Visualizzazione post con etichetta Ebraismo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Ebraismo. Mostra tutti i post

martedì 30 luglio 2019

La mano di Fatima: un ponte tra culture

 La spensieratezza dell'estate ci invita tante volte ad abbigliarci con capi d'ispirazione esotica o etnica, tra cui anche orecchini, bracciali o ciondoli che richiamano terre lontane. In questi anni si è diffuso molto il simbolo della mano di Fatima, che è comparsa prepotentemente sulle magliette, come tatuaggio e nel mondo dei gioielli femminili. 
 In realtà questi oggetti che indossiamo con leggerezza (ebbene sì, anch'io ne sono conquistata) fanno riferimento a simboli che si portano sulle spalle migliaia di anni. Ed è il caso anche della mano di Fatima, di cui oggi vorrei tracciare la storia, aiutata anche dal racconto di una delle mie alunne di fede musulmana.


 Le origini

 L'iconografia della mano è presente in tantissime culture antiche, molte volte per esprimere l'idea di potere o dominio, tanto di una divinità o di un'istituzione (si pensi per esempio al monarca). Poi a seconda della cultura d'appartenenza, essa ha assunto diversi valori.
 La famosa mano con cinque dita attaccate tra loro, in cui indice e anulare hanno la medesima lunghezza e pollice e mignolo sembrano identici, nasce migliaia di anni fa, probabilmente introdotta dai Cartaginesi che la associavano a Tanit, la dea della luna e della fertilità sposa del dio Baal. Probabilmente però tale attributo è riconducibile al culto più antico di Inanna da parte dei Sumeri e a quello assiro-babilonese di Ishtar, anch'esse dee dell'amore, della bellezza e della fertilità.  
 Dai popoli mesopotamici alla cultura ebraica e, in un secondo momento, islamica, il passo è breve. Infatti, nonostante sia più conosciuto come simbolo musulmano, la mano di Fatima rappresenta un simbolo importante anche nella tradizione giudaica.

 Tra cultura ebraica e islamica


 Le versioni di questo simbolo sono tante e differenti a seconda della cultura, ma le caratteristiche comuni rimangono le cinque dita, che possono essere rivolte indifferentemente verso l'alto o verso il basso, e le decorazioni al proprio interno. Di solito nelle versioni islamiche all'interno della mano compare un occhio, l'occhio di Allah, mentre in quelle ebraiche sono presenti una stella di David o le iscrizioni di alcune preghiere.

Diverse versioni della mano di Fatima

 In entrambe le religioni il numero cinque possiede dei rimandi importanti. Nella tradizione ebraica, hamesh, il cinque, è il numero dei libri della Torah, chiamati anche Pentateuco: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio. Inoltre la quinta lettera dell'alfabeto ebraico, He (ה‎), è uno dei nomi sacri di Dio.
 Da parte sua, anche la cultura islamica mostra una predilezione per questo numero: cinque sono infatti i pilastri dell'Islam, ossia la testimonianza di fede, la preghiera (cinque volte al giorno), il pellegrinaggio alla Mecca, l'elemosina e il digiuno. Ma sono cinque anche i componenti della famiglia sacra: Maometto, Fatima, Ali, Hussein e Hassan. Non per nulla nella tradizione musulmana il nome della mano di Fatima, oltre a mano di Alo, è Hamsa o Khamsa, come appunto il numero cinque. 
 Per gli ebrei invece il nome di questo simbolo cambia in mano di Miriam, la sorella di Mosé e Aronne, che nell'immaginario giudaico e dei cristiani d'Oriente svolge il ruolo della Madonna, in quanto figura femminile più vicina a Dio.

 La storia di Fatima


 Ma per quale motivo questo simbolo è noto allora come "mano di Fatima"?
 Il nome nasce da una storia che vede come protagonista Fatima, figlia di Maometto e dell'amata moglie Khadija e figura molto venerata e cara alla religione musulmana. Il suo nome significa in arabo "la luminosa" e fu l'unica a dare una discendenza a Maometto con i figli Hassan e Hussein, avuti da Ali, cugino del Profeta e primo imam sciita.

 La tradizione vuole che Fatima avesse una fede talmente forte da essere miracolosa: quando si recava nel deserto per pregare, infatti, riusciva a far piovere e a far nascere fiori dalle gocce cadute a terra.
 Altrettanto solido era l'amore che Fatima nutriva per il marito, Ali. Una sera, mentre la moglie stava cucinando la cena, Ali rientrò con una concubina, come gli era permesso dalla legge islamica, e Fatima provò un dolore così grande che non si accorse che le era scivolato il cucchiaio e che stava usando la propria mano per mescolare il cibo. La pena provata dalla donna era talmente potente che solo in un secondo momento notò che la mano le bruciava e Ali la aiutò a medicarla, dicendole però che voleva passare la notte con la concubina.
 Quella sera, vedendo il marito che si adagiava con un'altra donna, Fatima non riuscì a trattenere le lacrime, e una finì sulla spalla di Ali. Questi, vedendo quanto era grande l'amore che la moglie provava per lui, decise di rinunciare all'altra donna.

 Il significato oggi 


 Oggi la mano di Fatima è diventato perlopiù un amuleto e le donne musulmane la indossano per ricevere in dono le virtù della pazienza, serietà e serenità, fondamentali per un futuro felice.
 Si è anche recuperato l'uso apotropaico di questo simbolo, considerato un vero e proprio portafortuna in grado di scacciare il malocchio.
 Infine, la sua connessione con le divinità femminili dell'antichità, fa sì che la mano di Fatima sia usata per indicare spazi adibiti alle donne o che queste lo indossino come amuleto d'amore.



