IL CONTRIBUTO ITALIANO
ALLA STORIA DEL PENSIERO
OTTAVA APPENDICE
IL CONTRIBUTO ITALIANO
ALLA STORIA DEL PENSIERO
OTTAVA APPENDICE
MMXII
©
PROPRIETÀ ARTISTICA E LETTERARIA RISERVATA
ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA
FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI S.p.A.
2012
ISBN
978-88-12-00089-0
© André-Eugène-Louis Chochon, by SIAE, 2012
Stampa
ABRAMO PRINTING S.p.A.
Catanzaro
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FERRUCCIO FERRANTI, PAOLO GARIMBERTI, FABRIZIO GIANNI, LUIGI GUIDOBONO
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RAGONESI, GIUSEPPE VACCA
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LEVI-MONTALCINI
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IL CONTRIBUTO ITALIANO
ALLA STORIA DEL PENSIERO
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Segreteria
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MASSIMO BRAY
Ha contribuito con un servizio editoriale Ervin editing srl
IL CONTRIBUTO ITALIANO
ALLA STORIA DEL PENSIERO
Diritto
Indice generale
xxxi
15 I giuristi di fronte alla città
Introduzione
e all’impero
di Paolo Cappellini - Pietro Costa Maurizio Fioravanti - Bernardo Sordi
di Claudia Storti
L’eredità altomedievale
Il nuovo ordine nella scientia civilis
dei giuristi
I giuristi e gli imperatori ‘transalpini’
La costruzione del diritto delle città
entro l’impero
Un nuovo status per la città e l’impero
Qualunque cosa la legge prescriva
Il diritto come ‘cultura’
La cultura giuridica italiana
e la sua ‘tradizione’
La cultura giuridica italiana:
una proposta di lettura
Tra Medioevo e Rinascimento
Bibliografia
3 Medioevo e modernità: le diverse
fondazioni di due civiltà giuridiche
22 I giuristi e il contratto
di Raffaele Volante
di Paolo Grossi
Alle radici della civiltà giuridica medievale
Il carattere unitario della civiltà giuridica
medievale nel suo millenario distendersi
Dopo il Trecento: l’avvio della transizione
verso la modernità giuridica
Il contratto nel primitivismo giuridico
altomedievale
La rilevanza giuridica dei simboli
nell’alto Medioevo
Il contratto nel rinascimento giuridico:
gli oneri interpretativi dei glossatori
Il pactum e la sua centralità nelle dottrine
dei glossatori
I vestimenta pactorum
Rei interventus, cohaerentia contractus
Il secondo pilastro del sistema: l’id quod interest
La tipizzazione funzionale delle forme
contrattuali: substantia, natura, accidens
La critica degli ultramontani
I commentatori
7 Lo ius civile: glossatori
e commentatori
di Giovanni Chiodi
Antefatto
L’albero della scienza
Gli strumenti del mestiere
I cardini della nuova cultura giuridica
Il metodo dei glossatori
La creatività del dubbio
Il problema delle deroghe al diritto civile
Al di là dei confini delle leges:
un’altra specie di dubbio
L’avvento della Glossa accursiana
L’onda lunga dei giuristi postaccursiani
Nel Trecento delle sperimentazioni
Epilogo
Opere
Bibliografia
30 Giuristi e mercanti
di Umberto Santarelli
Un nuovo (e forte) ceto mercantile
Un rischio del mestiere di mercante:
il fallimento
Opere
Bibliografia
XV
55 Baldo degli Ubaldi
di Federigo Bambi
La famiglia che diventa società
Un patto fra denaro e ‘fantasia’
Il divieto delle usure
Per una conclusione
La vita
Baldus iuris professorum philosofotatos
Le opere
Opere
Bibliografia
Bibliografia
35 I giuristi e il diritto feudale
di Mario Montorzi
59 Il nuovo ordinamento della Chiesa:
decretisti e decretalisti
Fondamenti lemmatici e valori lessicali
dello schema feudale
Nel sistema della pratica forense
Valori lessicali e temi giuridici
Il lemma feudo nella tradizione giuridica
romanza
La naturale causa liberalitatis e lo schema
di un modello traslativo di Gewere
Lo schema di un modello di traslazione
di Gewere con fine costitutivo di rendita
Un capitolo di storia del diritto forense,
tra giudici, avvocati e pratici del diritto
Dal diritto consuetudinario al diritto scritto
Altri e diversi prodotti retorici in sostegno
degli apparati glossatori
Usi politici del diritto feudale
di Diego Quaglioni
L’orizzonte storico e concettuale
Gli autori
Opere
Bibliografia
67 La costruzione della monarchia papale
di Agostino Paravicini Bagliani
Vicarius Christi
Verus imperator
Le prerogative ecclesiologiche dei cardinali
Un nuovo organo di governo: la curia romana
Plenitudo potestatis
Nuovi strumenti giurisdizionali: le collezioni
di decretali
Attività conciliare
Giudici delegati e legati
Correggere e reprimere: il papato, gli eretici
e gli ebrei
Opere
Bibliografia
43 Irnerio
di Enrico Spagnesi
Bibliografia
La vita
Il profilo intellettuale del maestro
Le ipotesi di attribuzione e di sistemazione
delle opere
74 Graziano
di Giovanni Minnucci
La vita
Il Decretum
Il contenuto, il metodo e la suddivisione
dell’opera
Bibliografia
47 Accursio
di Nicoletta Sarti
Opere
Bibliografia
La vita
La scienza giuridica nella prima metà
del Duecento
L’opera di Accursio: gli apparati ordinari
al Corpus iuris civilis
Il progetto di Pietro Torelli per un’edizione
critica della Magna glossa
La stagione postaccursiana
78 Gregorio IX
di Andrea Padovani
La vita
Il profilo intellettuale
Il legislatore
Il Liber Extra
Il Liber Extra fonte di un diritto nuovo
Bibliografia
51 Bartolo da Sassoferrato
di Giovanni Rossi
Opere
Bibliografia
La vita
Commentaria, consilia, lecturae
Gli anni della maturità scientifica
Le opere
82 Innocenzo IV
di Alberto Melloni
La vita
Il maestro
Bibliografia
XVI
L’istituzione
Il potere
Eresia e tortura
Ubi papa
La fortuna
L’antico regime
113 L’antico regime: tradizione
e rinnovamento
di Pietro Costa
Opere
Bibliografia
Che cosa intendere per ‘antico regime’?
La cultura giuridica e la costruzione
della sovranità
La cultura giuridica e i suoi ‘territori
di frontiera’
86 Enrico da Susa, detto l’Ostiense
di Federigo Bambi
La vita
Una questione di metodo
L’aequitas canonica
Un governo costituzionale per la Chiesa?
Le opere
121 I grandi tribunali
di Mario Ascheri
Una categoria antica, un interesse recente
La piattaforma tardomedievale
I due modelli fondamentali: senati e rote
La modernità di Firenze
Tra i due modelli
Decisioni: autentiche e reports
Il tertium genus
Autorità delle raccolte
Bibliografia
90 Bonifacio VIII
di Giovanni Minnucci
La vita
Il legislatore: il Liber sextus
I primi conflitti con Filippo il Bello
La Unam sanctam
Opere
Bibliografia
129 Diritto mercantile
di Francesco Migliorino
Opere
Bibliografia
Un nuovo Medioevo del diritto?
Tra mito e realtà: la ‘specialità’ della giustizia
mercantile
L’area dei privilegi mercantili:
per una semiotica della struttura sociale
Politica, economia, istituzioni: il diritto
commerciale e la società d’antico regime
Una nuova narrazione: tra storia e natura
94 Mos italicus e mos gallicus
di Italo Birocchi
Un indirizzo nuovo per la scienza giuridica
Indagine storico-filologica e costruzione
del sistema nel mos gallicus
Il mos italicus
Un’osmosi tra i due indirizzi?
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
137 Giuseppe Lorenzo Maria Casaregi
di Vito Piergiovanni
102 Lorenzo Valla
di Giovanni Rossi
La vita
Tra dottrina e pratica forense
Al servizio della vita concreta del diritto
La vita
L’ammirazione per i giuristi antichi
e la polemica con i contemporanei
L’approccio filologico e i violenti contrasti
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
141 La criminalistica
di Michele Pifferi
106 Andrea Alciato
di Giovanni Rossi
La criminalistica delle origini nel Medioevo
Le practicae criminales e la dimensione
processuale del penale
La penalistica del Cinquecento e la potestas
del principe
L’elaborazione dottrinale della responsabilità
penale
La vita
Tra rigore filologico e sapienza giuridica:
il metodo umanistico
Opere
Bibliografia
XVII
177 Giovanni Battista De Luca
di Alessandro Dani
La razionalizzazione della prassi tra Sei
e Settecento
Opere
Bibliografia
La vita
Il Theatrum veritatis et justitiae
Le coordinate culturali
La missione divulgativa e le opere
in lingua italiana
De Luca riformatore delle istituzioni
ecclesiastiche
L’eredità scientifica e culturale
149 Tiberio Deciani
di Michele Pifferi
La vita
L’Apologia e la riflessione sul metodo
Il Tractatus criminalis
La teoria generale del delitto
Le opere
Opere
Bibliografia
Bibliografia
181 Alle origini del diritto internazionale:
Alberico Gentili
153 Prospero Farinacci
di Aldo Mazzacane
di Aldo Andrea Cassi
Cenni biografici
Giustizia e diritto internazionale
Lo ius ad bellum: i legitimi tituli della ‘guerra
giusta’
Il nuovo diritto internazionale alla prova
del Nuovo Mondo
Lo ius in bello: prigionieri e ostaggi, il destino
degli innocentes
Cenni conclusivi
La vita
Le opere
Bibliografia
157 La teorica della ragion di Stato
di Gianfranco Borrelli
Ragion di Stato: studi recenti e novità
interpretative
Civil conversazione, ragion di Stato,
ragioni della Chiesa
Giovanni Botero e il primato
della prudentia politica
Il principe interprete di giustizia
Prerogative e deroghe: il potere discrezionale
del principe
Diversità e persistenze nelle teorie di ragion
di Stato
Opere
Bibliografia
189 L’amministrazione degli antichi Stati
di Luca Mannori
La prima età moderna: Stato di corpi
e primato della giurisdizione
Il Seicento: il cammino verso lo Stato
paterno
Crisi dello Stato di corpi e nuovi modelli
d’amministrazione
Opere
Bibliografia
165 Giovanni Botero
di Chiara Continisio
La vita
Dalla retorica alla politica
Della ragion di Stato
Opere
Bibliografia
L’età delle riforme e delle rivoluzioni
Opere
Bibliografia
199 La progettazione della modernità:
l’Illuminismo giuridico
di Bernardo Sordi
169 Il diritto patrio
di Italo Birocchi
Il varo delle riforme
Il raggio delle riforme
Il superamento della tradizione: «un codice
fisso di leggi»
Il superamento della tradizione: l’interesse
proprietario
Oltre il Settecento: l’incontro
con la frattura rivoluzionaria
Ricognizione del tema
Il processo di diversificazione del diritto
entro ciascun ordinamento
Ius hodiernum, ius patrium
Opere
Bibliografia
XVIII
207 La critica del diritto giurisprudenziale
Opere
Bibliografia
e le riforme legislative
di Maria Gigliola di Renzo Villata
241 Pompeo Neri
di Marcello Verga
La prima metà del Settecento
tra conservazione e cambiamento
La seconda metà del Settecento: verso
il progresso
Tra progetti e riforme legislative:
dall’uno all’altro capo d’Italia
La vita
Scritti sulle istituzioni del Granducato
di Toscana
Censimento dello Stato di Milano e riforma
della tassazione
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
215 La costituzionalizzazione
del processo penale
245 Pietro Verri
di Loredana Garlati
di Giorgia Alessi
Il minimalismo dei lumi e le sue aporie
Pietro Leopoldo e Giuseppe II: due progetti
per l’area italiana
Il ritorno del tecnicismo erudito
La costituzionalizzazione
del processo penale
La vita
I magnifici anni Sessanta: l’Accademia
dei Pugni e «Il Caffè»
Il pensiero giuridico di Verri: le istanze
riformiste
Contro la tortura: il processo Piazza-Mora
Un sovrano demiurgo in aiuto alle riforme:
da Giuseppe II a Napoleone
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
223 Il problema della pena di morte
di Ettore Dezza
249 Cesare Beccaria
di Renato Pasta
Alle origini della modernità penale:
il Dei delitti e delle pene
I tre argomenti abolizionisti di Beccaria
Le risposte dei tradizionalisti
La riflessione dei giuristi postbeccariani
La Leopoldina
Gli sviluppi del dibattito
L’ultima stagione dell’abolizionismo
illuminista
La vita
La riforma del diritto criminale
L’incivilimento e i suoi limiti
Conclusioni
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
253 Gaetano Filangieri
di Antonio Trampus
La vita
Combattere «la mala bestia»
I nuovi studi
La vita
La riforma del sistema giudiziario
La scienza della legislazione
Struttura e contenuto dell’opera
La fortuna dell’opera di Filangieri
e la sua influenza nella cultura europea
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
232 Bernardo Tanucci
di Aurelio Cernigliaro
237 Ludovico Antonio Muratori
di Elio Tavilla
257 Progetti costituzionali:
Francesco Mario Pagano
di Dario Ippolito
La vita
Tensione civile e critica al diritto
