La notte degLi argonauti
Eracle e Giasone a Cizico
Francesco Morosi
La fortuna di cui hanno goduto nel corso dei secoli le Argonautiche di apollonio
rodio è stata, fino a tempi relativamente recenti, scarsa. ed è forse ancora più scarso l’apprezzamento che la critica ha rivolto al primo libro del poema, finché una
sacrosanta rivalutazione ha portato a vedere nell’opera di apollonio «a meaningful
whole» e nella narrazione del viaggio degli argonauti verso la Colchide «an intelligently planned and organized larger division of that whole»1. ancora più pervicaci
e duraturi sono stati però il disinteresse e l’incomprensione nei confronti di alcuni
singoli episodi contenuti nel primo libro: un caso esemplare può essere lo scalo a
Cizico, che del primo libro occupa una parte cospicua (vv. 936-1153). immediatamente dopo la lunga permanenza a Lemno, gli argonauti sbarcano nella Propontide, dove vengono accolti ospitalmente da alcuni degli abitanti dell’isola, i dolioni
del re Cizico. il territorio è però abitato anche da mostruosi giganti, che cercano di
bloccare la nave argo nel porto: tuttavia eracle, rimasto di guardia mentre i compagni esplorano il monte dindimo, reagisce efficacemente sventando il pericolo.
uccisi tutti i Gegenei`~, gli argonauti ripartono in gran fretta; una tempesta notturna, però, li spinge di nuovo sull’isola. Qui, complici le tenebre, Minii e dolioni
non si riconoscono: ne nasce una battaglia sanguinosa che provoca – per mano di
giasone – la morte dello stesso re Cizico. Solo all’alba le due parti riconosceranno
il reciproco errore, e gli argonauti dovranno scontare e placare le ire di rea.
Per molto tempo si è ritenuto, pressoché unanimemente, che l’episodio rappresentasse un raccordo narrativo col solo scopo di consentire uno sfoggio dell’eziologia da erudito di apollonio2. allo stato attuale alcuni tentativi, talora convincenti,
di riconsiderazione hanno contribuito a riconoscere al passo un valore ben diverso
da quello assegnatogli tradizionalmente3. infatti, è stato giustamente notato che,
1
d.n. Levin, Apollonius’ argonautica Re-examined. i. The Neglected First and Second Books,
Leiden 1971, p. 5.
2
Così, ad esempio, P. Händel, Beobachtungen zur epischen Technik des Apollonios Rhodios,
München 1954, p. 50: «eine plausible Handlung zwischen die überlieferten aitia».
3
Cfr. il già citato d.n. Levin, Apollonius’ argonautica, cit., pp. 87-109, che però vede ancora
nell’episodio «a number of narratives of individual incidents»; ma soprattutto la meritoria analisi di
J.J. Clauss, The Best of the Argonauts. The Redefinition of the Epic Hero in Book 1 of Apollonius’s
Argonautica, Berkeley 1993, pp. 148-175. una breve analisi anche in r.J. Clare, The Path of the Argo.
Language, Imagery and narrative in the argonautica of Apollonius Rhodius, Cambridge 2002. anco-
Maia 65 (1/2013) 37-54
03_Maia13,1_Morosi.indd 37
25/04/13 19:32
38
Francesco Morosi
a proposito di un poema marcato da una fortissima «ideologia sistematizzante»4 e
da una acribia compositiva che mette al bando qualsiasi elemento poeticamente
e tematicamente estraneo alla struttura centrale, è impensabile considerare il primo libro un’appendice narrativa gratuita e posticcia: apollonio, l’a[ptwto~ poihthv~
(an. subl. 33, 4), ha modulato tutto – dizione, temi, aspetti narrativi – per fare del
suo poema un’unità inscindibile. nessun episodio viene raccontato per il semplice
gusto del racconto; le Argonautiche, viceversa, sono attraversate da una fortissima tensione semantica: ogni elemento è portatore di significato, ogni deviazione è
contestualizzata, la divagazione erudita, se inutile all’azione principale, è espunta.
tutto, insomma, è indirizzato verso il nucleo da una poetica che si potrebbe definire
“centripeta”. Se questo è vero, allora anche l’episodio dei dolioni, lungi dall’essere
superfluo, deve anzi essere latore di un significato, costituire una tappa nella definizione del complesso tematico che presiede all’intera opera. Proprio questa osservazione deve motivare a interrogarsi sulle ragioni poetiche dell’inserzione del passo
e, quindi, sul senso che esso deve assumere nell’economia generale dell’opera.
a questo fine conviene anzitutto procedere a un esercizio di Quellenforschung5.
in effetti, l’episodio di Cizico non risulta nelle più importanti narrazioni precedenti:
né omero, né esiodo, né Pindaro – che al mito argonautico dedica quasi interamente la quarta pitica –, né, a quanto ci consta, i Naupactica6 e i Corinthiaca7 fanno riferimento allo scalo dai dolioni, mentre menzionano, ad esempio, Lemno e le Simplegadi. uno scolio8 ci informa che l’episodio doveva essere già stato narrato da
alceo e da Callimaco, come pare dimostrare un frammento sull’ancora della nave
argo attribuito da Pfeiffer al quarto libro degli Aitia 9. non v’è invece certezza,
pace Vian10, sulla presenza dello scalo ciziceno nel mito argonautico narrato in testi
anteriori all’Odissea. dunque, nonostante le informazioni in nostro possesso siano
ra cursoria, invece, l’analisi di a. Hurst, Apollonios de Rhodes, manière et cohérence. Contribution à
l’étude de l’esthétique alexandrine, roma 1967.
4
M. Fusillo, Il tempo delle Argonautiche. Un’analisi del racconto in Apollonio Rodio, roma
1985, p. 73.
5
osservazioni in merito sono già presenti, con diversi gradi di precisione, in a. Knorr, De Apollonii Rhodii fontibus quaestiones selectae, diss. Leipzig 1902, pp. 17-33; P.M. Fraser, Ptolemaic Alexandria, London 1972, i, pp. 627-630, F. Vian (ed.), Apollonios de Rhodes. Argonautiques, Paris 20094
(1974), i, pp. 28-34, J.J. Clauss, The Best, cit., pp. 148-150. un’utile panoramica è anche in L. Vecchio, Deioco di Proconneso. Gli Argonauti a Cizico, napoli 1998. in ultimo, l’argomento è affrontato
da a.-t. Cozzoli, Un poeta-filologo al lavoro. Apollonio Rodio e la storia di Cizico (1, 935-1152),
«aitia» 2 (2012), pp. 1-8, che propone, oltre alle fonti tradizionalmente riconosciute, anche un poema
esametrico di fondazione di Cizico.
6
Cfr. a. Bernabé (ed.), Poetarum Epicorum Graecorum testimonia et fragmenta, i, Leipzig 1987.
7
Cfr. FGrH 451, a. Bernabé (ed.), PEG, i.
8
Sch. ad a. r. i 955-960 c, 83 Wendel: krhvnh/ uJp∆ ∆Artak <ivh>
/ Ú ∆Artakiva krhvnh peri; Kuvzikon,
h|~ kai; ∆Alkai`o~ (fr. 440 Lobel-Page) mevmnhtai kai; Kallivmaco~ (fr. 109 Pf. = 212 Massimilla), o{ti
th`~ Dolioniva~ ejstin.
9
Call. Aet. iv fr. 108 Pf. (= 211 Massimilla): ∆Argw; kai; sev… Pavnorme, kaªtºe≥vdrame kai; teo;n
u{dwr. Cfr. sch. ad a. r. i 954, 83 Wendel: limh;n uJpevdektoÚ oJ Pavnormo~ limh;n th`~ Kuzivkou, ou|
oJmwvnumo~ povli~ ejn Sikeliva/.
10
F. Vian (ed.), Argonautiques, cit., i, p. 29: «À l’origine, on trouve un épisode “mythique” qui
doit remonter aux Argonautiques pré-odysséennes».
03_Maia13,1_Morosi.indd 38
25/04/13 19:32
La notte degli Argonauti. Eracle e Giasone a Cizico
39
tutt’altro che esaurienti, pare di potere inferire che l’incontro fra argonauti e dolioni fosse una parte secondaria dell’Hauptmythos argonautico, poco praticata dalla
letteratura “canonica”, e che la versione selezionata da apollonio sia un unicum.
Ciò non significa però che il poeta abbia proceduto in solitaria: al contrario, gli
scoli ci consegnano i nomi di diversi autori utilizzati come fonti sia per la descrizione generale dell’isola di Cizico11, sia per la narrazione dell’azione principale.
Si tratta di storiografi locali, mitografi, etnografi, di cui ora non possediamo che
qualche titolo o alcuni frammenti ma che apollonio, in ossequio al principio della
«pénétration du vérifiable dans le poème»12 che presiede all’intera sua opera, deve
avere compulsato con grande cura. i principali nomi che ci sono tramandati sono
quelli di deioco di Proconneso13, storico del v secolo a.C. e autore di un’opera in
almeno due libri su Cizico, di erodoro, mitografo di eraclea Pontica attivo nella
seconda metà del v secolo a.C.14, di eforo di Cuma15, di Callistene di olinto, di cui
apollonio utilizzò probabilmente il Periplo16. È complicato imporre alle informazioni contenute negli scoli un principio d’ordine credibile, anche perché si tratta in
gran parte di piccole notizie fuori contesto, e dunque difficilmente integrabili in un
quadro esaustivo e coerente. Si può però tentare di individuare alcune linee principali, a partire dal trattamento che dell’episodio doveva dare deioco, che, con il
suo Peri; Kuzivkou, era molto probabilmente la fonte principale della narrazione17.
