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Miletti - Giustizia penale

Un nuovo (e forte) ceto mercantile Un rischio del mestiere di mercante: il fallimento Indice generale XV La famiglia che diventa società Un patto fra denaro e 'fantasia' Il divieto delle usure Per una conclusione Opere Bibliografia 35 I giuristi e il diritto feudale di Mario Montorzi Fondamenti lemmatici e valori lessicali dello schema feudale Nel sistema della pratica forense Valori lessicali e temi giuridici Il lemma feudo nella tradizione giuridica romanza La naturale causa liberalitatis e lo schema di un modello traslativo di Gewere Lo schema di un modello di traslazione di Gewere con fine costitutivo di rendita Un capitolo di storia del diritto forense, tra giudici, avvocati e pratici del diritto Dal diritto consuetudinario al diritto scritto Altri e diversi prodotti retorici in sostegno degli apparati glossatori Usi politici del diritto feudale Opere Bibliografia 43 Irnerio di Enrico Spagnesi La vita Il profilo intellettuale del maestro Le ipotesi di attribuzione e di sistemazione delle opere Bibliografia 47 Accursio di Nicoletta Sarti La vita La scienza giuridica nella prima metà del Duecento L'opera di Accursio: gli apparati ordinari al Corpus iuris civilis Il progetto di Pietro Torelli per un'edizione critica della Magna glossa La stagione postaccursiana Bibliografia 51 Bartolo da Sassoferrato di Giovanni Rossi La vita Commentaria, consilia, lecturae Gli anni della maturità scientifica Le opere Bibliografia 55 Baldo degli Ubaldi di Federigo Bambi La vita Baldus iuris professorum philosofotatos Le opere Bibliografia 59 Il nuovo ordinamento della Chiesa: decretisti e decretalisti di Diego Quaglioni L'orizzonte storico e concettuale Gli autori Opere Bibliografia 67 La costruzione della monarchia papale di Agostino Paravicini Bagliani Vicarius Christi Verus imperator Le prerogative ecclesiologiche dei cardinali Un nuovo organo di governo: la curia romana Plenitudo potestatis Nuovi strumenti giurisdizionali: le collezioni di decretali Attività conciliare Giudici delegati e legati Correggere e reprimere: il papato, gli eretici e gli ebrei Bibliografia

IL CONTRIBUTO ITALIANO ALLA STORIA DEL PENSIERO OTTAVA APPENDICE IL CONTRIBUTO ITALIANO ALLA STORIA DEL PENSIERO OTTAVA APPENDICE MMXII © PROPRIETÀ ARTISTICA E LETTERARIA RISERVATA ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI S.p.A. 2012 ISBN 978-88-12-00089-0 © André-Eugène-Louis Chochon, by SIAE, 2012 Stampa ABRAMO PRINTING S.p.A. Catanzaro Printed in Italy ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI PRESIDENTE GIULIANO AMATO CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE LUIGI ABETE, FRANCO ROSARIO BRESCIA, PIERLUIGI CIOCCA, MARCELLO DE CECCO, FERRUCCIO FERRANTI, PAOLO GARIMBERTI, FABRIZIO GIANNI, LUIGI GUIDOBONO CAVALCHINI GAROFOLI, MARIO ROMANO NEGRI, GIOVANNI PUGLISI, GIANFRANCO RAGONESI, GIUSEPPE VACCA AMMINISTRATORE DELEGATO FRANCESCO TATÒ COMITATO D’ONORE FRANCESCO PAOLO CASAVOLA, CARLO AZEGLIO CIAMPI, GIOVANNI CONSO, RITA LEVI-MONTALCINI CONSIGLIO SCIENTIFICO ENRICO ALLEVA, GIROLAMO ARNALDI, LINA BOLZONI, GEMMA CALAMANDREI, LUCIANO CANFORA, MICHELE CILIBERTO, JUAN CARLOS DE MARTIN, EMMA FATTORINI, DOMENICO FISICHELLA, EMMA GIAMMATTEI, PAOLO GUERRIERI, ELISABETH KIEVEN, GIORGIO PARISI, GIANFRANCO PASQUINO, LUCA SERIANNI, SALVATORE SETTIS, PIERGIORGIO STRATA, GIANNI TONIOLO, GIOVANNA ZINCONE COLLEGIO SINDACALE GIANFRANCO GRAZIADEI, Presidente; MARIO PERRONE, GIANCARLO MUCI MAURO OREFICE, Delegato della Corte dei Conti IL CONTRIBUTO ITALIANO ALLA STORIA DEL PENSIERO DIRITTO Direttori scientifici PAOLO CAPPELLINI, PIETRO COSTA, MAURIZIO FIORAVANTI, BERNARDO SORDI Coordinatore di produzione Monica Trecca Redazione Federigo Bambi, Massimiliano Gregorio, Marco Sabbioneti, Alberto Spinosa (redattori disciplinari) Riccardo Martelli, Daniela Angelucci, Lulli Bertini, Cecilia Causin, Sara Esposito; Marzia G. Lea Pacella Impaginazione Marina Milano Segretaria di redazione Angela Damiani ATTIVITÀ TECNICO- ARTISTICHE E DI PRODUZIONE Art Director Gerardo Casale Progetto grafico Giuseppe De Gregori Iconografia Marina Paradisi; Fabrizia Dal Falco Grafica-Impaginazione Giuseppe De Gregori (controllo) Produzione industriale Gerardo Casale; Laura Ajello, Antonella Baldini, Graziella Campus Segreteria Carla Proietti Checchi, Aurora Corvesi DIREZIONE EDITORIALE Pianificazione editoriale e budget Maria Sanguigni; Mirella Ajello, Alessia Pagnano, Cecilia Rucci Controllo qualità Rosalba Lanza; Simonetta Paoluzzi Segreteria Alessandra Sacchetti, Maria Stella Tumiatti Direttore editoriale MASSIMO BRAY Ha contribuito con un servizio editoriale Ervin editing srl IL CONTRIBUTO ITALIANO ALLA STORIA DEL PENSIERO Diritto Indice generale xxxi 15 I giuristi di fronte alla città Introduzione e all’impero di Paolo Cappellini - Pietro Costa Maurizio Fioravanti - Bernardo Sordi di Claudia Storti L’eredità altomedievale Il nuovo ordine nella scientia civilis dei giuristi I giuristi e gli imperatori ‘transalpini’ La costruzione del diritto delle città entro l’impero Un nuovo status per la città e l’impero Qualunque cosa la legge prescriva Il diritto come ‘cultura’ La cultura giuridica italiana e la sua ‘tradizione’ La cultura giuridica italiana: una proposta di lettura Tra Medioevo e Rinascimento Bibliografia 3 Medioevo e modernità: le diverse fondazioni di due civiltà giuridiche 22 I giuristi e il contratto di Raffaele Volante di Paolo Grossi Alle radici della civiltà giuridica medievale Il carattere unitario della civiltà giuridica medievale nel suo millenario distendersi Dopo il Trecento: l’avvio della transizione verso la modernità giuridica Il contratto nel primitivismo giuridico altomedievale La rilevanza giuridica dei simboli nell’alto Medioevo Il contratto nel rinascimento giuridico: gli oneri interpretativi dei glossatori Il pactum e la sua centralità nelle dottrine dei glossatori I vestimenta pactorum Rei interventus, cohaerentia contractus Il secondo pilastro del sistema: l’id quod interest La tipizzazione funzionale delle forme contrattuali: substantia, natura, accidens La critica degli ultramontani I commentatori 7 Lo ius civile: glossatori e commentatori di Giovanni Chiodi Antefatto L’albero della scienza Gli strumenti del mestiere I cardini della nuova cultura giuridica Il metodo dei glossatori La creatività del dubbio Il problema delle deroghe al diritto civile Al di là dei confini delle leges: un’altra specie di dubbio L’avvento della Glossa accursiana L’onda lunga dei giuristi postaccursiani Nel Trecento delle sperimentazioni Epilogo Opere Bibliografia 30 Giuristi e mercanti di Umberto Santarelli Un nuovo (e forte) ceto mercantile Un rischio del mestiere di mercante: il fallimento Opere Bibliografia XV 55 Baldo degli Ubaldi di Federigo Bambi La famiglia che diventa società Un patto fra denaro e ‘fantasia’ Il divieto delle usure Per una conclusione La vita Baldus iuris professorum philosofotatos Le opere Opere Bibliografia Bibliografia 35 I giuristi e il diritto feudale di Mario Montorzi 59 Il nuovo ordinamento della Chiesa: decretisti e decretalisti Fondamenti lemmatici e valori lessicali dello schema feudale Nel sistema della pratica forense Valori lessicali e temi giuridici Il lemma feudo nella tradizione giuridica romanza La naturale causa liberalitatis e lo schema di un modello traslativo di Gewere Lo schema di un modello di traslazione di Gewere con fine costitutivo di rendita Un capitolo di storia del diritto forense, tra giudici, avvocati e pratici del diritto Dal diritto consuetudinario al diritto scritto Altri e diversi prodotti retorici in sostegno degli apparati glossatori Usi politici del diritto feudale di Diego Quaglioni L’orizzonte storico e concettuale Gli autori Opere Bibliografia 67 La costruzione della monarchia papale di Agostino Paravicini Bagliani Vicarius Christi Verus imperator Le prerogative ecclesiologiche dei cardinali Un nuovo organo di governo: la curia romana Plenitudo potestatis Nuovi strumenti giurisdizionali: le collezioni di decretali Attività conciliare Giudici delegati e legati Correggere e reprimere: il papato, gli eretici e gli ebrei Opere Bibliografia 43 Irnerio di Enrico Spagnesi Bibliografia La vita Il profilo intellettuale del maestro Le ipotesi di attribuzione e di sistemazione delle opere 74 Graziano di Giovanni Minnucci La vita Il Decretum Il contenuto, il metodo e la suddivisione dell’opera Bibliografia 47 Accursio di Nicoletta Sarti Opere Bibliografia La vita La scienza giuridica nella prima metà del Duecento L’opera di Accursio: gli apparati ordinari al Corpus iuris civilis Il progetto di Pietro Torelli per un’edizione critica della Magna glossa La stagione postaccursiana 78 Gregorio IX di Andrea Padovani La vita Il profilo intellettuale Il legislatore Il Liber Extra Il Liber Extra fonte di un diritto nuovo Bibliografia 51 Bartolo da Sassoferrato di Giovanni Rossi Opere Bibliografia La vita Commentaria, consilia, lecturae Gli anni della maturità scientifica Le opere 82 Innocenzo IV di Alberto Melloni La vita Il maestro Bibliografia XVI L’istituzione Il potere Eresia e tortura Ubi papa La fortuna L’antico regime 113 L’antico regime: tradizione e rinnovamento di Pietro Costa Opere Bibliografia Che cosa intendere per ‘antico regime’? La cultura giuridica e la costruzione della sovranità La cultura giuridica e i suoi ‘territori di frontiera’ 86 Enrico da Susa, detto l’Ostiense di Federigo Bambi La vita Una questione di metodo L’aequitas canonica Un governo costituzionale per la Chiesa? Le opere 121 I grandi tribunali di Mario Ascheri Una categoria antica, un interesse recente La piattaforma tardomedievale I due modelli fondamentali: senati e rote La modernità di Firenze Tra i due modelli Decisioni: autentiche e reports Il tertium genus Autorità delle raccolte Bibliografia 90 Bonifacio VIII di Giovanni Minnucci La vita Il legislatore: il Liber sextus I primi conflitti con Filippo il Bello La Unam sanctam Opere Bibliografia 129 Diritto mercantile di Francesco Migliorino Opere Bibliografia Un nuovo Medioevo del diritto? Tra mito e realtà: la ‘specialità’ della giustizia mercantile L’area dei privilegi mercantili: per una semiotica della struttura sociale Politica, economia, istituzioni: il diritto commerciale e la società d’antico regime Una nuova narrazione: tra storia e natura 94 Mos italicus e mos gallicus di Italo Birocchi Un indirizzo nuovo per la scienza giuridica Indagine storico-filologica e costruzione del sistema nel mos gallicus Il mos italicus Un’osmosi tra i due indirizzi? Opere Bibliografia Opere Bibliografia 137 Giuseppe Lorenzo Maria Casaregi di Vito Piergiovanni 102 Lorenzo Valla di Giovanni Rossi La vita Tra dottrina e pratica forense Al servizio della vita concreta del diritto La vita L’ammirazione per i giuristi antichi e la polemica con i contemporanei L’approccio filologico e i violenti contrasti Opere Bibliografia Opere Bibliografia 141 La criminalistica di Michele Pifferi 106 Andrea Alciato di Giovanni Rossi La criminalistica delle origini nel Medioevo Le practicae criminales e la dimensione processuale del penale La penalistica del Cinquecento e la potestas del principe L’elaborazione dottrinale della responsabilità penale La vita Tra rigore filologico e sapienza giuridica: il metodo umanistico Opere Bibliografia XVII 177 Giovanni Battista De Luca di Alessandro Dani La razionalizzazione della prassi tra Sei e Settecento Opere Bibliografia La vita Il Theatrum veritatis et justitiae Le coordinate culturali La missione divulgativa e le opere in lingua italiana De Luca riformatore delle istituzioni ecclesiastiche L’eredità scientifica e culturale 149 Tiberio Deciani di Michele Pifferi La vita L’Apologia e la riflessione sul metodo Il Tractatus criminalis La teoria generale del delitto Le opere Opere Bibliografia Bibliografia 181 Alle origini del diritto internazionale: Alberico Gentili 153 Prospero Farinacci di Aldo Mazzacane di Aldo Andrea Cassi Cenni biografici Giustizia e diritto internazionale Lo ius ad bellum: i legitimi tituli della ‘guerra giusta’ Il nuovo diritto internazionale alla prova del Nuovo Mondo Lo ius in bello: prigionieri e ostaggi, il destino degli innocentes Cenni conclusivi La vita Le opere Bibliografia 157 La teorica della ragion di Stato di Gianfranco Borrelli Ragion di Stato: studi recenti e novità interpretative Civil conversazione, ragion di Stato, ragioni della Chiesa Giovanni Botero e il primato della prudentia politica Il principe interprete di giustizia Prerogative e deroghe: il potere discrezionale del principe Diversità e persistenze nelle teorie di ragion di Stato Opere Bibliografia 189 L’amministrazione degli antichi Stati di Luca Mannori La prima età