I Difetti della giurisprudenza
La proposta di un «codice»
La Pubblica felicità
Le costituzioni repubblicane nell’Italia
del triennio francese
Il progetto costituzionale di Pagano
Diritti, morale, censura
XIX
Garanzie costituzionali
L’opinione pubblica, la nazione,
la costituzione
Caratteri del costituzionalismo liberale
italiano nel contesto europeo
Opere
Bibliografia
Un tentativo definitorio
Il costituzionalismo liberale ‘storicistico’
Le ambivalenze del costituzionalismo
‘concesso’ e la costituzione ‘progrediente’
La sovranità della costituzione e il potere
costituente
La dimensione istituzionale
del costituzionalismo liberale
L’età liberale
267 Alle porte d’Italia: unificazione
nazionale e uniformazione giuridica
di Paolo Cappellini
Un difficile processo di costruzione
Il compito della scienza giuridica
e la codificazione
L’eredità dell’Ottocento
Dal liberalismo del soggetto allo statualismo
liberale
Bibliografia
302 Pellegrino Rossi
di Luigi Lacchè
277 Il problema della codificazione
di Riccardo Ferrante
La vita
Gli anni Venti a Ginevra: la scienza giuridica
e lo studio del diritto
Per una scienza del diritto penale
Rossi in Francia: il diritto costituzionale
e la politica
I commentatori del codice e la scuola storica
La cultura giuridica italiana di fronte
al codice
Diritto e codici dopo la Restaurazione
Unità nazionale, unificazione giuridica,
codificazione
Il modello otto-novecentesco
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
307 Pasquale Stanislao Mancini
di Luigi Nuzzo
286 Federico Paolo Sclopis
di Laura Moscati
La vita
Scienza giuridica e costruzione
dell’identità nazionale
La vita
La codificazione
I modelli costituzionali
La formazione del giurista
Le fonti e la storia unitaria della legislazione
Opere
Bibliografia
311 Attilio Brunialti
di Ilaria Porciani
Opere
Bibliografia
La vita
Una biblioteca plurale
Ammirando l’Inghilterra
Di fronte al metodo giuridico: dopo la svolta
orlandiana
Verso uno Stato organico
290 Giuseppe Pisanelli
di Alberto Spinosa
La vita
Pisanelli giurista risorgimentale
Scienza del processo e ordine liberale
Stato, nazione e codificazione
Cultura della legge e metodo giuridico
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
315 Lo Stato nazionale e la nuova scienza
del diritto pubblico
di Giulio Cianferotti
294 Il costituzionalismo liberale
di Luigi Lacchè
L’invenzione di una nuova scienza
come corollario della «nozione di Stato»
nazionale
L’«originaria debolezza» dello Stato nazionale
e il ruolo istituzionale della nuova scienza
I tempi e le forme della svolta pandettistica
Orizzonti
Dopo la Révolution
L’ordine costituzionale dei privati e il regno
della legge
XX
La scienza del diritto pubblico
prepandettistica
I compiti di una nuova istituzione:
la Quarta sezione del Consiglio di Stato
Bibliografia
Opere
Bibliografia
323 Vittorio Emanuele Orlando
di Mauro Fotia
349 Le scuole penalistiche
di Floriana Colao
La vita
Il pensiero
L’uomo politico
La scuola italiana, che sarà detta «classica
per dileggio»
«La scuola positiva», che sarà detta «italiana»
Il codice penale e le «vicende delle pubbliche
libertà»
Il «tecnicismo giuridico», che sarà detto
«indirizzo italiano»
Opere
Bibliografia
327 Il problema dell’amministrazione
di Fabio Rugge
Opere
Bibliografia
Il periodo storico e le sue scansioni
L’amministrazione dell’unificazione nazionale
Una scienza tra ‘eclettismo’ e autonomia
I primi amministrativisti e gli ordinamenti
dell’unificazione
L’amministrazione dell’integrazione sociale
Una scienza ‘nazionale’ del diritto
amministrativo
I giuristi orlandiani e l’‘amministrazione
integrativa’
Verso il pluralismo amministrativo
357 Francesco Carrara
di Giovannangelo De Francesco
La vita
La teoria del reato e della pena
Il principio di offensività e il silenzio
sui delitti politici
La tecnica legislativa penalistica e lo studio
del processo
Le interpretazioni del pensiero di Carrara
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
335 Giovanni Manna
di Orazio Abbamonte
362 Luigi Lucchini
di Carlotta Latini
La vita
Il metodo, lo stile e i principi generali
dell’azione amministrativa
Autorità e libertà
Il percorso di un antesignano
La vita
La penalistica civile e l’impegno di Lucchini
Il «trionfo del patriottismo» di Lucchini
e il suo antifascismo
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
366 Cesare Lombroso
di Paolo Marchetti
339 Marco Minghetti
di Raffaella Gherardi
La vita
L’uomo delinquente e la nascita
dell’antropologia criminale
Il pensiero lombrosiano tra consensi
e opposizioni
I devianti
Un bilancio
La vita
La «via media» di Minghetti fra ragione
e storia
Politica e amministrazione nell’età
del parlamentarismo
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
345 Silvio Spaventa
di Bernardo Sordi
371 Enrico Ferri
di Monica Stronati
La vita
La questione ferroviaria
Giustizia nell’amministrazione
La vita
La formazione
XXI
401 Gian Pietro Chironi
di Giovanni Cazzetta
La nuova scuola e la propaganda del metodo
sperimentale
L’applicazione delle teorie: il problema
del giurista-interprete
La vita
«Prima il metodo»: la scienza e la pratica
Il sistema e la «necessaria evoluzione»
del diritto
«Nel diritto civile è il diritto comune»
Opere
Bibliografia
376 Arturo Rocco
di Giovannangelo De Francesco
Opere
Bibliografia
La vita
L’indirizzo tecnico-giuridico
L’autonomia del diritto penale e il carattere
preventivo della pena
Il sistema di Rocco e l’‘uso politico’
del tecnicismo politico
405 Il socialismo giuridico
e il solidarismo
di Monica Stronati
Opere
Bibliografia
381 Tendenze della civilistica postunitaria
di Stefano Solimano
I civilisti italiani e la formazione del codice
civile del 1865
La stagione dei commentari: continuità
e discontinuità
Le risposte della scienza giuridica di fronte
alla complessità della società postunitaria
Le origini della definizione: un’«equivoca
insegna»
Come si trasforma il diritto: rinnovare
conservando
Il diritto nuovo: le leggi sociali
Il solidarismo e l’emersione
dei fatti normativi
Opere
Bibliografia
413 Emanuele Gianturco
di Ferdinando Treggiari
Opere
Bibliografia
La vita
La formazione scientifica
Il socialismo giuridico
L’attività politica
389 Luigi Borsari
di Alberto Spinosa
Opere
Bibliografia
La vita
Una testimonianza di confine: la riflessione
civilistica
Codificazione e identità giuridica nazionale
417 Giuseppe Salvioli
di Ferdinando Mazzarella
Opere
Bibliografia
La vita
Il metodo e l’ideologia
Opere
Bibliografia
393 Francesco Filomusi Guelfi
di Pasquale Beneduce
La vita
Enciclopedismo e canone eclettico
Varianti della statualità: legislazione sociale
e impresa coloniale
422 Il lavoro
di Giovanni Cazzetta
La vita
Il profilo scientifico
Libertà di lavorare e progresso
Libertà di lavorare e antico regime
dei lavori
Diritto di vivere, diritto di lavorare, diritto
al lavoro
All’altrui servizio: «auguriamo padroni umani»
Diritto comune e leggi sociali; diritto
individuale e diritto sociale
Nella crisi dello Stato liberale
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
397 Vittorio Scialoja
di Emanuele Stolfi
XXII
430 Lodovico Barassi
di Paolo Passaniti
459 Lodovico Mortara
di Massimo Meccarelli
La vita
Un fondamento costituzionale per «nuove
vedute nel campo del diritto processuale»
Una nuova concezione della giustizia civile
e del diritto giurisprudenziale
La vita
Il programma del 1899
Il contratto di lavoro nel diritto
positivo italiano
La seconda edizione
Gli interlocutori
La relazione al Comitato tecnico
dell’agricoltura
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
463 Giuseppe Chiovenda
di Massimo Meccarelli
La vita
Il problema della riforma del processo civile
Un nuovo metodo per lo studio
della procedura civile
L’attuazione della legge al crepuscolo
dello Stato liberale
434 Giuseppe Messina
di Luca Nogler
La vita
I contributi sul diritto civile e processuale
Gli studi sul contratto collettivo
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
438 L’impresa
di Ferdinando Mazzarella
467 La giustizia penale
di Marco Nicola Miletti
Retorica dello scontento
Le garanzie tradite
Il regresso della scienza
La galassia positivista e la costruzione
del sistema
L’epilogo del 1913
La nozione d’impresa tra diritto
ed economia
Le matrici francesi del diritto commerciale
d’età liberale
Codici, giurisprudenza e dottrina
Dall’«Unternehmen» all’impresa
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
446 Cesare Vivante
di Alberto Sciumè
475 La teoria dell’ordinamento giuridico:
Santi Romano
di Eugenio Ripepe
La vita
Anomalie e consonanze metodologiche
di un giurista nelle metamorfosi
del liberalismo
Il socialismo di Vivante
«Un giurista puro, privo di interessi
sociologici»
Postulati e corollari
Lo Stato moderno e la sua crisi
L’ordinamento giuridico
Prolem sine matre creatam
Pluralismo e relativismo giuridico
Trent’anni dopo
Opere
Bibliografia
451 La giustizia civile
di Massimo Meccarelli
Le coordinate teoriche del discorso giuridico
sulla giustizia civile in età liberale
Il quadro legislativo di riferimento nell’Italia
postunitaria
La giustizia come problema giuridico:
il punto di vista dottrinale
Bibliografia
Le trasformazioni del Novecento
485 Stato e Costituzione: l’esperienza
del Novecento
di Maurizio Fioravanti
Premessa: la vocazione del secolo
Tra le due guerre
Opere
Bibliografia
XXIII
L’implosione delle istituzioni corporative
Dopo la Costituzione
Conclusioni: alla fine del secolo
Opere
Bibliografia
tra le due guerre
529 Lorenzo Mossa
di Irene Stolzi
497 Lo Stato corporativo
di Irene Stolzi
Le ragioni di una centralità
Lo Stato nuovo
Le declinazioni del corporativismo totalitario
Ripensare il diritto privato, ripensare lo Stato
Opere
Bibliografia
La vita
Scienza giuridica e nazionalizzazione
del diritto
Il diritto come formazione sociale
L’impresa e il nuovo ordine novecentesco
Opere
Bibliografia
533 Enrico Finzi
di Irene Stolzi
504 Carlo Costamagna
di Monica Toraldo Di Francia
La vita
Il linguaggio come risorsa di mediazione
Leggere il diritto oggettivo
Il giurista e la storia futura
La vita
La ricostruzione organica della dottrina
dello Stato e del diritto
La Carta del lavoro
La dottrina dell’«istituzione sociale»
La «nazionalizzazione delle masse»
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
537 La pena nel ventennio fascista
di Guido Neppi Modona
509 Arnaldo Volpicelli
di Carlotta Latini
La vita
Crisi della modernità e corporativismo
La coincidenza tra società e Stato: i rischi
dell’organizzazione autocratica
Il dibattito culturale negli anni Venti
La pena detentiva nella codificazione
penale fascista
La pena di morte
L’esecuzione in carcere della pena detentiva
Pena e altre misure di repressione e controllo
dell’opposizione politica
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
513 Partito politico e governo
di Massimiliano Gregorio
542 Il diritto coloniale
di Luciano Martone
Lo status quo ante: governo come attività
e governo come Gabinetto
Il partito dei liberali
L’emersione del Novecento giuridico:
pluralismo e partiti
Il governo nel regime fascista
Il partito nel regime fascista
Colonia e madrepatria, sudditi e cittadini
La regola della diversità: consuetudini
indigene e primato del diritto italiano
Diritto coloniale e scienza giuridica generale
Ultimi studi e definizioni del diritto
coloniale
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
550 La forma-codice: metamorfosi
521 Lavoro impresa corporazione
di Umberto Romagnoli
e polemiche novecentesche
di Paolo Cappellini
L’ambiguo incontro del lavoro con il diritto
corporativo
Lavoro e impresa
La giuridificazione del collettivo
Itinerari novecenteschi dell’idea di Codice
e il problema della defascistizzazione
Il codice ‘nuovo’ e la questione corporativa:
una rivoluzione mancata
XXIV
L’influenza dei giuristi nel prodotto
costituzionale
Per una valutazione di sintesi
Il Codice relativizzato
Opere
Bibliografia
Bibliografia
559 Alfredo Rocco
di Giuseppe Speciale
589 Giorgio La Pira
di Ugo De Siervo
La vita
Gli interessi scientifici
La costruzione giuridica dello Stato fascista
Il ministro e il legislatore
La vita
Come fondare un moderno Stato
