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Thekahionwake - Due Vite
Thekahionwake - Due Vite
Thekahionwake - Due Vite
E-book289 pagine3 ore

Thekahionwake - Due Vite

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Info su questo ebook

Un romanzo moderno, attuale, ambientato nella Montreal di oggi, che grazie a Thekahionwake, grande spirito del popolo Mohawk, trasporta nel passato a riscoprire valori ancestrali che ancora danno linfa alla vita, aiutandola ad abbattere l’odio e sconfiggere la morte. Ontologismo, amore nella sua più ampia accezione, solidarietà, amicizia, sociologia, spiritualità ed empatia si fondono in un insieme che fa emergere sensazioni credute sopite, ma che sono ancora patrimonio dell’umanità, la quale, pur attraversando vicessitudini varie, anela sempre al raggiungimento della felicità.

Buona lettura!
LinguaItaliano
Data di uscita1 feb 2017
ISBN9788826013473
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    Anteprima del libro

    Thekahionwake - Due Vite - Emanuele Troise

    casuali.

    CAPITOLO 1

    Montreal, Place Ville Marie. Sono nell’omonimo grattacielo, nel mio ufficio al ventiduesimo piano.

    Ho chiesto ad Eryn di passarmi esclusivamente le telefonate provenienti da Houston. Non ci sono per nessun altro e non aspetto visite.

    Ho scelto di fare la spola tra Montreal e Houston proprio per lavorare con la massima tranquillità e rimanere vicino a mia madre.

    Qui, tutti coloro che mi conoscono sanno che sono un ingegnere, ma ignorano che lavoro per la NASA.

    Anche Jane non lo sa. Lei non conosce neppure l’ubicazione del mio ufficio; ha soltanto il numero del mio cellulare, un privilegio che in origine avevano esclusivamente mia madre Sarah e l’ingegnere capo di Houston, Mr. David Gould.

    Per loro sono reperibile a qualsiasi ora del giorno e della notte. Per Jane soltanto dopo le ore venti.

    Sono stato categorico con lei: – Se mi chiami prima delle venti, a meno che non si tratti di una grave emergenza, io tronco immediatamente e senza ripensamenti la nostra relazione. Chiaro? –

    Sono stato duro, lo ammetto, forse più del dovuto, ma sinora ho ottenuto due ottimi risultati: non mi ha mai telefonato prima dell’ora prefissata e sono anche riuscito ad instillarle un pizzico di gelosia, che in un rapporto come il nostro è quantomeno stimolante.

    Gracida l’interfono, rispondo ed Eryn mi avverte che è arrivato il mio pranzo. Le chiedo di portarmelo, lei entra e deposita il vassoietto tipo pizza express sul tavolino di cristallo dell’angolo-salotto. La ringrazio, guardo l’ora e la invito a prendersi la sua pausa pranzo.

    Nell’angolo opposto al salotto, a sinistra della scrivania da me disegnata, c’è il mio bagno privato, dove vado a lavarmi le mani. Infine mi accingo a consumare un lauto pasto: un sandwich di pollo e insalata senza maionese, un’arancia e una bottiglietta di acqua minerale naturale.

    Mangiando, mi giro verso l’ampia vetrata e finalmente mi accorgo della splendida giornata di sole che rende iridescenti, quasi abbaglianti, le acque del S.Lorenzo che scorrono placide quasi una settantina di metri più in basso.

    Finisco di mangiare, mi lavo i denti e poi mi obbligo a rilassarmi una mezz'ora sul divano.

    Sono sveglio da questa mattina alle sei, ora in cui sono uscito dall’appartamento di Jane. Come sempre sono passato da casa mia per radermi, fare un’altra doccia, cambiare abito e soprattutto prepararmi un buon caffè all’italiana ed in fine salire in macchina per essere qui qualche minuto prima delle otto e trenta.

    In contemporanea al ritorno di Eryn, mi rituffo nel lavoro.

