"Leaving New York never easy", si sente cantare Michael Stipe alla radio in questi giorni.
Non deve essere stato facile neppure per Joseph Arthur lasciarsi alle spalle le luci della Grande Mela e le certezze di un contratto discografico con la Real World di Peter Gabriel, per seguire quella scintilla di insoddisfazione che conduce a non accontentarsi mai di una risposta parziale alle proprie aspirazioni… Raccolta la propria fedele chitarra e poco altro, il songwriter di Akron ha deciso di svincolarsi dalla casa discografica che l'aveva accompagnato sin dagli esordi e ha abbandonato il suo appartamento di Brooklyn per avventurarsi verso l'aria densa di decadente mistero di New Orleans, affidandosi di volta in volta all'aiuto degli amici disposti a ospitarlo.
Quando ha fatto ritorno a New York per rifinire i dodici brani destinati a dare vita al proprio quarto album, Joseph Arthur aveva tra le mani qualcosa di molto diverso da quello che si è abituati ad attendersi dallo stereotipo del "cantautore americano dell'ultima generazione": niente atmosfere lo-fi, niente pose da folksinger senza tempo, niente strizzate d'occhio all'intimismo neoacustico, ma piuttosto un rock carico di fascinazioni new wave e assitito da una produzione dalla levigatezza sin troppo curata.
La ricerca del suono è del resto sempre stata al cuore della musica di Joseph Arthur, sin dai tempi del disco di debutto "Big City Secrets", nel 1997. Se nel suo capolavoro "Come To Where I'm From" e nel quasi coevo Ep "Vacancy", Joseph Arthur aveva reso omaggio alle proprie radici più classicamente folk, il successivo "Redemption's Son" sembrava voler esplorare i confini di una personale e variegata idea di pop (finendo persino nella colonna sonora di "American Pie - Il matrimonio"…).
Il nuovo "Our Shadows Will Remain", costruito intorno a un nucleo di brani cresciuti sul palco durante l'ultimo tour, si presenta come un ambizioso concentrato del percorso musicale dell'artista americano, fotografato in uno dei suoi momenti di massima libertà espressiva, anche se non sempre immune dal rischio di una certa discontinuità.
Un suono corposo come non mai si erge così a riempire gli spazi del disco, con il sostegno di una batteria plastica e flessuosa, lasciando che le chitarre si dividano il campo con archi, pianoforte, tastiere ed elettronica, pur senza mai dimenticare il senso melodico maturato in "Redemption's Son". La giocosità radiofonica di brani come "You're So True", scritta per la colonna sonora di "Shrek 2", sembra però lontana: la pulizia degli arrangiamenti ricorda piuttosto la recente collaborazione con i Faultine, insieme ai quali Joseph Arthur ha realizzato una dilatata cover di "Wild Horses" dei Rolling Stones.
Dopo la breve e rarefatta elegia di "In Ohio", desolata come un lamento di Damien Jurado, è la fisicità dell'impatto rock il primo elemento a emergere all'ascolto, con il muro chitarristico del chorus del singolo "Can't Exist" (memore della ruvidezza garage dell'album pubblicato nel 2002 a nome Holding The Void), corroborato dalla cupa energia di "Stumble And Pain" e "I Am".
Ma più che l'afflato rock è la suggestione per le sonorità eighties la caratteristica che accomuna le scelte musicali di "Our Shadows Will Remain", dalle tastiere soffuse di "Devil's Broom" al synth-pop autunnale e un po' stucchevole di "Wasted", sino al ritmo brioso di "Puppets", che sembra rubato ai Cure più frivoli.
Non c'è da stupirsi, allora, che nelle proprie ultime esibizioni Joseph Arthur abbia interpretato il capolavoro degli Smiths "There Is A Light That Never Goes Out", né tantomeno che la fosca e splendida "Leave Us Alone", posta significativamente in chiusura dell'album, sia stata presentata più volte in concerto come un brano ispirato alla tragica memoria del leader dei Joy Division, Ian Curtis: "Like a ghost without an atmosphere/ his voice sang without a song".
Ad accrescere la ricchezza della veste musicale di "Our Shadows Will Remain" contribuisce poi la presenza in quattro brani dell'Orchestra Filarmonica di Praga, che conferisce una maestosa drammaticità a "Stumble And Pain" e dona a "Echo Park" la leggiadria delle partiture di archi scritte per Nick Drake da Joe Boyd, prendendo vie di spensieratezza pop tra i risvolti incalzanti di "Even Tho".