 Ecco quindi che un simbolo indossato da tante donne con disinvoltura fa invece riferimento a significati più profondi, che anche la vicinanza in ambiente lavorativo con delle ragazze di culture diverse mi ha portato a scoprire.
 Per me una cosa da non sottovalutare, in questi tempi dove tante volte i toni si fanno duri e persino violenti, è che esistono storie o simboli, come la mano di Fatima, che uniscono e che, passando da una cultura all'altra, richiamano alla fratellanza tra i popoli. 
 Forse allora riscoprendo i significati profondi dei simboli potremo arrivare a ricordarci che in fondo non siamo poi così diversi.    





Fonti:
voce "Mano" in CHEVALIER, Jean, GHEERBRANT, Alain, Dizionario dei simboli: miti, sogni, costumi, gesti, forme, figure, colori, numeri, Vol. II, Bur Rizzoli, Milano, 2011, pp. 61-66;
- Wikipedia, voce "Mano di Fatima";
Wikipedia, voce "Fāṭima bint Muhammad";
- VALSECCHI, Alessio, Simbolo esoterico: la Mano di Fatima, in La tela nera;
- Holyart, "Mano di Fatima: storia e significato"; 
- blog La mano di Fatima, "La Khamsa: un amuleto tra due culture".

giovedì 14 luglio 2016

Salomone - Il re saggio

 La saggezza, si sa, è sempre stata una merce rara. Soprattutto le popolazioni antiche tendevano a tesserne le lodi in miti, racconti popolari e leggende. Purtroppo, però, nelle classi dirigenti non capitava spesso che  i politici fossero dotati di tale virtù e ancor meno capita oggi, come è noto agli occhi di tutti noi. 
 Tuttavia, vi è una figura attorniata da un'aura mitica che nei secoli è diventata la personificazione del buon regnante. Si tratta del celebre re Salomone, conosciuto come uno dei politici più saggi che siano mai esistiti. Vediamo di tracciare i caratteri salienti di questa importante figura del mondo ebraico e di molte altre leggende popolari.


 Il regno e le opere

 Bisogna subito dire che l'unica fonte della storia del re Salomone è la Bibbia. Pertanto, non si può dire con certezza se il regnante sia realmente esistito oppure sia solo una figura appartenente alla tradizione popolare e religiosa ebraica. 
 Se Salomone fosse una figura storica, si ipotizza che il suo regno si collochi tra il 970 e il 930 a. C. circa, dopo quello di Saul e di suo padre Davide. Mentre Davide fu un re dedito alle guerre per affermare il dominio del regno israelita, il nome stesso del figlio indica il cambiamento di tendenza nelle sue politiche; Salomone deriverebbe infatti dal sostantivo ebraico shalom, ovvero "pace", che conferirebbe al nome del regnante il significato di "pacifico".
 Tuttavia, l'ascesa al trono di Salomone non fu così pacifica. Figlio di Davide e Betsabea (in precedenza sposa di Uria l'Ittita), non era il primogenito del re e dovette vedersela con il fratellastro maggiore Adonia, che con il favore di una parte della corte e del popolo tentò di farsi eleggere re a sorpresa. Ma Davide, avvisato da Betsabea e dal profeta Nathan, responsabile dell'educazione di Salomone, designò come suo successore proprio quest'ultimo, supportandolo con l'esercito e la maggior parte della corte. Alla morte di Davide, dunque, Salomone salì al trono e poco dopo mise a morte Adonia e Ioab, il generale di Davide che aveva appoggiato il fratello maggiore. 
 Una volta assicuratosi il potere, Salomone si dedicò allo sviluppo delle relazioni diplomatiche e commerciali del regno di Israele, che divenne il crocevia degli scambi di cavalli tra la Siria, l'Egitto e l'Anatolia. Per proteggere e rafforzare le vie commerciali il re costituì una potente flotta, ampliò il porto di Eziongeber (che si affacciava sul Mar Rosso) e fortificò le vie carovaniere.  
 In campo diplomatico non esitò a servirsi di matrimoni di convenienza per stabilire relazioni commerciali; per questo sposò la figlia di un faraone d'Egitto, che gli portò in dote la città di Gezer. Inoltre, strinse un'alleanza con il re di Tiro Hiram, che gli fornì a lungo manodopera e materie prime per realizzare le imponenti opere pubbliche per le quali divenne famoso il regno di Salomone: il tempio di Gerusalemme (conosciuto anche come tempio di Sion) e la reggia, rispettivamente i centri del potere religioso e politico di Israele. La costruzione di questi due edifici contribuì enormemente all'idealizzazione presso il popolo della figura di Salomone, tanto che ancora oggi gli ebrei considerano il suo regno un'età d'oro, simile a ciò che fu l'età augustea per i Romani.
 Ma le grandi opere avevano bisogno anche di ingenti finanziamenti. Salomone sottopose il popolo a una forte pressione fiscale, richiedendo anche prestazioni di lavoro gratuite. Allo stesso tempo, però, conferì a Israele una solida organizzazione statale istituendo dodici distretti (uno per ogni tribù israelita) governati da altrettanti prefetti e diede impulso alla cultura facendo redigere la prima copia scritta del Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia, fino ad allora tramandati oralmente.
 Con il tempo, tuttavia, l'idillio tra Salomone e il popolo iniziò a incrinarsi. La già citata pressione fiscale fu una sola delle cause che fecere crescere il malcontento tra la popolazione israelita. Durante il suo regno, Salomone si distinse per lo sfarzo della sua abitazione e per diversi atteggiamenti arroganti che non si discostavano di molto da quelli dei tiranni orientali. Ma il fattore determinante che lo portò a inimicarsi il popolo fu la sua passione per le donne. Salomone aveva difatti parecchie mogli, molte delle quali erano straniere che praticavano culti idolatrici. Il re non solo permise la pratica di questi culti, ma divenne lui stesso un partecipante ai riti pagani, estranei alla religione ebraica. Ciò comportò l'insorgere di una crisi spirituale tra il popolo d'Israele, che si sentì tradito.
 Tutti questi fattori provocarono rivolte ancor prima della morte del sovrano. Stiamo parlando dell'insurrezione capeggiata da Geroboamo, un sovrintendente di un gruppo di operai regi sostenuto sia dal popolo, stanco delle vessazioni del re, sia da un circolo di profeti. La rivolta fallì e Salomone cercò di mettere a morte Geroboamo, ma questi riuscì a fuggire in Egitto.
  Il sovrintendente tornò a farsi vivo alla morte di Salomone. Il legittimo successore al trono, Roboamo, non aveva le stesse capacità amministrative del padre e ciò provocò la scissione del regno: a lui rimase la parte meridionale, chiamata Giudea, mentre Geroboamo, tornato dall'esilio egiziano, governò sulla restante parte di Israele.