    Mi rendo conto che devono essere passate le ore diciassette sentendo gli usuali ovattati rumori che provengono dall’ufficio di Eryn: la fotocopiatrice ha smesso di ronzare, poi il leggero chiudersi dei cassetti. Una luminosità più attenuata traspare dalla porta a vetri serigrafati che divide il mio ufficio dal suo.

    Lei però non entra, non vuole disturbarmi, ma sono io che apro la porta e la saluto. – Si trattiene anche oggi, ingegnere?– – No – le rispondo. – Vado via anch’io. Oggi ho la palestra. Grazie Eryn, ci vediamo domani –.

    La mattina successiva non inizia bene.

    Il cielo è plumbeo e promette pioggia. Il S.Lorenzo sembra ingrossato, segno che da qualche parte già piove.

    Io, forse per la prima volta, sono arrivato in ufficio dopo le nove e nonostante non abbia nessun cartellino da timbrare, mi sento a disagio.

    È vero quanto si dice: Non vi è peggior padrone di noi stessi!

    In più sono spossato, Jane è stata quasi una mantide religiosa.

    L’unica cosa che rischiara questa buia mattinata è trovare sul tavolino di cristallo una ciotola dipinta a mano, una terracotta peruviana colma di cioccolato fondente. Un pensiero di Eryn.

    Sono affezionato ad Eryn Mc Fadden. L’ho assunta due anni fa per questi motivi: È irlandese di nascita. Mi piacciono gli irlandesi! Soprattutto è molto brava nello svolgere il suo lavoro ed è anche discreta. Non usa mai toni di voce troppo alti ed è molto protettiva nei miei riguardi.

    A cinquantanove anni si prende cura di una sorella paraplegica più grande di lei, da più di trenta anni e per questo non si è mai sposata. Un’ottima persona, insomma.

    A fatica , però tenacemente, riesco piano piano a calarmi nel lavoro e a farmene assorbire, a diventare un tutt’uno mente-progetto, ad essere come racchiuso in una bolla. Non ho più cognizione di tempo, di spazio, di ciò che mi circonda. Sono cosi concentrato che a malapena mi ricordo di respirare

    Questo stato si protrae fino a quando un ronzio, prima vago e indistinto, poi sempre più fastidiosamente imperterrito si diffonde nell’ambiente acquistando sonorità tale da avere l’effetto di riportarmi ad un livello più esterno di coscienza e percettività.

    Infine riconosco la voce, la splendida voce di Placido Domingo interpretante Calaf in Nessun Dorma.

    È la suoneria del mio telefonino. Alquanto contrariato schiaccio il tasto di risposta con un moto di stizza e dico, – Pronto!– con un tono di voce non propriamente cortese.

    – Pronto? Qui è la polizia del terzo distretto. Lei è il signor Antony Senisi?–

    Rispondo un sì preoccupato e la voce continua, – Sono l’Ispettore Marc Gouve. Ho l’increscioso compito di informarla che sua madre, Sarah Davidson Senisi è ricoverata allo St. Mary Hospital. Non è grave, ma è opportuno lei venga al più presto.Possiede una macchina?–

    – Si ho una Range Rover. –

    – Di che colore? – – Nera – Rispondo.

    – Bien! Sarò ad aspettarla nel parcheggio dell’ospedale. –

    Ringrazio, tolgo la comunicazione, mi avvio alla zona ascensori passando davanti a Eryn e l’avverto con voce ed espressione sconvolti che ho una emergenza, senza aggiungere nessun particolare.

    Lei mi lancia uno sguardo tra il preoccupato e il meravigliato, ma non fa in tempo a dire nulla: sono già entrato in ascensore.

    Premo immediatamente il pulsante corrispondente al seminterrato ed arrivo al garage. Salgo sulla Range e parto a razzo facendo gemere le gomme.

    Non impiego più di dieci minuti a percorrere un tragitto che normalmente ne richiederebbe più del doppio, riuscendo a collezionare molteplici infrazioni al codice stradale.

