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Mizzica, Torino!
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E-book209 pagine6 ore

Mizzica, Torino!

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Info su questo ebook

Un sogno? Il lavoro. Un ragazzo parte con fiducia dalla Sicilia in cerca di lavoro a Torino. L'immigrazione degli anni ‘90, le vicissitudini per inserirsi culturalmente e lavorativamente in una grande città. Il richiamo della propria terra e delle sue tradizioni. Il futuro che non sarà più nella sua Sicilia... riuscirà ad ambientarsi in questa nuova realtà?
Corredato da un breve vocabolario siciliano-italiano per rendere più gustosa la lettura anche delle parti dialettali.
LinguaItaliano
Data di uscita3 nov 2013
ISBN9788896753798
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    Anteprima del libro

    Mizzica, Torino! - Rosalino Granata

    Torino!".

    I

    Arrivai il 17 settembre del 1996, alla stazione di Porta Nuova di Torino, con una valigia pienissima, che non ci stava cchiù nenti, mancu ’na matita. La giornata era soleggiata, ero pieno di speranza per dare una svolta definitiva alla mia vita, stanco di fare lavori saltuari, andando qua e là per il lavoro di un solo giorno. Alla stazione mi aspettava mia zia Cetta. Quando scesi dal treno vidi mia zia in lontananza così le corsi incontro, ci abbracciammo e piangemmo dalla gioia di rivederci. In pochi minuti mi assalirono più emozioni: gioia, paura per il futuro, speranza e fiducia. La stanchezza per un giorno di viaggio si iniziava a sentire!

    Mia zia si accorse del mio sguardo un po’ smarrito e accarezzandomi la guancia, quasi in un atteggiamento materno, disse: «Il lavoro non è facile da trovare subito, ma hai le scuole alte (Diploma di Maturità Professionale), e poi hai tutte le patenti di guida. Non ti preoccupare Lino, ca ccà ’u travagliu si trova!.»

    «Speriamo zia, ca sia accussì!» risposi rincuorato.

    «Di sicuro sei stanco?»

    Ad un tratto mi sopraggiunse una gran fame. Sapevo che mia zia cucinava benissimo. Avevo voglia di un beddru piatto di pasta, finocchietto, sarde e muddrica, di cui vado matto.

    Mia zia conosceva i miei gusti e aveva già preparato la mia pasta preferita.

    Prendemmo un taxi e arrivati a casa, telefonai subito ai miei genitori per tranquillizzarli sul mio arrivo a Torino e successivamente chiamai la mia fidanzata Carmela avvisandola che l’avrei chiamata in seratacon più calma. Mia zia mi mostrò la casa e mi condusse nella camera che avrei condiviso con suo figlio, nonché cugino, Albertino, dove avrei dormito. Mio cugino, aveva qualche anno in meno di me, era in possesso del Diploma di Ragioneria, era in cerca di lavoro, ma aspettava anche di espletare il servizio militare. Aveva una camera di dimensioni modeste, ma ben arredata ed ordinata, con pareti di un azzurro tenue come il copriletto a tinta unita del suo letto.

    Aprii la valigia e iniziai a togliere degli abiti che posai sul letto che mia zia aveva preparato per me e preso il necessario andai a fare una doccia perché l’odore del treno si insidia tra gli abiti e soprattutto nelle narici.

    Arrivò da lavoro mio zio Pippo e subito dopo mio cugino, ci salutammo con un forte abbraccio. Aspettammo insieme chiacchierando, che la cena fosse servita a tavola.

    Ad un tratto sentimmo: «Tutti a tavola!.» Ci sedemmo tutti e quattro attorno al tavolo allestito con cura dalla zia per la cena: il tegame della pasta, la teglia con carne e patate arrosto e un servizio da tavola di porcellana dipinto con un motivo floreale. Nel bicchiere mio zio versò due dita di barbera dicendomi: «A questo non puoi dire di no, assaggia!»

    Dopo la frutta la zia pigliò dal frigo ’na guantera cu quattru cannola, preparati, mi disse, da una pasticceria i cui proprietari erano siciliani. Come dire di no! Ero veramente sazio e stanco, ma mio cugino insistette tanto per farmi visitare la città in macchina.

