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Galeria antica - città fantasma

2022, Vespertilla

Periodico romano di approfondimento culturale: arti, lettere, spettacolo "...non più una cultura che consoli nelle sofferenze, ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini..." Elio Vittorini, 1945 "Scrivere non è descrivere. Dipingere non è rappresentare." George Braque

“...non più una cultura che consoli nelle sofferenze, ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini...” Elio Vittorini, 1945 Periodico romano di approfondimento culturale: arti, lettere, spettacolo “Scrivere non è descrivere. Dipingere non è rappresentare.” George Braque “Quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti”. Karl Kraus “La tradizione è salvaguardia del fuoco, non adorazione della cenere”. Gustav Mahler VESPERTILLA - Anno XIX - n° 3 luglio-agosto 2022 VESPERTILLA Direttore Responsabile: Serena Petrini Direttore Editoriale: Luigi Silvi Condirettore: Ilaria Lombardi Vicedirettore: Francesca Martellini Segretaria di Direzione: Maria Pia Monteduro Hanno collaborato a questo numero: Silvia Guidi, Marina Humar, Ilaria Lombardi, Maria Pia Monteduro, Michele Ortore, Luigi Silvi, Marco Stacca. La collaborazione sotto ogni forma è volontaria e gratuita. Impaginazione grafica: Maria Pia Monteduro Editore: Associazione Culturale ANTICAMente via Sannio 21, 00183 Roma INFO 3476885334 [email protected] [email protected] Pubblicazione registrata presso il Tribunale Civile di Roma n. 335-05.08.2004 3 ARCHEOLOGIA SOMMARIO PAG . 4 A PADOVA SCAVI RESTITUISCONO INSEDIAMENTI DALL’ETÀ DEL BRONZO AL MEDIOEVO Scavi in via San Biagio e in via degli Zabarella, di Luigi Silvi PAG . 32 RIDATA VISIBILITÀ Luigi Silvi di 40 “PENNATO” STRUMENTO ARMA SIMBOLO RELIGIOSO di Luigi Silvi LA DOMUS DI IN SITU AI PAVIMENTI MUSIVI DELLA V IGNA G UIDI ALLE TERME DOMUS DI CARACALLA , G ALERIA ANTICA-CITTÀ FANTASMA, di Marina Humar DI TITO MACRO AD A QUILEIA , PAG . di Marina Humar PAG . 62 PAG . 112 4 Archeologia “PENNATO” STRUMENTO A La popolazione dei Liguri è stata, fino a qualche decennio fa, una delle meno conosciute e studiate dell’età preromana. Oggi il quadro si è reso più nitido: i confini delle aree popolate e controllate dai Liguri, probabilmente di etnia mediterranea, quindi pre-indoeuropea, corrispondevano agli attuali territori compresi tra la foce del Rodano e Pisa, le Alpi Occidentali, i due versanti dell’Appennino Settentrionale fino al Casentino. Spiccato senso di appartenenza etnica e grande desiderio d’indipendenza sono gli atteggiamenti che maggiormente caratterizzano il popolo ligure. Essi difesero infatti fino allo stremo i propri territori dai Romani, che iniziarono la loro penetrazione alla fine del III secolo a.C. La popolazione era divisa in tribù: Apuani o Apui, sulle colline pistoiesi, in Garfagnana, nell’alta Versilia e nella Valle del Magra, privi di strutture di tipo statale, erano organizzati in gruppi tribali e vivevano in villaggi fortificati o “castellieri”, costruiti sulle pendici dei monti o in collina; la struttura socio-economica era basata su pastorizia, caccia, pesca e su una rudimentale agricoltura montana; le attività relative a pastorizia e a raccolta del legname si svolgevano nelle terre della comunità, definite “Compasqua”. Frignati e Veleiati, che occupavano l’Appennino Emiliano, Statielli e Bagenni stanziati nell’attuale Piemonte, Sallughi e Oxybii nel Sud della Francia, Intemelii, Ingauni e Tigullii sulle coste. In più occasioni gli Apuani, popolazione bellicosa e dal marcato senso del sacro, in particolare l’animismo del culto della roccia, delle sorgenti e delle vette -dio delle vette era Pen/Pan, radice da cui prendono nome le montagne Apuane-, si distinguono come buoni strateghi: ad esempio nella battaglia del 186 a.C. inflissero una pesante sconfitta ai Romani comandati da Quinto Marcio Filippo; riuscirono, dopo averli accerchiati calandosi dalle alture circostanti, ad attirare in una gola i legionari, dove li massacrarono. Le cronache riportano che in tale circostanza gli Apuani utilizzarono un’arma micidiale: il “pennato”. Il “pennato”, falx arboraria dei latini, è costituito da breve impugnatura dalla quale si diparte una lama assai larga e lunga una quarantina di centimetri, terminante con punta ricurva in avanti, utensile appartenente alla famiglia dei falcetti e delle roncole, la cui morfologia risalente probabilmente alla tarda età del Bronzo. L’alta funzionalità da cui è contraddistinto consentì allo strumento di mantenere a lungo inalterate le proprie caratteristiche strutturali nell’arco di 3000 anni, tanto che è ancora utilizzato dai boscaioli. Da tempi remoti è collegato a forti simbolismi come la falce di Saturno e il falcetto d’oro dei druidi. Le incisioni sulle Alpi Apuane si contraddistinguono per le molteplici raffigurazioni di “pennati”. I confronti sono difficili perché, a oggi, graffiti simili sono stati trovati soltanto in Val d’Adige e ad Arco. Si può ripercorrere la lunga durata e l’ampia diffusione del “pennato”attraverso una serie di rinvenimenti archeologici. Ad Albegna presso Grosseto gli scavi hanno restituito un bronzetto votivo etrusco, risalente al III secolo a.C., raffigurante giovane nudo con grande “pennato” nella destra: trattasi probabilmente di rappresentazione di divinità campestre. Nell’agro Falisco, a Falerii Veteres presso Civita Castellana, su frammento del frontone del Tempio di Mercurio ai Sassi Caduti del IV secolo a.C., è raffigurato un guerriero che combatte con una lama ricurva assai simile a un “pennato”. Su sarcofago romano del II secolo d.C., conservato a Roma nei Musei Capitolini, scena di combattimento con guerriero impugnante “pennato”. Nel territorio di Arlena di Castro presso Viterbo sono state recuperate sei stele funerarie della famiglia dei Vetulii risalenti al II secolo d.C., sulle quali sono incisi “pennati”. Nel Museo dell’area archeologica di Luni stele votiva decorata a rilievo con uomo barbato tenente nella destra “pennato” e nella sinistra ramo d’albero. Sulla facciata