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Caelius II,1 Estratto Alia

La pubblicazione del complesso monumentale dei Ss. Giovanni e Paolo al Celio, della Basilica e delle sottostanti domus è l'esito finale di un programma di restauro, tutela e valorizzazione il cui percorso-iniziato alla fine degli anni Novanta del secolo scorso e culminato con la riapertura al pubblico, nel 2002, degli ambienti di età romana conservati sotto la Basilica-può dirsi finalmente concluso. L'edizione dell'opera, esaustiva nei suoi contenuti storico-archeologici e artistici, supportati da un ricco apparato documentale e in quelli tecnici, con la puntuale illustrazione delle metodologie di restauro messe in atto, ha richiesto una lunga e non facile gestazione e lo spazio di due volumi, per rendere nota e fruibile la grande mole dei dati scientifici e tecnici acquisiti nel corso dell'intervento su un monumento così vasto, complesso e problematico. Questo volume segue e conclude Caelius I, pubblicato nel 2003 a cura di Alia Englen e ottimamente introdotto da Claudio Strinati e Adriano La Regina. Le operazioni di restauro condotte dalle Soprintendenze di Stato-quella oggi diretta da chi scrive e la Soprintendenza per i Beni Storico Artistici di Roma nelle sue varie evoluzioni-si sono svolte di pari passo con lo studio e l'analisi del monumento in tutte le sue parti: strutture murarie, apparati decorativi, apprestamenti tecnici, reperti mobili. Allo stesso tempo, approfondite ricerche archivistiche e bibliografiche hanno consentito di riesaminare l'intero complesso nel suo divenire, dalla prima età imperiale a quella moderna, riconoscendone le diverse fasi e trasformazioni e ricontestualizzandone la storia nel tessuto topografico del Celio. Un lavoro di tale impegno ha richiesto una équipe d'eccellenza, formata da esperti e studiosi afferenti a diverse discipline e professionalità, che lavorano all'interno delle Soprintendenze, come Alia Englen, Maria Grazia Filetici e Rita Santolini; o nelle Università, come Carlo Pavolini, i cui trascorsi presso l'allora Soprintendenza Archeologica di Roma ne fanno uno specialista "bifronte"; o che con esse proficuamente collaborano, come Paola Palazzo. La pubblicazione, che di questo grande lavoro illustra i risultati raggiunti, è il frutto di tali numerosi apporti interdisciplinari, cui hanno contribuito con grande capacità ed entusiasmo anche altri validi studiosi. Per la ricchezza e la varietà dei contributi in essa confluiti, l'opera è indirizzata sia al mondo degli "addetti ai lavori", studiosi e specialisti competenti relativamente ai singoli argomenti trattati, sia agli appassionati e cultori dell'antico. I primi vi troveranno dati scientifici inediti, risposte a quesiti dibattuti, nuove ipotesi interpretative. Gli altri, attraverso la lettura e grazie al ricchissimo apparato illustrativo dell'opera, ricaveranno una suggestiva percezione delle vicende di cui il complesso è stato protagonista e testimone: il fervore di attività delle botteghe della domus affacciate sul clivo di Scauro; la quotidianità domestica nelle stanze affrescate, nel ninfeo, nelle corti e nei recessi rustici di servizio; gli echi di un cristianesimo primitivo, inizialmente professato davanti a una teca domestica, poi fulcro nei secoli di una basilica sempre più grandiosa, che nel Medioevo diviene memoria devozionale all'interno di un piccolo oratorio risparmiato dagli interri, e infine testimonianza di fede negli altari moderni installati nelle antiche stanze in cui aveva avuto origine, dopo la loro scoperta alla fine del 1800. Manuale di un restauro filologico e prezioso vademecum per la futura conservazione di un complesso di altissimo pregio, il volume è un autentico excursus attraverso secoli di storia, il dispiegarsi di un palinsesto, quello appunto delle domus romane e della soprastante Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, in perfetta coerenza col nome dato alla collana che ne accoglie la pubblicazione. Il restauro attuato, ieri necessaria e urgente misura di salvataggio di un bene di altissimo valore storico, archeologico e artistico, estremamente degradato e a rischio di perdita, oggi, con la pubblicazione, vuol essere una garanzia della futura conservazione del monumento, affidata per i diversi aspetti al sistema delle Soprintendenze statali. Questi venerandi Uffici, si dice, nascono ed esistono per fare tutela, pur con tutte le difficoltà e i problemi di rapporto con il territorio, l'opinione pubblica, la politica. La loro struttura e il loro operato sono continuamente monitorati, spesso messi sotto accusa da un Paese che, alla ricerca di una semplificazione spesso senza regole, rischia di perdere la sua stessa memoria. Tutto è perfettibile e dunque lo sono anche le Soprintendenze: come si è detto a proposito della democrazia, esse rappresentano un sistema di governo (del territorio) imperfetto, ma nulla di meglio mi risulta sia stato inventato. Presentazione Daniela Porro "Il Celio, infatti, è il simbolo stesso, in una città come Roma, dell'idea del palinsesto vivente, fatto di ricerca filologica e di quotidianità che si dispiegano davanti all'osservatore purché egli possa vedere e capire. Il Celio è già, in sé e per sé, un parco archeologico, architettonico e storico artistico. Non è necessario conquistarlo alla coscienza moderna perché è sostanzialmente già presente. Compito degli studiosi è far sì che un simile complesso, quasi unico al mondo, possa essere, costantemente e sempre meglio, percepito in quanto tale, per mettere in condizione i cittadini e gli esperti di comprendere dove si trovano e che senso abbia la conservazione". Così Claudio Strinati definiva il colle nell'introduzione a Caelius I, il primo volume della collana Palinsesti Romani, edito da "L'Erma" di Bretschneider nel 2003 e dedicato a S. Maria in Domnica, S. Tommaso in Formis, il Clivus Scauri e la Biblioteca di Agapito. Il titolo stesso era l'espressione di un programma seriale e della comune volontà delle due Soprintendenze di Stato (già denominate "Archeologica di Roma" e "per i Beni Artistici e Storici di Roma") di intraprendere insieme un percorso interdisciplinare di tutela in cui dovevano essere messe in comune tutte le risorse professionali e finanziarie disponibili. Il primo volume era testimonianza di una visione della Città come un enorme e diffuso palinsesto, di cui si dovevano leggere tutti gli strati, attraverso una grande impresa di conservazione, studio e ricerca sul territorio ai fini della conoscenza specialistica delle singole aree e della fruizione pubblica a più livelli delle varie e inscindibili fasi della storia che caratterizzano il tessuto urbano di Roma ed, esemplarmente, quello del Celio. Caelius II si colloca quindi in continuità scientifica e topografica con Caelius I, incentrandosi sull'area occidentale del colle e sul sito dei Ss. Giovanni e Paolo, e prosegue un metodo di lavoro e di studio già collaudato, basato sul principio di coordinamento tra le varie professionalità addette alla tutela, eredità dei nostri illustri predecessori, Claudio Strinati e Adriano La Regina. La pars inferior del volume (tra breve completato dalla pars superior dedicata alla Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo) che ho l'onore di presentare insieme alla collega della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, Mariarosaria Barbera, è dedicata alle Case Romane sottostanti la basilica. Al gruppo dei funzionari storici delle due soprintendenze (archeologi, architetti, biologi, restauratori, chimici, storici dell'arte) che hanno costituito l'ossatura del progetto, sono stati aggregati studiosi e docenti di varie discipline appartenenti alle Università, a enti di ricerca o ad altri istituti del nostro Ministero (

CAELIUS II 1 Pars InferIor Volume stampato con il contributo di: già Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma già Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico della Città di Roma e del Polo Museale Romano MINISTERO DEI BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO SOPRINTENDENZA SPECIALE PER IL COLOSSEO, IL MUSEO NAZIONALE ROMANO E L'AREA ARCHEOLOGICA DI ROMA SOPRINTENDENZA SPECIALE PER IL PATRIMONIO STORICO ARTISTICO ED ETNOANTROPOLOGICO DELLA CITTÀ DI ROMA E DEL POLO MUSEALE ROMANO CAELIUS II Progetto e coordinamento scientifico di Alia Englen Tomo 1 PARS INFERIOR LE CASE ROMANE SOTTO LA BASILICA DEI SANTI GIOVANNI E PAOLO CON 31 TAVOLE A COLORI FUORI TESTO a cura di Alia Englen, Maria Grazia Filetici, Paola Palazzo, Carlo Pavolini, Rita Santolini Testi di: Benedetta Alberti (BA), Martina Andreoli (MA), Franco Astolfi (FA), Giovanna Bandini (GB), Marco Bartolini (MB), Gabriella Berlingò (GaB), Maria Luisa Bruto (MLB), Carlotta Caruso (CC), Eleonora Delnevo (ED), Mariette de Vos (MdV), Ivan Di Stefano Manzella (IDS), Alia Englen (AE), Paola Fermo (PF), Maria Grazia Filetici (MGF), Anne-Laure Foulché (A-LF), Emanuela Franco (EF), Federico Gambacorta (FG), Marta Giacobelli (MG), Marco Gradozzi (MaG), Gianfranca La Porta (GLP), Alessandro Miele (AM), Aba Muleo (AbM), Maria Pia Nugari (MPN), Paola Palazzo (PP), Elio Paparatti (EP), Giuseppe Papillo (GP), Carlo Pavolini (CP), Anna Maria Pietrini (AMP), Donatella Pitzalis (DP), Domenico Poggi (DoP), Paola Quaranta (PQ), Cristina Ranucci (CR), Ingrid Reindell (IR), Sandra Ricci (SR), Simonetta Riccio (SiR), Ada Roccardi (AR), Lucia Saguì (LS), Paola Sannucci (PS), Rita Santolini (RS), Elisabetta Sonnino (ES), Giancarlo Tei (GT), Stefano Tortorella (ST), Giulia Tozzi (GT). «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER In copertina Sala dei Geni, particolare della parete est (foto R. Sigismondi 2002) In quarta di copertina Grafica a laser scanner del Clivo di Scauro di A. Miele e B. Alberti, 2013 Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio del Comune di Roma «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER Direttore Editoriale Roberto Marcucci Direttore Tecnico Massimo Banelli Redazione Elena Montani, Maurizio Pinto, Dario Scianetti (con l’affiancamento di Alia Englen) Impaginazione ed elaborazione immagini Maurizio Pinto e Grafica Internazionale Roma s.r.l. I testi inclusi nel volume sono aggiornati a giugno 2014 © Copyright 2015 Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Impaginazione del volume e distribuzione a cura de «L'ERMA» di BRETSCHNEIDER Via Cassiodoro, 11 - 00193 Roma (Italy) Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione di testi e illustrazioni senza il permesso scritto della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma e della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio del Comune di Roma CAELIUS II Collana Palinsesti Romani 2, I TOMO 1 Pars InferIor LE CASE ROMANE SOTTO LA BASILICA DEI SANTI GIOVANNI E PAOLO a cura di Alia Englen, Maria Grazia Filetici, Paola Palazzo, Carlo Pavolini, Rita Santolini Presentazione Mariarosaria Barbera ................................................................................................................................................ Presentazione Daniela Porro ............................................................................................................................................................ Introduzioni ...................................................................................................................................................................................... Alia Englen, Maria Grazia Filetici, Paola Palazzo, Carlo Pavolini, Rita Santolini Ringraziamenti .................................................................................................................................................................................. Documentazione fotografica acquisita da Enti e Istituti .................................................................................................................... Pag. » » 9 10 11 » » 13 14 » » » » 17 70 80 136 » » » 140 143 148 » » 152 160 » » » 163 170 174 » » 189 195 » » » » » » 201 201 214 230 231 235 CAPITOLO I Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali 1. Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio. Appendice: Fonti manoscritte (AE) .... 2. Cronaca della scoperta della “Domus SS. Iohannis et Pauli” (CR) ............................................................................................ 3. La Casa Celimontana dei Ss. Giovanni e Paolo (FA) .................................................................................................................. 4. Il balneum al piano sottostante l’insula celimontana (A-LF) ....................................................................................................... 5. L’Insula Sud: fasi edilizie e decorazioni A. Modelli in 3D e plastici virtuali: a. Il ruolo dei nuovi sistemi di rilievo nella lettura delle trasformazioni architettoniche (MGF) .................................................... b. Rilievo con scanner laser ed elaborazione di un metodo analitico (BA-AM) ................................................................... B. Premessa alla lettura archeologica delle fasi edilizie (PP-CP) ................................................................................................ C. Le strutture precedenti l’impianto dell’insula severiana: a. Osservazioni sulle strutture attribuibili alla prima e media età imperiale (PP) ................................................................ b. Un’insula prima dell’insula? (CP) ...................................................................................................................................... D. Le pitture precedenti l’impianto dell’insula severiana: a. Ambiente 4: l’intonaco dipinto di IV Stile (MdV-MA)...................................................................................................... b. Ambiente I sotto l’abside: l’intonaco a fondo cinabro con figura incisa (MA)................................................................. E. La “Casa del III secolo sul Clivus Scauri” (PP-CP) ................................................................................................................ 6. La domus A. La struttura architettonica: a. La trasformazione dell’insula in domus (PP-CP) ............................................................................................................... b. Di qua e di là dal Clivo: forme diverse di residenza aristocratica sul Celio tardo-antico (CP) ........................................ B. I rivestimenti parietali dipinti e di sectilia: Introduzione (MdV-MA) ........................................................................................................................................................ a. Ambiente 7: la Sala dei Geni (MdV-MA) ........................................................................................................................... b. Ambiente 22: il Cortile Ninfeo con la megalografia (MdV) .............................................................................................. c. Károly Kerényi e la megalografia (AE) ............................................................................................................................... d. Ambiente 22 lato est: il Ninfeo; la pittura con ariete (MA)............................................................................................... e. Ambiente 12: la decorazione a finti sectilia parietali dell’anticamera (MA) ..................................................................... f. Ambiente 10: la Sala delle Menadi e del toro Apis (MA) ................................................................................................... g. Ambiente 11: la Sala dell’Orante (MA) ............................................................................................................................. h. Ambiente 8: la Sala dai pannelli rossi (MA) ....................................................................................................................... i. Ambiente 9: la Sala dai finti marmi nella volta (MA) ......................................................................................................... l. Ambiente 19: resti di volta a crociera dipinta (MA) .......................................................................................................... m. Ambiente 20: la Scala (MA) .............................................................................................................................................. n. Ambiente II sotto l’abside: l’intonaco a finti marmi (MA) ............................................................................................... o. Conclusioni (MdV-MA) ..................................................................................................................................................... C. I pavimenti: mosaici e opus sectile (RS) ................................................................................................................................... D. Gli interventi strutturali della seconda metà del IV secolo. La cristianizzazione della casa (PP-CP) ................................. E. Le fasi decorative tarde della domus (CR) .............................................................................................................................. 7. Nuove acquisizioni di scavo sulle Case Romane: a. Le indagini nella “cella vinaria” (RS) .................................................................................................................................. b. Note di scavo sul perimetro esterno dell’abside della chiesa (PP) ................................................................................... c. Nota numismatica (FG) ...................................................................................................................................................... d. Gli scavi sotto la navata laterale nord della chiesa (PP) .................................................................................................... 8. L’oratorio medievale (CR): Introduzione ............................................................................................................................................................................ a. Analisi e mappatura degli intonaci e delle decorazioni pittoriche ..................................................................................... b. Proposta di lettura critica delle stratigrafie degli intonaci e delle decorazioni pittoriche ............................................... c. Ipotesi sull’assetto generale dell’ambiente nell’alto medioevo e sulla sua decorazione .................................................... d. Alcune considerazioni sulla fase d’abbandono dell’oratorio ............................................................................................. » » » » » » » » » » » 237 242 251 256 258 260 262 264 272 280 285 » » » » 296 300 305 307 » » » » » 315 316 317 319 325 » 328 » » » 334 337 340 » » 347 352 » » » » 356 361 363 364 » 366 » » » 370 374 380 » 383 CAPITOLO II I restauri degli edifici e studio delle tecniche antiche 1. Gli interventi di padre Germano, Gasdia e Prandi per la sistemazione e la conservazione delle domus (MGF) ..................... 