    Entrando nel parcheggio del St. Mary freno bruscamente facendo schizzare erba e ghiaino in ogni direzione e parcheggio di traverso.

    Scendo dall’auto, sbatto la portiera e mi giro senza neppure inserire l’antifurto.

    Contemporaneamente vedo venirmi incontro una persona in completo grigio fumo di Londra che lo fa sembrare più vecchio della sua età, ma che deve avere meno di quaranta anni. Si avvicina, mi tende la mano e si presenta. È l’Ispettore Gouve.

    Ricambio la presentazione e la stretta e gli domando;

    – Cosa è successo a mia madre? Perché è ricoverata? –

    Lui, senza preamboli, mi dice – Venga, l’accompagno; parleremo dopo. L’aspetterò al bar interno. –

    In una stanza singola mia madre giace nel letto ed io rimango scioccato: è estremamente pallida, ha il braccio e la gamba destri ingessati e la testa avvolta in un bendaggio simile a un turbante che le nasconde quasi del tutto i suoi splendidi capelli color argento. Fortunatamente non sono visibili macchie di sangue e tiro un mezzo sospiro di sollievo.

    Mi avvicino al letto e mamma nel vedermi sorride di quel suo sorriso dolcissimo che io per quarantuno anni ho sempre adorato e che anche in questo momento mi fa sentire quanto mi ama ed io ami lei.

    La bacio teneramente su entrambe le guance e lei, come sua abitudine, mi bacia sulla fronte e mi stringe al cuore con l’unico braccio libero dall’ingessatura.

    Le chiedo cosa è successo. Mi risponde di non saperlo. Non riesce a spiegarselo.

    Aggiunge soltanto che ad un tratto ha aperto gli occhi e si è trovata in ospedale.

    Voglio cercare di capire, saperne di più.

    Suono il campanello per gli infermieri.

    Un attimo dopo, in una immacolata uniforme bianca, una donna dai capelli color della notte seminascosti da una altrettanto candida cuffia, occhi verde smeraldo e un caldo sorriso sulle labbra color pesca, si materializza nella stanza come un’apparizione.

    – Come posso aiutarvi? –

    Le parole escono dalla sua bocca come una melodia. Sembra cantare, più che parlare.

    Ha una voce da usignolo: farebbe invidia persino alla grande Maria Callas.

    – Vieni Magdeleine! – le dice mia madre, – Ti presento mio figlio, Antony. –

    – Con molto piacere, cara! – risponde lei, tendendomi al contempo la mano.

    Io rimango come la statua di sale di biblica memoria che sono diventato nello stesso istante che i miei occhi l’hanno messa a fuoco.

    È bella, di una bellezza che mi lascia senza parole.

    Improvvisamente mi rendo conto che l’infermiera sta agitando una mano davanti al mio viso, chiamandomi. – Mister Antony, si sente bene? –

    Riacquisto parzialmente l’uso della parola e balbettando le assicuro che sto bene, anzi di non essere mai stato meglio in vita mia.

    Immediatamente dopo mi rendo conto della gaffe e arrossisco.

    Mia madre e Magdeleine soffocano una risata: ambedue hanno letto nei miei occhi quel che mi è passato e rimasto indelebilmente impresso nel cervello e nel cuore.

    Borbotto delle scuse confuse e nel cercare di darmi un contegno chiedo se è possibile poter parlare con il medico che si è preso cura di mamma.

    Magdeleine mi sorride di nuovo, al che io abbasso lo sguardo per evitare di perdermi un‘altra volta, annunciandoci che andrà immediatamente a chiamare il primario.

    Il professor Thomas Pitzakis arriva soltanto dopo una mezz'ora, scusandosi con noi: è stato trattenuto dall’urgenza di un altro paziente.