Pare anzitutto che deioco non facesse mai il nome dei dolioni (F 4 Jacoby =
sch. ad a. r. i 961-963, 84 Wendel: Dhivoco~ tou;~ me;n Dolivona~ oujk oJnomavzei);
la popolazione di Cizico doveva essere invece di origine pelasga, come si deduce
da un importante frammento:
Cutou` limevno~ Ú Cuto;~ limh;n ejn Kuzivkw/ ou{tw kalouvmeno~. ejpeceivrhsan de; oiJ Pelasgoi; cw`sai aujtovn, w{~ fhsi Dhivoco~, kata; e[cqo~ to; pro;~ tou;~ Qessalouv~, uJf∆ w|n ejxebevblhnto, ou|to~ (v. 989 ss.) de; uJpo; tw`n Ghnenw`n fhsi kecw`sqai aujtovn, poihtikw`~18.
La notizia è confermata e ampliata anche da Conone, autore più tardo (i secolo
a.C. - i secolo d.C.) di un’opera di Diegeseis19:
kai; hJ Kuvziko~ de; Pelasgou;~ e[scen oijkhvtora~: kai; ga;r Kuvziko~ oJ ∆Apovllwno~, Pelasgw'n tw'n ejn Qessaliva/ basileuvwn, uJpo; Aijolevwn meta; Pelasgw'n ejkpeswvn, th;n Cer11
Per la quale cfr., tra gli altri, e. delage, La géographie dans les Argonautiques d’Apollonius de
Rhodes, Paris 1930 e F. Vian, L’isthme de Cyzique d’après Apollonios de Rhodes (i, 936-941), in d. accorinti (ed.), F. Vian. L’épopée posthomérique. Recueil d’études, alessandria 2005, pp. 63-72 (= F. V.,
«rev. Ét. gr.» 91 [1978], pp. 96-106).
12
a. Hurst, Le retour nocturne des Argonautes, «Mus. Helv.» 21 (1964), p. 235.
13
Cfr. FGrH 471 e L. Vecchio, Deioco, cit., in part. pp. 9-34.
14
Cfr. FGrH 31.
15
Cfr. FGrH 70.
16
Cfr. FGrH 124.
17
J.J. Clauss, The Best, cit., p. 148: «Most would agree that apollonius used deiochus’s account
on the story as his main source»; L. Vecchio, Deioco, cit., p. 144: «apollonio [...] segue in genere
molto da vicino deioco».
18
deioch. ap. sch. ad a. r. i 987a, 87 Wendel (= FGrH 471 F 7a).
19
Cfr. FGrH 26.
03_Maia13,1_Morosi.indd 39
25/04/13 19:32
40
Francesco Morosi
rovnhson th'~ ∆Asiva~ polivzei, dou;~ aujth'/ kai; tou[noma kai; hujxhvqh ejk tapeinh'~ Kuzivkw/
eij~ mevga hJ ajrchv, ajf∆ ou| Kleivthn th;n Mevropo~, o}~ tw'n peri; ÔRuvndakon cwrivwn ejbasivleue, gunai'ka hjgavgeto. OiJ de; meta; ∆Iavsono~ ejpi; to; devra~ ijovnte~ kativscousi pro;~
th;n Kuvzikon th'/ ∆Argoi', kai; maqovnte~ oiJ Pelasgoi; Qessalivda th;n nau'n, kata; mh'nin th'~
ejkbolh'~, nukto;~ ejmavconto th'/ ∆Argoi'. Kuvzikon de; lu'sai th;n mavchn ejpistavnta ajgnow'n
∆Iavswn kteivnei, pesovntwn kai; a[llwn Pelasgw'n: kai; hJ me;n ∆Argw; e[plei ejpi; Kovlcou~20.
dunque, stando agli scoli, a partire da quanto narra deioco (condiviso poi anche dalle altre fonti a nostra disposizione)21, giasone e i suoi compagni, una volta
approdati sull’isola, sarebbero stati attaccati dalla popolazione pelasga kata; e[cqo~,
per odio etnico: i Pelasgi erano giunti a Cizico proprio perché scacciati dalla loro
terra d’origine dai tessali, con cui gli argonauti condividevano le origini. il giovane re, che aveva in un primo momento concesso loro ospitalità22, cercherà poi
di impedire ai suoi di assalire i nuovi venuti ma, nella foga della battaglia, verrà
ucciso per errore da giasone.
gli scoli testimoniano anche un’altra linea narrativa relativa a Cizico, che attesta il combattimento tra eracle e i Ghgeneve~, giganti figli della terra, altri abitanti
dell’isola sobillati contro il grande eroe dall’astio di era. tale versione del mito è
fatta risalire dallo scoliasta a erodoro23:
Ghgeneve~ Ú touvtwn kai; ÔHrovdwro~ mnhmoneuvei ejn toi`~ ∆Argonautikoi`~, kai; o{ti ejpolevmhsan ÔHraklei`.
non si può dire con certezza se erodoro sia stato il prw`to~ euJrethv~ del racconto
della battaglia tra eracle e i giganti: si è variamente proposto di inserire la vicenda
tra le fatiche di eracle o di riferirla a delle Argonautiche pre-odissiache, complici
anche gli evidenti punti di contatto tra il racconto apolloniano di quanto avvenuto
a Cizico e l’episodio dei Lestrigoni nell’Odissea24. Pare però certo che questa linea
di tradizione si sia sviluppata in via del tutto indipendente rispetto a quella di cui
sono latori deioco, Callistene, eforo e Conone25.
da questa ricognizione emergono alcuni dati utili in relazione al trattamento che
della vicenda cizicena offre apollonio: esisteva un racconto del passaggio degli
argonauti da Cizico, sfruttato soprattutto dagli storici locali e dai mitografi, che
l’autore delle Argonautiche decise di includere nella sua narrazione; rispetto alle
sue fonti, però, sembra essersi preso alcune licenze. La differenza più macroscopica è la struttura binaria e oppositiva su cui apollonio sceglie di organizzare il
racconto: nel passo tutto è doppio, anche laddove le fonti non lo suggeriscono. Le
20
Conon. ap. Phot. Bibl. 186 (= FGrH 26 F 1, xli 3-5).
Cfr. Callistene ed eforo (ap. sch. ad a. r. i 1037-1038b, 92 Wendel = FGrH 124 F 6 = FGrH
70 F 61).
22
in merito, cfr. L. Vecchio, Deioco, cit., pp. 53-62 e 87-94 passim.
23
Pare convincente l’argomentazione di g. Knaak, Encheirogastores, «Hermes» 38 (1902), p.
293, nota 1 (poi accolta, tra gli altri, anche da Jacoby), che propone di riferire il frammento a un Kaq∆
ÔHrakleva piuttosto che alle sue Argonautiche, come invece suggerisce lo scolio.
24
Sui Lestrigoni, cfr. infra, pp. 47 ss.
25
Cfr. anche J.J. Clauss, The Best, cit., p. 149: «a completely unrelated story».
21
03_Maia13,1_Morosi.indd 40
25/04/13 19:32
La notte degli Argonauti. Eracle e Giasone a Cizico
41
popolazioni abitanti dell’isola diventano due (dolioni e Ghgenei`~), e due le accoglienze che gli argonauti ricevono. Ciò è segnalato anche dal duplice riferimento
letterario, come di consueto verbatim, che il nostro colloca in occasione dell’arrivo
di giasone e compagni (a. r. i 953-957):
“Enq∆ ∆Argw; prouvtuyen ejpeigomevnh ajnevmoisin
Qrhikivoi~: Kalo;~ de; Limh;n uJpevdekto qevousan.
kei'se kai; eujnaivh~ ojlivgon livqon ejkluvsante~
Tivfuo~ ejnnesivh/sin uJpo; krhvnh/ ejlivponto,
krhvnh/ uJp∆ ∆Artakivh/ 26.
Con queste parole apollonio vuole stimolare nei suoi lettori il ricordo di due celebri luoghi odissiaci: il primo è l’incontro tra odisseo e nausicaa e la descrizione
dell’isola dei Feaci (Od. vi 262-265):
aujta;r ejph;n povlio~ ejpibhvomen, h}n pevri puvrgo~
uJyhlov~, kalo;~ de; limh;n eJkavterqe povlho~,
lepth; d∆ eijsivqmh: nh'e~ d∆ oJdo;n ajmfievlissai
eijruvatai: pa'sin ga;r ejpivstiovn ejstin eJkavstw/27.
il secondo è l’arrivo presso i Lestrigoni (Od. x 105-108):
kouvrh/ de; xuvmblhnto pro; a[steo~ uJdreuouvsh/,
qugatevr∆ ijfqivmh/ Laistrugovno~ ∆Antifavtao.
hJ me;n a[r∆ ej~ krhvnhn katebhvseto kallireveqron
∆Artakivhn.