del Duomo di San Martino a Lucca (XI secolo) e nei bassorilievi della pieve romanica di Brancoli presso Lucca (1062) 5 Archeologia ARMA SIMBOLO RELIGIOSO sono scolpiti due “pennati” contrapposti. In epoca moderna s’incontrano “pennati” incisi sul Monte Rovaio presso l’alpeggio di Campocatino, al fosso delle Comarelle e in località La Castellina; tali incisioni sovente sono personalizzate dalle iniziali del nome di chi le ha scolpite. Su un piccolo pianoro calcareo compatto del Monte Gabberi sono stati incisi addirittura diciassette “pennati”, assieme a due asce, due mazzuoli e tre croci, due alla latina e una alla greca, disposti a semicerchio, intorno a vaschetta rettangolare profonda cm 7; da cui si dipartono due canaletti in direzione Ovest. Su una sella della creste dell’Anguillara sono ancora visibili venticinque “pennati”, associati con simboli sessuali femminili, impronte di mani, graffiti filiformi (volute), arabeschi, fiori, due asce, una piccola dentro l’altra (dio Ascia padre e dio Ascia figlio), due cerchi, uno più grande dell’altro (dio Ruota padre e dio Ruota figlio o garzone), due falcetti arcaici; le lame pennate sono divise in gruppi e alcune di esse sono incrociate ortogonalmente a formare svastiche. Nel sito detto Roccia del Sole sono incisi circa cinquanta segni: una ventina di “pennati”, orme di piedi, impronte di mani, cerchi e rosoni a sei petali; il rosone, conosciuto anche come Sole delle Alpi, Rosa dei Pastori, o Fiore della Vita, è simbolo solare per antonomasia, scolpito sulle rocce dell’intero arco alpino: Val Camonica, Monte Bego e valli di Lanzo; è stato individuato anche su una stele etrusca di Vetulonia del VII secolo a.C., e su facciate e altari di antiche pievi. L’impronta di mano è considerata di valenza positiva e apotropaica, indica: presenza, possesso, protezione, consacrazione. Nel gruppo delle Panie sul Masso delle Girandole, su roccia, affiorante per pochi metri quadri dal terreno, sono stati incisi a martellina una ventina di “pennati”; in due rappresentazioni le lame, in gruppi di tre, sono sovrapposte a formare svastiche. Sulle Panie si trova anche l’altipiano carsico della Vetricia, dove s’incontrano Roccia del Rosone e Pietra Tonante; sulla prima numerose incisioni, visibili solo a luce radente: “pennati”, assai consunti, e figura femminile con profonda coppella nella zona vulvare, tutti compresi in grande cerchio di tre metri di diametro. La Pietra Tonante è anch’essa istoriata con: “pennati”, figura antropomorfa schematica, simile a quelle incise sulla Pera dij Crus in Val Chiusella nel Canavese, scena di caccia, attualmente unicum in Toscana. Le analisi diacroniche e iconografiche sul “pennato” rivelano che trattasi di manifestazione cultuale e religiosa. La presenza delle incisioni in altura e su rocce panoramiche dominanti, spesso allineate con il moto solare e con le vette delle montagne, fa pensare a luoghi in cui si svolgevano particolari adunanze, “conciliabula”, in cui venivano discusse problematiche di carattere socio-amministrativo e/o bellico. L’incisione del “pennato” ha funzione cultuale, sorta di ex-voto in segno di devozione a una divinità che antropomorfizza le forze naturali, ad esempio Silvano, etrusco Selvans, latino Silvanus. Un’immagine simile è venuta alla luce in un’antica cava di marmo presso Carrara; un’altra immagine riferibile a Silvano con “pennato” scolpita su ara votiva è conservata nel Museo archeologico di Bologna. In una roccia lungo il torrente Jenga, presso Vitulano Sannio, è scolpito Silvanus sempre con il “pennato” nella destra; a questo proposito va ricordato che i Romani, dopo la sconfitta definitiva degli Apuani, forzatamente li trasferirono in massa nel Sannio. Impronte di mani e orme di piedi fanno pensare a segni tracciati durante atti simbolici nei riti di passaggio dall’adolescenza alla maturità virile. Nelle culture primitive l’iniziazione è necessaria e fondamentale per l’acquisizione dell’identità riconosciuta di appartenenza alla comunità, in questo caso la tribù apuana. La consegna del “pennato”, abbinata al rito della sua incisione sulla roccia, certificava il nuovo status: questo per l’importanza fondamentale che rappresentava tale strumento per l’uomo di montagna. Luigi Silvi 6 Archeologia “Pennati”, Alpi Apuane, Sella dell’Anguillara. 7 Archeologia Gruppo di incisioni legate a riti iniziatici, Alpi Apuane, Roccia del Sole. 10 “Pennati” incisi, Alpi Apuane, rocce sacre dell’ Amguillara, luogo dove si svolgevano i conciliabu ula degli Apuani. 11 12 Archeologia Orma, “pennato” e impronta di piccolo piede, Alpi Apuane, Roccia del Sole. 13 Archeologia 14 Gruppi di “pennati” formanti svastiche, Alpi Apuane, Masso delle Grandole. 15 16 Rosone a sei petali sovrapposto a “pennati”, Alpi Apuane, Altipiano della Vetriccia. 17 18 Archeologia 19 Archeologia “Pennato”, inciso a martellina piena, Alpi Apuane, Fosso delle Comarelle . 20 Archeologia 21 Archeologia Guerriero impugnante “pennato”, Valcamonica, roccia 12, Seradina. 22 Archeologia 23 Archeologia Stele votiva dedicata a Silvano, Luni, Museo del parco archeologico. 24 Archeologia Roncola incisa, associata a croci cristiane, Arco, riparo sotto roccia. 25 Archeologia 26 Archeologia 27 Archeologia Stele funeraria della famiglia dei Veturii, in alto “pennato”, II secolo d.C,, Artena di Castro. 28 Archeologia 29 Archeologia Guerrieri duellanti, uno impugnante “pennato”, da acroterio del Tempio di Mercurio ai Sassi Caduti, Falerii Veteres agro falisco, Falerii Veteres, presso Civita Castellana, Roma, Museo Nazionale di Valle Giulia. “Pennati”, Lucca, facciata Cattedrale di San Martino, tarsie, a destra dettaglio: due “pennati” affrontati ai lati di r rosone, tra due canidi correnti. 