Quello della sonorizzazione di film muti è un esercizio stilistico che in tempi recenti ha ritrovato fortuna in tutti gli ambiti musicali, dal jazz alla modern classical, sino alle sperimentazioni elettroniche più audaci – in definitiva le più interessanti. In virtù della potenza e del fascino intrinseci dell'immagine impressa su pellicola, il connubio tra cinema d'annata e musica moderna può anche basarsi su pochissimi elementi e su partiture (scritte o mentali) semplicissime. Un legame spontaneo ma anche fragile, che se scorporato può perdere tutto il suo interesse – specialmente dal lato musicale.
Ed è tristemente il caso dell'ultimo, insolito exploit dell'esimio James Blackshaw. Lo scorso anno, infatti, ricorreva il centenario della serie “Fantômas” del regista francese Louis Feuillade, e l'incaricato per la curatela delle celebrazioni era il celebre compositore Yann Tiersen, che per l'occasione invitò il chitarrista inglese a musicare l'ultimo capitolo della serie, “Le Faux Magistrat” (1914) – tra i musicisti coinvolti nelle sonorizzazioni dei restanti capitoli nientemeno che Tim Hecker, Amiina e Loney Dear.
Con questo disco torniamo dunque alla sera del 31 ottobre 2013, quando lo score di Blackshaw viene eseguito per la prima volta al Théâtre du Châtelet di Parigi, con un gruppo composto dai polistrumentisti Charlotte Glasson e Duane Pitre assieme a Simon Scott, batterista degli Slowdive. Ma sin dalle primissime sezioni emergono evidenti lacune in fase di scrittura: non si esagererebbe, anzi, a definirlo un intervento col pilota automatico, messo insieme nel giro di poco, laddove un lavoro serio di sincronizzazione con la pellicola già richiede tempi comprensibilmente dilatati – per non parlare dell'ispirazione che la materia filmica può indurre in seguito a un'analisi accurata delle sue dinamiche.
Non si intende mettere in discussione la credibilità di Blackshaw, fenomeno inimitabile del fingerpicking moderno – nel quale ha dimostrato di profondersi ancora con grande perizia – che negli ultimi anni ha voluto ampliare i propri orizzonti e cercare una propria versatilità sia come singolo strumentista (qui rimette mano al pianoforte come già in “Love Is The Plan, The Plan Is Death”) sia nel dirigere piccoli ensemble (il tentativo poco convincente di “All Is Falling”).
Resta comunque inequivocabile il segnale di una momentanea battuta d'arresto: quella composta per “Le Faux Magistrat” è una musica d'ambiente poco colorita, che nella riproposizione dei temi principali – con qualche prestito da Philip Glass per le parti di piano – raggiunge una ridondanza quasi insostenibile. Un'inedita indolenza sembra investire persino gli arpeggi della fidata chitarra acustica, e di riflesso estendersi a tutto il gruppo: violino, sassofono e flauto si avvicendano senza alcuna scossa emotiva con fraseggi di una piattezza a tratti disarmante, ai livelli di una band poco più che amatoriale.
Tutti elementi poco incoraggianti che, quand'anche avessero funzionato in sede di proiezione, una volta presentati in veste di album perdono qualsiasi potenzialità immaginifica. Ma come detto, anziché inficiare la giusta fama di Blackshaw, “Le Faux Magistrat” sminuisce indirettamente il lavoro di molti altri volenterosi musicisti meno in vista, che con le loro accurate sonorizzazioni hanno arricchito il panorama creativo di questi anni. Più che un'occasione sprecata – poiché il giudizio completo implica una visione d'insieme che l'album non fornisce – si potrebbe dire una scommessa azzardata, e ancor prima poco ragionata, che non trova alcun motivo di esistere su supporto discografico.
16/07/2014