Wednesday, 19 October 2011

Granada un sogno di città

Granada -Alhambra con Surinye
Alla vigilia del matrimonio di Andrea, mitico milanese trasferitosi a Osuna (interno andaluso) nel lontano 2003...mi rivivo la splendida atmosfera carica di storia dei viottoli di questo paesone affascinante. Culla del flamenco, dicono, e anche meta di pellegrinaggio di appassionati di cultura, arte e musica.

Marco, Fiorenzo, el novio y Umberto

La boda del año! Con Stefi e Andrea -Osuna-

Parte la collaborazione tra Italia dall'estero e Il Fatto Quotidiano

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/10/18/i-mangiaspaghetti-riprendono-la-via-dell%E2%80%99esilio/164622/

I mangiaspaghetti di nuovo sulla via dell’esilio

Qui a Italiadallestero.info ci premuriamo di tenervi aggiornati su cosa dicono di noi all’estero. Per la serie, anche la reputazione conta. Una volta terminata la lettura di questo articolo di Le Monde, grazie alla stampa estera – in questo caso, francese – avremo (re)imparato le seguenti cose su di noi, infallibile popolo italico:

- Nonostante tutto, siamo storicamente un popolo di spostati. Ricordiamocelo, la prossima volta che guardiamo con distacco un immigrato.

- A Roma, il 19 settembre, è stato presentato un documentario su di… noi, popolo di spostati e mangiaspaghetti. Storie e cifre interessanti, per farci ricordare chi siamo. Leggere la stampa estera ci porta quindi a (ri)pensare a chi siamo davvero. La stampa nostrana, invece, il documentario l’ha pressochè ignorato. Googlare per credere.

- Esistono delle statistiche sull’emigrazione. L’Aire, Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, si occupa di fornirci i dati su fenomeni come quello della cosiddetta ‘fuga di cervelli’. Tutti coloro che scappano sono tenuti ‘a dichiarare spontaneamente, ai sensi dell’articolo 6 della legge 470/1988, di voler risiedere all’estero per un periodo superiore ai dodici mesi.’

La realtà? Quasi nessun giuovincello italico si (re)iscrive ad alcuna anagrafe estera, né si premura di aggiornare i propri documenti. L’Italiano medio non è neanche a conoscenza di un simile dovere civico; e se lo è, spesso non se ne cura. Quando leggerete l’ennesimo report sul brain-drain italiano, ripensate a questo articolo: il buco nella nostra società è sempre più profondo di quanto sembri.

I mangiaspaghetti riprendono la via dell’esilio
Pubblicato il: 03.10.11
Autore: Philippe Ridet
Testata: Le Monde

La storia si ripete, ed è un brutto segno. Di fronte alla crisi economica e alla povertà, gli italiani del sud riprendono la via dell’emigrazione. 580 mila persone hanno lasciato il Mezzogiorno negli ultimi dieci anni. Napoli ha perso 108 mila abitanti, Palermo 29 mila, Bari 15 mila. Nel 2010, 134 mila terroni (come li chiamano i simpatizzanti della Lega Nord) si sono trasferiti al Nord e 13 mila sono emigrati per stabilirsi all’estero.

Queste le cifre allarmanti pubblicate martedì 27 settembre dallo Svimez, l’ente che monitora l’economia del mezzogiorno italiano dal 1946. “Se non si farà qualcosa, assisteremo a un vero e proprio tsunami demografico”, questa la conclusione del rapporto.

I giovani tra i 15 e i 34 anni rappresentano la fetta più grande di questo nuovo esodo. Se ci sarà un’inversione di tendenza, all’alba del 2050 il sud Italia sarà popolato solamente da 5 milioni di abitanti, contro i 7 di oggi. Gli ultra 75enni rappresenteranno allora il 18,4% della popolazione totale, contro l’odierno 8,3%. Le motivazioni sono evidenti. Al Sud, dove il tasso di disoccupazione giovanile tocca il 31,7%, le proiezioni di crescita nel 2011 non superano lo 0,1%, mentre per l’Italia dovrebbero essere dello 0,7%. Solo l’agricoltura offre ancora qualche attività. L’industria, molto semplicemente, corre il rischio di estinguersi.

Secondo lo Svimez occorrerebbe investire 60 miliardi di euro per permettere al Sud di recuperare il ritardo. Se lo Stato, il cui debito pubblico è pari al 120% del Pil, ha pochi mezzi e ancor meno volontà politica, l’Unione Europea ne possiede di più. Per il periodo 2007-2013 sono stati stanziati 35 miliardi di euro per l’Italia, in favore di aiuti alle regioni svantaggiate. Ma solo il 33% di tali fondi è stato utilizzato.

