentono pian piano le vertebre cervicali che TRICK, TRACK e s’inarcano. Le parole dei libri soffrono di gelosia e se ne vorrebbero andare dalla carta. Solo un tizio non cede alla tentazione, alza e abbassa subito il capo mettendosi una mano a mo’ di visiera. Andrebbe messo in quarantena.
I tacchi delle alte