Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana XXIV
ISBN 978-88-6254-2xx-x
pp. yyy-yyy (Xxxxx 2022)
LUCIA DI CINTIO
Università di Salerno
DAL PROSIMETRO ALLA CONSUETUDINE.
SULL’USO DELLE CATEGORIE ESEMPLARI
NELLA INTERPRETATIO VISIGOTHORUM*
1.
La costruzione del testo giuridico: un esempio
La costruzione del testo giuridico si atteggia a un fenomeno complesso che attiene a più discipline, oltre che alla storia, al diritto, anche
alla filologia; si tratta di cercare di cogliere come forma e contenuto
di una norma possano intersecarsi e mutare in un dato contesto, nel
tempo.
Nella presente indagine si ipotizza che si possa ravvisare un mutamento significativo nella redazione delle Interpretationes visigote al
Codex Theodosianus, di cui caso noto, ed allo stesso tempo problematico, è quello riguardante la calunnia. Mutando e moltiplicando il suo
significato, la calunnia è stata oggetto di interesse sin dal secolo scorso1.
Gli studiosi, così, hanno ricostruito un iter anche storico, attraverso una rassegna di fonti contenenti la calunnia nei suoi vari sensi2, at-
*
Il seguente saggio è stato pubblicato, in via di anticipazione e previo
referaggio, in Iura and Legal System, 9, 2022, 16 ss.
1
F. WIEACKER, Lateinische Kommentare zum “Codex Theodosianus”:
Untersuchungen zum Aufbau und Überlieferungswert der Interpretationen zum
“Codex Theodosianus”, in Symbolae Friburgenses O. Lenel, Leipzig 1935, 473 ss.
2
In tal senso cfr. G. MASUCCI, Della Calunnia, in Enciclopedia giuridica italiana,
3, Milano 1890, 192 ss., che compie nell’ambito della relativa voce enciclopedica,
una rassegna di fonti precisa, ripresa e ampliata da G. BONOLIS, Sul significato di
“calumnia” nei testi medievali e particolarmente in alcuni documenti veneziani
e pugliesi, in Archivio Storico Italiano, V, 48, 1911, 284 ss. Questo autore, però,
collega i vari sensi di calumnia a una costituzione di Gordiano, C. 9.16.2, ad legem
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tribuendo, però, tanta varietà a quel processo di volgarizzazione che
avrebbe investito il diritto romano e che troverebbe proprio nelle leggi
romano-barbariche il suo inizio3.
A mio avviso, tale modificazione può essere letta in modo diverso,
quale segno di un’ampia evoluzione che investe le categorie di pensiero,
prima che giuridiche, e che affonda le radici nei testi del Codex Theodosianus, rispetto cui sovente l’Interpretatio si distacca, in un modo che
è più vicino al diritto romano precedente.
Questo mutamento di prospettiva trova la sua concretizzazione tra
il V e il VI secolo nella Interpretatio visigota, e proprio quella relativa a
CTh. 9.39, che tratta di calunnia, può darne conto.
Segnatamente si tratta di Interpretatio Visigothorum a
Brev. 9.29.1: Calumniatores sunt, quicumque causas ad se non
pertinentes sine mandato alterius proposuerunt. Calumniatores
sunt, quicumque iusto iudicio victi causam iterare tentaverint.
Calumniatores sunt, quicumque quod ad illos non pertinet, petunt aut in iudicio proponunt. Calumniatores sunt, qui sub nomine fisci facultates appetunt alienas et innocentes quietos esse
non permittunt. Calumniatores etiam sunt, qui falsa deferentes
contra cuiuscumque innocentis personam principum animos ad
iracundiam commovere praesumunt. qui omnes infames effecti
in exsilium detrudentur. hic de iure addendum, qui calumniatores esse possunt.
Ho avuto già modo di occuparmi di questa Interpretatio, con la relativa costituzione4; pertanto, mi permetto di rinviare agli scritti in esa-
Cornéliam de sicariis (Gord.): Is, qui adgressorem vel quemcunque alium in dubio
vitae discrimine constitutus occiderit, nullam ob id factum calumniam metuere debet
(a. 243), in cui sarebbero racchiusi i prodromi per un allargamento di significato
dovuto, come detto, a quell’ampio fenomeno detto di volgarizzazione del diritto.
3
G. BONOLIS, Sul significato cit., 311: «Senza dubbio la derivazione del
significato della parola calunnia comincia … nel linguaggio volgare … ma non è forse
azzardato il congetturare che la maggiore e più rapida diffusione del significato più
diverso … si verificasse (se non cominciò addirittura) nei territori gallo romani».
4
La costituzione di riferimento è CTh. 9.39.3 (= Brev. 9.29.3): Innocentes
sub specie falsae criminationis non patimur callidorum impugnatione subverti: qui
si tentaverint, intelligant, sibimet severitatem legum pro commissis facinoribus
incumbere.
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me per i dettagli5, ricordando solo gli elementi funzionali alla presente
indagine, che riguardano innanzi tutto l’esposizione. Infatti, si deve
ricordare il dato, seppur di tutta evidenza, per cui la struttura della Interpretatio, contenente definizioni, è completamente diversa rispetto al
testo ufficiale.
Si deve a Wieacker l’individuazione delle varie corrispondenze tra
singole definizioni del commento e leggi ufficiali all’interno del Codex
Theodosianus6. Di queste, alcune si trovano nel medesimo titolo7.
Nel commento sono individuate condotte che prevedono la promozione in modo infondato di cause giudiziarie, per varie ragioni: perché i
soggetti che le attivano sono privi di incarico; oppure si tratta di azioni
violative del ‘ne bis in idem’ in processi in cui si sia perso, o in quanto
basate su accuse false.
Dal punto di vista della tecnica espositiva, si nota immediatamente
che l’Interpretatio è composta da una serie di definitiones con la costante ripetizione della proposizione soggettiva, ossia calumniatores sunt.
Tale ripetizione lascia credere al frutto di una giurisprudenza involuta,
rozza che avrebbe operato anche frettolosamente8.
Tuttavia, il commento a me sembra il risultato di un pensiero ragionato ed esposto secondo l’uso di una tecnica precisa. Innanzi tutto, la
consapevolezza del tipo di scritto, che gli stessi compilatori avevano approntato, pare comprovata alla fine della trascrizione dei testi, ove sono
aggiunte rispettivamente a CTh. 9.39.1, ‘Ista lex sub eodem titulo similem Interpretationem habet’; a CTh. 9.39.2, ‘Haec lex Interpretatione
5
Per la bibliografia cfr. L. DI CINTIO, L’”Interpretatio Visigothorum” al
“Codex Theodosianus”. Il libro IX, Milano 2013, 182 ss.
6
F. WIEACKER, Lateinische Kommentare cit., 431 ss.
7
Nel commento si trova un serie di definizioni, presenti in sequenza nell’intero
titolo CTh. 9.39, De calumniatoribus: CTh. 9.39.1: Non est ratio, qua manifesti
calumniatoris supplicium differatur. Nec enim patimur frequenter iterari, quae
consistere prima actione non quiverint, atque alienam innocentiam securitatemque
sine crimine, damnabili appetitione terreri, su cui cfr. nt. precedente.
Ista lex sub eodem titulo similem Interpretationem habet (a. 383); CTh. 9.39.2 (=
Brev. 9.29.2): Nostris et parentum nostrorum constitutionibus comprehensum est,
eos, qui accusationem alienis nominibus praesumpsissent, delatorum numero esse
ducendos. Atque ideo calumniosissimum caput et personam iudicio irritae delationis
infamem deportatio sequatur, quo posthac singuli universique cognoscant, non
licere in eo principum animos commovere, quod non possit ostendi. Haec lex
Interpretatione non indiget.
8
L. DI CINTIO, L’“Interpretatio” cit., 191 nt. 411 ss.
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non indiget’ e a Interpr. Visig. ad CTh. 9.39.3, ‘hic de iure addendum’,
qui calumniatores esse possunt. In tali incisi è espressa tutta la consapevolezza del tenore delle leggi ufficiali e della non esaustività delle definizioni, nonché della presenza all’interno del ‘ius’ di altre concezioni,
postulando anche una conoscenza degli stessi commissari non limitata
a quanto commentato. Dunque, anche ove si ipotizzasse la presenza di
sottocommissioni atte al componimento del Breviario, le aggiunte, che
postulano un uso di dati incrociati, lasciano credere che tali sottocommissioni non avrebbero agito in modo settoriale ed isolato.