Il tempio di Salomone
 Non solo un sovrano

 La già citata idealizzazione del sovrano contribuì nei secoli a renderlo protagonista di una tradizione folcloristica importantissima nella cultura ebraica. Dalla figura biblica si passò a una trasposizione popolare di Salomone, che assunse caratteristiche analoghe a quelle di un mago onnipotente. Secondo l'immaginario popolare a Salomone Dio concesse un potere illimitato sia sugli esseri viventi sia sui fenomeni naturali. Con il suo sigillo, Salomone riusciva a piegare al suo volere ogni forza, tanto che disponeva di venti che lo trasportavano da una parte all'altra del mondo. Nel Medioevo Salomone era quindi diventato un mago e anche un esorcista: era raffigurato su amuleti e sempre a lui si attribuivano rimedi in grado di scongiurare malefici, di guarire malattie o di compiere prodigi e incantesimi. 
 Oltre a sfociare nella sfera dell'occulto, la fama di Salomone si diffuse anche nel campo della letteratura. A questo sovrano è attribuita infatti la paternità di vari testi biblici, quali l'Ecclesiaste o Qoelet, i Proverbi e il Cantico dei Cantici. In modo apocrifo gli vennero attribuiti anche alcuni dei Salmi, delle odi e altri inni religiosi.

 Il giudizio di re Salomone 

 Uno degli episodi biblici più conosciuti che testimonia la saggezza di questo grande monarca si trova nel primo Libro dei Re al capitolo 3 (versetti 16-28). La vicenda ha per protagonisti il re Salomone e due prostitute. 
 Un giorno avvenne che alla corte del re sopraggiunsero due donne con un neonato per chiedergli consiglio. La prima prese la parola e disse al re: "Ecco, questa donna e io viviamo sole nella stessa casa e abbiamo partorito a pochi giorni l'una dall'altra. Una notte questa donna per sbaglio si è coricata sopra il suo figlioletto, soffocandolo. Allora questa sciagurata ha pensato bene di sostituire suo figlio con il mio, mettendomi in grembo il neonato morto. Mi sono accorta di tutto ciò solo la mattina, quando prima di allattarlo, ho visto che il neonato era morto e che non era mio figlio."
 Sentendola parlare in questo modo, l'altra donna protestò a gran voce: "Mio signore, questa donna mente. Questo bambino che vedete agitarsi sotto i vostri occhi è mio figlio!". Così entrambe le donne iniziarono a litigare animatamente per contendersi il bambino.
 A un certo punto, il re Salomone le zittì bruscamente e tuonò: "Portatemi una spada!". Subito un servo fece quanto aveva chiesto il re e questi riprese: "Dato che entrambe reclamate il bambino, sarà tagliato a metà, di modo che lo possiate avere tutte e due."
 Ma prima che la lama affilata della spada potesse trafiggere il neonato, una delle donne non potè trattenersi e disse: "Mio signore, non fatelo, non uccidete il bambino. Piuttosto, datelo all'altra donna." L'altra invece insistette: "Questo bambino non sarà né mio né tuo, dividetelo in due!".
 Allora il re Salomone fece deporre la spada e sentenziò: "Colei che ha intimato di dare il bambino all'altra donna è la vera madre. Datelo a lei!". 
 Il giudizio del re contribuì a diffondere la fama della sua saggezza straordinaria presso il popolo d'Israele. Da quel momento in poi, la saggezza del re Salomone divenne proverbiale. 



 Salomone e la regina di Saba nelle altre religioni

 Salomone, pur essendo una figura nata nella cultura ebraica, appare cinque volte anche nel Corano (2:102; 21:81-82; 27:15-45; 34:11-13; 38:30-34), dove si ribadisce la sua importanza come saggio profeta a cui obbediscono i venti e gli altri esseri viventi. Nella Sura 27 è presente anche il riferimento alla regina di Saba, menzionata anche nella Bibbia (Primo Libro dei Re, 10:1-13). 
 Il nome della donna è ignoto in entrambi testi sacri (anche se alcune fonti arabe la chiamano Bilqis), ma i racconti sono leggermente diversi. Nella Bibbia è la regina di Saba a recarsi da Salomone perché incuriosita dalla fama del re. Una volta giunta alla corte di Salomone, mette alla prova l'intelligenza del sovrano con degli enigmi, tra cui Salomone riesce a districarsi agevolmente. La regina ha occasione di ammirare anche la splendida reggia di Salomone, di assaporare i cibi della sua mensa e di osservare le vesti e i comportamenti dei dignitari reali. Impressionata dallo spettacolo, ella loda il Dio di Israele e si compiace che la nazione abbia un re tanto retto e saggio. Dopo aver scambiato ricchi doni con il monarca, la regina di Saba fa ritorno per sempre nel suo regno.
 Nel Corano invece è Salomone che, venuto a sapere che la regina di Saba è un'adoratrice del Sole, le invia una lettera che la invita a convertirsi alla religione di Allah. Temendo un'invasione militare, la regina invia un ricco dono al sovrano. Siccome l'obiettivo di Salomone è la conversione dei Sabei, Salomone rifiuta il dono e invita la regine nel suo palazzo che aveva il pavimento di cristallo, sotto il quale scorre dell'acqua. Quando la regina di Saba fa il suo ingresso nel palazzo di Salomone, si alza le vesti, convinta di dover camminare nell'acqua. Solo dopo si accorge dell'errore e capisce l'insegnamento che voleva impartirle Salomone: riconoscere la differenza tra realtà e apparenza. Così, la regina decide di convertirsi alla religione islamica.
 Un'altra religione che fa di Salomone il capostipite di un'intero popolo è il rastafarianesimo. Secondo il testo sacro Kebra Nagast ("Gloria dei Re"), Salomone si sarebbe unito con la regina di Saba, che nella cultura etiope è conosciuta con il nome di Makeda. Dalla loro unione nasce Menelik, che poi diventerà il primo re d'Etiopia. Menelik sarà anche colui che trafugherà l'Arca dell'Alleanza per trasportarla in Etiopia. In questo modo la religione rastafariana individua una discendenza biblica in Etiopia, attribuendo carattere divino anche alla dinastia regnante etiope che ha governato il Paese fino all'ascesa di Hailé Selassié (1930), escluso il periodo dal 950 al 1270 d. C., in cui governò la dinastia ebraica degli Zagué.      