democratico
I principi fondamentali della Costituzione
Uno strumento giuridico storicamente
adeguato
Opere
Bibliografia
563 Filippo Vassalli
di Giovanni Chiodi
Opere
Bibliografia
La vita
Le trasformazioni del diritto civile
Vassalli riformatore
La novità del codice civile del 1942
L’età del disincanto (1943-1955)
594 Costantino Mortati
di Fulco Lanchester
La vita
La giuspubblicistica italiana e Mortati
L’attività tra le due guerre
L’opera di preparazione della Costituzione
L’attuazione della carta costituzionale
Conclusioni
Opere
Bibliografia
568 La filosofia del diritto nel primo
Novecento
Opere
Bibliografia
di Mauro Barberis
La filosofia del diritto in senso ampio
Teoria generale del diritto
La filosofia del diritto in senso stretto
Conclusione
598 Piero Calamandrei
di Nicolò Trocker
La vita
La funzione critica e propositiva
del giurista
L’opera della stagione ‘sistematica’:
Calamandrei civilprocessualista
Calamandrei e l’elaborazione del codice
di procedura civile
Il pensiero in materia costituzionale
La nuova legalità costituzionale
La collocazione del processo
entro una generale visione dello Stato
Opere
Bibliografia
575 Giuseppe Capograssi
di Ulderico Pomarici
La vita
La filosofia giuridica
L’autorità
L’azione
L’esperienza giuridica
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
603 Costituzione e giustizia
la democrazia costituzionale
costituzionale
di Paolo Caretti
583 I giuristi alla Costituente
di Enzo Cheli
Le origini della giustizia costituzionale:
l’esperienza nordamericana
L’esperienza europea
L’esperienza italiana
La dimensione sovranazionale
Divergenze nella storiografia e linee
di una possibile ricerca
La fase preparatoria del percorso costituente
La fase costituente: la Commissione dei 75
Il dibattito in Assemblea e il voto finale
Bibliografia
XXV
La vita
Il positivismo realistico
L’antilegalismo e l’antinormativismo
Il realismo metodologico
Mutamenti di riferimenti, esplorazione
di nuovi territori, approccio asistematico
La decostruzione dello Stato amministrativo
e la caduta delle invarianti
Il diritto amministrativo alla prova
dell’integrazione europea
Conclusioni
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
612 Carlo Esposito
di Franco Modugno
617 Vezio Crisafulli
di Mario Sirimarco
640 Massimo Severo Giannini
di Sabino Cassese
La vita
La formazione giovanile
Tra istituzionalismo e normativismo
La norma-ordinamento
La giuridicizzazione dei principi generali
del diritto
La teoria della Costituzione
Il problema dell’indirizzo politico
Lo studio sulle fonti
Dalla disposizione alla norma
Illusioni e delusioni costituzionali
La vita
L’ascendenza culturale
Il contributo di Giannini
Le opere
Il lascito di Giannini
Opere
Bibliografia
645 Feliciano Benvenuti
di Giorgio Pastori
Opere
Bibliografia
622 Regionalismo e federalismo
di Antonio D’Atena
Le origini
La relazione circolare tra l’elaborazione
scientifica e la regionalizzazione del Paese
La prima fase: l’ibernazione ventennale
della riforma
La seconda fase: dalle Regioni ad autonomia
ordinaria alla crisi del regionalismo
La terza fase: dalla crisi alla riforma ‘federale’
La quarta fase: la riforma del titolo V
della Costituzione e la sua attuazione
Bibliografia
La vita
Le matrici ideali
La nuova visione costituzionale
dell’amministrazione
L’amministrazione come funzione
obiettivata
L’amministrazione come funzione
partecipata
Il carattere paritario del rapporto
fra amministrazione e cittadini
Il pluralismo politico-istituzionale
e l’organizzazione amministrativa
La tutela giurisdizionale
Opere
Bibliografia
650 La pena
di Francesco Palazzo
631 L’amministrazione
di Aldo Sandulli
La rinascita degli studi amministrativi
nel secondo dopoguerra
Giovanni Miele e l’Umanesimo giuridico
Aldo M. Sandulli e Il procedimento
amministrativo
I saggi di esordio di Massimo Severo
Giannini
Dalla chiusura nel concettualismo all’apertura
al pluralismo
Le due facce del realismo giuridico
e la rinascita degli studi amministrativi
Il rapporto con la tradizione e la dominanza
dell’accademia sulla giurisprudenza
XXVI
Scienza penale ed esperienza giuridica
Fatti, valori, dogmi
I valori fra trascendenza assiologica
e relatività storica
Ambiguità e pregi dei dogmi
Stagnazione postbellica e primi semi
d’innovazione
La svolta del costituzionalismo penale
L’inclinazione verso la razionalità
politico-criminale
Inquietudini e interrogativi nella scienza
penale d’oggi
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
659 Giuseppe Bettiol
di Francesco Palazzo
La vita
Premesse filosofiche e caratteri generali
Reato e colpevolezza
Colpevolezza e personalità del reo
Pena e retribuzione
687 Il lavoro
di Riccardo Del Punta
Dalla Liberazione allo Statuto dei lavoratori
Gli anni Settanta
Gli anni Ottanta
Il diritto del lavoro tra due secoli
Conclusioni
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
663 Giuliano Vassalli
di Francesco Palazzo
La vita
Diritto e scienza penale
La pena
I diritti dell’uomo e il diritto
internazionale
695 Gino Giugni
di Silvana Sciarra
La vita
La formazione e gli anni Cinquanta
Giugni e il diritto comparato del lavoro
Gli anni della crisi dello Stato sociale
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
667 La giustizia civile
di Michele Taruffo
Gli inizi del secolo
Il primo dopoguerra e il fascismo
Il codice di procedura civile
Il dopoguerra
La Costituzione
La giustizia del lavoro
Le riforme processuali
La dottrina
Le variazioni e i protagonisti
Fin de siècle
699 Mercato e concorrenza
di Antonio Jannarelli
Mercato e concorrenza tra cultura giuridica
e cultura economica
Un’ipotesi di periodizzazione: la disciplina
antitrust
Dalla fine dell’Ottocento al fascismo:
dalla diffidenza alla chiusura corporativa
Il secondo dopoguerra: continuità
e discontinuità nella costituzione economica
La nuova costituzione economica europea
e la configurazione giuridica del mercato
Opere
Bibliografia
675 La giustizia penale
di Renzo Orlandi
Una pluralità di significati
Penalistica civile e tecnicismo giuridico
nel declino dell’Italia liberale
L’epoca del fascismo
L’Italia repubblicana
Lo scorcio finale del Novecento
Opere
Bibliografia
707 Tullio Ascarelli
di Mario Stella Richter jr
La vita
Le opere giuridiche e i contributi
alla scienza del diritto
Le riflessioni sul metodo e la teoria
dell’interpretazione
L’insegnamento, le iniziative culturali,
l’attività professionale e l’impegno politico
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
683 Il diritto di famiglia
di Marco Cavina
Modernità e tradizione nell’idea di famiglia
del primo Novecento
La famiglia nel ventennio fascista
Diritto di famiglia e democrazia
costituzionale
712 Salvatore Pugliatti
di Vincenzo Scalisi
La vita
La concezione integrale della giuridicità
XXVII
La proprietà come «interesse»
La proprietà come situazione
«complessa»
Interesse pubblico e interesse privato
nel diritto di proprietà
La «funzione sociale» e le diverse gradazioni
delle forme di appartenenza
Proprietà collettiva, res incorporales
e complessi di beni
Proprietà conformata e pluralità di statuti
proprietari
Lo sviluppo progressivo della disciplina
della responsabilità internazionale degli Stati
Gli obblighi erga omnes e la dimensione
pubblicistica del diritto internazionale
Il diritto del contenzioso interstatale
e il processo internazionale
La causa dei diritti dell’uomo
L’impostazione internazionalistica
nello studio dell’integrazione europea
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
734 La storia del diritto romano
di Aldo Schiavone
717 Diritto canonico e diritto
Viale del tramonto
La romanistica ‘nazionale’
Il ‘modello Bonfante’ e la polemica
con Benedetto Croce
Fascismo e modernizzazione giuridica
La crisi
Un’occasione mancata
Segni di vita
Quel che resta da fare
ecclesiastico
di Carlo Fantappiè
Diritto canonico
Dal Codex iuris canonici del 1917 al Concilio
Vaticano II
Dal Vaticano II al nuovo Codex del 1983
Dal Codex del 1983 alla fine del Novecento
Diritto ecclesiastico
Il contesto di origine nello Stato
liberale
Le relazioni interordinamentali
nello Stato fascista
Verso lo Stato costituzionale
Le problematiche religiose nel quadro
dello Stato democratico
Stato sociale e confessioni religiose
Le trasformazioni di fine Novecento
Bibliografia
741 Culto e cultura della storiografia
giuridica in Italia
di Carlos Petit
Il ‘codice Calasso’
Calasso dopo Calasso: la «Rivista
internazionale di diritto comune»
Storia giuridica e cultura: i «Materiali»
di Giovanni Tarello
Storia giuridica e pensiero: i «Quaderni»
di Paolo Grossi
Conclusioni
Opere
Bibliografia
725 Il sistema giuridico internazionale
e l’ordinamento comunitario
Opere
Bibliografia
di Giuseppe Palmisano
Il contesto giuridico internazionale
ed europeo nella seconda metà
del Novecento
Difficoltà di cogliere tratti distintivi comuni
nella recente dottrina internazionalistica
italiana
L’impostazione statalista-volontarista
e i suoi effetti interpretativi
L’approccio dualista al rapporto tra diritto
internazionale e ordinamento statale
Il mantenimento della concezione dualista
nello studio dell’ordinamento comunitario
Le tendenze sensibili alla dimensione sociale
dei fenomeni giuridici internazionali
Il diritto internazionale generale
come diritto «spontaneo»
La persona internazionale dello Stato
come ente reale
749 Francesco Calasso
di Ugo Petronio
La vita
Le prime polemiche
Le valutazioni mature
I meriti storici
La cosiddetta scuola di Calasso
Opere
Bibliografia
754 La filosofia del diritto
XXVIII
nel secondo Novecento
di Carla Faralli
Decadenza dell’idealismo
Positivismo giuridico e filosofia analitica
La concezione del potere
Opocher e la Resistenza
Il dibattito postpositivistico
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
761 Emilio Betti
di Tonino Griffero
771 Norberto Bobbio
di Pier Paolo Portinaro
La vita
Ermeneutica filosofica o metodica?
Un’ermeneutica differenziale
I canoni e il pericolo del relativismo
Relativa oggettività
La vita
Il filosofo dell’Italia civile
La diagnosi del proprio tempo
Il teorico del diritto e della politica
Opere
Bibliografia
Opere
Bibliografia
766 Enrico Opocher
di Giuseppe Zaccaria
777 Indice dei nomi
La vita
Il confronto con l’idealismo e la filosofia
dell’esperienza giuridica
L’idea e il valore della giustizia
791 Autori del volume
793 Referenze iconografiche delle tavole fuori testo
XXIX
INTRODUZIONE
Il diritto come ‘cultura’
Questo volume è dedicato alla storia della cultura giuridica italiana. È facile intendere
che i protagonisti sono i giuristi, ma non possiamo dare per intuitivo il collegamento fra
l’attività del giurista e la ‘cultura’. L’arte, la letteratura o la filosofia appaiono a chiunque
componenti essenziali della ‘cultura’ di un Paese: non è invece altrettanto immediata l’attribuzione al diritto di una significativa valenza ‘culturale’. È impossibile pensare il Trecento senza Dante, il Cinquecento senza Michelangelo o il Novecento senza Benedetto
Croce, ma non sembrano altrettanto indispensabili, per la caratterizzazione culturale di
questi secoli, rispettivamente, Bartolo da Sassoferrato, Andrea Alciato e Santi Romano.
Il presupposto da cui muove questo volume è la convinzione che il diritto sia un fenomeno complesso, un prisma a molte facce. Il diritto permea di sé la società proponendosi
come strumento di regolamentazione e di disciplinamento dei rapporti intersoggettivi, si
coagula in istituzioni, si traduce in sistemi normativi di diversa origine e complessità, contribuisce alla razionalizzazione e all’organizzazione del potere, si accredita insomma come
l’intelaiatura senza la quale la dinamica sociale (nel suo continuo intreccio di momenti
conflittuali e cooperativi) difficilmente potrebbe svolgersi. Profondamente connesso con
i valori, le aspettative, i conflitti, i poteri che si dispiegano in una determinata società, il
diritto ha un’evidente valenza ‘culturale’: è cioè un’indispensabile componente della cultura di un Paese, se diamo al termine cultura il significato socioantropologico di un insieme
di regole, credenze, costumi condivisi da una determinata società.