Anche la chiusa di CTh. 9.39.1 e CTh. 9.39.2 esprime la razionalità
del lavoro, considerato nel suo complesso, alla stregua di un sistema organico per cui le interpretazioni corrisponderebbero a un fine concreto,
inserite ove necessario, ‘indiget’.
Non solo la razionalità, ma anche l’ampio retroterra culturale dell’operato dei prudentes visigoti, mi sembra attestato, pur in un modo sottile, guardando meglio a Interpr. Visig. ad CTh. 9.39.3.
Infatti, si può notare che si tratta di una sintesi operata sulla scorta
di definitiones, che non attengono a categorie oggettive, ma a classi di
soggetti, ossia i calumniatores; ciò si presta a due diversi ordini di riflessioni, rispettivamente uno riguardante l’andamento metrico del brano,
l’altro, la logica ad esso sottesa.
Occorre allora riflettere sia sulla ripetizione in sé, sia sul fatto che essa
verta su soggetti, anziché su categorie astratte, in questo caso la calunnia.
Come sappiamo, la tecnica della definitio proveniva dalla scientia
iuris classica, trovando uno sviluppo ampio presso quella severiana9; si
tratta di una struttura logica di tipo aristotelico10, che è adottata anche
in Interpr. Visig. ad CTh. 9.39.3, ma su di essa si innesta anche una tecnica retorica.
La ripetizione della proposizione soggettiva configura un’enumerazione anticipativa del soggetto, a mio avviso, al fine di enfatizzarlo, ma
9
Sui calumniatores cfr. D. 50.16.233 pr. (Gai. 1 ad l. XII Tab.): “Si calvitur”:
et moretur et frustretur. Inde et calumniatores appellati sunt, quia per fraudem et
frustrationem alios vexarent litibus: inde et cavillatio dicta est. Nel testo è presente
una definitio, ma non credo si possa ipotizzare che i Visigoti abbiano attinto da essa;
infatti, presenta una struttura espositiva diversa rispetto a quella della Interpretatio;
occorre, peraltro, considerare la possibilità che la chiusa sia giustinianea, dunque
posteriore al Breviario.
10
Su tale tipo di aggiunta cfr. L. DI CINTIO, Ordine e Ordinamento. Idee e
categorie giuridiche nell’Antichità, Milano 2019, passim.
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anche di renderlo facilmente memorizzabile; la lunga interpretazione,
così, appare un risultato di una commistione tra metrica e prosa che
ricorda il prosimetro11.
La tecnica del prosimetro risulta adottata da Boezio nel De Consolatione Philosphiae, che, secondo la letteratura, sarebbe stata ripresa
solo a partire dal XII secolo12. A dispetto di tale opinione, i Visigoti
sembrano utilizzare l’esposizione logica della definitio (che sarebbe stata ben presente nel posteriore Digesto) accompagnata da una struttura
retorica, un modus operandi che proveniva da lontano, come si vedrà
nelle righe seguenti.
2.
Promissio dotis
Nella Formula Visigothica 20, si trova un promissio dotis in esametri
che formano un prosimetro13:
Gl.: Dotis formula exametris conscripta. Insigni merito et Geticae 60 de stirpe senatus Ilius sponsae nimis dilectae, ille Praemia
nubentum ratio praescribere cartis Provocat et magnis laudem
praeferre puellis, Optima quantum certe sinit doctrina pudoris,
Aut amor exigit et placidus in corde reponit. Est datus antiqui
facilis hic corde parentis, Temporibus quem cuneti haberent pro
lege futuris, Cum dudum caelsi dominus et rector Olimpi Forma[s]set immensa hominem pietate priorem. Protinus auxilium
latere de sacro virili Dextera faeminium telluris fecit in orbem
Maxima crescendo transcurrit pectoris etas; Dilubio, labaret quo
cunctum crimina mundum, Noë salbare voluit cum prole beatum, Qui potuit reparare genus ex coniuge priscum. Innumera
crevit hominum post inde caterba, Oppida qui inhabitant, vicos
et moenia cuncta. Abraham quippe Deum cupiens cum Sarra su-
11
L. DI CINTIO, L’“Interpretatio” cit., 192 nt. 496, ove ricordo che il
prosimetro era adottato da Boezio in De Consolatione Philosophiae e la metrica era
una costante anche negli atti di diritto sostanziale, come quello in Form. Visig. 20.
12
E. D’ANGELO, Letteratura latina medievale: una storia per generi, Roma
2009, 109, in cui è ben spiegato l’uso del prosimetro a partire dal XII secolo,
partendo dal modello di Boezio. Si tratta di poemi allegorici a contenuto didascalico
con cui trasmettere un sapere teologico-filosofico di tipo platonico e neoplatonico
13
Su cui cfr. L. DI CINTIO, L’“Interpretatio” cit., 192 nt. 496.
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pernum Cernere promeruit seque offerendo ministrum. Cuius
Isaac dispensandi de semine voto Exortus geminam genuitque
ex coniuge plebem. Iacob bis septenos famulabit in annos, Ut
Rachel acciperet pulcherrime corpora pacte. Idem semper summus venerandus honore Gentibus indixit gratae conubia cunctis. Praeteritis muniti patribus vestigia nostris Insequimur laeti
thalamos et foedera usa. Quaerimus aethereis cerbices subdere
iussis, Dispares ut sexus membra efficiamur in unum; Eximior
cum sit de toto gratia munus Et magnos non aurumanimos sed
vota decorent, Praecedant nostris titulis et praemia portent, Qua
superant omne pretiosum dona metallum. Pascimur ecce tui tantum dulcedine amoris, Ut, si immensa tuae contradam munera
formae, Nihil nobis melius quam nostri gratia vultus. Nullis
enim quisque rebus efficitur exul Vel aliquod dando reponet
in coniuge pauper, Si coniux proprium diligat servare maritum.
Unde praecare meis studui per carmina verbis Ut, quia nostrorum placuit haec causa parenti, Laeta peto teneas in votis pectora nostris, Quod tua dulcedo possit, quod grata voluntas, Quod
amor egregius, quod nostra meretur Optima namque tibi dona
sum offerre paratus, Et dare quod retinet praesentis forma libelli. Ecce decem inprimis pueros totidemque puellas Tradimus,
atque decem vivorum corpora equorum; Pari mulus numero damus inter caetera et arma, Ordinis ut Getici est et morgingeba
vetusti. Rusticos impendam famulos per nostra manentes Rura
tibi, taerris, vineis et praedia, olivis, Omnibus in rebus, silvis ac
pascua, limphis, Immobiles res seu mobiles, tam omne pecusque,
Argentum, aes, byssum, vas fictile et aurum; Quicquid intra vel
extra nunc corpore cuncto Nos in iure titulis ex multis habere,
Amplius Christi dederit quod gratia nobis Ordine diverso per
nostrae tempora vitae, Te dominam in mediis cunctisque per
omnia rebus Constituo donoque tibi vel confero, virgo. Singula
quippe supra vultu conscripta iucundo Adprehaendas, habeas,
teneas, post multa relinquas Secula posteris in iure, charissima,
nostris, Aut inde facere vestram quodcumque voluntas Elegerit,
directa tibi est vel certa potestas Eternum tamen ut habeat hac
carta vigorem, Ecce sacramentummalui conectere magnum, Siderea praecelsa Dei virtute tonantis, Principis ac domini Sisebuti
gloria nostri, Meque meum nunquam hunc penitus disrumpere
pactum Nec nostris aditum manebit haeredibus ullum. De hinc
qui possit minimam contigere partem, Nisus aut exteterit nosISBN 978-88-6254-2xx-x
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tram convellere dona, Bis auri mille vestrae nunc ista parti Inferat, et huius valeat conscriptio cartae, Cui omne scripturae malum
de mente dolorem Expolietantis quas texui probare mores Omnia promitens spondi involuta manere; Unde meam subter libens
nomenque notavi, Et testes speravi alios subscribere dignos Post
certe Aquiliam memini contexere legem, Qui cunctos rerum
iugiter corroborat actos. Carta manet mensis illius conscripta
calendis, Ter nostri voluto domini foeliciter anno Gloriosi merito Sisebuti tempore regis. Ecce manu propria tribui qua dona illi
Subscripsi, ut longa maneat ac firma per aevo.