moderna: Stato di corpi e primato della giurisdizione Il Seicento: il cammino verso lo Stato paterno Crisi dello Stato di corpi e nuovi modelli d’amministrazione Opere Bibliografia 165 Giovanni Botero di Chiara Continisio La vita Dalla retorica alla politica Della ragion di Stato Opere Bibliografia L’età delle riforme e delle rivoluzioni Opere Bibliografia 199 La progettazione della modernità: l’Illuminismo giuridico di Bernardo Sordi 169 Il diritto patrio di Italo Birocchi Il varo delle riforme Il raggio delle riforme Il superamento della tradizione: «un codice fisso di leggi» Il superamento della tradizione: l’interesse proprietario Oltre il Settecento: l’incontro con la frattura rivoluzionaria Ricognizione del tema Il processo di diversificazione del diritto entro ciascun ordinamento Ius hodiernum, ius patrium Opere Bibliografia XVIII 207 La critica del diritto giurisprudenziale Opere Bibliografia e le riforme legislative di Maria Gigliola di Renzo Villata 241 Pompeo Neri di Marcello Verga La prima metà del Settecento tra conservazione e cambiamento La seconda metà del Settecento: verso il progresso Tra progetti e riforme legislative: dall’uno all’altro capo d’Italia La vita Scritti sulle istituzioni del Granducato di Toscana Censimento dello Stato di Milano e riforma della tassazione Opere Bibliografia Opere Bibliografia 215 La costituzionalizzazione del processo penale 245 Pietro Verri di Loredana Garlati di Giorgia Alessi Il minimalismo dei lumi e le sue aporie Pietro Leopoldo e Giuseppe II: due progetti per l’area italiana Il ritorno del tecnicismo erudito La costituzionalizzazione del processo penale La vita I magnifici anni Sessanta: l’Accademia dei Pugni e «Il Caffè» Il pensiero giuridico di Verri: le istanze riformiste Contro la tortura: il processo Piazza-Mora Un sovrano demiurgo in aiuto alle riforme: da Giuseppe II a Napoleone Opere Bibliografia Opere Bibliografia 223 Il problema della pena di morte di Ettore Dezza 249 Cesare Beccaria di Renato Pasta Alle origini della modernità penale: il Dei delitti e delle pene I tre argomenti abolizionisti di Beccaria Le risposte dei tradizionalisti La riflessione dei giuristi postbeccariani La Leopoldina Gli sviluppi del dibattito L’ultima stagione dell’abolizionismo illuminista La vita La riforma del diritto criminale L’incivilimento e i suoi limiti Conclusioni Opere Bibliografia Opere Bibliografia 253 Gaetano Filangieri di Antonio Trampus La vita Combattere «la mala bestia» I nuovi studi La vita La riforma del sistema giudiziario La scienza della legislazione Struttura e contenuto dell’opera La fortuna dell’opera di Filangieri e la sua influenza nella cultura europea Opere Bibliografia Opere Bibliografia 232 Bernardo Tanucci di Aurelio Cernigliaro 237 Ludovico Antonio Muratori di Elio Tavilla 257 Progetti costituzionali: Francesco Mario Pagano di Dario Ippolito La vita Tensione civile e critica al diritto I Difetti della giurisprudenza La proposta di un «codice» La Pubblica felicità Le costituzioni repubblicane nell’Italia del triennio francese Il progetto costituzionale di Pagano Diritti, morale, censura XIX Garanzie costituzionali L’opinione pubblica, la nazione, la costituzione Caratteri del costituzionalismo liberale italiano nel contesto europeo Opere Bibliografia Un tentativo definitorio Il costituzionalismo liberale ‘storicistico’ Le ambivalenze del costituzionalismo ‘concesso’ e la costituzione ‘progrediente’ La sovranità della costituzione e il potere costituente La dimensione istituzionale del costituzionalismo liberale L’età liberale 267 Alle porte d’Italia: unificazione nazionale e uniformazione giuridica di Paolo Cappellini Un difficile processo di costruzione Il compito della scienza giuridica e la codificazione L’eredità dell’Ottocento Dal liberalismo del soggetto allo statualismo liberale Bibliografia 302 Pellegrino Rossi di Luigi Lacchè 277 Il problema della codificazione di Riccardo Ferrante La vita Gli anni Venti a Ginevra: la scienza giuridica e lo studio del diritto Per una scienza del diritto penale Rossi in Francia: il diritto costituzionale e la politica I commentatori del codice e la scuola storica La cultura giuridica italiana di fronte al codice Diritto e codici dopo la Restaurazione Unità nazionale, unificazione giuridica, codificazione Il modello otto-novecentesco Opere Bibliografia Opere Bibliografia 307 Pasquale Stanislao Mancini di Luigi Nuzzo 286 Federico Paolo Sclopis di Laura Moscati La vita Scienza giuridica e costruzione dell’identità nazionale La vita La codificazione I modelli costituzionali La formazione del giurista Le fonti e la storia unitaria della legislazione Opere Bibliografia 311 Attilio Brunialti di Ilaria Porciani Opere Bibliografia La vita Una biblioteca plurale Ammirando l’Inghilterra Di fronte al metodo giuridico: dopo la svolta orlandiana Verso uno Stato organico 290 Giuseppe Pisanelli di Alberto Spinosa La vita Pisanelli giurista risorgimentale Scienza del processo e ordine liberale Stato, nazione e codificazione Cultura della legge e metodo giuridico Opere Bibliografia Opere Bibliografia 315 Lo Stato nazionale e la nuova scienza del diritto pubblico di Giulio Cianferotti 294 Il costituzionalismo liberale di Luigi Lacchè L’invenzione di una nuova scienza come corollario della «nozione di Stato» nazionale L’«originaria debolezza» dello Stato nazionale e il ruolo istituzionale della nuova scienza I tempi e le forme della svolta pandettistica Orizzonti Dopo la Révolution L’ordine costituzionale dei privati e il regno della legge XX La scienza del diritto pubblico prepandettistica I compiti di una nuova istituzione: la Quarta sezione del Consiglio di Stato Bibliografia Opere Bibliografia 323 Vittorio Emanuele Orlando di Mauro Fotia 349 Le scuole penalistiche di Floriana Colao La vita Il pensiero L’uomo politico La scuola italiana, che sarà detta «classica per dileggio» «La scuola positiva», che sarà detta «italiana» Il codice penale e le «vicende delle pubbliche libertà» Il «tecnicismo giuridico», che sarà detto «indirizzo italiano» Opere Bibliografia 327 Il problema dell’amministrazione di Fabio Rugge Opere Bibliografia Il periodo storico e le sue scansioni L’amministrazione dell’unificazione nazionale Una scienza tra ‘eclettismo’ e autonomia I primi amministrativisti e gli ordinamenti dell’unificazione L’amministrazione dell’integrazione sociale Una scienza ‘nazionale’ del diritto amministrativo I giuristi orlandiani e l’‘amministrazione integrativa’ Verso il pluralismo amministrativo 357 Francesco Carrara di Giovannangelo De Francesco La vita La teoria del reato e della pena Il principio di offensività e il silenzio sui delitti politici La tecnica legislativa penalistica e lo studio del processo Le interpretazioni del pensiero di Carrara Opere Bibliografia Opere Bibliografia 335 Giovanni Manna di Orazio Abbamonte 362 Luigi Lucchini di Carlotta Latini La vita Il metodo, lo stile e i principi generali dell’azione amministrativa Autorità e libertà Il percorso di un antesignano La vita La penalistica civile e l’impegno di Lucchini Il «trionfo del patriottismo» di Lucchini e il suo antifascismo Opere Bibliografia Opere Bibliografia 366 Cesare Lombroso di Paolo Marchetti 339 Marco Minghetti di Raffaella Gherardi La vita L’uomo delinquente e la nascita dell’antropologia criminale Il pensiero lombrosiano tra consensi e opposizioni I devianti Un bilancio La vita La «via media» di Minghetti fra ragione e storia Politica e amministrazione nell’età del parlamentarismo Opere Bibliografia Opere Bibliografia 345 Silvio Spaventa di Bernardo Sordi 371 Enrico Ferri di Monica Stronati La vita La questione ferroviaria Giustizia nell’amministrazione La vita La formazione XXI 401 Gian Pietro Chironi di Giovanni Cazzetta La nuova scuola e la propaganda del metodo sperimentale L’applicazione delle teorie: il problema del giurista-interprete La vita «Prima il metodo»: la scienza e la pratica Il sistema e la «necessaria evoluzione» del diritto «Nel diritto civile è il diritto comune» Opere Bibliografia 376 Arturo Rocco di Giovannangelo De Francesco Opere Bibliografia La vita L’indirizzo tecnico-giuridico L’autonomia del diritto penale e il carattere preventivo della pena Il sistema di Rocco e l’‘uso politico’ del tecnicismo politico 405 Il socialismo giuridico e il solidarismo di Monica Stronati Opere Bibliografia 381 Tendenze della civilistica postunitaria di Stefano Solimano I civilisti italiani e la formazione del codice civile del 1865 La stagione dei commentari: continuità e discontinuità Le risposte della scienza giuridica di fronte alla complessità della società postunitaria Le origini della definizione: un’«equivoca insegna» Come si trasforma il diritto: rinnovare conservando Il diritto nuovo: le leggi sociali Il solidarismo e l’emersione dei fatti normativi Opere Bibliografia 413 Emanuele Gianturco di Ferdinando Treggiari Opere Bibliografia La vita La formazione scientifica Il socialismo giuridico L’attività politica 389 Luigi Borsari di Alberto Spinosa Opere Bibliografia La vita Una testimonianza di confine: la riflessione civilistica Codificazione e identità giuridica nazionale 417 Giuseppe Salvioli di Ferdinando Mazzarella Opere Bibliografia La vita Il metodo e l’ideologia Opere Bibliografia 393 Francesco Filomusi Guelfi di Pasquale Beneduce La vita Enciclopedismo e canone eclettico Varianti della statualità: legislazione sociale e impresa coloniale 422 Il lavoro di Giovanni Cazzetta La vita Il profilo scientifico Libertà di lavorare e progresso Libertà di lavorare e antico regime dei lavori Diritto di vivere, diritto di lavorare, diritto al lavoro All’altrui servizio: «auguriamo padroni umani» Diritto comune e leggi sociali; diritto individuale e diritto sociale Nella crisi dello Stato liberale Opere Bibliografia Opere Bibliografia Opere Bibliografia 397 Vittorio Scialoja di Emanuele Stolfi XXII 430 Lodovico Barassi di Paolo Passaniti 459 Lodovico Mortara di Massimo Meccarelli La vita Un fondamento costituzionale per «nuove vedute nel campo del diritto processuale» Una nuova concezione della giustizia civile e del diritto giurisprudenziale La vita Il programma del 1899 Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano La seconda edizione Gli interlocutori La relazione al Comitato tecnico dell’agricoltura Opere Bibliografia Opere Bibliografia 463 Giuseppe Chiovenda di Massimo Meccarelli La vita Il problema della riforma del processo civile Un nuovo metodo per lo studio della procedura civile L’attuazione della legge al crepuscolo dello Stato liberale 434 Giuseppe Messina di Luca Nogler La vita I contributi sul diritto civile e processuale Gli studi sul contratto collettivo Opere Bibliografia Opere Bibliografia 438 L’impresa di Ferdinando Mazzarella 467 La giustizia penale di Marco Nicola Miletti Retorica dello scontento Le garanzie tradite Il regresso della scienza La galassia positivista e la costruzione del sistema L’epilogo del 1913 La nozione d’impresa tra diritto ed economia Le matrici francesi del diritto commerciale d’età liberale Codici, giurisprudenza e dottrina Dall’«Unternehmen» all’impresa Opere Bibliografia Opere Bibliografia 446 Cesare Vivante di Alberto Sciumè 475 La teoria dell’ordinamento giuridico: Santi Romano di Eugenio Ripepe La vita Anomalie e consonanze metodologiche di un giurista nelle metamorfosi del liberalismo Il socialismo di Vivante «Un giurista puro, privo di interessi sociologici» Postulati e corollari Lo Stato moderno e la sua crisi L’ordinamento giuridico Prolem sine matre creatam Pluralismo e relativismo giuridico Trent’anni dopo Opere Bibliografia 451 La giustizia civile di Massimo Meccarelli Le coordinate teoriche del discorso giuridico sulla giustizia civile in età liberale Il quadro legislativo di riferimento nell’Italia postunitaria La giustizia come problema giuridico: il punto di vista dottrinale Bibliografia Le trasformazioni del Novecento 485 Stato e Costituzione: l’esperienza del Novecento di Maurizio Fioravanti Premessa: la vocazione del secolo Tra le due guerre Opere Bibliografia XXIII L’implosione delle istituzioni corporative Dopo la Costituzione Conclusioni: alla fine del secolo Opere Bibliografia tra le due guerre 529 Lorenzo Mossa di Irene Stolzi 497 Lo Stato corporativo di Irene Stolzi Le ragioni di una centralità Lo Stato nuovo Le declinazioni del corporativismo totalitario Ripensare il diritto privato, ripensare lo Stato Opere Bibliografia La vita Scienza giuridica e nazionalizzazione del diritto Il diritto come formazione sociale L’impresa e il nuovo ordine novecentesco Opere Bibliografia 533 Enrico Finzi di Irene Stolzi 504 Carlo Costamagna di Monica Toraldo Di Francia La vita Il linguaggio come risorsa di mediazione Leggere il diritto