La dimensione ‘culturale’ del diritto cui s’intende qui fare riferimento ha però un significato più specifico e delimitato. Il diritto è una congerie di testi molteplici, riconducibili
alle diverse funzioni che è chiamato a svolgere: sono testi giuridici un codice, un regolamento amministrativo, una raccolta di consuetudini, un atto notarile, la sentenza di un
giudice, una decisione arbitrale, l’arringa di un avvocato. Non sarebbe facile delineare una
rigorosa tipologia dei testi definibili come ‘giuridici’. Nella classe dei testi ‘giuridici’ occorre
comunque iscrivere una peculiare sottoclasse, relativamente unitaria pur nelle sue molteplici articolazioni; una classe di testi che sono ‘giuridici’ in quanto assumono il diritto
come loro oggetto, riflettono su di esso illustrandone le caratteristiche generali o le più
minute determinazioni e si presentano come luoghi di elaborazione e di trasmissione di
uno specifico sapere.
Sono questi i testi che si offrono come specchio (più o meno fedele) di quell’esperienza
tanto familiare quanto sfuggente che chiamiamo diritto. La ‘cultura giuridica’ (in senso
stretto) è la rappresentazione more iuridico che un ceto professionale offre di una determinata società; è la visione dell’ordine e delle sue più varie articolazioni; l’illustrazione e
XXXI
la discussione dei suoi valori fondanti; la messa a punto delle strategie di conservazione o
di trasformazione degli assetti esistenti. La cultura giuridica (il diritto ‘riflesso’ nel sapere
specialistico dei giuristi) appare dunque un momento importante del discorso pubblico
nel quale una determinata società si esprime e si riconosce. È alla cultura giuridica così
intesa che il nostro volume è dedicato.
La cultura giuridica italiana e la sua ‘tradizione’
La cultura giuridica di cui proponiamo una storia è la cultura giuridica ‘italiana’. Non
è però immediatamente evidente quale sia lo scenario evocato – l’ambito di esperienza
individuato, la periodizzazione suggerita – da questo aggettivo. Se identificassimo il diritto
con il prodotto della volontà dello Stato, un diritto ‘italiano’ e la cultura che lo interpreta,
lo commenta, lo teorizza, potrebbero esistere soltanto dopo la creazione dello Stato nazionale. A rendere insoddisfacente una siffatta periodizzazione è però proprio il presupposto ipotizzato: la riduzione del diritto a momento interno dello Stato. Appare al contrario
storiograficamente più feconda l’ipotesi opposta: assumere il diritto come un insieme di
dispositivi capaci di disciplinare la dinamica intersoggettiva ben prima che l’assetto dei
poteri si organizzi nella forma dello Stato e presentare quest’ultimo non come il presupposto dell’ordine, ma come un episodio – di grande rilievo – del suo svolgimento storico.
Se è dunque ragionevole ammettere che di cultura giuridica italiana sia lecito parlare
anche prima della formazione dello Stato nazionale, resta comunque l’onere di individuare
un plausibile punto di inizio, precisando quali siano gli indicatori che permettono di presentare come ‘italiana’ una determinata esperienza storico-culturale.
Il problema è delicato e si propone non già soltanto per il sapere giuridico, ma per la cultura in tutte le sue più diverse espressioni. Una soluzione potrebbe essere cercata facendo
leva sul concetto di nazione. In questa prospettiva, il sapere giuridico potrebbe dirsi italiano
quando prende a concepire se stesso come l’espressione di una comune identità nazionale.
Il punto di inizio dovrebbe essere allora orientativamente collocato fra Sette e Ottocento,
quando comincia a diffondersi, sospinta dall’onda d’urto della Rivoluzione francese, un’idea
non più genericamente ‘linguistico-culturale’, ma precisamente politica di nazione. In questa prospettiva, la cultura giuridica si scoprirebbe ‘italiana’ nell’orizzonte del Risorgimento.
Essa inizierebbe quindi a esistere con un qualche anticipo rispetto allo Stato nazionale, ma
sarebbe ancora strettamente collegata a esso, che è la meta cui il Risorgimento tende.
In realtà, costringere la cultura giuridica ‘italiana’ nel perimetro dello Stato nazionale
(esistente o progettato) appare una forzatura intuitivamente insoddisfacente: ci sembrerebbe
bizzarro escludere Cesare Beccaria (o Gaetano Filangieri o Alberico Gentili o Cino da Pistoia)
da una lista di autori riconoscibili come ‘italiani’, così come diamo per scontato che Giotto
e Michelangelo, Boccaccio e Ariosto appartengono alla pittura e alla letteratura ‘italiane’.
Probabilmente, ciò che ci induce a considerare ‘italiani’ Cino da Pistoia o Filangieri è
il persistente (anche se ormai subliminale) effetto di una storiografia ottocentesca che, sensibile all’afflato risorgimentale e impegnata nella missione civile di offrire al nuovo Stato
un’adeguata legittimazione, ha assunto lo Stato nazionale come il punto di arrivo e il tèlos
immanente di una vicenda plurisecolare e ha quindi, per così dire, ‘nazionalizzato’ a ritroso
l’intera storia compresa fra la fine dell’impero romano e l’esito del Risorgimento.
Di questo schema narrativo (e dei suoi evidenti anacronismi) conviene sbarazzarsi.
Nessuna oscura provvidenza storica ha condotto all’elaborazione dei simboli e delle dottrine della nazionalità e ha presieduto al passaggio da una molteplicità di ordinamenti
politici all’unità dello Stato nazionale. Al contempo, però, la necessità di prendere congedo dai tenaci pregiudizi nazionalistici non può mettere a tacere l’esigenza di disporre
comunque di parametri capaci di offrire una qualche coerenza e unitarietà (e quindi intelligibilità) alla ricostruzione del passato. Non è la nazione, nella sua precisa (e storicamente
XXXII
determinata) dimensione ideologico-politica, a costituire un parametro adeguato. Quando
parliamo di cultura giuridica ‘italiana’ non dobbiamo evocare l’orizzonte del teleologico
svilupparsi di una nazione. Conviene piuttosto alludere alla forte e persistente continuità
di una tradizione.
Certo, la cultura giuridica non può annoverare, fra i parametri della sua ‘tradizione’,
l’elemento della lingua, che offre allo storico della letteratura un potente criterio di individuazione dei testi pertinenti: è infatti il latino l’idioma per lungo tempo dominante nel
sapere giuridico, mentre il volgare fa la sua comparsa soltanto nel 1673, grazie alla pionieristica iniziativa di Giovanni Battista De Luca. A vantaggio della compattezza della
propria tradizione, però, la cultura giuridica può vantare due caratteristiche di rilievo: da
un lato, il costante riferimento (spesso diretto e sempre almeno indiretto) a un insieme di
testi normativi (si pensi al Corpus iuris) che restano per secoli l’oggetto obbligato dell’interpretatio del giurista; dall’altro lato, il metodo (o meglio l’habitus) caratteristico del sapere
giuridico, imperniato (non troppo diversamente dal sapere teologico) sul rispetto delle
auctoritates, incline a valorizzare una catena di opiniones autorevoli che attraversano i secoli
e si prestano a sempre nuove attribuzioni di senso e modalità applicative.
Grazie all’incessante lavoro interpretativo di molte generazioni di giuristi, un discorso
compatto e articolato, un sofisticato sapere specialistico – lo ius commune – giunge dal 12°
sec. fino alle soglie della moderna ‘età della codificazione’. Certo, non tutto il sapere giuridico è riconducibile alla tradizione dello ius commune; né questa tradizione resta indenne
da critiche graffianti che culmineranno nell’attacco sferrato dai riformatori settecenteschi.
Ciò che preme sottolineare prendendo spunto dal macroscopico episodio dello ius commune è semplicemente la coesione e la continuità di quella formazione discorsiva che chiamiamo cultura giuridica: essa si presenta come un viluppo di linee, figure, segni diversi
(lo ius commune è una linea forte e netta in un quadro affollato di pennellate molteplici)
che risultano decifrabili e dotati di senso in quanto espressione di esperienze condivise.
L’Italia prima dell’Italia è per molti secoli un coacervo di organizzazioni politiche
diverse per struttura ed estensione e tuttavia il sapere giuridico che si sviluppa nella cornice di questa tormentata geografia politica si presenta come un corpus di metodi, principi, schemi argomentativi, definizioni che va al di là delle singole realtà politico-istituzionali e opera come un tessuto connettivo, come un linguaggio comune che si trasmette,
continuamente modificato e tuttavia riconoscibile, di generazione in generazione.
Il sapere giuridico, come sapere soggiacente alla perdurante molteplicità degli ordinamenti, contribuisce alla formazione di una comune identità ‘italiana’, alla nascita di un
germinale senso di ‘nazionalità’ che, ancora (e per molto tempo) sprovvisto di una precisa
proiezione politica, si alimenta della condivisione di una cultura unitaria, confermata e
trasformata di generazione in generazione.
***
Di questa tradizione la cultura giuridica dell’Italia unita è l’ultimo anello. L’‘italianità’
della tradizione non ha a che fare con un suo teleologico tendere allo Stato nazionale, che
interverrebbe come l’attuazione conclusiva delle sue interne potenzialità. Semplicemente,
la cultura giuridica italiana otto-novecentesca non potrebbe esistere se non in quanto connessa (per adesione oppure per frontale contrapposizione) con il sapere giuridico sviluppatosi per continue, ininterrotte accumulazioni nei secoli precedenti. È il nostro presente
che deve appropriarsi del nostro passato, sforzandosi di intenderne la specificità e la peculiare ‘alterità’ rispetto alle nostre abitudini mentali, ma al contempo riconoscendo in esso
la propria indispensabile matrice.
Quanto all’indietro nel tempo dobbiamo sospingere la tradizione? Dove possiamo collocare l’avvio di un sapere giuridico che arriva, con mille trasformazioni, fino ai nostri
giorni? La risposta a questa domanda può essere netta: fra 11° e 12° sec., quando il CorXXXIII
pus iuris viene riscoperto e comincia a essere minuziosamente ‘glossato’. Con il 12° sec.,
ovviamente, non nasce il diritto che, come indispensabile intelaiatura normativa di qualsiasi società, esiste anche là dove manca la sua immagine riflessa nello specchio di un apposito sapere; nasce (rinasce) la ‘cultura giuridica’: prende a svilupparsi, dopo un lungo silenzio, un ‘discorso di sapere’, un discorso che ‘riflette’ sul diritto in quanto lo assume come
il proprio tema unificante.
La cultura giuridica ‘italiana’ nasce a Bologna, nel quadro di un’istituzione – l’università – anch’essa inedita e di importanza determinante per la formazione e la trasmissione
del nuovo sapere. Si profila dunque in Italia una tradizione culturale destinata a raggiungere il nostro presente. È di questa tradizione che intendiamo proporre una ricognizione,
mettendo però in guardia il lettore da due possibili fraintendimenti.
In primo luogo, la tradizione giuridica (come ogni tradizione) non deve essere pensata
come un flusso che procede con un moto uniforme verso un esito obbligato. Al contrario,
è caratteristica della tradizione la singolare compresenza di elementi apparentemente contraddittori: da un lato, l’ininterrotta trasmissione, di generazione in generazione, dei contenuti e degli stili concettuali volta a volta condivisi e, dall’altro lato, l’intervento di continui mutamenti, talora lenti e quasi inavvertibili e in altri momenti rapidi e drammatici.
Ogni tradizione deve fare i conti con il mutamento: e a maggior ragione ciò è vero per il
sapere giuridico, costretto a misurarsi con i contraccolpi della politica e con le trasformazioni degli assetti istituzionali. Tutto appare (ed è effettivamente) diverso, quando si confrontino fra loro i punti estremi della linea tracciata dalla tradizione; e tuttavia, anche nei
processi di più vorticosa ‘accelerazione della storia’, l’invenzione del futuro passa attraverso un indispensabile rapporto (di appropriazione creativa o anche di iconoclastica rottura) con il passato.
In secondo luogo, non si pensi alla tradizione giuridica ‘italiana’ come a un giardinetto
circondato nei secoli da insuperabili steccati. Potremmo rischiare di cadere in questo equivoco se guardassimo alla tradizione con le aspettative del nazionalismo storiografico ottonovecentesco, cercando in essa conferme della ‘unicità’ della nazione o del ‘primato’ degli
italiani. In realtà, la tradizione giuridica (come ogni tradizione) non è un hortus conclusus:
è piuttosto un affollato crocevia di testi, convinzioni, prospettive. Anche da questo punto
di vista assistiamo alla combinazione di due elementi apparentemente disomogenei: da un
lato, la tradizione si sviluppa confermando una sua riconoscibile fisionomia; dall’altro lato,
i suoi tratti caratteristici non sono il risultato di un deterministico imprinting, ma si formano e si trasformano grazie alla continua sinergia con tradizioni diverse, appartenenti a
differenti aree geografiche, culturali e politiche. La tradizione giuridico-culturale italiana
non è un’eccezione alla regola, ma ne è una conferma. In ogni momento della sua storia,
essa ha ricevuto stimoli e suggestioni dal confronto con altre tradizioni e a sua volta è intervenuta costantemente, con proposte spesso audaci e originali, nel dibattito europeo.