La formula ha contenuto giuridico, ma dal punto di vista dell’esposizione configura anche un canto memorizzabile, in cui sono commistionati diritti germanici e vicende, tematiche, provenienti dalle Scritture
Sacre, …Dilubio, labaret quo cunctum crimina mundum, Noe salbare
voluit cum prole beatum…, in particolare appare centrale il racconto
del diluvio universale, e di ciò che ne è seguito, posto a fondamento della promissio. A mio avviso, in questo peculiare prosimetro può trovare
anche conferma come il diritto, in un’epoca che si colloca tra il Tardo
Antico e il Medio Evo, fosse elaborato in ambienti non solo giuridici,
ma ecclesiastici ove si tentava di inserire la norma mosaica nel diritto
allora attuale, assimilandone anche la tecnica espositiva14.
3.
Utilitas, obscuritas legum
L’uso della retorica appartiene alla legislazione imperiale in cui però
essa risulta funzionale a corroborare la figura dell’imperatore, ed anche
le norme dallo stesso promananti, ammantate da un alone di maiestatica
divinità. Rispetto ad essa la letteratura, in generale, ravvisa nella retorica
delle leggi romano-barbariche un’idea di continuità con la legislazione
14
Sul punto rinvio a L. DI CINTIO, “Lex Dei” e leggi romano-barbariche, in
F. LUCREZI, L’adulterio in diritto ebraico e romano. Studi sulla Collatio IX, Torino
2020, 113 ss., ove è stata ipotizzata che la Collatio Mosaicarum et Romanarum
legum costituisse uno schema funzionale proprio all’uso normativo delle leggi
romane che avrebbero trovato una legittimazione secolare in quanto coincidenti e
precedenti il diritto romano. In tal senso, la formula visigotica mi sembra proprio
porsi in questa direzione, quale uno dei tanti esempi di commistione tra diritto
romano e tradizione veterotestamentaria.
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imperiale15. A mio avviso, però, dai testi della legislazione visigota si
evince un’esigenza di rendere la legge conoscibile e ‘utile’ a tutti, non
solo a una sparuta classe dirigente; la norma non è considerata come
uno strumento di oppressione, bensì di organizzazione.
I caratteri essenziali della lex, peraltro, sono chiaramente sanciti nella Lex Romana Visigothorum; in particolare nel Commonitorium ne
risulta chiara la funzione: “Utilitates populi nostri …”, la legge è emanata per l’utilitas del popolo visigoto. Affinché la stessa sia utile, occorre
che sia chiara e comprensibile a tutti. Inoltre: …Et antiqui iuris obscuritate… in lucem intelligentiae melioris deducta resplendeat, et nihil
habeantur ambiguum, unde se, ...impugnet obiectio.
La legge deve essere utile, comprensibile, dunque esposta in modo
chiaro. Si tratta di una innovazione a livello normativo, che non si atteggia a mera petizione di principio come, invece, sembra essere un’affermazione precedente che trova la sua fonte in:
C. 1.14.9 Impp. Valentinianus, Marcianus: Leges sacratissimae,
quae constringunt omnium vitas, intellegi ab omnibus debent, ut
universi praescripto earum manifestius cognito vel inhibita declinent vel permissa sectentur. Si quid vero in isdem legibus latum
fortassis obscurius fuerit, oportet id imperatoria Interpretatione patefieri duritiamque legum nostrae humanitati incongruam
emendari. Valentin. et Marcian. AA. ad Palladium (a. 454).
La disposizione, posteriore al Codex Theodosianus, presente nel
Codex Iustinianus in C.1.14.9 e nelle Exceptiones Petri, è tendenzialmente valutata come affermazione di un principio verticistico, per cui
l’imperatore è l’unico creatore e interprete della legge. La Novella, letta
a tal guisa, è ritenuta prova di un arretramento del diritto in funzione
del potere centrale. Tale lettura guarda al ius degli antichi prudentes, e si
focalizza sulla titolarità della facoltà di interpretare il medesimo, ossia
l’imperatore che l’attrae su di sé16.
15
Così M. CARINI, Le leggi romano-barbariche tra retorica e politica, in
Rivista Di Cultura Classica e Medioevale, 47, 2005, 97 ss.
16
G.G. ARCHI, Interpretatio iuris-Interpretatio legis-Interpretatio legum, in
Studi G. Santoro Passarelli, 6, Napoli 1972, 48 ss., e più di recente P. GARBARINO,
Aspetti e problemi dell’interpretazione del diritto dopo l’emanazione del codice
Teodosiano (osservazioni su Nov. Theod. 9 e Nov. Marc. 4), in Nozione formazione
e interpretazione del diritto. Ricerche F. Gallo, I, Napoli 1997, 259 ss.
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Invero, può essere evidenziato un ulteriore aspetto della norma. Vista da una prospettiva oggettiva, infatti, essa sancisce la necessità che
la legge sia chiara. Proprio per tale aspetto, trascurato dalla letteratura
odierna, trova, invece, una larga diffusione nelle teorie dei glossatori17
che elevano la Novella a modello normativo su cui fondare proprio la
necessità di chiarezza della legge.
Così, alla luce della dialettica, che si viene a delineare nel testo tra
obscuritas e claritas, mi sembra che si possa rintracciare una corrispondenza tra questa C. 1.14.9 e il Commonitorium; non si tratta solo del
pensiero, ma anche del lessico che accomuna le due norme. Prima facie, si potrebbe credere che i Visigoti avessero attinto da questa norma,
e che la conoscessero per vie che non fossero, ovviamente, quelle del
Codex Theodosianus; però non è molto probabile la ricezione per via
diplomatica, visto che si sarebbe trattato della trasmissione di una norma imperiale ad un re germanico, e si pensi che il regno visigoto venne
riconosciuto dall’imperatore solo nel 466 d. C.
Si potrebbe ipotizzare che la norma fosse nata all’interno del consilium imperiale, di cui erano parte anche funzionari e giuristi visigoti18;
tuttavia, l’ipotesi più probabile è che entrambi i testi avessero recepito
una lezione comune.
Quello della obscuritas legum, dissolta attraverso una corretta Interpretatio, infatti, è un tema sviluppato sia dalla retorica19 sia dalla filoso-
17
Per la tradizione della Novella nella Scuola dei Glossatori cfr.: U.R.
BLUMENTHAL, Collectio Canonum Caesaroaugustana, in Canon Law, Religion, and
Politics: “Liber Amicorum” Robert Somerville, Washington D.C. 2012, 16 ss., che
chiarisce anche i legami con la legge e le Petri Exceptiones; U. AGNATI, La ‘culpa
latior’ di Celso, la ‘culpa lata’ dei Glossatori e il ‘dolus praesumptus’ di Bartolo da
Sassoferrato, in Studi Urbinati, 71, 2020, 429 ss.
18
Su tale aspetto rinvio a L. DI CINTIO, “Lex regit omnem civitatis ordinem”.
Valentiniano, Interpretatio e Lex Visigothorum 1.1.3, in IAH, an International
Journal on Ancient Law, 13, 2021, 59 ss.
19
Per le fonti cfr.: QUINT., Inst. or. 2: At obscuritas fit verbis iam ab usu remotis,
ut si commentarios quis pontificum et vetustissima foedera et exoletos scrutatus
auctores id ipsum petat ex iis quae inde contraxerit, quod non intelleguntur. Hinc
enim aliqui famam eruditionis adfectant, ut quaedam soli scire videantur. XIII.
Fallunt etiam verba vel regionibus quibusdam magis familiaria vel artium propria,
ut “atabulus” ventus et navis “stlataria” et inmalocosanum. Quae vel vitanda
apud iudicem ignarum significationum earum vel interpretanda sunt, sicut in iis
quae homonyma vocantur, ut “taurus” animal sit an mons an signum in caelo an
nomen hominis an radix arboris nisi distinctum non intellegetur. 14: Plus tamen est
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fia20, entrambe conosciute ai giuristi occidentali, come visto. Peraltro,
tra la legge imperiale e l’emanazione del Commonitorium decorre solo
qualche decennio, il che rende plausibile che gli estensori avessero attinto da un retroterra culturale e giuridico comune21.
Ad essere diversa, a mio avviso, è la funzione svolta da tale contrapposizione: nella Novella essa si connota di un valore retorico, enfatico,
privo di concrete ricadute; nel decreto dei Visigoti, assume un senso di
effettività che trova riscontro all’interno delle singole Interpretationes.