oggettivo Il giurista e la storia futura La vita La ricostruzione organica della dottrina dello Stato e del diritto La Carta del lavoro La dottrina dell’«istituzione sociale» La «nazionalizzazione delle masse» Opere Bibliografia Opere Bibliografia 537 La pena nel ventennio fascista di Guido Neppi Modona 509 Arnaldo Volpicelli di Carlotta Latini La vita Crisi della modernità e corporativismo La coincidenza tra società e Stato: i rischi dell’organizzazione autocratica Il dibattito culturale negli anni Venti La pena detentiva nella codificazione penale fascista La pena di morte L’esecuzione in carcere della pena detentiva Pena e altre misure di repressione e controllo dell’opposizione politica Opere Bibliografia Opere Bibliografia 513 Partito politico e governo di Massimiliano Gregorio 542 Il diritto coloniale di Luciano Martone Lo status quo ante: governo come attività e governo come Gabinetto Il partito dei liberali L’emersione del Novecento giuridico: pluralismo e partiti Il governo nel regime fascista Il partito nel regime fascista Colonia e madrepatria, sudditi e cittadini La regola della diversità: consuetudini indigene e primato del diritto italiano Diritto coloniale e scienza giuridica generale Ultimi studi e definizioni del diritto coloniale Opere Bibliografia Opere Bibliografia 550 La forma-codice: metamorfosi 521 Lavoro impresa corporazione di Umberto Romagnoli e polemiche novecentesche di Paolo Cappellini L’ambiguo incontro del lavoro con il diritto corporativo Lavoro e impresa La giuridificazione del collettivo Itinerari novecenteschi dell’idea di Codice e il problema della defascistizzazione Il codice ‘nuovo’ e la questione corporativa: una rivoluzione mancata XXIV L’influenza dei giuristi nel prodotto costituzionale Per una valutazione di sintesi Il Codice relativizzato Opere Bibliografia Bibliografia 559 Alfredo Rocco di Giuseppe Speciale 589 Giorgio La Pira di Ugo De Siervo La vita Gli interessi scientifici La costruzione giuridica dello Stato fascista Il ministro e il legislatore La vita Come fondare un moderno Stato democratico I principi fondamentali della Costituzione Uno strumento giuridico storicamente adeguato Opere Bibliografia 563 Filippo Vassalli di Giovanni Chiodi Opere Bibliografia La vita Le trasformazioni del diritto civile Vassalli riformatore La novità del codice civile del 1942 L’età del disincanto (1943-1955) 594 Costantino Mortati di Fulco Lanchester La vita La giuspubblicistica italiana e Mortati L’attività tra le due guerre L’opera di preparazione della Costituzione L’attuazione della carta costituzionale Conclusioni Opere Bibliografia 568 La filosofia del diritto nel primo Novecento Opere Bibliografia di Mauro Barberis La filosofia del diritto in senso ampio Teoria generale del diritto La filosofia del diritto in senso stretto Conclusione 598 Piero Calamandrei di Nicolò Trocker La vita La funzione critica e propositiva del giurista L’opera della stagione ‘sistematica’: Calamandrei civilprocessualista Calamandrei e l’elaborazione del codice di procedura civile Il pensiero in materia costituzionale La nuova legalità costituzionale La collocazione del processo entro una generale visione dello Stato Opere Bibliografia 575 Giuseppe Capograssi di Ulderico Pomarici La vita La filosofia giuridica L’autorità L’azione L’esperienza giuridica Opere Bibliografia Opere Bibliografia 603 Costituzione e giustizia la democrazia costituzionale costituzionale di Paolo Caretti 583 I giuristi alla Costituente di Enzo Cheli Le origini della giustizia costituzionale: l’esperienza nordamericana L’esperienza europea L’esperienza italiana La dimensione sovranazionale Divergenze nella storiografia e linee di una possibile ricerca La fase preparatoria del percorso costituente La fase costituente: la Commissione dei 75 Il dibattito in Assemblea e il voto finale Bibliografia XXV La vita Il positivismo realistico L’antilegalismo e l’antinormativismo Il realismo metodologico Mutamenti di riferimenti, esplorazione di nuovi territori, approccio asistematico La decostruzione dello Stato amministrativo e la caduta delle invarianti Il diritto amministrativo alla prova dell’integrazione europea Conclusioni Opere Bibliografia Opere Bibliografia 612 Carlo Esposito di Franco Modugno 617 Vezio Crisafulli di Mario Sirimarco 640 Massimo Severo Giannini di Sabino Cassese La vita La formazione giovanile Tra istituzionalismo e normativismo La norma-ordinamento La giuridicizzazione dei principi generali del diritto La teoria della Costituzione Il problema dell’indirizzo politico Lo studio sulle fonti Dalla disposizione alla norma Illusioni e delusioni costituzionali La vita L’ascendenza culturale Il contributo di Giannini Le opere Il lascito di Giannini Opere Bibliografia 645 Feliciano Benvenuti di Giorgio Pastori Opere Bibliografia 622 Regionalismo e federalismo di Antonio D’Atena Le origini La relazione circolare tra l’elaborazione scientifica e la regionalizzazione del Paese La prima fase: l’ibernazione ventennale della riforma La seconda fase: dalle Regioni ad autonomia ordinaria alla crisi del regionalismo La terza fase: dalla crisi alla riforma ‘federale’ La quarta fase: la riforma del titolo V della Costituzione e la sua attuazione Bibliografia La vita Le matrici ideali La nuova visione costituzionale dell’amministrazione L’amministrazione come funzione obiettivata L’amministrazione come funzione partecipata Il carattere paritario del rapporto fra amministrazione e cittadini Il pluralismo politico-istituzionale e l’organizzazione amministrativa La tutela giurisdizionale Opere Bibliografia 650 La pena di Francesco Palazzo 631 L’amministrazione di Aldo Sandulli La rinascita degli studi amministrativi nel secondo dopoguerra Giovanni Miele e l’Umanesimo giuridico Aldo M. Sandulli e Il procedimento amministrativo I saggi di esordio di Massimo Severo Giannini Dalla chiusura nel concettualismo all’apertura al pluralismo Le due facce del realismo giuridico e la rinascita degli studi amministrativi Il rapporto con la tradizione e la dominanza dell’accademia sulla giurisprudenza XXVI Scienza penale ed esperienza giuridica Fatti, valori, dogmi I valori fra trascendenza assiologica e relatività storica Ambiguità e pregi dei dogmi Stagnazione postbellica e primi semi d’innovazione La svolta del costituzionalismo penale L’inclinazione verso la razionalità politico-criminale Inquietudini e interrogativi nella scienza penale d’oggi Opere Bibliografia Opere Bibliografia 659 Giuseppe Bettiol di Francesco Palazzo La vita Premesse filosofiche e caratteri generali Reato e colpevolezza Colpevolezza e personalità del reo Pena e retribuzione 687 Il lavoro di Riccardo Del Punta Dalla Liberazione allo Statuto dei lavoratori Gli anni Settanta Gli anni Ottanta Il diritto del lavoro tra due secoli Conclusioni Opere Bibliografia Opere Bibliografia 663 Giuliano Vassalli di Francesco Palazzo La vita Diritto e scienza penale La pena I diritti dell’uomo e il diritto internazionale 695 Gino Giugni di Silvana Sciarra La vita La formazione e gli anni Cinquanta Giugni e il diritto comparato del lavoro Gli anni della crisi dello Stato sociale Opere Bibliografia Opere Bibliografia 667 La giustizia civile di Michele Taruffo Gli inizi del secolo Il primo dopoguerra e il fascismo Il codice di procedura civile Il dopoguerra La Costituzione La giustizia del lavoro Le riforme processuali La dottrina Le variazioni e i protagonisti Fin de siècle 699 Mercato e concorrenza di Antonio Jannarelli Mercato e concorrenza tra cultura giuridica e cultura economica Un’ipotesi di periodizzazione: la disciplina antitrust Dalla fine dell’Ottocento al fascismo: dalla diffidenza alla chiusura corporativa Il secondo dopoguerra: continuità e discontinuità nella costituzione economica La nuova costituzione economica europea e la configurazione giuridica del mercato Opere Bibliografia 675 La giustizia penale di Renzo Orlandi Una pluralità di significati Penalistica civile e tecnicismo giuridico nel declino dell’Italia liberale L’epoca del fascismo L’Italia repubblicana Lo scorcio finale del Novecento Opere Bibliografia 707 Tullio Ascarelli di Mario Stella Richter jr La vita Le opere giuridiche e i contributi alla scienza del diritto Le riflessioni sul metodo e la teoria dell’interpretazione L’insegnamento, le iniziative culturali, l’attività professionale e l’impegno politico Opere Bibliografia Opere Bibliografia 683 Il diritto di famiglia di Marco Cavina Modernità e tradizione nell’idea di famiglia del primo Novecento La famiglia nel ventennio fascista Diritto di famiglia e democrazia costituzionale 712 Salvatore Pugliatti di Vincenzo Scalisi La vita La concezione integrale della giuridicità XXVII La proprietà come «interesse» La proprietà come situazione «complessa» Interesse pubblico e interesse privato nel diritto di proprietà La «funzione sociale» e le diverse gradazioni delle forme di appartenenza Proprietà collettiva, res incorporales e complessi di beni Proprietà conformata e pluralità di statuti proprietari Lo sviluppo progressivo della disciplina della responsabilità internazionale degli Stati Gli obblighi erga omnes e la dimensione pubblicistica del diritto internazionale Il diritto del contenzioso interstatale e il processo internazionale La causa dei diritti dell’uomo L’impostazione internazionalistica nello studio dell’integrazione europea Opere Bibliografia Opere Bibliografia 734 La storia del diritto romano di Aldo Schiavone 717 Diritto canonico e diritto Viale del tramonto La romanistica ‘nazionale’ Il ‘modello Bonfante’ e la polemica con Benedetto Croce Fascismo e modernizzazione giuridica La crisi Un’occasione mancata Segni di vita Quel che resta da fare ecclesiastico di Carlo Fantappiè Diritto canonico Dal Codex iuris canonici del 1917 al Concilio Vaticano II Dal Vaticano II al nuovo Codex del 1983 Dal Codex del 1983 alla fine del Novecento Diritto ecclesiastico Il contesto di origine nello Stato liberale Le relazioni interordinamentali nello Stato fascista Verso lo Stato costituzionale Le problematiche religiose nel quadro dello Stato democratico Stato sociale e confessioni religiose Le trasformazioni di fine Novecento Bibliografia 741 Culto e cultura della storiografia giuridica in Italia di Carlos Petit Il ‘codice Calasso’ Calasso dopo Calasso: la «Rivista internazionale di diritto comune» Storia giuridica e cultura: i «Materiali» di Giovanni Tarello Storia giuridica e pensiero: i «Quaderni» di Paolo Grossi Conclusioni Opere Bibliografia 725 Il sistema giuridico internazionale e l’ordinamento comunitario Opere Bibliografia di Giuseppe Palmisano Il contesto giuridico internazionale ed europeo nella seconda metà del Novecento Difficoltà di cogliere tratti distintivi comuni nella recente dottrina internazionalistica italiana L’impostazione statalista-volontarista e i suoi effetti interpretativi L’approccio dualista al rapporto tra diritto internazionale e ordinamento statale Il mantenimento della concezione dualista nello studio dell’ordinamento comunitario Le tendenze sensibili alla dimensione sociale dei fenomeni giuridici internazionali Il diritto internazionale generale come diritto «spontaneo» La persona internazionale dello Stato come ente reale 749 Francesco Calasso di Ugo Petronio La vita Le prime polemiche Le valutazioni mature I meriti storici La cosiddetta scuola di Calasso Opere Bibliografia 754 La filosofia del diritto XXVIII nel secondo Novecento di Carla Faralli Decadenza dell’idealismo Positivismo giuridico e filosofia analitica La concezione del potere Opocher e la Resistenza Il dibattito postpositivistico Opere Bibliografia Opere Bibliografia 761 Emilio Betti di Tonino Griffero 771 Norberto Bobbio di Pier Paolo Portinaro La vita Ermeneutica filosofica o metodica? Un’ermeneutica differenziale I canoni e il pericolo del relativismo Relativa oggettività La vita Il filosofo dell’Italia civile La diagnosi del proprio tempo Il teorico del diritto e della politica Opere Bibliografia Opere Bibliografia 766 Enrico Opocher di Giuseppe Zaccaria 777 Indice dei nomi La vita Il confronto con l’idealismo e la filosofia dell’esperienza giuridica L’idea e il valore della giustizia 791 Autori del volume 793 Referenze iconografiche delle tavole fuori testo XXIX INTRODUZIONE Il diritto come ‘cultura’ Questo volume è dedicato alla storia della cultura giuridica italiana. È facile intendere che i protagonisti sono i giuristi, ma non possiamo dare per intuitivo il collegamento fra l’attività del giurista e la ‘cultura’. L’arte, la letteratura o la filosofia appaiono a chiunque componenti essenziali della ‘cultura’ di un Paese: non è invece altrettanto immediata l’attribuzione al diritto di una significativa valenza ‘culturale’. È impossibile pensare il