2. La conservazione dell’insula romana nella condizione di pseudo ipogeo: a. Temi di intervento e scelte progettuali (MGF) .................................................................................................................. b. Influenza dei fattori ambientali sulla crescita di organismi fotosintetici nelle Case Romane (AMP-SR) ......................... c. Controlli biologici e monitoraggi ambientali per la definizione degli interventi di manutenzione (MB-MPN-AMP-SR-AR) 3. Interventi di restauro sui dipinti murali e sui mosaici: a. Il restauro dei dipinti murali di età flavia (ES) ................................................................................................................... b. Il restauro dei dipinti murali tardoantichi (GLP-EP) ........................................................................................................ c. Il restauro dei dipinti murali altomedievali dell’Oratorio del SS. Salvatore: Ambiente ovest (PS) ............................................................................................................................................................ Ambiente est (DP) .............................................................................................................................................................. d. Frammento di affresco staccato raffigurante il Salvatore (GaB) ....................................................................................... e. Il restauro dei rivestimenti pavimentali (GaB-SiR) ............................................................................................................ CAPITOLO III L’Antiquarium 1. Storia degli allestimenti e provenienza dei materiali (CR) ......................................................................................................... 2. Il nuovo Antiquarium: a. Il progetto museografico e la conservazione dei reperti archeologici (MGF) .................................................................. b. L’architettura contestualizzata nel nuovo progetto dell’Antiquarium (GP) ..................................................................... c. Acciaio e meccanica. Creazione di supporti per l’esposizione dei reperti archeologici (IR-GT) .................................... 3. I materiali esposti nell’Antiquarium: A. I materiali di età classica: a. Iscrizioni latine e greche (CC-GT) ..................................................................................................................................... b. Le anfore (MG) ................................................................................................................................................................... c. Ceramica, suppellettile fittile, lucerne (CP) ....................................................................................................................... d. Terrecotte (ST)..................................................................................................................................................................... e. Frammenti marmorei e oggetti di uso comune (MG) ....................................................................................................... f. Vetri (LS) .............................................................................................................................................................................. g. Marmi di rivestimento (MLB) ............................................................................................................................................ h. Bolli laterizi (MG) .............................................................................................................................................................. B. I materiali tardoantichi e medioevali: a. Il dipinto murale dall’Oratorio del SS. Salvatore (CR) ...................................................................................................... b. Elementi di arredo liturgico tardoantico, altomedievale e medievale (CR) ..................................................................... c. Le testimonianze epigrafiche: la lastra opistografa e le chartae lapidariae della basilica superiore (PQ) ........................ C. Tredici frammenti di intonaco con lettere incise (fine XV/prima metà XVI secolo?) (IDS) ............................................... D. Il restauro dei materiali dell’Antiquarium: a. Metodi e tecniche di intervento (GB) ................................................................................................................................ b. I manufatti (GaB, EF, AbM, SiR) ....................................................................................................................................... APPENDICI I. Cave e specchi d’acqua sotterranei nell’area del complesso delle Case Romane (MaG) ........................................................... II. Analisi e caratterizzazione dei pigmenti dei dipinti murali dei secoli I-IV d.C. (PF-ED) ......................................................... III. Analisi di laboratorio, mediante stereo-microscopio e studio microstratigrafico su sezione lucida, finalizzate alla caratterizzazione dei campioni di intonaco prelevati (DP-DoP) ..................................................................................................... » » » » » » » 406 408 415 418 422 424 433 » » » » 436 436 441 448 » » 451 454 » » 460 465 » 483 TAVOLE FUORI TESTO CAELIUS II Collana Palinsesti Romani 2, II TOMO 2 Pars suPerIor LA BASILICA DEI SANTI GIOVANNI E PAOLO Testi di: Alessandra Acconci (AA), Sofia Barchiesi (SB), Antonio Federico Caiola (AFC), Elvira Cajano (EC), Francesca Condò (FC), Alia Englen (AE), Daniela Esposito (DE), Roberto Faraone (RF), Daniele Ferrara (DF), Emanuela Montelli (EM), Antonella Pampalone (AP), Patrizio Pensabene (PP), Stefano Petrocchi (SP), Donatella Pitzalis (DP), Cristina Ranucci (CR), Serena Scolastico (SS), Vittoria Severini (VS), Floriana Svizzeretto (FS), Lucia Valdarnini (LV). a cura di Alessandra Acconci, Sofia Barchiesi, Alia Englen Introduzione: Alessandra Acconci, Sofia Barchiesi, Alia Englen Prefazione: Il Celio dei santi: presenze cristiane e fondazioni religiose sul colle dall’età apostolica all’Ottocento (AFC) CAPITOLO I La basilica di Pammachio 1. Fonti sulla basilica pammachiana dal secolo IV al XII (AE) 2. Rilievo delle strutture dell’insula presenti nell’area presbiteriale della basilica pammachiana (LV-SS) 3. Recupero e riuso dell’antico: gli elementi architettonici (PP) 4. Memorie di apparati decorativi antichi (CR) 5. Nota sui Martiri Scillitani (FS) CAPITOLO II Trasformazioni della basilica tra il IX e il XIV secolo 1. 2. 3. 4. Le trasformazioni della basilica nel Medioevo (DE) La muratura laterizia medievale dell’abside (EM) Il pavimento cosmatesco (FC) a. Gli interventi dall’XI al XIII secolo (SB-DF) b. Il dipinto murale del Salvatore e sei Apostoli (SB-DF) c. Interventi di restauro (DP) d. Mappatura degli intonaci dipinti (RF) CAPITOLO III La basilica nel XV e XVI secolo 1. 2. 3. 4. Il cardinale Latino Orsini, l’arrivo dei Gesuati e gli elementi superstiti degli interventi quattrocenteschi (SB-DF) La tavola con la Madonna e il Bambino fra i santi Giovanni, Paolo e Giovanni Battista (SP) Antonio Carafa e la decorazione di Pomarancio (SB-DF) Agostino Cusano e il nuovo soffitto, altri religiosi e piccoli interventi (SB) CAPITOLO IV La basilica nel XVII e XVIII secolo 1. La soppressione dei Gesuati, le monache Filippine, il cardinale Howard e l’arrivo dei Domenicani inglesi (SB) 2. a. I Lazzaristi ai Ss. Giovanni e Paolo (DF) b. Note su Giacomo Triga (VS) CAPITOLO V La basilica tra la fine del XVIII e il XX secolo 1. a. L’insediamento dei Passionisti alla fine del XVIII secolo (SB) b. La cappella di san Paolo della Croce (SB) c. La cappella di san Gabriele dell’Addolorata (SB) d. La cappella dell’Assunta (SB) e. L’altare di santa Gemma Galgani (SB) f. La sala ottagona (SB) g. La sacrestia (SB) h. La basilica nel XX secolo (SB) 2. Percorso bioiconografico di Paolo della Croce (AP) CAPITOLO VI Il restauro della sala ottagona e del prospetto sul clivo (EC) APPENDICE I dipinti medievali dell’Oratorio di Sant’Andrea al Celio (AA) Nel secondo tomo, a cura di Sofia Barchiesi: Indice analitico di Caelius I e Caelius II (tomo 1 e 2) Presentazione Mariarosaria Barbera La pubblicazione del complesso monumentale dei Ss. Giovanni e Paolo al Celio, della Basilica e delle sottostanti domus è l’esito finale di un programma di restauro, tutela e valorizzazione il cui percorso - iniziato alla fine degli anni Novanta del secolo scorso e culminato con la riapertura al pubblico, nel 2002, degli ambienti di età romana conservati sotto la Basilica - può dirsi finalmente concluso. L’edizione dell’opera, esaustiva nei suoi contenuti storico-archeologici e artistici, supportati da un ricco apparato documentale e in quelli tecnici, con la puntuale illustrazione delle metodologie di restauro messe in atto, ha richiesto una lunga e non facile gestazione e lo spazio di due volumi, per rendere nota e fruibile la grande mole dei dati scientifici e tecnici acquisiti nel corso dell’intervento su un monumento così vasto, complesso e problematico. Questo volume segue e conclude Caelius I, pubblicato nel 2003 a cura di Alia Englen e ottimamente introdotto da Claudio Strinati e Adriano La Regina. Le operazioni di restauro condotte dalle Soprintendenze di Stato – quella oggi diretta da chi scrive e la Soprintendenza per i Beni Storico Artistici di Roma nelle sue varie evoluzioni - si sono svolte di pari passo con lo studio e l’analisi del monumento in tutte le sue parti: strutture murarie, apparati decorativi, apprestamenti tecnici, reperti mobili. Allo stesso tempo, approfondite ricerche archivistiche e bibliografiche hanno consentito di riesaminare l’intero complesso nel suo divenire, dalla prima età imperiale a quella moderna, riconoscendone le diverse fasi e trasformazioni e ricontestualizzandone la storia nel tessuto topografico del Celio. Un lavoro di tale impegno ha richiesto una équipe d’eccellenza, formata da esperti e studiosi afferenti a diverse discipline e professionalità, che lavorano all’interno delle Soprintendenze, come Alia Englen, Maria Grazia Filetici e Rita Santolini; o nelle Università, come Carlo Pavolini, i cui trascorsi presso l’allora Soprintendenza Archeologica di Roma ne fanno uno specialista “bifronte”; o che con esse proficuamente collaborano, come Paola Palazzo. La pubblicazione, che di questo grande lavoro illustra i risultati raggiunti, è il frutto di tali numerosi apporti interdisciplinari, cui hanno contribuito con grande capacità ed entusiasmo anche altri validi studiosi. Per la ricchezza e la varietà dei contributi in essa confluiti, l’opera è indirizzata sia al mondo degli “addetti ai lavori”, studiosi e specialisti competenti relativamente ai singoli argomenti trattati, sia agli appassionati e cultori dell’antico. I primi vi troveranno dati scientifici inediti, risposte a quesiti dibattuti, nuove ipotesi interpretative. Gli altri, attraverso la lettura e grazie al ricchissimo apparato illustrativo dell’opera, ricaveranno una suggestiva percezione delle vicende di cui il complesso è stato protagonista e testimone: il fervore di attività delle botteghe della domus affacciate sul clivo di Scauro; la quotidianità domestica nelle stanze affrescate, nel ninfeo, nelle corti e nei recessi rustici di servizio; gli echi di un cristianesimo primitivo, inizialmente professato davanti a una teca domestica, poi fulcro nei secoli di una basilica sempre più grandiosa, che nel Medioevo diviene memoria devozionale all’interno di un piccolo oratorio risparmiato dagli interri, e infine testimonianza di fede negli altari moderni installati nelle antiche stanze in cui aveva avuto origine, dopo la loro scoperta alla fine del 1800. Manuale di un restauro filologico e prezioso vademecum per la futura conservazione di un complesso di altissimo pregio, il volume è un autentico excursus attraverso secoli di storia, il dispiegarsi di un palinsesto, quello appunto delle domus romane e della soprastante Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, in perfetta coerenza col nome dato alla collana che ne accoglie la pubblicazione. Il restauro attuato, ieri necessaria e urgente misura di salvataggio di un bene di altissimo valore storico, archeologico e artistico, estremamente degradato e a rischio di perdita, oggi, con la pubblicazione, vuol essere una garanzia della futura conservazione del monumento, affidata per i diversi aspetti al sistema delle Soprintendenze statali. Questi venerandi Uffici, si dice, nascono ed esistono per fare tutela, pur con tutte le difficoltà e i problemi di rapporto con il territorio, l’opinione pubblica, la politica. La loro struttura e il loro operato sono continuamente monitorati, spesso messi sotto accusa da un Paese che, alla ricerca di una semplificazione spesso senza regole, rischia di perdere la sua stessa memoria. Tutto è perfettibile e dunque lo sono anche le Soprintendenze: come si è detto a proposito della democrazia, esse rappresentano un sistema di governo (del territorio) imperfetto, ma nulla di meglio mi risulta sia stato inventato. Presentazione Daniela Porro “Il Celio, infatti, è il simbolo stesso, in una città come Roma, dell’idea del palinsesto vivente, fatto di ricerca filologica e di quotidianità che si dispiegano davanti all’osservatore purché egli possa vedere e capire. Il Celio è già, in sé e per sé, un parco archeologico, architettonico e storico artistico. Non è necessario conquistarlo alla coscienza moderna perché è sostanzialmente già presente. Compito degli studiosi è far sì che un simile complesso, quasi unico al mondo, possa essere, costantemente e sempre meglio, percepito in quanto tale, per mettere in condizione i cittadini e gli esperti di comprendere dove si trovano e che senso abbia la conservazione”. Così Claudio Strinati definiva il colle nell’introduzione a Caelius I, il primo volume della collana Palinsesti Romani, edito da “L’Erma” di Bretschneider nel 2003 e dedicato a S. Maria in Domnica, S. Tommaso in Formis, il Clivus Scauri e la Biblioteca di Agapito. Il titolo stesso era l’espressione di un programma seriale e della comune volontà delle due Soprintendenze di Stato (già denominate “Archeologica di Roma” e “per i Beni Artistici e Storici di Roma”) di intraprendere insieme un percorso interdisciplinare di tutela in cui dovevano essere messe in comune tutte le risorse professionali e finanziarie disponibili. Il primo volume era testimonianza di una visione della Città come un enorme e diffuso palinsesto, di cui si dovevano leggere tutti gli strati, attraverso una grande impresa di conservazione, studio e ricerca sul territorio ai fini della conoscenza specialistica delle singole aree e della fruizione pubblica a più livelli delle varie e inscindibili fasi della storia che caratterizzano il tessuto urbano di Roma ed, esemplarmente, quello del Celio. Caelius II si colloca quindi in continuità scientifica e topografica con Caelius I, incentrandosi sull’area occidentale del colle e sul sito dei Ss. Giovanni e Paolo, e prosegue un metodo di lavoro e di studio già collaudato, basato sul principio di coordinamento tra le varie professionalità addette alla tutela, eredità dei nostri illustri predecessori, Claudio Strinati e Adriano La Regina. La pars inferior del volume (tra breve completato dalla pars superior dedicata alla Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo) che ho l’onore di presentare insieme alla collega della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, Mariarosaria Barbera, è dedicata alle Case Romane sottostanti la basilica. Al gruppo dei funzionari storici delle due soprintendenze (archeologi, architetti, biologi, restauratori, chimici, storici dell’arte) che hanno costituito l’ossatura del progetto, sono stati aggregati studiosi e docenti di varie discipline appartenenti alle Università, a enti di ricerca o ad altri istituti del nostro Ministero (Università la Sapienza, Università di Trento, Università della Tuscia, CNR di Milano, Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro) cui esprimo gratitudine per il prezioso apporto specialistico arrecato all’opera. Va riconosciuta ad Alia Englen la capacità e la tenacia nel coordinare per lungo tempo un lavoro così ponderoso ed eterogeneo che vede, per la pars inferior, oltre ai curatori (Alia Englen, Maria Grazia Filetici, Paola Palazzo, Carlo Pavolini, Rita Santolini, a cui parimente esprimo la nostra gratitudine) la partecipazione di trentotto autori. Cardine e premessa del lavoro di studio e ricerca su cui si impernia il volume è stato l’intervento di restauro delle Case Romane, diretto da Carlo Pavolini, Rita Santolini, Maria Grazia Filetici e, per la parte di competenza del nostro Istituto, da Alia Englen. Tale intervento si è svolto in varie fasi tra il 1997 e il 2013, con il supporto dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro (a cui siamo particolarmente grati per il monitoraggio diagnostico dei vari ambienti delle Case, che ci permette di programmare e modulare gli interventi di conservazione di un complesso pseudoipogeo, dal 2002 aperto al pubblico). L’intervento di restauro è stato affiancato da un’importante attività di catalogazione, documentazione e rilievo sia tradizionale sia attraverso la scansione laser. A Maria Grazia Filetici dobbiamo sia il complesso progetto di restauro delle Case Romane (rispettoso dello storico intervento di Adriano Prandi del 1972) basato sull’impiego di tecnologie e materiali all’avanguardia nel campo della conservazione e della fruizione di spazi ipogei al pubblico, sia il nuovo allestimento dell’Antiquarium cui hanno collaborato Carlo Pavolini, Rita Santolini, Alia Englen e Giuseppe Papillo. Un importante lavoro di ricognizione sul campo e ricerca d’archivio e storico bibliografica ha supportato i vari contributi che riguardano un arco temporale compreso tra il I secolo a.C., età attribuita alla prima insula sul Clivo di Scauro, e il XII secolo a cui appartiene il dipinto del SS. Salvatore, raffigurato sulla parete est dell’oratorio medievale, opera che costituisce