Salomone e la regina di Saba

 Salomone indubbiamente oltre a essere un esempio di saggezza comprende anche molti altri aspetti, alcuni dei quali meno noti. L'aspetto più curioso a mio parere però è che questa figura, come altre, costituisce un ponte tra diverse religioni. Credo dunque che la vera forza di Salomone oggi sia quella di ricordarci che tutti abbiamo le stesse origini e che in fondo, nonostante quello che il mondo ci vuol far credere, non siamo poi così diversi.

      



Fonti:
- Treccani, enciclopedia dei ragazzi, voce "Salomone";
- Treccani, enciclopedia italiana, voce "Salomone";
- Wikipedia (italiano), voce "Salomone";
- Wikipedia (italiano), voce "Gloria dei Re";
- Treccani, enciclopedia dei ragazzi, voce "Regina di Saba";
- La Sacra Bibbia on line, Libro dei Re I, 3:16-28;
- Corano on line nella traduzione italiana 2:102; 21:81-82; 27:15-45; 34:11-13; 38:30-34.

martedì 28 maggio 2013

Il gigante d'argilla: il golem

 "polvere sei e polvere tornerai!"
 [Genesi 3, 19] 

 Queste sono le parole con le quali Dio maledice Adamo dopo che questi, insieme alla moglie Eva, si era cibato del frutto proibito.
 Una frase senza dubbio suggestiva, che ogni volta che viene pronunciata rammenta al genere umano le sue umili origini. Secondo la Bibbia, infatti, l'uomo venne creato con la terra e con la saliva di Dio. Provate a pensare al suolo su cui camminiamo ogni giorno, che giace al di sotto del cemento nelle città o che è soffice e malleabile in campagna. Pensate alle cavità che portano nel profondo della terra, oscure e a volte pericolose. Questo elemento è sempre stato percepito come uno dei cardini del mondo e per questo è presente in svariati modi nelle tradizioni mitologiche antiche. Molte creature immaginarie erano ritenute di origine ctonia, ovvero legate alle viscere della terra. Questo elemento sarà protagonista del post di oggi, perché voglio presentarvi uno degli esseri che da essa trae origine: il golem

Etimologia

 Probabilmente la parola deriva dall'ebraico-aramaico gelem, che significa "materia inerte", "embrione", "materia grezza". Si tratta di un termine che compare nella Bibbia, nella parte dell'Antico Testamento, al Salmo 139, 16:

I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo
e nel tuo libro erano tutti scritti
i giorni che mi eran destinati,
quando nessuno d'essi era sorto ancora.


 Siamo nello stadio intermedio della creazione dell'uomo, quando Dio ha già creato il corpo dell'essere umano, ma non gli ha ancora infuso l'anima. Si tratta dunque di un richiamo alla creazione di Adamo, il primo uomo, progenitore di tutta l'umanità. 
 La stessa parola è riportata nel Talmud, un altro importante libro della religione ebraica che contiene la legge orale, completamento della Torah, la legge scritta. Anche in quest'opera la parola gelem compare nel commento all'episodio della creazione,  per definire un uomo allo stato primordiale, una sorta di embrione ricavato dal fango prima di ricevere il soffio vitale da Dio.
 È particolarmente significativo che, al giorno d'oggi, la parola ebraica golem sia usata anche per identificare un robot. In yiddish, però, il vocabolo fa riferimento a uno sciocco.

La parola che dà vita

 La concezione del golem è profondamente radicata alla Cabala, una dottrina esoterica e mistica ebraica secondo cui ogni elemento del creato deriverebbe dalla scomposizione e composizione dei numeri e delle lettere dell'alfabeto ebraico, soprattutto da quelle che compongono il nome di Dio. Perciò la cultura ebraica ritiene che all'origine dell'universo vi sia la parola.

 La parola che dà vita è anche alla base della creazione di un golem; solo chi veniva a conoscenza dei misteri della Cabala e dei poteri legati al nome di Dio poteva generare questo gigante di fango. Costui si anima quando sulla sua fronte vengono tracciati i segni Aleph, Mem e Thau (אמת), gli stessi segni che nella Cabala compongono il nome di Adamo. 
 Un'altra tradizione sostiene invece che la lettura di questi tre segni dovrebbe essere "Emet", cioè "verità".  
 In qualsiasi modo si legga, questa parola non serviva solo a dare vita alla creatura, ma anche a togliergliela.  Quando si voleva neutralizzare un golem, infatti, bastava cancellare dalla sua fronte il primo dei tre segni, Aleph [ricordiamo che la scrittura ebraica procede da destra a sinistra, quindi Aleph rappresenta il primo segno a partire da destra NdA]. I segni rimanenti, Mem e Thau, formavano la parola Meth, "morte" (מת), che segnava la fine del gigante d'argilla, il quale si decomponeva all'istante.



