Cronache di un Mondo Perduto
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Anteprima del libro
Cronache di un Mondo Perduto - Belli Jessica
"Nulla può svanire, come un ricordo non scritto sulle pagine della nostra esistenza..sulle pagine ingiallite del tempo.
Facciamo di ogni giorno una grande conquista, la più grande! E vendiamoci come eroi al nostro destino! Facciamo della nostra vita il più misterioso dei libri!
Coloro che lo leggeranno saranno poeticamente trasportati attraverso di noi nella più grande utopia: la nostra vita!"
Capitolo I
L'inizio del viaggio
15 aprile 1873
Una mia cara amica aveva una teoria riguardo gli artisti: riteneva che un artista desse il meglio di sé qualora fosse depresso o quando fosse innamorato. Al momento io mi ritrovo in entrambe le condizioni, tenterò dunque di narrare la più soave e atroce delle storie d'amore. Una storia che il mondo moderno non può concepire e, purtroppo, poiché è impregnato di insulso perbenismo e innata ipocrisia, non potrà comprendere per ancora molti anni.
E' una storia di amore e tradimenti, di potere e debolezze, di sublimi pregi ed esecrabili difetti.
Nemmeno io so se questa, corrispondendo a vicenda realmente accaduta, sia un lieto fine o il tragico epilogo che d'ora in poi ci si dovrà aspettare da questa società guastata.
Voci attendibili narrano di oscure forze coinvolte. Personalmente mi ritrovo scettico al riguardo.
Essendo un noto giornalista di discreta fama locale e, quindi, propenso ad approcci scientifici, piuttosto che spirituali, trovo difficoltà a credere a questo genere di leggende.
Tuttavia, sotto gravose richieste da parte di coloro che io stesso ho intervistato, narrerò la vicenda così come a me è stata sottoposta...
''Nella Contea di Luteya, al Nord del Regno, regnava incontrastata da secoli la famiglia Mandya.
Con l'avvicendarsi delle generazioni la famiglia, posseditrice di più di un terzo della Contea, sviluppò una sorta di sovranità che s'accresceva incontrastata a discapito dei malcapitati contadini delle zone. Il vecchio Sir Serac Mandya comprò per pochi scellini il primo lotto di terra nell'ormai lontano 1632, erigendovi poi la prima villa di famiglia.
Sin dalla notte dei tempi la zona Nord della piccola Contea era popolata da silvestri creature che, pacificamente, apportavano la loro millenaria saggezza alla vita degli abitanti delle montagne e dei villaggi limitrofi ai boschi. Era una simbiotica convivenza..del tutto priva di speculazioni o sfruttamenti. Ambedue le parti, ovvero le creature magiche e gli abitanti umani, s'erano impegnati ormai da secoli in un silente patto di coesistenza pacifica e produttiva, atta per lo più a migliorare le condizioni dei luoghi e della vita di entrambe le popolazioni. Le fate garantivano il giusto apporto di piogge, i Troll mantenevano puliti i suoli boschivi e i fiumi, gli umani utilizzavano solo ciò che era loro prettamente necessario alla sopravvivenza, senza deturpare e sfruttare ciò che Madre Natura aveva loro messo a disposizione.
Tuttavia, quando i Mandya s'impossessarono dei lotti confinanti coi boschi, iniziarono una crociata di disboscamento destinata ad eliminare ogni forma di vita, magica o faunesca che fosse, nelle miglia circostanti i loro confini. Il loro piano riuscì egregiamente, tant'è che gli abitanti caddero rovinosamente nella povertà e nella carestia più assoluta e dovettero accettare infine di lavorare come contadini o tuttofare per i Mandya. Le creature magiche vennero in gran parte uccise, i pochi superstiti dovettero emigrare ancora più a Nord. La bucolica località boschiva s'era trasformata in una triste e desolata radura di sterpaglie e terra bruciata. Tuttavia gli abitanti erano certi che Fate e Troll avessero espresso una qualsiasi maledizione sulla prepotente famiglia ed attendevano con ansia il giorno in cui avrebbero avuto giustizia per i soprusi subiti. I secoli passarono, le generazioni si susseguirono, innumerevoli altri terreni vennero comprati (o illecitamente confiscati) e sempre più selve magiche vennero violentate.
Durante i decenni poi, i Mandya vennero astutamente in contatto con rinomate conoscenze impegnate in campo militare e politico cosicché, quand'anche si fossero creati indisciplinati disordini e insubordinate disubbidienze da parte della plebe, avrebbero sempre avuto solide alleanze su cui contare.
Come tutte le più grandi e rispettabili famiglie, anche questa aveva infimi segreti celati nei retroscena di una sana e felice apparenza di indubbia moralità e inviolato candore.
Intorno al 1825 un ceppo della famiglia dei Mandya si trasferì in città, a Sormanal.
L'ultima generazione era formata da tre giovani uomini tra i diciannove e i trent'anni e una ragazza poco più che ventenne.
