Vecchie Storie
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Anteprima del libro
Vecchie Storie - Emilio De Marchi
The Project Gutenberg eBook, Vecchie Storie, by Emilio De Marchi
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Title: Vecchie Storie
Author: Emilio De Marchi
Release Date: December 19, 2003 [eBook #10502]
Language: Italian
***START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK VECCHIE STORIE***
We thank the Biblioteca Sormani
di Milano that has provided the images.
This book has been completed in cooperation with the Progetto Manuzio, http://www.liberliber.it
Claudio Paganelli, Carlo Traverso and the Online Distributed Proofreading Team.
EMILIO DE MARCHI
VECCHIE STORIE
DUE SPOSI IN VIAGGIO.
La giornata spuntò serena e limpida per gli sposi, che dopo aver riposato una notte a Como, continuarono il loro viaggio verso la Tremezzina. L'acquazzone del giorno prima aveva posto nell'aria i brividi precursori del non lontano ottobre e le cime dei monti, e specialmente delle Alpi, brizzolate di neve, splendevano sotto un raggio alquanto diluito e raffreddato nell'atmosfera trasparente. Qualche giogo più acuminato usciva dalle altre vette, in un vestito roseo, allegro come quello d'una fanciulletta il giorno di Pasqua, sotto un cielo chiaro chiaro; e scendendo a poco a poco lungo la schiena dei monti, dopo il verde giallo dei pascoli rasi, vedevi il verde bruno dei castani, poi sterratelli bianchi di campi seminati a saraceno, poi ancora i colori vivaci dei giardini e il bianco delle villette, che scappavano innanzi al battello, dolci dolci, come le cartine in un organetto a manubrio.
Bastiano, lo sposo, stando in piedi, osservava queste meraviglie con un cannocchiale da teatro, che si era fatto prestare da qualcuno, e quando una folata d'aria l'investiva più fortemente, di sotto alle lenti, incartocciava la faccia, socchiudeva gli occhi, con quella espressione dolorosa, che hanno certe slavate sindoni d'altare di campagna.
Si era anche abbottonato il suo bel soprabito d'autunno color d'uva passa, tutto fino al bavero, ma di sotto, la valigietta dei denari, posta a tracolla, e in croce a questa l'astuccio del cannocchiale, cadendo sui due fianchi, facevano un rigonfiamento in fondo alla schiena, che dava delle arie d'inglese al signor Bastiano Malignoni di Monza.
Nel passare sul battello dimenticò d'essere un uomo alto e urtò il suo cappello nuovo, incatramato, d'un bel taglio tutto monzese, contro un voltino, facendovi dentro un'ammaccatura a triangolo, che egli portava, senza saperlo, con una certa dignità.
Prima ancora d'arrivare a Torno, ebbe un battibecco col revisore dei biglietti, perchè gli sposi avevano in fallo occupati i primi posti coi biglietti dei secondi: fatto sta che il signor Bastiano dovette in faccia a tutti i signori e a tutte le signore inglesi pagare una differenza, arrossendo fino alle orecchie, come s'egli avesse avuto intenzione di non dare a Cesare quel ch'è di Cesare.
Spiegò poi l'abbaglio a Paolina, dimostrandole come sui «bastimenti d'acqua» quel che è primo per i vagoni di terra diventa ultimo, e quel che ivi è ultimo qui diventa primo, precisamente come vedremo nella valle di Josafat, il giorno del giudizio universale.
Paolina, la sposa, stava zitta, come se non gliene importasse, e continuava a girare sopra sè stessa in contemplazione di tutto lo spettacolo che aveva intorno, voltando per caso un poco di spalle al marito.
Essa vestiva un abito povero, povero, color ferro brunito, ma la sposa di provincia la si conosceva all'oro giallo della sua guarnizione, al cappellino col pettirosso schiacciato in un angolo, cinto da una gran veletta celeste, che svolazzava, stridendo e folleggiando sulla testa, sulle guancie, pallide, e sul collo, con vibrazioni serpentine.