Più che dare una descrizione realistica di Cizico (su cui non pochi interpreti si
sono inutilmente lambiccati), apollonio sta creando qui una vera e propria “geografia letteraria”, fornendo riferimenti non spaziali ma intertestuali, che proiettano
il lettore verso due reminiscenze omeriche, e quindi due referenti, opposte: da un
lato il benvenuto ospitale e affabile di nausicaa – che rimanda alla generosità del re
Cizico e dei dolioni –, dall’altro l’accoglienza brutale e mostruosa dei Lestrigoni –
inevitabile prefigurazione dei Ghgenei`~ 28.
a questo sdoppiamento ne seguono altri: lo sdoppiamento degli sbarchi, lo sdoppiamento delle ascese sul monte dindimo e lo sdoppiamento dei combattimenti – eracle contro i giganti (i 989-1011) e gli argonauti contro i dolioni (i 1021-1052) –
che da sempre tutti gli interpreti hanno riconosciuto come il principale tratto di
26
L’edizione di riferimento delle Argonautiche che utilizzerò è quella di F. Vian (ed.), Argonautiques, cit.
27
ed. H. Van thiel, Homeri Odyssea, Hildesheim 1991.
28
ovviamente, l’opposizione tra Feaci e Lestrigoni esemplifica anche lo scontro tra civiltà e inciviltà, come è stato giustamente fatto notare anche da C. Cusset, Les argonautiques d’Apollonios de
Rhodes comme itinéraire à travers la sauvagerie, in M.-C. Charpentier (ed.), Approches et définitions,
Besançon 2004, pp. 31-52 e L.-n. andré, L’escale à Cyzique (Apollonios de Rhodes, Les argonautiques, i, 922-1152). Espaces phobiques, stéréotypes paysagers et transiguration, «rursus» 5 (2010),
pp. 2-22.
03_Maia13,1_Morosi.indd 41
25/04/13 19:32
42
Francesco Morosi
originalità nel racconto29. apollonio pare in effetti scegliere di narrare entrambi gli
episodi che, come si è visto, le sue fonti, da deioco a erodoro, raccontavano singolarmente, se non addirittura alternativamente: la battaglia tra giganti e argonauti
e quella tra questi ultimi e i dolioni. il nostro, insomma, decide non solo di dare
spazio (ampio) a un episodio minore rispetto all’Hauptmythos, ma anche di non
dare completo credito a una delle sue fonti, e di creare una versione del mito che a
quanto ci consta è del tutto nuova. Perché? Quale esigenza poetica e strutturale ha
spinto apollonio a fornire dell’episodio in questione una versione innovativa, che
di fatto è una Mischung tra due episodi indipendenti e con grande probabilità afferenti addirittura a due cicli mitici diversi? La motivazione addotta comunemente
è la volontà, da parte del poeta, di fornire una sintesi tra narrazioni disparate, che
avrebbe comportato delle difficoltà nel manovrare un insieme di fonti così eterogeneo: «apollonios a disposé d’une documentation abondante et contradictoire
et il a dû se livrer à un savant travail de synthèse»30. a monte dell’operazione del
poeta, starebbe dunque un esperimento di erudita eziologia di dubbia funzionalità
semantica. Questa spiegazione pare però sbrigativa e riduttiva: apollonio è sì un
poeta doctus, ma non un enciclopedista. deve esistere quindi una ragione poetica
e narrativa più profonda – e più coerente con le finalità tematiche del primo libro –
che ha spinto l’autore a innovare in questo modo la struttura dell’episodio.
Come ha correttamente messo in luce l’analisi di Clauss, il primo libro delle Argonautiche è attraversato, tra gli altri, da un Leitmotiv importante, la messa a punto
dello statuto dei suoi personaggi, ispirati a quello che è un «traditional feature of
epic poetry», l’eroe31: «From this point of view, Book 1 of the Argonautica serves
29
già a partire da Knorr, De Apollonii, cit., p. 24: «bis enim navem appulsam esse ab argonautis
enarrat, cuius rei ipsum primum extare testem adnotaverim».
30
F. Vian (ed.), Argonautiques, cit., i, p. 29. Simile la proposta di L. Vecchio, Deioco, cit., p. 117:
«il motivo del duplice combattimento, presente solo in apollonio, sembrerebbe funzionale a un suo
tentativo di composizione di diverse tradizioni imperniate, l’una, su un’accoglienza ostile, l’altra, su
una accoglienza ospitale degli argonauti da parte della popolazione locale».
31
Sull’“eroismo” delle Argonautiche si sono combattute lunghe battaglie critiche, e si è molto, e
variamente, scritto, a partire soprattutto dal contributo di J.F. Carspecken, Apollonius Rhodius and the
Homeric Epic, «Yale Cl. St.» 13 (1952), pp. 33-143, seguito poi, tra gli altri, da H. Fränkel, Ein Don
Quijote unter den Argonauten, «Mus. Helv.» 17 (1960), pp. 1-20; g. Lawall, Apollonius’argonautica.
Jason as anti-hero, «Yale Cl. St.» 19 (1966), pp. 119-169; F. Vian, ihswn amhcanewn, in d. accorinti (ed.), F. Vian. L’épopée posthomérique. Recueil d’études, alessandria 2005, pp. 48-62 (= id., in
e. Livrea - g. a. Privitera [eds.], Studi in onore di Anthos Ardizzoni, roma 1978, ii, pp. 1025-1041).
oggi, a partire dagli studi di Hunter (cfr. specialmente r.H., Short on Heroics. Jason in the argonautica, «Cl. Quart.» 38 [1988], pp. 436-453 e r.H., The argonautica of Apollonius Rhodius. Literary
Studies, Cambridge 1993), l’approccio è più “minimalista”. di questa concezione si possono condividere senz’altro i presupposti: la ridefinizione tematica del concetto di eroe non è l’intento prevalente
delle Argonautiche e nemmeno il punto focale del rapporto letterario con i modelli omerici. e tuttavia,
quello dell’eroe è un vettore essenziale del genere epico, con cui anche apollonio non può, anche a
prescindere dal suo rapporto con omero, non misurarsi: e infatti gli eroi sono tutt’altro che assenti, in
un poema che dichiara, con variatio omerica, come suo argomento i palaigenevwn kleva fwtw`n (a. r.
i 1). Perciò, senza volerne trarre generalizzazioni assiologiche sul concetto di eroe (che davvero non
paiono l’interesse di apollonio e che contraddicono ogni principio di buon senso testuale), non si può
evitare di analizzare il trattamento che degli eroi si dà nelle Argonautiche, o se si preferisce la costruzione stessa del sistema dei personaggi che presiede all’opera.
03_Maia13,1_Morosi.indd 42
25/04/13 19:32
La notte degli Argonauti. Eracle e Giasone a Cizico
43
as an introduction to the whole poem; for in this first book apollonius forges a new
kind of hero within the context of a recurrent thematic contrast between the man
of skill and the man of strength»32. La questione viene posta piuttosto presto dallo
stesso giasone e diventa rapidamente fondamentale. Prima che la nave argo spieghi le vele, il capo designato parla ai compagni e chiede loro di indicare il migliore,
τὸν ἄριστον, degli Argonauti (A. R. i 332-340):
“Alla mevn, o{ssa te nhi; ejfoplivssasqai e[oike,
pavnta mavl∆ eu\ kata; kovsmon ejparteva kei'tai ijou'si,
tw' oujk a]n dhnaio;n ejcoivmeqa toi'o e{khti
nautilivh~, o{te mou'non ejpipneuvsousin ajh'tai:
ajlla; fivloi, xuno;~ ga;r ej~ ÔEllavda novsto~ ojpivssw,
xunai; d∆ a[mmi pevlontai ej~ Aijhvtao kevleuqoi,
touvneka nu'n to;n a[riston ajfeidhvsante~ e{lesqe
o[rcamon uJmeivwn, w|/ ken ta; e{kasta mevloito,
neivkea sunqesiva~ te meta; xeivnoisi balevsqai.
dal primo discorso di giasone emergono subito due caratteristiche essenziali
della leadership che egli propone ai compagni: la comunanza dei processi decisionali e dell’impresa (336-337: xunov~ ... xunaiv) e una ridefinizione del concetto
di “migliore”. Per l’esonide, infatti, questi non coincide con quello che Clauss
definisce «man of strength», ma è tale solo in quanto ta; e{kasta mevloito (339), si
prende cura di ogni cosa. gli argonauti, però, intendono to;n a[riston in modo diverso: «it is obvious that they understand the “best” among the group to be a man of
strength»33. e infatti immediatamente pensano al qrasuv~ eracle (a. r. i 341-343):
’W~ favto. pavpthnan de; nevoi qrasu;n ÔHraklh'a
h{menon ejn mevssoisi, mih'/ dev eJ pavnte~ ajuth'/
shmaivnein ejpevtellon.
e soltanto il rifiuto di quest’ultimo (i 344-346) aprirà a giasone le vie del comando34. Come è abbastanza chiaro, apollonio prefigura già qui, prima ancora che
l’impresa abbia inizio, un contrasto fra eracle e giasone; ma non solo: lo tematizza,
ponendo la questione su chi sia il migliore degli argonauti. Proprio questa domanda – declinata sempre in forma narrativa – è, infatti, uno dei punti ineludibili non
solo del primo libro ma dell’intera opera: anche chi preferisce, in merito, una posizione più “minimalista”, deve riconoscere che il confronto fra i due è un motivo
importante nell’economia del poema35.