Trecento senza Dante, il Cinquecento senza Michelangelo o il Novecento senza Benedetto Croce, ma non sembrano altrettanto indispensabili, per la caratterizzazione culturale di questi secoli, rispettivamente, Bartolo da Sassoferrato, Andrea Alciato e Santi Romano. Il presupposto da cui muove questo volume è la convinzione che il diritto sia un fenomeno complesso, un prisma a molte facce. Il diritto permea di sé la società proponendosi come strumento di regolamentazione e di disciplinamento dei rapporti intersoggettivi, si coagula in istituzioni, si traduce in sistemi normativi di diversa origine e complessità, contribuisce alla razionalizzazione e all’organizzazione del potere, si accredita insomma come l’intelaiatura senza la quale la dinamica sociale (nel suo continuo intreccio di momenti conflittuali e cooperativi) difficilmente potrebbe svolgersi. Profondamente connesso con i valori, le aspettative, i conflitti, i poteri che si dispiegano in una determinata società, il diritto ha un’evidente valenza ‘culturale’: è cioè un’indispensabile componente della cultura di un Paese, se diamo al termine cultura il significato socioantropologico di un insieme di regole, credenze, costumi condivisi da una determinata società. La dimensione ‘culturale’ del diritto cui s’intende qui fare riferimento ha però un significato più specifico e delimitato. Il diritto è una congerie di testi molteplici, riconducibili alle diverse funzioni che è chiamato a svolgere: sono testi giuridici un codice, un regolamento amministrativo, una raccolta di consuetudini, un atto notarile, la sentenza di un giudice, una decisione arbitrale, l’arringa di un avvocato. Non sarebbe facile delineare una rigorosa tipologia dei testi definibili come ‘giuridici’. Nella classe dei testi ‘giuridici’ occorre comunque iscrivere una peculiare sottoclasse, relativamente unitaria pur nelle sue molteplici articolazioni; una classe di testi che sono ‘giuridici’ in quanto assumono il diritto come loro oggetto, riflettono su di esso illustrandone le caratteristiche generali o le più minute determinazioni e si presentano come luoghi di elaborazione e di trasmissione di uno specifico sapere. Sono questi i testi che si offrono come specchio (più o meno fedele) di quell’esperienza tanto familiare quanto sfuggente che chiamiamo diritto. La ‘cultura giuridica’ (in senso stretto) è la rappresentazione more iuridico che un ceto professionale offre di una determinata società; è la visione dell’ordine e delle sue più varie articolazioni; l’illustrazione e XXXI la discussione dei suoi valori fondanti; la messa a punto delle strategie di conservazione o di trasformazione degli assetti esistenti. La cultura giuridica (il diritto ‘riflesso’ nel sapere specialistico dei giuristi) appare dunque un momento importante del discorso pubblico nel quale una determinata società si esprime e si riconosce. È alla cultura giuridica così intesa che il nostro volume è dedicato. La cultura giuridica italiana e la sua ‘tradizione’ La cultura giuridica di cui proponiamo una storia è la cultura giuridica ‘italiana’. Non è però immediatamente evidente quale sia lo scenario evocato – l’ambito di esperienza individuato, la periodizzazione suggerita – da questo aggettivo. Se identificassimo il diritto con il prodotto della volontà dello Stato, un diritto ‘italiano’ e la cultura che lo interpreta, lo commenta, lo teorizza, potrebbero esistere soltanto dopo la creazione dello Stato nazionale. A rendere insoddisfacente una siffatta periodizzazione è però proprio il presupposto ipotizzato: la riduzione del diritto a momento interno dello Stato. Appare al contrario storiograficamente più feconda l’ipotesi opposta: assumere il diritto come un insieme di dispositivi capaci di disciplinare la dinamica intersoggettiva ben prima che l’assetto dei poteri si organizzi nella forma dello Stato e presentare quest’ultimo non come il presupposto dell’ordine, ma come un episodio – di grande rilievo – del suo svolgimento storico. Se è dunque ragionevole ammettere che di cultura giuridica italiana sia lecito parlare anche prima della formazione dello Stato nazionale, resta comunque l’onere di individuare un plausibile punto di inizio, precisando quali siano gli indicatori che permettono di presentare come ‘italiana’ una determinata esperienza storico-culturale. Il problema è delicato e si propone non già soltanto per il sapere giuridico, ma per la cultura in tutte le sue più diverse espressioni. Una soluzione potrebbe essere cercata facendo leva sul concetto di nazione. In questa prospettiva, il sapere giuridico potrebbe dirsi italiano quando prende a concepire se stesso come l’espressione di una comune identità nazionale. Il punto di inizio dovrebbe essere allora orientativamente collocato fra Sette e Ottocento, quando comincia a diffondersi, sospinta dall’onda d’urto della Rivoluzione francese, un’idea non più genericamente ‘linguistico-culturale’, ma precisamente politica di nazione. In questa prospettiva, la cultura giuridica si scoprirebbe ‘italiana’ nell’orizzonte del Risorgimento. Essa inizierebbe quindi a esistere con un qualche anticipo rispetto allo Stato nazionale, ma sarebbe ancora strettamente collegata a esso, che è la meta cui il Risorgimento tende. In realtà, costringere la cultura giuridica ‘italiana’ nel perimetro dello Stato nazionale (esistente o progettato) appare una forzatura intuitivamente insoddisfacente: ci sembrerebbe bizzarro escludere Cesare Beccaria (o Gaetano Filangieri o Alberico Gentili o Cino da Pistoia) da una lista di autori riconoscibili come ‘italiani’, così come diamo per scontato che Giotto e Michelangelo, Boccaccio e Ariosto appartengono alla pittura e alla letteratura ‘italiane’. Probabilmente, ciò che ci induce a considerare ‘italiani’ Cino da Pistoia o Filangieri è il persistente (anche se ormai subliminale) effetto di una storiografia ottocentesca che, sensibile all’afflato risorgimentale e impegnata nella missione civile di offrire al nuovo Stato un’adeguata legittimazione, ha assunto lo Stato nazionale come il punto di arrivo e il tèlos immanente di una vicenda plurisecolare e ha quindi, per così dire, ‘nazionalizzato’ a ritroso l’intera storia compresa fra la fine dell’impero romano e l’esito del Risorgimento. Di questo schema narrativo (e dei suoi evidenti anacronismi) conviene sbarazzarsi. Nessuna oscura provvidenza storica ha condotto all’elaborazione dei simboli e delle dottrine della nazionalità e ha presieduto al passaggio da una molteplicità di ordinamenti politici all’unità dello Stato nazionale. Al contempo, però, la necessità di prendere congedo dai tenaci pregiudizi nazionalistici non può mettere a tacere l’esigenza di disporre comunque di parametri capaci di offrire una qualche coerenza e unitarietà (e quindi intelligibilità) alla ricostruzione del passato. Non è la nazione, nella sua precisa (e storicamente XXXII determinata) dimensione ideologico-politica, a costituire un parametro adeguato. Quando parliamo di cultura giuridica ‘italiana’ non dobbiamo evocare l’orizzonte del teleologico svilupparsi di una nazione. Conviene piuttosto alludere alla forte e persistente continuità di una tradizione. Certo, la cultura giuridica non può annoverare, fra i parametri della sua ‘tradizione’, l’elemento della lingua, che offre allo storico della letteratura un potente criterio di individuazione dei testi pertinenti: è infatti il latino l’idioma per lungo tempo dominante nel sapere giuridico, mentre il volgare fa la sua comparsa soltanto nel 1673, grazie alla pionieristica iniziativa di Giovanni Battista De Luca. A vantaggio della compattezza della propria tradizione, però, la cultura giuridica può vantare due caratteristiche di rilievo: da un lato, il costante riferimento (spesso diretto e sempre almeno indiretto) a un insieme di testi normativi (si pensi al Corpus iuris) che restano per secoli l’oggetto obbligato dell’interpretatio del giurista; dall’altro lato, il metodo (o meglio l’habitus) caratteristico del sapere giuridico, imperniato (non troppo diversamente dal sapere teologico) sul rispetto delle auctoritates, incline a valorizzare una catena di opiniones autorevoli che attraversano i secoli e si prestano a sempre nuove attribuzioni di senso e modalità applicative. Grazie all’incessante lavoro interpretativo di molte generazioni di giuristi, un discorso compatto e articolato, un sofisticato sapere specialistico – lo ius commune – giunge dal 12° sec. fino alle soglie della moderna ‘età della codificazione’. Certo, non tutto il sapere giuridico è riconducibile alla tradizione dello ius commune; né questa tradizione resta indenne da critiche graffianti che culmineranno nell’attacco sferrato dai riformatori settecenteschi. Ciò che preme sottolineare prendendo spunto dal macroscopico episodio dello ius commune è semplicemente la coesione e la continuità di quella formazione discorsiva che chiamiamo cultura giuridica: essa si presenta come un viluppo di linee, figure, segni diversi (lo ius commune è una linea forte e netta in un quadro affollato di pennellate molteplici) che risultano decifrabili e dotati di senso in quanto espressione di esperienze condivise. L’Italia prima dell’Italia è per molti secoli un coacervo di organizzazioni politiche diverse per struttura ed estensione e tuttavia il sapere giuridico che si sviluppa nella cornice di questa tormentata geografia politica si presenta come un corpus di metodi, principi, schemi argomentativi, definizioni che va al di là delle singole realtà politico-istituzionali e opera come un tessuto connettivo, come un linguaggio comune che si trasmette, continuamente modificato e tuttavia riconoscibile, di generazione in generazione. Il sapere giuridico, come sapere soggiacente alla perdurante molteplicità degli ordinamenti, contribuisce alla formazione di una comune identità ‘italiana’, alla nascita di un germinale senso di ‘nazionalità’ che, ancora (e per molto tempo) sprovvisto di una precisa proiezione politica, si alimenta della condivisione di una cultura unitaria, confermata e trasformata di generazione in generazione. *** Di questa tradizione la cultura giuridica dell’Italia unita è l’ultimo anello. L’‘italianità’ della tradizione non ha a che fare con un suo teleologico tendere allo Stato nazionale, che interverrebbe come l’attuazione conclusiva delle sue interne potenzialità. Semplicemente, la cultura giuridica italiana otto-novecentesca non potrebbe esistere se non in quanto connessa (per adesione oppure per frontale contrapposizione) con il sapere giuridico sviluppatosi per continue, ininterrotte accumulazioni nei secoli precedenti. È il nostro presente che deve appropriarsi del nostro passato, sforzandosi di intenderne la specificità e la peculiare ‘alterità’ rispetto alle nostre abitudini mentali, ma al contempo riconoscendo in esso la propria indispensabile matrice. Quanto all’indietro nel tempo dobbiamo sospingere la tradizione? Dove possiamo collocare l’avvio di un sapere giuridico che arriva, con mille trasformazioni, fino ai nostri giorni? La risposta a questa domanda può essere netta: fra 11° e 12° sec., quando il CorXXXIII pus iuris viene riscoperto e comincia a essere minuziosamente ‘glossato’. Con il 12° sec., ovviamente, non nasce il diritto che, come indispensabile intelaiatura normativa di qualsiasi società, esiste anche là dove manca la sua immagine riflessa nello specchio di un apposito sapere; nasce (rinasce) la ‘cultura giuridica’: prende a svilupparsi, dopo un lungo silenzio, un ‘discorso di sapere’, un discorso che ‘riflette’ sul diritto in quanto lo assume come il proprio tema unificante. La cultura giuridica ‘italiana’ nasce a Bologna, nel quadro di un’istituzione – l’università – anch’essa inedita e di importanza determinante per la formazione e la trasmissione del nuovo sapere. Si profila dunque in Italia una tradizione culturale destinata a raggiungere il nostro presente. È di questa tradizione che intendiamo proporre una ricognizione, mettendo però in guardia il lettore da due possibili fraintendimenti. In primo luogo, la tradizione giuridica (come ogni tradizione) non deve essere pensata come un flusso che procede con un moto uniforme verso un esito obbligato. Al contrario, è caratteristica della tradizione la singolare compresenza di elementi apparentemente contraddittori: da un lato, l’ininterrotta trasmissione, di generazione in generazione, dei contenuti e degli stili concettuali volta a volta condivisi e, dall’altro lato, l’intervento di continui mutamenti, talora lenti e quasi inavvertibili e in altri momenti rapidi e drammatici. Ogni tradizione deve fare i conti con il mutamento: e a maggior ragione ciò è vero per il sapere giuridico, costretto a misurarsi con i