Alle soglie dell’età moderna comincia a circolare l’idea di una comunità ideale: la repubblica delle lettere. Una siffatta idea non era solo un’illusione accademica. Nell’Europa
funestata fino a tempi recentissimi da guerre sanguinose il libero confronto fra tradizioni
diverse era una pratica costante e rendeva possibile la formazione, se non di un’identità
comune, certo almeno di uno spazio pubblico europeo di cui i nostri doctores iuris (da
Bartolo ad Alciato, a Gentili, a Filangieri, a Beccaria, sino a Orlando e a Romano) erano
parte integrante.
La cultura giuridica italiana: una proposta di lettura
Ripercorrere la cultura giuridica italiana fra gli inizi del 12° sec. e le soglie del 21° tentando di sorprendere in essa il sottile intreccio delle continuità (ora aperte, ora dissimulate) e delle innovazioni; mostrare, di quella cultura, la costante partecipazione (al conXXXIV
tempo, propositiva e ricettiva) al dibattito europeo: sono queste le principali linee-guida
che sorreggono il nostro volume.
Non è una semplice Introduzione la sede appropriata per dar conto della vivacità intellettuale e della dimensione europea del sapere giuridico italiano: sarà la lettura dei saggi
del volume a offrirne un’illuminante conferma. Possiamo soltanto ricordare esemplificativamente alcuni passaggi ed episodi di particolare rilevanza. È ovviamente determinante
il ‘momento’ inaugurale: la riscoperta del Corpus iuris e l’avvio della sua paziente e capillare lettura. Non è un evento di portata ‘locale’: è, al contrario, l’evento che sancisce l’inizio dell’intera cultura giuridica europea, la messa a coltura di un terreno che presto si gioverà dei contributi di giuristi transalpini (si pensi al ruolo esercitato, per lo sviluppo del
metodo del ‘commento’, da Jacques de Révigny e da Pierre de Belleperche). Inizia precocemente un dialogo a più voci destinato a proseguire senza interruzioni. Si pensi al problema ermeneutico sollevato dagli umanisti che oppongono a una lettura ‘attualizzante’
dell’antico testo normativo la necessità di un accertamento ‘filologico’ del suo significato.
La discontinuità con abitudini culturali ormai consolidate non potrebbe essere più netta
e tuttavia le due strategie ermeneutiche finiranno per coesistere e per contaminarsi a vicenda
all’interno di un sapere capace di mantenere, nel corso del tempo, una sua fondamentale
unitarietà. Ancora: l’approccio ‘storicizzante’ prende il nome di mos gallicus, data la sua
diffusione in terra di Francia; e tuttavia è proprio nel seno della civiltà tardomedievale
italiana che fiorisce l’Umanesimo, grazie alla sensibilità di un composito ceto intellettuale
animato da una nuova curiosità per l’antica sapienza. E uno dei primi e più brillanti difensori del nuovo metodo è il milanese Alciato, che però avrà modo di illustrare la sua dottrina ad Avignone e a Bourges.
La tradizione giuridica si sviluppa trasformandosi (in modo graduale e inapparente
oppure subitaneo e clamoroso) nel quadro di un dibattito che scavalca costantemente i
confini geografici e politici. Lo ius mercatorum trova (nella pratica e nella teoria) il suo
primo habitat nella vivacissima realtà delle città italiane, ma diviene nel corso del tempo
un obbligato terreno di scambio con esperienze e stili maturati al di là delle Alpi.
La forza innovativa di una teoria procede spesso di pari passo con la sua capacità di
entrare in connessione e in sinergia con ambienti e fenomeni di portata europea. Si pensi
ad Alberico Gentili (peraltro docente a Oxford), che gode di una fama duratura come uno
dei ‘fondatori’ del moderno diritto internazionale. Si pensi ancora alla fortuna della teorica della ‘ragion di Stato’, elaborata da Giovanni Botero. Si pensi infine alla temperie
cosmopolitica caratteristica del ‘Settecento riformatore’, quando Filangieri e Francesco
Mario Pagano conoscevano e discutevano a fondo le proposte francesi e inglesi (e americane) e Beccaria veniva tradotto dovunque in Europa e veniva commentato da Voltaire.
Potremmo attenderci un mutamento di rotta con l’Ottocento, dominato da un nuovo
senso di identità collettiva: in realtà, nemmeno i conflitti innescati dalle rivendicazioni
nazionalistiche riescono a trasformare la cultura giuridica in una monade autosufficiente.
Certo, si rafforza la tendenza alla celebrazione retorica della nazione, ma ciò non impedisce la prosecuzione del confronto fra tradizioni culturali diverse: si pensi, da un lato, ai
dibattiti sulla codificazione (collegati all’esperienza francese e al codice Napoleone) e, dall’altro lato, alla fortuna di Friedrich Karl von Savigny in Italia e al perdurante influsso di
un paradigma ‘storicistico’ sulla cultura giuridica italiana. E nemmeno la creazione dello
Stato nazionale provoca una battuta di arresto nel dialogo interculturale: il metodo giuridico orlandiano viene elaborato in stretta connessione con la giuspubblicistica tedesca,
mentre la ‘scuola positiva’ di diritto penale gode di un notevole credito in Francia e in
Germania come negli Stati Uniti d’America.
Gli esempi potrebbero essere moltiplicati. In realtà, però, è solo il volume nel suo complesso che può offrire al lettore il senso compiuto della varietà tematica e della ricchezza
propositiva della tradizione giuridica italiana.
XXXV
Di una siffatta tradizione i protagonisti sono, ovviamente, i giuristi: sono i giuristi che
l’hanno fondata, sviluppata, trasformata e hanno al contempo conseguito, grazie al ‘monopolio’ di un peculiare sapere specialistico, un rilevante ruolo sociale. È comprensibile
quindi che nel nostro volume un notevole spazio sia riservato alle biografie intellettuali di
giuristi di particolare rilievo. Occorre però tener presente che una tradizione discorsiva
non coincide semplicemente con la riflessione di pochi autori eminenti: essa è piuttosto
una formazione alluvionale, il risultato di un flusso ininterrotto di testi che tutti insieme
contribuiscono a sottolineare una tendenza, a mettere a fuoco un tema, a suggerire la soluzione più persuasiva. Proprio per questo ci è sembrato indispensabile affiancare all’illustrazione di singole personalità la ricognizione di snodi tematici, di indirizzi metodici, di
discipline che permettano di cogliere volta a volta i punti centrali del dibattito. È appunto
questa convinzione che si è rispecchiata nella struttura del nostro volume, in cui i contributi storiografici di carattere ‘tematico’ sono costantemente affiancati da (e incrociati con)
saggi dedicati alla ricostruzione del pensiero di singoli personaggi.
Il criterio ordinante dell’esposizione è rigorosamente storico-diacronico. Avremmo
potuto compiere una scelta (parzialmente) diversa facendo leva sulle discipline nelle quali
il sapere giuridico si articola e offrendo per ciascuna di esse (per il diritto pubblico, per il
diritto privato, per il diritto penale ecc.) una ricognizione storiografica. Abbiamo scelto
una strategia diversa: valorizzare la fondamentale unitarietà del sapere giuridico e coglierne
le molteplici componenti nel succedersi delle diverse epoche storiche. L’opera quindi è
organizzata in sezioni storico-cronologiche, ciascuna delle quali è a sua volta composta,
come ricordavamo, di saggi tematici e di biografie intellettuali.
Dalla lettura incrociata dei saggi tematici e dei contributi biografici presenti nelle varie
sezioni non scaturisce una ricostruzione analitica ed esaustiva della cultura giuridica italiana dalle origini ai nostri giorni. Sarebbe stata necessaria a questo scopo un’opera di ben
altra mole e di diversa struttura. La nostra intenzione non è delineare un quadro ‘completo’: le assenze, le lacune, le domande inevase potranno essere facilmente registrate da
un lettore esigente. Il nostro obiettivo è offrire dati e riflessioni storiograficamente attendibili e capaci di far intendere il senso e la portata di una tradizione culturale. Dall’insieme dei saggi di cui il volume si compone non esce certo un’enfatica apologia della ragione
giuridica: confidiamo però che in essi il lettore trovi eloquenti esempi della vitalità e dello
spessore di una tradizione che costituisce una parte integrante dell’identità culturale del
nostro presente.
Paolo Cappellini - Pietro Costa - Maurizio Fioravanti - Bernardo Sordi
XXXVI
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Autori del volume
Orazio Abbamonte: Giovanni Manna
Giorgia Alessi: La costituzionalizzazione del processo
penale
Mario Ascheri: I grandi tribunali
Federigo Bambi: Baldo degli Ubaldi; Enrico da Susa,
detto l’Ostiense
Mauro Barberis: La filosofia del diritto nel primo
Novecento
Pasquale Beneduce: Francesco Filomusi Guelfi
Italo Birocchi: Mos italicus e mos gallicus;
Il diritto patrio
Gianfranco Borrelli: La teorica della ragion di Stato
Paolo Cappellini: Alle porte d’Italia: unificazione
nazionale e uniformazione giuridica; La forma-codice:
metamorfosi e polemiche novecentesche
Paolo Caretti: Costituzione e giustizia costituzionale
Sabino Cassese: Massimo Severo Giannini
Aldo Andrea Cassi: Alle origini del diritto internazionale:
Alberico Gentili
Marco Cavina: Il diritto di famiglia
Giovanni Cazzetta: Gian Pietro Chironi;
Il lavoro (sezione L’età liberale)
Aurelio Cernigliaro: Bernardo Tanucci
Enzo Cheli: I giuristi alla Costituente
Giovanni Chiodi: Lo ius civile: glossatori e commentatori;
Filippo Vassalli
Giulio Cianferotti: Lo Stato nazionale e la nuova scienza
del diritto pubblico
Floriana Colao: Le scuole penalistiche
Chiara Continisio: Giovanni Botero
Pietro Costa: L’antico regime: tradizione e rinnovamento
Alessandro Dani: Giovanni Battista De Luca
Antonio D’Atena: Regionalismo e federalismo
Giovannangelo De Francesco: Francesco Carrara;
Arturo Rocco
Riccardo Del Punta: Il lavoro (sezione Le trasformazioni
del Novecento: La democrazia costituzionale)
Ugo De Siervo: Giorgio La Pira
Ettore Dezza: Il problema della pena di morte
Carlo Fantappiè: Diritto canonico e diritto ecclesiastico
Carla Faralli: La filosofia del diritto nel secondo
Novecento
Riccardo Ferrante: Il problema della codificazione
Maurizio Fioravanti: Stato e Costituzione: l’esperienza
del Novecento
Mauro Fotia: Vittorio Emanuele Orlando
Loredana Garlati: Pietro Verri
Raffaella Gherardi: Marco Minghetti
Massimiliano Gregorio: Partito politico e governo
Tonino Griffero: Emilio Betti
Paolo Grossi: Medioevo e modernità: le diverse fondazioni
di due civiltà giuridiche
Dario Ippolito: Progetti costituzionali:
Francesco Mario Pagano
Antonio Jannarelli: Mercato e concorrenza
Luigi Lacchè, Il costituzionalismo liberale; Pellegrino Rossi
Fulco Lanchester: Costantino Mortati
Carlotta Latini: Luigi Lucchini; Arnaldo Volpicelli
Luca Mannori: L’amministrazione degli antichi Stati
Paolo Marchetti: Cesare Lombroso
Luciano Martone: Il diritto coloniale
Aldo Mazzacane: Prospero Farinacci
Ferdinando Mazzarella: Giuseppe Salvioli; L’impresa
Massimo Meccarelli: La giustizia civile (sezione L’età
liberale); Lodovico Mortara; Giuseppe Chiovenda
Alberto Melloni: Innocenzo IV
Francesco Migliorino: Diritto mercantile
Marco Nicola Miletti: La giustizia penale (sezione L’età
liberale)
Giovanni Minnucci: Graziano; Bonifacio VIII
Franco Modugno: Carlo Esposito
Mario Montorzi: I giuristi e il diritto feudale
Laura Moscati: Federico Paolo Sclopis
Guido Neppi Modona: La pena nel ventennio fascista
Luca Nogler: Giuseppe Messina
Luigi Nuzzo: Pasquale Stanislao Mancini
Renzo Orlandi: La giustizia penale (sezione
Le trasformazioni del Novecento: La democrazia
costituzionale)
Andrea Padovani: Gregorio IX
Francesco Palazzo: La pena; Giuseppe Bettiol;
Giuliano Vassalli
Giuseppe Palmisano: Il sistema giuridico internazionale
e l’ordinamento comunitario
Agostino Paravicini Bagliani: La costruzione
della monarchia papale
Paolo Passaniti: Lodovico Barassi
Renato Pasta: Cesare Beccaria
Giorgio Pastori: Feliciano Benvenuti
Carlos Petit: Culto e cultura della storiografia giuridica
in Italia
Ugo Petronio: Francesco Calasso
Vito Piergiovanni: Giuseppe Lorenzo Maria Casaregi
Michele Pifferi: La criminalistica; Tiberio Deciani
Ulderico Pomarici: Giuseppe Capograssi
Ilaria Porciani: Attilio Brunialti
Pier Paolo Portinaro: Norberto Bobbio
Diego Quaglioni: Il nuovo ordinamento della Chiesa:
decretisti e decretalisti
Maria Gigliola di Renzo Villata: La critica del diritto
giurisprudenziale e le riforme legislative
Eugenio Ripepe: La teoria dell’ordinamento giuridico:
Santi Romano
Umberto Romagnoli: Lavoro impresa corporazione
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Giovanni Rossi: Bartolo da Sassoferrato; Lorenzo Valla;
Andrea Alciato
Fabio Rugge: Il problema dell’amministrazione
Aldo Sandulli: L’amministrazione
Umberto Santarelli: Giuristi e mercanti
Nicoletta Sarti: Accursio
Vincenzo Scalisi: Salvatore Pugliatti
Aldo Schiavone: La storia del diritto romano
Silvana Sciarra: Gino Giugni
Alberto Sciumè: Cesare Vivante
Mario Sirimarco: Vezio Crisafulli
Stefano Solimano: Tendenze della civilistica
postunitaria
Bernardo Sordi: La progettazione della modernità:
l’Illuminismo giuridico; Silvio Spaventa
Enrico Spagnesi: Irnerio
Giuseppe Speciale: Alfredo Rocco
Alberto Spinosa: Giuseppe Pisanelli; Luigi Borsari
Mario Stella Richter jr: Tullio Ascarelli
Emanuele Stolfi: Vittorio Scialoja
Irene Stolzi: Lo Stato corporativo; Lorenzo Mossa;
Enrico Finzi
Claudia Storti: I giuristi di fronte alla città e all’impero
Monica Stronati: Enrico Ferri; Il socialismo giuridico
e il solidarismo
Michele Taruffo: La giustizia civile
(sezione Le trasformazioni del Novecento:
La democrazia costituzionale)
Elio Tavilla: Ludovico Antonio Muratori
Monica Toraldo Di Francia: Carlo Costamagna
Antonio Trampus: Gaetano Filangieri
Ferdinando Treggiari: Emanuele Gianturco
Nicolò Trocker: Piero Calamandrei
Marcello Verga: Pompeo Neri
Raffaele Volante: I giuristi e il contratto
Giuseppe Zaccaria: Enrico Opocher
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Marco Nicola Miletti
La giustizia penale
Retorica dello scontento
Nell’Italia postunitaria la giustizia penale è ambito
di elezione per sperimentare le conquiste statutarie,
sostanziare la libertà politica, «educare il popolo al
sentimento del vero [e] del giusto» stimolandolo al
«civico concorso» (L. Lucchini, Somme finalità del
giure penale, in Per le onoranze a Francesco Carrara,
1899, pp. 410 e 415). Il tema appassiona intellettuali
e salotti borghesi, dilaga sulla stampa, irrompe nell’agone parlamentare. Eppure, stenta a tradursi in una
scienza processualpenale degna del ‘genio italico’.