Le leggende sul golem

 Da queste premesse, nel corso dei secoli sono nate varie leggende sul golem, in cui questo gigante di fango ricopriva ruoli sempre diversi: da fedele servitore domestico del padrone (colui che lo aveva creato), difensore della comunità ebraica, ma anche un mostro simile a Frankenstein, che sfugge al controllo del suo creatore. Tutte le varie leggende, però, presentano il golem come una creatura dotata di straordinaria forza e resistenza a cui un uomo colto ed esperto nei misteri dell'alfabeto ebraico dava vita. Nonostante la sua forza incredibile, il gigante d'argilla non aveva la facoltà di pensare, di parlare e di provare sentimenti, poiché privo di anima. Il golem diveniva così schiavo del suo creatore, che gli dava ordini scritti su dei foglietti di carta riposti poi nella bocca della creatura. In ogni caso, la creazione del golem era ritenuta una forma di magia, solitamente nera.

 Una delle fonti più antiche che parlano dell'esistenza di un golem è rappresentata da Ahimaaz ben Patiel, cronista del XII secolo, che ci parla della scoperta nei pressi di Benevento di un esemplare di questa creatura da parte del rabbino Ahron di Baghdad. Si trattava di un giovane che visse nel IX secolo e a cui era stata donata vita eterna grazie a una pergamena. Sempre Ahimaaz, ci informa che nel IX secolo, nella città di Oria, abitavano dei saggi ebrei in grado di creare golem. Questi, però, in seguito a un'ammonizione divina, smisero di praticare questa attività.

 Ma è intorno al XVI e XVII secolo che le leggende sul golem si moltiplicano.
Curioso è l'episodio che ha per protagonista il rabbino Salomon Ibn-Gabriol di Valencia, il quale nel 1508 creò una versione femminile del golem. A causa di questo, Salomon venne accusato di stregoneria dal sovrano spagnolo, che era un fervente cattolico, e quindi condannato alla pena capitale. Ma il rabbino si salvò mostrando come la creatura diventasse inoffensiva appena si fosse cancellata la parola scritta in fronte. Il golem divenne polvere e Salomon non venne giustiziato.
 Nella Polonia del XVII secolo, una lettera recante l'anno 1674 riferisce la vicenda del rabbino Elijah Ba'al Schelm di Chelm, che diede vita a un golem, il quale divenne talmente grande che il suo padrone perse il controllo su di lui. Tuttavia, il rabbino riuscì a convincere la propria creatura a togliergli le scarpe. Mentre il golem era chinato verso di lui, Elijah cancellò l'Aleph dalla fronte del gigante, che cadde all'istante travolgendo anche colui che l'aveva creato.

 La leggenda più famosa sul golem però è ambientata nel ghetto ebraico di Praga, che riprende la versione polacca del golem di Chelm. Erano gli anni del regno di Rodolfo II, a cavallo tra il XVI e XVII secolo e a Praga viveva il rabbino Jehuda Löw ben Bezalel, che fabbricava golem per sfruttarli come suoi servi. Un giorno, però, il rabbino perse il controllo di uno dei suoi giganti, che iniziò a distruggere tutto ciò che incontrava. Questo golem, però, divenne il difensore della comunità ebraica nella città di Praga, che durante il regno di Rodolfo II attraversò un momento di particolare prosperità. 



 Il golem ebraico è un antenato della creatura del dr. Frankenstein, che porrà i primi quesiti sui limiti della scienza. Per non parlare dei robot, figure che spopoleranno nella letteratura fantascientifica del '900.
 Se il golem è una figura che si ricorda anche oggi, magari nelle vesti di una macchina impazzita che vuole distruggere il genere umano, significa che il messaggio che veicola questa figura è più che mai attuale: l'uomo non può sostituirsi a Dio, nemmeno se il suo potere si chiama scienza.


Fonti:
- Wikipedia, voce "Golem";
- Scrittura Immanente, "Il golem";
- Il crepuscolo degli dèi, voce "Golem"; 
- CALABRESI, Stelio "La leggenda del golem".

venerdì 21 settembre 2012

La Fenice, simbolo d'immortalità

 Ci sono idee che sono nate nella mente dell'uomo fin dai primi tempi e che non sono più scomparse. Sembrano quasi dei chiodi fissi, che si sono inculcati in tutte le culture e mitologie del mondo e che sopravvivono tutt'ora, anche se in altre forme.
 Un concetto che ritorna insistentemente in tutte le popolazioni antiche è quello di rigenerazione. Questa idea si è concretizzata in diversi modi: attraverso i riti propiziatori che favorivano la ciclicità dei fenomeni naturali, o rituali di passaggio che purificassero il defunto perché potesse rinascere nell'al di là, o ancora concezioni cicliche del tempo, che era destinato inesorabilmente a ripercorrere i propri passi.

 Per rappresentare il concetto di rigenerazione, però, i popoli antichi ricorrevano anche a delle creature immaginarie, che si configuravano come veri e propri simboli del pensiero degli uomini. Una di queste è la Fenice, l'uccello mitologico che dopo la morte rinasce dalle proprie ceneri.  

 I primi a parlare di questo favoloso pennuto furono gli Egizi, che nel loro pantheon annoveravano il Benu o Bennu (letteralmente "brillare", "Splendere" o "librarsi in volo"), che dapprima aveva le sembianze di un passeraceo e poi divenne un trampoliere dal becco lungo e sottile, con due piume dietro il capo. Tale uccello venne associato al sole e alla divinità solare Ra, quindi rappresentava il cammino dell'astro nel cielo, che sorgeva e tramontava. Il Bennu era identificato inoltre con il pianeta Venere, chiamato la Stella del Mattino, come dimostra questa invocazione:

«Io sono il Bennu, l'anima di Ra, la guida degli Dèi nel Duat. Che mi sia concesso entrare come un falco, ch'io possa procedere come il Bennu, la Stella del Mattino.»