31 Archeologia 32 Archeologia A PADOVA SCAVI RESTITUISCONO INSEDIAM Scavi in via San Biagio e via degli Zabarella Recenti scavi hanno messo in luce una complessa stratigrafia che interessa un ampio orizzonte cronologico che va dalla protostoria al M e d i o e v o n e l l ’a r e a t r a l e v i e d e g l i Zabarella e la via di San Biagio, relativa a un settore urbano presso l ’a n t i c a s p o n d a f l u v i a l e e l ’a r e a m o n u m e n t a l e d i e p o c a r o m a n a d i Po r t a Altinate. Le indagini sono state avviate in occasione della costruzione d i u n ’a u t o r i m e s s a s o t t e r r a n e a p e r una struttura residenziale, realizz a t a n e l l ’a r e a g i à o c c u p a t a d a l l ’e x Intendenza di Finanza e prima ancora dal cortile del Monastero di San Bernardino dei Minori Osserv a n t i , c o s t r u i t o s u l s e d i m e d e l l ’a n tico monastero di santa Chiara, fondato nel 1349, sul quale poi viene costruita la chiesa di san Bernardino; tale chiesa rimarrà intatta f i n o a l l ’o c c u p a z i o n e n a p o l e o n i c a , quando nel 1810 verrà demolita la facciata su via Zabarella. Le indagini confermano quanto già documentato in contesti più ridotti: le dinamiche insediative e di sviluppo urbanistico di Patavium a partire dalle origini dell’insediamento protostorico. Il sedime era protetto dalla fondazione monastica del 1439, che, pur avendo intaccato con le sue fondamenta parte delle fasi romane, ha sostanzialmente preservato il deposito archeologico. Si è raggiunta la profondità relativa alle prime fasi dell’insediamento, risal e n t i a l l a s e c o n d a m e t à d e l l ’e t à d e l Bronzo Medio; si sviluppa un imp i a n t o c o n u n ’o r g a n i z z a z i o n e u r b a nistica che presentava impianti residenziali e anche artigianali, caratterizzati da focolari e fornaci, prospicienti le sponde di un canale navigabile. Nei secoli l’impianto si sviluppò con variazioni assai minime; gli spazi rimasero invariati f i n o a l l ’e t à d e l F e r r o , q u a n d o v e n nero impiegati materiali più solidi per il piano di calpestio. Dalla seconda metà del III secolo a.C., in piena romanizzazione, si assiste a un profondo cambiamento, che non v a r i a l ’o r i e n t a m e n t o d e l l ’ i m p i a n t o urbanistico, ma concerne le tecniche urbanistiche, che consentono di realizzare edifici di grandi dimensioni c o n l ’ u t i l i z z o d e l l a p i e t r a . L’a r e a è divisa in due lotti dalla diversa destinazione, separati da una strada impostata sul tombinamento del canale navigabile. A Sud due edifici separati da un vicolo, diversi per i m p i a n t o e t e c n i c a c o s t r u t t i va , u n o a d e s t i n a z i o n e r e s i d e n z i a l e , l ’a l t r o c o m m e r c i a l e . A N o r d v e r s o l ’a r e a m o n u m e n t a l e d i Po r t a A l t i n a t e s o r - 33 Archeologia MENTI DALL’ETÀ DEL BRONZO AL MEDIOEVO Lacerto musivo, con tessere in bianco e nero da ambienti indagati dallo scavo. sero due edifici, probabilmente pubblici, dotati di ambienti di grandi dimensioni, che hanno restituito frammenti di intonaci dipinti, in primo stile pompeiano, e lacerti di pavimentazioni musive e in opus s i g n i n u m . L’a s p e t t o m u t a a l l a f i n e d e l l ’e t à r e p u b b l i c a n a : i d u e e d i f i c i a Sud sono uniti in un unico grande c o m p l e s s o . Ve n g o n o q u i n d i r e a l i z zate trincee di sostruzione colmate con un deposito, di forma rettangolare, su cui impostare il nuovo edificio, che sfrutta solo parzialmente quello precedente. La strada viene basolata, nella parte a Nord entrambi gli edifici vengono restaurati senza mutarne l’impianto. Gli e d i f i c i r e s t a n o i n u s o f i n o a l l ’a l t o M e d i o e v o , n e l I V- V s e c o l o v i e n e cambiata la suddivisione interna dei vani e degli spazi. Viene probabilmente realizzato un porticato lungo la via basolata e avvengono le prime spoliazioni delle strutture classiche. Nella grande quantità di manufatti rinvenuti vi sono anche svariati attrezzi da lavoro, strumenti per la tessitura monete e manufatti ceramici, di cui una buona parte presenta bolli bilingui, venetico/latino, ed elementi di statue fittili. Luigi Silvi 34 Archeologia Scavi tra via di San Biagio e via degli Zabarella. 35 Archeologia Una delle aree di scavo, tra via di San Biagio e via degli Zabarella. 38 Archeologia Dettaglio di vaso con impresso bollo bilingue venetico/latino. 39 Archeologia 40 Archeologia RIDATA VISIBILITÀ IN SITU AI PAVIMENTI MUSIV La domus di Tito Macro ad Aquileia occupava trasversalmente un’insula della città nei pressi della Basilica patriarcale, tra due cardines paralleli in senso Nord Sud, uno dei quali ancora conservato. I primi rinvenimenti di superfici musive in questo sito risalgono al periodo austro-ungarico e, come era comune all’epoca, si procedette al dis t a c c o e a l l ’e s p o s i z i o n e m u s e a l e , d e contestualizzandoli. Ta p p a fondamentale per lo studio della domus fu l’acquisizione dell’area al demanio statale nel 1958, prima volta in cui un complesso di edilizia privata è stato ritenuto degno di tutela. Negli anni ’70 i m o s a i c i ve n n e r o r i c o l l o c a t i i n s i t u s u massetti di cemento, sovrapponendo le fasi più recenti a quelle più antiche con il metodo delle cosiddette “palafitte”. Dal 2009 si è dato inizio a uno scavo sistematico, puntando sulla ricostruzione dei volumi tramite coperture e sul mantenimento in situ dei mosaici, sottoposti ad accurati restauri. Attualmente è in corso la rilettura dell’articolazione storico-urbanistica e storico-architettonica: si studiano le tracce delle antiche mura urbiche della colonia repubblicana, risalenti alla fondazione della colonia stessa nel 181 a . C . , c o l o n i a c h e f u a va m p o s t o d i Roma vero le regioni del Nord e sede d’importanti comandi dell’esercito romano, le legioni partirono da qui per la conquista delle regioni balcaniche e danubiane. Un successivo scavo, compreso tra due cardines (strade lastric a t e ) , c h e d e f i n i va n o u n i s o l a t o sud-orientale del piano urbanistico, ha c o n s e n t i t o d i i n d a g a r e l ’e s t e n s i o n e dell’intera domus di Tito Macro. Lo scavo in estensione e in profondità ha permesso la ricostruzione della storia della domus fin dalla sua costruzione in età repubblicana (100-90 