Così in Interpr. Visig. ad CTh. 1.1.222 si conferma che leges nescire nulli
liceat, aut quae sunt statuta contemnere. Per l’analisi del testo ufficiale e
dell’Interpretatio, rinvio ai miei studi precedenti23; ai fini della presente,
si può notare che nel commento non si impone un obbligo categorico
di conoscere la legge, in modo incontrovertibile, per diverse ragioni. A
mio avviso, la presenza di ‘liceat’ potrebbe mutare il significato del testo
ufficiale; si tratta di un congiuntivo esortativo che esprime il senso di un
obiettivo da raggiungere anche per il legislatore, più che una coazione.
Se si paragona, così, il commento al testo ufficiale24, mi sembra che in
quest’ultimo la coazione del precetto sia indicata chiaramente da non
obscuritatis in contextu et continuatione sermonis, et plures modi. CIC., de Inventione
1.77: Ac de partibus quidem argumentationis satis nobis dictum videtur: illud autem
volumus intellegi nos probe tenere aliis quoque rationibus tractari argumentationes
in philosophia multis et obscuris, de quibus certum est artificium constitutum; CIC.,
de Inventione 1.68: Eorum igitur, quae constant, exempla ponemus, horum, quae
dubia sunt, rationes afferemus. Quinquepertita argumentatio est huiusmodi: Omnes
leges, iudices, ad commodum rei publicae referre oportet et eas ex utilitate communi,
non ex scriptione, quae in litteris est, interpretari.
20
Anche la necessità della chiarezza è un tema tipico del neoplatonismo, di cui,
come detto, i Visigoti si fanno latori; tale aspetto dell’impostazione neoplatonico
occidentale, è affrontato da F.G. CALIAN, “Clarifications” of Obscurity: Conditions
for Proclus’s Allegorical Reading of Plato’s Parmenides, in Medium Aevum
Quotidianum, 30, 2013, 15 ss.
21
B. LUISELLI, Storia culturale dei rapporti tra mondo romano e mondo
germanico, Roma 1992, 677 ss.; L. DI CINTIO, Nuove ricerche cit., passim.
22
Perpensas serenitatis nostrae longa deliberatione constitutiones nec ignorare
quemquam, nec dissimulare permittimus.
23
L. DI CINTIO, Nuove ricerche cit., 22 ss.
24
In tal senso R. ZIMMERMAN, The Law of Obligations: Roman Foundations
of the Civilian Tradition, Law of Obligations, Oxford 1996, 606, che scrive
di «general duty» in relazione al dovere sancito in C.1.14.9: …leges intellegi ab
omnibus debent…, ma a me sembra più diretto il collegamento con il testo ufficiale
di riferimento su cui cfr. retro §1.
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permittimus, assente nel commento. Ebbene, se la Interpretatio è letta
nella direzione che occorre fare in modo che a tutti sia possibile conoscere la legge, in quanto aspettativa lecita, allora risulta conseguenziale
che, affinché si raggiunga tale scopo, essa debba essere anche conoscibile; il che è proprio ciò che prescrive il decreto di Aniano.
Così, per tonare all’esempio di Interpr. Visig. ad CTh. 9.39.1, si può
capire come essa, nella sua sintesi semplice, risponda a un’idea di conoscenza e chiarezza. Le definizioni di calunniatori, racchiuse in un unico
testo, avrebbero evitato anche una ricerca nelle numerose ed eterogenee
norme che ne contenevano le diverse nozioni a chi avesse avuto la necessità di raccordare una condotta a una determinata fattispecie.
4.
Tradizione germanica e retorica
Lo schema espositivo delle Interpretationes non si limita solo alla
chiarezza, ma sembra seguire una sorta di doppio binario ideale, logico
e retorico.
Le figure retoriche impiegate rendono il brano musicale e facilmente
memorizzabile. Oltre che alla chiarezza, l’uso di determinate strutture
sembra assolvere proprio al compito di rendere il testo idoneo alla trasmissione orale. È possibile, quindi, che l’esigenza di semplificare il diritto, consentendo il suo concreto utilizzo autonomo dalla consultazione del farraginoso materiale scritto, sia frutto del più ampio retroterra
culturale e ideologico germanico, caratterizzando la sua antica cultura
che racchiudeva le poche regole giuridiche, ma soprattutto etiche su cui
la società germanica si reggeva, nei canti epici.
Mi riferisco ai poemi, alle saghe che, oltre ad avere un contenuto
mitico, racchiudevano anche le norme, le quali, una volta memorizzate,
erano alla portata di tutti. Si trattava di una forma di divulgazione del
sapere democratica e immediata.
Questi canti caratterizzano, sin dal loro nascere, i popoli germani e
sono trasmessi nei secoli, ma in un modo mutevole che consentiva un
loro adattamento, di volta in volta, ai nuovi contesti storici e culturali25.
25
Sul tema cfr.: P. SCARDIGLI, Lingua e storia dei Goti, Forlì 1964; B. LUISELLI,
La formazione della cultura europea occidentale, Roma 2003; M. RIZZOTTO, Le
trasformazioni della Gallia nella tarda antichità attraverso la riflessione cassiodorea,
in Porphyra, 8, 2008, 27 ss.; B. LINCOLN, Between History and Myth: Stories of
Harald Fairhair and the Founding of the State, Chicago 2014.
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LUCIA DI CINTIO
Ce ne parla già Tacito in Ann., II.88.326. Essi, non solo appartengono
alla cultura originaria comune alle popolazioni germaniche, ma seguono anche un andamento tipico, raccordabile al cosiddetto verso
lungo germanico diviso a sua volta in due brevi. La struttura di tali
versi era caratterizzata da una forma attenta e conteneva delle formule
costanti, dei topoi linguistici27, proprio alla stregua di Interpr. Visig.
ad CTh. 9.39.1, ove l’enumerazione ripetitiva è inserita in questo stile formulare che, dai poemi omerici, si ritrova ancora nei canti epici
tardo medievali.
La loro importanza è tale per cui sono messi per iscritto e prosaicizzati da autori antichi tra cui Iordanes, nella sua Historia Gothorum,
Paolo Diacono, nella Historia Langobardorum. Eginardo28 scrive che
ancora Carlo Magno fece raccogliere i canti antichi per iscritto e opportunamente tradotti. Dunque, si conferma il loro valore paideutico
e normativo nel IX secolo all’interno del Sacro Romano Impero.
In via meramente esemplificativa si ricordi che, nelle saghe più antiche, le donne si uniscono all’uomo tramite ratto, per la cui composi-
26
Septem et triginta annos vitae, duodecim potentiae explevit, caniturque
adhuc barbaras apud gentis, Graecorum annalibus ignotus, qui sua tantum mirantur,
Romanis haud perinde celebris, dun vetera extollimus recentium incuriosi.
27
In specifico sulla funzione e le figure retoriche nei poemi germanici cfr. E.
GINI, La Fiaba d’area germanica: studi tipologici e tematici, Firenze 1990, 23 s.; L.
VEZZOSI, Alcune riflessioni sul concetto di identità linguistica germanica, in Lingua,
etnia e identità nel mondo germanico, a cura di V. SANTORO, Soveria Mannelli 2018,
9 ss.
28
EINHARDS, Vita Karoli, cap. 29: Omnium tamen nationum, quae sub eius
dominatu eran, iura quae scripta non erant describere ac litteris mandari fecit. Item
barbara et antiquissima carmina, quibus veterum regum actus et bella canebantur,
scripsit memoriaeque mandavit. Inchoavit et grammaticam patrii sermonis.
Mensibus etiam iuxta propriam linguam vocabula imposuit, cum ante id temporis
apud Francos partim Latinis partim barbaris nominibus pronunciarentur. Celebrant
carminibus antiquis, quod unum apud illos memoriae et annalium genus est,
Tuistonem deum terra editum. Ei filium Mannum, originem gentis conditoremque,
Manno tris filios adsignant, e quorum nominibus proximi Oceano Ingaevones,
medii Herminones, ceteri Istaevones vocentur. Quidam, ut in licentia vetustatis,
pluris deo ortos plurisque gentis appellationes, Marsos Gambrivios Suebos Vandilios
adfirmant, eaque vera et antiqua nomina. Ceterum Germaniae vocabulum recens
et nuper additum, quoniam qui primi Rhenum transgressi Gallos expulerint ac nunc
Tungri, tunc Germani vocati sint: ita nationis nomen, non gentis evaluisse paulatim,
ut omnes primum a victore ob metum, mox etiam a se ipsis, invento nomine Germani
vocarentur.
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zione si paga un prezzo29; questa struttura coincide con il modello di
matrimonio germanico assimilabile alla compravendita tra il marito e
il padre della sposa.