l’ultima testimonianza della frequentazione devozionale delle Case, limitata agli ambienti lungo la parete sud della basilica e il Clivo di Scauro. Sebbene le Case Romane siano istituzionalmente più argomento di tutela e studio degli archeologi che degli storici dell’arte, per l’estensione cronologica che occupano le facies di età classica e postclassica rispetto a quelle altomedievali e medievali, la lettura della pars inferior di Caelius II ci induce a considerare che un’opera del genere non sarebbe stata possibile senza la felice complementarietà che si è realizzata, anche sul piano dei rapporti interpersonali, tra autori appartenenti per formazione ad affini ma distinte discipline, senza lo scambio di idee e l’interazione che si è realizzata in itinere tra i singoli contributi. Basta scorrere l’indice per rendersi conto della complessità e varietà degli argomenti trattati e della diversa impostazione scientifica che li supporta, che costituisce, anche e proprio nella diversità o divergenza delle ipotesi e conclusioni finali, un’ulteriore ricchezza del volume, che si presenta in una veste editoriale particolarmente ricca, illustrato da un apparato fotografico capillare, frutto delle innumerevoli campagne realizzate in gran parte dai fotografi delle Soprintendenze, e da un’inedita documentazione della campagna di rilievo ottenuta con la scansione laser che ha permesso una nuova e ulteriore lettura degli ambienti delle domus. Da Caelius I a Caelius II Alia Englen L’opera sul complesso dei Santi Giovanni e Paolo al Celio, di proprietà del Ministero dell’Interno, suddivisa in Caelius II (Tomo 1), Pars Inferior, dedicata alle domus romane, e in Caelius II (Tomo 2), Pars Superior, dedicata alla soprastante basilica, era stata annunciata nel 2003, nella premessa al primo volume della collana “Palinsesti Romani”, Caelius I1, con la stessa impostazione interdisciplinare sperimentalmente avviata nell’ambito della collaborazione tra le due Soprintendenze di Stato2, sostenuta dai due soprintendenti Claudio Strinati3 e Adriano La Regina4 in occasione del progetto Parcell e dei finanziamenti speciali attribuiti all’area del Celio per il Giubileo dell’anno 2000. Considerato che il sito della Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, per la macroscopica successione delle fasi urbanistiche e architettoniche tuttora individuabili, manifesta esemplarmente il carattere di straordinario palinsesto proprio di tutta la città di Roma, la scelta di un percorso interdisciplinare, ormai entrato a pieno titolo nel restauro del patrimonio culturale, è metodicamente la più valida a promuoverne la conoscenza e la salvaguardia. Ancora una volta il lavoro è arricchito da studi ed approfondimenti a carattere multidisciplinare di archeologi, architetti, ingegneri, biologi, restauratori, chimici, storici dell’arte: professionisti privati, studiosi e docenti di varie discipline anche provenienti dal mondo dell’università e della ricerca. Il volume offre l’occasione di una lettura complessa e variegata del monumento, attraverso prospettive disciplinarmente diverse e scoperte suscettibili anche di futuri sviluppi, con contributi inediti e fondamentali alla conoscenza di questo spaccato della storia della Città, pervenendo, in qualche caso, a ipotesi divergenti sull’interpretazione topografica o cronologica del complesso e delle sue fasi strutturali e decorative. L’opera è il resoconto degli studi che in itinere si sono basati sui risultati dei restauri, degli scavi archeologici, dei rilievi che hanno utilizzato nuove tecnologie qui impiegate sperimentalmente, contribuendo alle conseguenti interazioni tra un testo e l’altro alla luce delle nuove interpretazioni dei luoghi, delle fonti e della storiografia antica. Caelius II, Le Case Romane (Tomo 1) Alia Englen, Maria Grazia Filetici, Paola Palazzo, Carlo Pavolini, Rita Santolini Dagli scavi delle domus romane del Celio iniziati nel 1887 da Germano di San Stanislao, fino al progetto di recupero delle “Case Romane”, intrapreso dalle due Soprintendenze di Stato5 nel 1997 e articolato nelle varie attività di tutela e valorizzazione fino all’anno 2013, passa più di un secolo, durante il quale numerosi studiosi di varia formazione si sono dedicati al complesso dei Santi Giovanni e Paolo e alla sua storia di profonde trasformazioni architettoniche e funzionali. Ricordiamo qui Richard Krautheimer (1937), Antonio Maria Colini (1944), Adriano Prandi (1953). Il fulcro intorno al quale si è catalizzato il lavoro di studio e ricerca di tutto il gruppo e che ha permesso la piattaforma materiale del nostro progetto è stato il vasto intervento di restauro che ha interessato le domus, culminato con la musealizzazione degli ambienti e il nuovo allestimento dell’Antiquarium, contemporaneo all’apertura al pubblico del monumento, avvenuta il 16 gennaio 2002, dopo decenni di oblio. Ciò che caratterizza fortemente questo luogo è la conservazione del tessuto edilizio che, favorito dal lungo periodo di abbandono, ha mantenuto i caratteri propri di un’area residenziale antica, vicina al colle Palatino, in una zona ricca di acqua e prossima al grandioso tempio di Claudio. Con il passaggio dalle insulae del primo e medio impero a un’unica grande domus della tarda antichità, il complesso, in un quartiere diventato sede di esponenti dei ceti elevati, conserva il rapporto tra edifici e strada e ancora gran parte dell’impianto e della struttura architettonica e urbana antica che, sebbene le trasformazioni edilizie abbiano aggiunto parti che oggi possono confonderne la lettura, è talmente forte da colpire e lasciare affascinato il visitatore che entra in un percorso a ritroso nel tempo. Il monumento è oggi in gran parte accessibile grazie all’eliminazione per il 90% delle barriere architettoniche preesistenti e all’apertura sul Clivo di Scauro di un antico ingresso. Il committente delle trasformazioni del III o degli inizi del IV secolo (probabilmente un membro facoltoso della classe senatoria o comunque un proprietario terriero, stando a tutti gli indizi disponibili), affascinato dalla natura, offre agli ospiti della casa un campionario dei temi iconografici tipici della cultura del tempo, interpretati con una tecnica pittorica molto veloce ma non priva di raffinatezza nello stile e nella scelta dei soggetti rappresentati: stupefacenti e precise raffigurazioni di uccelli e di piccoli animali, di fiori e di piante anche di provenienza lontana, motivi vegetali frammisti a geni alati, la fanerografia di tre misteriosi e divini personaggi inseriti in un paesaggio marino. Insieme alle raffigurazioni pagane, ambienti domestici arricchiti da temi del sincretismo filosofico e religioso, presente nella cultura romana di quel tempo, come si palesa nella discussa figura dell’orante (cristiana o pagana?). Quando ormai la vicenda costruttiva del complesso volge al termine, con le ultime trasformazioni architettoniche (della seconda metà del IV secolo) compare nella cosiddetta Confessio un ciclo di pitture che attesta senza alcun dubbio l’avvenuta cristianizzazione della casa. Testimonianza della frequentazione devozionale di una parte delle “case” nei secoli successivi, sono i cicli pittorici presenti nell’oratorio di VIII secolo e il dipinto del Salvatore del XII. Il forte degrado degli ambienti, proprio di un monumento pseudoipogeo, già affrontato nei restauri del 1956 di Licia Vlad Borrelli e Adriano Prandi, è stato al centro del piano diagnostico e degli interventi del restauro che si è avvalso della collaborazione degli esperti dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro. Dopo l’apertura al pubblico del monumento si è avviato un piano di manutenzione programmata indispensabile a contrastare e controllare gli agenti patogeni, vera minaccia per la conservazione del sito. Dalla scoperta delle “case”, padre Germano aveva iniziato la musealizzazione proseguita da Vincenzo Eduardo Gasdia (1936) con un allestimento rinnovato e completato da Adriano Prandi6. In occasione del restauro di cui si riferisce nel volume è stato progettato il nuovo allestimento museale che utilizza tecnologie e materiali compatibili con le condizioni ambientali presenti, curato dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma con Giuseppe Papillo, Gianni Tei e Ingrid Reindell. Relativamente all’Antiquarium, la natura non stratigrafica degli scavi dei Padri Passionisti alla fine dell’800 e la conseguente perdita di molti dati sui rinvenimenti e le provenienze hanno fatto sì che non fosse pensabile, neanche nel nuovo allestimento, alcuna “contestualizzazione” sistematica dei materiali. Infatti, come testimoniano già le fonti di XVI secolo, molti di essi – pur compresi negli interri di abbandono delle “case” – non sono affatto originari del complesso sottostante la Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, e altri provengono documentatamente da altre zone di Roma. Quindi, non vi era altra scelta che suddividere i reperti secondo criteri tipologici: per epoche innanzitutto, poi per classi e gruppi funzionali. Ed è ciò che, ripensando l’Antiquarium, si è cercato di fare. 1 La prima parte del progetto documentata in A. Englen (a cura di), Caelius I, Roma 2003 si è occupata dell’area di S. Maria in Domnica, S. Tommaso in Formis, e di una serie di monumenti lungo il lato Sud del Clivus Scauri (in particolare la c.d. Biblioteca di Agapito). 2 A questo proposito vd. Englen, Presentazione, ibidem, con note 2, 4. 3 Già dirigente della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma. Vd. Strinati, ibidem, Introduzione. 4 Già dirigente della Soprintendenza Archeologica di Roma. Vd. La Regina, ibidem, Introduzione. 5 Già Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico della Città di Roma e del Polo Museale Romano. 6 La storia degli allestimenti è trattata specificatamente nel presente volume. Ringraziamenti dei curatori Ricordando in primis i due soprintendenti con i quali si è iniziato il progetto sul Celio, Adriano La Regina e Claudio Strinati e il rettore della Basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, padre Augusto Matrullo, i nostri ringraziamenti vanno innanzitutto agli autori i cui nomi sono presenti nel volume e che hanno attivamente partecipato con i loro scritti e lo scambio di idee alla realizzazione dell’opera; a tutti i professionisti e operatori interni ed esterni che hanno effettuato i restauri delle Case Romane per conto delle due Soprintendenze di Stato e realizzato i lavori progettati e diretti dalla Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma per la musealizzazione degli ambienti e il nuovo allestimento dell’Antiquarium, diretto da Maria Grazia Filetici con l’apporto dell’Istituto. Ricordiamo, inoltre, il personale delle due Soprintendenze che ha contribuito all’opera con uno specifico e indispensabile supporto tecnico, fornendo elaborati di piante e di immagini e attuando le campagne fotografiche che hanno documentato in dettaglio le Case Romane e i lavori di restauro e musealizzazione intrapresi. Per la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma: Elisabetta Boschi e Miriana Miloro (dell’Ufficio Tecnico) con la collaborazione esterna di Monica Cola; Eugenio Monti, Luciano Mandato, Romano D’Agostini, Angelo Colasanti, Giorgio Cargnel, Simona Sansonetti (Servizio Fotografico e Archivio) con il contributo esterno di Zeno Colantoni, Gianpiero Casaceli, Luigi Filetici. Per la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma: Gianfranco Zecca, Valerio Antonioli, Massimo Taruffi, Gennaro Aliperta (Archivio e Laboratorio Fotografico) con il contributo esterno di Roberto Sigismondi. Un ricordo grato va al personale delle due biblioteche d’Istituto situate in Palazzo Massimo (Rosa Greco e Cinzia Gallo) e in Palazzo Venezia (Maria Teresa Gallo, Paola Gelardi, Daniele Iori). Esprimiamo la nostra gratitudine al personale degli archivi, degli istituti di cultura e delle biblioteche romane che ci ha accolto con grande disponibilità e competenza permettendoci la consultazione di fondamentale e prezioso materiale bibliografico e archivistico, anche concedendocene la pubblicazione. Ricordiamo in particolare l’Archivio dei Padri Passionisti, la Biblioteca Apostolica Vaticana, la Biblioteca Casanatense, la Biblioteca Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele II”, la Biblioteca Vallicelliana, la Biblioteca del Deutsches Archäologisches Institut Rom, la Biblioteca dell’ École Française de Rome, il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana. Ringraziamo inoltre tutti i colleghi delle Soprintendenze che ci hanno in un modo o nell’altro appoggiato nella nostra impresa e, in particolare, gli attuali responsabili per le Case Romane: per la Soprintendenza SBAR, Paola di Manzano, e per la Soprintendenza SPSAE e per il Polo Museale della Città di Roma, Stefano Pedrocchi; la direttrice del servizio restauro SBAR Giovanna Bandini e le restauratrici Maria Bartoli, Rosanna Ponti, Antonella Cirillo e Anna Di Clemente. Un grazie all’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro che ha sempre accolto collaborazioni scientifiche con la Soprintendenza Archeologica di Roma e partecipato con i suoi esperti, Maria Pia Nugari, Anna Maria Pietrini, Sandra Ricci, Ada Roccardi, Fabio Aramini, allo studio e alla soluzione di molti problemi di conservazione. A Stefano Rissone dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza per le analisi microclimatiche. A Giuseppe Carluccio per la competente e misurata consulenza strutturale, e a Giancarlo Tei che ci ha supportato con apparecchi meccanici di alta tecnologia negli allestimenti del museo. Ricordiamo inoltre la collaborazione con il Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno, che ha finanziato gran parte dei lavori di restauro e musealizzazione delle Case Romane, e ringraziamo, per la loro disponibilità personale, Milvia Caminiti e Marina Nelli. Ringraziamo tutto il personale che si è dedicato al volume, Marco Ricci, direttore e amministratore delegato di Videotime Spa, le ditte e le singole persone che hanno collaborato con noi, sia per la musealizzazione delle Case Romane, che per la finitura redazionale del volume, fra cui ricordiamo: Paola Urbani, Chiara e Sofia Barchiesi, Romina Ragno, Filippo Avilia, Impresa Ing. Fausto e Marco Anzellotti - Solaspe, Impresa Archires, Impresa San Valentino. Un ricordo particolare va a Maurizio Baldieri e Marco Genesio Pelletti i cui nomi rimarranno legati all’opera di restauro e studio di questo complesso antico. Alla Cooperativa Spazio Libero la nostra gratitudine per aver curato e mantenuto il monumento nel migliore dei modi, aperto alla visita di persone provenienti da tutto il mondo. Siamo grati anche agli speleologi dell’Associazione Roma Sotterranea le cui esplorazioni compiute con Rita Santolini nei pozzi e nei cunicoli delle Case Romane e negli ambienti ipogei sotto il Claudium hanno consentito di acquisire nuovi dati in ambiti poco o affatto conosciuti. Grazie alla disponibilità del Soprintendente, arch. Francesco Prosperetti, e alla sua partecipazione culturale al progetto, questo volume è stato ultimato. Documentazione fotografica acquisita da Enti e Istituti La documentazione grafica e fotografica è stata in gran parte effettuata dai tecnici e dai fotografi delle due Soprintendenze di Stato coinvolte in quest’opera o commissionata a professionisti esterni dalle stesse Soprintendenze. Non è menzionata la provenienza del materiale fotografico tratto da opere conservate nelle biblioteche delle due Soprintendenze di Stato. La mancanza di una numerazione archivistica relativa a buona parte del materiale fotografico conservato nei rispettivi archivi delle due Soprintendenze dipende dal contingente e complesso passaggio dall’acquisizione di immagini su pellicola a quella di immagini su supporto digitale, con il conseguente cambiamento delle procedure di inventariazione e conservazione. Tuttavia tale materiale, prodotto negli anni 2002-2013, è interamente accessibile nei rispettivi laboratori alla voce “Case Romane del Celio”. Agli Archivi della Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, ove non diversamente segnalato, afferisce la documentazione relativa ai seguenti contributi (le Tavv. f.t. sono sempre segnalate): Foulché (Il balneum); Filetici (Il ruolo dei nuovi sistemi rilievo); Alberti, Miele (Rilievo con scanner); Palazzo, Pavolini (Premessa alla lettura archeologica); Palazzo, Pavolini (La “Casa del III secolo”: Figg. 2-6; 23-25, 29, 49; Tav. f.t. IV); Pavolini (La trasformazione dell'insula: Tav. 1, Tavv. f.t. V, VIIa, b-d); Pavolini (Di qua e di là dal Clivo: fig. 2); de Vos, Andreoli (I Rivestimenti parietali: Figg. 1-2, 4-10, 13); de Vos (Ambiente 22: Fig. 1); Andreoli (Ambiente 10: Figg. 1,4); Andreoli (Ambiente 11: Figg. 1-3, 5-11); Andreoli (Ambiente 8: Fig. 6); Andreoli (Ambiente 9: Fig. 1); Andreoli (Ambiente 19: Tav. f.t. Xa ); Andreoli (Ambiente 20: Tav. f.t. XIa); Santolini (I pavimenti: Figg. 1-15; Tavv. f.t. XIVa, XIVa1, XIVb); Palazzo, Pavolini (Gli interventi strutturali: Tav. I; Tavv. f.t. XVa-XVIb); Santolini (Le Indagini); Filetici (Gli interventi di padre Germano); Filetici (Temi di intervento); Sonnino (Il restauro dipinti età flavia); La Porta, Paparatti (Il restauro dipinti tardo antichi: Tavv. ft. XVIIIa-XVIIIe); Berlingò, Riccio (Il restauro rivestimenti pavimentali); Filetici (Il progetto museografico: anche Figg. L. Filetici,); Papillo (L’architettura contestualizzata: Figg. 5,11; Figg. L. Filetici 4, 8, 12,13; autore Figg. 1-3, 6, 10 e Tavv ft. XIXa-XIXd); Berlingò, Franco, Muleo, Riccio (I manufatti). Agli Archivi della Soprintendenza Speciale per il Patrimonio storico artistico ed etnoantropologico della Città di Roma e del Polo Museale Romano, ove non diversamente segnalato, afferisce la documentazione relativa ai seguenti contributi (le Tavv. f.t. sono sempre segnalate): Astolfi (La Casa Celimontana), Palazzo (Osservazioni sulle strutture); Palazzo, Pavolini (La “Casa del III secolo”: Figg. 7-22, 26-28, 30-48); Palazzo, Pavolini (La trasformazione dell’insula: Figg. 2-33); Santolini (I pavimenti: Tav. f.t. XIVb; Palazzo, Pavolini (Gli interventi strutturali: Figg. 1-6); Ranucci (Le fasi decorative); Palazzo (Note di scavo); Palazzo (Gli scavi sotto la navata); Ranucci (L’oratorio medievale: Tavv. f.t. XVIIa1-XVIIb); Sannucci (Figg. Il restauro dipinti altomedievali); Ranucci (Figg. Storia delgli allestimenti); Caruso, Tozzi (I materiali età classica); Giacobelli (Anfore); Pavolini (Ceramica ecc.); Tortorella (Terrecotte); Giacobelli (Frammenti); Ranucci (Il dipinto del SS. Salvatore: Tav. f.t. XX); Ranucci (Elementi di arredo); Quaranta (Le testimonianze epigrafiche: Figg. autrice); Di Stefano, Manzella (Tredici frammenti). Agli archivi dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro afferisce la documentazione relativa a: Bartolini, Nugari, Pietrini, Ricci, Roccardi (Controlli biologici). Sono interamente di autrici/autori le documentazioni relative ai seguenti contributi: Gradozzi dell’Associazione Roma Sotterranea (Cave: Tavv. f.t. XXIa-XXIb); Gambacorta (Nota numismatica); Saguì (Vetri); Bruto (Marmi); Quaranta (Le testimonianze epigrafiche). Per le tavv. Ia, Ib, relative a Englen (Celio “arcaico”) tratte dal ms. Barb. Lat. 1994, ff. 98r., 89v. della Biblioteca Apostolica Vaticana, sono stati pagati i diritti di copyright e di riproduzione fotografica. I contributi di de Vos e Andreoli contengono copiosa documentazione delle autrici e dell’Università di Trento cui afferisce anche la documentazione di Fermo, Delnevo del C.N.R. di Milano (Analisi dei pigmenti). Planimetria schematica del piano terra del complesso archeologico delle Case Romane. Capitolo I LE CASE ROMANE E LE SOPRAVVIVENZE ALTOMEDIEVALI In memoria dei miei amatissimi cugini Anna e Guido Slataper “Nam quanta Roma fuit ipsa ruina docet”1 1. Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio2 Alia Englen a. Alle origini della tradizione: gli scriptores Una delle prime preziose schede lasciate da Rodolfo Lanciani alla Biblioteca Vaticana, attualmente raccolte nei sedici codici Vaticani Latini meritoriamente pubblicati da Marco Buonocore3, è dedicata alla relazione tra “le notizie topografiche sparse a caso nei tanti volumi della letteratura classica” e il palinsesto topografico della Roma antica. Lanciani vi definisce il valore della lettura dei classici come premessa insostituibile agli studi storico-archeologici, individuando, al tempo stesso, la difficoltà interpretativa dei testi antichi rispetto a una verifica topografica attuale: “A proposito di questa inestimabile sorgente di informazioni si può osservare: primieramente: i classici quando parlano di cose stradali e quando riferiscono i fatti narrati a questo o a quel punto della città, mancano talvolta di chiarezza, talvolta rimangono inesplicabili. La qual cosa è ben naturale. L’ambizione dello scrittore è di essere letto dai contemporanei: quanto ai posteri, avvenga quel che può. Ora quanto riesce chiaro e limpido ai contemporanei ed ai testimoni dei fatti narrati, riesce altrettanto oscuro e indeterminato alle generazioni più tarde, specialmente a proposito di una città che ha cambiato aspetto, si può dire ogni secolo”4. Il primo, tra i “moderni”, a rilevare analiticamente le difficoltà a effettuare una ricognizione topografica attendibile della Roma antica, è Giovan Battista Piranesi, il quale nel I tomo della sua opera monumentale Le Antichità di Roma, pubblicata nel 1754, nella “prefazione agli studiosi” dopo aver rivendicato il suo impegno nel “ritrarre nel decorso di molti anni infaticabili esattissime osservazioni, cavi, e ricerche: cose che non sono mai state praticate per l’addietro”, scrive: “Quelche però nel proseguir della impresa ha esatto da me un serio e laborioso studio, è stato non tanto l’aver dovuto dare le denominazioni ai detti avanzi, quanto il situare molte delle antiche fabbriche, le quali (tuttochè non ne rimanga inoggi verun vestigio) ho dovuto rapportare in pianta per necessità dell’impegno; poiché mi sono avveduto di non poterne dedurre un positivo accerto da quelche ne hanno scritto gli Autori moderni per non essersi essi ingeriti nella inquisizione de’ medesimi avanzi, e de’ luoghi ove suppongono essere state le mancanti fabbriche, o per la loro ignoranza dell’Architettura, o per mancanza di una esatta pianta di Roma, e in conseguenza per la inconsiderazione de’ luoghi medesimi; dalchè è derivato l’aver eglino supposta una fabbrica per un’altra, come ho riconosciuto dalla loro impropriazione, ed assegnatene molte ad un luogo, ove sarebbero state incompatibili o per l’unità o per l’angustia. Così destituito in molti casi del soccorso de’ moderni Scrittori m i è stato necessario ricorrere alle memorie degli Antichi, studiandomi di ridurre alla pèiù (sic) certa precisione, come si vedrà nel complesso dell’opera, quelch’è in essi di più vago ed oscuro, con una matura riflessione sui loro passaggi, unita ad un esatto confronto con detti avanzi, e alla definizione certa de’ luoghi, la quale ho potuto ritrarre dalla esattissima Topografia di Roma, da me rapportata in principio per iscorta agli studiosi nel rintracciare i medesimi avanzi”5. Qualsiasi discorso sulla Roma primitiva, come ha rilevato Arnaldo Momigliano nella sua Roma Arcaica del 19896, non può prescindere dal confronto tra la documentazione epigrafica e archeologica da un lato e la tradizione storico-letteraria e “antiquaria” dall’altro. In quest’ottica dobbiamo considerare anche le forzature topografiche della storiografia di II e I secolo a.C., dettate verosimilmente da un intento apologetico che ha fatto interpretare dati materiali e fonti storiche precedenti a eventi relativi al periodo arcaico dell’Urbe in un’ottica che proponeva l’età primitiva in relazione “filogenetica” con l’età contemporanea, come sembra sia accaduto con l’interpretazione della cronologia urbanistica del Celio, che è stata omologata a quella degli insediamenti più arcaici dell’attiguo Palatino. Ciò premesso, appare prioritaria una sintetica rilettura di quanto ci è pervenuto dei principali e noti testi di II e I secolo a.C., rappresentati dall’opera di erudizione antiquariale di Varrone e dalle opere propriamente storiche di Tito Livio e Dionigi d’Alicarnasso, che hanno contribuito in modo determinante alla genesi della “topografia letteraria” della Città primitiva, dando origine, per quanto riguarda il Celio, a una prospettiva storica e ideologica all’origine di tutta la storiografia successiva di età classica e postclassica, adottata poi, anche nel suo carattere visionario o apologetico, dagli antiquari e storici dei secoli XV-XVIII. Nel primo libro degli Annales Tito Livio (57 a.C. - 17 d.C.), attribuendo l’urbanizzazione del Celio al re- Albertini 1510, p. 32v. Le fonti letterarie, manoscritte o a stampa che ho consultato sono circoscritte prevalentemente all’area del Celio compresa tra il Clivus Scauri, la basilica dei Ss. Giovanni e Paolo e il Claudium, con riferimento ai supposti insediamenti di età regia. Per la bibliografia generale relativa all’area presa in esame, oltre ai fondamentali studi di Richard Krautheimer (Krautheimer 1937, I, pp. 265-300), di Antonio Maria Colini (Colini 1944, in part. “Le origini del Celio in rapporto con quelle di Roma” pp. 19-27 e appendici I-V), di Franco Panvini Rosati (Panvini Rosati 1955, pp. 71-125, in part. pp. 72-75), mi limito a citare: Pavolini 1993, vol. I, pp. 19-72; Giannelli 1993, vol. I, pp. 208-211; Astolfi 1995, p. 117s.; Brenk 1995, pp. 169-206; Astolfi 1996, pp. 104-107; Astolfi 2002, pp. 149165; Priester 2002, pp. 115-192, in part. pp. 177-192; Pavolini 2004, pp. 418-434; Pavolini 2006 in part. p. 70 e nota 82; Barbera 2010, pp. 203-212; Modolo 2010, pp. 1-20; Santolini 2010, pp. 213-220; Fatucci 2012, pp. 346s., 349s.; Pavolini 2013a, pp. 29-45; Pavolini 2013b, p. 493. 3 Lanciani, Vat. Lat. 13031-13047, ed. Buonocore 1997-2002, 5 voll. 4 Lanciani, Vat. Lat. 13031, f. 20, ed. Buonocore 1997, I, p. 28. 5 Piranesi 1754, t. I, “Prefazione agli studiosi”, pp. s.n. 6 Momigliano 1989, pp. 5-72 e, in part., pp. 65-67 e p. 226s. 1 2 18 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali gno di Tullo Ostilio (ca. 672-640), così scrive: “Roma interim crescit Albae ruinis. Duplicatur civium numerus; Caelius additur mons. Et, quo frequentius habitaretur, eam sedem Tullus regiae capit ibique deinde habitavit. Principes Albanorum in patres, ut ea quoque pars rei publicae cresceret, legit: Iulios, Servilios, Quinctios, Geganios, Curiatios, Cloelios; templumque ordini ab se aucto curiam fecit, quae Hostilia usque ad patrum nostrorum aetatem appellata est”7. Nei secoli XV-XVIII l’annessione a Roma del colle sacro a Minerva8, familiare a Quinto Aurelio Simmaco9, dove era nato l’imperatore Marco Aurelio, discendente da Numa di cui restava la statua prima del suo trasporto nel 1536 sulla piazza del Campidoglio10, viene descritta dagli antichari11 “liviano testimonio”12. Sull’interpretazione del sintetico passo degli Annales, privilegiato rispetto ad altre fonti di età classica, si forma la prevalente opinione sulla storia del Celio, che viene collegata alla distruzione di Alba Longa e a un programma di ampliamento della Città realizzato da Tullo Ostilio, che avrebbe scelto il colle come sede per la sua reggia e vi avrebbe edificato una nuova curiatemplum dove, in qualità di patres avrebbero trovato posto i cittadini più rappresentativi di Alba. Dionigi di Alicarnasso (ca. 60-7 a.C.) – citato da Andrea Fulvio13, Onofrio Panvino14, Pompilio Totti15, dai fratelli Rossi16 e da Samuele Pitisco17 – si distingue dal suo contemporaneo Livio per darci notizie più dettagliate in merito alla genesi storica del colle e alla biografia di Tullo Ostilio, distinguendo due fasi alle origini dell’insediamento urbano del Celio. La prima, in cui Romolo e Tazio, allargata la Città con l’annessione del Celio e del Quirinale, separano le loro sedi, scegliendo Romolo il Celio e il Palatino, Tazio il Campidoglio e il Quirinale18. La seconda, in cui Tullo Ostilio è artefice di un’iniziativa politica di forte valenza “filantropica”: la donazione della terra, prima gestita come proprietà privata da Romolo e da Numa Pompilio, ai cittadini privi di risorse (tou;" ajpovrou" twn~ politwn~ ) e costretti alla servitù su terre altrui. Nel quadro di quest’importante avvenimento, Tullo Ostilio, per incrementare il suolo abitativo della Città a favore dei cittadini bisognosi, avrebbe incluso il Celio all’interno delle nuove mura, scegliendolo come sede per la propria abitazione19. Tuttavia, con alcune eccezioni, per quest’area della Regio Secunda, gli antiquari di età moderna si riferiscono di rado a Dionigi di Alicarnasso, poco a Varrone (116-27 a.C.)20 e poco anche a Cicerone (106-43 7 Liv., Ann., I, XXX, 1-2. Sulla questione dell’estensione del pomerium al Celio, vd. Momigliano 1989, p. 24, dove si rileva la particolare confusione relativa al Celio, in cui la tradizione coinvolge i primi sei re. Sull’interpretazione del testo di Livio relativamente alla toponomastica del Celio, vd. Colini 1944, Appendici, tav. I: Lo sviluppo dei regionarii operato dagli antiquarii del Rinascimento, in part. nota 5; tav. II: Localizzazione dei monumenti, delle vie e contrade del Celio secondo i vecchi antiquari, in part. note 18, 38. Sulle fonti di età classica presenti agli “scriptores” dei secoli XV-XVI vd.: Panvinio ed. 1842, pp. 653-663; Colini 1944, pp. 23, 447s. 8 Sul santuario di Minerva Capta (Varro, L.l., V, 47; Ov., Fasti, III, 835-846: “Caelius ex alto qua mons discendit in aequum,/ hic, ubi non plana est, sed prope plana uia, / parua licet videas Captae delubra Mineruae, quae dea natali coepit habere suo”) e i culti a lei dedicati, anche in relazione alla gens Claudia, vd. Coarelli 1996, p. 255 con bibl.; Id. 2000, in part. p. 209. Per l’ipotesi di una correlazione topografica tra il tempio di Minerva e le Curiae Novae, con rif. a Festo (Fest., L. 186-187), vd. Torelli 1993a, p. 336 con bibl. 9 Nella lettera a Naucellio, Simmaco (Symm., Epist., III, 12, 2) si riferisce al Celio con un’intonazione intima, chiamandolo “Caelium nostrum”; la stessa intonazione si percepisce nelle epistole ad Attalo (Id., ib., VII, 18, 1; VII, 19) dove chiama il Celio “larem Caelium”. Cfr. Pavolini 2006, pp. 84-87. 10 Iul. Cap., Vita Marci Antonini philosophi, in Scriptores Historiae Augustae, 1, 5-6: “Natus est Marcus Romae VI. Kal. Maias in Monte Caelio in hortis avo suo iterum et Augure consulibus. Cuius familia in originem recurrens a Numa probatur sanguinem trahere, ut Marius Maximus docet”. Gian Battista Marliani nella Topographia Vrbis Romae (Marliani 1534, p. 165s.; Marliani 1597, I, V, p. 112) ricorda i versi di Giovenale a questo proposito: “Domus Lateranorum vbi basilica eiusdem nominis: de qua Iulius Capitolinus ita meminit. Educatus est (de marco antonio enim loquitur) in eo loco, inquo natus est,in domo aui fui, iuxta aedes Laterani. & Iuvenalis ita. Clausit, & egregias lateranorum obsidet aedes/tota cohors”; colloca la statua nella piazza del Laterano: “In Platea Lateranensi stat aerea equestris Statua, quam M. Aurelij Antonini esse multi putant, aliqui tamen L. Veri, non desunt etiam qui Septimij Seueri. Herodianus enim literis tradidit post adeptum Imperium ex somnio, quod viderat, statuam sibi po- suisse” e precisa l’anno in cui fu trasportata in Campidoglio: “Haec aenea equestris statua translata est tempore Pauli Papae III anno 1536 in aream. capitolij, vt ex illius inscriptione in marmorea base cernere licet”; vd. anche Vacca 1574, p. 6; Panvinio 1597b, p. 118, nell’elenco delle cose notevoli della II regione scrive: “Statua equestris M. Antonini Imperatoris”. 11 Il termine è in Roscio Hortino, Vat. Lat. 11904, f. 20r. 12 L’espressione è in Bruzio, Vat. Lat. 11872, f. 183r. 13 Fulvio 1527, p. 22v. 14 Panvinio 1597a, l. I, p. 17s. 15 Totti 1627, p. 109. 16 Rossi, Rossi 1727a, p. 26s. 17 Pitisco 1719, vol. I, s.v. Coelius, p. 481s.; s.v. curiae, pp. 610-612; s.v. curia hostilia, p. 611s. “...alteram, uybi nunc Johannis & Paulli est aedes”. 18 Dion. Hal., Antiquitates Romae, II, 50, 1-2: “Oij de; peri; to;n Rwmuv J lon kai; Tavtion th;n te povlin eujquvς ejpoivoun meivzona prosqevnteς eJtevrouς aut /~ h/ duvo lovfouς, tovn te Kurivnion klhqevnta kai; to;n Kaivlion, kaiv dielovmenoi ta;ς oijkhvseiς cwri;ς ajllhvlwn divaitan ejn tois ~ ijdivoiς ejkavteroi cwrivoiς ejpoioun~ to, JRwmuvloς me;n to; Palavtion katevcwn kai; ajtevcwn kai; to; Kaivlion o[roς (e[sti de; tw/~ Palativw prosecevς), Tavtioς de; to;n Kapitwlin~ on, o{nper ejx ajrchς~ katevsce kai; to;n Kurivnion o[cqon”. 19 Id., ib., III, 1, 4-5: “Outoς e[rgon pavntwn megaloprepevstaton ejpideix£menoj aujtÕς eujqÝς a{ma tw/~ paralabein~ th;n ajrch;n a{pan to; qhtiko;n tou~ dhvmou kai; a[poron oijkeio~ n e[scen. E \ n de; toiovnde: cwvran ei\con ejxaivreton oiJ pro; aujtou~ Basilei`ς pollh;n kai; ajgaqh;n, ejx hJς~ ajnairouvmenoi ta;ς prosovdouς iJerav te qeoi`ς ejpetevloun kai; ta;ς eijς to;n i[dion bivon ajfqovnouς eijc ~ on ejuporivaς hJ; ejkthvsato me;n JRwmuvloς polevmw/ tou;ς tovte katascovnta" ajfelovmeno", ejkeivnou de; ¥paido" ajpoqanovnto" Pompivlio" Novma" oJ met ej kj ein~ on basileuvsa" ejkarpout~ o: h\n de; oukevti dhmosiva kthsi"~ , ajlla; twn~ ajei; basilevwn klhr~ o". 5. Tauvthn oJ Tuvllo" ejpevtreye toi"~ mhdevna klhr~ on e[cousi JRwmaivwn kat’a[ndra dianeivmasqai, th;n patrw/a v n aujtw/~ kths ~ in ajrkous ~ an ajpofaivnwn ei[" te ta; iJera; kai; ta;" tou~ bivou dapavna". Tauvth/ de; th/~ filanqropiva/ tou;" ajpovrou" twn~ politwn~ ajnevlabe pauvsa" latreuvonta" ejn toi"~ ajllotrivoi": i{na de; mhde; oijkiva a[moiro" ei[h ti", proseteivcise th/~ povlei to;n kalouvmenon Kaivlion lovfon, A. Englen: Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio a.C.)21 e a Strabone (60-20 a.C. ca.)22 i quali, entrambi, attribuiscono ad Anco Marzio l’urbanizzazione del Celio. Viene, inoltre, scarsamente considerata sia l’ annotazione di Festo (III secolo) circa l’ubicazione delle curiae novae23, sia l’opinione di Eutropio (IV secolo) il quale, nel Breuiarium ab Vrbe condita, dedicato a Valente nel 36924, conferma Livio nell’attribuire a Tullo Ostilio l’annessione del Celio a Roma. Il diverso racconto di Tacito (55/57-120 d.C.), esplicitamente richiamato da Pompilio Totti e dai fratelli Rossi25, radicato su un passo di Varrone26, si incentra sulle origini etrusche del colle e ci informa sulla discordanza tra gli scriptores circa l’identità del re – Tarquinio Prisco oppure un altro dei re – che avrebbe dato inizio all’urbanizzazione del Celio, permettendone l’insediamento al condottiero etrusco eponimo, in seguito all’aiuto portato a Roma nella guerra contro i Sabini27. Parallelamente all’adozione del testo di Livio, come interprete più autorevole degli eventi, ha origine una visione topografica e toponomastica del Celio di età “arcaica” che localizza gli edifici nominati da Livio nell’area sud ovest del colle. Secondo questa visione, il palazzo di Tullo Ostilio e la curia-templum consacrata dagli àuguri, sono localizzati nell’area prospiciente il Palatino e delimitata a sud dal Clivo di Scauro, dove attualmente si trovano la basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, il convento dei Padri Passionisti e il monumentale complesso dedicato a Claudio, di cui parla Svetonio (n. 69 d.C.) nella vita di Vespasiano28. L’attribuzione a quest’area del Celio dei due edifici riferiti tradizionalmente a Tullo Ostilio e la convinzione della loro coincidenza vuoi con le fondamenta dei Ss. Giovanni e Paolo e la piazza antistante, vuoi con le strutture del Claudium, era basata, come ha rilevato Colini29, sulla tipologia delle strutture murarie sopravvissute, considerate di età regia, a motivo della loro imponenza. L’idea, supportata com’era, da un’interpretazione pre-scientifica dell’edilizia antica, dove l’aspetto massiccio di una tessitura muraria e la presenza di blocchi di pietra di grandi dimensioni sono attribuiti alla mitica età dei re, prosegue fino alla prima metà del XIX secolo, con il distinguo, riferito al tempio di Claudio (non ancora identificato come tale), iniziato da Pompeo Ugonio, il quale ne sposta la datazione dall’età regia a quella imperiale30. Per un cambiamento radicale nella visione topografica e toponomastica della Città in riferimento particolare a quest’area del Celio, dobbiamo arrivare ad Antonio Nibby, il quale, nella seconda parte della sua opera Roma nell’anno 1838, dedicata alla Città antica, avversa definitivamente la tradizione che individuava il Celio “arcaico” nell’area sud ovest del colle. Egli, definisce “stolto” da parte di “alcuni moderni descrittori di Roma”, l’aver fatto coincidere la curia di Tullo Ostilio con il Claudium (vista la “natura della fabbrica”, da interpretare, piuttosto, come “linfeo di Nerone” o “vivarium”, in accordo con Piranesi); ricorda la bolla di Onorio III del 25 febbraio 1217, in cui il tempio dedicato a Claudio era nominato “Clodeum” (testimonianza che fino al XIII secolo l’edificio era riferito all'imperatore) e, rompendo con tutta la tradizione precedente, nega che sia mai esistita una curia edificata da Tullo Ostilio sul Celio, asserendo che “è certo che la curia ostilia fu nel Foro Romano”31. Con quest’affermazione Nibby prescinde dalla questione suscitata dalle fonti di età classica che affermano, concordemente, l’esistenza di un sito di età regia sul Celio, indipendentemente dal periodo di attribuzione e dal numero delle curie o delle reggie edificate da Tullo Ostilio32. Egli, infatti, riferisce esclusivamente al Foro Romano l’abitazione del terzo re di Roma, citando Cicerone, il quale, nel De Re Publica, scrive che il console Publio e[nta o{soi R J wmaivwn h/s ~ an ajnevstioi, lacovnte" tou~ cwrivou to; ajrkoun~ kateskeuvasan oijkiva", kai; aujto;" ejn touvtw/ tw/~ tovpw/ th;n oi[khsin ei\cen”. Cfr. jordan 1907, I, p. 222, nota 8; Colini 1944, p. 19, nota 11. 