Bennu, la "Fenice" egiziana
 A causa del suo aspetto simile a un airone, il Bennu era una figura che annunciava il ritorno di un periodo fertile e prospero. L'airone, infatti, era solito comparire sulla sommità delle rocce del fiume Nilo dopo la periodica inondazione che fecondava la terra con il limo. La connessione con la fertilità e con le forze vitali è dimostrata anche dal fatto che il Bennu divenne una rappresentazione di Osiride, il dio che muore e risorge.
 Un mito egizio della creazione narra, addirittura, che il Bennu fosse il primo essere animato a sorgere sulla collina emersa dal caos delle acque primordiali. Secondo la leggenda, il Bennu sarebbe nato dal fuoco che ardeva sul sacro salice di Eliopoli.
 Di Bennu ne poteva esistere solo uno alla volta, proprio come il sole. Era sempre di sesso maschile e viveva in prossimità di una sorgente d'acqua fresca, in un'oasi dell'Arabia (da qui l'epiteto "araba fenice") che era pressoché introvabile. Lì, ogni mattina faceva il bagno nell'acqua della fonte e intonava una melodia talmente soave che il sole fermava il suo corso per ascoltarla. Talvolta lo si poteva veder volare a Eliopoli per depositarsi sul salice sacro o sull'obelisco all'interno della città.

 Dall'Egitto, la leggenda si diffuse in Grecia grazie a Esiodo ma soprattutto a Erodoto, il primo che descrisse in modo preciso l'aspetto della Fenice e le sue caratteristiche. Secondo lo storico greco l'uccello era più o meno della grandezza di un'aquila e il suo piumaggio era in parte oro brillante e in parte rosso cremisi. Nonostante l'aspetto dell'animale sia profondamente cambiato rispetto alla tradizione precedente, Erodoto si riallaccia comunque al culto egiziano, affermando che la Fenice giungeva dall'Arabia a Eliopoli ogni cinquecento anni, in occasione della morte del genitore, le cui salme erano state imbalsamate in un uovo di mirra. La nuova Fenice portava con sé l'uovo per depositarlo e bruciarlo sull'altare del dio del sole.  
 Sempre Erodoto ci svela che, prima di morire, la Fenice si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido di incenso e cannella sopra una quercia o una palma, accatastando le piante aromatiche in modo da formare un uovo. Dopodiché, adagiatasi nel giaciglio, lasciava che i raggi del sole incendiassero il nido e si lasciava consumare dalle fiamme. Incendiandosi, le piante aromatiche diffondevano un dolce profumo, che accompagnava sempre la morte della Fenice. Dalle ceneri, poi, spuntava una larva o un uovo, che i raggi del sole contribuivano a trasformare in una Fenice adulta in tre giorni attraverso il loro calore. In seguito, come già accennato, la nuova creatura si dirigeva verso Eliopoli e si posava sull'albero sacro.


La Fenice greco-romana

  
 Ovviamente questa figura non poteva non essere citata anche da scrittori romani, che dibatterono molto su alcune caratteristiche della Fenice (il cibo di cui si nutrisse, sulla modalità della sua morte), ma mantenendo in generale inalterati i tratti fondamentali fissati da Erodoto. Per esempio Ovidio, nelle sue Metamorfosi, scrive:


si ciba non di frutta o di fiori, ma di incenso e resine odorose. Dopo aver vissuto cinquecento anni, con le fronde di una quercia si costruisce un nido sulla sommità di una palma, ci ammonticchia cannella, spigonardo e mirra, e ci s'abbandona sopra, morendo, esalando il suo ultimo respiro fra gli aromi. Dal corpo del genitore esce una giovane Fenice, destinata a vivere tanto a lungo quanto il suo predecessore. Una volta cresciuta e divenuta abbastanza forte, solleva dall'albero il nido (la sua propria culla, ed il sepolcro del genitore), e lo porta alla città di Eliopoli in Egitto, dove lo deposita nel tempio del Sole.

 Ovidio, quindi, rimane fedele alla storia tramandata da Erodoto, aggiungendo però alcuni particolari: il nutrimento della Fenice e il fatto di trasportare a Eliopoli non solo le salme del genitore, ma anche il proprio nido. Sempre per quanto riguarda la morte del genitore, anche Tacito riprese le informazioni di partenza, dicendo che la nuova Fenice portasse l'intero corpo del genitore morto a Eliopoli per bruciarlo all'altare del sole.
 E' bene evidenziare che il continuo riferimento a Eliopoli non era casuale. Lì, i sacerdoti di Ra erano soliti conservare i testi dei tempi passati in archivi. Se si tiene presente questo dato importante, la Fenice diveniva così il nuovo profeta, il nuovo messia che distruggeva gli antichi testi sacri per far rinascere una nuova religione dalle ceneri di quella precedente.
 Durante l'impero romano, la Fenice smise i panni del sole che tramontava e risorgeva ogni giorno e assurse a simbolo dello stesso impero che, pur alterandosi, si rinnovava sempre ed era immortale.

 Ma l'idea di rinnovamento e rigenerazione legata alla Fenice non poteva restare confinata solo al mondo classico. Infatti, il favoloso uccello era presente già nella tradizione ebraica, dove assunse il nome di Milcham. Una leggenda narra che Eva, divenuta mortale dopo aver mangiato il frutto proibito, costrinse anche tutti gli altri animali dell'Eden a fare altrettato, poiché era invidiosa della loro purezza e immortalità. L'unico animale che si rifiutò di mangiare il frutto proibito fu proprio la Fenice. Per questo, Dio volle ricompensarla dandole come dimora una fortificazione nel paradiso terrestre, dove l'uccello leggendario avrebbe potuto vivere in pace per mille anni. Proprio con una frequenza di mille anni, la Fenice bruciava e si rigenerava da un uovo, che veniva ritrovato tra le ceneri dell'animale defunto.