contraccolpi della politica e con le trasformazioni degli assetti istituzionali. Tutto appare (ed è effettivamente) diverso, quando si confrontino fra loro i punti estremi della linea tracciata dalla tradizione; e tuttavia, anche nei processi di più vorticosa ‘accelerazione della storia’, l’invenzione del futuro passa attraverso un indispensabile rapporto (di appropriazione creativa o anche di iconoclastica rottura) con il passato. In secondo luogo, non si pensi alla tradizione giuridica ‘italiana’ come a un giardinetto circondato nei secoli da insuperabili steccati. Potremmo rischiare di cadere in questo equivoco se guardassimo alla tradizione con le aspettative del nazionalismo storiografico ottonovecentesco, cercando in essa conferme della ‘unicità’ della nazione o del ‘primato’ degli italiani. In realtà, la tradizione giuridica (come ogni tradizione) non è un hortus conclusus: è piuttosto un affollato crocevia di testi, convinzioni, prospettive. Anche da questo punto di vista assistiamo alla combinazione di due elementi apparentemente disomogenei: da un lato, la tradizione si sviluppa confermando una sua riconoscibile fisionomia; dall’altro lato, i suoi tratti caratteristici non sono il risultato di un deterministico imprinting, ma si formano e si trasformano grazie alla continua sinergia con tradizioni diverse, appartenenti a differenti aree geografiche, culturali e politiche. La tradizione giuridico-culturale italiana non è un’eccezione alla regola, ma ne è una conferma. In ogni momento della sua storia, essa ha ricevuto stimoli e suggestioni dal confronto con altre tradizioni e a sua volta è intervenuta costantemente, con proposte spesso audaci e originali, nel dibattito europeo. Alle soglie dell’età moderna comincia a circolare l’idea di una comunità ideale: la repubblica delle lettere. Una siffatta idea non era solo un’illusione accademica. Nell’Europa funestata fino a tempi recentissimi da guerre sanguinose il libero confronto fra tradizioni diverse era una pratica costante e rendeva possibile la formazione, se non di un’identità comune, certo almeno di uno spazio pubblico europeo di cui i nostri doctores iuris (da Bartolo ad Alciato, a Gentili, a Filangieri, a Beccaria, sino a Orlando e a Romano) erano parte integrante. La cultura giuridica italiana: una proposta di lettura Ripercorrere la cultura giuridica italiana fra gli inizi del 12° sec. e le soglie del 21° tentando di sorprendere in essa il sottile intreccio delle continuità (ora aperte, ora dissimulate) e delle innovazioni; mostrare, di quella cultura, la costante partecipazione (al conXXXIV tempo, propositiva e ricettiva) al dibattito europeo: sono queste le principali linee-guida che sorreggono il nostro volume. Non è una semplice Introduzione la sede appropriata per dar conto della vivacità intellettuale e della dimensione europea del sapere giuridico italiano: sarà la lettura dei saggi del volume a offrirne un’illuminante conferma. Possiamo soltanto ricordare esemplificativamente alcuni passaggi ed episodi di particolare rilevanza. È ovviamente determinante il ‘momento’ inaugurale: la riscoperta del Corpus iuris e l’avvio della sua paziente e capillare lettura. Non è un evento di portata ‘locale’: è, al contrario, l’evento che sancisce l’inizio dell’intera cultura giuridica europea, la messa a coltura di un terreno che presto si gioverà dei contributi di giuristi transalpini (si pensi al ruolo esercitato, per lo sviluppo del metodo del ‘commento’, da Jacques de Révigny e da Pierre de Belleperche). Inizia precocemente un dialogo a più voci destinato a proseguire senza interruzioni. Si pensi al problema ermeneutico sollevato dagli umanisti che oppongono a una lettura ‘attualizzante’ dell’antico testo normativo la necessità di un accertamento ‘filologico’ del suo significato. La discontinuità con abitudini culturali ormai consolidate non potrebbe essere più netta e tuttavia le due strategie ermeneutiche finiranno per coesistere e per contaminarsi a vicenda all’interno di un sapere capace di mantenere, nel corso del tempo, una sua fondamentale unitarietà. Ancora: l’approccio ‘storicizzante’ prende il nome di mos gallicus, data la sua diffusione in terra di Francia; e tuttavia è proprio nel seno della civiltà tardomedievale italiana che fiorisce l’Umanesimo, grazie alla sensibilità di un composito ceto intellettuale animato da una nuova curiosità per l’antica sapienza. E uno dei primi e più brillanti difensori del nuovo metodo è il milanese Alciato, che però avrà modo di illustrare la sua dottrina ad Avignone e a Bourges. La tradizione giuridica si sviluppa trasformandosi (in modo graduale e inapparente oppure subitaneo e clamoroso) nel quadro di un dibattito che scavalca costantemente i confini geografici e politici. Lo ius mercatorum trova (nella pratica e nella teoria) il suo primo habitat nella vivacissima realtà delle città italiane, ma diviene nel corso del tempo un obbligato terreno di scambio con esperienze e stili maturati al di là delle Alpi. La forza innovativa di una teoria procede spesso di pari passo con la sua capacità di entrare in connessione e in sinergia con ambienti e fenomeni di portata europea. Si pensi ad Alberico Gentili (peraltro docente a Oxford), che gode di una fama duratura come uno dei ‘fondatori’ del moderno diritto internazionale. Si pensi ancora alla fortuna della teorica della ‘ragion di Stato’, elaborata da Giovanni Botero. Si pensi infine alla temperie cosmopolitica caratteristica del ‘Settecento riformatore’, quando Filangieri e Francesco Mario Pagano conoscevano e discutevano a fondo le proposte francesi e inglesi (e americane) e Beccaria veniva tradotto dovunque in Europa e veniva commentato da Voltaire. Potremmo attenderci un mutamento di rotta con l’Ottocento, dominato da un nuovo senso di identità collettiva: in realtà, nemmeno i conflitti innescati dalle rivendicazioni nazionalistiche riescono a trasformare la cultura giuridica in una monade autosufficiente. Certo, si rafforza la tendenza alla celebrazione retorica della nazione, ma ciò non impedisce la prosecuzione del confronto fra tradizioni culturali diverse: si pensi, da un lato, ai dibattiti sulla codificazione (collegati all’esperienza francese e al codice Napoleone) e, dall’altro lato, alla fortuna di Friedrich Karl von Savigny in Italia e al perdurante influsso di un paradigma ‘storicistico’ sulla cultura giuridica italiana. E nemmeno la creazione dello Stato nazionale provoca una battuta di arresto nel dialogo interculturale: il metodo giuridico orlandiano viene elaborato in stretta connessione con la giuspubblicistica tedesca, mentre la ‘scuola positiva’ di diritto penale gode di un notevole credito in Francia e in Germania come negli Stati Uniti d’America. Gli esempi potrebbero essere moltiplicati. In realtà, però, è solo il volume nel suo complesso che può offrire al lettore il senso compiuto della varietà tematica e della ricchezza propositiva della tradizione giuridica italiana. XXXV Di una siffatta tradizione i protagonisti sono, ovviamente, i giuristi: sono i giuristi che l’hanno fondata, sviluppata, trasformata e hanno al contempo conseguito, grazie al ‘monopolio’ di un peculiare sapere specialistico, un rilevante ruolo sociale. È comprensibile quindi che nel nostro volume un notevole spazio sia riservato alle biografie intellettuali di giuristi di particolare rilievo. Occorre però tener presente che una tradizione discorsiva non coincide semplicemente con la riflessione di pochi autori eminenti: essa è piuttosto una formazione alluvionale, il risultato di un flusso ininterrotto di testi che tutti insieme contribuiscono a sottolineare una tendenza, a mettere a fuoco un tema, a suggerire la soluzione più persuasiva. Proprio per questo ci è sembrato indispensabile affiancare all’illustrazione di singole personalità la ricognizione di snodi tematici, di indirizzi metodici, di discipline che permettano di cogliere volta a volta i punti centrali del dibattito. È appunto questa convinzione che si è rispecchiata nella struttura del nostro volume, in cui i contributi storiografici di carattere ‘tematico’ sono costantemente affiancati da (e incrociati con) saggi dedicati alla ricostruzione del pensiero di singoli personaggi. Il criterio ordinante dell’esposizione è rigorosamente storico-diacronico. Avremmo potuto compiere una scelta (parzialmente) diversa facendo leva sulle discipline nelle quali il sapere giuridico si articola e offrendo per ciascuna di esse (per il diritto pubblico, per il diritto privato, per il diritto penale ecc.) una ricognizione storiografica. Abbiamo scelto una strategia diversa: valorizzare la fondamentale unitarietà del sapere giuridico e coglierne le molteplici componenti nel succedersi delle diverse epoche storiche. L’opera quindi è organizzata in sezioni storico-cronologiche, ciascuna delle quali è a sua volta composta, come ricordavamo, di saggi tematici e di biografie intellettuali. Dalla lettura incrociata dei saggi tematici e dei contributi biografici presenti nelle varie sezioni non scaturisce una ricostruzione analitica ed esaustiva della cultura giuridica italiana dalle origini ai nostri giorni. Sarebbe stata necessaria a questo scopo un’opera di ben altra mole e di diversa struttura. La nostra intenzione non è delineare un quadro ‘completo’: le assenze, le lacune, le domande inevase potranno essere facilmente registrate da un lettore esigente. Il nostro obiettivo è offrire dati e riflessioni storiograficamente attendibili e capaci di far intendere il senso e la portata di una tradizione culturale. Dall’insieme dei saggi di cui il volume si compone non esce certo un’enfatica apologia della ragione giuridica: confidiamo però che in essi il lettore trovi eloquenti esempi della vitalità e dello spessore di una tradizione che costituisce una parte integrante dell’identità culturale del nostro presente. Paolo Cappellini - Pietro Costa - Maurizio Fioravanti - Bernardo Sordi XXXVI Indice dei nomi III vol_defin:Layout 1 29/10/2012 11.49 Pagina 791 Autori del volume Orazio Abbamonte: Giovanni Manna Giorgia Alessi: La costituzionalizzazione del processo penale Mario Ascheri: I grandi tribunali Federigo Bambi: Baldo degli Ubaldi; Enrico da Susa, detto l’Ostiense Mauro Barberis: La filosofia del diritto nel primo Novecento Pasquale Beneduce: Francesco Filomusi Guelfi Italo Birocchi: Mos italicus e mos gallicus; Il diritto patrio Gianfranco Borrelli: La teorica della ragion di Stato Paolo Cappellini: Alle porte d’Italia: unificazione nazionale e uniformazione giuridica; La forma-codice: metamorfosi e polemiche novecentesche Paolo Caretti: Costituzione e giustizia costituzionale Sabino Cassese: Massimo Severo Giannini Aldo Andrea Cassi: Alle origini del diritto internazionale: Alberico Gentili Marco Cavina: Il diritto di famiglia Giovanni Cazzetta: Gian Pietro Chironi; Il lavoro (sezione L’età liberale) Aurelio Cernigliaro: Bernardo Tanucci Enzo Cheli: I giuristi alla Costituente Giovanni Chiodi: Lo ius civile: glossatori e commentatori; Filippo Vassalli Giulio Cianferotti: Lo Stato nazionale e la nuova scienza del diritto pubblico Floriana Colao: Le scuole penalistiche Chiara Continisio: Giovanni Botero Pietro Costa: L’antico regime: tradizione e rinnovamento Alessandro Dani: Giovanni Battista De Luca Antonio D’Atena: Regionalismo e federalismo Giovannangelo De Francesco: Francesco Carrara; Arturo Rocco Riccardo Del Punta: Il lavoro (sezione Le trasformazioni del Novecento: La democrazia costituzionale) Ugo De Siervo: Giorgio La Pira Ettore Dezza: Il problema della pena di morte Carlo Fantappiè: Diritto canonico e diritto ecclesiastico Carla Faralli: La filosofia del diritto nel secondo Novecento Riccardo Ferrante: Il problema della codificazione Maurizio Fioravanti: Stato e Costituzione: l’esperienza del Novecento Mauro Fotia: Vittorio Emanuele Orlando Loredana Garlati: Pietro Verri Raffaella Gherardi: Marco Minghetti Massimiliano Gregorio: Partito politico e governo Tonino Griffero: Emilio Betti Paolo Grossi: Medioevo e modernità: le diverse fondazioni di due civiltà giuridiche Dario Ippolito: Progetti costituzionali: Francesco Mario Pagano Antonio Jannarelli: Mercato e concorrenza Luigi Lacchè, Il costituzionalismo liberale; Pellegrino Rossi Fulco Lanchester: Costantino Mortati Carlotta Latini: Luigi Lucchini; Arnaldo Volpicelli Luca Mannori: L’amministrazione degli antichi Stati Paolo Marchetti: Cesare Lombroso Luciano Martone: Il diritto coloniale Aldo Mazzacane: Prospero Farinacci Ferdinando Mazzarella: Giuseppe Salvioli; L’impresa Massimo Meccarelli: La giustizia civile (sezione L’età liberale); Lodovico Mortara; Giuseppe Chiovenda Alberto Melloni: Innocenzo IV Francesco Migliorino: Diritto