    Lo guardo favorevolmente colpito dai suoi modi raffinati. È una persona dall’apparente età di cinquantacinque anni, molto robusto con spalle da nuotatore ed è alto oltre un metro e ottanta. Ha capelli nerissimi e ricci, occhi blu dai quali traspaiono intelligenza, cordialità e una quieta consapevolezza delle proprie capacità.

    Mi viene istintivo accordargli la mia fiducia.

    Mi stringe calorosamente la mano e con un tono di ammirazione dice che mia madre da quando ha ripreso i sensi non ha mai emesso un lamento ne una lacrima.

    Aggiunge che lei, con la sua forza e dolcezza ha conquistato tutti: lui stesso, Magdeleine, Georgette la caposala che le ha fatto il prelievo per le analisi, il radiologo, i tirocinanti che erano presenti al momento del ricovero, il cardiologo ed anche i due pazienti delle camere attigue che si erano affacciati, incuriositi.

    Gli domando del cardiologo e mi assicura che il collega è andato via molto soddisfatto, perché l’elettrocardiogramma ha dato un esito molto buono.

    Altro mio sospiro di sollievo.

    Improvvisamente veniamo interrotti da un tornado biondo, la dottoressa Brigitte Beauvoir, un clone di Brigitte Bardot.

    L’unica differenza è che la dottoressa supera in altezza la Venere francese.

    A passi lunghi e veloci, ignorandoci, si avvicina al letto di mia madre e le dice – Carissima Sarah non preoccuparti, la TAC risulta negativa. Non hai subito danni alla testa. Sono felice per te! –

    Io, sempre più piacevolmente meravigliato, mi rendo conto che la mia adorata mamma ha fatto un’altra conquista. Lei è sempre stata cosi, sin da quando a diciannove anni conquistò mio padre Angelo, un italiano, più precisamente un siciliano di discendenza normanna.

    Si erano conosciuti incontrandosi, o meglio scontrandosi, alla stazione di Palermo, dove lui perse il treno che avrebbe dovuto portarlo a Roma per affari. Perse il treno, perse l’importante affare, ma trovò l’amore.

    Mia madre che ormai chiama tutti per nome, sussurra a Brigitte che desidera presentarci, ma la dottoressa si è distratta guardandomi.

    Al che, mutando dal francese all’inglese, mamma le ripete la frase.

    Brigitte arrossisce e mi stringe la mano tenendola nella sua qualche istante di troppo e fissandomi negli occhi.

    Io faccio finta di niente.

    Chissà, forse andandosene avrà pensato che sono gay oppure spaventosamente stupido per non aver percepito quei segnali.

    Poverina! Come potrebbe mai sapere che il mio cuore vive ormai in un’altra dimensione?

    Avendo conosciuto Magdeleine, adesso tutto il resto mi sembra meno bello, piccolo, privo di attrattive e significato.

    È forse questo l’effetto del Coupe de foudre ? Je ne sais pas!

    Il professor Pitzakis congedandosi mi dice che per qualsiasi cosa lo posso interpellare anche telefonicamente e prega Magdeleine di darmi il numero del suo studio privato, poiché in quel momento non ha con se biglietti da visita.

    Ci stringiamo la mano, lo ringrazio, lui si schernisce e con il suo cordiale sorriso esclama – Che donna! –

    Resto nel dubbio. Quell’apprezzamento è rivolto a mia madre oppure a Magdeleine?

    In seguito, quando lo rivedrò, eviterò di chiedere spiegazioni; la mia educazione mi impedisce di farlo, ed ancor più me lo impedisce il mio amor proprio.Farei la figura del …… Si, è proprio quella la parola, quella che si intuisce.

    Improvvisamente mi ricordo che l’ispettore Gouve mi sta aspettando.

    Vado a salutare mia madre, e le assicuro che presto tornerò. Dopo averla baciata mi giro e mi trovo davanti Magdeleine che mi porge un foglio sul quale è annotato il numero di telefono del primario, il dottor Pitzakis.

    Lo prendo, la ringrazio e le do la mano con cui stringo il foglio.