a.C.), quando assunse articolazione ad atrio di chiara derivazione centro-italica. Si sono poi seguite le trasformazioni nel I secolo d.C.: la costruzione di un grande peristilio chiuso e le evoluzioni di epoca tardo-imperiale (IV secolo d.C.), fino alle fasi precedenti di poco il sacco di Attila (452 d.C.) e l’ultima fase nel VI secolo d.C. Quando le nuove ricerche hanno portato alla cons a p e vo l e z z a c h e i l l i m i t e o c c i d e n t a l e d e l l a d o m u s r i c a d e va a l d i f u o r i d e l fondo demaniale, la Fondazione Aquileia ha provveduto all’acquisizione del t e r r e n o p r i va t o c o n t i g u o , p e r c o n s e ntire la totalità dello scavo. Nel I secolo a . C . l a d o m u s o c c u p a va s o l t a n t o m e t à della larghezza dell’insula in cui era i n s e r i t a ; a ve va u n i m p i a n t o a d a t r i o , primo in assoluto ad Aquileia; tra fine I secolo a.C. e inizio I secolo d.C., anni della grande, espansione che favorì il r i n n o va m e n t o u r b a n i s t i c o , l a c o s t r u zione di teatro e anfiteatro e la riconfig u r a z i o n e d e l l ’a r e a d e l F o r o . L a prosperità della città favorì importanti interventi di ristrutturazione e di abbellimento anche nell’edilizia privata: tra questi la domus di Tito Macro, che si ritrovò in una posizione assai più centrale, perché il perimetro della cinta muraria repubblicana era diven- 41 Archeologia VI DELLA DOMUS DI TITO MACRO AD AQUILEIA tato insufficiente a contenere la città, e n e ve n n e a b b a t t u t o i l l a t o m e r i d i o n a l e p e r c o n s e n t i r e l ’e s p a n s i o n e u r b a n a ve r s o l a z o n a d o ve , i n e t à tardo-antica, sorgerà la grande basilica paleocristiana. Probabilmente il proprietario acquisì una casa adiacente al nucleo originario per articolare l’ins i e m e d a u n c a r d i n e a l l ’a l t r o d e l l ’ i n sula. La domus, nel momento di m a s s i m a e s p a n s i o n e , c o p r ì u n ’e s t e n sione di 1.700 metri quadrati (77 metri di lunghezza e 25 metri di larghezza massima), che la rende una delle residenze romane più ampie, se non la più grande, tra quella finora note in Italia s e t t e n t r i o n a l e . L’a t t r i b u z i o n e a T i t o M a c r o d e r i va d a l r i t r o va m e n t o d i u n peso di pietra con maniglia di ferro e iscrizione T. MACR. Dalla domus provengono un anello d’oro e pasta vitrea (II-III secolo d.C.), 1.200 monete, tra le quali il sesterzio aureo di Massimino il Tr a c e ( 2 3 5 - 2 3 6 d . C . ) , m o r t o a d A q u i l e i a , u c c i s o d a i s u o i s o l d a t i , c h e a ve vano assediato senza successo la città, rimasta leale a Roma: il busto di Massimino è laureato, drappeggiato e loric a t o . N e l l a z o n a d e l l ’a t r i o è t o r n a t o alla luce un tesoretto composto da 560 monete, nascosto in una buca intorno al 460 d.C., nei turbolenti anni successivi alla presa di Aquileia da parte di Attila. Ulteriori indagini hanno consentito di documentare trasformazioni e r i n n o va m e n t i , t r a c u i i l g r a n d e m o saico della pesca, che sarà ricollocato nell’oecus. Dallo stesso isolato provengono il mosaico con Ratto d’Europa, il pavimento con tralcio di vite, il “pavimento non spazzato”, ora esposti al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia, e il mosaico del Buon Pastore, c o l l o c a t o p r o v v i s o r i a m e n t e a Pa l a z z o M e i z l i k , s e m p r e a d A q u i l e i a . L’ i n g r e s s o s i a p r i va s u l c a r d i n e o c c i d e n t a l e , i m m e t t e va i n u n a t r i u m s o r r e t t o da quattro colonne, con vasca centrale p e r l a r a c c o l t a d e l l ’a c q u a , r i c o s t r u i t a sulla base dei resti in fondazione, e un pozzo, di cui è stata rinvenuta parzialm e n t e l a ve r a , i n t e g r a t a n e l l a p a r t e mancante: il pozzo era poco profondo, perché ad Aquileia la falda acquifera è quasi a livello del suolo; due ali later a l i s i m m e t r i c h e d i l a t a va n o l o s p a z i o d e l l ’a t r i o s t e s s o . I l t a b l i n u m ( g r a n d e aula di ricevimento) in perfetta asse con l’ingresso, ha soglia in mosaico c o n m o t i vo a m e a n d r o e p a v i m e n t o a scacchiera di triangoli in tessere bianc h e e n e r e . I l p a v i m e n t o m u s i vo d e l largo corridoio, che collega l’atrium al viridarium retrostante della domus, è stato sottoposto a restauro, perché parte delle tessere, scavate in passato e rimaste in situ, sono saltate a causa del surriscaldamento estivo e delle gelate. Su detto corridoio nel lato Sud si affacciano sei ambienti di soggiorno: un cubiculum (stanza da letto) con dec o r a z i o n e m u s i va b i p a r t i t a , u n t r i c l i n i u m d o ve s i s vo l g e va n o b a n c h e t t i e convivi; gli altri erano ambienti di servizio. Le superfici mosaicate rappresentano un campionario di arte musiva aquileiese tra gli ultimi anni del I secolo a.C. e i primi decenni del succes- 42 Archeologia Aquileia, domus di Tito Macro con passerella d’accesso. 43 Archeologia 44 Archeologia sivo. Il viridarium con fontana era circondato da un ambulacro, chiuso almeno su tre lati da muri pieni: rappresenta un adattamento del modello classico del viridariuma peristilio dell’Italia centro-meridionale al clima non sempre favorevole delle latitudini aquileiesi. All’angolo nord-occidentale u n a p i c c o l a s t a n z a c o n s e r va u n m o saico policromo con cervi e cane (fine I I - i n i z i I I I s e c o l o d . C . ) ; s u l l a t o o c c identale l’oecus, grande sala di rappres e n t a n z a , c o n p a v i m e n t o m u s i vo a tessere bianche, delimitato da due fasce nere. A Nord la cucina con bancone in muratura; lungo il cardine orientale quattro botteghe: una ospitava una panetteria, vi sono conservati i resti del forno per la panificazione e della postazione per la macina, le altre tabernae. Dei 29 ambienti della domus 2 4 h a n n o r e s t i t u i t o r i ve s t i m e n t i m u sivi, per una superficie di 320 metri quadrati, che presentano