    Salutata la zia, io, mio cugino e mio zio uscimmo. Mi fecero fare un giro turistico notturno per le vie principali di questa città misteriosa ed enigmatica, le strade mi sembravano autostrade, tanto da rimanerne incantato e affascinato tanto da provare un’emozione intensa. Io ero abituato a campari in un paisi nicu (Casteltermini), che si trova nell’entroterra della provincia di Girgenti. Esclamai: «Ccà c’è il miofuturo Albertino!.»

    Mio cugino mi rispose che il lavoro c’era in città e che solo i pigri non lavorano.

    Tornammo a casa e mia zia mi condusse nella camera di mio cugino e mi mostrò un armadietto che aveva preparato per me. Così liberai definitivamente la valigia dai miei indumenti, la riposi sotto il letto.

    Avrei, invece, svuotato il mio zaino l’indomani. Ero stanco! Telefonai ancora, brevemente, alla mia fidanzata per rassicurarla che tutto fosse a posto e per augurarle la buonanotte. Lei era arrabbiata perché le telefonai tardi e tagliai corto, ma non le diedi modo di alimentare la discussione via cavo. Io e mio cugino ci preparammo per la notte e gli confidai, in ultimo, di voler andare ad iscrivermi all’ufficio di collocamento il giorno successivo. Mi avrebbe accompagnato volentieri!

    Andammo a dormire intorno alla mezzanotte.

    Dal mio paese mi ero portato una macchina da scrivere Olivetti, che mi sarebbe servita per scrivere le domande di lavoro da spedire o presentare alle ditte. Pensai che mi sarei messo al lavoro da subito!

    Il giorno seguente mi svegliai intorno alle ore 9 e dopo un’abbondante colazione scambiai qualche chiacchiera cu ma zia.

    «Come stanno i tuoi e la to zita? Allora vi mariterete? Albertino ancora non riesce a trovare la carusa giusta!»

    «Talia, zia» le dissi sospirando «in realtà tra me e Carmela ormai non c’è più molta complicità, e ad essere sincero mi sono anche stufato dei suoi atteggiamenti retrogradi. Non voleva che venissi a Torino e comunque lei non aveva assolutamente l’intenzione di seguirmi, avrebbe voluto fare la casalinga, pur sapendo delle difficoltà per mandare avanti una famiglia.» Dopo una breve pausa in cui sorseggiai ancora tanticchia di cafè dalla tazzina, ripresi dicendo: «I miei amici sono emigrati quasi tutti da lu paisi, chi nel nord Italia chi in Europa. Alcuni hanno trovato la compagna al di fuori da lu paisi e mi hanno raccontato che lavorando in due si campa senza troppi pensieri.»

    Ma zia rispose: «Talia Lino che accussì. Se non si lavora in due non si tira avanti.»

    «Lu sacciu zia, infatti, ormai Carmela è un pisu pi mia, e la fiamma che provavo prima, ormai si è astutata, ed è da parecchio tempo che la voglio lassari, però, non trovo il coraggio di dirglielo e sono stufo.»

    «Lino stai tranquillo, che troverai il momento e le parole giuste per dirglielo.»

    «Speriamo zia che sia al cchiù presto possibile.»

    «Non ti preoccupare Lino e nun aviri prescia.»

    Mio zio era già uscito per andare a lavoro e quando anche mio cugino finì la sua colazione molto rapida, fatta solo con un caffè e due biscotti secchi, salutammo la zia e uscimmo.

    Mio cugino guidava una FIAT 127 scancarata di colore rosso, non pariva molto affidabile, ma si addrumò subito e ci avviammo all’ufficio di collocamento.

    Osservavo a destra e a sinistra per prendere dei punti di riferimento visivi. Arrivammo all’ufficio di collocamento in circa 10 minuti, si trovava nella periferia sud ovest di Torino. Entrammo e notai subito le differenze con l’ ufficio del mio paese. Gli sportelli erano tutti attivi e vi era un brulicare di gente che però non aspettava molto il proprio turno. Al mio paese, se andava bene, era attivo un solo sportello, impiegati assenti e attendevi, se eri fortunato, tre quarti d’ora.

