Lettere lingue e arti LELIA

a Caravana del Cairo «Grand'opera in tre atti e per musica tolta dal francese» conclude gli adattamenti carpaniani di opéras-comiques per il Teatro Arciducale di Monza, negandone lo statuto melodrammaturgico -quell'unione di canto e prosa verso cui lo spettacolo d'opera all'italiana aveva sempre dimostrato una palese impermeabilità -al fine di percorrere la nuova strada delle «grandi Opere comiche francesi», distinte dalle «Commedie con musica» per l'assenza di recitazione parlata e solo in parte assimilabili alle opere buffe italiane, dalle quali si differenziavano grazie ad una maggiore ricchezza scenica («copia») e ad una più accurata stesura del dramma («regolarità» e «precisione»).1 Il ritorno all'opera 'tutta cantata' non ci sembra tanto un segnale di resa e di ripiego verso le modalità compositive nostrane,2 quanto piuttosto l'indizio della volontà di adottare un filone spettacolare inedito per l'Italia, ma già da tempo sviluppatosi in Francia -mediante la commistione degli stilemi drammaturgico-musicali dell'opéra-comique e della pièce à sauvetage con quelli dell'opéra e del drame lyrique -sull'esempio di lavori come La caravane du Caire di Grétry.3 Quest'ultima, insieme a Le casque et les colombes (Opéra, 7 novembre 1801, su testo di Guillard), fu l'unica composizione del maestro belga a venire siglata come Opéra-ballet, termine che in quegli anni caratterizzava uno spettacolo neobarocco, aperto alla compresenza di una pluralità di registri stilistici, ed imperniato sull'ipertrofismo sonoro e visivo (conseguenza delle fastose e fascinose coreografie dei fratelli Gardel).4 1 Le citazioni sono tratte dalla prefazione di Carpani a «La Caravana|del Cairo|grand'opera in tre atti|e per musica|Tolta dal francese|Da rappresentarsi|nel teatro di Monza|L'autunno del 1795|Dedicato|Alle Ll.Aa.Rr.|Il Serenissimo Arciduca Ferdinando […] e la|Serenissima Arciduches-sa|Maria Ricciarda|Beatrice d'Este», Milano, Gaetano Motta, s.a. (esemplare consultato in I-Fc E VI 2890). 2 È questa la tesi sostenuta da Paolo Fabbri, Il progetto Carpani a Monza, «Musicalia», 3, 2006, pp. 19-37: 32

Fin dalle sue origini l'opera buffa ha basato gran parte della propria pregnanza comica sulla parodia dello stile lessicale, compositivo e canoro del " dramma per musica ". A far sorridere l'uditorio era infatti la forzata convivenza di registri lin-guistici che connotavano diverse tipologie di dramatis personae. Tali registri corrispondevano a precisi ruoli social-vocali ma talvolta si venivano a creare gusto-se discrepanze tra lo status del personaggio e la sua espressione canora: ecco allora che una servetta stizzosa (penso a Sandrina nella Cecchina di Piccinni) poteva ve-stire i panni dell'eroina tragica appropriandosi dei topoi del lamento 1. Se tuttavia nei drammi giocosi l'allusione parodistica agli atteggiamenti stilistici dell'opera se-ria restava sottintesa, nei metamelodrammi la volontà di fare satira sulle forme produttive e fruitive di quello spettacolo " aulico " diventava invece chiara ed espli-cita. In siffatti spazi " meta-operistici " – rimarcati all'interno dei libretti a stampa anche a livello grafico con carattere corsivo e/o virgolettature – il primo responsa-bile della comicità non era tanto il librettista, quanto il compositore, cui veniva richiesto di generare episodi risibili in termini squisitamente musicali. Situazioni topiche come la prova di canto col maestro al cembalo, la direzione dell'ouverture, i rimbrotti ai coristi, divenivano così occasioni per dar vita ad autentiche caricature musicali quali ad esempio: errori grossolani nella condotta melodica ed armonica, deputati alla resa delle stonature dei presunti virtuosi; assoli parossistici degli stru-menti, collocati in corrispondenza dei versi che ne facevano menzione; deformazioni degli stili di canto, onomatopee, cadenze interminabili o vocalizzi funambolici del tutto eccentrici rispetto al contesto dell'azione. 1 Si leggano a tal proposito le pagine che Franco Piperno dedica alla decontestualizzazione dei segni musicali " alti " nell'aria di Sandrina cfr. FRANCO PIPERNO, «La mia cara Cecchina è baro-nessa»: livelli stilistici e assetto drammaturgico ne «La Buona Figliuola» di Goldoni-Piccinni, «Analecta musicologica» 30/II (1998), pp. 523-542.