strette correlazioni stilistiche con quelli della vicina basilica. La domus è inserita nel percorso tra area basilicale e palazzo episcopale da una parte, e porto fluv i a l e d a l l ’a l t r a . L a f r u i z i o n e d e i b e n i c u l t u r a l i n o n i n t e r m i n i e s c l u s i va mente numerici, ma di qualità, nel segno dell’accessibilità e della sostenibilità, sono alla base della copertura della domus di Tito Macro. Per quanto concerne ricostruzione e anastilosi, si è di fronte a un dilemma mai risolto. Quando Rosario Romano a fine anni ’70 proponeva l’anastilosi del tempio G di Selinunte, distrutto da un terremoto i n e t à a r c h e o l o g i c a , s u l C o r r i e re d e l l a S e r a C e s a r e B r a n d i s c r i ve va : “ R i n c o l l a r e i c o c c i d i u n va s o è c o s a b e n d i - versa che tirar su le membra disciolte di un monumento” e questo pesava ancora di più quando dette membra erano ormai consacrate come parti del paesaggio storico. I due studiosi conc o r d a va n o s u l l a n e c e s s i t à d i i m p e gnarsi con tutti gli sforzi possibili a rendere comprensibile il significato di quei ruderi e, più in generale, di tutti i reperti archeologici che abbondano nel nostro Paese e che troppo spesso sono lasciati a se stessi. Il problema dell’anastilosi, ricostruzione dei monumenti, è problema che nel corso del tempo continua a porsi, nella stessa Selinunte è stata effettuata nel 1959 l ’a n a s t i l o s i d e l Te m p i o E . I l d i b a t t i t o su ogni ricostruzione verte sempre su due temi: giudizio critico che deve aiutare, non orientare comprensione e conoscenza; il progresso scientifico e tecnologico teso a proiettare quasi fisicamente nel futuro idee e cose, nella c o n s a p e vo l e z z a c h e l e c o s e “ n o n sono”, ma “divengono”. Il problema è trovare il punto d’equilibrio tra tutela, restauro, ricostruzione filologica, leggibilità e godibilità. Nel caso dell’abit a z i o n e d i T i t o M a c r o s i c e r c a va u n a copertura non come le tante realizzate nei siti archeologici di tutto il mondo, ma qualcosa che fosse l’esito di un approfondimento degli studi condotti sulle testimonianze emerse dagli scavi. In questo caso sono gli scavi a dettare la copertura. Sia forma che dimensione della copertura discendono dalle notizie raccolte dagli archeologi; da queste d e r i va u n d i s e g n o i n t e r p r e t a t i vo d e l l’articolazione spaziale e figurativa nel momento di maggior splendore della domus. Tra grandi difficoltà, a comin- 45 Archeologia ciare dal fatto che non vi era spazio per eventuali errori di calcolo, di programmazione e di realizzazione, che non sarebbero potuti essere corretti in opera. Le strutture verticali in acciaio, in rosso pompeiano, s’inseriscono tram i t e m i c r o p a l i ve r t i c a l i d i 1 5 m e t r i c i a s c u n o , i n f i l a t i n e l s o t t o s u o l o . Ta l i sostegni accolgono le sovrastrutture di copertura in acciaio e legno e le falde d i c o p e r t u r a i n ve t r o e t e g o l e , r e a l i z zate sul modello romano di embrici piani e coppi, per una superficie 1.400 metri quadrati, studiate per consentire a l r i g u a r d a n t e d i p e r c e p i r e vo l u m i , cortili e fonti di luce della domus. Le pareti perimetrali sono realizzate con frangisole in cotto e acciaio, in parte orientabili per chiudere il volume ricostruttivo della domus. Sono stati utilizzati 1.100 metri cubi di legno, p r o ve n i e n t i d a i m o n t i d e l l a C a r n i a , come le maestranze dei montatori. L’a c c e s s i b i l i t à è g a r a n t i t a a n c h e a l l e carrozzine dalla passerella perimetrale e d a l l a r a m p a r i c a va t a i n c o r r i s p o n d e n z a d e l v i a l e t t o c h e d e l i m i t a va a Sud la domus. Importante anche il sistema di pompaggio e smaltimento delle acque meteoriche, problema critico della realizzazione, perché in molti casi i mosaici vengono a trovarsi s o t t o i l l i ve l l o d i f a l d a . A l d i l à d e l l a diatriba ormai storica, e probabilmente senza soluzione sulle problematiche r e l a t i ve a l l ’a n a s t i l o s i , la realizzazione delle coperture della domus di Tito Macro non ambisce a essere né una ricostruzione né un’anastilosi propriamente detta, ma uno strumento per proteggere in particolare i mosaici, mantenendoli in situ, e per dare nel contempo la visione di com’erano organizzati gli spazi all’int e r n o d e l l a v i l l a . I n i z i a t i va q u e s t a certo lodevole, se si escludono le strutt u r e ve r t i c a l i i n a c c i a i o “ r o s s o p o m peiano”, che lasciano alquanto desiderare per la loro teatralità, inadatta a un sito archeologico, e l’util i z z o d i s va r i a t e s t r u m e n t a z i o n i digitali che ricostruiscono gli ambienti, rischiando che la tanto oggi decantata “godibilità” si trasformi in una sorta di luna-park con funzione di acchiappare quanto più turisti ignari possibili, che sicuramente non riusciranno a capire quanto si debba leggere da tutto questo per ricostruire la storia degli edifici, della loro funzionalità e dei significati delle loro decorazioni. Forse era meglio ripristinare le murature romane con mattoni realizzati con la tecnica di allora, evitando di utilizzare strumenti elettronici per ricostruire affreschi ipotetici di cui non si ha traccia, come non se ne ha del mobilio e degli altri arredi. Situazione che sarebbe completamente diversa da quella realizzata a Roma a Santa Maria A n t i q u a a i F o r i I m p e r i a l i , d o ve ve n gono semplicemente proiettati sulle pareti ricostruzioni, sì ipotetiche, ma tratte da descrizioni antiche, delle parti mancanti. Operazione che cons e n t e d i c o g l i e r e l o s t a t o d e l l ’e d i f i c i o d e i p r i m i s e c o l i d e l M e d i o e vo . P u r troppo si ha l’impressione che, non solo qui, ma in tanta altre occasioni, dietro il termine “godibilità” si nas c o n d a s o l t a n t o l a vo l o n t à d i p o r t a r e pubblico, non per farlo crescere, ma per fare cassa! Luigi Silvi 46 In primo piano, domus di Tito Macro in corso di musealizzazione, 47 Aquileia, scorcio della domus di Tito Macro, 50 Aquileia, domus di Tito Macro, atrium con vasca centrale per raccolta dell'acqua. 