Le radici dell’insoddisfazione sono ramificate: una
codificazione, quella del 1865, sortita da un affrettato
rimaneggiamento del codice sabaudo del 1859; una
dottrina asfittica rispetto al penale sostanziale; lo scarto
tra una forma di governo finalmente liberal-garantista e un processo ancora autoritario. Di questa articolata retorica dello scontento le pagine seguenti si
propongono di decrittare le tracce più significative,
privilegiando la prospettiva processuale con riferimento a un arco cronologico (1859-1913) racchiuso
tra due codici.
Il disappunto si innestò inizialmente nella polemica sull’unificazione ‘a vapore’. Gli «uomini della
scuola di Procuste», ironizzava Francesco Carrara,
leader della penalistica del giovane Regno, «osteggia[va]no ogni miglioramento delle leggi sarde» e sminuivano al rango di «idee regionali» quelle poche istituzioni giudiziarie che negli Stati preunitari avevano
svolto una preziosa funzione antidispotica (Introduzione a C.A. Weiske, Manuale di procedura penale con
speciali osservazioni sul diritto sassone [...], 1874, pp.
XII-XIV).
In effetti, tra i ‘modelli’ processualpenali europei
circolanti nella prima metà dell’Ottocento la normativa piemontese non occupava un posto di rilievo. Il
Codice di procedura criminale del 1847 era stato reso
subito obsoleto dallo Statuto Albertino. In ottemperanza a quest’ultimo, l’editto 26 marzo 1848 nr. 695
aveva affidato a «giudici del fatto» la cognizione dei
più gravi reati commessi a mezzo stampa. Il 20 novembre del 1859 il governo sabaudo, dilatando la delega
legislativa incassata in vista della Seconda guerra d’indipendenza, aveva promulgato il Codice di procedura
penale per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna (in vigore
dal 1° maggio 1860), il cosiddetto codice Rattazzi,
con il quale si prefiggeva di adeguare il rito ai dettami costituzionali e di renderlo fruibile ai territori
annessi. Di spiccato timbro inquisitorio, compensato
però dalla ‘novità’ della giuria, esso fu esteso alla
Lombardia il 1° luglio 1862; nelle province meridionali venne applicato, con alcune correzioni, a partire
dal 1° giugno 1862.
Arenatisi i progetti di riforma predisposti dal guardasigilli Giuseppe Pisanelli tra il 1863 e il 1864, la l.
2 apr. 1865 nr. 2215 sull’unificazione legislativa delegava il governo a estendere, con le opportune modifiche, alle province toscane il c.p.p. del 1859. Nelle
settimane successive una commissione presieduta da
Domenico De Ferrari e composta, tra gli altri, da
Filippo Ambrosoli ed Enrico Pessina elaborò con
estrema riservatezza il Codice di procedura penale del
Regno d’Italia, promulgato con r.d. 26 nov. 1865 nr.
2598 e in vigore dal 1° gennaio 1866 in tutte le province del Regno.
Nella relazione di accompagnamento il guardasigilli Paolo Cortese collegava l’esigenza di uniformare
il rito penale nell’intero Regno, incluso l’ex Granducato, al trasferimento della capitale a Firenze. Suonava consolatoria l’assicurazione di avere attinto alle
«buone instituzioni preesistenti nelle singole province»
e di avere contemperato «soverchia larghezza» e «inquisizione pericolosa alla civile libertà».
In realtà, l’articolato del 1865 perfezionava la disciplina della libertà personale e del giudizio d’accusa, ma segnava persino un regresso in materia di
nullità, di impugnazioni e di leggibilità in udienza
delle deposizioni scritte: difetto, quest’ultimo, accentuato dall’applicazione giurisprudenziale e che rivela
la dipendenza psicologica dei giudici togati dal fascicolo cartaceo (Cordero 20068, p. 81). Concludendo
467
MARCO NICOLA MILETTI
la relazione, Cortese preveniva le critiche «della
scienza» puntualizzando
che il mandato del governo non si spingeva fino alla
completa redazione di legge nuova, sicché gli intenti
pratici dovevano essere considerati come i più urgenti
(Relazione sul codice di procedura penale, in Codice di
procedura penale del Regno d’Italia colla relazione del
ministro guardasigilli fatta a S.M. in udienza del 26
nov. 1865 [...], 1866, pp. III-V, IX, XXXII).
Dinanzi a queste giustificazioni i primi commentari si mostrarono comprensivi. Carrara, viceversa,
nella celebre prolusione pisana del 12 novembre 1873
proclamò il «bisogno urgentissimo» per il «decoro d’Italia» di gettare «alle fiamme il nostro codice di procedura penale del 1865, indegno da capo a fondo dei
tempi nostri e di un popolo che dicesi libero»: e stigmatizzò che, dinanzi al «giogo di ferro», «tutti tacciono
ad eccezione di pochi» (Il diritto penale e la procedura
penale, in Id., Programma del corso di diritto criminale.
Del giudizio criminale. Con una selezione dagli Opuscoli di diritto criminale, 2004, p. 438).
Per la verità, tacquero in pochi. Esponenti di
scuole diverse ravvisarono nel codice di rito il «peccato originale» della filiazione dalla Francia, «l’impronta dell’ansia frettolosa», il mancato aggiornamento scientifico e, soprattutto, il contrasto con le
«franchigie e libertà» statutarie ormai metabolizzate
(A. Buccellati, Il nihilismo e la ragione del diritto
penale, «Memorie del R. Istituto lombardo di scienze
e lettere», 1882, 14, p. 299). In Parlamento risuonò
ripetutamente il malcontento per i continui «rattoppi»
al c.p.p. (il primo addirittura ventotto giorni dopo
l’entrata in vigore), presagio di una precarietà normativa destinata a cronicizzarsi.
I principali ritocchi si concentrarono a ridosso dell’avvicendamento dalla Destra alla Sinistra storica,
allorché si allentarono gli ostruzionismi delle forze
reazionarie (F. Benevolo, Le riforme al codice di procedura penale. Il Pubblico Ministero e il Giudice istruttore, «Rivista penale», 1890, 31, 5, pp. 405-07). La
legge sulla corte d’assise (1874) e la riforma Vigliani
della detenzione preventiva e della libertà provvisoria (1876) modificarono in senso progressista istituti
di pregnante portata simbolica. Parimenti significativo fu il coordinamento del c.p.p. al codice Zanardelli,
effettuato con decreto 1° dic. 1889 nr. 6509: esso comportò modesti aggiustamenti (in particolare l’abolizione della correzionalizzazione), ma dimostrò come
il sistema parlamentare fosse compatibile con grandi
imprese legislative. Per il resto, i disegni di legge e gli
organismi di studio susseguitisi senza successo dallo
schema De Falco (1866) alla commissione FinocchiaroAprile (1898) si avvitarono intorno a nodi controversi:
la ridefinizione delle competenze, lo snellimento delle
procedure mediante citazione diretta o direttissima e
la semplificazione del giudizio d’accusa, la riforma
della giuria, dell’appello, della revisione.
Le garanzie tradite
Come tutti i codici di derivazione napoleonica, il
c.p.p. italiano del 1865 presentava un’architettura «a
duplice arcata»: all’istruzione di stampo inquisitorio
seguiva un dibattimento accusatorio. Il difetto più
vistoso del sistema ‘misto’ consisteva nell’ipoteca esercitata dal primo segmento sul secondo. In astratto,
perciò, un inquisitorio ‘secco’ poteva rivelarsi «più
serio» (F. Carrara, Introduzione a C.A. Weiske,
Manuale di procedura penale, cit., pp. XX-XXI). Sulla
scia delle perplessità carrariane, i penalisti moderati
non si lasciarono incantare dalla facile equazione inquisitorio-oscurantismo e accusatorio-liberalismo. Essi
comprendevano che l’evoluzione del processo trascinava fatalmente con sé scorie autoritarie, «sprazzi d’una
fioca luce che la civiltà morente del passato lasciava
sull’orizzonte del suo tramonto» (G. Borsani, L. Casorati, Codice di procedura penale italiano commentato.
Libro primo, 1873, p. X). Per l’accusatorio puro si
schierarono invece Luigi Lucchini e i fautori del giudizio d’accusa facoltativo, adottato dal Regolamento
austriaco del 1873. Simili opzioni rimasero però minoritarie, schiacciate tra la prudenza dei carrariani, il
gradualismo pessiniano e il positivismo reazionario.
La critica liberale non risparmiò nessuna fase del
rito penale. Tuonò contro l’«osceno connubio» tra
investigazioni di polizia e attività giurisdizionale istruttoria (F. Carrara, Il diritto penale e la procedura penale,
in Id., Programma del corso di diritto criminale, cit., p.
436). Lanciò strali contro la «zavorra inquisitoria» e il
formalismo ottuso (L. Lucchini, I semplicisti (antropologi, psicologi e sociologi) del diritto penale, 1886, p.
254). Si batté per invertire il rapporto di regola/eccezione tra istruzione formale e sommaria, soluzione
poi recepita dal codice del 1913. Cocenti delusioni
procurava il giudizio, che la penalistica classica aveva
concepito quale momento di controllo sociale sulla
funzione giudiziaria e che invece soffriva le crescenti
distorsioni della pubblicità, amplificate dal morboso
interesse della stampa per i processi spettacolo. Il
dibattimento fu svilito a grottesco teatrino:
Il p.m. è quasi sistematicamente per l’accusa; i difensori stendono imboscate, ed i più annoiano con orazioni stereotipate; sfilano i testimoni, rosarii di inesatte notizie e di deliberate ed inconsce bugie;
disputano periti stiracchiandosi la scienza (A. Zerboglio, Realtà ed illusioni della giustizia penale. Prolusione letta nella R. Università di Roma il 23 novembre
1905, «Rivista di diritto penale e sociologia criminale»,
1905, 6, p. 266).
Insomma, i principi più commendevoli si atrofizzavano nell’impatto con le «tendenze retrive» (F. Carrara,
Foglio di lavoro per la commissione sulla riforma carceraria [10 febbraio 1872], in Id., Opuscoli di diritto criminale, 4° vol., Progresso e regresso del giure penale [...],
1, 1874, pp. 340-41). Nell’interminabile transizione al
468
LA GIUSTIZIA PENALE
nuovo regime la giustizia tradì la sua missione civile
perché pretese di conciliare gli opposti: «il costituto
obiettivo nel gabinetto dell’inquisitore, e l’oralità
tribunizia dei dibattimenti»; l’estromissione della
difesa dall’istruzione e il contraddittorio in giudizio;
il rifiuto dell’azione popolare e l’inappellabilità del
verdetto dei giurati (L. Lucchini, Somme finalità del
giure penale, in Per le onoranze a Francesco Carrara,
cit., p. 416).