Il sole dopo uno svolto, la investì in un momento che Bastiano risaliva il ponte, talchè, in vederla, gli parve che al luccicar delle gioie e al contrasto del sole sulla veletta, ella si accendesse come una fiamma di spirito di vino. Gli parve anche di essere alto come il monte Bisbino, che stavano girando, e che non bastasse ancora a contenere tutta la sua felicità.
Paolina era la prima in trentasei anni di vita che egli aveva amato, o almeno la prima, sulla quale avesse voluto fondare un pensiero con qualche conclusione; e a vedersela ora davanti, a due passi, «bella come una rosa» il signor Malignoni non invidiava nessuno de'suoi vicini, nemmeno quell'inglese o americano, che da una mezz'ora andava contando monete d'oro e d'argento.
—Sei contenta?
—Sì, un po' freddo.
E si stringeva in uno scialle scozzese, come se volesse farsi poca e sparire.
—Hai fame?
—Nulla.
—Io ho fame.
—Io no.
—Vuoi che andiamo nella sala di sotto?
—No, stiamo qui.
—È bello, non è vero che è bello?
—Sì, molto.
—Vuoi un caffè o una tazza dì birra?
—Ti pare? Sto bene.
Tornavano a tacere per un pezzo.
Quelle rive strette fra l'acqua e il verde dei monti, quel succedersi di colori dai più chiassosi ai più delicati, dal vino al latte, da una villetta di zucchero a una incassatura rocciosa e tosta, irta di punte; quel succedersi di artifici per andare a godere una spanna di sasso, una bricca, un pratello largo come un fazzoletto, quell'aprirsi sfacciato di nuovi immensi bacini d'acqua, pieni di azzurro e di luce, là dove pareva che fosse tutto finito; e il chiacchierare della gente ad ogni stazione fra il battello e la riva, fra chi scende e chi sale; e il tonfo misurato delle ruote; e il suono della campana che ridesta gli echi dei pascoli, quello spettacolo insomma mosso e chiuso fra due coperchi lucidi ed opalini, l'acqua e il cielo, occupava l'anima di Paolina, se pure non si deve credere ch'ella facesse di tutto per occuparsene….
La natura le si dipingeva innanzi bella ed innocente, ed essa, contenta di trovarsi fra la gente e sotto il raggio di sole, avrebbe voluto che il viaggio non terminasse più, che le Alpi si aprissero per dar luogo a un altro lago sterminato.
Il bacino di Argegno, malinconico più degli altri, rispondeva all'ordine dei suoi desiderii e guardando su ai nudi ceppi delle montagne, alcune delle quali a picco, alle creste disabitate, a certi andirivieni di luoghi dirupati, si augurava in cuor suo di esservi, non importa se perduta, se di notte, o in mezzo alla bufera.
Si doveva stare tanto bene in una nicchia, lassù, dove mirava un uccellaccio. Vedeva anche qualche muricciuolo di cimitero; il dormire lassù per sempre all'ombra dei faggi e dei castagni, con una povera croce sul capo, anche questo le pareva bello in quell'istante che il suo Sebastiano l'aveva lasciata sola per scendere a mangiare un boccone.
Man mano che si procedeva verso Bellagio il battello si faceva sempre più affollato; tutti correvano alle regate.
Le ville portavano la bandiera; i sandolini dipinti colle signorine dentro tutte a fiori, a nastri, a parasoli bianchi, verdi, rossi, cilestri venivano in frotta come delfini a prendere l'onda del vapore; s'intendevano strilli di gioia e campane a festa; il largo bacino di Menaggio cominciava a spalancarsi in una grande scena scintillante, circonfusa d'una nebbia rosea; si udivano anche gli spari dei mortaretti; poi il suono delle bande che passavano nelle barche sotto «gli elmi di Scipio»; venivano acuti profumi dalle serre e dagli spallierati dei limoni; erano tutti in festa, povera Paolina! Si svegliarono anche le dame inglesi, anche le più vecchie in un gran bisbiglio, sotto i grandi panieri dei loro cappelli e segnavano col dito «Belaccio, Belaccio».
Questa era la meta dei