51 52 Archeologia 53 Archeologia Aquileia, domus di Tito Macro, atrium, vera di pozzo. 54 Aquileia, domus di Tito Macro, tablinum, soglia a mosaico con motivo a meandro e pavimento a scacchie era di triangoli, tessere bianche e nere. 55 Aquileia, domus di Tito Macro, mosaico a scacchiera, tessere bianche e nere. 58 Archeologia 59 Archeologia Aquileia, domus di Tito Macro, lungo panetteria, forno per la panificazione, lungo cardine orientale. 60 Archeologia Sesterzio (235-236 d.C.) con busto laureato, drappeggiato e loricato dell’imperatore Massimino il Trace, da Aquileia, domus di Tito Macro, area delle botteghe. Anello d'oro e pasta vitrea, II-III secolo d.C., da 61 Archeologia Aquileia, domus di Tito Macro. Peso di pietra con maniglia di ferro e iscrizione T. MACR., da Aquileia, domus di Tito Macro. 62 Archeologia LA DOMUS DI VIGNA GUIDI Sul piccolo Aventino a Roma, zona residenziale già dall’età repubblicana, sorgevano sia molte domus signorili immerse nel verde sia alcune insulae, abitazioni a più piani. Tra il 212-216 d.C. per volere dell’imperatore Marcus Aurelius Severus Antoninus, conosciuto come Caracalla, furono costruite anche le grandiose Thermae Antoninianae, ancora in parte conservate. Per la costruzione dell’imponente complesso fu necessario obliterare l’intero quartiere presso porta Capena: il terrazzamento di fondazione delle terme distrusse molti edifici preesistenti. Tra questi fu in parte distrutta anche una domus di età adrianea, che fu casualmente riportata alla luce sul lato sud-est delle Terme, alla profondità di 10 metri, da Giovan Battista Guidi, ispettore onorario dei Monumenti Antichi, durante gli scavi condotti tra il 1858 e il 1869 in una vigna di sua proprietà. La domus, nonostante le spoliazioni di età antica, si presentava riccamente decorata con affreschi e con mosaici pavimentali e in opus sectile. Per la sua conservazione fu nuovamente rinterrata fino agli anni Settanta del XX secolo, quando la Soprintendenza avviò nuovi scavi e indagini che proseguirono per cinque anni. È stato appurato che la domus era costituita da due piani, che era stata ampliata e ristrutturata e che anche le decorazioni avevano subito rifacimenti. All’esterno della domus è stata riportata alla luce una scala che portava ai piani superiori dell’edificio. Si può ipotizzare perciò che la domus fu nel tempo trasformata in insula con varie abitazioni nei piani superiori, mentre piano terra e primo piano era rimasto abitazione signorile, tipologia questa assai diffusa a Ostia, ma rara a Roma. Non è conosciuto il proprietario della domus, non essendo state rinvenute iscrizioni o fistulae aquariae, si ipotizza fosse assai facoltoso. La domus era costituita da vestibolo, su cui si aprivano piccole stanze e da , un ambiente di passaggio che conduceva nel cortile porticato chiuso su tre lati e delimitato un ambulacro. Su questo si apriva un piccolo ambiente, nel quale è stato rinvenuto un podio-altare identificato come Lararium. Ambienti più ampi fiancheggiavano il vano di passaggio, tra questi a sinistra quello identificato come Triclinium, illuminato da tre finestre. Durante le indagini del 1970 per conservare e restaurare l’apparato decorativo fu deciso il distacco degli affreschi. Per circa trent’anni i reperti sono rimasti “nascosti” nei magazzini della Soprintendenza e solo da giugno del 2022 sono tornati visibili in un ambiente della Palestra orientale delle Terme di Caracalla. Gli affreschi appartengono a due ambienti della domus: Lararium, e Triclinium, il cui soffitto crollato è stato rinvenuto in frammenti. Sia sulle pareti che sulla volta a crociera sono state riportate alla luce decorazioni pittoriche relative a due fasi successive distanti pochi decenni l’una dall’altra. Alla fase più antica (134-138 d.C.) risale la decorazione con prospettive architettoniche, tipica dell’età adrianea. Nei riquadri scene di genere: uccelli e cervi accanto a vasi, filari di scudi e fiaccole, felini rampanti e simboli dionisiaci nelle lunette. La seconda decorazione, risalente alla fine del II secolo d.C., fu realizzata sopra una leggera scialbatura. La zona inferiore doveva essere rivestita da lastre marmoree ora asportate, le lunette furono ridecorate nella zona superiore con immagini di grandi dimensioni raffiguranti divinità del pantheon greco-romano: Triade Capitolina su una parete, sulle altre divinità del pantheon orientale. Sincretismo religioso questo, comune in ambito romano, unicum per un luogo di culto privato, la compresenza di divinità greco-romane ed egizie. Le megalografie della Triade Capitolina raffigurano al centro Giove con lo scettro, a destra Giunone, a sinistra Minerva con lancia ed elmo. Sulle altre pareti Iside con nodo lunare e piume sulla testa, con spighe e fiaccola nelle mani, Anubi, divinità infera con testa di sciacallo e corpo umano e probabilmente Serapide, sposo e fratello di Iside e Arpocrate. Riccamente decorato il Triclinium affacciato sul cortile porticato. Aveva grandi dimensioni, circa 60 mq circa (7,30 x 8,20) e pavimento in opus sectile. La decorazione del soffitto, riportata alla luce durante gli scavi del 1970, è stata rinvenuta in frammenti causati da crollo. Una cornice concava in stucco sui lati corti delimitava il soffitto, la decorazione presentava una figura centrale, di cui restano pochi frammenti non leggibili, e nei riquadri, ghirlande, eroti su bighe, uccellini e centauri. Disposti sui quattro assi ortogonali in pannelli con sfondo rosso cinabro Menadi, Sileni e altre figure del corteo dionisiaco, figurazione questa comune nei Triclini. I frammenti rinvenuti, conservati in circa cento cassette, sono ancora oggetto di studio e restauro, ma, in attesa di rivedere la decorazione completa, la Soprintendenza ne ha allestito due porzioni. Su un pannello, figura seduta, seminuda, con tirso nella mano destra e corona di foglie. Probabilmente una Menade del corteo dionisiaco o Dionisio con tratti femminili. L’altro frammento presenta maschera di Sileno sostenente statuina con ai lati eroti con maschere e verghe che cavalcano caprone. L’uso di colori molto costosi, come blu egizio ed rosso cinabro, e la raffinatezza dell’esecuzione conferma l’alto livello della domus, testimoniato anche dal ritrovamento di quattordici pavimenti musivi con tessere bianche e nere e di altri tre in opus sectile, tra cui quello del Triclinium. Marina Humar 63 Archeologia ALLE TERME DI CARACALLA Pianta domus di Vigna Guidi, in verde gli ambienti affrescati, II secolo d.C., Roma, Terme di Caracalla. Sacello II secolo d.C., Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. Sacello, II secolo d.C., Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi, foto Marina Humar. 