Il canto epico, dunque, non va valutato come mero folclore, bensì
è specchio di una ideologia, per cui il sapere e le norme debbano appartenere al popolo, per la maggioranza analfabeta; esse devono essere
uno strumento regolatore e non oppressivo. Alla luce di tale contesto,
si spiega come i Visigoti traferiscano l’esigenza di rendere fruibili e memorizzabili le norme anche nella Lex Romana Visigothorum30; in particolare nella parte che avrebbero consultato, ossia l’Interpretatio.
La commistione tra retorica, poema, tradizione romana si innesta
anche nelle interpretazioni. La giurisprudenza occidentale visigota,
infatti, si serve anche della cultura storica e letteraria nei propri testi tecnici, per poter filtrare concetti che sono collegati all’ideologia
politica e ai rapporti di potere tra Goti e Romani tanto fluttuanti nel
tempo. Si pensi all’uso di frasi stereotipe come ‘rerum domini’ in Interpr. Visig. ad CTh. 9.40.1031, di virgiliana32 memoria per indicare i
Romani.
In ciò è ravvisabile una sorta di differenza con la scientia iuris romana che impiega la Logica per organizzare il discorso e i concetti in
modo prosaico, teso alla razionalizzazione e alla sintesi del sapere33.
29
Proprio il caso del matrimonio germanico è tra gli esempi maggiormente
utilizzati dalla letteratura per raccordare i poemi alle norme germaniche. Per tutti,
cfr. P. VACCARI, Matrimonio franco e matrimonio romano: studi preliminari, Pavia
1911, 8; E. BESTA, La famiglia nella Storia del Diritto italiano, Milano 1962, 81 s.; M.
SCOVAZZI, Scritti di storia del diritto germanico, 1, Milano 1975, 285 ss.
30
Cfr. L. DI CINTIO, L’“Interpretatio” cit., 11 ss.
31
CTh. 9.40.10 (= Brev. 9.30.2): Quoties in senatorii ordinis viros pro qualitate
peccati austerior fuerit ultio proferenda, nostra potissimum explorentur arbitria,
quo rerum atque gestorum tenore comperto, eam formam statuere possimus, quam
modus facti contemplatioque dictaverit. Interpretatio: Si quando aliquae maiores
personae aut alicuius dignitatis viri vocantur in crimen, iudex ad rerum dominos
referat, ut de huius modi personis quid fieri debeat, dominorum praeceptio iusta
constituat; per il testo e la sua Interpretatio rinvio a L. DI CINTIO, L’“Interpretatio”
cit., 199 ss.
32
Il legame tra le opere di Virgilio e i poemi germanici è nota; per tutti,
cfr. Waltharius: Epica e Saga tra Virgilio e i Nibelunghi, a cura di E. D’ANGELO,
Milano1998, 172 ss.
33
La scientia iuris romana si differenzia in modo netto dalla poesia, elabora
i suoi concetti attraverso un metodo casistico prima e poi impiegando le rigorose
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5.
LUCIA DI CINTIO
Calumnia, calumniatores
L’Interpretatio alariciana, oltre che svolgersi in sequenza metrica, rappresenta le definizioni tramite le condotte soggettive, ‘calumniatores sunt…’, e non categorie generali attraverso le quali astrarre
l’oggetto. Anche tale modus operandi rendeva il testo maggiormente
comprensibile, come visto, ma è valutato comunemente quale segno
di regressione del pensiero, di un popolo culturalmente non ancora
così evoluto.
Innanzi tutto, la diversificazione delle condotte calunniose non
è frutto dell’occidente barbarico, come anche sostenuto34, poiché la
calunnia, in una molteplicità di sensi, è già ben presente nelle costituzioni ufficiali, in modo, in alcuni casi, anche singolare, tanto che
nelle relative Interpretationes il termine è omesso e in sua vece sono
impiegate perifrasi.
Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, a CTh. 9.40.1835; CTh.
5.18.136; CTh. 1.1.337, ove calumnia arriva a indicare l’irretroattività della legge, come il relativo commento afferma.
logiche provenienti dal sapere greco. Si tratta di una differenza consapevole e
voluta, come dimostrato dai noti passaggi ciceroniani: CIC., Orat. 1.41; 42.191;
CIC., Brut. 41.151; 42.153.
34
G. BONOLIS, Sul significato cit., 311 ss.
35
CTh. 9.40.18 (= Brev. 9.30.4) Impp. Arcad. et Honor. AA. Eutychiano pf.
p.: Sancimus, ibi esse poenam, ubi et noxa est. propinquos, notos, familiares procul
a calumnia summovemus, quos reos sceleris societas non facit; nec enim affinitas
vel amicitia nefarium crimen admittunt. Peccata igitur suos teneant auctores, nec
ulterius progrediatur metus, quam reperitur delictum. Hoc singulis quibusque
iudicibus intimetur. Interpretatio: Poena illum tantum sequatur, qui crimen admisit.
Propinqui vero, affines vel amici, familiares vel noti, si conscii criminis non sunt,
non teneantur obnoxii. Nemo de propinquitate criminosi aut de amicitiis timeat,
nisi qui scelus admiserit. Sul testo e sulla relativa Interpretatio, L. DI CINTIO,
L’“Interpretatio” cit., 204 ss.
36
CTh. 5.18.1 pr. (= Brev. 5.10.1 pr.) Impp. Honor. et Theodos. AA. Palladio
pf. p.: Si quis colonus originalis vel inquilinus ante hos triginta annos de possessione
discessit, neque ad solum genitale silentii continuatione repetitus est, omnis ab ipso,
vel a quo forte possidetur, calumnia penitus excludatur quem annorum numerum
futuris quoque temporibus volumus observari.
37
CTh. 1.1.3 (= Brev. 1.1.3): Imppp. Valentin., Theodos. et Arcad. AAA.
Aureliano pf. u.: Omnia constituta non praeteritis calumniam faciunt, sed futuris
regulam ponunt. Interpretatio: Omnes leges non ea, quae anteriore tempore acta
sunt, damnant, sed in futurum observanda constituunt. Sulla costituzione e sulla
relativa Interpretatio, cfr. L. DI CINTIO, Nuove ricerche cit., 25 ss.
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Mi sembra che nella Interpretatio non sia racchiusa alcuna nozione
diversa rispetto a quelle presenti nel Codex Theodosianus, ma essa si
atteggia a sintesi, peraltro parziale come le aggiunte lasciano intendere,
dei calunniatori, e non della calunnia dai contorni ben più fluidi. Pertanto, all’opera visigota non può attribuirsi l’inizio della volgarizzazione del diritto rispetto alla nozione di calunnia, come sostenuto.
Proprio la preferenza per i soggetti titolari della condotta, i calunniatori, anziché del relativo illecito, la calunnia, a mio avviso, è dovuta a
un cambio di prospettiva. I Visigoti, al tempo della Interpretatio, erano
stati convertiti all’arianesimo. Sviluppato all’interno di un impianto filosofico derivante da una ‘costola’ della Scolastica, l’arianesimo innesta
elementi della logica diairetica aristotelica in un pensiero neoplatonico38. Ciò, tradotto e applicato all’interno dell’argomentazione giuridica, implica, secondo l’ipotesi qui prospettata, il passaggio dall’uso di
categorie oggettive, tendenzialmente chiuse di tipo aristotelico, a categorie ‘per esemplare’, che tendono a ordinare il pensiero in condotte
tipiche, ma non esaustive. La categoria per esemplare, dunque, riflette
sulle condotte soggettive e attua su di esse un processo logico, che forse
sarebbe corretto definire analogico39.
In sostanza, la commistione tra mondo romano occidentale e mondo germanico crea un terreno culturale, una base che trasforma le categorie giuridiche in qualcosa di parzialmente nuovo. Le scuole di pensiero occidentali agiscono su questa nuova realtà, creando modelli basati
su condotte soggettive aperte. È applicato, in sintesi, un nuovo metodo
38
La tematica è complessa, per essa rinvio a L. DI CINTIO, Ordine e
Ordinamento cit., passim. In modo molto chiaro, G. VENTIMIGLIA, Differenza
e contraddizione: il problema dell’essere in Tommaso d’Aquino: esse, diversum,
contradictio, Milano 1997, 97: «Non è difficile rinvenire nella eresia ariana,
secondo cui da un primo principio, il Padre procedeva un essere di natura
inferiore, il figlio, i segni di un inequivocabile platonismo. Riviveva in questa
dottrina gli echi delle teorie delle ipostasi separate e gerarchicamente ordinate».