32
J.J. Clauss, The Best, cit., p. 3.
Ibi, p. 63.
34
È ovviamente di grande interesse il fatto, segnalato già da M. Campbell, Echoes and Imitations
of Early Epic in Apollonius Rhodius, Leiden 1981, p. 7, che il passo del rifiuto di eracle (specialmente
la sezione descrittiva: a. r. i 341-344) sia molto chiaramente esemplato da apollonio sull’assemblea
iliadica che sancisce la riconciliazione tra agamennone e achille (Il. xix, soprattutto 74-77), perfetto
esempio di due paradigmi eroici in netto contrasto.
35
Cfr. e.g. r. Hunter, The argonautica, cit., pp. 32-33: «the contrast between the two heroes is,
of course, real enough».
33
03_Maia13,1_Morosi.indd 43
25/04/13 19:32
44
Francesco Morosi
La figura di eracle è una delle più complesse e affascinanti del mito greco36, e
si nutre di una ambivalenza di fondo che la rende quasi impossibile da decodificare: «Heracles was, after all, the most ambivalent creature in greek myth»37. e lo
stesso apollonio, nella sua opera, decide di conservare questa ambivalenza, creando un personaggio imponente ma, al tempo stesso, sfuggente e contraddittorio.
nelle Argonautiche eracle è certamente il detentore legittimo, come lo era anche
in omero38, della bivh, una forza sconfinata e pressoché incontrastabile, una «ruthless savagery», un «superhuman power»39. apollonio non lesina a questo proposito
descrizioni ed episodi talora persino ironici per la loro sproporzione, come quello
della rottura del remo (a. r. i 1161-1171)40:
aujta;r oJ touv~ ge
passudivh/ mogevonta~ ejfevlketo kavrtei> ceirw'n
ÔHraklevh~, ejtivnasse d∆ ajrhrovta douvrata nhov~.
ajll∆ o{te dhv, Musw'n lelihmevnoi hjpeivroio,
ÔRundakivda~ procoa;~ mevga t∆ hjrivon Aijgaivwno~
tutqo;n uJpe;k Frugivh~ paremevtreon eijsorovwnte~,
dh; tovt∆, ajnoclivzwn tetrhcovto~ oi[dmato~ oJlkou;~
messovqen a\xen ejretmovn: ajta;r truvfo~ a[llo me;n aujtov~
a[mfw cersi;n e[cwn pevse dovcmio~, a[llo de; povnto~
kluvze palirroqivoisi fevrwn. ajna; d∆ e{zeto sigh'/
paptaivnwn: cei're~ ga;r ajhvqeson hjremevousai.
Per la verità, come è stato fatto osservare41, il personaggio è molto più complesso e la forza bruta non è l’unico elemento da prendere in considerazione nella sua
definizione. il risultato, come si diceva, è una complessiva ambiguità, dove però
l’elemento prevalente resta un eroismo fattivo, che travalica persino i confini dei
personaggi omerici. La sua particolarità non ne sminuisce infatti la grandezza e
l’incommensurabilità rispetto ai compagni: non ha torto Feeney nel segnalare che
«apollonius has left the impression that Heracles should not really be there. in
various ways, it will become increasingly and significantly apparent that Heracles
does not belong in this company»42. una distanza che volutamente suggerisce una
opposizione tra l’eroe tebano e i suoi compagni, e in modo particolare il capo della
36
Su eracle si vedano, tra gli altri, K.g. galinsky, The Herakles Theme. The Adaptations of the
Hero in Literature from Homer to the Twentieth Century, oxford 1972 e d.C. Feeney, Following After
Hercules, in Virgil and Apollonius, «Pr. Virg. Soc.» 18 (1986), pp. 47-85.
37
d.C. Feeney, Following, cit., p. 51.
38
Il. ii 658, 666; v 638; xi 690 ecc.
39
J.J. Clauss, The Best, cit., p. 204.
40
Qui la sproporzione diventa addirittura dismisura, che probabilmente attira ad eracle l’ira di
Poseidone (cfr. anche J.J. Clauss, The Best, cit., pp. 181-182).
41
S. goldhill, The Poet’s Voice. Essays on poetics and Greek Literature, Cambridge 1991, in part.
pp. 314 ss., e r. Hunter, The argonautica, cit., in part. pp. 25-36.
42
d.C. Feeney, Following, cit., p. 54. non è forse un caso che in più di un’occasione, quando è
ancora in scena, eracle venga raffigurato in disparte rispetto ai compagni. Cfr. ad esempio a. r. i 853856. e non è forse un caso nemmeno il fatto che in alcune fonti antiche (tra cui lo stesso erodoro) eracle
non facesse parte dell’impresa argonautica.
03_Maia13,1_Morosi.indd 44
25/04/13 19:32
La notte degli Argonauti. Eracle e Giasone a Cizico
45
spedizione. a differenza di quanto la critica ha a lungo pensato, il confronto tra
giasone ed eracle è in realtà una dialettica letteraria complessa, il cui fine non è di
mortificare le qualità dell’uno esaltando quelle dell’altro; l’eroe tebano è più che
altro un modello irraggiungibile, un “ideale regolativo” di eroe, «an untouchable
hero, a figure apart», che domina la scena anche quando è assente (o forse proprio
perché è assente): «Heracles may be disposed of, removed from the voyage, but as
a model he continues to echo throughout the adventures, not merely in difference
but also in similarity with the crew’s heroics»43. e l’insistenza con cui tornerà nel
corso del poema si spiega proprio con la sua funzione di paradigma (in positivo e in
negativo), tramite il quale il nostro procederà alla definizione dei suoi personaggi44.
all’interno di questa complessa relazione, che non sempre e non necessariamente procede per antifrasi, in più di un luogo apollonio ha però voluto suggerire
un confronto diretto tra giasone ed eracle, portatori, ancorché volutamente problematici, di valori spesso molto distanti tra loro. Va certamente sfumata l’idea, diffusa
per molto tempo, che il figlio di esone fosse un anti-eroe o un an-eroe, e che fosse
l’opposto speculare del tebano. giasone è un eroe, ma un eroe diverso rispetto ad
eracle. il più vecchio incarna ancora una forma di eroismo attivo: non a caso apollonio lo descrive raramente nell’atto di parlare o persino di argomentare (e quando
lo fa, i discorsi di eracle sono concisi e trancianti), ma preferisce darne un ritratto “in
azione”. il più giovane, invece, incarna una sorta di eroismo “passivo”, o per meglio
dire riflessivo. e infatti viene più spesso colto mentre tiene saggi discorsi (cfr. e.g.
a. r. i 331: eujfronevwn meteveipen) o mentre riflette in disparte (a. r. i 460-461):
e[nq∆ au\t∆ Aijsonivdh~ me;n ajmhvcano~ eijn eJoi' aujtw'/
porfuvresken e{kasta, kathfiovwnti ejoikwv~.
L’eroismo di eracle, qrasuv~ e kraterovfrwn45, non è meditativo e, ciononostante, ha un carattere di infallibilità; quello di giasone è invece portato a ponderare
ogni particolare (tant’è vero che, come già visto, per lui il migliore è colui che ta;
e[kasta mevloito), ed è esposto costantemente alla possibilità del fallimento (donde
gli deriva il proverbiale stato di ajmhcanivh46). L’uno, inoltre, è perfettamente au43
S. goldhill, The Poet’s Voice, cit., p. 315.
Si sarebbe tentati di scorgere nella visione di Linceo narrata nel quarto libro un riconoscimento
metaforico proprio di questo ruolo di exemplum in absentia assegnato ad eracle, sempre presente
anche se distante, e soprattutto irraggiungibile (a. r. iv 1477-1482): ajta;r tovte g∆ ÔHraklh'a / mou'no~
ajpeiresivh~ thlou' cqono;~ ei[sato Lugkeuv~ / tw;~ ijdevein, w{~ tiv~ te nevw/ ejni; h[mati mhvnhn / h] i[den
h] ejdovkhsen ejpacluvousan ijdevsqai: / ej~ d∆ eJtavrou~ ajniw;n muqhvsato mhv min e[t∆ a[llon / masth'ra
steivconta kichsevmen.
45
Sul valore da assegnare all’aggettivo, non persuade l’argomentazione di d.C. Feeney, Following, cit., pp. 52 ss., che propone un legame più stretto, almeno all’interno delle Argonautiche, con la
φρόνησις e prefigura quindi una sorta di bilanciamento nel carattere di Eracle di bivh e frhvn. il termine
è una chiara ripresa omerica (nell’Iliade è usato infatti anche a proposito di eracle: cfr. Il. xiv 324),
e proprio un passo omerico (questa volta in riferimento a odisseo), a mio parere, toglie ad esso ogni
ambiguità: si tratta di Od. iv 333-334, dove l’opposizione con ἀνάλκιδες chiarisce che non si indicano
saggezza o intelligenza, ma il coraggio.