68 Sacello, parete sinistra, II secolo d.C., Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi, foto Marina Hum mar. 69 Sacello, parete sinistra, (dettaglio), II secolo d.C., Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi, foto Marina Hum mar. 72 Archeologia Sacello, parete sinistra (dettaglio), II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. 73 Archeologia Sacello, parete sinistra, uccelli, (dettaglio), II secolo d.C., Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. 76 Sacello, parete sinistra, figura femminile (dettaglio), II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi, fot to Marina Humar. 77 78 Archeologia 79 Archeologia Sacello, sparete sinistra, cudi (dettaglio), II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi, foto Marina Humar. Sacello, parete centrale (dettaglio), II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. Sacello, parete centrale, cervi (dettaglio), II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. 83 84 Sacello, parete destra, II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. 85 Sacello, parete destra, uccelli, (dettaglio), II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. 88 Archeologia Sacello, parete destra (dettaglio), II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. 89 Archeologia 90 Archeologia Sacello, parete destra, uccelli (dettaglio), II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. 91 Archeologia Sacello, parete d’ingresso (dettaglio), II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi, foto Marina Hum mar. Sacello, parete d’ingresso. Anubi (dettaglio), II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. Sacello, parete d’ingresso, testa di Anubi (dettaglio), II secolo d.C., Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. 98 Archeologia Disegno ricostruttivo del soffitto del Triclinium, 99 Archeologia 101 Archeologia Acquarello di E. Paparatti, settore del soffitto del Triclinium. 102 Archeologia Triclinium, soffitto, II secolo d.C., Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. 103 Archeologia Triclinium, soffitto (dettaglio), II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. 106 Triclinium, soffitto, maschera di Sileno, II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. 107 108 Archeologia Triclinium, soffitto (dettaglio), II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. 109 Archeologia 111 Archeologia Triclinium, soffitto (dettaglio), II secolo d.C.,Roma, Terme di Caracalla, domus di Vigna Guidi. 112 Archeologia GALERIA ANTICAIl sito di Galeria antica, sulla via Braccianese-Claudia, sorge a circa 30 chilometri da Roma. È luogo suggestivo, di circa 40 ettari, arroccato su sperone tufaceo, limitato a Ovest dal fiume Arrone, tra forre e canaloni, con siepi rampicanti e alberi c h e n a s c o n d o n o i r u d e r i d e l l ’a n t i c a G a l e r i a . Pe r q u e s t e c a r a t t e r i s t i c h e , nel 1999 Galeria è stata riconosciuta da Natura 2000 Monumento naturale protetto del Lazio e affidata in ges t i o n e a R o m a N a t u r a . Po c h e e i n certe le notizie sulle origini della città, che secondo alcuni studiosi ris a l e a l l ’a n t i c o p o p o l o e t r u s c o - l a t i n o dei Galerii. Secondo Tito Livio, storico romano, erano uno dei molti g r u p p i e t n i c i c r e a t i d a S e r v i o Tu l l i o , re di Roma tra il 578-535 a.C., a seg u i t o d e l l a r i f o r m a d e l l ’a g r o r o m a n o . U n ’a l t r a i p o t e s i a t t r i b u i s c e l a fondazione agli Etruschi, che occup a va n o q u e s t o t e r r i t o r i o . L a s e c o n d a ipotesi è avvalorata dalla presenza nella zona di piccole necropoli con tombe a camera, tipiche della civiltà etrusca e dai numerosi reperti rinven u t i . Po s t a t r a l e c i t t à d i Ve i o e C e r veteri, il piccolo centro, denominato Careia, era un avamposto a protezione delle città vicine, grazie alla sua posizione strategica estremam e n t e f a vo r e vo l e , p r o p r i o p e r c h é a r roccata su sperone tufaceo. Dopo il declino degli Etruschi, Careia fu colonizzata dai Romani, tuttavia alcuni nuclei di abitanti originari sopravvissero a lungo, come è testimoniato dal ritrovamento di un cippo funerario, ora trafugato, tra i ruderi della chiesa di San Nicola, con iscrizione che riporta il gentiliz i o d e i Ta r c o n t i d i e v i d e n t e o r i g i n e e t r u s c a . S u l l a Ta b u l a Pe u t i n g e r i a n a , copia del XII-XIII secolo di antica c a r t a r o m a n a c h e m o s t r a va l e s t r a d e dell’Impero, è citata lungo la via Clodia una mansio ad Careias, posta t r a A d S e x t u m e F o r u m C l o d i i . L’a n t i c a s t a t i o e r a s e r v i t a d a l l ’a c q u e d o t t o dell’Aqua Alsietina, costruito nel 2 a.C. da Augusto. Dopo la caduta dell’Impero romano la città di Careia, c o m e t u t t e l e c i t t à c h e d i p e n d e va n o d a R o m a , s u b ì l e i n va s i o n i g e r m a n i che. Grazie ai progetti di due papi Zaccaria I (741-752) e poi Adriano I ( 7 7 2 - 7 9 5 ) , c h e a v e va n o c o m e s c o p o i l r i p o p o l a m e n t o d e l l ’a g r o r o m a n o e l a razionalizzazione della proprietà terriera, furono create delle Domus