La voce baritonale di Joseph Arthur, poi, riesce a convincere sia quando avvolge i brani con un vibrante calore degna di Eddie Vedder, sia quando si colora di un falsetto dalle tinte black, come in "Even Tho".
Il fatto è che la musica di Joseph Arthur non ha bisogno di orpelli troppo luccicanti per riuscire a brillare: basta sentire la resa dal vivo dei nuovi brani, affidati solo a voce e chitarra (oltre che ai loop e ai sample di cui sempre il songwriter americano si avvale sul palco) per capire immediatamente come le canzoni di "Our Shadows Will Remain" rifulgano davvero di luce propria, rischiando a volte di essere appesantite nel disco da un eccesso di produzione.
Le tetre radiografie di dolore delle figure disegnate da Joseph, che anche in questa occasione costituiscono l'artwork dell'album, dipingono un senso di precarietà e di caducità dell'esistenza, che permea l'atmosfera del disco. Il brusco risveglio descritto in "Devil's Broom" è quello di un uomo di fronte alla propria ontologica fragilità, il viso contro il marciapiede e tutto quello che possiede in un sacco dell'immondizia: "I just pray that the Lord gonna come down and take me/ Sweep me off the floor with the devil's broom".
Eppure, allo stesso modo in cui, tra i toni plumbei della copertina del disco, si apre un inatteso squarcio di cielo, c'è qualcosa nell'uomo che, anche se apparentemente fuggevole come un'ombra, è destinato a durare in eterno. "Our shadows will remain even after we are gone", canta Joseph in "Even Tho": nella ricerca di quell'ombra che non può essere cancellata sta il senso di tutto l'album.
Per scoprire quello che siamo realmente, ammonisce "I Am", occorre svegliarsi da una lunga notte e ripetersi "Io sono". La traiettoria di questa autocoscienza passa attraverso la liberazione dai fili che manovrano la nostra vita come i burattini di "Puppets", fino ad arrivare a scoprire che la vera consistenza dell'io si può trovare soltanto in qualcosa al di fuori di sé: "Well, I can't exist/ When you disappear". E' l'esperienza amorosa, in fondo, a insegnare che è possibile dire fino in fondo "io" soltanto quando si dice "tu": "Since you've gone ain't nobody else gonna save me (…) Where are you?/ What did I do?/ Why can't you see?/ You mean everything to me" ("Devil's broom").
E in effetti è lo stesso Joseph Arthur a raccontare che è stato affidandosi a una serie di incontri imprevisti che "Our Shadows Will Remain" ha potuto vedere la luce: da Mike Napolitano, che ha lavorato alla produzione del disco, al batterista Greg Whiz, che ha ospitato Joseph nel proprio appartamento, da Andrew Sherman, che ha contattato l'Orchestra Filarmonica di Praga e scritto gli arrangiamenti d'archi, alla cantante neozelandese Julia Darling...
Proprio nella collaborazione nata quasi per caso con quest'ultima il disco trova il suo momento più abbagliante, "A Smile That Explodes", che trafigge con la sua scarna perfezione: le tastiere aleggiano come l'eco di un lontano oceano e mentre un arpeggio si libra a mezz'aria il piano sfiora appena la riva, lasciando la voce di Joseph Arthur sperduta in un'apatia quasi radioheadiana, fino a quando non si intreccia con il delicato controcanto di Julia Darling.
Non è invece ricompresa nell'album l'apocalittica "All Of Our Hands", bonus track offerta in download gratuito sul sito ufficiale del songwriter. Eppure si tratta di un tassello essenziale per comprendere lo spirito dell'album, con la sua amara riflessione sui nostri aridi tempi di guerra: quando tutti sembrano pronti a gridare senza esitazione che il male è da cercare altrove (nell'America di Bush o nel terrorismo islamico, a seconda degli schieramenti), per Joseph Arthur il male è dentro ciascuno di noi, è il frutto delle nostre mani insanguinate: "Blood is on all of our hands (…) the murders we commit/ are committed in our home".
L'unica nota davvero stonata, alla fine, è che non sia per il momento prevista una distribuzione europea dell'album. Ma in fondo, nell'"era dell'accesso", non si tratta di un ostacolo troppo difficile da superare per procurarsi l'opera di uno degli autori più sinceri degli ultimi anni…
15/11/2006