46
anche quella riguardante l’ajmhcanivh è una vexatissima quaestio: non ha torto F. Vian, ihswn,
cit. nel negare al termine il riferimento a una “incapacità” da parte di Giasone; in realtà, ἀμηχανίη
44
03_Maia13,1_Morosi.indd 45
25/04/13 19:32
46
Francesco Morosi
tosufficiente e la sua presenza in un gruppo così folto è puramente casuale: dopo
l’abbandono in Misia, eracle riprende le sue fatiche, che porta a termine da solo e
di cui gli argonauti, nel loro difficoltoso inseguimento, troveranno soltanto le tracce. giasone, al contrario, insiste sull’unità del gruppo e sulla comunanza dell’impresa47 e fa quindi grande assegnamento sui propri compagni, cui rimette anche le
decisioni più delicate.
il contrasto tra giasone ed eracle, dunque, si sostanzia di aspetti caratterologici
e visioni del proprio ruolo spesso molto lontane; e tuttavia, sorprendentemente,
nel corso del poema – e in modo particolare del primo libro, dove eracle è ancora
propriamente parte della narrazione principale –, il confronto viene sì proposto,
ma molto raramente ottenuto tramite una comparazione chiara ed evidente tra i
due: per lo più si tratta di riferimenti minuti, talora anche intertestuali, e non della
costruzione volontaria di una opposizione puntuale48. io credo però che un punto
in cui un’opposizione di questo genere venga proposta nelle Argonautiche esista, e
che questo coincida proprio con l’episodio dei dolioni: qui apollonio non si limita
a suggerire singole differenze con piccoli tratti, ma istituisce scientemente un vero
e proprio paragone tra i due eroi. È questo intento, a mio parere, ad aver suggerito al poeta di selezionare (o forse addirittura di creare ex novo) una versione così
innovativa rispetto all’Hauptmythos, e di scegliere una struttura così fortemente
binaria e improntata allo sdoppiamento di ogni elemento. Come da consuetudine
apolloniana, poi, questa struttura viene organizzata in un andamento ad anello49: in
questo caso, però, pare che i due elementi che occupano le estremità dell’anello, i
misteri di Samotracia e i riti in onore di rea, fungano piuttosto da cornice simmetrica al reale centro dell’episodio, le due battaglie50. il fatto è, se possibile, ancora
più singolare se si considera che apollonio non ha una predilezione per le scene
di combattimento: nel corso di tutto il poema gli scontri in armi sono ridotti al
«couvre une large gamme de sens: il exprime le plus souvent le désarroi paralysant qu’on éprouve
devant une situation sans issue» (p. 55 = p. 1031), ovvero la presa di coscienza della complessità del
reale e della difficoltà nel trovare una soluzione.
47
Cfr. supra, p. 43.
48
r. Hunter, The argonautica, cit., p. 33 menziona «the different methods of dealing with the
Colchian and african serpents», «the contrast between the designs on Jason’s cloak and the bloody
scenes portrayed on Heracles’ belt in Homer» (che però richiede un riferimento intertestuale) e la
“non-similitudine” di a. r. iv 1337-1343, in cui giasone è paragonato a un leone che non suscita
paura, mentre eracle «is the very anthropomorphic manifestation of the lion» (anche in questo caso
però apollonio non è esplicito nel suo rimando).
49
J.J. Clauss,The Best, cit., pp. 151-3.
50
Quanto al fatto che il fulcro dell’intero passo di Cizico fosse nelle battaglie, può essere utile
osservare che tanto la battaglia con i giganti quanto quella con i dolioni sono incorniciate da due
similitudini (a. r. i 991 ~ a. r. i 1003-1011; a. r. i 1026-1028 ~ a. r. i 1049-1050). Come nota
giustamente V. Knight, The Renewal of Epic. Responses to Homer in the argonautica of Apollonius,
Leiden-new York-Köln 1995, p. 91 (anche se solo a proposito della seconda battaglia), «not only is
the device itself common in Homer’s battle scenes, but the debt to particular passages in the fighting
of the Iliad is clear. the location of the similes at either end of the battle has a programmatic function;
they frame a condensed version of the lengthy battles scenes of Homer, marking it off from the rest
of the episode».
03_Maia13,1_Morosi.indd 46
25/04/13 19:32
La notte degli Argonauti. Eracle e Giasone a Cizico
47
minimo, tanto da indurre alcuni a definire le Argonautiche un’opera «antibellica».
ebbene, delle poche battaglie del poema, due sono concentrate in un centinaio di
versi, proprio nel passo di Cizico. Perché? Perché raddoppiare le scene di guerra
in un poema che di solito le evita e complicare la struttura narrativa contro ogni
apparente convenienza?
a mio parere, la geminazione delle battaglie è stata introdotta da apollonio per
proporre, ed enfatizzare, l’opposizione tra eracle e giasone: il nostro conosceva le
due diverse tradizioni mitiche a proposito dell’isola di Cizico e ha deciso di sfruttarle entrambe, per creare un forte parallelismo tra i due eroi e mettere infine in
chiaro contrasto le loro caratteristiche. e, d’altra parte, lo scontro con i Ghgeneve~ è
una delle poche occasioni nel corso delle quali è protagonista incontrastato eracle,
che, come si è visto, sino ad allora aveva preferito tenersi in disparte: l’episodio è
dunque ancora più interessante, perché costituisce il suo unico vero atto “eroico”
mentre è ancora in scena.
Come già detto, nella costruzione dei giganti figli della terra e della loro battaglia, apollonio attinge a un passo decisivo – ancorché piuttosto sacrificato dal ritmo narrativo – per l’economia generale dell’Odissea, l’approdo all’isola dei Lestrigoni51. Come i Ghgeneve~, che sono un mevga qau`ma (a. r. i 943), hanno anch’essi
un aspetto tutt’altro che umano (Od. x 118-120):
oiJ d∆ aji?onte~
foivtwn i[fqimoi Laistrugovne~ a[lloqen a[llo~,
murivoi, oujk a[ndressin ejoikovte~, ajlla; Givgasin.
anche la loro modalità d’attacco – il lancio di pietre – è identica (Od. x 121-124):
oi{ rJ∆ ajpo; petravwn ajndracqevsi cermadivoisi
bavllon: a[far de; kako;~ kovnabo~ kata; nh'a~ ojrwvrei
ajndrw'n t∆ ojllumevnwn nhw'n q∆ a{ma ajgnumenavwn:
ijcqu'~ d∆ w}~ peivronte~ ajterpeva dai'ta fevronto.
Così infatti anche i giganti scagliano pietre per chiudere l’imboccatura del porto
e per colpire eracle (a. r. i 989-991, 994-995):
Ghgeneve~ d∆ eJtevrwqen ajp∆ ou[reo~ ajivxante~
fravxan ajpeiresivh/si Cutou' stovma neiovqi pevtrh/~,
povntion oi|av te qh'ra locwvmenoi e[ndon ejovnta52.
... toi; de; kai; aujtoiv
pevtra~ ajmfirrw'ga~ ajertavzonte~ e[ballon.
51
V. Knight, The Renewal, cit., p. 151 osserva che «while the allusions to Odyssey x are clear,
apollonius does not introduce the Laestrygonians into his poem in the way that he introduces Circe
and the other “odyssean” dangers in Book 4». Ciò è facilmente spiegabile con la prassi apolloniana:
l’autore vuole qui non fare ripercorrere agli argonauti le tappe esatte del viaggio odissiaco, ma semplicemente suggerire – anche se in modo piuttosto esplicito – una somiglianza nell’entità dei pericoli,
e quindi indirizzare i lettori verso una lettura comparata dei passi.
52
Anche la similitudine con il πόντιος θὴρ potrebbe richiamare l’immagine omerica di Od. x 124.
03_Maia13,1_Morosi.indd 47
25/04/13 19:32
48
Francesco Morosi
al modo apolloniano, ovviamente, il rimando intertestuale è anche qui portatore
di senso; e lo è, a mio avviso, in senso antitetico. Se l’entità del pericolo e il contesto generale di testo e ipotesto sono molto simili, infatti, lo sviluppo dell’azione
è molto differente. da un lato, la reazione di odisseo all’attacco improvviso dei
Lestrigoni non è da manuale (Od. x 125-132):
o[fr∆ oiJ tou;~ o[lekon limevno~ polubenqevo~ ejntov~,
tovfra d∆ ejgw; xivfo~ ojxu; ejrussavmeno~ para; mhrou'
tw'/ ajpo; peivsmat∆ e[koya neo;~ kuanoprwv/roio:
ai\ya d∆ ejmoi's∆ eJtavroisin ejpotruvna~ ejkevleusa
ejmbalevein kwvph/s∆, i{n∆ uJpe;k kakovthta fuvgoimen:
oiJ d∆ a{ma pavnte~ ajnevrriyan, deivsante~ o[leqron.
ajspasivw~ d∆ ej~ povnton ejphrefeva~ fuvge pevtra~
nhu'~ ejmhv: aujta;r aiJ a[llai ajolleve~ aujtovq∆ o[lonto.