39
La denominazione ‘categorie esemplari’ è moderna, frutto delle
elaborazioni delle scienze cognitive. Per tutti, sul tema, in modo chiaro e
completo, cfr. R. J. STERNBERG-E.E. SMITH-F. S. MARUCCI, La psicologia del
pensiero umano, Roma 2000, 63 ss., ove è ben descritta la differenza tra categorie
oggettive che affondano le radici nel pensiero aristotelico, e categorie soggettive,
ossia enucleazioni generali che si imperniano su aspetti soggettivi e non sul
l’oggettivo. In altri termini, l’exemplum si riferisce alle condotte nelle categorie
per esemplari; postula così un’applicazione analogica del sapere.
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LUCIA DI CINTIO
cognitivo, in un modo che a me sembra consapevole e orientato verso
una fruibilità, flessibilità maggiore della norma.
In ciò, nella Interpretatio Visigothorum, logica e retorica si vanno
a intersecare.
Infatti, l’elencazione per esemplari di una categoria dal significato
tanto vario, come calumniatores, da un lato specifica in modo esatto
la condotta rilevante, dall’altro non ‘chiude’ l’elenco. La potenziale
apertura ad altre condotte più o meno indefinite, mi sembra che sia
comprovata anche dalle ‘aggiunte’ come ‘hic de iure addendum’; è quasi ovvio, infatti, che sia consentito aggiungere, solo ove il concetto lo
consenta e non si atteggi come chiuso, esaustivo.
Tale struttura, inoltre, si presta meglio alla memorizzazione e all’innovazione, in coerenza con l’idea visigota per cui il diritto dovesse essere diffuso in modo certo e ordinato quanto più possibile, alla luce
forse dell’enorme materiale giurisprudenziale non gestibile senza l’adozione di una sintesi e selezione. In tale contesto, il testo giuridico
può essere individuato nel commento, che muta la legge originale a
seconda dell’esigenza e della funzione della medesima.
6.
L’Interpretatio alariciana come nuova forma di costruzione del testo giuridico
La categoria soggettiva e la sonorità delle disposizioni sono le coordinate entro cui si costruisce la forma del testo giuridico della Interpretatio visigota, che si avvale della retorica, in modo diverso dalle
costituzioni imperiali, in quanto riveste una funzione pratica, ad essa
opposta, in corrispondenza della tradizione germanica.
Come anticipato in apertura del presente lavoro, la dottrina precedente ha operato un excursus esaustivo in chiave cronologica circa
le fonti che trattano di calunnia. Tale letteratura ha evidenziato come
il senso di calumnia muti nel tempo sino a ricomprendere fattispecie
nuove. Il quadro restituito dalle fonti, a mio avviso, può essere valutato in altro modo.
Nella Lex Visigothorum, come già notato in modo esatto e analitico40, ‘calumnia’ assume il senso di danno, o pena, punizione civile,
40
La ricognizione completa dei passaggi della Lex Visigothorum è in G.
BONOLIS, Sul significato cit., 284 ss.
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fiscale, oltre che penale41. Allo stesso tempo, in modo autonomo, permane la categoria per esemplare di colui che propone accuse false, in
LV. 7.1.542; ora, però, definito index, non più calumniator.
In sintesi, da una lettura delle varie leggi visigote, che si occupano
rispettivamente dell’illecito di calumnia e di chi proponga accuse false
o infondate, mi sembra che il Liber Iudiciorum rappresenti un punto
di arrivo di un percorso peculiare. Così, da un lato la calunnia continua
ad essere applicata in modo fluido, dall’altro, la figura dell’index si amplifica sino a ricomprendere quella del calumniator che non è menzionato. Alla base di tale omissione potrebbe esservi una ratio dogmatica,
per cui i Visigoti del VII secolo avrebbero voluto evitare sovrapposizioni, tra l’ampia categoria di calumnia e il calumniator, alle quali il
comune nomen avrebbe potuto dare luogo. Si potrebbe pensare anche
a un fenomeno storico, che avrebbe prodotto un mutamento nell’uso
del termine e del concetto di index più ampio rispetto alle categorie per
esemplare del calumniator43.
Anche gli scritti religiosi ci restituiscono un senso peculiare di calumnia come oppressione44.
Nella Lex Salica45 nella Lex Ripuaria46 la disposizione non è più
astratta, la categoria anche per esemplare è assente, il soggetto è omes-
41
Per i significati generici di calumnia si vedano: LV. 1.3.6.8; LV. 6.5.6; LV.
8.1.13; LV. 8.4.19.23.24.26; LV. 5.6.7; LV. 10.2.5.
42
Il calumniator si trova in LV. 7.1.5: Innocens approbatur, de iudicio securus,
abscedat. Ille vero qui accusavit, et poenam et damna suscipiat, quae debuit pati
accusatus, si de crimine fuisset convictus. Il calumniator, che inoltre, coincide con
l’index in LV. 1.4.
43
In Cassiodoro la calunnia si riveste del generico simile all’iniuria,
all’oppressione, come rilevato sempre da G. BONOLIS, Sul significato cit., 294, in
Var. 9, ep. 4; Var. 1, ep.7; Var. 1, ep. 18); ma lo studioso, loc. cit., elenca anche un
serie di passaggi in cui Cassiodoro avrebbe impiegato calumnia e calumniator nel
senso di accusa falsa nella Patrologia Latina, (LXX, n. 420), la cui attendibilità è
però molto dubbia, come noto.
44
Lev. 6.6; GER. 7.6; EZICH. 22.9; sui passi si rinvia a G. BONOLIS, Sul significato
cit., 291 s.
45
Lex Sal. XXI, 1 e 2: Si quis hominem innocentem absentem apud Regem
accusaverit de culpis minoribus, sol. LXII culpabilis iudicetur. Si cero tale crimen ei
imputaverit unde mori debuisset, si verum fuisset, ille qui eum accusaverit, sold. CC
culpabilis iudicetur.
46
Lex Rip. XXXVIII: Si quis hominem innocentem ad Regem accusaverit,
sexaginta solidis culpabilis judicetur.
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LUCIA DI CINTIO
so; la norma ruota attorno alla struttura di un periodo ipotetico che si
riferisce a un caso singolo. Nella Lex Burgundionum47 è contenuta la
sola calunnia come azione giudiziaria.
Così ancora una volta si conferma che la Lex Romana Visigothorum
è recepita in altre leggi germaniche48, franche49. Se con queste, però, si
pone in una naturale linea di continuità, è significativo, invece, che appaia anche nelle norme longobarde50, ove si trova sia nel senso generico
di danno, molestia, ma non più sanzionata con la pena del reciproco,
bensì con pene più miti a carattere pecuniario, e non si scrive più di calumniator, ma di accusator, quando il comportamento fosse stato privo
di dolo. La legge longobarda adotta, in tal modo, uno schema che sembra tornare al diritto romano più antico; questa eventualità potrebbe
corrispondere al fatto che i longobardi invasero i territori dell’Esarcato
47
Lex Burg. XVIII. 2: Qui fugitivum secutus fuerit, et casu repugnantem
occiderit, omni calumnia careat: aut is, qui sequitur, a fugitivus percussus fuerit, ad
dominum fugitivi nulla calumnia revertatur.
48
Così nell’Editto di Teodorico, c. L.: 50: Occultis secretisque delationibus
nihil credi debet: sed eum qui aliquid defert, ad iudicium venire convenit; ut si quod
detulit, non potuerit adprobare, capitali subiaceat ultioni.
Ancora in Lex Fris.: XI c. III: Si aut calumniator, aut ille cui calumnia irrogata
est, se solum ad sacramenti mynisterium perficiendum protulerit, et dixerit: “ego
solus iurare volo, tu, si audes, nega sacramentum meum, et armis meum contende”.
Faciant etiam illud, si hoc eis it placuerit iuret unus, et alius neget, et in campum
exeant. Lex Baiv, XXII. 1: Si quis contra caput alterius falsa suggesserit, vel pro
quacunque invidia de iniusta re accusationem commoverit, ipse poenam vel
damnum, quod alteri intulit, excipiat.
49
G. BONOLIS, Sul significato cit., 296 cita alcuni diplomi di Carlo Magno, la
cui genuinità andrebbe verificata, dato che sono escerpiti dalla Patrologia Latina di
dubbia attendibilità.