mercantile Marco Nicola Miletti: La giustizia penale (sezione L’età liberale) Giovanni Minnucci: Graziano; Bonifacio VIII Franco Modugno: Carlo Esposito Mario Montorzi: I giuristi e il diritto feudale Laura Moscati: Federico Paolo Sclopis Guido Neppi Modona: La pena nel ventennio fascista Luca Nogler: Giuseppe Messina Luigi Nuzzo: Pasquale Stanislao Mancini Renzo Orlandi: La giustizia penale (sezione Le trasformazioni del Novecento: La democrazia costituzionale) Andrea Padovani: Gregorio IX Francesco Palazzo: La pena; Giuseppe Bettiol; Giuliano Vassalli Giuseppe Palmisano: Il sistema giuridico internazionale e l’ordinamento comunitario Agostino Paravicini Bagliani: La costruzione della monarchia papale Paolo Passaniti: Lodovico Barassi Renato Pasta: Cesare Beccaria Giorgio Pastori: Feliciano Benvenuti Carlos Petit: Culto e cultura della storiografia giuridica in Italia Ugo Petronio: Francesco Calasso Vito Piergiovanni: Giuseppe Lorenzo Maria Casaregi Michele Pifferi: La criminalistica; Tiberio Deciani Ulderico Pomarici: Giuseppe Capograssi Ilaria Porciani: Attilio Brunialti Pier Paolo Portinaro: Norberto Bobbio Diego Quaglioni: Il nuovo ordinamento della Chiesa: decretisti e decretalisti Maria Gigliola di Renzo Villata: La critica del diritto giurisprudenziale e le riforme legislative Eugenio Ripepe: La teoria dell’ordinamento giuridico: Santi Romano Umberto Romagnoli: Lavoro impresa corporazione 791 Indice dei nomi III vol_defin:Layout 1 29/10/2012 11.49 Pagina 792 Giovanni Rossi: Bartolo da Sassoferrato; Lorenzo Valla; Andrea Alciato Fabio Rugge: Il problema dell’amministrazione Aldo Sandulli: L’amministrazione Umberto Santarelli: Giuristi e mercanti Nicoletta Sarti: Accursio Vincenzo Scalisi: Salvatore Pugliatti Aldo Schiavone: La storia del diritto romano Silvana Sciarra: Gino Giugni Alberto Sciumè: Cesare Vivante Mario Sirimarco: Vezio Crisafulli Stefano Solimano: Tendenze della civilistica postunitaria Bernardo Sordi: La progettazione della modernità: l’Illuminismo giuridico; Silvio Spaventa Enrico Spagnesi: Irnerio Giuseppe Speciale: Alfredo Rocco Alberto Spinosa: Giuseppe Pisanelli; Luigi Borsari Mario Stella Richter jr: Tullio Ascarelli Emanuele Stolfi: Vittorio Scialoja Irene Stolzi: Lo Stato corporativo; Lorenzo Mossa; Enrico Finzi Claudia Storti: I giuristi di fronte alla città e all’impero Monica Stronati: Enrico Ferri; Il socialismo giuridico e il solidarismo Michele Taruffo: La giustizia civile (sezione Le trasformazioni del Novecento: La democrazia costituzionale) Elio Tavilla: Ludovico Antonio Muratori Monica Toraldo Di Francia: Carlo Costamagna Antonio Trampus: Gaetano Filangieri Ferdinando Treggiari: Emanuele Gianturco Nicolò Trocker: Piero Calamandrei Marcello Verga: Pompeo Neri Raffaele Volante: I giuristi e il contratto Giuseppe Zaccaria: Enrico Opocher 792 Marco Nicola Miletti La giustizia penale Retorica dello scontento Nell’Italia postunitaria la giustizia penale è ambito di elezione per sperimentare le conquiste statutarie, sostanziare la libertà politica, «educare il popolo al sentimento del vero [e] del giusto» stimolandolo al «civico concorso» (L. Lucchini, Somme finalità del giure penale, in Per le onoranze a Francesco Carrara, 1899, pp. 410 e 415). Il tema appassiona intellettuali e salotti borghesi, dilaga sulla stampa, irrompe nell’agone parlamentare. Eppure, stenta a tradursi in una scienza processualpenale degna del ‘genio italico’. Le radici dell’insoddisfazione sono ramificate: una codificazione, quella del 1865, sortita da un affrettato rimaneggiamento del codice sabaudo del 1859; una dottrina asfittica rispetto al penale sostanziale; lo scarto tra una forma di governo finalmente liberal-garantista e un processo ancora autoritario. Di questa articolata retorica dello scontento le pagine seguenti si propongono di decrittare le tracce più significative, privilegiando la prospettiva processuale con riferimento a un arco cronologico (1859-1913) racchiuso tra due codici. Il disappunto si innestò inizialmente nella polemica sull’unificazione ‘a vapore’. Gli «uomini della scuola di Procuste», ironizzava Francesco Carrara, leader della penalistica del giovane Regno, «osteggia[va]no ogni miglioramento delle leggi sarde» e sminuivano al rango di «idee regionali» quelle poche istituzioni giudiziarie che negli Stati preunitari avevano svolto una preziosa funzione antidispotica (Introduzione a C.A. Weiske, Manuale di procedura penale con speciali osservazioni sul diritto sassone [...], 1874, pp. XII-XIV). In effetti, tra i ‘modelli’ processualpenali europei circolanti nella prima metà dell’Ottocento la normativa piemontese non occupava un posto di rilievo. Il Codice di procedura criminale del 1847 era stato reso subito obsoleto dallo Statuto Albertino. In ottemperanza a quest’ultimo, l’editto 26 marzo 1848 nr. 695 aveva affidato a «giudici del fatto» la cognizione dei più gravi reati commessi a mezzo stampa. Il 20 novembre del 1859 il governo sabaudo, dilatando la delega legislativa incassata in vista della Seconda guerra d’indipendenza, aveva promulgato il Codice di procedura penale per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna (in vigore dal 1° maggio 1860), il cosiddetto codice Rattazzi, con il quale si prefiggeva di adeguare il rito ai dettami costituzionali e di renderlo fruibile ai territori annessi. Di spiccato timbro inquisitorio, compensato però dalla ‘novità’ della giuria, esso fu esteso alla Lombardia il 1° luglio 1862; nelle province meridionali venne applicato, con alcune correzioni, a partire dal 1° giugno 1862. Arenatisi i progetti di riforma predisposti dal guardasigilli Giuseppe Pisanelli tra il 1863 e il 1864, la l. 2 apr. 1865 nr. 2215 sull’unificazione legislativa delegava il governo a estendere, con le opportune modifiche, alle province toscane il c.p.p. del 1859. Nelle settimane successive una commissione presieduta da Domenico De Ferrari e composta, tra gli altri, da Filippo Ambrosoli ed Enrico Pessina elaborò con estrema riservatezza il Codice di procedura penale del Regno d’Italia, promulgato con r.d. 26 nov. 1865 nr. 2598 e in vigore dal 1° gennaio 1866 in tutte le province del Regno. Nella relazione di accompagnamento il guardasigilli Paolo Cortese collegava l’esigenza di uniformare il rito penale nell’intero Regno, incluso l’ex Granducato, al trasferimento della capitale a Firenze. Suonava consolatoria l’assicurazione di avere attinto alle «buone instituzioni preesistenti nelle singole province» e di avere contemperato «soverchia larghezza» e «inquisizione pericolosa alla civile libertà». In realtà, l’articolato del 1865 perfezionava la disciplina della libertà personale e del giudizio d’accusa, ma segnava persino un regresso in materia di nullità, di impugnazioni e di leggibilità in udienza delle deposizioni scritte: difetto, quest’ultimo, accentuato dall’applicazione giurisprudenziale e che rivela la dipendenza psicologica dei giudici togati dal fascicolo cartaceo (Cordero 20068, p. 81). Concludendo 467 MARCO NICOLA MILETTI la relazione, Cortese preveniva le critiche «della scienza» puntualizzando che il mandato del governo non si spingeva fino alla completa redazione di legge nuova, sicché gli intenti pratici dovevano essere considerati come i più urgenti (Relazione sul codice di procedura penale, in Codice di procedura penale del Regno d’Italia colla relazione del ministro guardasigilli fatta a S.M. in udienza del 26 nov. 1865 [...], 1866, pp. III-V, IX, XXXII). Dinanzi a queste giustificazioni i primi commentari si mostrarono comprensivi. Carrara, viceversa, nella celebre prolusione pisana del 12 novembre 1873 proclamò il «bisogno urgentissimo» per il «decoro d’Italia» di gettare «alle fiamme il nostro codice di procedura penale del 1865, indegno da capo a fondo dei tempi nostri e di un popolo che dicesi libero»: e stigmatizzò che, dinanzi al «giogo di ferro», «tutti tacciono ad eccezione di pochi» (Il diritto penale e la procedura penale, in Id., Programma del corso di diritto criminale. Del giudizio criminale. Con una selezione dagli Opuscoli di diritto criminale, 2004, p. 438). Per la verità, tacquero in pochi. Esponenti di scuole diverse ravvisarono nel codice di rito il «peccato originale» della filiazione dalla Francia, «l’impronta dell’ansia frettolosa», il mancato aggiornamento scientifico e, soprattutto, il contrasto con le «franchigie e libertà» statutarie ormai metabolizzate (A. Buccellati, Il nihilismo e la ragione del diritto penale, «Memorie del R. Istituto lombardo di scienze e lettere», 1882, 14, p. 299). In Parlamento risuonò ripetutamente il malcontento per i continui «rattoppi» al c.p.p. (il primo addirittura ventotto giorni dopo l’entrata in vigore), presagio di una precarietà normativa destinata a cronicizzarsi. I principali ritocchi si concentrarono a ridosso dell’avvicendamento dalla Destra alla Sinistra storica, allorché si allentarono gli ostruzionismi delle forze reazionarie (F. Benevolo, Le riforme al codice di procedura penale. Il Pubblico Ministero e il Giudice istruttore, «Rivista penale», 1890, 31, 5, pp. 405-07). La legge sulla corte d’assise (1874) e la riforma Vigliani della detenzione preventiva e della libertà provvisoria (1876) modificarono in senso progressista istituti di pregnante portata simbolica. Parimenti significativo fu il coordinamento del c.p.p. al codice Zanardelli, effettuato con decreto 1° dic. 1889 nr. 6509: esso comportò modesti aggiustamenti (in particolare l’abolizione della correzionalizzazione), ma dimostrò come il sistema parlamentare fosse compatibile con grandi imprese legislative. Per il resto, i disegni di legge e gli organismi di studio susseguitisi senza successo dallo schema De Falco (1866) alla commissione FinocchiaroAprile (1898) si avvitarono intorno a nodi controversi: la ridefinizione delle competenze, lo snellimento delle procedure mediante citazione diretta o direttissima e la semplificazione del giudizio d’accusa, la riforma della giuria, dell’appello, della revisione. Le garanzie tradite Come tutti i codici di derivazione napoleonica, il c.p.p. italiano del 1865 presentava un’architettura «a duplice arcata»: all’istruzione di stampo inquisitorio seguiva un dibattimento accusatorio. Il difetto più vistoso del sistema ‘misto’ consisteva nell’ipoteca esercitata dal primo segmento sul secondo. In astratto, perciò, un inquisitorio ‘secco’ poteva rivelarsi «più serio» (F. Carrara, Introduzione a C.A. Weiske, Manuale di procedura penale, cit., pp. XX-XXI). Sulla scia delle perplessità carrariane, i penalisti moderati non si lasciarono incantare dalla facile equazione inquisitorio-oscurantismo e accusatorio-liberalismo. Essi comprendevano che l’evoluzione del processo trascinava fatalmente con sé scorie autoritarie, «sprazzi d’una fioca luce che la civiltà morente del passato lasciava sull’orizzonte del suo tramonto» (G. Borsani, L. Casorati, Codice di procedura penale italiano commentato. Libro primo, 1873, p. X). Per l’accusatorio puro si schierarono invece Luigi Lucchini e i fautori del giudizio d’accusa facoltativo, adottato dal Regolamento austriaco del 1873. Simili opzioni rimasero però minoritarie, schiacciate tra la prudenza dei carrariani, il gradualismo pessiniano e il positivismo reazionario. La critica liberale non risparmiò nessuna fase del rito penale. Tuonò contro l’«osceno connubio» tra investigazioni di polizia e attività giurisdizionale istruttoria (F. Carrara, Il diritto penale e la procedura penale, in Id., Programma del corso di diritto criminale, cit., p. 436). Lanciò strali contro la «zavorra inquisitoria» e il formalismo ottuso (L. Lucchini, I semplicisti (antropologi, psicologi e sociologi) del diritto penale, 1886, p. 254). Si batté per invertire il rapporto di regola/eccezione tra istruzione formale e sommaria, soluzione poi recepita dal codice del 1913. Cocenti delusioni procurava il giudizio, che la penalistica classica aveva concepito quale momento di controllo sociale sulla funzione giudiziaria e che invece soffriva le crescenti distorsioni della pubblicità, amplificate dal morboso interesse della stampa per i processi spettacolo. Il dibattimento fu svilito a grottesco teatrino: Il p.m. è quasi sistematicamente per l’accusa; i difensori stendono imboscate, ed i più annoiano con orazioni stereotipate; sfilano i testimoni, rosarii di inesatte notizie e di deliberate ed inconsce bugie; disputano periti stiracchiandosi la scienza (A. Zerboglio, Realtà ed illusioni della giustizia penale. Prolusione letta nella R. Università di Roma il 23 novembre 1905, «Rivista di diritto penale e sociologia criminale», 1905, 6, p. 266). Insomma, i principi più commendevoli si atrofizzavano nell’impatto con le «tendenze retrive» (F. Carrara, Foglio di