20 Varro, L.l., V, 46: “In Suburanae regionis parte princeps est Caelius mons a Caele Vibenna, Tusco duce nobili, qui cum sua manu dicitur Romulo venisse auxilio contra Tatium regem. Hinc post Caelis obitum, quod nimis munita loca tenerent neque sine suspicione essent, deducti dicuntur in planum. Ab eis dictus Vicus Tuscus, et ideo Vortumnum stare, quod is deus Etruriae princeps; de Caelianis qui a suspicione liberi essent, traductos in eum locum qui vocatur Caeliolum”. 21 Cic., De Rep., II, 18, 33 “Post eum [sc. Tullium Hostilium] Numae Pompili nepos ex filia rex a populo est Ancus Marcius constitutus itemque de imperio suo legem curiatiam tulit. Qui cum latinos bello deuicisset, adsciuit eos in ciuitatem atque idem Auentinum et Caelium montem adiunxit urbi”. Cfr. Colini 1944, p. 19, nota 13. 22 Strab., Geogr., V, C 234, 7: A [ gko" de Mavrkio" prolabw;n to;n Kaivlion o[ro" kai; to; A j benti`non o[ro" kai; to; metaxu; tou; touvtwn pedivon”. Cfr. Colini 1944, p. 19, nota 13. 23 Fest., L., 186-187: “Novae Curae proximae compitum Fabricium aedificatae sunt, quod palum amplae erant veteres a Romulo factae, ubi is populum et sacra in partis triginta distribuerat, ut in is ea sacra curarent, quae cum ex veteribus in novas evocarentur; quattuor curiarum per religiones evocari non potuerunt”. 24 Eutrop., Breuiarium ab Vrbe condita, I, 4,1: “Hic successit Tullus Hostilius. Hic bella reparauit, Albanos uicit, qui ab urbe Roma duodecimo miliario sunt, Veientes et Fidenates, quorum alii sexto miliario absunt ab urbe Roma, alii octavo decimo, bello superauit, urbem ampliauit, adiecto Caelio monte”. 25 Totti 1627, p. 108; Rossi, Rossi 1727a, p. 26s. 26 Vd. infra, nota 20. 27 Tac., Ann., IV, 65: “Haud fuerit absurdum tradere montem eum antiquitus Querquetulanum cognomento fuisse, quod talis silvae frequens fecundusque erat, mox Caelium appellitatum a Caele Vibenna, qui dux gentis Etruscae cum auxilium tulisse, sedem eam acceperat a Tarquinio Prisco, seu quis alius regum dedit: nam scriptores in eo dissentiunt. Cetera non ambigua sunt, magnas eas copias per plana etiam ac foro propinqua habitavisse, unde Tuscum vicum e vocabulo advenarum dictum”. Per le fonti letterarie relative al Celio vd. “Indice delle fonti letterarie” in Colini 1944, p. 447s. Il riferimento al condottiero etrusco Caelius eponimo del Celio è anche in Dionigi di Alicarnasso (Dion. Hal., Antiquitatum Romanarum, II, 36, 1-2z). 28 Suet., Claud., I, VIII, 9, 1:“Fecit et noua opera templum Pacis foro proximum Diuique Claudi in Caelio monte coeptum quidem ab Agrippina, sed a Nerone prope funditus 19 destructum”. Sul Claudium vd. Pavolini 2006, pp. 29-31 e note 1-9. 29 Colini 1944, p. XXI e tav. IIv., nota 18. 30 Ugonio 1588, pp. 27v.-28r. 31 Nibby 1839, pp. 656-659. In part. pp. 657-658, scrive: “Quanto è ragionevole il nome di Linfeo di Nerone dato a queste sostruzioni (sc. del Claudium), altrettanto stolto è quello di Curia Ostilia che diedero loro alcuni moderni descrittori di Roma, poiché oltre la natura della fabbrica è certo che la Curia Ostilia fu nel Foro Romano. Piranesi suppose in questo luogo un Vivarium, o serraglio di belve, che dice edificato da Domiziano per uso dell’Anfiteatro, opinione non improbabile considerando la natura di quel portico a tre piani, la prossimità dell’Anfiteatro, ed il potere entro ciascun arco porre le gabbie contenenti le fiere” (Piranesi 1756, I, p. 24). Vd. anche la pianta di Roma di Nibby, infra, p. 26, fig. 12. 32 Sulla relazione topografica tra Curiae Novae e Curiae Veteres vd. Torelli 1993a, p. 336 e Torelli 1993b, p. 337. 20 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali Valerio Publicola (560ca.-503 a.C.), per non inimicarsi il popolo romano, dovette far costruire la sua abitazione ai piedi e non sulla sommità della collina Velia, come avrebbe voluto, perché su di essa si trovava l’abitazione di Tullo Ostilio33. b. La rappresentazione dell’area dei Ss. Giovanni e Paolo nelle stampe e nelle piante Fino alla metà del XVII secolo stampe come La veduta del Celio di Antonio Dosio (1533-1611) del 1560-’6534, la Veduta dell’Anonimo von Fabriczy (XVI secolo) del 157735, la Veduta del pendio del Clivus Scauri dal Palatino di Giacomo Lauro (15501605), pubblicata nell’opera Antiquae Urbis Vestigia del 162836 su cui appare la scritta Cvria Hostilia (fig. 1)37, testimoniano che in quest’area, oltre alla presenza monumentale del tempio di Claudio, sopravvivevano consistenti avanzi di strutture antiche, sebbene Bartolomeo Marliani, nell’Vrbis Topographia del 1534, rilevi la difficoltà ad individuarle con certezza: “multa edificia fuere, uerum omnium ruinae ita confusae sunt ut per paucis certum locum assignare liceat”38. Infatti, oltre alle strutture delle case romane e del Claudium, inglobate nel complesso dei Ss. Giovanni e Paolo, erano sopravvissuti, almeno fino a tutto il XVII secolo, ampi tratti dell’acquedotto claudio-neroniano che dal Laterano si dirigeva verso il Celio e il Palatino e integra doveva essere anche la struttura di smistamento delle acque nella zona, il “recettacolo dell’acqua Claudia chiamato dagli antichi Castello”, se lo stesso Marliani, nell’Antichità di Roma del 1548, lo definisce “anchora quasi perfetto; come egli già era”39. Lo stato dell’acquedotto è rilevato anche da Andrea Palladio quando ne L’Antichità di Roma del 1555 scrive: “El quello de la Claudia, andaua da Porta Maggiore à la chiesa di S. Giouanni Laterano, et fu per il monte Celio condotto ne l’auentino, & infino a hoggidi si uedono gli archi di quello mezzi guasti d’altezza di 109 piedi, la qual opera fu cominciata da Cesare, et da Claudio, che costò un milion d’oro, e 385 millia, e 50 scudi d’oro, Caracalla poi lo condusse nel Campidoglio, et sono ancora in piedi parte degli archi a l’hospitale di San Tomaso”40. Comunque l’idea di un’area in cui sopravvivessero vestigia di edifici risalenti all’età dei re continua fino al XVIII secolo anche nell’immaginario degli artisti che raffigurano il Celio. Infatti, ancora nel 1817, Luigi Rossini (1790-1857) intitolava un’acquaforte “Veduta degl’avanzi della Curia Ostilia sul monte Celio”41. Dalle stampe dell’epoca apprendiamo, infatti, l’esistenza di resti di murature sul retro dell’abside dei Ss. Giovanni e Paolo42, dove, in corrispondenza dell’angolo nord ovest, lo scavo ricognitivo effettuato da Paola Palazzo nel 2008 ha permesso di individuare con precisione la successione di più strutture murarie antecedenti l’impianto della basilica di cui, la più antica, databile a età claudia, si appoggia a un pilastro in blocchi di travertino affiancato da una muratura in opus reticulatum costituita da cubilia di tufo, sormontata a sua volta da una muratura in laterizi di età adrianea43. Tra il XV e il XVIII secolo, ci forniscono notizie sull’area presa in considerazione anche le piante di Roma antica, i cui autori propongono, in una suggestiva contemporaneità di forme, gli strati e gli edifici che formavano il palinsesto della Città, ricostruito 1 Fig. 1 – Giacomo Lauro, La veduta del pendio del Clivus Scauri dal Palatino (1628), in G. Laurus, Antiquae Urbis Vestigia, Roma 1628, tav. 140. 33 Cic., De Rep., II, XXXI, 53: “ …P. Valerius et fasces primus demitti iussit, cum dicere in contione coepisset, et aedes suas detulit sub Veliam, posteaquam, quod in excelsiore loco Veliae coepisset aedificare eo ipso, ubi rex Tullus habitaverat, suspicionem populi sensit moveri”, cit. da Nibby (1839, p. 388), il quale si richiama anche a Gaio Giulio Solino (IV-V secolo) autore del compendio storico geografico Collectanea rerum memorabilium, I. 22: “Tullus Hostilius in Velia, ubi postea deum penatium aedes facta est” 34 Vd. Barchiesi, Ferrara, Caelius II, 2, c.s. 2014. 35 Vd. Barchiesi, Ferrara, Caelius II, 2, c.s. 2014. 36 Laurus 1628, tav. 140. 37 Vd. Barchiesi, Ferrara, Caelius II, 2, c.s. 2014. 38 Marliani 1534, p. 71. 39 Marliani 1548, p. 61v. “Che frà le cose più riuedute v’era la Curia Hostilia, la quale fu edificata dal medesimo Tullio Hostilio (ch’edificò l’altra, vicino al Foro, poscia che egli ebbe aggionto, questo Monte alla Città). Questa Curia era posta, dou’hoggi e, la chiesa di S. Giovanni & Pauolo, come n’appare qualche vestigio nel fondamento d’essa, Ella fù habitata da l’istesso Tullo, per dar concorso & render più frequentato questo Monte. Appresso à questa Curia, era il recettaculo de l’acqua Claudia, chiamato dagli antichi Castello, & vi si vede anchora quasi perfetto; come egli già era”. A proposito del “castellum”: vd. la pianta di Pirro Ligorio, p. 23, fig. 6. 40 Palladio 1555, p. 7r.-v. 41 Rossini 1817. 42 Vd. fig. 1. 43 Il primo riferimento a un “pilastro di travertino che mostra una grandissima antichità”, situato nell’area sud ovest dell’abside, è nel ms. di Urbano Davisi, trascritto da Antonio Bruzio nel Vat. Lat. 11872, f. 197r. (vd. p. 50). Due pilastri in travertino, posizionati negli angoli nord ovest e sud ovest dell’area absidale della basilica, “in buona cortina laterizia, 21 A. Englen: Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio 2 3 dalle informazioni che fornivano i monumenti, i materiali superstiti, i testi storici e letterari degli antichi, pervenendo a una “topografia letteraria” e a una reinterpretazione dei luoghi basata sulla memoria e la rievocazione, a volte favolosa, del passato. Avendo come punto di riferimento la pianta Lanciani-Colini (1892-1944), nell’aggiornamento di Mirco Modolo del 2010 (fig. 2)44, ai fini della ricognizione dell’area altrettanto importanti sono quelle piante di Roma dove sono raffigurati rarefatti assemblaggi di edifici e rovine antiche rappresentativi delle singole regiones, nell’intento di pervenire a una resa topografica dei nuclei più significativi della Città. È il caso della sintetica pianta di Roma di Leonardo Bufalini del 1551 (fig. 3)45, dove si vede ancora una porzione del Settizonio46 e sono raffigurate le vestigia di monumentali strutture, per lo più rilevate nella loro planimetria superstite e correlate ai principali edifici ecclesiastici dell’età moderna. Nell’area dei Ss. Giovanni e Paolo, il piazzale antistante la basilica è attraversato, da una condotta o diverticolo dell’acquedotto claudio neroniano (con cui divide la resa grafica), che collega un esteso e articolato complesso a forma quadrata, situato a sud del Clivus Scauri, all’acquedotto principale, formando con quest’ultimo una X, al cui centro è verosimilmente rappresentato un castellum a pianta quadrata, da cui parte il ramo della condotta che si dirige al Colosseo. Poiché la condotta non appare in nessuna delle piante coeve o di poco posteriori si potrebbe anche ipotizzare che Bufalini abbia voluto rap- presentare una condotta sotterranea da lui rilevata. A questo proposito, dobbiamo tenere presente che tratti di plumbeae fistulae, con iscrizioni di età domizianea, furono recuperate nel convento dei Gesuati nell’anno 1658, secondo la descrizione dettagliata che ne fa Urbano Davisi nel manoscritto trascritto da Antonio Bruzio nell’ultimo quarto del XVII secolo47 e, di nuovo, citate da Francesco Ficoroni nel 1744, quando ci informa che nella biblioteca del convento dei Passionisti si trovava “un gran pezzo di tubo che portava 23 libre d’acqua a qualche gran fonte”48. A nord est della basilica dei Ss. Giovanni e Paolo è raffigurata, infine, una struttura composita disposta a quadrilatero49, da identificarsi verosimilmente con il complesso presente nella c.d. Vigna Guglielmina, come verificato archivisticamente e topograficamente da Mirco Modolo50. Nella pianta del 1552 (fig. 4)51 Pirro Ligorio (1513ca.-1583) si dedica alla raffigurazione sintetica dei monumenti antichi, con pochi riferimenti a quelli moderni. Nell’area occidentale del Celio la “Cvria Hostili” è presente nelle rovine di un edificio che conserva una serie di sette arcate, a est del comprensorio dei Ss. Giovanni e Paolo, mentre la “Cvria Vetvs” è tracciata sulle pendici orientali del Palatino, poco più a sud dell’arco di Costantino. Nell’altrettanto sintetica pianta di Roma antica del 1553 (fig. 5)52, lo stesso Pirro Ligorio si dedica esclusivamente alla raffigurazione dei monumenti antichi. Nell’area del Celio presa in esame non appare con ricorso di bipedali, fondati su dadi di travertino”, sono rilevati da Krautheimer 1937, I, pp. 275, 277; al termine della navata destra della basilica, dal lato nord ovest “un massiccio pilastro grezzo di travertino” è rilevato anche da Colini (Colini 1944, p. 165, fig. 126), il quale, nella facciata primitiva lungo il Clivo di Scauro, ne rileva altri due (Id., p. 168 e tav. IX); vd. Astolfi, p. 86-89, 103 con figg., nota 73; Palazzo pp. 153-159 con figg. 300-305; de Vos p. 214s. 44 Modolo 2010, p. 5, fig. 8. Il riferimento diretto è a Pavolini (a cura di) 1993, I, p. 85, fig. 21. 45 Frutaz, II, 1962, tav. 203; Id., ib., III, p. 168s.; vd. Barchiesi, Ferrara, Caelius II, 2, c.s. 2014. 46 Vd. Lanciani, Scavi, IV, 1992, p. 137-139. Una precisa descrizione di quanto sopravviveva del Settizonio, individuato “e regione templi S. Gregorij”, è in Marliani, ed. Boissard 1597, p. 110. Fig. 2 – Mirco Modolo, Planimetria della sommità del Celio (2010). Fig. 3 – Leonardo Bufalini, Pianta di Roma Antica: dettaglio del Celio (1551). 47 Bruzio, Vat. Lat. 11872, ff. 196r.198v., vd. pp. 50. 48 Ficoroni 1744, p. 87. 49 Di un complesso a forma quadrata scrive Urbano Daviti secondo la trascrizione di Bruzio, Vat. Lat. 11872, f. 197v.: “Dalla parte di mezzogiorno è terminata la chiesa e monasterio dalla strada che da San Gregorio passa a San Tomasso. Da tramontana si esce in una spaziosa vigna di sito mirabile per essere d’ogni intorno sostentata da fabriche antiche, che l’inalzano al pari del piano del monasterio: in altezza è tal loco di più di palmi cento e di figura quadra”. 50 Vd. supra, nota 44. 51 Frutaz, II, 1962, tav. 222. 52 Ib., tav. 25. 22 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali Fig. 4 – Pirro Ligorio, Pianta di Roma Antica: dettaglio del Celio (1552). Ib., tav. 32. Ib., tav. 44. 55 Ib., tav. 238; vd. Barchiesi, Ferrara, Caelius II, 2, c.s., 2014. 56 Vd. Marliani 1548, p. 61v. 56 Vd. nota 39. 57 Frutaz, II, 1962, tavv. 266, 267. Vd. Barchiesi, Ferrara, Caelius II, 2, c.s., 2014. 58 Id., ib., tav. 288. Vd. infra II, Barchiesi, Ferrara, Caelius II, 2, c.s. 2014. 59 Giovannoli 1619, I. 60 Giovannoli 1615, II, ff. 17, 18. f. 17: “A. Casa de SS. Giouanni e Paolo, hoggi lor Chiesa B. Casa di S. Gregorio Riguarda a Tramontana San Gregorio dando a magnare a poveri, uede un Angelo tra loro” (pubbl. in Colini 1944, p. 188, fig. 151); f. 18: “A. Casa de SS. Giouanni e Paolo B. portico della lor Chiesa C. Casa di S. Gregorio Riguarda a Levante San Gregorio dando a mangiare a XII poueri troua che sono XIII con Gesù Christo” (pubbl. in Colini 1944, p. 189, fig. 152). La stampa al f. 18 è copiata per due terzi (da destra verso sinistra) da Rodolfo Lanciani nel foglietto 181v. del Vat. Lat. 13031, con la didascalia: “Casa de SS. Giovanni e Paolo disegnata da Alò Giovannoli nel 1616” (ed. Buonocore 1997, I, p. 56). Colini, che non aveva verosimilmente consultato il Vat. Lat. 13031, sotto la riproduzione della stampa del f. 18 di Giovannoli mette la didascalia: “Alò Giovannoli. Antichi resti sulla piazza dei Ss. Giovanni e Paolo”. 61 Frutaz, II, 1962, tavv. 359, 360. Vd. Barchiesi, Ferrara, Caelius II, 2, c.s., 2014. 62 Frutaz, II, 1962, tav. 407. 53 54 4 più la curia ma la “Regia Tvlli Hostilii”, abbozzata a forma di basso anfiteatro con doppio ordine di arcate. L’edificio appare collocato circa sullo stesso piano orizzontale del Colosseo, tra la “Mica Aurea” a sud, il “Lvdvs Gallicvs” a nord e l’“Antrvm Cyclopis” a est. Di nuovo Pirro Ligorio, nella grande pianta del 1561 (fig. 6)53, ci presenta un affascinante e dettagliato panorama della Città antica, dove virtualmente sono presenti i più importanti monumenti che la costituivano. Nell’area del Celio è rappresentato un edificio definito “Hostilia”, a forma di tempio a due piani, con copertura piana: con il primo piano costituito da un porticato a otto fornici a bugnato, il secondo piano a quattordici aperture, sormontato da tre corpi a forma di tempietti, con tetto a spioventi, di cui il maggiore, centrale, presenta, a sua volta, un porticato a cinque fornici. L’edificio, attraverso un arco collegato a una scalinata, è unito a est alla “Domvs Vitelliana”, di struttura quasi identica alla curia, mentre a ovest si collega a un imponente portico che si dirige verso il Colosseo curvandosi poi a gomito verso sud. A sud della curia è raffigurato il “Templvm Divi Clavdi”, absidato e preceduto da nartece. Sia la Curia Ostilia che il Tempio di Claudio sono attraversati dal tracciato dell’acquedotto claudio neroniano. Anche in questa pianta la Curia Vetus appare posizionata sulle pendici orientali del Palatino, come nella pianta del 1552. Nella grande pianta di Roma antica di Stefano Du Pérac (1535-1604) del 1574 (fig. 7)54, che prosegue l’impostazione della grande pianta di Pirro Ligorio di cui sopra, la “Curia Hostilia” è collocata perpendicolarmente al “Cliuus Scauri”, a nord delle arcate dell’ acquedotto claudio neroniano, che risulta quasi parallelo al Clivus Scauri. Il gigantesco edificio, che sembra occupare quasi interamente lo spazio tra il Clivus e il Colosseo, mostra un primo piano porticato a sette fornici su cui poggia un piano superiore di minore volumetria sul quale sono sovrapposti due brevi corpi a tempietto, entrambi forniti di tetto a spioventi. Nella pianta di Michele Cartaro (m. 1620) del 1579 la “Cvria Hostilia” è situata a nord del “Clivius Scavri” (fig. 8)55, in figura di tempio poggiante su una struttura porticata, a sei fornici sui lati lunghi, affiancata, sul lato settentrionale, da un altro edificio più elevato ma di simile planimetria, preceduto da un peristilio di cui si vedono le sei arcate laterali. Entrambi gli edifici intersecano il tracciato dell’acquedotto claudio neroniano, a nord est del quale, è raffigurato il “castellvm aqvae claudiae”, descritto da Bartolomeo Marliani56. Nella pianta di Roma moderna di Antonio Tempesta (1555-1630) del 1593, dove permane ancora il ricordo del distrutto Settizonio, nell’area occidentale del Celio, accanto ai monumenti medievali e moderni, appaiono solo anonimi e fatiscenti ammassi di rovine57, già scomparsi nella pianta di Matteo Greuter (15641638) del 161858. Nella pianta di Roma che precede il I volume delle stampe sulla Roma antica di Alò Giovannoli (15501618) del 161959, la Curia Ostilia viene identificata con la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo mentre la “Casa de’ SS Gio e Paolo” viene ubicata al di là del Clivo di Scauro, a ovest di un grande quadrilatero dal nome “Casa di S. Gregorio Magno”. La chiesa e la casa dei santi sono poi oggetto di due vedute, nel II volume della stessa opera60. Nella pianta di Roma Moderna di Giovan Battista Falda (1643-1678) del 1676 (fig. 9)61, sono chiaramente raffigurati gli archi dell’ acquedotto claudioneroniano mentre a nord della chiesa e del convento dei Ss. Giovanni e Paolo, all’interno del quale è occultato il Claudium, è raffigurata una fatiscente e sconnessa struttura longitudinale ad archi sovrapposti volta verso il Colosseo, interpretata come: “Ruine dette della Curia Hostilia”. La pianta di Giovan Battista Nolli (1692-1756), incisa insieme a Giovan Battista Piranesi e pubblicata nel 1748 (fig. 10)62, mostra, a nord dei Ss. Giovanni e Paolo e del Claudium, la pianta di un complesso qua- A. Englen: Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio 23 Fig. 5 – Pirro Ligorio, Pianta di Roma Antica: dettaglio del Celio (1553). Fig. 6 – Pirro Ligorio, Grande pianta di Roma Antica: dettaglio del Celio (1561). Fig 7 – Stefano Du Pérac, Pianta di Roma Antica: dettaglio del Celio (1574). 