    Mio cugino mi avvisò che dopo un ragazzo, che mi indicò, sarebbe stato il mio turno.

    Toccò a me. L’impiegata mi chiese per quale motivo fossi lì e volle tutta la documentazione per potermi inserire nella lista di collocamento.

    Come prima qualifica inserì quella da dattilografo, come seconda quella da autista bus e come terza come autista di mezzi lunghi. Sì,perché mi presi l’attestato da dattilografo, terminate le scuole, e durante il servizio militare presi la patente C. Successivamente, privata mente presi tutte le patenti.

    L’impiegata mi disse che con tali qualifiche avevo un punteggio basso e avevo buone possibilità di trovare un lavoro. Dovevo presentarmi ogni venerdì mattina al teatro Massaua di Torino per le così dette chiamate dirette.

    Ringraziai e con mio cugino uscimmo.

    «Mizzica! Albertino, ficimu di lestu! Sai per caso dunni si trova piazza Massaua?»

    «Certo!» mi rispose. «Ci si arriva con il bus numero 40, che passa poco distante da casa mia.»

    «Perfetto ’na beddra notizia. Lo sai sono contento, perché la primacosa la fici, e poi, lo sai qual’è ’u me sognu da picciriddru?»

    «No Lino, qual’è?»

    «È quello di fare l’autista di bus e prima di acchianari a Torino, hoparlato cu to patri a telefono, che mi ha detto: che l’A.T.T. (Azienda Tram Torino), assume in continuazione autisti, però, bisogna aspettare che esce il bando di concorso e che viene pubblicato sulla Gazzetta della Regione, e anche, sul giornale La Stampa, del venerdì, e dopo ca nesci il concorso, si può presentare la domanda.»

    «Benissimo Lino!» continuò mio cugino «ma nell’attesa ti puoi cercare qualche altro lavoro.»

    «Ma certo Albertino, non mi piace stare con le mani in mano! Comunque ci vorrebbe un buon cafè! Cerchiamo un bar, offro io!»

    Entrammo in un piccolo bar vicino all’ufficio di collocamento, ordinammo un caffè dal bancone e poi aspettammo che ce lo servissero al tavolino. Parlavamo del più e del meno. Mio cugino mi disse che aveva partecipato a molti concorsi per entrare nelle forze armate, ma che superate sempre le due prove iniziali, veniva scartato alle visite mediche. Sospirò e mi disse: «Spero di vincerne uno!»

    «Sì, ne sono certo!»

    Mi susivu tirai fuori i picciuli ed andai a pagare i dù cafè.

    Guardando una foto in bianco e nero di Torino appesa sul muro dietro alla cassa del bar, mi venne in mente che se avessi avuto una cartina di Torino, mi sarebbe risultato più semplice conoscere la città.

    Così mentre ci avviavamo alla machina, chiesi ad Albertino se era in possesso di una cartina.

    Era nel cruscotto della machina e mio cugino me la porse.

    «Mizzica! È quello che mi serviva, grazie!» esclamai.

    Accesa la Fiat 127 ci avviammo verso casa della zia. Torino era piena di semafori. Nel mio paese oltre alle strade strette e chini di buche, c’erano sì e no 4 semafori montati per bellezza e non funzionanti.

    A casa non trovammo nessuno. Mia zia insegnava nella scuola elementare e rientrava alle ore 14, mentre mio zio Pippo lavorava come ragioniere negli uffici delle Ferrovie dello Stato e non sarebbe rientrato, se non nel tardo pomeriggio. Così io guardai un po’ di TV e mio cugino prese un libro di quiz per concorsi e si mise a studiare.

    Mia zia arrivò. Ci chiese com’era andata e di lesto si mise abiti comodi avvisandoci che dopo 10 minuti il pranzo sarebbe stato pronto.

    Ecco finalmente sentimmo: «È pronto!»

    Nn’assittammu tutti e tri a tavola. Mentre si mangiava mia zia, prima ascoltò come si era svolta la nostra mattinata, poi raccontò la sua. Il lunedì era sempre dura ricominciare sia per le insegnanti che per i bambini!