 La religione cristiana riprenderà in seguito la simbologia di questo animale, che ben si addiceva alla figura di Gesù Cristo che, proprio come la Fenice, muore per poi risorgere. In questo contesto la Fenice non è solamente simbolo di Cristo vittorioso sulla morte, ma più in generale anche della rinascita spirituale dell'anima, che è immortale.
 Ben presto, quindi, la Fenice divenne parte dei bestiari dell'epoca medievale. Uno di questi, chiamato Fisiologo, riportava le caratteristiche dell'animale, che erano state in parte modificate. Secondo il bestiario, la Fenice era originaria dell'India  e ogni cinquecento anni si dirigeva verso il Libano, dove si profumava le ali con piante aromatiche e si annunciava al sacerdote di Eliopoli. Costui, ricevuto il segnale, preparava sull'altare una pira di sarmenti di legno dove l'uccello si sarebbe posato e avrebbe preso fuoco. Dopo la morte sul rogo, il sacerdote trovava un piccolo vermicello, che in tre giorni si sarebbe trasformato nella nuova Fenice. Il Fisiologo stesso spiega la simbologia di questo essere prodigioso:

l'uccello prende l'aspetto del nostro Salvatore, che scendendo dal cielo, riempì le sue ali dei dolcissimi odori del Nuovo e dell'Antico Testamento, come egli stesso disse: «Non sono venuto ad eliminare la legge, ma ad adempierla». 

La Fenice in un mosaico cristiano


 Creature molto simili alla Fenice europea ed egiziana si possono trovare anche negli altri continenti. Nella mitologia cinese, l'uccello leggendario compare tra le quattro creature sacre che presiedono al destino della Cina, le quali impersonano le forze primordiali di tutti i tipi di animali (piumati, corazzati, pelosi e dotati di squame). I quattro animali magici sono Bai Hu (la tigre bianca) o Ki-Lin (l'unicorno) per l'Ovest, Gui Xian (la tartaruga o il serpente) per il Nord, Long (il drago) per l'Est e, per il Sud, Feng (la Fenice). Quest'ultimo rappresentava le forze primordiali dei cieli, il potere e la prosperità, perciò l'imperatore e l'imperatrice erano gli unici a poter portare il simbolo del Feng. I Cinesi ritenevano che il Feng possedesse i più begli attributi di tutti gli animali e lo rappresentavano con due pergamene nel becco o una scatola che conteneva i testi sacri.
 Feng era l'imperatore di tutti gli uccelli, poiché il suo corpo era l'insieme dei sei corpi celesti: la testa simboleggiava il cielo, gli occhi il Sole, le ali il vento, gli artigli la terra, il dorso la luna e le piume i corpi astrali; inoltre, la coda di Feng conteneva i cinque colori primari. Egli era nato dal fuoco sulla Collina del Falò del Sole e viveva con la sua compagna (o con il suo compagno, visto che il Feng può essere sia maschio che femmina) nel Regno dei Saggi, cibandosi di bambù e bevendo acqua purissima. Feng aveva una voce melodiosa e tutti i galli lo accompagnavano nell'intonazione della sua canzone, che conteneva le cinque note della scala musicale cinese. Egli appariva solamente in periodi di pace e prosperità e durante il concepimento di un bambino, per consegnare l'anima del nascituro al grembo della madre.

Fenghuang


 In Giappone, la Fenice ricompare con il nome di Ho-ho e assume le sembianze di un'aquila enorme coperta di gemme che sputa fuoco. Ho-ho si annovera tra i kami, gli spiriti della natura, e annuncia l'arrivo di una nuova era. Un altro nome di Ho-ho è Karura, che altro non è che la storpiatura del nome sanscrito Garuda, con cui la Fenice è nota in India.

 Nella cultura induista e buddista, Garuda è uno dei supremi veggenti. Ha un corpo umano dorato, ali scarlatte, becco d'aquila e faccia bianca. Sua madre venne imprigionata da Kadru, la madre di tutti i serpenti e Garuda, per liberarla, assunse il Soma, l'elisir che rende immortali. Il dio Viṣṇu, fu molto colpito da ciò e scelse Garuda come avatar (l'incarnazione terrestre) o come suo destriero. Fatto sta che dal rapimento della propria madre, Garuda mantenne un feroce odio nei confronti dei Naga, la famiglia dei serpenti e dei draghi.

 Tracce della Fenice, infine sono presenti anche in America. Quetzalcoatl, il serpente piumato del Messico, aveva la facoltà di risorgere dopo la propria morte e i Maya lo ritenevano un grande sovrano e portatore di civiltà. I Toltechi identificano con questo nome un vero e proprio sovrano, che era anche sacerdote di Tollan, il quale morì arso sul rogo nello Yucatan, proprio come la Fenice.
 Nell'America settentrionale, invece, troviamo Wakonda, che per i Dakota era l'uccello del tuono, mentre per i Sioux era il "grande potere superiore", una divinità generosa che donava potere e saggezza.  

 Alla ricerca della Fenice abbiamo percorso in lungo e in largo il mondo. Si può vedere bene, dunque, quanto stia a cuore all'uomo l'idea della rinascita. E non potrebbe essere altrimenti, perché anche nella vita quotidiana abbiamo bisogno di pensare che, nonostante le sconfitte e le disgrazie, si può sempre ricominciare.
 Per questo dedico questo articolo a una mia carissima amica, che ora si trova con un pugno di cenere in mano. Le auguro con tutto il cuore di essere come l'araba Fenice, più forte della morte (in questo caso in senso figurato) e in grado di diventare ancora più splendida.
 Se l'uomo è riuscito a concepire una figura tanto bella, significa che anche noi abbiamo nella nostra natura il gene della Fenice che non muore mai e che non si arrende. 



Fonti:
- MENEGATTI, Alessandra, "La fenice, animale mitologico";
- Wikipedia, voce "Fenice";
- Wikipedia, voce "Benu";
- Sito internet Astrocultura UAI, articolo "Un mito, una costellazione, un teatro - La Fenice: l'eterno ritorno";
- VAGHI, Fabio, "Il canto della fenice".

giovedì 12 luglio 2012

Lilith

 Ho appena letto che esiste una leggenda ebraica sulla creazione della prima donna che afferma che non fu Eva la prima moglie di Adamo, ma Lilith. Dunque dedico questo post alla mitologia che circonda questa figura.