50
Nella legislazione di Ludovico, VI c. 180: Eandem poenam passurus sit
accusator, si convincere accusatum non potuerit, quam reus passurus erat. Nella
legge non si scrive di calumniator, bensì di accusator. In ciò si può ravvisare una
certa vicinanza con le norme più antiche, ove affinché si concretizzasse il reato di
calunnia, sarebbe occorso il dolo.
Anche nell’Editto di Rotari si tratta di accusator e la pena è quella del guidrigildo
IX.1.1.7: Et cognoscitur quod dolose accussasset, tunc ipse qui accusaverit et probare
non potuerit, widrigild suum conponat, medietatem Regi, et medietatem ei cui
crimen injecerit; Lex Baiv. XXII. 1: Si quis contra caput alterius falsa suggesserit,
vel pro quacunque invidia de injusta re accusationem commoverit, ipse poenam vel
damnum, quod alteri intulit, excipiat.
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in cui sicuramente l’uso del Corpus Iuris Civilis era prevalente rispetto
ai territori franchi51.
È solo nella Lex Visigothorum che si è proceduto a una ‘ricategorizzazione’ della figura del calumniator classico, che diviene index; in
merito si potrebbe anche ritenere che il calumniator come falso accusatore appartenesse, oramai, anche alla tradizione canonista; in funzione
di ciò, la legislazione civile non vi si sarebbe sovrapposta.
51
L’uso del Breviario di Alarico II in epoca franca è un dato difficilmente
controvertibile; invece, le opinioni divergono circa l’utilizzo del Corpus Iuris
Civilis nelle stesse aree. L’esiguità delle fonti non consente ricostruzioni certe, ma
nei territori a influenza franca risulta un impiego della Lex Romana Visigothorum
e non del Digesto. Nei regni longobardi nonostante la maggior diffusione del
Corpus Iuris Civilis, si utilizzano ancora le leggi romano-germaniche, oltre
che le norme tipiche dei longobardi sino al IX secolo, epoca a cui risalgono le
prime rielaborazioni del Corpus Iuris Civilis, operate in ambiente longobardo,
probabilmente a seguito della conquista dell’esarcato a opera, come noto, di
Liutprando.
La ricezione delle leggi germaniche trova spiegazione nella tradizione dei
testi, che non conosce soluzione di continuità. Non di meno mi sembra che
concorrano, unitamente alla tradizione testuale, anche spinte ideologiche,
i cui segni possono essere individuati anche nelle pieghe dei medesimi atti
normativi. Così già nel Commonitorium di Alarico II si rivendica l’identità e
l’autonomia del popolo visigoto anche attraverso una propria legislazione, che
per il tramite della Interpretatio fa proprie norme romane, trasformando ove
necessario, le leggi imperiali. Tale processo è evidente anche nelle parole della
Lex Visigothorum, ove si rifiutano esplicitamente le norme romane. Anche i
longobardi attingono dalla tradizione visigoto-franca. Così, l’Editto di Rotari,
che indubbiamente contiene istituti longobardi, richiama in molti punti le norme
del Breviario, nonostante che in esso, il re sia qualificato, re dei soli longobardi, e
non re dei longobardi e dei romani (ad esempio Clodoveo era denominato re dei
Franchi e dei Romani) né gli è attribuito un titolo riconosciuto dall’ordinamento
romano, patricius, o magister. La mancanza di ogni riferimento ai romani, è
segno dell’applicazione oramai su base territoriale della legge, ma anche della
volontà di rivendicare un’identità propria, non più collegata a quella romana.
Il nome dei romani è omesso, non solo nelle leggi longobarde, ma anche nei
diplomi reali si parla di Aldii, o sudditi; il nome del popolo romano è di nuovo
presente nella Legge degli Scribi del 727 di Liutprando, a seguito della conquista
dell’esarcato di Ravenna e sarà in questo ambiente che verrà utilizzato il Corpus
Iuris Civilis, in sostituzione della Lex Romana Visigothorum, ma senza riuscirci
del tutto, come dimostra proprio il Brachilogus. Per la tematica rinvio a L. DI
CINTIO, L’“Interpretatio” cit., passim.
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7.
LUCIA DI CINTIO
Lex Romana Utinensis
Merita attenzione particolare la Lex Raetica Curiensis52 che menziona la sola Interpretatio in sostituzione della legge originale53.
Dal punto di vista storico, il dato appare particolarmente significativo, in quanto conferma il valore normativo della Interpretatio che
rappresenta, in determinati contesti come questo della Legge Udinese,
la Romana Lex.
Sotto il titolo il libro IX, Titolo XXIX, è posizionato il titolo De
Calumniatoribus
che, come di consueto, menziona in forma lacunosa e abbreviata la
legge di riferimento e, in sua vece, il testo della Interpretatio trascritto
per intero debitamente segnalato.
Ai calunniatori è dedicato anche il Libro XXIII della Legge Udinese
a cui corrisponde la ricezione del primo libro delle Pauli Sententiae. I
calunniatori sono poi trattati nel libro XVIII della medesima parte che
contiene le interpretazioni al libro V delle Sentenze paoline, ma a differenza di queste, non menzionano la calunnia, che nei testi originali è
correlata alla iniuria come nella Lex Visigothorum. Si vedano così:
Lex Cur. XXIII (Liber I Pauli Sententiarum); VIII: Item alia
Interpretatio, De Calumniatoribus: Ille non est calumniatus qui
inter duos homines contendentes de qualecumque re iusticiam
dicit; sed ille est calumniatur, qui rogitus aut per primias alterius
causa desertat.
Il testo può essere collegato a
PS.1.5.1: Calumniosus est qui sciens prudensque per fraudem
negotium alicui comparat. 2 Et in privatis et in publicis iudiciis
omnes calumniosi extra ordinem pro qualitate admissi plectuntur.
E presenta affinità, ma non è identica, con l’Interpretatio del Breviario PS. 1.5.2:
52
Per la legge i problemi ad essa connessi, rinvio a L. DI CINTIO, Il naufragio e
la “Lex Raetica Curiensis”. Un caso particolare di epitome, in Studi in Onore di L.
De Giovanni, Koinonia, 44, 2020, 465 ss.
53
Il luogo è il medesimo del Breviario, ossia 9.29.2.
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Qui aut apud cunctos aut apud privatos iudices fuerit de calumniae obiectione convictus, non exspectata ordinis sententia, prout
causa fuerit, supplicio subdetur.
L’Interpretatio delle Pauli Sententiae recepita nella Lex Raetica Curiensis è diversa rispetto a quella della Lex Romana Visigothorum, allo
stesso tempo nella inscriptio è presente la scritta Item alia Interpretatio;
proprio la presenza del termine “alia” potrebbe lasciar credere alla consapevolezza del compilatore della legge che quella recepita non era una
Interpretatio alariciana. Ciò potrebbe trovare conforto nel fatto che la
specificazione si trova ogni qual volta non sia recepito un commento
tratto dal Breviario, almeno nelle edizioni a noi giunte.
Si potrebbe anche pensare che la pluralità di Interpretationes fosse resa possibile dalla natura dei testi commentati – poiché riguardanti
le Sentenze non le leggi ufficiali considerate iura dunque modificabili
–, non sarebbero stati soggetti ai divieti presenti nel Commonitorium.
Certamente la posteriorità della Legge Udinese lascia credere che essa
non si sarebbe dovuta più conformare ai divieti di Aniano. Allo stesso
tempo, si deve notare che si limita a recepire del materiale preesistente. Allora la presenza di altre interpretazioni potrebbe lasciar credere
che, anche in costanza della vigenza del Breviario, i Visigoti, forse nelle
scuole di diritto, elaborassero commenti extra alariciani tràditi anche
nella Lex Romana Curiensis.
Interessante è inoltre la struttura espositiva di Lex Cur. 23.7 che
contrappone una condotta negativa a una positiva; si tratta di una peculiarità che sembra pervenire da una dialettica maestro-discepolo entro la
quale si pone un quesito chiarificatore circa le condotte che darebbero
luogo alla calunnia.
Si veda ora Lex Cur. XVIII.6 che recepisce il libro V delle Pauli
Sententiae:
Liber XXVIII, (liber V Pauli Sententiarum) VI: De calumniatoribus Interpr. Hoc sunt calumniatores omnes, qui alteri homini
causas contribuant per malo ingenio, aut quid falsitatem de altero
hominem ad iudicem portaverit, ut alterum hominem sine culpa noceat; illi qui hoc faciunt, aut in exilio mittantur aut capite
puniantur.
che va collegata a
PS. 5.4.11: Qui per calumniam iniuriae actionem instituit, extra
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LUCIA DI CINTIO
ordinem punitur: omnes enim calumniatores exilii vel insulae relegatione aut ordinis amissione puniri placuit. Che nel Breviario
presenta la seguente aggiunta: Interpretatione non indiget.