    Magdeleine mi sorride e fa finta di non accorgersi di nulla, stringendo il foglio assieme alla mia mano, assicurandosi che resti in mio possesso.

    Quando entro in ascensore vedo allo specchio che di nuovo il mio viso è rosso, stavolta rosso Ferrari.

    CAPITOLO 2

    Arrivato al bar dell’ospedale vedo che l’ispettore sta guardando nervosamente l’orologio da polso.

    Mi avvicino rendendomi conto che mi aspetta da molto, molto tempo. Ho un vago senso di colpa e quando gli sono di fronte, porgo le mie scuse per averlo distolto da altre incombenze del suo servizio.

    – No, non si preoccupi – mi risponde – Non sono più in servizio da quasi un’ora. –

    La frase mi fa sentire ancora più in colpa.

    Rifletto un istante e poi dico, – Ispettore Gouvè, immagino che lei voglia tornare a casa al più presto, da sua moglie, dalla sua famiglia. Io potrei venire domani mattina al distretto. –

    – Non ho nessuno che mi aspetta, vivo da solo. – È la sua risposta.

    Un idea mi balena nella mente; forse ho trovato il modo di attenuare il mio senso di colpa. Prendo, come si suol dire, la palla al balzo, dichiaro che anch’io in questo momento sono solo e gli propongo di cenare insieme. Dopo mangiato potremmo parlare.

    – Accetto volentieri, ma solo se lascia pagare me, mister Senisi. –

    – Ok, allora faremo una gara a chi sarà più veloce a pagare il conto. D’accordo? –

    – Va bene, però, se mi permette vorrei ci recassimo nel ristorantino dove vado di solito. È un posto molto tranquillo, pulito e cucinano molto bene. Si fidi e mi segua! –

    Saliamo sulle nostre rispettive auto e una ventina di minuti più tardi troviamo due parcheggi contigui davanti ad un locale dal caratteristico nome l’Ancienne Iroquese.

    Entriamo e sono subito colpito dalla particolarità dell’interno: il locale non è molto grande, ha le pareti rivestite di legno, che a sua volta è ricoperto da centinaia di foto di diverse dimensioni, poster, locandine di film di varie epoche, dipinti su tela senza cornici, dagherrotipi originali sotto vetro, risalenti ai primi anni del novecento. I soli soggetti, singoli o in gruppo, sono indiani irochesi.

    Una donna che sembra staccarsi da una delle pareti, tali sono i suoi tratti somatici pressoché simili ai visi ritratti nelle foto, si rivolge in francese all’ispettore, indicandogli un tavolo rotondo circondato da morbidi divanetti in pelle, in un punto da cui si ha la visuale dell’intero locale.

    Poi saluta me, in perfetto inglese.

    Noi ci sediamo e lei ci chiede se desideriamo degli aperitivi. L’ispettore ordina un gin tonic con succo di lime. Io soltanto un’acqua tonica, con una fettina di limone.

    Nell’attesa lo esorto: – Mi dica tutto, ispettore Gouvè. –

    – Io mi chiamo Marc. – Mi interrompe sorridendo. –

    – Bene! Io sono Antony. Dimmi, Marc. – Ripeto.

    – Sono un’ispettore investigativo e mi occupo, appunto, di quanto è successo. Tua madre è stata ritrovata priva di sensi nella sua villa dal fattorino del corriere espresso, che doveva consegnare un pacco proveniente da Roma. Non ottenendo risposta e sapendo che la signora l’aspettava, ha sbirciato attraverso i vetri e fortunatamente l’ha vista. Era riversa a terra, priva di sensi.

    Il ragazzo ha prima chiamato un’ambulanza e subito dopo, noi. A nostra volta abbiamo immediatamente avvisato i vigili del fuoco e siamo arrivati contemporaneamente in Place D’Armes.

    Poi, mentre loro abbattevano la porta è arrivata anche l’ambulanza.

    Io sono entrato con i paramedici, i quali hanno detto che la signora era priva di sensi, ma viva.