 Gli albori della mitologia che riguarda Lilith, però, sono da ricercare nella religione babilonese e assira dove troviamo la presenza di vari demoni, tra cui una terna composta da Lilu (maschio) e Lilitu (femmina) e Ardat Lilitu (figlia). questi erano demoni alati, probabilmente associati ai gufi (visti come spiriti succhiasangue), che nella notte scendevano a tormentare e a strangolare uomini, partorienti e neonati. Esistevano numerose formule di scongiuro in assiro a dimostrare il potere che veniva attribuito a queste spaventose creature notturne, come per esempio questa:

A colei che vola nelle stanze della tenebra... passa presto, presto, Lilith!

Incisione che rappresenta Lilith accompagnata dai gufi
 

 Nell'antica Mesopotamia, però, Lilith possedeva anche altri aspetti. L'accadico Lil-itu ("signora dell'aria"), per esempio, potrebbe riferirsi alla divinità femminile sumerica Ninlil (del pari "signora dell'aria"), dea del vento meridionale e moglie di Enlil. Occorre precisare che il vento e alla tempesta erano visti prettamente sotto una luce negativa: nell'antico Iraq, infatti, il vento del sud era associato all'aggressione portata dalle tempeste di polvere meridionali e in generale alle malattie.
 Inoltre, Lilith appare anche nel ciclo di leggende riguardanti Gilgamesh, dove viene identificata con ki-sikil-lil-la-ke ("donna demoniaca" in lingua sumera) e appare nella storia "l'albero huluppu" i cui protagonisti sono Inanna e, appunto, Gilgamesh. In questo racconto Inanna trova un albero huluppu sulle sponde dell'Eufrate che è sradicato dall'erosione dell'acqua, lo prende con sé per piantarlo nel suo giardino con l'intenzione di utilizzarne la legna per fare il proprio trono ed il proprio letto. Ma dopo dieci anni, quando l'albero è cresciuto, non può essere utilizzato poiché

un serpente [...] fece il suo nido tra le radici dell'albero huluppu.
L'uccello Anzu mise i suoi piccoli tra i rami dell'albero
e la vergine nera Lilith costruì la sua casa nel tronco.


  Così Inanna, la giovane dea che ama sorridere, chiama in suo aiuto l'eroe nascente Gilgamesh che, dotato di una forza prodigiosa, colpisce il serpente tra le radici e fa fuggire l'uccello Anzu con i suoi piccoli verso le montagne e anche Lilith, che si dirige verso i luoghi selvatici.

 Nella mitologia ebraica, Lilith è protagonista di due miti legati ad Adamo. Il primo si trova nel libro cabalistico intitolato Zohar, dove Lilith viene dipinta come la compagna di Satana e come una figura impura. Qui si narra che prima di conoscere Eva,  Adamo si accoppiasse con Lilith sino a quando poi incontrò la sua compagna naturale.
 Dopo il peccato originale, però, Adamo rifiutò di incontrare Eva per 130 anni, periodo durante il quale egli perse il proprio seme da cui sorsero molti demoni.
 In seguito, dopo i 130 anni, Adamo si riunì ad Eva.

Adamo e Lilith
 

 Ma la leggenda più famosa riguardo a Lilith deriva proprio da alcune discrepanze presenti nel libro della Genesi dove all'inizio la creazione dell'uomo e della donna viene così citata (Gn 1, 27):

Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò

 Nel secondo capitolo si ripete, con parole diverse, prima la creazione dell'uomo con polvere del suolo (Gn 2, 7) e poi, dalla costola di Adamo (Gn 2, 22), la creazione della donna chiamata Eva.
 Da questa incongruenza si è ipotizzato che la prima donna a cui si fa riferimento nel primo capitolo della Genesi non sia Eva, ma una donna diversa, che viene identificata con Lilith. Creata da Dio assieme ad Adamo, ne differisce però per composizione: Adamo venne modellato con sabbia finissima (terra sottoposta all'azione del fuoco), mentre Lilith con melma (terra sottoposta all'azione dell'acqua). Si narra che i due si abbandonarono a fervente passione nell'Eden, ma questo idillio sensuale ebbe termine quando Lilith si rifiutò di assecondare il desiderio sessuale di Adamo, che voleva giacere sopra di lei. La pretesa di Lilith di assumere una posizione sessuale dominante, scatenò l'ira del compagno a cui si sottrasse, pronunciando il sacro e segreto nome di Dio, librandosi in aria e fuggendo dall'Eden.
 In seguito, Lilith si accoppiò con Asmodai e vari demoni che trovò oltre il Mar Rosso, creando un'infinita generazione di jinn, degli esseri demoniaci della religione islamica. Adamo supplicò Dio di riportare indietro Lilith, così tre angeli, chiamati Senoy, Sansenoy e Semangelof, furono inviati a cercarla.
 Quando i tre angeli la trovarono, le ingiunsero di tornare minacciandola di morte, ma Lilith rispose che non sarebbe potuta tornare da Adamo dopo aver avuto relazioni con i demoni, poiché era divenuta immortale. Ma quando gli angeli minacciarono di uccidere i figli che lei aveva generato con i demoni, Lilith li supplicò di non farlo, promettendo che non avrebbe toccato i discendenti di Adamo ed Eva, se solo si fossero pronunciati i nomi dei tre angeli.

 Infine, in un altro testo ebraico è riportato come Lilith, furiosa e gelosa della nuova compagna di Adamo, si trasformò in serpente e offrì alla coppia il frutto proibito, condannando l'uomo e la donna alla perdita della loro condizione di favoriti da Dio, e a sottostare al ciclo naturale di vita e morte.

Lilith offre il frutto proibito ad Adamo ed Eva


 

Fonti: Wikipedia, voce "Lilith"; articolo presente sul sito http://www.duepassinelmistero.com/Lilith.htm.