5 6 7 24 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali La pianta elaborata a metà del XX secolo (1949) da Giuseppe Lugli (1890-1967) e Italo Gismondi (1887-1974) (fig. 13)66 presenta una diversa ipotesi di lettura topografica e toponomastica del Celio “arcaico” che tiene conto degli scavi e degli studi della prima metà del secolo riproponendo una topografia che ricorda Pirro Ligorio relativamente alle “Cvriae Veteres” collocate anche qui sulle pendici orientali del Palatino, in prossimità dell’arco di Costantino. Diversa da Pirro Ligorio è invece, nella pianta del 1949, la collocazione delle “Cvriae Novae”, attribuite a Tullo Ostilio già da Varrone67. Esse sono collocate sulle pendici occidentali del Celio in un’area diversa da quella tradizionalmente individuata: nell’angolo superiore nord di un triangolo quasi isoscele il cui apice coincide con la “Meta Sudans”, la base sud, con il “Clivus Scauri”, il lato ovest con l’attuale Via di S. Gregorio (indicata come “Via Trivmphalis?”) e il lato est con un ipotetico “Vicus Fabricii?”68, che, prima di confluire nel Clivo di Scauro, costeggia il tempio di Claudio (raffigurato a sua volta come un imponente complesso rettangolare, con una superficie più ampia dello stesso Colosseo). In ultimo la pianta di Roma Antica realizzata da Francesco Scagnetti e da Giuseppe Grande nel 1979 e aggiornata negli anni successivi (fig. 14), per quanto riguarda la porzione occidentale del Celio ricalca quasi interamente la pianta Lugli-Gismondi69. 8 c. L’area dei Ss. Giovanni e Paolo presso gli antiquari 9 Fig. 8 – Michele Cartaro, Pianta di Roma Antica: dettaglio del Celio (1579). Fig. 9 – Giovan Battista Falda, Pianta di Roma Moderna: dettaglio del Celio (1579). 63 La descrizione di un “loco di più di palmi cento e di figura quadra” è descritto in dettaglio da Urbano Davisi, in Bruzio, Vat. Lat. 11872, f. 197v. Vd. infra, p. 51. 64 Frutaz, II, 1962, tav. 82. 65 Frutaz, II, 1962, tav. 84. 66 Frutaz, II, 1962, tav. 122. 67 Vd. infra, p. 30, nota 128. 68 Il riferimento è al “compitum Fabricii” di Festo. Vd. supra, p. 19 e nota 23. 69 Scagnetti, Grande 2005, p. 26, fig. 14. 70 Biondo 1482. Vd. infra, p. 30s. e note 114-115, tav. 1 a, b, c. Sul Celio “arcaico” non ho trovato testi precedenti. drilatero di vaste dimensioni su cui è scritto: “Giardino del Noviziato de’ Missionarii. Curia Ostilia”63, segno che in pieno XVIII secolo era ancora radicato il convincimento che la curia di Tullo Ostilio fosse nell’area occidentale del Celio (o che, almeno, se ne volesse serbare la tradizionale memoria). Nel sommario assemblaggio di edifici che fa Andrea Manazzale (XVIII-XIX secolo) nella pianta di Roma del 1805 (fig. 11)64 permane l’idea di un sito “arcaico” sul Celio. La “Curia Ostilia” vi è infatti raffigurata, situata a nord dell’ acquedotto claudio neroniano, allineata con il Colosseo e la “meta sudans”, a forma di semplice tempietto di dimensioni relativamente modeste rispetto agli altri monumenti dell’area. Nella pianta di Roma antica elaborata da Antonio Nibby (1792-1839) nel 1826 (fig. 12)65 nella II regione celimontana non appare più traccia di un sito di età regia mentre un’ampia zona quadrangolare, a nord del complesso dei Ss. Giovanni e Paolo, è individuata come “Ninfeo di Nerone. Tempio di Claudio”. Lo schema topografico e toponomastico del Celio dei re ha un probabile inizio con la Roma Instaurata di Flavio Biondo (1392-1463)70, in cui, con una certa ambiguità linguistica e topografica, le fondamenta della Curia Ostilia, vengono individuate alla base di un palinsesto a tre strati, il cui strato intermedio sarebbe costituito dal palazzo dei pontefici sul quale, a sua volta, si sarebbe edificata la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo: “Nam ea in parte ad quam in pallatinum montem uergens cliuum Scauri habet: hinc monasterium est beati Gregorii in paternis aedibus ab eodem aedificatum. Inde est sanctorum Ioannis et Pauli ecclesia, cuius superbi olim aedificii pallatio quod ex romanis pontificibus inhabitauerint nonnulli, et nunc pene funditus diruto continent curiae hostiliae fundamenta”71. La narrazione viene quindi riproposta con diverso impegno e più varianti interpretative dagli storici successivi, anche in relazione all’esperienza o meno di un riscontro diretto sul territorio descritto. All’interno della II regione, la Curia Ostilia (e, a volte, abbinata ad essa, la reggia) viene alternativamente collocata, come si è detto, alle fondamenta della basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, nell’area compresa tra la basilica e il Claudium o fatta coincidere con il Claudium stesso. Questo schema dura fino alla Roma Antica di Famiano Nardini (m. 1661) pubblicata postuma nell’anno 1666, dove l’autore, erede dell’impostazione critica di Pomponio Leto, Andrea Fulvio, Pompeo Ugonio, esprime esplicitamente il suo dubbio sulla tradizione 25 A. Englen: Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio 10 più diffusa che localizzava la Curia Ostilia nelle fondamenta dei Ss. Giovanni e Paolo, ritenendo le premesse e le motivazioni di questa tradizione prive di fondamento storico: “Ubi nunc Ecclesia SS. Ioannis & Pauli est, Curiam olim fuisse Hostiliam secundam, ab Hostilio traductis in urbem Albanis exstructam, Blondus opinatur; cui & alii assentiuntur: at quo auctore, quove indicio, iuxta me nescire fateor cum ignarissimis”72. Anteriormente all’opera di Donati (1639) e di Nardini (1665), Colini esprime un giudizio complessivamente negativo sugli antiquari, come coloro i quali in “pochi conoscevano il terreno e i monumenti” e “lavoravano nel comodo ambiente del proprio studio riportando le opinioni già espresse, senza sottoporle ad alcuna critica”73.Tuttavia dobbiamo riconoscere che la produzione antiquariale nel suo complesso ha un valore che prescinde dall’attitudine non sempre oggettivamente corretta nel guardare alla Città antica e dalla prassi a volte ripetitiva e di seconda mano che caratterizza alcuni autori. Nelle trattazioni sulle antichità di Roma gli “antichari” del XV-XVII secolo, infatti, rivelano più un atteggiamento di erudita curiosità filologica che un intento di indagine storica e, privi com’erano dell’esperienza del moderno scavo archeologico e del metodo conoscitivo scientifico nei confronti delle tipologie dell’edilizia antica, non erano in grado di determinarne cronologicamente le varie fasi, pervenendo, a volte, a vere e proprie invenzioni, con sovrapposizioni, assemblaggi e fusioni topografiche e toponomastiche. D’altra parte, indipendentemente dai risultati conseguiti ai fini di una rappresentazione topografica e toponomastica “scientificamente” attendibile della Città antica, dobbiamo riconoscere agli “antichari” l’essere stati i primi a interpretare le fonti letterarie di età classica con attenzione filologica, come strumen- 11 to di conoscenza e di autorevole informazione circa la storia e la topografia della Città, mutuando questo metodo dagli umanisti del Quattrocento. È loro merito, infatti, se su queste fonti, per la prima volta, si sviluppa un implicito confronto interpretativo e un metodo di lavoro che sarà alla base delle future discipline storiche e archeologiche; dando il via a una nuova fase di ricerca e al primo tentativo di documentare la Roma antica attraverso un riscontro toponomastico e topografico con le fonti storiche e letterarie a volte, come abbiamo visto, con tentativi di resa “stratigrafica” e topografica di vero e proprio arbitrio o fantasia, ma, a volte, anche con puntuali letture o “scoperte” derivate dagli autori classici oppure dalla visione diretta delle vestigia materiali presenti sul territorio, oggetto anche di rilievi accurati, di trascrizioni e di annotazioni grafiche ed epigrafiche. In questa direzione va, nella prima metà del XV secolo, Maffeo Vegio (1407-1458), il quale nel primo volume dell’opera De educatione liberorum et eorum claris moribus pubblicata a Parigi nel 1511, come esempio di lode presso i gentili delle madri che hanno allattato personalmente i propri figli, si riferisce all’epigrafe “Graxiae Alexandriae” (CIL VI, 3, 1928) vista nella basilica “memorie Io. Et Pauli dedicata”74, poi trascritta da Iacobo Mazocchi e quindi citata, con riferimento a Maffeo Vegio, da Filippo Rondinini75. Segue nella stessa direzione l’accurata trascrizione di sei epigrafi, presenti nel portico e all’interno della basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, effettuata da Iacobo Mazocchi nell’opera Epigrammata Antiqvae Vrbis, pubblicata nel 1521 (figg. 15 a, b)76, in occasione dell’editto di Leone X per la loro salvaguardia77, in parte riportate da Giovanni Gruteri (1560-1627) nel 160178; il riconoscimento dell’arco di Silano e Dolabella con la ripetuta trascrizione (sfuggita a Colini) dell’epigrafe dedicatoria ad opera di Andrea Fulvio Fig. 10 – Giovan Battista Nolli, Pianta di Roma Antica: dettaglio del Celio (1748). Fig. 11 – Andrea Manazzale, Pianta di Roma Antica: dettaglio del Celio (1805). 71 Relativamente alle abitazioni dei pontefici Flavio Biondo confonde il lato sud del Clivus Scauri (sede delle abitazioni dei pontefici) con il lato nord. 72 Nardini 1732, t. IV, col 1000; Id. 1665, lib. II, cap. II, pp. 56s.; l. III, cap. VI sulla curia ostilia in part. p. 99. Cfr. Colini 1944, p. 142, nota 25. 73 Cfr. Colini, 1944, p. XXIII; sul metodo di lavoro degli antiquari come origine delle loro errate interpretazioni vd. Id., ib., p. 443, nota 3. 74 Vegio 1511, l. I, cap. IV, f. XIv. 75 Filippo Rondinini, quasi due secoli dopo, ci informa della situazione di degrado in cui si trovano le epigrafi all’interno della basilica (Rondinini 1707, p. 168s.): “ubi hodie exigua sacrae vetustatis rudera servantur. Lapidum fragmenta nonnulla prostant in pavimento, sed quia nullius dignitatis, praetereo. Quae autem olim fuerunt inscriptiones, ac /p. 169/ veteri diruta basilica sublatae, huc referendas duxi, ne earum penitus aboleretur memoria Maphaeus Veggius in libro primo de educatione puerorum capite quarto in hac basilica perelegans epigramma se legisse scribit marmoreo tumulo insculptum Gratiae Alexandriae Ethnicae matronae, quae in Christianarum quarundam dedecus filios suos propriis uberibus educasse laudatur”. 76 Mazocchi 1521, p. XXX r-v. Vd. infra p. 28, fig. 15. 77 Vd. infra nota 92. 78 Gruteri 1601, pp. DCXVII, 8. 26 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali 12 nelle Antiquitates del 152779, di Francesco Albertini nell’Opvscvlvm de mirabilibus nouae & ueteris Vrbis Romae edito nel 151080, di Bartolomeo Marliani nella Topographia del 153481, di Lucio Mauro nelle Antichità della Città di Roma edito nel 1562 (fig. 16)82 e infine di Jean Jacques Boissard nella Topographia del 159783. Una considerazione particolare meritano i rapidi schizzi a penna di Pompeo Ugonio, presenti nei suoi manoscritti (per chi scrive spesso incomprensibili), che raffigurano materiali di età classica, sintetici e riassuntivi “panorami” romani e “assemblaggi” di antichità varie, che attestano un’esperienza diretta del territorio. Lo vediamo nel caso del Theatrum Vrbis Romae presso la Biblioteca Ariostea di Ferrara, particolarmente ricco di raffigurazioni dei luoghi e con sintetiche piante della Città Antica (fig. 17)84. Relativamente al Celio, lo vediamo nel manoscritto di pari titolo presso la Biblioteca Vaticana: nel foglio dove si tratta di S. Stefano Rotondo, già supposto Templum Fauni, appaiono due schizzi relativi a rilievi visti da Ugonio nei pressi della chiesa: si tratta di due fauni raffigurati con corna e piedi caprini, il primo, a sinistra, stante con pastorale e siringa, il secondo, seduto su un tronco d’albero con doppio (?) flauto (tav. f.t. I.a)85. Nel foglio dedicato al complesso dei Ss. Giovanni e Paolo appaiono altri due schizzi raffiguranti una base marmorea “praegrandis” con epigrafe dedicatoria all’imperatore Giuliano l’Apostata da parte del prefetto Memmio Vitrasio Orfito86 e una moneta dello stesso imperatore proveniente dalla zecca di Arles, raffigurata recto verso87 (tav. f.t. I.b)88. Un’epigrafe funebre situata nell’area presbiteriale dei Ss. Giovanni e Paolo è trascritta nel Vat. Lat. 11872 da Giovanni Antonio Bruzio nella II metà del XVII secolo89. Fig. 12 – Antonio Nibby, Pianta di Roma Antica: dettaglio del Celio (1826). Fig. 13 – Giuseppe Lugli, Italo Gismondi, Pianta di Roma Antica: dettaglio del Celio (1949). Fig. 14 – Francesco Scagnetti, Giuseppe Grande, Vrbs imperatorvm aetate: dettaglio del Celio (2005). N 13 Fulvio 1527, III, f. 33v. “P. Cor. P. F. Dolabella C. Iunius. C. f. Silanus flamen martial. Ex S. C. faciundum curauerunt/ idemque probauerunt”. Cit. in CIL VI, 1, 1384, p. 303 (sull’arco di Dolabella e Silano vd. Mari 1993, p. 91s. con bibl.). 80 Albertini 1510, p. 13v. “P. CORNELIVS. P. F. DOLAbella COS. C. IVNIVS. C. F. Silanus Flamen. Martial. EX. S. C. Faciundum curauerunt idemque probauerunt”. Cit. in CIL VI, 1, 1384, p. 303. 81 Marliani 1534, p. 174; Marliani, ed. Boissard 1597, p. 116: “P. COR. P. F. DOLABELLA COS. C. IVNIVS. C. F. SILLANVS FLAMEN. MARTIAL. EX. S. C./ FACIVNDVM CVRAVERVNT. IDEMQUE PROBAVERVNT”. Non è citato in CIL VI, 1, 1384, p. 303. 82 Mauro 1562, p. 61: “P. COR. P. F. DOLABELLA COS./ C. IVNIVS. C. P. SILANVS FLAMEN. MAR/ TIAL. EX. S. C./ FACIVNDVM CVRAVERVNT. IDEMQUE/ PROBAVERVNT”. Non citato in CIL VI, 1, 1384, p. 303. 83 Boissard 1597, p. 68: “P. COR. P. F. DOLABELLA COS. C. IVNIVS C. F. 79 14 d. Sopravvivenza e visione dell’Antico L’atteggiamento degli antichari, a metà strada tra l’attenzione filologica degli umanisti e la visione imaginifica del passato, a volte senza un controllo autoptico dei luoghi, è possibile in un’epoca in cui la percezione dell’Antico, da parte di tutti i rappresentanti della cultura contemporanea, è ancora vissuta in continuità con il presente, dove l’antico reale poteva essere uguagliato o evocato dall’antico ricreato dalla fantasia, dove la “historia” poteva essere sostituita dalla “fabula antiqua”, o di pura “inventione”, come scrive nel 1501 la coltissima Isabella d’Este, a proposito del soggetto dei dipinti che aveva commissionato a Giovanni Bellini90. In questo senso l’opera pre-“scientifica”, intrapresa dai migliori scriptores, è da valutare come testimonianza dello stesso modo di rapportarsi all’Antico proprio delle menti più colte dell’epoca, come fenomeno culturale in senso pieno, non privo di valore storico e antropologico. Questo modo di guardare alla storia e alle storie antiche traeva evidentemente origine da una Roma che offriva spettacoli e prospettive di cui abbiamo scarse testimonianze letterarie e figurative dirette, di cui, però, possiamo intuire la potente suggestione 27 A. Englen: Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio evocativa e la fascinazione “ricostruttiva” quale poteva vivere già Petrarca nel suo soggiorno romano e, dopo di lui, artisti come Brunelleschi, Donatello e Leon Battista Alberti o Andrea Mantegna, se guardiamo alle loro opere dove l’antico viene riscoperto e rievocato nelle sue forme a partire dall’esperienza, anche materiale, di quel mondo. A questa suggestiva visione dell’Antico che unisce il passato alla contemporaneità del presente, si riferisce ancora Sigmund Freud, quando nell’opera Das Umbehagen der Kultur, pubblicata a Vienna nel 1930, propone una geniale metafora tra la psiche e la città di Roma dove, attraverso un trasparente palinsesto, tutti i luoghi della città antica si svelano magicamente nel volto della città moderna91. Nello spazio di tempo che corre tra la famosa accorata lettera di Raffaello indirizzata a Leone X nel 151992, il successivo Sacco del 1527 e il pontificato di Sisto V (1585-1590) accompagnato dal programma di distruzione sistematica di quanto restava della Roma antica al fine di recuperarne materiale per la costruzione della città moderna, assistiamo a un progressivo degrado dell’Urbe. Le rare stampe dell’epoca che raffigurano l’area sud ovest del Celio mostrano vestigia di monumenti antichi persi tra le vigne in un quadro di desolazione e abbandono. La fondamentale e insuperata Storia degli scavi di Roma di Rodolfo Lanciani93 e i suoi preziosi Appunti nei codici vaticani ci forniscono un quadro efficace e puntuale di questo periodo, attraverso la trascrizione della documentazione d’archivio che registra le varie autorizzazioni a “cavare”, gli interventi di spoliazione e distruzione del patrimonio antico, il formarsi di raccolte private95. Dalla frequenza degli eventi che Lanciani ci presenta negli Scavi col ritmo di un bollettino di guerra, accompagnato dalla descrizione dei vari e preziosi materiali recuperati, possiamo dedurre che gli edifici in rovina, riconducibili tuttavia alla loro spazialità originaria, fossero sopravvissuti, tra il XV e il XVII secolo, in una quantità di cui non conosciamo la consistenza ma che possiamo immaginare come notevole96. In particolare, fino alla fine del XVI secolo, possiamo ipotizzare che i resti dei monumenti antichi fossero ancora decorati da una parte non trascurabile dei loro rivestimenti marmorei, da colonne, da statue, da epigrafi. Basti pensare che fino al 1589 era ancora in piedi una porzione del Settizonio, poi smembrato per ricavarne materiale da costruzione dall’architetto e urbanista di Sisto V, Domenico Fontana,97 come si evince da stampe dell’epoca e dalle piante di Andrea Bufalini, di Pirro Ligorio, di Mario Cartaro, di Étienne du Pérac. Dell’abbondanza dell’Antico, nella Roma della seconda metà del XVI secolo, sono testimonianza le 121 Memorie di Flaminio Vacca del 157498, dove l’autore elenca sinteticamente ma dettagliatamente le preziose emergenze di cui aveva ricordo, in qualche caso fin da bambino99. Altra testimonianza tangibile della copiosa sopravvivenza delle vestigia della città antica sono le straordinarie raccolte di antichità che si formano nei secoli XVXVII. Pensiamo alla cospicua quantità di opere ancora integre e di altissima qualità confluite, per esempio, nelle preziose collezioni dei cardinali veneziani titolari di S. Marco, Pietro Barbo (1417-1471), poi papa Paolo II, e Domenico Grimani (1467-1523)100 o alla monumentale collezione del cardinale Scipione Borghese (15761633), raccolta nella Villa omonima, composta di opere altrettanto integre e di eccezionale valore101. Le notizie su scoperte o su interventi distruttivi operati in quest’area del Celio, oltre che dalle fonti d’archivio raccolte da Rodolfo Lanciani, sono riferite anche dagli antiquari dell’epoca102. Flaminio Vacca, nel 1574, ci informa del materiale ritrovato ai suoi tempi nell’area del Claudium, specificandone il riuso103; Pompeo Ugonio, nella Historia del 1588, scrive che in questa zona “da più bande si scoprono gran vestigij di vecchie muraglie”104; Cassiano Dal Pozzo, nel Memoriale del 1639 edito da Giacomo Lumbroso nel 1876, scrive che “Nel giardino de’ Padri di S. Gregorio con occasione di cava fu trovata una stanza sotterranea con volta con arabeschi. o per meglio dire grotteschi diversi, con due ritratti di huomo e di donna e le pareti con scherzi di putti, e historia di una Venere che scherza in acqua nuotando”105; Fioravante Martinelli ci dà una notizia precisa sulle spolia- SILANVS FLAMEN MARTIAL EX S. C. FACIVNDVM CVRAVERVNT, IDEMQUE PROBAVERVNT”. Cit. in CIL VI, 1, 1384, p. 303. 