lavoro per la commissione sulla riforma carceraria [10 febbraio 1872], in Id., Opuscoli di diritto criminale, 4° vol., Progresso e regresso del giure penale [...], 1, 1874, pp. 340-41). Nell’interminabile transizione al 468 LA GIUSTIZIA PENALE nuovo regime la giustizia tradì la sua missione civile perché pretese di conciliare gli opposti: «il costituto obiettivo nel gabinetto dell’inquisitore, e l’oralità tribunizia dei dibattimenti»; l’estromissione della difesa dall’istruzione e il contraddittorio in giudizio; il rifiuto dell’azione popolare e l’inappellabilità del verdetto dei giurati (L. Lucchini, Somme finalità del giure penale, in Per le onoranze a Francesco Carrara, cit., p. 416). Lo scollamento tra ideale e reale inficiava anche la valutazione dell’ordinamento giudiziario. In linea di principio, i giuristi liberali confidavano nella magistratura quale unica «barriera contro le esorbitanze del potere esecutivo» (E. Brusa, Note alla lezione XXXVIII di L. Casanova, Del diritto costituzionale, 2° vol., 1875, p. 423) o «ultima àncora legale di salvezza» delle libertà, come ribadiva con foga Lucchini (Somme finalità del giure penale, in Per le onoranze a Francesco Carrara, cit., p. 418) all’indomani delle cannonate di Fiorenzo Bava Beccaris. In realtà l’autonomia statutaria del potere giudiziario (frazionato peraltro in cinque cassazioni regionali sino all’unificazione della Cassazione penale realizzata con l. 6 dic. 1888 nr. 5825), non era così scontata. Della legge organica 6 dic. 1865 nr. 2626 si scrisse che aveva infeudato i giudici all’esecutivo (F. Carrara, Il diritto penale e la procedura penale, in Id., Programma del corso di diritto criminale, cit., p. 435). Longa manus del controllo governativo era il pubblico ministero, che l’art. 129 qualificava «rappresentante del potere esecutivo presso l’autorità giudiziaria» ponendolo «sotto la direzione del Ministro della Giustizia». La norma, tacciata d’incostituzionalità, fu incolpata di aver reso il p.m. «figlio della politica» (F. Carrara, I discorsi di apertura [1873], in Id., Opuscoli, 4° vol., 1, cit., pp. 44-45), «persona ibrida quant’è ibrido il sistema misto, un poco parte e un po’ magistrato, un po’ soggetto all’azione del governo e un po’ indipendente» (L. Lucchini, Elementi di procedura penale, 1895, p. 215). Sondaggi storiografici comprovano le pressioni ministeriali sulla magistratura inquirente. Un’abbondante pubblicistica discettò delle possibili contromisure. Ma ogni tentativo di correggere l’ambigua fisionomia del pubblico ministero naufragava dinanzi alle convergenti pressioni del ceto politico e dei sostenitori dell’accusatorio ‘puro’ perché gli si conservasse uno status funzionale distinto, che lo rendeva meglio controllabile. Né i suoi poteri furono scalfiti dalla scelta del codice Finocchiaro-Aprile – già caldeggiata da Vincenzo Manzini (Manuale di procedura penale italiana, 1912, pp. 14-15) – di sottrargli la qualifica di parte sul presupposto che lo Stato non persegue un fine a priori contrapposto a quello dell’imputato (Relazione al Re, in Commento al codice di procedura penale, 1915, 1/3, p. 562). Si discuteva se, nell’esercizio dell’azione penale (che gli spettava ex artt. 2, 2° co. e 42 nr. 1 c.p.p. 1865), il pubblico ministero dovesse attenersi al criterio di lega- lità o di opportunità. Il dilemma si scioglieva in via di fatto perché, quando si fosse persuaso di non dover procedere, egli era solito trasmettere il fascicolo all’archivio: prassi che, ad avviso degli esponenti della scuola positiva, pregiudicava la parte lesa. Il c.p.p. 1913, con una soluzione equilibrata, da un lato ribadì che l’azione andava promossa «secondo le norme stabilite dalla legge» (art. 179, 1° co.), dall’altro, quasi a porre il p.m. al riparo da ingerenze, precisò che questi, «se reputi che per il fatto non si debba promuovere azione penale, richiede il giudice istruttore di pronunciare decreto» (art. 179, 2° co.). La novità del controllo giurisdizionale sull’archiviazione venne contestata o ridimensionata da magistrati poi divenuti ‘organici’ alla penalistica fascista, come Silvio Longhi ed Edoardo Massari. L’obbligatorietà non implicava necessariamente monopolio dell’azione penale. Non mancarono proposte (Lucchini) di azione popolare o sussidiaria, che appagavano due tipiche istanze liberali: il più largo coinvolgimento dei cittadini nell’amministrazione giudiziaria e la facoltà per il privato di tutelare le proprie ragioni anche a prescindere dalla mediazione statuale. La scuola positiva conveniva sull’opportunità di accordare una qualche iniziativa processuale alle vittime di reato ma non transigeva sul carattere ‘pubblico’ dell’azione. Era però la giuria l’organismo simbolo dell’intersezione costituzionale tra popolo e potere giudiziario. Retaggio di mitologie rivoluzionarie e di aspettative risorgimentali (G. Pisanelli, Dell’istituzione de’ giurati, 1856, p. 139), essa si affacciava nell’Italia unita per il tramite del codice Rattazzi, che ne aveva esteso la competenza dai reati di stampa ai crimini. Più volte modificata quanto ai parametri di selezione e al rapporto con la componente togata della Corte d’assise, la giuria sopravvisse alle contestazioni mosse durante l’emergenza del brigantaggio, ma rimase oggetto di dispute appassionate. Le si rinfacciava, oltre alle molteplici farraginosità tecniche (in primo luogo, l’eccessiva discrezionalità del presidente), l’inclinazione all’emotività e al lassismo: suscitarono scalpore l’assoluzione di Bernardo Tanlongo, protagonista dello scandalo della Banca Romana, o il verdetto di condanna emesso nel processo Murri. La forte connotazione ideologica dell’istituto, nel quale un certo utopismo liberale vedeva addirittura un ponte verso una magistratura elettiva (E. Brusa, Sul giurì ad occasione delle recenti discussioni dei giuristi svizzeri, «Rivista penale», 1882, 15, p. 329), attirò il radicale dissenso dei positivisti della prima ora, persuasi che nelle aule giudiziarie vi fosse bisogno non di democrazia o di buon senso bensì di giudici scientificamente attrezzati. Il regresso della scienza Nella citata prolusione pisana Carrara constatava che la scienza processuale penale si era avviata «in una via funestissima di regresso». Con acume storicistico 469 MARCO NICOLA MILETTI il professore lucchese invitava a sfogliare gli ormai introvabili volumi dei «praticacci antichi» per comprendere come gli aspetti più torbidi della giustizia d’antico regime fossero stati «dalle buone scuole anatemizzati, e dalle buone pratiche con indignazione reietti». Nel Granducato – aggiungeva Carrara – l’efferatezza del codice penale era stata arginata da un rito rispettoso del criterio della prova piena. Il confronto con il passato, insomma, non tornava «ad elogio dei vivi». Il paradosso mirava a stimolare i giovani a dedicarsi alla «materia del procedimento penale», vero «campo da mietere» per affrancarsi da logori preconcetti e commentari «eruditi» (F. Carrara, Il diritto penale e la procedura penale, in Id., Programma del corso di diritto criminale, cit., pp. 433-41). L’appello rimase inascoltato. Le biblioteche restarono ingombre di lavori esegetici anche pregevoli (la Sposizione compendiosa, 1864-1865, di Matteo Pescatore, il Commento, 1867-1868, di Francesco Saluto, i sette volumi – l’ultimo completato da Luigi Majno – del Codice commentato di Giuseppe Borsani e Luigi Casorati, 1873-1887) o di monografie sui temi più scottanti (giuria, libertà personale): ma difettavano di opere capaci di raccordare teoria e prassi entro un ‘sistema’ originale. Il perdurante sussiego degli studiosi costò alla procedura penale l’appellativo di cenerentola del sapere giuridico e una penalizzante subalternità accademica. Si attribuisce di solito – forse con generosa approssimazione – alla prima edizione (1895) dei lucchiniani Elementi di procedura penale il merito della palingenesi ‘scientifica’ della disciplina. L’autore si diceva non «rassegnato a fare la parte soltanto di rapsode, e men che meno per illustrare leggi le quali soventi sono negazione della scienza». L’agile testo, scevro da erudizioni, pullula di stimoli critici, a cominciare dalla questione – allora molto sentita – della «posizione enciclopedica» della procedura penale o dell’importanza della critica induttiva nella valutazione delle prove (pp. VI, 1-5). Il contributo processualistico di Lucchini non è circoscritto agli Elementi (ripubblicati più volte sino al 1920). Dopo le monografie d’esordio ispirate a un garantismo ‘anglosassone’ (Pubblicità oralità e contraddittorio nella istruttoria del processo penale, 1873; Il carcere preventivo ed il meccanismo istruttorio che vi si riferisce nel processo penale, 18732), egli aveva fondato nel 1874 la «Rivista penale», sulle cui pagine transitò, specie dopo il varo del codice Zanardelli, larga parte del dibattito sulla modernizzazione della giustizia. All’alba del nuovo secolo, il direttore deplorava che la procedura penale non fosse «uscita dalla crisalide di studi e lavori interni e preparatori», ma prometteva di non ammainare la «bandiera» liberale e umanitaria (L. Lucchini, Ai lettori, «Rivista penale», 1900, 26, p. 6). Intanto la processualpenalistica italiana andava affinando gli strumenti metodologici. A partire dal tardo Ottocento essa si avvalse in misura massiccia della comparazione e della statistica. Della prima, che confermava impietosamente l’arretratezza del rito vigente nel Regno, Carrara era stato antesignano: egli, tra l’altro, aveva esaltato la qualità del Regolamento austriaco del 1873 e per primo aveva contrapposto alla «esagerata autorità della Francia» gli «ammaestramenti della dotta Germania» (Introduzione a C.A. Weiske, Manuale di procedura penale, cit., pp. VI, XI, XIV). Quanto alla statistica, grazie alla fortuita sinergia tra Lucchini (membro della commissione per la statistica giudiziaria) e la scuola positiva (che cercava nei numeri il riscontro alle proprie ipotesi criminologiche), minuziose tabelle inondarono periodici e monografie. I dati erano attinti soprattutto dai discorsi d’inaugurazione dell’anno giudiziario tenuti dai pubblici ministeri, vero e proprio genere letterario dal respiro non sempre localistico: sin dal 1879 «Rivista penale» ne pubblicava una rassegna ragionata. La messe di informazioni non aiutava però a stabilire se, nell’Italia finalmente unita ma assai variegata dal punto di vista dell’ordine pubblico, la criminalità tendesse all’incremento o alla contrazione. L’impressione che si ricava dalla miriade di prospetti e dai relativi commenti è quella di una giustizia penale ingolfata, che già in istruttoria lasciava inevasa una quota consistente di processi e che si mostrava temibile più nell’iter procedimentale che negli esiti sanzionatori. La galassia positivista e la costruzione del sistema L’impatto sferzante della scuola positiva si abbatteva dunque su una comunità di studiosi nient’affatto coesa né appagata dalla macchina giudiziaria. La contrapposizione tra indirizzi scientifici, talora caricaturizzata dai protagonisti e dalla meno recente storiografia, consente però di cogliere in controluce le ambiguità di un sistema processuale che tollerava, sotto la patina del garantismo formale, meccanismi di sicurezza (soprattutto misure di polizia preventiva) sfuggenti al controllo giurisdizionale (Sbriccoli 2009, 1° vol., pp. 594-97, parla di «doppio livello di legalità»). Gli attacchi provenienti dalla falange lombrosiana portavano allo scoperto l’inconfessabile timore che un rito ossequioso dei precetti costituzionali non riuscisse a blindare valori e beni cari al notabilato. L’offensiva positivista risale agli inizi degli anni Ottanta del 19° sec., quando apparvero i Nuovi orizzonti (1881) di Enrico Ferri, ampliati nel 1884 e poi riproposti come Sociologia criminale (1892, 1900, 192930); e il saggio Ciò che dovrebbe essere un giudizio penale (1882) del magistrato napoletano Raffaele Garofalo, nucleo processuale della Criminologia (1885, 1891). Da questi lavori non si evince un coerente archetipo di rito penale ‘alternativo’ ma solo il generico auspicio di ripensare il processo secondo dettami bio-socio- 470 LA GIUSTIZIA PENALE antropologici affinché rispondesse al compito di «trasportare la pena dal campo aereo delle minaccie legislative al campo pratico della difesa sociale contro i delinquenti» (E. Ferri, I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale, 1881, p. 120). La nuova procedura sarebbe consistita in «un esame psichico del delinquente» finalizzato a determinarne la ‘categoria’, accertarne la pericolosità (anziché la «responsabilità morale») e disporne il trattamento clinico. I magistrati sarebbero stati reclutati in base alle competenze