L’eroe omerico sceglie, senza quasi esitazione, la fuga al combattimento, condannando di fatto la gran parte dei suoi compagni alla morte. nella scena delle Argonautiche, invece, accade qualcosa di completamente diverso (a. r. i 992-994):
ajlla; ga;r au\qi levleipto su;n ajndravsin oJplotevroisin
ÔHraklevh~, o}~ dhv sfi palivntonon ai\ya tanuvssa~
tovxon, ejpassutevrou~ pevlase cqoniv.
entrambi i personaggi agiscono rapidamente (Od. x 128 ~ a. r. i 993 ai\ya):
ma l’uno per scampare al pericolo, l’altro per combattere. La figura di eracle che
emerge da questo confronto è nettamente superiore a quella di odisseo ed è, coerentemente con l’hJqopoiiva apolloniana vista sopra, quella di un grande eroe, coraggioso e pronto all’azione. Ma la battaglia con i giganti mette in luce altri singoli
aspetti del carattere eracleo cui si è già fatto accenno. Su tutti, l’autosufficienza e
l’isolamento. anche se alcuni giovani compagni sono rimasti al suo fianco, si tratta
di un’aristia quasi completamente in solitaria: sin dall’avversativa ajllav al v. 992
è chiaro che il fuoco della scena è tutto su eracle, che guadagna immediatamente il
primo piano. il poeta non usa mai il plurale, ma si concentra sul singolare: eracle,
da solo, stende l’arco e abbatte gli avversari (i 993-994). ormai lo scontro è tra lui
e i Ghgeneve~, che infatti contro lui solo (i 994: toiv), e non contro tutti i compagni,
scagliano le pietre. L’arrivo degli altri sarà tardivo (i 998), la loro presenza quasi
accessoria e il loro contributo modesto. e infatti apollonio aggiunge una precisazione (a. r. i 996-997):
dh; gavr pou kajkei'na qea; trevfen aijna; pevlwra
”Hrh, Zhno;~ a[koiti~, ajevqlion ÔHraklh'i.
i Ghgeneve~, dunque, sono esplicitamente definiti ajevqlion ÔHraklh'i (v. 997),
un’impresa concepita con lo scopo di colpire il solo eracle, che sconta il proverbiale odio di era. Ciò è quantomeno singolare, se si pensa che giasone e i suoi
compagni potranno in più di un’occasione giovarsi del favore degli dèi e, in primis,
proprio di quello di era, che già viene menzionata nel proemio, lasciando presagire,
03_Maia13,1_Morosi.indd 48
25/04/13 19:32
La notte degli Argonauti. Eracle e Giasone a Cizico
49
tramite la spiegazione dell’offesa di Pelia, il ruolo decisivo che la dea giocherà nel
corso dell’intera avventura argonautica (a. r. i 12-14):
i{keto d∆ ej~ Pelivhn aujtoscedovn, ajntibolhvswn
eijlapivnh~ h}n patri; Poseidavwni kai; a[lloi~
rJevze qeoi'~, ”Hrh~ de; Pelasgivdo~ oujk ajlevgizen.
L’eroe tebano, invece, gode di un trattamento ben diverso e deve addirittura ingaggiare una lotta con mostri allevati (trevfen) dalla stessa era contro di lui. eracle
dunque combatte – e vince – anche contro l’odio degli dèi; gli argonauti spesso
avranno la meglio proprio grazie al favore degli stessi dèi.
La vittoria di eracle è certa e rapida: i nemici sono ben noti e riconoscibili,
l’azione precisa e facilmente conducibile a termine con successo. La scena è narrativamente e sintatticamente fluida, e si conclude in undici versi. anche questo è
un tratto poeticamente interessante, per spiegare il quale, credo, non serva ricorrere
all’avversione apolloniana per le scene di battaglia: apollonio, che è maestro di
condensazione ed espansione, ha voluto rendere anche per via testuale la facilità e
la sicurezza con cui eracle ottiene la vittoria sui suoi nemici. al combattimento viene poi abbinata una similitudine, anch’essa di tono omerico53: questa però non amplia la descrizione del combattimento, rendendola più estesa e quindi rallentandola,
ma sottolinea il momento successivo, la carneficina avvenuta; funge cioè da pausa
dopo un’accelerazione, ed enfatizza ancora una volta la grandiosità dell’impresa,
e non la sua complessità. essa contribuisce, insieme all’organizzazione stilistica e
sintattica del passo, a dare l’impressione, come osservava Clauss, che eracle sia «in
complete control»54.
Conclusosi l’a\qlo~, accade nel racconto un altro fatto singolare. gli argonauti
ripartono in gran fretta e apollonio lascia cadere senza portarli a compimento alcuni importanti fili narrativi: l’esplorazione del dindimo, in cui gli argonauti erano
impegnati e da cui dipendeva la scelta della rotta (i 985-986: o[fra ken aujtoiv /
qhhvsainto povrou~ keivnh~ aJlov~), non viene completata (i 998-999: uJpovtropoi ajntiovwnte~ / privn per ajnelqevmenai skopihvn); allo stesso modo i Minii non prendono congedo dai dolioni, che si erano dimostrati buoni ospiti. La navigazione
ricomincia in modo brusco e, nonostante si verifichi una tempesta55, apollonio non
53
Sebbene non sia possibile rinvenire un referente identico, anche per il grado di precisione della
similitudine apolloniana: Il. iv 482-487 (forse la più calzante); xiii 178-180, 389-391; xvi 482-484
(cfr. V. Knight, The Renewal, cit., p. 84).
54
J.J. Clauss, The Best, cit., p. 173. Cfr. infra, p. 53.
55
i versi con cui viene descritta la burrasca che respinge giasone e compagni a Cizico (i 10161017: ajlla; quvellai / ajntivai aJrpavgdhn ojpivsw fevron) sono stati giustamente messi in relazione da
J.J. Clauss, The Best, cit., pp. 162 ss. con un altro passo celebre dell’Odissea, il ritorno all’isola di eolo
(Od. x 48-49: tou;~ d∆ ai\y∆ aJrpavxasa fevren povntonde quvella / klaivonta~, gaivh~ a[po patrivdo~).
trovo meno condivisibile l’idea che il richiamo a quel passo voglia indicare qui, come nel caso di
odisseo, la contrarietà degli dèi, che sarebbe dovuta in questo caso all’impresa appena portata a termine da eracle: in apollonio, a differenza di omero, non c’è traccia esplicita dell’offesa a una divinità
e, nonostante i due versi citati, non si riscontrano altri punti in cui chiaramente il poeta insista sui
rapporti con eolo (cfr. anche C.M. dufner, The “Odyssey” in the “Argonautica”. Reminiscense, Revi-
03_Maia13,1_Morosi.indd 49
25/04/13 19:32
50
Francesco Morosi
si dilunga affatto su particolari tecnici56; così, tra il combattimento con i giganti e
quello con i dolioni interpone di fatto soltanto nove versi (1012-1020): una parziale abdicazione alla consueta esattezza che non può essere spiegata come momentanea imperizia compositiva, come una sorta di black out poetico, ma che risponde
ad altre esigenze. riducendo al minimo il materiale intermedio, apollonio vuole
fare cozzare le due battaglie, quella contro i giganti e quella contro i dolioni, l’una
contro l’altra in modo evidente, suggerendo un confronto diretto tra i due episodi.
il secondo scontro in cui sono coinvolti gli argonauti questa volta è più aspro,
merita uno spazio più ampio (vv. 1025-1052) e un ritmo più disteso. Si tratta di una
vera e propria aristia di gruppo, per configurare la quale apollonio attinge a piene
mani al modello più naturale, le scene di battaglia all’interno dei poemi omerici.
esistono anzitutto paralleli strutturali e narrativi57: il focus sul duello tra i due capi,
giasone e Cizico (1030-1036), è consueto nei poemi, così come il catalogo dei morti
(vv. 1040-1048) annovera numerosi precedenti58. allo stesso modo, il tema dell’eroe
che, morendo, lascia una vedova è altrettanto comune (si pensi al solo ettore);
colpisce soprattutto la somiglianza della situazione di Cizico, sposo da poco (i 975976), con quella di Protesilao, morto in battaglia dopo un giorno di matrimonio (Il. ii
700-702)59. Ma il nostro ha punteggiato l’intero racconto del conflitto anche di tessere lessicali omeriche60, con una frequenza sorprendente persino in un’opera così
improntata al riuso della lingua di omero come le Argonautiche. e così, il v. 1025,
che dà inizio alla battaglia: tw' kai; teuvcea duvnte~ ejpi; sfivsi cei'ra~ a[eiran, riproduce quasi verbatim un emistichio odissiaco, situato in apertura della strage dei
pretendenti (Od. xxii 201: tw; d∆ ej~ teuvcea duvnte) e la stessa espressione cei'ra~
a[eiran sembra una variazione dell’omerico cei'ra~ ejpifevrein; la clausola finale
del v. 1028, ejn de; kudoimov~, ricalca, con un piccolo aggiustamento sintattico, una
clausola iliadica (Il. xi 52: ejn de; kudoimovn). L’espressione avverbiale del v. 1030,
uJpe;r movron è già omerica (Il. xxi 517; Od. i 34, 35; v 436); il v. 1032 (ajllav min
Aijsonivdh~, tetrammevnon ijqu;~ eJoi'o) riecheggia diversi luoghi omerici (Il. xiii 542:
laimo;n tuvy∆ ejpi; oi| tetrammevnon ojxevi> douriv; xiv 403 tevtrapto pro;~ ijquv oiJ; xvii
227: twv ti~ nu'n ijqu;~ tetrammevno~); moi'ran ajnevplhsen, al v. 1035, pare attestare
una variante apolloniana (poi non condivisa da aristarco61), moi'ran ajnevplhvsh/~
biovtoio, di Il. iv 170. al v. 1049 uJpevtresan è collocato nella stessa sede metrica
sion, Reconstruction, diss. Princeton 1988, pp. 250-252 e V. Knight, The Renewal, cit., pp. 144-147).
il riuso omerico, dunque, come pure la menzione alla tempesta, appaiono qui puramente strumentali,
necessari a introdurre una nuova sezione narrativa e non portatori di significati ulteriori.