Lo scollamento tra ideale e reale inficiava anche la
valutazione dell’ordinamento giudiziario. In linea di
principio, i giuristi liberali confidavano nella magistratura quale unica «barriera contro le esorbitanze
del potere esecutivo» (E. Brusa, Note alla lezione
XXXVIII di L. Casanova, Del diritto costituzionale,
2° vol., 1875, p. 423) o «ultima àncora legale di salvezza» delle libertà, come ribadiva con foga Lucchini
(Somme finalità del giure penale, in Per le onoranze a
Francesco Carrara, cit., p. 418) all’indomani delle cannonate di Fiorenzo Bava Beccaris. In realtà l’autonomia statutaria del potere giudiziario (frazionato peraltro in cinque cassazioni regionali sino all’unificazione
della Cassazione penale realizzata con l. 6 dic. 1888
nr. 5825), non era così scontata. Della legge organica
6 dic. 1865 nr. 2626 si scrisse che aveva infeudato i
giudici all’esecutivo (F. Carrara, Il diritto penale e la
procedura penale, in Id., Programma del corso di diritto
criminale, cit., p. 435). Longa manus del controllo governativo era il pubblico ministero, che l’art. 129 qualificava «rappresentante del potere esecutivo presso
l’autorità giudiziaria» ponendolo «sotto la direzione
del Ministro della Giustizia». La norma, tacciata d’incostituzionalità, fu incolpata di aver reso il p.m. «figlio
della politica» (F. Carrara, I discorsi di apertura [1873],
in Id., Opuscoli, 4° vol., 1, cit., pp. 44-45), «persona
ibrida quant’è ibrido il sistema misto, un poco parte
e un po’ magistrato, un po’ soggetto all’azione del governo e un po’ indipendente» (L. Lucchini, Elementi
di procedura penale, 1895, p. 215).
Sondaggi storiografici comprovano le pressioni
ministeriali sulla magistratura inquirente. Un’abbondante pubblicistica discettò delle possibili contromisure. Ma ogni tentativo di correggere l’ambigua fisionomia del pubblico ministero naufragava dinanzi alle
convergenti pressioni del ceto politico e dei sostenitori dell’accusatorio ‘puro’ perché gli si conservasse
uno status funzionale distinto, che lo rendeva meglio
controllabile. Né i suoi poteri furono scalfiti dalla
scelta del codice Finocchiaro-Aprile – già caldeggiata
da Vincenzo Manzini (Manuale di procedura penale
italiana, 1912, pp. 14-15) – di sottrargli la qualifica
di parte sul presupposto che lo Stato non persegue un
fine a priori contrapposto a quello dell’imputato (Relazione al Re, in Commento al codice di procedura penale,
1915, 1/3, p. 562).
Si discuteva se, nell’esercizio dell’azione penale (che
gli spettava ex artt. 2, 2° co. e 42 nr. 1 c.p.p. 1865), il
pubblico ministero dovesse attenersi al criterio di lega-
lità o di opportunità. Il dilemma si scioglieva in via di
fatto perché, quando si fosse persuaso di non dover
procedere, egli era solito trasmettere il fascicolo all’archivio: prassi che, ad avviso degli esponenti della scuola
positiva, pregiudicava la parte lesa. Il c.p.p. 1913, con
una soluzione equilibrata, da un lato ribadì che l’azione
andava promossa «secondo le norme stabilite dalla
legge» (art. 179, 1° co.), dall’altro, quasi a porre il p.m.
al riparo da ingerenze, precisò che questi, «se reputi
che per il fatto non si debba promuovere azione penale,
richiede il giudice istruttore di pronunciare decreto»
(art. 179, 2° co.). La novità del controllo giurisdizionale sull’archiviazione venne contestata o ridimensionata da magistrati poi divenuti ‘organici’ alla penalistica fascista, come Silvio Longhi ed Edoardo Massari.
L’obbligatorietà non implicava necessariamente monopolio dell’azione penale. Non mancarono proposte
(Lucchini) di azione popolare o sussidiaria, che appagavano due tipiche istanze liberali: il più largo coinvolgimento dei cittadini nell’amministrazione giudiziaria
e la facoltà per il privato di tutelare le proprie ragioni
anche a prescindere dalla mediazione statuale. La scuola
positiva conveniva sull’opportunità di accordare una
qualche iniziativa processuale alle vittime di reato ma
non transigeva sul carattere ‘pubblico’ dell’azione.
Era però la giuria l’organismo simbolo dell’intersezione costituzionale tra popolo e potere giudiziario.
Retaggio di mitologie rivoluzionarie e di aspettative
risorgimentali (G. Pisanelli, Dell’istituzione de’ giurati, 1856, p. 139), essa si affacciava nell’Italia unita
per il tramite del codice Rattazzi, che ne aveva esteso
la competenza dai reati di stampa ai crimini. Più volte
modificata quanto ai parametri di selezione e al rapporto con la componente togata della Corte d’assise,
la giuria sopravvisse alle contestazioni mosse durante
l’emergenza del brigantaggio, ma rimase oggetto di
dispute appassionate. Le si rinfacciava, oltre alle molteplici farraginosità tecniche (in primo luogo, l’eccessiva discrezionalità del presidente), l’inclinazione
all’emotività e al lassismo: suscitarono scalpore l’assoluzione di Bernardo Tanlongo, protagonista dello
scandalo della Banca Romana, o il verdetto di condanna emesso nel processo Murri. La forte connotazione ideologica dell’istituto, nel quale un certo utopismo liberale vedeva addirittura un ponte verso una
magistratura elettiva (E. Brusa, Sul giurì ad occasione
delle recenti discussioni dei giuristi svizzeri, «Rivista penale», 1882, 15, p. 329), attirò il radicale dissenso dei
positivisti della prima ora, persuasi che nelle aule giudiziarie vi fosse bisogno non di democrazia o di buon
senso bensì di giudici scientificamente attrezzati.
Il regresso della scienza
Nella citata prolusione pisana Carrara constatava
che la scienza processuale penale si era avviata «in una
via funestissima di regresso». Con acume storicistico
469
MARCO NICOLA MILETTI
il professore lucchese invitava a sfogliare gli ormai
introvabili volumi dei «praticacci antichi» per comprendere come gli aspetti più torbidi della giustizia
d’antico regime fossero stati «dalle buone scuole anatemizzati, e dalle buone pratiche con indignazione
reietti». Nel Granducato – aggiungeva Carrara – l’efferatezza del codice penale era stata arginata da un
rito rispettoso del criterio della prova piena. Il confronto con il passato, insomma, non tornava «ad elogio dei vivi». Il paradosso mirava a stimolare i giovani
a dedicarsi alla «materia del procedimento penale»,
vero «campo da mietere» per affrancarsi da logori preconcetti e commentari «eruditi» (F. Carrara, Il diritto
penale e la procedura penale, in Id., Programma del
corso di diritto criminale, cit., pp. 433-41).
L’appello rimase inascoltato. Le biblioteche restarono ingombre di lavori esegetici anche pregevoli (la
Sposizione compendiosa, 1864-1865, di Matteo Pescatore, il Commento, 1867-1868, di Francesco Saluto, i
sette volumi – l’ultimo completato da Luigi Majno –
del Codice commentato di Giuseppe Borsani e Luigi
Casorati, 1873-1887) o di monografie sui temi più
scottanti (giuria, libertà personale): ma difettavano di
opere capaci di raccordare teoria e prassi entro un
‘sistema’ originale. Il perdurante sussiego degli studiosi costò alla procedura penale l’appellativo di cenerentola del sapere giuridico e una penalizzante subalternità accademica.
Si attribuisce di solito – forse con generosa approssimazione – alla prima edizione (1895) dei lucchiniani
Elementi di procedura penale il merito della palingenesi ‘scientifica’ della disciplina. L’autore si diceva
non «rassegnato a fare la parte soltanto di rapsode, e
men che meno per illustrare leggi le quali soventi sono
negazione della scienza». L’agile testo, scevro da erudizioni, pullula di stimoli critici, a cominciare dalla
questione – allora molto sentita – della «posizione enciclopedica» della procedura penale o dell’importanza
della critica induttiva nella valutazione delle prove
(pp. VI, 1-5).
Il contributo processualistico di Lucchini non è
circoscritto agli Elementi (ripubblicati più volte sino
al 1920). Dopo le monografie d’esordio ispirate a un
garantismo ‘anglosassone’ (Pubblicità oralità e contraddittorio nella istruttoria del processo penale, 1873;
Il carcere preventivo ed il meccanismo istruttorio che vi
si riferisce nel processo penale, 18732), egli aveva fondato nel 1874 la «Rivista penale», sulle cui pagine transitò, specie dopo il varo del codice Zanardelli, larga
parte del dibattito sulla modernizzazione della giustizia. All’alba del nuovo secolo, il direttore deplorava che la procedura penale non fosse «uscita dalla
crisalide di studi e lavori interni e preparatori», ma
prometteva di non ammainare la «bandiera» liberale
e umanitaria (L. Lucchini, Ai lettori, «Rivista penale»,
1900, 26, p. 6).
Intanto la processualpenalistica italiana andava
affinando gli strumenti metodologici. A partire dal
tardo Ottocento essa si avvalse in misura massiccia
della comparazione e della statistica. Della prima, che
confermava impietosamente l’arretratezza del rito
vigente nel Regno, Carrara era stato antesignano: egli,
tra l’altro, aveva esaltato la qualità del Regolamento
austriaco del 1873 e per primo aveva contrapposto alla
«esagerata autorità della Francia» gli «ammaestramenti
della dotta Germania» (Introduzione a C.A. Weiske,
Manuale di procedura penale, cit., pp. VI, XI, XIV).
Quanto alla statistica, grazie alla fortuita sinergia
tra Lucchini (membro della commissione per la statistica giudiziaria) e la scuola positiva (che cercava nei
numeri il riscontro alle proprie ipotesi criminologiche), minuziose tabelle inondarono periodici e monografie. I dati erano attinti soprattutto dai discorsi
d’inaugurazione dell’anno giudiziario tenuti dai pubblici ministeri, vero e proprio genere letterario dal
respiro non sempre localistico: sin dal 1879 «Rivista
penale» ne pubblicava una rassegna ragionata. La
messe di informazioni non aiutava però a stabilire se,
nell’Italia finalmente unita ma assai variegata dal punto
di vista dell’ordine pubblico, la criminalità tendesse
all’incremento o alla contrazione. L’impressione che
si ricava dalla miriade di prospetti e dai relativi commenti è quella di una giustizia penale ingolfata, che
già in istruttoria lasciava inevasa una quota consistente
di processi e che si mostrava temibile più nell’iter procedimentale che negli esiti sanzionatori.
La galassia positivista e la costruzione
del sistema
L’impatto sferzante della scuola positiva si abbatteva dunque su una comunità di studiosi nient’affatto
coesa né appagata dalla macchina giudiziaria. La contrapposizione tra indirizzi scientifici, talora caricaturizzata dai protagonisti e dalla meno recente storiografia, consente però di cogliere in controluce le
ambiguità di un sistema processuale che tollerava,
sotto la patina del garantismo formale, meccanismi di
sicurezza (soprattutto misure di polizia preventiva)
sfuggenti al controllo giurisdizionale (Sbriccoli 2009,
1° vol., pp. 594-97, parla di «doppio livello di legalità»). Gli attacchi provenienti dalla falange lombrosiana portavano allo scoperto l’inconfessabile timore
che un rito ossequioso dei precetti costituzionali non
riuscisse a blindare valori e beni cari al notabilato.
L’offensiva positivista risale agli inizi degli anni
Ottanta del 19° sec., quando apparvero i Nuovi orizzonti (1881) di Enrico Ferri, ampliati nel 1884 e poi
riproposti come Sociologia criminale (1892, 1900, 192930); e il saggio Ciò che dovrebbe essere un giudizio penale
(1882) del magistrato napoletano Raffaele Garofalo,
nucleo processuale della Criminologia (1885, 1891).
Da questi lavori non si evince un coerente archetipo
di rito penale ‘alternativo’ ma solo il generico auspicio di ripensare il processo secondo dettami bio-socio-
470
LA GIUSTIZIA PENALE
antropologici affinché rispondesse al compito di «trasportare la pena dal campo aereo delle minaccie legislative al campo pratico della difesa sociale contro i
delinquenti» (E. Ferri, I nuovi orizzonti del diritto e
della procedura penale, 1881, p. 120). La nuova procedura sarebbe consistita in «un esame psichico del
delinquente» finalizzato a determinarne la ‘categoria’,
accertarne la pericolosità (anziché la «responsabilità
morale») e disporne il trattamento clinico. I magistrati
sarebbero stati reclutati in base alle competenze statistiche, antropologiche e penitenziarie, giacché la tradizionale formazione civilistico-romanistica li abituava all’astrazione e non li preparava a curare
l’«infermità sociale» della delinquenza (R. Garofalo,
Ciò che dovrebbe essere un giudizio penale, «Archivio di
psichiatria, scienze penali e antropologia criminale»,
1882, 3, pp. 88-99; E. Ferri, I nuovi orizzonti del diritto
e della procedura penale, 18842, pp. 447-48).