statistiche, antropologiche e penitenziarie, giacché la tradizionale formazione civilistico-romanistica li abituava all’astrazione e non li preparava a curare l’«infermità sociale» della delinquenza (R. Garofalo, Ciò che dovrebbe essere un giudizio penale, «Archivio di psichiatria, scienze penali e antropologia criminale», 1882, 3, pp. 88-99; E. Ferri, I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale, 18842, pp. 447-48). Simili proposte furono irrise dagli avversari, che le considerarono terribilmente regressive. Dal loro canto, i positivisti rispedivano alla scuola classica l’accusa di anacronismo, osservando che l’individualismo ostinato aveva ormai esaurito la sua funzione di limite ‘negativo’ all’azione dello Stato (F. Puglia, L’evoluzione storica e scientifica del diritto e della procedura penale, 1882, p. 294). In effetti, l’orizzonte valoriale verso cui marciava la giustizia penale contemplava il sacrificio delle garanzie del singolo sull’altare della sicurezza collettiva. Il progetto di codice presentato al ministro Zanardelli nell’aprile del 1889 dai magistrati Garofalo e Carelli non stravolgeva i lineamenti del rito vigente proprio perché i due autori ammettevano di avere piegato «il capo a quella specie di ipocrisia sociale» che parificava individuo e società e di non aver portato a conseguenze logiche il sempre più «insistente» principio per cui «l’individuo scomparisce di fronte allo Stato» (R. Garofalo, L. Carelli, Riforma della procedura penale in Italia. Progetto di un nuovo codice, 1889, pp. XII-XIII). Un salto di qualità, quest’ultimo, che Alfredo Rocco avrebbe rivendicato nel progetto preliminare del codice di rito fascista (1929). Su alcuni istituti processuali l’attrito ideologico tra le scuole raggiunse l’acme. Ai liberali ripugnava l’abuso della carcerazione preventiva, precipitato di quel «velo nero e denso», dal sapore inquisitorio, che ancora ricopriva l’istruttoria (L. Lucchini, Il carcere preventivo, cit., p. 5), mentre i positivisti non escludevano che essa potesse servire da escamotage per indurre alla confessione (R. Garofalo, Criminologia. Studio sul delitto, sulle sue cause e sui mezzi di repressione, 1885, p. 328). A simili provocazioni alludeva forse Lucchini (nella lettera premessa ad A. Pallotti, Alcune note sul carcere preventivo, 1886, p. 10) quando si scagliava contro i «Robespierre in sessantaquattresimo» che vedevano in ogni imputato un reo e misconoscevano l’interesse parimenti «sociale» alla tutela dell’incolpevole. Il contrasto riflette la viscerale antinomia concernente il principio della presunzione d’innocenza. I classici avevano elevato questo canone a «metafisica del diritto procedurale» (F. Carrara, Il diritto penale e la procedura penale, in Id., Programma del corso di diritto criminale, cit., pp. 422-26). Ferri, pur coniando il calembour secondo cui il codice penale è destinato ai «birbanti» e quello di procedura penale ai «galantuomini» (Lavori parlamentari del nuovo codice penale italiano. Discussioni alla Camera dei deputati [dal 26 maggio al 9 giugno 1888], 1888, p. 33), bollava la presunzione come effetto delle «soverchie esagerazioni» individualistiche noncuranti della difesa sociale (E. Ferri, I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale, cit., pp. 428-40). Il tentativo di mediazione esperito dalla terza scuola dissodò il terreno per lo sprezzante ripudio del principio in questione (V. Manzini, Manuale di procedura penale italiana, cit., pp. 51-54): una censura le cui ombre lunghe si proiettano sulla formulazione ‘negativa’ (presunzione di non colpevolezza) adottata dall’art. 27, 2° co. della Costituzione repubblicana. La diagnosi positivista della questione criminale presenta indubbi elementi di contiguità con quella socialista, ma non vi si sovrappone. Il socialismo penale, che visse un’effimera fiammata a cavallo tra 19° e 20° sec., ebbe una sua specificità: abbozzò un’analisi essenzialmente politica dei problemi giudiziari, denunciò le sperequazioni di classe, esportò il dibattito tecnico in sedi militanti come i fogli di partito o le arringhe forensi. Ma scontò con l’assenza di una concreta strategia riformistica l’improbabile velleità di combinare marxismo e spencerismo-darwinismo. Anzi la drammatica congiuntura di fine secolo, contrassegnata dalla legislazione eccezionale per i fasci siciliani e gli anarchici della Lunigiana (1894) e poi dalla repressione del movimento operaio, sorprese penalisti socialisti e liberali affiancati nella difesa delle libertà statutarie. Comunque la ventata contestataria di stampo positivistico e socialista, benché sterile nei risultati immediati, aveva rovesciato taluni dogmi della giustizia liberale: l’attenzione si era spostata dal reato al reo, dal garantismo indulgente all’intransigente difesa della società, dall’eguaglianza processuale formale a un rito sensibile agli effettivi dislivelli sociali (cfr. A. Pozzolini, L’idea sociale nella procedura penale. Appunti critici, «Archivio giuridico Filippo Serafini», 1898, 60, pp. 307, 310, 318-19; 1898, 61, pp. 34-38). Di questo incoerente ideario la cosiddetta terza scuola, pur premendo per il ritorno a una giustizia imperniata sul fatto anziché sul delinquente, ereditava molte insofferenze, anzitutto verso l’«ingiustificata tenerezza per l’imputato» (U. Conti, Ciò che dovrebbe essere un giudizio penale, «Rivista penale», 1906, 63, 1, pp. 6-18). Anche l’indirizzo tecnico-giuridico metteva a fuoco aspirazioni diffuse, come la necessità, già avvertita dai patriarchi della penalistica civile e da socialisti o radicali critici quali Eugenio Florian e Alfredo Pozzolini, di demarcare uno specifico campo del penale giuri- 471 MARCO NICOLA MILETTI dico. Quando Arturo Rocco, nella prolusione sassarese del 15 gennaio 1910 (Il problema e il metodo della scienza del diritto penale, «Rivista di diritto e procedura penale», 1910, 1, p. 570), fissava nel concetto di rapporto giuridico il fulcro di una futura «sistemazione scientifica» delle discipline penalistiche, incoraggiava la costruzione di una scienza processualpenale ‘pura’ deducibile da principi assoluti: impresa alla quale vari studiosi (Pio Barsanti, Ugo Conti) ambivano da qualche anno, seppur con esiti non sempre confortanti. L’epilogo del 1913 La maturazione teoretica rendeva plausibili, sul cadere del 19° sec., i propositi di riforma legislativa. Il decreto 3 ottobre 1898, con il quale il guardasigilli Camillo Finocchiaro-Aprile nominava una commissione incaricata di apportare modifiche al codice di rito, segnava una cesura. I lavori, dipanatisi sulla base di perspicue relazioni tematiche, vennero quindi distillati in principii cautamente innovativi, che il neoministro Emanuele Gianturco sottopose al vaglio delle facoltà giuridiche, delle magistrature e dell’avvocatura. I pareri delle università lamentavano soprattutto l’eccessivo indugio delle massime su disquisizioni dottrinali e comparatistiche. Tra le eterogenee reazioni delle magistrature di vertice prevalse il sentore che il legislatore avesse travisato le priorità del Paese reale (per es., R. Garofalo, I principii adottati dalla Commissione per la riforma della procedura penale, «Riforma giudiziaria», 1901, pp. 3-4, 9-11 dell’estratto, in polemica con Lucchini). Ulteriori limature arrecate ai principii sfociarono in un articolato piuttosto progressista, che FinocchiaroAprile, di nuovo guardasigilli, illustrò il 28 novembre 1905 alla Camera dei deputati con il corredo di una ricca e incisiva relazione. Falliti, nel 1908-09, i due tentativi di riforma predisposti dal ministro Vittorio Emanuele Orlando, il biennio 1911-12 registrò un’accelerazione dell’iter codificatorio grazie all’ennesimo ritorno di Finocchiaro-Aprile a palazzo Firenze nel quarto governo Giolitti. Il dibattito, svogliato in Parlamento, si arroventò sui periodici: «Rivista penale» organizzò persino un referendum per demolire il progetto. Più che per la rivalità tra le scuole (esautorate dall’astro nascente del tecnicismo giuridico, come s’intuisce dalla cooptazione in extremis di Manzini nel ristretto gruppo dei ‘coordinatori’), la tensione salì per la concitata modalità di promulgazione: l’ultimo segmento del percorso legislativo fu infatti macchiato da dubbi di costituzionalità perché il governo, ricorrendo alla legge delega 20 giugno 1912 nr. 598, operò per il tramite della commissione di coordinamento una sospetta manipolazione sul testo definitivo, sanzionato dal r.d. 27 febbr. 1913 nr. 127. Trovava così conferma la prima parte dell’osservazione di Manzini secondo cui «l’attuazione delle grandi riforme legislative in Italia non si può attendere che dal potere legislativo delegato, o dalla rivoluzione» (Per la riforma della procedura penale italiana. Note di pratica legislativa, in Scritti giuridici e di scienze economiche pubblicati in onore di Luigi Moriani, 1° vol., 1906, pp. 424-25). Le vicende novecentesche avrebbero interamente inverato la profezia. Nel merito il codice del 1913 tradiva molte delle speranze moderatamente accusatorie balenate in fase progettuale. Giovanni Giolitti approfittò della contingenza politica (la guerra di Libia) per assicurarsi, al prezzo di qualche revirement e con l’aiuto dei relatori di Camera e Senato Alessandro Stoppato e Lodovico Mortara, la non aperta ostilità dell’ala socialpositivista. Il testo approvato risultò più solido del precedente (nella sistematica, nell’inserimento d’un libro ad hoc sull’esecuzione, nella disciplina delle nullità), ma cedevole su altri fronti (l’istruzione restava inquisitoria e in molti passaggi preclusa al difensore; alla polizia giudiziaria si concedeva di provvedere ad atti urgenti; si confermava il monopolio del p.m. sull’azione; si attenuava lo sbarramento alla lettura delle deposizioni in dibattimento). Non a torto si è parlato di «liberalismo equivoco» (Cordero 20068, p. 82), anche se occorrerebbe interrogarsi su quanto istinto ‘inquisitorio’ covasse già sotto il manto del garantismo liberale. Lo scontento trasversale, la crociata orchestrata dai superstiti penalisti classici, la frustrazione della frantumata scuola positiva, la protesta dell’avvocatura mostrano come l’agognato traguardo del 1913 si rivelasse un’ennesima tappa provvisoria raggiunta – come nel 1865 – fuori tempo massimo. Sulla lunga rincorsa a un codice degno della Terza Italia calava il sipario della Grande guerra. È tempo di una notazione conclusiva. La valenza ‘costituzionale’ del processo criminale era stata teorizzata dall’Illuminismo maturo. È però dal secondo Ottocento che la dottrina giuridica dovette confrontarsi con le variabili di un sistema parlamentare e con gli umori dell’opinione pubblica. Il gioco democratico disorientava i penalisti liberali, dilaniati tra la missione ‘civile’ di rassodare le tutele giudiziarie del cittadino e l’urgenza di tranquillizzare un notabilato traumatizzato dal brigantaggio, dall’urbanizzazione, dalla conflittualità industriale, dai sommovimenti anarco-socialisti, dal crimine organizzato. La scuola positiva spiazzò i ben pensanti disvelando limiti e ipocrisie del garantismo processuale. Maturò in questo clima, e sarebbe divenuta una costante, una sorta di strabismo tra premesse politiche e proposte riformatrici. Da un lato, gli studiosi di area moderata erano i più decisi a mutare lo status quo iniettando nella giustizia penale robuste dosi di trasparenza sin dentro le tenebre istruttorie. Dall’altro, i penalisti di schieramento progressista (alcuni dei quali socialisti) accettavano di subordinare le libertà statutarie all’interesse collettivo, senza tema di apparire conservatori e talora nostalgici di un rito premoderno. L’incipit de 472 LA GIUSTIZIA PENALE I semplicisti (1886) di Lucchini scolpiva la dialettica tra il «morboso sentimentalismo pei malfattori» rimproverato alla scuola classica e il «ripristinamento dell’inquisizione processuale» auspicato dai positivisti (p. VI). «Morboso sentimentalismo»: non è forse casuale che il sintagma lucchiniano ricompaia nella relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale stilata da Alfredo Rocco nel 1929 (Ministero della Giustizia e degli affari di culto, Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, 8° vol., 1929, p. 7). La penalistica fascista avrebbe riletto la polarizzazione tra autorità e libertà recuperando molte delle argomentazioni reazionarie tardottocentesche e saldandole allo statualismo autoritario forgiato dal tecnicismo giuridico. Quel campo di tensione si ripresenta periodicamente anche nell’Italia repubblicana, sintomo di pulsioni profonde che scuotono le fondamenta democratiche della giustizia e ne pregiudicano un sereno funzionamento. Opere P. 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