Non avevamo in mente tutte queste cifre quando, lunedì 19 settembre, a Roma abbiamo assistito alla prima di Ritals [mangiaspaghetti, termine dispregiativo col quale i francesi soprannominano gli italiani, N.d.T.], il documentario di Sophie e Anna-Lisa Chiarello, la cui diffusione sarà contesa dalle emittenti televisive dei due paesi transalpini. Le due sorelle Chiarello non sono andate lontano per parlarci di emigrazione. Tra i 30 milioni di italiani che hanno abbandonato il proprio paese negli ultimi 150 anni, hanno scelto di occuparsi anzitutto della propria famiglia: padre, madre, zii e zie che, tra la fine degli anni ’50 e ’60, hanno lasciato Corsano per trasferirsi a Enghien (Val-d’Oise).

Ma al di là di una semplice cronaca privata, piena di pezzi di filmini in super 8, Ritals racconta anche lo strazio dell’esilio. Vincenzo e Maria, i due protagonisti di questo tenero ed ispirato documentario, di fronte alla telecamera delle loro figlie, ricordano i loro anni di vacche magre (muratore lui, sarta lei) in un paese, la Francia, non del tutto ostile, ma nemmeno assolutamente accogliente nei confronti degli “mangiaspaghetti”. Qui, più che le statistiche dello Svimez, sono i dettagli che illustrano meglio il dolore mai cancellato dello sradicamento: il senso d’inquietudine di fronte agli alberi fitti fitti dell’Île de France per Maria, che conosceva solo i radi pini e gli olivi del Salento; la difficoltà, quasi insormontabile per un italiano, nel leggere la parola beaucoup, quando in Italia basterebbero quattro lettere per scriverla [bocù, N.d.T.].

Venticinque anni dopo, i Chiarello rifaranno il viaggio al contrario per ritornare a Corsano, dopo aver fatto fortuna (ma non del tutto). Dei 30 milioni di italiani emigrati, 10 milioni ritorneranno a casa. Dopo centinaia di domeniche trascorse a tavola a ricordare il paese natale, sono ritornati in Puglia. Troppo italiani per sentirsi francesi, si ritrovano ad essere troppo francesi per vivere di nuovo come degli italiani. Biculturali per sempre, fuori luogo, in ogni senso, i Chiarello ormai vivono “in due mondi”, mescolando le due lingue e intensificando i viaggi di andata e ritorno. Al contempo personale e universale, politico e sentimentale, Ritals ci svela ciò che i numeri non dicono. Partire è una sofferenza, ritornare anche.

Ritrovare delle tracce, fornire materiale alle statistiche, questo è anche lo scopo del Cisei, il Centro Internazionale Studi Emigrazione Italiana a Genova, luogo da cui sono emigrati una dozzina di milioni di italiani diretti in Brasile, Argentina e Stati Uniti. Dalla sua nascita, il Cisei ha già raccolto 3 milioni di “schede segnaletiche” di emigranti. Raccolte in una banca dati, sono consultabili in Internet dagli “Italiani in capo al mondo” e dai loro eredi, che sono invitati a completarle. Lettere, passaporti, fotografie: il Cisei accetta tutte le testimonianze per “conservare la memoria di questo esodo”, spiega il presidente Fabio Capoccia. Il 19 novembre sarà inaugurata una sala dedicata al mare e alla navigazione genovese, una sorta di museo al contrario di Ellis Island.

Stranamente, nonostante l’emigrazione di massa sia uno dei pilasatri dell’identità italiana, non esiste nessun museo nazionale, nessuna fondazione che si occupi del problema. Rifiuto? Pudore? Certamente un po’ di entrambi. Sentimenti mescolati, ben testimoniati dalle parole de Le rital, una canzone che Claude Barzotti [cantante franco-belga di origine italiana, N.d.T.] scrisse nel 1983, per niente banale come si credeva: “Sono e sarò un rital per sempre / Nelle parole e nei gesti / Ho fatto mie le vostre stagioni / La mia musica è italiana / Sono un rital quando mi arrabbio / Quando sono felice e quando prego / Ho i ricordi della mia gente / Sono e sarò un rital per sempre”.

Postilla: Di recente, la mia coinquilina milanese, con cui ho condiviso un’amorevole bettola di East London, è tornata a casa. No, non a Milano. E’ scesa ancora più giù, destinazione Palermo. E’ scesa a cercare lavoro, con la ferma intenzione di trovarlo. A pensarci bene, le scommesse che pagano di più sono sempre quelle con il quoziente più alto.