Erano tutti figli del defunto Sir Paor Mandya e della florida rampolla della famiglia Aloth, la Signora Arabel.
Il più grande dei figli portava il nome del bellissimo dio dell'amore e della giovinezza, Angus, poiché secondo l'oracolo d'una Fata, il primogenito, avrebbe avuto fattezze fanciullesche anche in età adulta. Si sposò giovane con la bella Alicù ed ebbero tre splendidi pargoletti. Si trasferirono in una delle tenute di famiglia e vi rimasero sino alla fine dei loro giorni, felicemente accasati. Il secondogenito, fiero e stimato erede di Sir Paor, partì come soldato appena ventenne, onorando così il desiderio del padre di avere almeno un figlio impegnato in campo militare. Ebbe una gloriosa carriera, non si sposò mai, ma in compenso ebbe tre gatti a cui era molto affezionato.
La sorella, invece, venne chiamata Iris in onore di una bisbetica trisavola morta zitella alla venerabile età di 87 anni. La ragazza intraprese gli studi letterari e fu promessa sposa ad un giovane benestante del Sud della Contea.
L'ultimo dei fratelli si chiamava Jan. Era nato meno di un anno dopo la sorella Iris. Aveva sangue ribelle nelle vene e sin da bambino s'era mostrato volenteroso, combattivo e carismatico. Era promesso sposo alla primogenita delle famiglia Pittsbury, tale Cecily, ma già detestava l'aria altezzosa e le boriose maniere della giovane, soprattutto quando ella aveva a che fare con la servitù. Con modi insolenti ed oltremodo aggressivi, agitava un logoro bastone su natiche e schiena di poveri vecchi che si macchiavano della colpa di non essere abbastanza svelti nell'ossequiarla. Jan, viceversa, sovente usava svolgere umili lavoretti per passatempo piuttosto che per divertimento personale, aiutando la plebe spesso in difficoltà. Tutto ciò avveniva all'insaputa della rigida madre, dalle vedute ancora più severe.
Aveva da sempre cercato di rimandare il matrimonio combinato con mille e più scuse. Oramai però, la famiglia Pittsbury cominciava a spazientirsi e al giovane restavano ben poche mosse da fare.
Con un pretesto partì per qualche giorno, dicendo che sarebbe andato a controllare i confini del patrimonio territoriale di famiglia. Niente di più falso. Appena fu certo di non essere più visibile dalle guardie della Villa, si dileguò in uno dei pochi boschi rimasti. Erano pochi ettari di un fiabesco verde smeraldo...il muschio sulle radici dei tigli richiamava alla mente l'immagine delle fatine che, con sorrisi divertiti, si coricavano stanche dopo un giocoso giorno di lavoro, seguendo il movimento delle radici e lasciandosi completamente andare al richiamo del riposo che, lesto, s'impossessava dei loro sogni. Tutt'intorno a questa mistica ed oramai improbabile immagine, v'erano farfalle che, leggiadre, volteggiavano intorno alle fate assopite, disegnando sinuose linee di polvere magica. Ahimè! Erano visioni oramai rare. Il genere umano, nella fattispecie la famiglia Mandya, aveva distrutto ciò che di magico c'era negli anfratti più remoti della Contea. Quel boschetto, apparentemente di poco conto, era stato risparmiato in previsione di una futura costruzione di un patio per la celebrazione di cerimonie familiari importanti.
Jan se n'andava perplesso e frustrato da quella visone celestiale ed al contempo deprimente. Da sempre amava i luoghi selvaggi, rustici, naturali, incontaminati.. quelli insomma che s'erano salvati dalla incontrollabile e assurda distruzione dell'uomo.
Stava girovagando oramai da qualche ora, con la sua cavallina Isaboeh al seguito, quando un secco rumore di legno marcio lo attirò.
Jan si girò di scatto mentre il cavallo balzò in avanti per lo spavento. Un ramo cadde a pochi passi da loro e una minuscola fatina uscì un po' ammaccata e intontita da sotto il pesante pezzo di legno! S'era addormentata su un ramo di quercia secca e durante il sonno s'era agitata troppo, finendo per far spezzare il rametto su cui stava dormendo.
Jan, realizzato l'accaduto, ristette basito per qualche secondo in completo attonimento.
Dopodiché scoppiò in una grassa e sana risata! La fatina ebbe la stessa reazione, lieta d'aver rallegrato la giornata agli spettatori della comica scena.
Vedendo che il ragazzo era d'indole buona, gli si avvicinò volando:
– Salve! Io sono Anouk
gli disse presentandosi.
Jan smise improvvisamente di ridere e guardò la carinissima creaturina e abbozzando una sorriso meravigliato, ma sincero, rispose:
– "Salve, io sono Jan!''