    Nel primo pomeriggio, mio cugino mi portò in biblioteca, che si trovava in zona. Era una bella struttura moderna a mattoni grigio-bianchi, e dintra vi erano tanti scaffali chini di libri tutti ben ordinati e grandi scrivanie attorniate da seggie verdi. Albertino mi spiegava che oltre a poter consultare libri, riviste e giornali, si potevano consultare le Gazzette ufficiali della Repubblica Italiana, e della Regione Piemonte.

    Poi c’era Informa Giovani, che informava sugli ultimi concorsi in Piemonte e in Torino.

    «Benissimo Albertino» esclamai! «sacciu comu muovermi, e ognitanto, vengo a taliari in biblioteca si ci sono dei concorsi e dei travagli ca mi possono interessare.»

    «Sì Lino, puoi anche presentare domande nelle zone industriali di Torino, di Beinasco, di Moncalieri, di Orbassano o di Grugliasco, e chiedere, alle varie ditte se hanno bisogno di qualche operaio» mi consigliò Albertino.

    «Grazie cusci’!» gli dissi.

    Quel pomeriggio tornammo a casa e lo passai a studiare la cartina della città e in ultimo consultai le Pagine Gialle in cerca di ditte.

    «Lino hai finito, la cena è pronta!» mi disse subito ma zia.

    «Staiu arrivando.»

    Arrivai a tavola, e prima di assittarimi, ma zia, mi aveva fatto trovare un mazzo di chiavi e mi disse: «Lino chisti sunnu li to chiavi, c’è la chiave di dintra, del portoncino di jusu e la chiave della cantina, così, se arrivi dintra e noi non ci siamo, poi grapiri le porte ed acchianari dintra.»

    «Grazie zia!» e l’abbrazzai.

    A cena c’eravamo tutti e quattro, io, mia zia, mio zio e mio cugino.

    Era piacevole questa nuova situazione pi mia e non mi metteva pi nenti a disagio. Probabilmente questa famiglia serena era in grado di contagiarmi. Si cenava chiacchierando del paese, delle sue usanze, poi si commentavano le notizie del TG. Il rimanere a tavola non mi stufava. Dopo cena mi telefonò ma matri:

    «Comu va?» mi disse.

    «Va a meraviglia mamma, adesso inizio ad essere torinese, e poi, cu gli zii e Albertino è comu si fossi in famiglia. E voi comu state?»

    «Sugnu cuntenti pi tia. Nantri stiamo bene. Hai sentito Carmela?»

    «No mamma non la voglio sentire cchiù e pi mia, la storia è finita,sulu ca nun sacciu comu dirglielo.»

    «Lino chiamala e dirglielo pi ’na bona vota, accussì, stati tutti e dùmigliu, e ti liberi di un peso.»

    «Hai ragione mamma, ora la chiamo» dissi. «Comunque salutami Mery e papà, un abbraccio a tutti.»

    Dopo aver chiuso il telefono chiesi a ma zia se potevo telefonare a Carmela.

    «Certo Lino, fai comu si fossi a casa tua e speriamo che poi ti senti migliu.»

    Acchiappai il telefono andai in cameretta e fici ’u nummaru, e prima di completarlo attaccai la cornetta, perché non avevo il coraggio, poi lo pigliai arrì, e fici ’u nummaru nantra vota e pi fortuna m’arrispunnìCarmela.

    «Ciao comu stai?» le dissi.

    «Bene Lino, è ’na jurnata che aspetto una tua chiamata. Ti scurdasti di mia?»

    «No... e solo che ti devo dire una cosa seria.»

    «Chi cosa ma diri?» disse lei.

    «Ma forse già lo sai, cosa ti voglio dire.»

    Carmela canciannu la vuci mi disse: «Chi fa, mi vua lassari?... E dopo tutti questi anni insieme lo fai per telefono? Torino ti ha già annebbiato la testa?»

    «Sì Carmela, non provo cchiù nenti pi tia e sono stufo, ca nni sciarriammu sempri, e poi, è migliu pi tutti e dù.»

    Carmela si misi a chiangiri, dicinnumi: «Ma… ia ti

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