56
il che era parso sospetto anche ad a. Hurst, Le Retour, cit.
57
il genere di paralleli raccolti e catalogati da V. Knight, The Renewal, cit., pp. 84-93.
58
Cfr. e.g. Il. viii 273-277; xvi 692-697; xx 455-489 (aristie singole); per aristie di gruppo, cfr.
Il. xiv, 511-522; xv 329-342.
59
Sulle tangenze con il mito di Protesilao, cfr. V. Knight, The Renewal, cit., pp. 87-88. Se ciò fosse
vero, si potrebbe pensare anche a un qualche rapporto con la tragedia omonima di euripide.
60
La maggior parte delle quali sono state raccolte da a. ardizzoni (ed.), Apollonio Rodio. Le Argonautiche, libro i, roma 1967, ad loc. e da M. Campbell, Echoes, cit., ad loc.
61
Cfr. sch. a ad Il. iv 170, 481 erbse: moi`ran Ú †o{ti† «povtmon» aiJ ∆Aristavrcou, ouj moi`ran, wJ~
ejn tai`~ koinai`~.
03_Maia13,1_Morosi.indd 50
25/04/13 19:32
La notte degli Argonauti. Eracle e Giasone a Cizico
51
in cui si trova sempre in omero (ad esempio, Il. xv 636; xvii 275); al v. 1050,
ajgelhdovn è hapax omerico (Il. xvi 160: kaiv t∆ ajgelhdo;n); al v. 1027, rJiph'/ purov~ è
già iliadico (Il. XXi 12: uJpo; rJiph'~ purov~), e l’immagine dell’incendio che divampa
proviene dall’Iliade (Il. xi 155-157). infine, ejn konivh/si kai; ai{mati pepthw'ta del
v. 1056 richiama da vicino due versi dell’Odissea, ancora dalla strage dei pretendenti (Od. xxii 383-384: ejn ai{mati kai; konivh/si / peptew'ta~)62.
Questo pervasivo riuso di omero, per il quale Knight correttamente non ha trovato un parallelo unico che funga da modello prevalente, non può essere spiegato,
vista la sua estensione, soltanto come omaggio alla tradizione iliadica; apollonio
ha voluto semmai colorare l’intera battaglia di una credibile atmosfera omerica,
proiettando sui suoi protagonisti – e in modo particolare su giasone, che, come si
è visto, occupa nel racconto un ruolo preminente – una consistente patina eroica. il
poeta fa combattere gli argonauti come degli eroi tradizionali: nella forma, la loro
impresa è un atto impeccabile. Ciò anche a riprova del fatto che nella costruzione
del suo protagonista il poeta non si rivolga a un modello di anti-eroismo totalmente
antifrastico a quello omerico; giasone è perfettamente in grado di combattere al
modo degli eroi dell’epica (è interessante notare che il verso con grado più elevato
di ripresa omerica è il 1032, proprio quello che descrive l’uccisione di Cizico).
Ma le caratteristiche del figlio di esone sono più complesse, e apollonio le mostra
attraverso una tessitura poetica che parte sì da omero, ma non si ferma unicamente
a quel referente letterario.
nella costruzione del passo, infatti, l’autore mette in campo un altro paradigma, quello tragico. Si è osservato che il passo di Cizico, pur non essendo l’unico
nel corso delle Argonautiche a mettere di fronte il lettore a delle false apparenze
spazio-temporali, è il solo a ricorrere a un tema fondante dell’esperienza tragica,
l’aJmartiva63. L’errore si direbbe anzi il vero tema e il reale nucleo drammatico e
narrativo dell’episodio. Per la verità, in un racconto che è tutto giocato sull’espediente della duplicazione, anche l’errore è duplice. anzitutto sbaglia il giovane re
Cizico, illusosi di aver tenuto fede alla favti~ (i 969) e di essere in salvo, come lo
stesso apollonio osserva durante la battaglia (a. r. i 1035-1039):
A questo elenco potrebbe aggiungersi anche ἑοῖο del v. 1032; il caso però è complesso e investe
anche la scholarship apolloniana: per un resoconto completo dello status quaestionis, cfr. M. Fantuzzi, An Aristarchan reading of Apollonius’ «Argonautica», «Sem. rom. cult. gr.» 3 (2000), pp. 313-324,
in part. pp. 316 ss.
63
g. Paduano, Le apparenze dello spazio e del tempo nelle argonautiche, «St. it. fil. class.» 10
(1992), pp. 164-175, in part. pp. 171-172. Sul concetto di ἁμαρτία e sulla sua definizione concettuale
nella tragedia attica del v secolo, cfr. S. Saïd, La faute tragique, Paris 1978. nello specifico, poi, il
setting notturno ha suggerito a molti (in ultimo, a Y. durbec, Several deaths in Apollonius Rhodius’
argonautica, «Myrtia» 23 [2008], pp. 53-73) un confronto con il Reso pseudo-euripideo, a sua volta
discendente, come noto, dalla Doloneiva di Il. x (sul Reso come tragedia dell’errore, cfr. M. Fantuzzi,
La Dolonia del «Reso» come luogo dell’errore e dell’incertezza, in M. Vetta - C. Catenacci, [eds.],
I luoghi e la poesia nella Grecia antica. Atti del convegno, Università G. D’Annunzio, Chieti-Pescara, 20-22 aprile 2004, alessandria 2006, pp. 241-263). tuttavia non è facile, e non è prudente,
immaginare un rapporto di filiazione diretta tra un’opera e l’altra, tanto più in mancanza di appigli
testuali credibili.
62
03_Maia13,1_Morosi.indd 51
25/04/13 19:32
52
Francesco Morosi
[scil. moi'ran] th;n ga;r qevmi~ ou[ pot∆ ajluvxai
qnhtoi'sin, pavnth de; peri; mevga pevptatai e{rko~:
w|~ tovn, ojiovmenovn pou ajdeukevo~ e[ktoqen a[th~
ei\nai ajristhvwn, aujth'/ uJpo; nukti; pevdhsen
marnavmenon keivnoisi.
Qui il poeta mobilita concetti quasi tecnici, quelli di a[th, moi`ra e qevmi~, denunciando così il suo debito con la tragedia, debito che è anche accresciuto, se si pensa
che «il deficit della ragione umana si confronta con la conoscenza immutabile,
soverchiante, ironica dell’oracolo: a Cizico era stato detto di accogliere amichevolmente gli argonauti, ma l’averlo fatto non lo salva dall’inaspettata reduplicazione
della medesima esperienza»64.
Ma l’errore più grave, il principale, è beninteso quello che entrambe le parti
commettono non riconoscendosi (a. r. i 1021-1025):
oujdev ti~ aujth;n nh'son ejpifradevw~ ejnovhsen
e[mmenai: oujd∆ uJpo; nukti; Dolivone~ a]y ajniovnta~
h{rwa~ nhmerte;~ ejphvisan, ajllav pou ajndrw'n
Makrievwn ei[santo Pelasgiko;n “Area kevlsai:
tw' kai; teuvcea duvnte~ ejpi; sfivsi cei'ra~ a[eiran.