cultae, vere e proprie aziende agricole. Sulle rovine di Careia sorse la Domus culta che sovrintendeva al t e r r i t o r i o d e l l a C l o d i a . Pa p a G r e g o r i o I V n e l l ’a n n o 8 4 0 d . C . l a t r a sformò in Curtis, insieme di terreni e case per la produzione agricola. La Curtis era normalmente divisa in pars dominica, con la domus del signore e la pars massaricia (massarius=contadino) divisa in mansi e affidata in gestione a coloni. In seguito la città fu assediata e distrutta dai Saraceni. Il nome Careia fu trasformato in Galeria e all’inizio dell’XI secolo passò ai conti di Galeria, a l l e a t i d e i c o n t i d i Tu s c o l o , n e m i c i d e l l a c h i e s a . Pe r q u e s t o m o t i vo n e l 1059 Galeria fu occupata dai Normanni, sostenitori di papa Niccolò 113 Archeologia -CITTÀ FANTASMA I I . D a l l ’a n n o 1 2 7 6 l a c i t t à a p p a r tenne alla famiglia Orsini, che le diede nuovo impulso, tanto che la città rifiorì. In seguito le famiglie nobili dell’Urbe si contesero il possesso della campagna romana e Galeria divenne feudo dei Colonna, dei Caetani, poi dei Savelli e infine dei Sanseverino, che la trasformarono da città fortificata in tenuta agricola. La popolazione nel XVIII secolo diminuì notevolmente, anche a c a u s a d e l l a m a l a r i a c h e i n f e s t a va l a zona per la presenza di paludi che caratterizzavano il territorio. Il declino definitivo si ebbe nel 1809 quando i pochi abitanti rimasti improvvisamente la abbandonarono, per trasferirsi a meno di un chilometro di distanza, dove fondarono un nuovo borgo denominato Santa Maria di Galeria nuova. Non si conoscono i motivi che determinarono questa fuga, gli abitanti infatti abbandonarono tutti i loro averi, compresi attrezzi da lavoro e lasciarono sui carri senza sepoltura persino i corpi dei loro defunti. I resti di Galeria antica, ancora visibili, risalgono probabilmente al 1500. Il borgo era fortificato da possenti muraglioni nella parte pianeggiante, mentre gli altri lati erano difesi dalla rupe e dal corso del fiume Arrone. Restano pochi tratti di mura, u n v i a l e a c c i o t t o l a t o e u n a r c o d ’a c cesso alla città. Le porte del borgo in origine erano tre, la principale si a p r i va i n u n a t o r r e d i g u a r d i a s u l l a quale rimane traccia di un orologio montato nel 1764, poi riutilizzato per decorare la porta di piazza Santa Maria di Galeria agli inizi del XIX secolo. È un orologio a sei ore, detto anche alla romana, in cui il giorno è calcolato dal tramonto fino al tramonto successivo. Arroccati sullo sperone di tufo, spesso a strapiombo sul canalone dove scorre il fiume Arrone, restano ruderi delle case, coperte da fitta e rigogliosa vegetaz i o n e . L’a b i t a t o e r a o r g a n i z z a t o a t torno alla piazza dove si trovava il palazzo baronale, di cui restano dei tratti delle mura perimetrali. All’int e r n o d e l l ’a r e a f o r t i f i c a t a s o r g e va i l castello, di cui restano poche macerie. Annessa al castello la chiesa di San Nicola, di cui rimane il piccolo campanile, eretto nel XVIII secolo. La chiesa fu utilizzata come cimitero durante le epidemie di malaria che decimarono la popolazione. Nella città sorgevano altre tre chiese: Sant’Andrea, distrutta da un incendio nel 1816, Santa Maria della Va l l e , d e t t a a n c h e O s p e d a l e v e c c h i o , colpita da un fulmine alla fine del XVI secolo, San Sebastiano, demolita alla fine del 1600. Galeria, dopo secoli di abbandono ed essere stata saccheggiata, vandalizzata, usata per rituali satanici e come set cinematografico, versa in grave degrado, n e c e s s i t a d i u n ’o p e r a d i r e c u p e r o e s a l va g u a r d i a . Pe r l ’ i m p o r t a n z a s t o rica e ambientale merita una seconda vita, che attirerebbe visitatori e appassionati, favorendo così lo sviluppo dell’industria turistica. Marina Humar 114 Galeria antica, bastione della cinta muraria, foto Marina Humar. 115 116 Galeria antica, mura merlate, foto Marina Humar. 117 118 Archeologia 119 Archeologia Galeria antica, una delle porte della cinta muraria. 120 Archeologia 121 Archeologia Galeria antica, una delle porte della cinta muraria. 122 Archeologia 123 Archeologia Galeria antica, una delle porte della cinta muraria, foto Marina Humar. 124 Galeria antica, resti di edificio addossato alle mura. 125 126 Galeria antica, strada nel borgo, foto Marina Humar. 127 128 Galeria antica, strada nel borgo, foto Marina Humar. 129 130 Galeria antica, muratura, foto Marina Humar. 131 132 Galeria antica, muratura, foto Marina Humar. 133 134 Archeologia 135 Archeologia Galeria antica, resti del campanile della Chiesa di San Nicola. 136 Archeologia 137 Archeologia Galeria antica, resti del campanile della Chiesa di San Nicola. 138 Galeria antica, resti del campanile della Chiesa di San Nicola, foto Marina Humar. 139 140 Archeologia 141 Archeologia Galeria antica, resti del campanile della Chiesa di San Nicola. 142 Galeria antica, base del campanile della Chiesa di San Nicola, foto Marina Humar. 143 144 Archeologia 145 Archeologia Galeria antica, orologio romano, foto Marina Humar. 146 Galeria antica, resti di edificio, foto Marina Humar. 147 148 Archeologia 149 Archeologia Galeria antica, interno di edificio, foto Marina Humar. 150 Galeria antica, portale d’ingresso al Palazzo baronale, foto Marina Humar. 151 152 Archeologia 153 Archeologia Galeria antica, portale d’ingresso al Palazzo baronale, foto Marina Humar. 154 Galeria antca, interno Palazzo baronale. 155 156 Galeria antica, Palazzo baronale, interno, foto Marina Humar. 157 158 Galeria antica, Palazzo baronale, interno, foto Marina Humar. 159 160 Archeologia 161 Archeologia Galeria antica, mola a fosso Casaccia. 162 Archeologia 163 Archeologia Galeria antica, mola a fosso Casaccia. 164 “... La vera terra dei barbari non è quella che non ha mai conosciuto l’arte, ma quella che, disseminata di capolavori, non sa né apprezzarli né conservarli...” (Marcel Proust) Archeologia Galeria antica, tratto di via basolata, foto Marina Humar.