    Allora ho pregato il mio collega di fare una prima ricognizione e poi chiamare un nostro fabbro di fiducia per fare riparare la porta e sono andato anch’io in ospedale, seguendo l’ambulanza. Avevo avuto l’accortezza di prendere l’agenda telefonica in casa di tua madre e così ho potuto rintracciarti. –

    – E tu sei stato cosi paziente, cosi gentile da aspettare tutto quel tempo, per mettermi al corrente? Grazie, grazie di cuore! –

    – Sì, ma non si è trattato solo di una gentilezza, era mio dovere. Inoltre mentre ti aspettavo, il collega è venuto in ospedale a ragguagliarmi sull’indagine preliminare e darmi le chiavi della nuova serratura. Eccole! –

    Le prendo e Marc continua – Adesso arriviamo all’altra brutta notizia: il mio collega Lucien Victor è convinto che tua madre sia stata aggredita alle spalle da qualcuno penetrato in casa dalla porta-finestra che dà accesso al giardino. Non ha trovato né segni di scasso né di lotta. La villa è quasi completamente a soqquadro, quindi è stata un’aggressione a scopo di furto, ma non sappiamo cosa e quanto sia stato sottratto. Dato che tua madre per l’immediato futuro non si potrà muovere, sarà tuo compito indicare quanto manca. Domani, dopo i rilievi della Squadra Scientifica, ti telefonerò ed insieme andremo alla sua villa. –

    – Devo ridarti le chiavi? –

    – No, no. Quello era un atto formale e dovuto. Noi siamo in possesso di una copia. La tua non potrai usarla sino a quando non verranno tolti i sigilli, e ciò avverrà, come già ti ho detto, dopo i rilievi effettuati dalla Scientifica. –

    Nel preciso momento in cui terminiamo di bere gli aperitivi, la donna che ci serve poggia sul tavolo il menù bilingue francese-inglese e rimane un passo indietro ad aspettare le ordinazioni, immobile come una statua.

    Soltanto i sui occhi si muovono e nel loro movimento sembrano vagare tra i ricordi di una fierezza antica che neanche la odierna civiltà tecnologica è riuscita a domare.

    L’ispettore, ormai dovrei dire: il mio amico Marc, sceglie lo stufato di cervo e insalata di patate con cipolla rossa.

    Io preferisco una bistecca di manzo cotta sulla pietra ollare e patate fritte.

    Lei domanda cosa desideriamo bere e se gradiremmo degli stuzzichini e Marc ordina una bottiglia di Chateaux-Lafitte.

    Io soltanto Coca Cola e acqua minerale.

    – Antony vuoi parlarmi un po' di te, di tua madre, della tua famiglia? In modo rilassato, la parte ufficiale non è più necessaria; possiamo parlare tra amici. Bien? –

    – Ok, Marc ! Mi sono laureato in ingegneria aerospaziale al Massachussets Istitute of Tecnology di Boston. Lavoro per la NASA, ma continuo a vivere e lavorare qui per non stare lontano da mia madre. Lei è vedova; mio padre è morto l’anno scorso e quindi io preferisco fare la spola con Houston, quando necessario. –

    – Sei sposato? –

    – No, ma ho in piedi una relazione.–

    – Con una donna di Montreal? –

    – Non propriamente, lei abita e lavora qui ma è di Capetown. È l’ex moglie di un addetto d’ambasciata. Jane, questo è il suo nome, ha divorziato a causa del gran numero di amanti che l’ex marito ha tra il Canada ed il loro paese. –

    – Parbleu! Un vero "tombeur de femmes"! –

    – Da quello che lei mi ha raccontato e dalla foto di lui che ho visto, direi proprio di si. È un gigante di più di due metri d’altezza e un fisico da armadio di mogano a due ante. –

    Un carrello in legno e cristallo si avvicina al nostro tavolo e ci vengono serviti i piatti richiesti.

    Lo stufato

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