84 Ugonio, BCAF, classe I, f. 161r. (numerazione moderna a matita sul foglio di destra, nel margine inferiore). 85 Ugonio, Barb. Lat. 1994, f. 98r. La presenza presso la chiesa di S. Stefano Rotondo, ancora alla fine del XVI secolo, di stele o altri reperti marmorei con la rappresentazione di fauni, può giustificare la consolidata attribuzione a Fauno del primitivo tempio rotondo. 86 Id, ib., f. 89v.: DOMINO NOSTRO/ CL IVLIANO/ NOBILISSIMO AC/ FORTISSIMO CAES./ MEMMIUS VITRASIVS / ORFITVS V C ITERVM/ PRAEF VRBIS IVDEX (anno 356-359)/ SACRAR COGNITIONIS/ TERTIVM/ TERTIVM D N MQ EIVS). La trascrizione di Ugonio dell’epigrafe scolpita sulla “basis marmorea praegrandis reperta in hortis SS. Ioannis et Pauli posteaque ad vineam card. Carpensis translata”, non è citata in CIL VI, 1, 1168, p. 243 (vd. trascrizione del foglio. di Ugonio a p. 41; vd. Onofrio Panvinio (1530-1568) Vat. Lat. 6035, f. 39) Sergio Ortolani, (Ortolani 1925, p. 66, nota 1) riporta la notizia del rinvenimento della base marmorea con riferimento al CIL ma non al ms. di Ugonio; a sua volta Vincenzo Gasdia (Gasdia 1937, p. 73s.), cita solo Ortolani scrivendo del rinvenimento della base marmorea “nella metà del cinquecento, negli orti dei Santi Giovanni e Paolo”. L’epigrafe è citata in ultimo da Franco Panvini Rosati (Panvini Rosati 1955, p. 120) che così la trascrive: Domino nostro/ Cl(audio) Iuliano/ nobilissimo ac/ fortissimo Caes./ Memmius Vitrasius/ Orfitus v(ir)c(larissimus), iterum/praef(ectus) urbi, iudex/ sacrar(um) cognition(um)/ tertium, d(evotus) n(umini) m(aiestati)q(ue) eius. 87 HCC, V, 1982, p. 354, n. 27: bronzo (doppia maiorina?) emesso dalla zecca di Arles negli anni 361-363 d.C.: D/D(ominus) N(oster) FL(avius) CL(audius) IVLIANVS REX. Busto diademato di Giuliano II a d. R/SECVRITAS REI PVB(licae) Il toro Apis stante a d.; sopra, due stelle; nel campo, a d., aquila su corona con corona nel becco; in esergo, T CONST (T: segno di zecca; Const abbrev. antico nome di Arles). Devo la nota numismatica a Gabriella Angeli Bufalini, che qui ringrazio. Ugonio, Barb. Lat. 1994, f. 89v. Bruzio, Vat. Lat. 11872, f.192v. Non citato in CIL VI, 2, 9008, p. 1194. Vd. infra, p. 48 e p. 49, nota 23; Caruso, p. 386. 90 Il passo (“Se Zoanne Bellino fa tanto male voluntieri quella historia, come me haveti scripto, siamo contente remetterne a judicio suo, pur chel dipinga qualche historia o fabula antiqua, aut de sua inventionene finga una che representi cosa antiqua, et de bello significato”) è tratto dalla lettera di Isabella d'Este a M. Vianello, del 28 giugno 1501, pubblicata da Walter Braghirolli (Braghirolli 1877, p. 377), citata da Nicole Dacos (Dacos 1979, p. 26 e nota 8 con bibl.). 91 Freud 1930, pp. 13-16. Devo il suggerimento a questo passo dell’opera di Freud alla prefazione del volume di Maria Andaloro e Serena Romano (Andaloro, Romano 2000). 92 Sanzio 1519, ed. Visconti 1834, pp. 13-32. Relativamente alla responsabilità morale attribuita da Raffaello ai pontefici nella distruzione di Roma antica, vd. in part. p. 15s. “quanti, dico, pontefici hanno atteso a ruinare templi antichi, statue, archi e altri edifici gloriosi! Quanti hanno comportato che …”. 93 Lanciani, Scavi, IV, 1992, in part. pp. 125-240. 94 Per l’area del Celio di cui si occupa questo lavoro ci si riferisce in part. al Vat. Lat. 13031, ff. 134-258, ed. Buonocore, I, 1997, pp. 48-75. 95 Lanciani Scavi, IV, 1992 in part. pp. 127-240. 96 Sulla situazione del Celio tra il XV e il XVIII sec. vd. Pasquali 1993, pp. 73-80. 97 Id., ib., pp. 137-139; vd. anche Panella 1993, pp. 91-93. 98 Vacca 1574 ediz. 1704. 99 Id., ib., p. 6. Mi riferisco, in particolare, al n. 19: “Mi ricordo da pueritia haver vista una buca come una Voragine sopra la piazza di campidoglio” all’interno della quale si era visto un bassorilievo con una “femina a cavallo à un toro”. 100 Sulla storia delle collezioni di antichità raccolte originariamente nel Palazzo di San Marco vd. lo studio di Matilde De Angelis d’Ossat (De Angelis d’Ossat 2011, pp. 23-66). 101 Sulle sculture antiche della collezione Borghese e le vicende legate alla storia della raccolta vd. il catalogo della mostra “I Borghese e l’Antico” (2011-2012), e in part., i saggi di Anna Coliva e Marina Minozzi (Coliva 2011, pp. 19-45; Minozzi 2011, pp. 47-61). 102 Sull’opera degli antiquari vd. Watagin Cantino 1980, pp. 6-8. 103 Vacca 1574, p. 7. 104 Ugonio 1588, p. 25. 105 Dal Pozzo 1639, ed. Lumbroso 1876, pp. 175-211, in part. p. 176s.; vd. Colini 1944, pp. 208-211; Pavolini 2006, p. 40s. e nota 40. 88 89 28 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali Fig. 15.a, b – Iacobo Mazocchi, Epigrafi nel portico e all’interno dei Ss. Giovanni e Paolo, in Epigrammata Antiqvae Vrbis, Roma (1521), p. XXX r.-v. 15.a Martinelli 1725, p. 69. Bruzio, Vat. Lat. 11885, f. 183r: “non è compatibile il dire che qui fosse quella Curia Ostilia ancorché sia inverisimile per altro che l’anticaglie degli archi di travertino et altre cose che in questo sito si vanno giornalmente discoprendo nella vigna massime sotto questo monastero, dove continuamente si cava bellissime statue e marmi, fossero del tempo dei re”. 108 Le ricerche d’archivio intraprese da Mirco Modolo hanno dato soluzione alla quaestio topografica relativa alla Vigna Gugliemina, già collocata da Lanciani e Colini a sud del Clivus Scauri, verificandone la presenza a sud est del Claudium e dando un importante contributo all’assetto topografico dell’area (Modolo 2010, in part. p. 7s.). 109 Il disegno acquarellato, meritoriamente scoperto da Mirco Modolo (Modolo 2010, p. 8, fig. 11), presso il RIBA, nel volume di disegni di Pietro Sante Bartoli, f. 3, riporta la seguente legenda: “A: Pianta di fabrica antica scoperta lanno 1687 nel orto: del/ sig.re stefano guglielmini vicino la navicella overo strada per andare a s. stefano rotondo./B: Nicchie ricoperte di bellissimi 106 107 15.b zioni operate nei confronti del Claudium, durante il papato di Urbano VIII, quando “Delli detti archi, e logge antiche di travertino, la maggior parte è stata gettata a terra, e portati altrove i travertini per fabbriche moderne l’anno 1641”106; Giovanni Antonio Bruzio, nell’edizione italiana del Theatrum Vrbis, ci informa che nell’area del monastero dei Ss. Giovanni e Paolo tra la vigna e “le anticaglie degli archi di travertino”, “si cava bellissime statue e marmi”107. Ancora nel 1687 Pietro Sante Bartoli (1635-1700) ritrova, nel comprensorio della Vigna Guglielmina a sud est del Claudium108, un grande edificio ad aula triabsidato, decorato con pregevole opus sectile sia sulle pareti che sui pavimenti (“bellissimi mischii di varii marmi”) e preziosi dipinti ancora integri. Bartoli stesso disegnò un’accurata planimetria (ora presso il Royal Institute of British Architects) pubblicata da Mirco Modolo109 e documentò, insieme al figlio Francesco, parte dei dipinti ritrovati “dietro l’orto di S. Gio e Pauolo a mano dritta dalla strada che dal coliseo conduce alla navicella”110. Dai Bartoli vennero documentati negli stessi anni i pregevoli e famosi dipinti rinvenuti all’interno “della stanza sotterranea, nel orto delli frati di San Gregorio”, descritti da Cassiano dal Pozzo nel 1639111, di precipuo interesse iconografico per lo studio della cosiddetta “megalografia” all’interno delle “case romane”112. Francesco Bartoli nelle Vestigia e rarità di Roma antica, pubblicato nel 1744, nel capitolo dedicato al Celio, scrive, tra l’altro, di “molti rottami di marmi scolpiti” presenti ancora “nell’orto dietro il convento di S. Gregorio” fra cui un pregevole frammento marmoreo dove in bassorilievo sono raffigurati tre “filosofi” di profilo e a mezzo busto113. mischii di varii marmi/C: Pavimento di dette nicchie che fu comprato dal sig.r cavalier/vit per rimetter in opera nel suo palazzo di amsterdam./D: Sito della baccanale/E: Sito del alltra pittura./F: Scala, che ascendeva alla parte superiore. G: Pitture laterali alla porta della stanza. Le altre di rincontro furono trovate a terra dall’inavertenza de cavatori. Altra pittura sopra la suddetta porta la quale non si mette per essere assai guasta”. 110 Sui dipinti della “Vigna Guglielmina”: Id, ib., pp. 1-20, con figg. e in part. nota 6 con bibl. 111 Vd. de Vos, p. 227s., fig. 19. 112 Su quest’argomento vd. l’aggiornamento di Mirco Modolo (Id., ib., pp. 1-4 con figg. e in part. la nota 6 con bibl.). 113 Ficoroni 1744, I, cap. XIV, p. 85-96 (in part. p. 87s., tav. 89). Cfr. Vat. Lat. 13031, f. 182, cit. in Colini 1944, p. 208, nota 29 e p. 213; pubbl. in Lanciani, Scavi, VI, 2000 p. 84, A. Englen: Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio 16 29 Fig. 16 – Lucio Mauro, Il Celio e l’epigrafe dell’arco di Dolabella e Silano nell’acquedotto claudio neroniano, in Le antichità della Città di Roma (1562), pp. 60-61. Fig. 17 – Pompeo Ugonio, Schizzi sulla Roma arcaica e l’estensione del pomerio da Romolo a Tullo Ostilio, in Theatrum Urbis, BCAF, classe I, 161, (1588 ca.), ff. 160v.-161r. (foto autrice su gentile concessione della Biblioteca Ariostea di Ferrara). 17 30 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali e. Le Opere degli “anticharii” sul Celio “arcaico”. Bruzio e la notizia sullo “scavo” di Urbano Davisi del 1628 fig. 42; vd. anche Panella 1993, pp. 91-93. 114 Biondo 1482, I, Ia p. s.n. e pp. segnate in margine: IXIX, XXII-IXXXIIII; vd. Biondo 1503, pp. 8v., 11r.-v. 115 Id., ib., l.I, par. Xxxii, in margine “Quid. mons Caelius habuit et nunc habeat. Curia hostilia”: “De monte Caelio scribit Liuius libro primo. Caelius additur urbi mons quo frequentior habitaretur eam sedem Tullius hostilius regiae capit ibique habitat. Et infra curiam fecit quae hostilia usque ad patrum nostrorum aetatem appellata est. Et adhuc infra Albanos eum incoluisse montem. Suetonius uero scribit Uespasianum inperatorem templum diui claudii in monte caelio aedificasse”. 116 Flavio Biondo, attribuisce qui gli edifici papali dei secoli VI e VII, presenti sul lato sud del Clivus Scauri (pertinenti a Gregorio Magno, Agapito ecc.), al lato nord del clivus, accanto alla basilica dei Ss. Giovanni e Paolo. 117 Non è questa la sede per un discorso sull’età della prima urbanizzazione del Celio. Mi limito a osservare che, a differenza di Colini, contrario a collocare sul Celio la curia attribuita a Tullo Ostilio, una “cu- Nel descrivere il mons Caelius nella Roma Instaurat Flavio Biondo (1392-1463)114, cita nell’ordine le fonti su cui si è basato: Varrone, Svetonio, Cicerone, Iulio Capitolino, Livio115, e, a proposito delle chiese “quas nunc habet mons Caelius”, come detto prima, propone una descrizione “stratigrafica” dell’area secondo la quale la basilica fu costruita sulle rovine del palazzo abitato dai pontefici (nel VI-VII secolo)116, a sua volta eretto su quella Curia templum che il re Tullo avrebbe edificato e fatto consacrare sul Celio, ospitandovi, in qualità di patres, i notabili di Alba Longa, dopo la distruzione della loro città117 (tav. 1). Prova della presenza della curia di cui parla Livio sarebbero le “fundamenta” di quest’edificio, che Flavio Biondo individua alla base della basilica dei martiri: “Inde est sanctorum Ioannis et Pauli ecclesia, cuius superbi olim aedificii pallatio quod ex romanis pontificibus inhabitauerint nonnulli, et nunc pene funditus diruto continent curiae hostiliae fundamenta”118. Questa interpretazione costituisce un punto di riferimento per buona parte degli antichari successivi, con alcune eccezioni, iniziando con de Vrbis Antiqvitatibvs di Andrea Fulvio del 1545119, fino alla Roma Antica di Famiano Nardini del 1665120, dove gli autori esprimono il loro dubbio circa la veridicità della prevalente interpretazione topografica. L’idea di far coincidere la Curia Hostilia del testo di Livio con la basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, per quanto arbitraria, doveva poggiare su motivazioni che dovevano apparire verosimili. Si è già detto relativamente all’interpretazione delle possenti strutture murarie presenti nella basilica e nell’area adiacente come risalenti all’età dei re121; ipotesi rafforzata dal- la frequentazione, almeno fino al XII secolo122, degli ambienti lungo il Clivo di Scauro, chiusi a nord dalle mura di fondazione della basilica. (A questi ambienti potrebbe riferirsi l’espressione “calcantes limina vestra”, presente in una strofa dell’inno medievale rivolto ai Ss. Giovanni e Paolo dei codici Vat. Lat. 7172 e Parisinus Lat. 1992123). La possibilità di un’esplorazione anche da altri accessi perimetrali della basilica o in coincidenza con il pozzo esistente nell’area presbiteriale, con la conseguente parziale visione di ambienti ipogei sembrerebbe deducibile anche da altre circostanze. Tra queste possiamo considerare: le espressioni usate dagli storici per dichiarare l’antichità del sito, quali: “ut visitur”124, “ut ipsa vestigia demonstrant”125. Linguaggio che, sebbene convenzionale e generico, non esclude la possibilità di una visione diretta anche di parte degli ambienti sottostanti i Ss. Giovanni e Paolo. Tuttavia, a informarci della prima discesa certa alle “case romane”, circa l’anno 1628, è Urbano Davisi (16181686)126. Giulio Pomponio Leto (1428-1497), nell’opera I nomi antichi et moderni dell’antica città di Roma127, ci parla di due curie realizzate da Tullo Ostilio, una al Foro Romano “appresso il tempio della pace”, e l’altra genericamente “in Celio monte”, astenendosi dal dare a quest’ultima un’ubicazione precisa all’interno del colle, non avallando quindi la tradizionale ipotesi che vedeva gli edifici regali nell’area occidentale del colle. Francesco Albertini (ca. 1493-1510), nel primo libro del suo Opusculum pubblicato nel 1510, dopo aver citato Varrone128 e Gellio129 come fonti autorevoli sulla natura e funzione dei due generi di curie dedicate, le une, alle cose divine, le altre, a quelle civili (“CVRIAE duorum generum erant. M. Varrone auctore. In quibus S.P.Q.R. conveniebant: & ubi cura- ria ostilia” viene attribuita al Celio da Mario Torelli il quale, interpretando il “vicus Fabricius” del testo di Festo (180 L) come situato nella propagine nord est del colle, vi colloca la curia. (Sulla curia hostilia vd. anche Coarelli 1993, p. 331s. con bibl.; sulle curiae novae vd. Torelli 1993a, p. 336 con bibl.; sulle curiae veteres vd. Torelli 1993b, p. 337 con bibl.). 118 Id., ib., l.I, par. Xxxii, in margine. “De ecclesiis quas nunc habet mons Caelius”: “ Nunc vero nostris christiani ritus ecclesiis mons ipse in primis est ornatus. Nam ea in parte ad quam in pallatinum montem uergens cliuum scauri habet: hinc monasterium est beati Gregorii in paternis aedibus ab eodem aedificatum. Inde est sanctorum Ioannis et Pauli ecclesia. Cuius superbi olim aedificii pallatio quod ex romanis pontificibus inhabitauerint nonnulli. Et nunc pene funditus diruto continent curiae hostiliae fundamenta”. 119 Fulvio 1545, p. 112. 120 Nardini 1665, p. 99. 121 Vd. supra, p. 19. 122 Il dipinto del Salvatore già sulla parete est dell’oratorio di VIII secolo, ora nell’Antiquarium delle case romane, risale alla fine dell’XI secolo. Ne consegue che il XII secolo è un termine certo ante quem per la frequentazione almeno degli ambienti lungo il Clivus Scauri. Sulla frequentazione delle case in età tardo-antica alto medievale e medievale cfr. Trinci Cecchelli 1978, p. 562; Astolfi, p. 83 e nota 55, p. 108 e nota 282, p. 125; Palazzo, Pavolini, p. 284; Ranucci, p. 309 e nota 4. 123 Vd. Maurice 1899, p. 6s. Devo questo riferimento ad Alessandra Acconci che qui ringrazio. 124 Fra Mariano da Firenze (1518), ed. Bulletti 1931, p. 144. 125 Vedi infra, nota 130. 126 Bruzio, Vat. Lat. 11972, f. 196r.; vd. infra, p. 50. Due licenze a “cavare” tra il Clivo di Scauro e l’orto del convento sono documentate anche nel 1668 (Lanciani, Scavi, IV, 1992, p. 243). 127 Leto 1550a, la quarta p. s.n., dopo la pagina contrassegnata in basso a destra A4: “la corte Hostilia appresso il tempio della pace. Fu anchora un’altra corte Hostilia in Celio monte”. 