Anouk era una piccola fata di bosco. Abitava nella quercia da cui era capitombolata. Era una delle poche superstiti. Jan le si accostò per studiarla meglio e lei fece lo tesso. Gli si avvicinò e scrutandolo intensamente negli occhi esclamò grave, indietreggiando:
– Oh no! Ragazzo, promettimi che non suggellerai patti d'amore. Sarebbe la tua rovina!
– Patti d'amore?! Perdiana! Lungi da me il solo pensarci! Ma.. tu come fai a saperlo? E per quale motivo me lo chiedi con cotanta inquietudine?
– I nostri poteri non servono solo a dar vita a fiori e gemme, sai?! Io sono una fata del bosco e in questi pochi ettari rimasti vivono anche Troll ed Elfi. Tuttavia gli umani non devono saperlo. Ci ucciderebbero tutti, come hanno fatto in passato con i nostri antenati.
– Sono addolorato per l'immenso dispiacere che gli uomini e, soprattutto la mia famiglia, vi ha procurato. Ne soffro moltissimo e spero che un giorno vi sia resa la giustizia che vi spetta.
– Non temere. I figli non sono responsabili dei peccati di genitori e nonni. Noi siamo un popolo pacifico. Non cerchiamo vendetta. Siamo convinti che le cose avvengono per un dato motivo e, prima o poi, coloro che hanno commesso cattive azioni, capiranno di aver sbagliato e di aver fatto del male e quindi cercheranno di redimersi. Questa in generale è la nostra pacifica filosofia.
Il ragazzo la fissò per un istante con un sorriso divertito, appena accennato. Scosse impercettibilmente la testa con lo sguardo rivolto verso il basso, quasi ad accennare un amaro dissenso, che introdusse un'acre risposta:
– E' stupefacente la tua fiducia nel genere umano! Ma non illuderti piccola Anouk, o la tua sincera ingenuità ti farà del male. Ricordati: non tutti i nodi vengono al pettine. Ad ogni modo, posso proporti di accompagnarmi almeno per un breve tratto in questo mio solitario viaggio? Io non conosco questo bosco, non ho intenzione di perdermi. Mi sono allontanato giusto il tempo di riconciliare il pensiero al cuore. Dovevo rasserenare le mie tristi riflessioni e dar tregua al mio cuore avvilito. Desidero solo escogitare una soluzione che renda tutti felici o che, quantomeno, non ferisca nessuno.
Abbozzando un sorriso di comprensione, Anouk gli volò accanto al viso e con le sue minuscole manine gli diede una pacca su una spalla:
– Oh, giovane umano! Vorrei poterti aiutare, ma le mie orecchie mi dicono che sono questioni troppo personali ed, ergo, dovrai capire da solo il da farsi. Malgrado ciò, sarà mia premura scortarti almeno sino alla fine della selva magica; oltre non potrò proseguire senza rischiare la mia incolumità.
Jan, portandosi una mano al cuore e inginocchiandosi, sentenziò:
– Sah, fatina! Ti ringrazio infinitamente. Bene allora. Partiamo!
La strana coppia s'avviò in quel che apparentemente sembrava un viaggio di breve durata.
Capitolo II
Cleny e Angus
Lungo il sentiero la piccola fatina svolazzava avanti e indietro volteggiando contenta e solfeggiando antiche canzoncine tradizionali elfiche.
Jan la guardava rallegrato e di tanto in tanto un sorriso divertito gli si disegnava sul soave viso d'angelo. Il leggiadro volo di Anouk lasciava scie di polvere magica che, cadendo al suolo, dava vita a meravigliosi fiori. La cavallina Isaboeh era altrettanto trasportata dalla spensierata euforia della piccola fatia e, difatti, trotterellava felice sul sentiero tempestato di colorati fiori.
La camminata procedeva allegra per i tre viandanti; Anouk narrava di antiche leggende e raccontava di come gli uomini possono coesistere in simbiosi con la Natura. Diceva che era tutta questione di rispetto reciproco, che non ci voleva molto a prendersi cura di alberi, fiumi, terra, animali, insetti, creature magiche. Era nell'interesse dell'uomo farlo poiché la Natura aveva generosi frutti e impagabili favori da offrire.
– "Esemplare dimostrazione ci viene data proprio da questo piccolo bosco. Magico o no che sia, devi capire Jan, che le radici di questi vecchi alberi trattengono il terreno che in caso di forti piogge potrebbe franare.
Vedi questa terra? Se la tua famiglia non avesse risparmiato questa piccola selva, il villaggio confinante sarebbe già stato sommerso da fango e pietre.
E non sottovalutare mai la saggezza delle antiche querce. Sai, alcune possono parlare! Prendendo il sentiero a Nord ne incontreremo due. Te le presenterò senz'altro!"
– Perfetto! È un'idea straordinaria!
Anouk proseguì la sua istruttiva esegesi sui favori che Madre Natura poteva offrire, narrando della potenza dei fiumi.
– "Vedi laggiù?! Quello è il fiume Ramal. Puoi certamente sentire l'inesorabile forza delle