In Lex Cur. 28.6 ricorre una definitio, con una struttura che ricorda
quella della Interpretatio Visig. ad CTh. 9.39.1, incorporata nel Libro
IX. Questa parte della compilazione è espressamente dedicata alle Pauli
Sententiae, ma il passo in esse corrispondente contiene la chiusa “Interpretatione non indiget”. Così, per i commissari di Alarico la sentenza
non avrebbe abbisognato di commento; eppure, nella Legge Udinese, è
recepita una Interpretatio in sostituzione del testo ufficiale.
Anche in questo caso si aggiunge un elemento all’ipotesi per le Pauli
Sententiae fossero corredate da commenti che non erano confluiti nel
Breviario o posteriori.
La legge Udinese, unitamente alle altre, sembra dimostrare come
l’Interpretatio Visigothorum ad Brev. 9.29, non solo sarebbe stata tramandata, ma avrebbe anche costituito un modello, impiegato per recepire le Pauli Sententiae nella Lex Raetica Curiensis, in cui si riscontra
anche una moltiplicazione delle condotte che vanno a formare le categorie per esemplari. Ciò è riprova del fatto che esse per loro stessa
struttura sarebbero state aperte a nuovi casi.
Se alcune nuove definizioni provengono dal corpus legislativo, altre,
per quanto visto sopra, dalla prassi.
8.
Alcune riflessioni
Dalla disamina delle fonti emerge che quella sorta di bipartizione
tra i calumniatores di Interpr. Visig. ad CTh. 9.39.1 e la calumnia si
mantiene nel tempo. Progressivamente, la calunnia diviene un termine
generico, perde i suoi connotati tecnici e caratterizzanti, attraverso un
processo che agisce anche sulla terminologia, sul lessico, sulla forma,
come è già evidente nel Codex Theodosianus in CTh. 1.1.3. Essa indica
la causa giudiziaria54, le molestie e, nei documenti più tardi della prassi,
anche il carico avariato.
54
La rassegna è G. BONOLIS, Sul significato cit., 299 ss., a cu si rinvia. A titolo
esemplificativo cfr.: Diplomi di Berengario (a. 911), Diplomi di Ottone (a. 968),
Corrado II (1026); Liber Statutorum Civitatis Ragusii, Cod. Dip. Ber. M. 113, 123;
127, 128, 132; 138, 140, 141.
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Diversamente, le definizioni dell’interpretazione alariciana compongono una serie, una sequenza in cui i soggetti, calunniatori, sono
definiti tramite condotte accomunate da elementi specifici. Si crea,
così, una sorta di divaricazione di concetti. A tale fenomeno concorrono due elementi: il primo può essere individuato nel fatto che
l’Interpretatio sia stata trasmessa nel tempo in vece del testo ufficiale,
elevandosi a modello secondo il quale, affinché si definisse un soggetto calumniator, sarebbero occorsi fattori specifici comportamentali. Il secondo consiste nella mancata elaborazione di una categoria
oggettiva corrispondente, ossia la calunnia che si trova sparsa nelle
leggi del Codex Theodosianus corredata dai vari significati spesso non
comunicanti tra loro. Così, se il calumniator si tipizza, la calunnia si
generalizza.
L’ampia diffusione della Interpretatio potrebbe essere stata favorita dalla retorica -ne costituisce un chiaro esempio Forma Visigothica
20- che rendeva i testi musicali. La categoria per esemplare, oltre che
a una determinata logica, infatti, risponde meglio a esigenze di memorizzazione della norma.
L’uso di tali concetti, però, è parziale e scoordinato; in tal modo
permangono nei testi legislativi sia la calunnia polisemica sia il calumniator di Interpr. ad CTh. 9.39.3. Per tale via, di cui il caso di calumnia
e calumniator è esemplare, viene meno il rapporto di genus e species.
Dalla calunnia non derivano sempre coloro che possono essere definiti calunniatori secondo il commento del Breviario.
Si assiste alla divaricazione tra categoria per esemplare e categoria
oggettiva; nel caso della categoria esemplare si moltiplicano le fattispecie, sulla base di un ragionamento analogico; mentre nel caso della
categoria oggettiva si assiste a un’estensione del significato, come nel
caso delle Pauli Sententiae.
Pertanto, anche la mancata coerenza interna tra i vari concetti
contribuisce a una lenta destrutturazione del testo giuridico. L’uso
di tali schemi progressivamente concorre, ovviamente unitamente ad
altri numerosi altri elementi che non possono essere discussi in questa
sede, a creare un diritto cosiddetto vivente, quello della prassi, autonomo rispetto alle leggi romane; tanto è che, come ricorda la dottrina
dei secoli scorsi, calunnia si amplifica, sino a indicare un vizio della
merce55.
55
Così G. BONOLIS, Sul significato cit., 312 ss., che rinvia al Liber Communis
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LUCIA DI CINTIO
Per quanto concerne la costruzione del testo giuridico, da un lato
l’Interpretatio è testimone di alcune innovazioni tipiche dei Visigoti,
sia sul piano della tecnica espositiva, come l’uso del prosimetro sia
su quello della logica, con l’adozione delle categorie per esemplare,
dall’altro, proprio la mancanza di organicità interna tra i vari commenti, dovuta alla loro stessa natura, non ha consentito l’elaborazione
di modelli generali che fungessero da raccordo tra le varie diversità.
SINTESI
All’interno delle norme visigotiche si può individuare un mutamento nella costruzione del testo giuridico, il quale non è tanto segno
di volgarizzazione, quanto di un diverso uso degli schemi di pensiero.
Per l’ipotesi qui prospettata, i Visigoti adottano la logica delle categorie ‘per esemplare’, all’interno della loro visione neoplatonica, la quale
si impernia su condotte che fungono come esempio da memorizzare.
Ciò concorre anche alla trasmissione del sapere secondo un modus
tipico, che rende il testo tecnico, musicale, non in senso folclorico, ma
paideutico.
Logica e metrica si incontrano negli scritti visigoti, come in Forma
Visigothica 20, in particolare nella Interpretatio, in cui, però, manca
l’elaborazione di modelli generali che raccordassero le diversità dovute alla presenza contemporanea di categorie oggettive e per esemplari
riguardanti sovente la stessa materia.
Non coordinandosi tra loro, si crea una sorta di divaricazione tra
concetti, che contribuisce a un processo di destrutturazione del testo
giuridico in favore della prassi, poiché il legislatore, goto e longobardo che fosse, tende a rendere le proprie legislazioni scarne, selezionando il materiale del Breviario, attraverso tagli e pochi adattamenti.
detto anche “Plegiorum” del R. Archivio Generale di Venezia Regesti di R. Predelli,
Ufficiale nell’Archivio medesimo, a cura di R. PREDELLI, Venezia 1872, 97 n. 338,
seguito da E. BESTA, Il diritto e leggi civili di Venezia, fino al Dogato di Enrico
Pandolo, Venezia 1900, 193.
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Parole chiave
Categorie esemplari – Interpretatio Visigothorum.
ABSTRACT
In the Visigothic norms we can identify a change in the construction
of the legal text, which is not so much a sign of vulgarization as of a
different use of thought patterns. For the hypothesis presented here,
the Visigoths adopt the logic of categories ‘by specimen’, within
their Neoplatonic vision, which hinges on behaviors that serve as an
example to be memorized. This also contributes to the transmission
of knowledge according to a typical modus, which makes the text
technical, musical, not in a folkloric sense, but in a paideutic sense.
Logic and metrics meet in Visigothic writings, as in Forma Visigothica 20, in particular in the Interpretatio, in which, however, there is
no elaboration of general models that would connect the differences
due to the contemporary presence of objective categories and for
examples often concerning the same matter. By not coordinating
with each other, a sort of divergence between concepts is created,
which contributes to a process of deconstructing the legal text in favor of practice, since the Gothorum and Langobardorum legislator,
whatever it is, tends to make his own legislation sparse, selecting the
material of the Breviary, through cuts and few adaptations.
KEYWORDS
Categories by Specimen – Interpretatio Visigothorum.
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