o n o r a r i i d i F e r m o e s u o i d i n t o r n i , Ro ma 1 8 4 1 ( f o t o d i Di e g o Ma r z o n i ) . Re d a z i o n e , e d i t o r i a l e : P a o l a Me n c h e t t i , Ug o Gi a n i Gr a f i c a e l a y o u t : Ug o Gi a n i © 2 0 1 3 L i b r e r i a Mu s i c a l e I t a l i a n a s r l , v i a d i A r s i n a 2 9 6 / f , 5 5 1 0 0 L u c c a l i m@l i m. i t www . l i m. i t T u t t i i d i r i t t i s o n o r i s e r v a t i . Ne s s u n a p a r t e d i q u e s t a p u b b l i c a z i o n e p o t r à e s s e r e r i p r o d o t t a , a r c h i v i a t a i n s i s t e mi d i r i c e r c a e t r a s me s s a i n q u a l u n q u e f o r ma e l e t t r o n i c a , me c c a n i c a , f o t oc o p i a t a , r e g i s t r a t a o a l t r o s e n z a i l p e r me s s o d e l l ' e d i t o r e , d e l l ' a u t o r e e d e l c u r a t o r e .

Nelle più recenti indagini musicologiche la ricerca di prodromi delle architetture musicali rossiniane ha sconfinato, a ritroso, negli anni dell'estrema produzione di Paisiello e Cimarosa, individuando fra i titoli composti lungo il decennio 1790-1800 modelli morfologici ("solita forma", "grande scena") e atteggiamenti compositivi (eliminazione del recitativo secco, fluidità tra scena e "numero", orchestrazione in funzione espressiva) di presunta appartenenza ottocentesca. L'analisi stilistica concentrata sulle opere del decennio successivo si è però sbilanciata sul versante serio trascurando di fatto il repertorio comico che, in un momento di forte ibridazione tra generi, andava a costituire un magmatico contenitore di soluzioni melodrammaturgiche valide anche per le più paludate opere di soggetto classico.

Alla base del processo di mitizzazione di Pergolesi si collocano: la pole position di Serva padrona nella serie di Intermezzi che la compagnia di Eustachio Bambini rappresentò a Parigi durante l'estate 1752; gli scritti di Rousseau (cfr. Appendice I); la morte precoce del compositore. Dietro alla malevola e irriverente affermazione di Paisiello -«se Pergolesi avesse vissuto di più non sarebbe stimato quanto lo è al presente» 1 -c'è un fondo di verità; nel contesto di quel «grandioso artigianato collettivo» 2 che caratterizzò la realtà produttiva del melodramma settecentesco (incrinando di fatto il concetto stesso di stile), l'idealizzazione di Pergolesi -avviatasi a monte della Querelle des bouffons 3 e consolidatasi in Italia nel momento stesso in cui le sue opere, eccezion fatta per lo Stabat Mater, 4 cessarono di essere eseguite in pubblico -si lascia infatti leggere come un mito creato da letterati per letterati, frutto degli scritti di trattatisti orientati a delineare un'obsoleta poetica del 'buon melodramma' contrassegnata da topoi critici tanto generi-1. Cfr. EDOARDO PEDIO, Conversazioni con Paisiello: appunti di storia musicale, Napoli, Edizioni del Giornale d'Arte Melfi & Gioele, 1904 (tratte dalle carte, poi citate da Giacomo Leo nel 1905 e da Salvatore Di Giacomo nel 1915, di monsignor Agostino Gervasio, Osservazioni musicali intorno ai compositori napoletani ricavate dalle conversazioni del signor Paisiello). 2. L'espressione è di NINO PIRROTTA, Metastasio e i teatri romani, in ID., Scelte poetiche di musicisti. Teatro, poesia e musica da Willaert a Malipieroi, Venezia, Marsilio, 1987, p. 307.