Si tratta di un errore di comprensione, di un difetto della ragione, dovuto – come
nel Reso – al buio notturno che tutto confonde (v. 1022: uJpo; nuktiv; concetto su cui
si insiste: cfr. anche i 1038). apollonio assomma, quasi in climax ascendente, una
serie importante di termini afferenti al campo semantico del pensiero razionale:
al v. 1021 ejpifradevw~ (da fravzw, il pensare discorsivo), ejnovhsen (v. 1021: la
comprensione intuitiva), e al v. 1023 nhmertev~ (composto negativo di aJmartavnw,
che tanta parte ha nella costruzione narrativa e concettuale del passo). Questo accumulo è senz’altro volontario e fa ancora più effetto visto l’impiego della doppia
correlativa negativa (vv. 1021-1022: oujdev ... oujd∆ ). La tragedia, dunque, nasce dalla
negazione del razionale: argonauti e dolioni non capiscono e non conoscono, combattendo così una battaglia fratricida. Soltanto quando il sole sarà sorto, al v. 1053,
le due parti torneranno in possesso della ragione: eijsenovhsan.
apollonio colloca questo accumulo di termini afferenti alla ragione e alla conoscenza in apertura della scena dello scontro tra argonauti e dolioni, come a volere
illuminare la battaglia immediatamente successiva, che è narrata, come si è visto,
in perfetta dizione omerica. È proprio dall’associazione insistita di errore tragico e
combattimento omerico che scaturisce il senso profondo del passo. gli argonauti
combattono sì una battaglia degna dei campioni iliadici, ma la vittoria che riportano –
e al lettore ciò è con ironia tragica chiaro fin dall’inizio del racconto – equivale di
64
g. Paduano, Le apparenze, cit., p. 172. La presenza dell’oracolo (a. r. i 969-971) fa ancora più
specie quando si considera che questa parte della vicenda non ci è testimoniata da nessun’altra delle
nostre fonti: «il motivo dell’oracolo ricevuto da Cizico, che consigliava di accogliere ospitalmente
eroi venuti dal mare, è presente solo in apollonio rodio» (L. Vecchio, Deioco, cit., p. 55). La visione
della vita e della libertà umana che emerge da questi versi permea di sé per intero il poema: cfr. ad
esempio a. r. iv 1503-1504.
03_Maia13,1_Morosi.indd 52
25/04/13 19:32
La notte degli Argonauti. Eracle e Giasone a Cizico
53
fatto a una sconfitta. essi compiono insomma un atto che nella forma non differisce
dal modello eroico tradizionale, ma che nella sostanza è guastato sin dalle fondamenta. La forza brutale della guerra che, in un’immagine bellissima (a. r. i 10511052), riempie la città di urla, stavolta è sprecata, annullata dall’errore tragico che
demolisce ogni certezza. Proprio la tensione drammatica tra diversi poli, armonici
ma distinti – il riconoscimento dell’inanità umana dinanzi alla necessità del destino, l’applicazione di un eroismo formalmente impeccabile e l’inganno delle apparenze spazio-temporali che conduce all’aJmartiva – costituisce il nucleo di senso di
questa sotto-sezione, e fonda il confronto con quella precedente, l’a\qlon di eracle.
anzitutto, come si è detto, mentre la prima era un’impresa quasi completamente
solitaria, questa è, nonostante la preminenza data all’uccisione compiuta da giasone, un’aristia di gruppo. Ciò è perfettamente coerente con lo spirito che guida i due:
da un lato una totale auto-sufficienza, che rende sempre la presenza altrui superflua
(proprio come nel caso della battaglia con i giganti), dall’altro invece la profonda
convinzione nella necessità di un’azione comune (cfr. a. r. i 336-337).
L’a\qlon di eracle, in secondo luogo, si compie con facilità e rapidità, sottolineate anche, come si è visto, da una sintassi molto scorrevole e dalla depurazione di
ogni elemento in sovrappiù rispetto alla scarna narrazione; al contrario, nella seconda
sotto-sezione il racconto è più lungo e più involuto, tramite l’inserzione di similitudini (1027-1028, 1049-1050), excursus riflessivi (1035-1037) e persino di un aition
(1047-1048), che interrompono la narrazione facendola procedere con maggiore lentezza. L’impresa è compiuta, ma non con la sicurezza e l’agio di cui dà prova eracle.
Soprattutto, però, il combattimento di eracle con i Ghgeneve~ si fonda su un principio di esattezza conoscitiva infallibile. La parola che apre la sotto-sezione eraclea
è il nome dei mostri (v. 989); la loro conformazione fisica, su cui apollonio si era
già dilungato (944-946), li rende inconfondibili: l’eroe reagisce improvvisamente e
non commette errori; la sua è un’azione ordinata, come suggeriscono prima ejpassutevrou~ (994) e poi, soprattutto, l’intera immagine del lavoro dei tagliaboschi,
che dispongono i tronchi tagliati stoichdovn (1004) e xunoch'/ (1006). L’azione di
giasone e dei suoi compagni, invece, si fonda sull’aJmartiva, su un errore originario,
su una confusione di soggetti che deforma la percezione – e la sostanza – dell’impresa bellica, raggiungendo il paradosso di risultare più rovinosa del combattimento con i giganti. inoltre, come già osservava Clauss65, la similitudine impiegata
per la battaglia con i dolioni, il fuoco che divampa nelle sterpaglie (1027-1028),
è molto diversa da quella dei tagliaboschi: eracle è in perfetta padronanza di sé e
della situazione; il figlio di esone, invece, è preso da una furia senza controllo.
L’a\qlon di giasone, al contrario di quello di eracle, deve insomma scontrarsi
con l’impossibilità per l’uomo di influire con certezza sul reale, con le limitazioni
che gli impone il destino, con la molteplicità oscura e ingannatrice del mondo,
una notte in cui si è costretti ad agire alla cieca. Paradossalmente, la distanza tra
giasone ed eracle si misura questa volta non tanto sulla forza, quanto soprattutto
sull’impatto del reale sui personaggi. alla base delle gesta dell’eroe tebano non c’è
inganno o ambiguità, non ci sono sfide conoscitive. La forza è bastevole, e si rivela
65
J.J. Clauss, The Best, cit., p. 173.
03_Maia13,1_Morosi.indd 53
25/04/13 19:32
54
Francesco Morosi
infatti infallibile. Gli Argonauti, invece, devono fare i conti con un νοῦς che può
essere raggirato e illuso: per loro il paradigma epico di cui eracle è il principale,
ancorché problematico, rappresentante nel poema non è più condizione sufficiente
alla definizione del loro eroismo. Questo non significa, ovviamente, abdicare a
qualsiasi forma di Heldtum, ma al modello offerto da eracle. Proprio la possibilità
dell’aJmartiva, che obbliga il nuovo personaggio apolloniano a non fare a meno del
nou`~ e lo espone anche allo scacco del dubbio66, conduce apollonio, come osservava anche Vian, a rivedere «le comportement de ses héros dans un monde où les
repères spatio-temporels sont de simples apparences»67. Questo è un processo di ridefinizione che opera sì «at the level of the single episode»68, ma che non si può non
riconoscere attraversi tutto il poema: il suo risultato complessivo è non la negazione completa dell’eredità omerica o più genericamente epica, ma la creazione di un
personaggio consapevole di una ben maggiore difficoltà nell’influire positivamente
sul reale e su un campo di forze che non conosce e non controlla più interamente.
di questo lungo processo lo scalo a Cizico costituisce una tappa ineludibile:
apollonio sceglie di assemblare due episodi mitici indipendenti, facendoli singolarmente ma intenzionalmente cozzare l’uno contro l’altro; carica entrambi di una
forte pregnanza letteraria e intertestuale, da cui, come sempre, scaturisce il significato profondo dell’episodio. da questa serrata comparazione narrativa – singolare
perché unica – tra le gesta di eracle e quelle di giasone emerge la connotazione del
suo protagonista che il poeta manterrà per tutto il corso dell’opera e che la critica
ha riconosciuto da tempo. nel fare ciò, il poeta non è mai esplicito, ma lascia al
lavoro di studio, strutturale, formale e intertestuale, del lettore la comprensione più
profonda del passo e dei suoi rapporti con l’economia generale del poema. Questo,
d’altra parte, è in accordo con il consueto metodo di apollonio, che, come noto,
«à la façon de son héros [...] aime pratiquer l’art du silence et de la suggestion»69.
Abstract: the episode of Cyzicus in book 1 of apollonius’ Argonautica, which has long
been considered a useless narrative connection, is on the contrary a fundamental point in the
deinition of Jason and the other Argonauts as characters and of their role in the poem. This
deinition is brought about by a direct contrast between Herakles’ deed against the Gegeneis
and Jason’s hamartia during the battle against the doliones. this paper tries to identify the
terms of this literary process, and supplies a brief analysis of both apollonius’ mythological
sources and of the use he made of them for his poetical purpose.
Keywords: Argonautica, Jason, Herakles, Cyzicus, doliones, Gegeneis, Hamartia.
66
Cioè, dell’ajmhcanivh (su cui cfr. supra, nota 46), che non a caso ritorna – in una delle sue prime
attestazioni nel poema – anche nel passo in esame, immediatamente dopo la scoperta dell’errore, ovvero immediatamente dopo la presa di coscienza razionale (i 1053-1054: hjw'qen d∆ ojloh;n kai; ajmhvcanon eijsenovhsan / ajmplakivhn a[mfw). Si potrebbe pensare che l’ἀμηχανίη sia caratteristica propria
dell’eroe apolloniano proprio perché è sua caratteristica propria anche il νοῦς.
67
Discussion di g. Paduano, Le apparenze, cit., p. 176.
68
r. Hunter, The Argonautica, cit., p. 17.
69
F. Vian, ihswn, cit., p. 62 (= p. 1038).
03_Maia13,1_Morosi.indd 54
25/04/13 19:32