Simili proposte furono irrise dagli avversari, che le
considerarono terribilmente regressive. Dal loro canto,
i positivisti rispedivano alla scuola classica l’accusa di
anacronismo, osservando che l’individualismo ostinato aveva ormai esaurito la sua funzione di limite
‘negativo’ all’azione dello Stato (F. Puglia, L’evoluzione storica e scientifica del diritto e della procedura
penale, 1882, p. 294). In effetti, l’orizzonte valoriale
verso cui marciava la giustizia penale contemplava il
sacrificio delle garanzie del singolo sull’altare della
sicurezza collettiva. Il progetto di codice presentato al
ministro Zanardelli nell’aprile del 1889 dai magistrati
Garofalo e Carelli non stravolgeva i lineamenti del rito
vigente proprio perché i due autori ammettevano di
avere piegato «il capo a quella specie di ipocrisia sociale»
che parificava individuo e società e di non aver portato a conseguenze logiche il sempre più «insistente»
principio per cui «l’individuo scomparisce di fronte
allo Stato» (R. Garofalo, L. Carelli, Riforma della procedura penale in Italia. Progetto di un nuovo codice,
1889, pp. XII-XIII). Un salto di qualità, quest’ultimo, che Alfredo Rocco avrebbe rivendicato nel progetto preliminare del codice di rito fascista (1929).
Su alcuni istituti processuali l’attrito ideologico tra
le scuole raggiunse l’acme. Ai liberali ripugnava l’abuso
della carcerazione preventiva, precipitato di quel «velo
nero e denso», dal sapore inquisitorio, che ancora ricopriva l’istruttoria (L. Lucchini, Il carcere preventivo,
cit., p. 5), mentre i positivisti non escludevano che
essa potesse servire da escamotage per indurre alla confessione (R. Garofalo, Criminologia. Studio sul delitto,
sulle sue cause e sui mezzi di repressione, 1885, p. 328).
A simili provocazioni alludeva forse Lucchini (nella
lettera premessa ad A. Pallotti, Alcune note sul carcere
preventivo, 1886, p. 10) quando si scagliava contro i
«Robespierre in sessantaquattresimo» che vedevano
in ogni imputato un reo e misconoscevano l’interesse
parimenti «sociale» alla tutela dell’incolpevole.
Il contrasto riflette la viscerale antinomia concernente il principio della presunzione d’innocenza. I
classici avevano elevato questo canone a «metafisica
del diritto procedurale» (F. Carrara, Il diritto penale
e la procedura penale, in Id., Programma del corso di
diritto criminale, cit., pp. 422-26). Ferri, pur coniando
il calembour secondo cui il codice penale è destinato
ai «birbanti» e quello di procedura penale ai «galantuomini» (Lavori parlamentari del nuovo codice penale
italiano. Discussioni alla Camera dei deputati [dal 26
maggio al 9 giugno 1888], 1888, p. 33), bollava la presunzione come effetto delle «soverchie esagerazioni»
individualistiche noncuranti della difesa sociale (E.
Ferri, I nuovi orizzonti del diritto e della procedura
penale, cit., pp. 428-40). Il tentativo di mediazione
esperito dalla terza scuola dissodò il terreno per lo
sprezzante ripudio del principio in questione (V. Manzini, Manuale di procedura penale italiana, cit., pp.
51-54): una censura le cui ombre lunghe si proiettano
sulla formulazione ‘negativa’ (presunzione di non colpevolezza) adottata dall’art. 27, 2° co. della Costituzione repubblicana.
La diagnosi positivista della questione criminale
presenta indubbi elementi di contiguità con quella
socialista, ma non vi si sovrappone. Il socialismo
penale, che visse un’effimera fiammata a cavallo tra
19° e 20° sec., ebbe una sua specificità: abbozzò un’analisi essenzialmente politica dei problemi giudiziari,
denunciò le sperequazioni di classe, esportò il dibattito tecnico in sedi militanti come i fogli di partito o
le arringhe forensi. Ma scontò con l’assenza di una
concreta strategia riformistica l’improbabile velleità
di combinare marxismo e spencerismo-darwinismo.
Anzi la drammatica congiuntura di fine secolo, contrassegnata dalla legislazione eccezionale per i fasci
siciliani e gli anarchici della Lunigiana (1894) e poi
dalla repressione del movimento operaio, sorprese
penalisti socialisti e liberali affiancati nella difesa delle
libertà statutarie.
Comunque la ventata contestataria di stampo positivistico e socialista, benché sterile nei risultati immediati, aveva rovesciato taluni dogmi della giustizia
liberale: l’attenzione si era spostata dal reato al reo,
dal garantismo indulgente all’intransigente difesa della
società, dall’eguaglianza processuale formale a un rito
sensibile agli effettivi dislivelli sociali (cfr. A. Pozzolini,
L’idea sociale nella procedura penale. Appunti critici,
«Archivio giuridico Filippo Serafini», 1898, 60, pp.
307, 310, 318-19; 1898, 61, pp. 34-38). Di questo
incoerente ideario la cosiddetta terza scuola, pur premendo per il ritorno a una giustizia imperniata sul
fatto anziché sul delinquente, ereditava molte insofferenze, anzitutto verso l’«ingiustificata tenerezza per
l’imputato» (U. Conti, Ciò che dovrebbe essere un giudizio penale, «Rivista penale», 1906, 63, 1, pp. 6-18).
Anche l’indirizzo tecnico-giuridico metteva a fuoco
aspirazioni diffuse, come la necessità, già avvertita dai
patriarchi della penalistica civile e da socialisti o radicali critici quali Eugenio Florian e Alfredo Pozzolini,
di demarcare uno specifico campo del penale giuri-
471
MARCO NICOLA MILETTI
dico. Quando Arturo Rocco, nella prolusione sassarese del 15 gennaio 1910 (Il problema e il metodo della
scienza del diritto penale, «Rivista di diritto e procedura penale», 1910, 1, p. 570), fissava nel concetto di
rapporto giuridico il fulcro di una futura «sistemazione
scientifica» delle discipline penalistiche, incoraggiava
la costruzione di una scienza processualpenale ‘pura’
deducibile da principi assoluti: impresa alla quale vari
studiosi (Pio Barsanti, Ugo Conti) ambivano da qualche anno, seppur con esiti non sempre confortanti.
L’epilogo del 1913
La maturazione teoretica rendeva plausibili, sul
cadere del 19° sec., i propositi di riforma legislativa.
Il decreto 3 ottobre 1898, con il quale il guardasigilli
Camillo Finocchiaro-Aprile nominava una commissione incaricata di apportare modifiche al codice di
rito, segnava una cesura. I lavori, dipanatisi sulla base
di perspicue relazioni tematiche, vennero quindi distillati in principii cautamente innovativi, che il neoministro Emanuele Gianturco sottopose al vaglio delle
facoltà giuridiche, delle magistrature e dell’avvocatura. I pareri delle università lamentavano soprattutto
l’eccessivo indugio delle massime su disquisizioni dottrinali e comparatistiche. Tra le eterogenee reazioni
delle magistrature di vertice prevalse il sentore che il
legislatore avesse travisato le priorità del Paese reale
(per es., R. Garofalo, I principii adottati dalla Commissione per la riforma della procedura penale, «Riforma
giudiziaria», 1901, pp. 3-4, 9-11 dell’estratto, in polemica con Lucchini).
Ulteriori limature arrecate ai principii sfociarono
in un articolato piuttosto progressista, che FinocchiaroAprile, di nuovo guardasigilli, illustrò il 28 novembre 1905 alla Camera dei deputati con il corredo di
una ricca e incisiva relazione. Falliti, nel 1908-09, i
due tentativi di riforma predisposti dal ministro
Vittorio Emanuele Orlando, il biennio 1911-12 registrò un’accelerazione dell’iter codificatorio grazie
all’ennesimo ritorno di Finocchiaro-Aprile a palazzo
Firenze nel quarto governo Giolitti. Il dibattito, svogliato in Parlamento, si arroventò sui periodici: «Rivista penale» organizzò persino un referendum per demolire il progetto. Più che per la rivalità tra le scuole
(esautorate dall’astro nascente del tecnicismo giuridico, come s’intuisce dalla cooptazione in extremis di
Manzini nel ristretto gruppo dei ‘coordinatori’), la
tensione salì per la concitata modalità di promulgazione: l’ultimo segmento del percorso legislativo fu
infatti macchiato da dubbi di costituzionalità perché
il governo, ricorrendo alla legge delega 20 giugno 1912
nr. 598, operò per il tramite della commissione di
coordinamento una sospetta manipolazione sul testo
definitivo, sanzionato dal r.d. 27 febbr. 1913 nr. 127.
Trovava così conferma la prima parte dell’osservazione di Manzini secondo cui «l’attuazione delle grandi
riforme legislative in Italia non si può attendere che
dal potere legislativo delegato, o dalla rivoluzione»
(Per la riforma della procedura penale italiana. Note
di pratica legislativa, in Scritti giuridici e di scienze economiche pubblicati in onore di Luigi Moriani, 1° vol.,
1906, pp. 424-25). Le vicende novecentesche avrebbero interamente inverato la profezia.
Nel merito il codice del 1913 tradiva molte delle
speranze moderatamente accusatorie balenate in fase
progettuale. Giovanni Giolitti approfittò della contingenza politica (la guerra di Libia) per assicurarsi,
al prezzo di qualche revirement e con l’aiuto dei relatori di Camera e Senato Alessandro Stoppato e
Lodovico Mortara, la non aperta ostilità dell’ala socialpositivista. Il testo approvato risultò più solido del
precedente (nella sistematica, nell’inserimento d’un
libro ad hoc sull’esecuzione, nella disciplina delle nullità), ma cedevole su altri fronti (l’istruzione restava
inquisitoria e in molti passaggi preclusa al difensore;
alla polizia giudiziaria si concedeva di provvedere ad
atti urgenti; si confermava il monopolio del p.m. sull’azione; si attenuava lo sbarramento alla lettura delle
deposizioni in dibattimento). Non a torto si è parlato
di «liberalismo equivoco» (Cordero 20068, p. 82), anche
se occorrerebbe interrogarsi su quanto istinto ‘inquisitorio’ covasse già sotto il manto del garantismo liberale. Lo scontento trasversale, la crociata orchestrata
dai superstiti penalisti classici, la frustrazione della
frantumata scuola positiva, la protesta dell’avvocatura mostrano come l’agognato traguardo del 1913 si
rivelasse un’ennesima tappa provvisoria raggiunta –
come nel 1865 – fuori tempo massimo. Sulla lunga
rincorsa a un codice degno della Terza Italia calava il
sipario della Grande guerra.
È tempo di una notazione conclusiva. La valenza
‘costituzionale’ del processo criminale era stata teorizzata dall’Illuminismo maturo. È però dal secondo
Ottocento che la dottrina giuridica dovette confrontarsi con le variabili di un sistema parlamentare e con
gli umori dell’opinione pubblica. Il gioco democratico disorientava i penalisti liberali, dilaniati tra la missione ‘civile’ di rassodare le tutele giudiziarie del cittadino e l’urgenza di tranquillizzare un notabilato
traumatizzato dal brigantaggio, dall’urbanizzazione,
dalla conflittualità industriale, dai sommovimenti
anarco-socialisti, dal crimine organizzato. La scuola
positiva spiazzò i ben pensanti disvelando limiti e ipocrisie del garantismo processuale.
Maturò in questo clima, e sarebbe divenuta una
costante, una sorta di strabismo tra premesse politiche
e proposte riformatrici. Da un lato, gli studiosi di area
moderata erano i più decisi a mutare lo status quo iniettando nella giustizia penale robuste dosi di trasparenza
sin dentro le tenebre istruttorie. Dall’altro, i penalisti
di schieramento progressista (alcuni dei quali socialisti) accettavano di subordinare le libertà statutarie all’interesse collettivo, senza tema di apparire conservatori
e talora nostalgici di un rito premoderno. L’incipit de
472
LA GIUSTIZIA PENALE
I semplicisti (1886) di Lucchini scolpiva la dialettica tra
il «morboso sentimentalismo pei malfattori» rimproverato alla scuola classica e il «ripristinamento dell’inquisizione processuale» auspicato dai positivisti (p. VI).
«Morboso sentimentalismo»: non è forse casuale
che il sintagma lucchiniano ricompaia nella relazione
al progetto preliminare del codice di procedura penale
stilata da Alfredo Rocco nel 1929 (Ministero della
Giustizia e degli affari di culto, Lavori preparatori del
codice penale e del codice di procedura penale, 8° vol.,
1929, p. 7). La penalistica fascista avrebbe riletto la
polarizzazione tra autorità e libertà recuperando molte
delle argomentazioni reazionarie tardottocentesche e
saldandole allo statualismo autoritario forgiato dal
tecnicismo giuridico. Quel campo di tensione si ripresenta periodicamente anche nell’Italia repubblicana,
sintomo di pulsioni profonde che scuotono le fondamenta democratiche della giustizia e ne pregiudicano
un sereno funzionamento.
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