128 Varro, L.l., V, 46: “In Suburanae regionis parte princeps est Caelius mons a Caele Uibenna, Tusco duce nobili, qui cum sua manu dicitur Romulo uenisse auxilio contra Tatium regem. Hinc post Caelis obitum, quod nimis munita loca tenerent neque sine suspicione essent, deducti dicuntur in planum. Ab eis dictus Uicus Tuscus, et ideo Uortumnum stare, quod is deus Etruriae princeps; de Caelianis qui a suspicione liberi essent, traductos in eum locum qui vocatur Caeliolum.; Id., ib., V, 155: “Comitium ab eo quod coibant eo comitiis curiatiis et litium causa. Curiae duorum generum: nam et ubi curarent sacerdotes divinas, ut curiae ueteres, et ubi senatus humanas, ut Curia Hostilia, quod primus aedificavuit Hostilius rex. Ante hanc Rostras; cuius id vocabulum, ex hostibus capta fixa sunt rostra; sub dextra huius a Comitio locus substructus, ubi nationum subsisterent legati qui ad senatum essent missi; A. Englen: Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio bant sacerdotes res diuinas /Senatus uero humanas: ut erat in curia hostilia/ quam Tulus Seruius rex fecit ubi nunc ecclesia sanctorum Ioannis/ & Pauli: ut ipsa uestigia demonstrant:”), come esempio di curia del secondo tipo cita la Curia Ostilia, collocata “ubi nunc ecclesia sanctorum Ioannis & Pauli: ut ipsa vestigia demonstrant”. Tra gli edifici attribuiti alla II regione, Albertini elenca poi la reggia e la curia-templum di Tullo Ostilio, “Regiam Tullii Hostilii & Templum qui in curiam redegit patribus minorum gentium”130. Nell’Itinerarium Urbis Romae Fra Mariano da Firenze (1477-1523) si richiama all’autorità di Albertini e ripete le citazioni di Varrone e di Gellio, precisando correttamente il carattere di “templum” della curia “in qua habebatur senatus”, attribuendo come Albertini al sito dove “veneranda ecclesia est sanctorum martyrum Iohannis et Pauli in qua eorum corpora sepulta sunt” la curia e la reggia di cui parla Livio: “Hic erat curia Hostilia cum regia Tullii” 131. Lo storico Andrea Fulvio (ca. 1470-ca. 1527), nelle Antiquitates Vrbis Romae (ediz. 1527), come prima il suo maestro Pomponio Leto, non si sbilancia sulla localizzazione della Curia Ostilia nell’ambito del Celio, ma si limita a riferire dubitativamente l’opinione di chi lo ha preceduto sull’esistenza di due curie: “Curiam autem hostiliam duobus in locis fuisse invenio, una iuxta forum, ubi rex hostilius prius abitavi, quam M. Varro scribit fuisse, prope rostra. In ruinis templi pacis superioribus annis inuentum est effractum marmor / ubi incisae litterae. IN CVRIA HOSTILIA. Alteram vero Curiam hostiliam in coelio monte /fuisse scribit Liuius cum inquit Tullus rex curias fecitque hostilia usque ad patrum nostrorum aetatem appellate/ in coelio monte/& ut celebris esset locus/ regiam sibi fecit/ & templum, quod in curiam redegit patribus minorum gentium”132; nell’edizione del 1545 precisa che la basilica dei Ss. Giovanni e Paolo si trovava “iuxta Curiam (ut aiunt) Hostiliam”133. Nell’edizione italiana del 1543134 ripete quanto già scritto nell’edizione latina del 1527: che di curie costruite da Tullo Ostilio ne esistevano due: la prima di cui dice Varrone, situata al Foro, vicino ai rostri, l’altra, di cui dice Livio, da collocarsi genericamente sul Celio. Julio Roscio Hortino (XVI sec.), nella Descriptio aliquot ecclesiarum del manoscritto Vat. Lat. 11904, si allinea all’opinione degli “anticharii” che lo hanno preceduto, affermando che la Curia Ostilia si trovava nel sito dei Ss. Giovanni e Paolo e la reggia sotto l’omonimo monastero, interpretando gli avanzi del Claudium alla base del campanile come le vestigia dell’abitazione reale: “Tutti gli Anticharii si accordano che questa fusse la Curia Hostilia, che era un tempio fatto da Tullo Hostilio re per le genti di Alba che lui, destrutta quella città transferì a Roma. Il congionto monasterio è fondato sopra il Palazzo Reale del medesimo re Tullo, e se ne veggono i vestigii sotto il campanile”135. Iacobo Mazocchi (m 1521), negli Epigrammata antiqvae Vrbis, editi nell’anno 1521, in occasione dell’editto di Leone X in difesa delle antichità romane, trascrive accuratamente sei epigrafi di età tardo antica reimpiegate nella ristrutturazione della basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, visibili all’inizio del XVI secolo “in porticu S. Ioanni & Pauli”, “in pavimento” e “in ecclesia” (figg. 15a-15b). Si tratta di cinque epigrafi sepolcrali136 e di un’epigrafe riferita a un magistrato, il praefectus urbis Amnius Manius Caesonius Nicomachus Anicius Paulinus di cui si ricorda un lavoro di restauro effettuato nel 334137. Sulla sopravvivenza e sull’ubicazione, a distanza di più di due secoli, dei reperti epigrafici descritti negli Epigrammata, fanno fede le postille apposte dall’archeologo Emiliano Sarti (1795-1848) su due dei sei esemplari dell’opera di Iacobo Mazocchi posseduti dalla Biblioteca Apostolica Vaticana138. Le postille di Sarti ci informano inoltre che, nell’area compresa tra la basilica e il convento (“ejusque monumentorum”), sopravvivevano ruderi di veneranda antichità “exigua sacrae vetustatis rudera”, da riferirsi alla presenza, nella prima metà del XIX secolo, di scarsi avanzi di quelle strutture monumentali che Urbano Davisi, alla metà del XVII secolo descriveva come consistenti139. Dall’esemplare della BAV (R.G. Storia III, 3350 postillato) trascrivo qui le epigrafi con il riferimento al CIL e le postille di Sarti sottolineate e tra parentesi quadra: is Graecostasis appellatus a parte, ut multa”. 129 Gell., Noctes Atticae, XIV, 7, 7: “Tum adscripsit de locis, in quibus senatusconsultum fieri iure possit, docuitque confirmauitque, nisi in loco per augures constituto, quod “templum” appellaretur, senatusconsultum factum esset, iustum id non fuisse. Propterea et in curia Hostilia et in Pompeia et post in Iulia, cum profana ea loca fuissent, templa esse per augures constituta, ut in iis senatusconsulta more maiorum iusta fieri possent. Inter quae id quoque scriptum reliquit non omnes aedes sacras templa esse ac ne aedem quidem Vestae templum esse”. 130 Albertini 1510, pp. numerate a penna: Liber primvs, p. 23r. 131 Fra Mariano da Firenze (1518), ed. Bulletti 1931, p. 144: “Hic erat curia Hostilia cum regia Tullii, ut visitur, a Tullio Servio terbio Romanorum rege costituta. Senatus et curia idem erant, licet quorum generum essent, M. Varrone teste, in quibus S.P.Q.R. conveniebant. Curia erat ubi curabant sacerdotes res divinas, senatus vero humanas. “Gellio et Varro scribunt senatus consulta iure non potuisse nisi in loco per augures costituto quod templum appellaretur: non enim omnes aedes sacrae templa. Curia in qua habebatur senatus templum erat. Habebatur modo senatus in aede Apollonis, modo in Concordiae delubro sub dextera curiae Hostiliae. Haec ex Albertino”. 132 Fulvio 1527, IV, f. LXXVIv.: “Hic ubi non plana est, sed prope plana uia. Plana licet uidens castae delubra Minervae. Quae dea natalis coepit habere sui, ubi Quinquatria celebrantur. Erant & alia minora de mense Iuny. Auspicatur autem Mons Coelius à Vico Scauri, ubi nunc est Templum, & Coenobium S. Gregory in Aedibus paternis iuxta Septizonium. Nam ipse adhuc uiuens paternam domum diuo Andreae Apostolo ibidem dedicauerat, post hunc locum statim à sinistris occurrit Aedes. S. Martyrum Ioannis, & Pauli in domo paterna, ubi Iuliani Imp. iussu interfecti, ac sepulti, iuxta Curiam (ut aiunt) Hostiliam”. Cfr. Colini 1944, p. XXI. Noto (diversamente Colini 1944, tav. IIv., nota 18) che Andrea Fulvio precede Ficoroni nell’ esprimersi in termini dubi- 31 tativi sulla collocazione della Curia Ostilia. 133 Fulvio 1545, p. 112. 134 Fulvio 1543, p. 177r. 135 Roscio Hortino 1585, Vat. Lat. 11904, f. 20r. Vd. infra p. 40. 136 CIL VI, 3, 19128, p. 2057; CIL VI, 3, 23194, p. 2373; CIL VI, 3, 21017, p. 2205; CIL VI, 2, 14929, p. 1729; CIL VI, 3, 20765, p. 2181. 137 CIL VI, 1, 1652 p. 356. 138 Mazocchi 1521, p. XXX r.-v. (cit. in Hülsen 1927, p. 549s.). Mi riferisco ai due preziosi esemplari postillati. Il primo (R.G. Storia III, 3350 postillato), che riporta sul verso del frontespizio la dedica dell’autore Iacobvs Mazochivs a “Mario Volaterrano Episcopo Aqvinati”, risulta appartenuta a J.B.L.G. Seroux D’Agincourt (1730-1814) e successivamente all’archeologo Emiliano Sarti (1795-1849), il quale scrive sul retro del I risguardo: “Questo esemplare appartenne al francese D’Agincourt, siccome conoscevasi dall’arme sua gentilizia incisa in rame, ed incollata sulla prima risguarda; la quale per negligenza del librajo è perita, quando io testè feci legare il libro. E. Sarti.”. Il volume ha preziose postille in inchiostro color seppia, con correzioni e aggiunte al testo delle epigrafi (ad opera di contemporanei di Mazocchi: B. Maffei, Antonio Lelio (Laelius Podager ) e un terzo ignoto, come rilevato da Sarti, un disegno a matita ecc.: A p. XXX r. si legge: “Haec totius basilicae descriptio, ejusque monumentorum, ubi hodie exigua sacrae vetustatis rudera servantur. Lapidum fragmenta nonnulla prostant in pavimento, sed quia nullius dignitatis, praetereo”. Il secondo esemplare, identico al primo (Cicognara VI. 3789 postillato), riporta sul retro del frontespizio: “Iacobvs Mazochivs Mario Volaterrano Episcopo Aqvinati”. Anche questo volume è postillato dall’archeologo Emiliano Sarti di cui, grazie al confronto con la copia precedente, si riconosce la grafia e l’inchiostro; ha una nota autografa e xilografie relative a monumenti di Roma. Sui codici epigrafici postillati di Mazocchi, Vat. Lat. 8492 e Vat. Lat. 8495, vd. Buonocore 2004, pp. 241244; sui due volumi della BAV e sul Vat. Lat. 8492: Id. 2006, pp. 91-102. 139 Vd. Vat. Lat. 11872, f. 197r.-v., vd. infra p. 50. 32 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali Tav. 1a Tav. 1b Tav. 1 a, b, c – Flavio Biondo, Roma Instaurata (1482): pp. s.n. sul Celio. Tav. 1c A. Englen: Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio p. XXX r. In porticu S. Ioannis & Pauli GRAXIAE ALEXANDRIAE INSIGNIS EXEMPLI AC PVDICITIAE QVAE ETIAM FILIOS SVOS PROPRIIS VBERIBVS EDVCAVIT PVDENS AVG. LIB. MARITVS MERENTI VIX. ANN. XXIII. M. . II. D. XVI (CIL VI, 3, 19128) Ibidem in pavimento. OBELIO CONSTITUTO BENEMERENTI CONIVGI CVM QVA. C. SEPTIMIA VICTO. RIA ANNIS XXX QUAE VIX. ANNIS. LXI. (CIL. VI, 3, 23194) p. XXX v. Ibidem in ecclesia .D.M. ANICIVS AMNIVS PAVLINVS. VC. PRAEFECTVS VR. BIS REPARAVIT (CIL VI, 1, 1652) Ibidem [nunc in domo Antonii Laelii] [ Hoc epigrammata relatum est etiam in regina Campi Martii charta LXXXI. Sed multo corruptius ideoque inde potius excludendum. Nunc autem est penes Antonium Laelium ] .D.M. A. LAELIO APRO. VIXIT AN. . VII. MENS . X. A. LAELIO PIETATI VIXIT AN. . IIII. . M. . V. A. LAELIVS CRESCES ET CLAUDIA PIETAS FILIS PIENTISSIMIS FECERVNT ET SIBI ET SVIS LIB. LIB. POSTERISQVE EORVM. (CIL VI, 3, 21017) Ibidem [In sacello vestibulo S. Clementis in pariete] [ D M S. CLAVDIVS ANTIPATRVS. SIB. I. ET. SVIS ET HEREDIBVS. PROFILIISQV. EORVM. FECIT. CLAVDIVS. LL.] CLAVDIVS. ANTIPATRVS. SIBI. ET. SVIS. ET HEREDIBVS. PRO FILIISQVE. EORVM, FECIT. CLAVDIVS. LL. (CIL VI, 2, 14929) Ibidem .D.M. C: IVNIO ME Q VIR. CAPITOLINO. (CIL VI, 3, 20765) Raffaele Maffei Volaterrano (1451-1522), nella Descriptio Vrbis Romae pubblicata nel 1523, immagina una Curia Ostilia nel luogo dei Ss. Giovanni e Paolo: “Hostilia cum regia Tulli ubi sancti Ioannis & Pauli aedes”140. Andrea Palladio (1508-1580), nell’Antichità di Roma del 1554, fa corrispondere la Curia Ostilia che la tradizione assegna al Celio con il monastero dei Ss. Giovanni e Paolo (e con il sottostante Claudium). Sulle curie attribuite a Tullo Ostilio scrive infatti: “L’Hostilie furno due et una era uicina al Foro, l’altra doue e il monasterio di San Giouanni, e Paolo”141. Lucio Mauro (secolo XVI) nelle Antichità della città di Roma del 1562 ripete quanto già detto dagli scriptores che l’hanno preceduto, come annuncia sul frontespizio dell’opera; egli colloca, infatti, la Curia Ostilia “Doue è hoggi la chiesa di S. Giouanni, e Paolo”142. Tuttavia ha il merito di trascrivere, come si è già rilevato l’epigrafe dedicatoria dell’arco di Dolabella e Silano (fig. 16)143. Gian Bartolomeo Marliani (1488-1566), nella sua Topographia Antiquae Romae pubblicata nel 1534, elogiata da Colini come “prima trattazione veramente scientifica sul Celio”144, riprende il discorso di Andrea Fulvio e Francesco Albertini, e, citando Festo che chiama Sesto Rufo145, afferma che le curie di Tullo Ostilio erano due, “duobus in locis”, la prima al Foro accanto al tempio della Pace, l’altra sul Celio sul luogo dei Ss. Giovanni e Paolo146. Lucio Fauno (secolo XVI), nella sua opera Delle Antichità della città di Roma, nell’edizione tradotta in italiano del 1548, si limita, come osserva Colini, a “una compilazione accurata dei precedenti”147, riproponendo la tradizionale collocazione della curia edificata da Tullo Ostilio esattamente dove si trova la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, giustificando l’affermazione con la presenza, nelle fondamenta della chiesa, di antiche vestigia (“com’appare qualche vestigio nel fundamento d’essa”)148. Nell’edizione aggiornata della stessa opera, del 1553, Fauno trasferisce la collocazione della curia presso “la punta ch’è uolta al Circo Massimo”, nel comprensorio, quindi, di S. Gregorio, proponendo poi, con una certa confusione, un’interpretazione stratigrafica che vede la Curia Ostilia alla base di un palinsesto alla cui sommità è la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo e nello strato intermedio il “superbo palagio” dei pontefici. Prosegue così l'interpretazione di Flavio Biondo il quale sitiuava le abitazione dei pontefici sul lato sud del Clivus Scauri149. Egli precisa, tuttavia, che, secondo l’opinione di alcuni, la chiesa non sarebbe stata edificata in corrispondenza della curia ma “presso la Curia Hostilia”150. Giovanni Battista Pauliani o Poiana (secolo XVI), nel testo De Iobileo et indulgentiis, scritto in occasione del giubileo del 1550, amplia, rispetto ai suoi predecessori, l’area degli insediamenti “arcaici” sul Celio a due diverse zone, attribuendo due curie “ostilie”allo stesso colle. Sulla sommità, accanto alla chiesa di S. Stefano Rotondo, già ritenuta tempio di Fauno, si troverebbero, infatti, la reggia di Numa e di Tullo Ostilio e la cu- 33 140 Volaterrano 1523, pp. s.n ma 126r.-133v. 141 Palladio 1555, p. 15r. 142 Mauro 1562, p. 60s. “Doue è hoggi la chiesa di S. Giouanni, e Paolo, dalla punta del colle, che è uolta al Settizonio di Severo, fu già la Curia Hostilia, che Tullio Hostilio vi edificò dopo la rouina di Alba, e vi faceua spesso raunare il senato, per le bisogne della Rep.”. 143 Id., ib., p. 61 (CIL VI, 1, 1384. p. 303). Vd. infra, p. 26, nota 80. 144 Colini 1944, p. XXI. 145 Vd. supra, p. 19, nota 23. 146 Marliani 1534, p. 164s., p. 165: “…Curiamque Hostiliam duobus in locis, unam, ut diximus, iuxta forum, in qua Hostilius rex prius habitauit, propè Pacis templum, alteram in Coelio monte, ubi nunc D. Ioannis & Pauli aedes. Liuius: Tullus rex in Coelio monte templum, ordini ab se aucto, curiam fecit, quae Hostilia usque ad patrum nostrorum aetatem appellata est, & quo frequentius habitaretur, eandem sedem regiae cepit.”. Cfr. Colini 1944, p. XXI. 147 Colini 1944, p. XXI. 148 Fauno 1548, p. 61v.: “Che tra le cose più rivedute v’era la Curia Hostilia, la quale fu edificata dal medesimo Tullio Hostilio (…) Questa Curia era posta, dov’hoggi e, la chiesa di San Giouanni & Pauolo, com’appare qualche vestigio nel fundamento d’essa, Ella fù habitata da l’istesso Tullo, per dar concorso & render più frequentato questo Monte”. 149 Vd. supra, p. 30, nota 16. 150 Fauno 1553, pp. 98v.-99r.; p. 98v.: “Presso la punta, che è uolta al Circo Massimo, edificò Tullo la Curia, che fu da lui cognominata Hostilia, diuersa da quella, che s’è presso al Foro Romano posta. Questa del monte Celio dice Liuio che fu doppo la rouina di Alba da questo re edificata, per che ui figurasse il Senato, e i Patritij, che egli haueua accresciuti. Hoggi ui è una chiesa dedicata à San Giouanni, e Paolo, nel cui superbo palagio ha/ p. 99r. /bitarono alcun tempo i Pontefici Romani, benche uogliano alcuni che questa chiesa sia presso la Curia Hostilia”. 34 151 Pauliani (o Poiana) 1550, pp. 221, 226; p. 221: “quod usque adhuc Templum (non sine miraculo) integrum quasi post ruinas reliquiae vrbis superest, diuo Stephano dicatum: quod prope Numa et Tullus Hostilius suam sedem regiam, et curiam (Hostiliam dictam) posuer”; p. 226: “et in alio angulo Palatinum montem versus ubi Tullus Curiam Hostiliam et Forum iam dictum locauerit, beati Ioanis et Pauli martirum sacrae surgunt aedes cum suis beatissimis corporibus”. 152 Cfr. Pavolini 2006, p. 70 e nota 82; Pavolini 2013a, pp. 29-45; Pavolini 2013b, 493s . 153 Vittore ed. Boissard 1597, p. 150. 154 Panvinio 1597b, p. 119s., 130. 155 Panvinio 1597a, pp. 77s., 90. 156 Vd. Colini 1944, p. 428, nota 5; tav. IIv. nota 18. Il passo di Livio “templumque ordini ab se aucto curiam fecit” è interpretato correttamente da Panvinio che enfatizza la parola “templum”, come apposizione di “curiam”. 157 Vd. Varro, L.l., VII, 6, (cfr. Forcellini 1940, s.v. templum, p. 683s.), Fra Mariano da Firenze, ediz. 1931, p. 144. Non si tratta a mio parere di un’errata interpretazione del passo di Livio “templumque ordini ab se aucto curiam fecit” da parte di Onofrio Panvinio, dove la parola “templum”, apposizione di “curiam”, sarebbe letta come sostantivo o dove tempio viene separato dal palazzo reale. Né è prova il fatto che Panvinio attribuisce al Celio, come gli altri antiquari, solo due edifici di età regia: la curia (templum) e la reggia. 158 Panciroli 1600, p. 370. 159 Vacca 1574, ed. 1704, p. 7. 160 Boissard 1597, p. 67. 161 Ugonio, Barb. Lat. 2160, f. 141v. “Santi Giovanni e Paulo. Questa è una bellissima chiesa nel monte Celio, nel loco dove fu anticamente la Curia Hostilia, come convengono li antiquarii (Biondo, libro I, n. 78; Fulvio, libro 2, carta 113; Marliano, libro 4, capitolo 19). Et destrutta detta curia vi fu, come riferisce Fulvio, la casa paterna di detti santi martiri romani Giovanni e Paulo”. 162 Ugonio 1588, p. 28r. 163 Vd. supra, p. 25, nota 71 e p. 33, nota 150. 164 Suet., Claud., I, VIII, 9, 1; vd. supra, p. 19, nota 28. 165 Ugonio 1588 pp. 27v.-28r. p. 27v.: “La Chiesa de SS. Gio. & e Paolo, e nel principio del monte Celio, si conosce manifestatamente lei con il Monasterio appresso, sopra qualche fabrica antica essere edificata. Imperoche, da più bande si scoprono gran vestigij di vecchie muraglie. Il Biondo, il Fulvio, il Marliano, & quasi tutta la Scuola de gl’Antiquarij si accorda che questa Chiesa fusse la Curia Hostilia, che era un tempio fatto da Tullo Hostilio Re per le genti d’Alba, che lui destrutta quella città trasferì à Roma: il qual tempiuo dice Liuio, che fu nelo monte Celio. Uiui appresso era il palazzo ò Regia del medesimo Re Tullo, sopra la quale è fondato il Monasterio congionto a questa Chiesa. Et i vestigij del Real Palazzo dicono esser quelli che si veggono sotto il campanile, e passando più oltre in quelle hortaglie che al Monasterio soggiacciono. Perciòche vi è vna/ p. 28r. /tela di muro lunga incontro al Palatino, nella quale sono in piedi da noue, ò dieci archi di grossi travertini, con i suoi conci & cornicioni simili à quelli dell’Amfitheatro, sopra li archi Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali ria “ostilia” (“Hostiliam dictam”); mentre sulle pendici occidentali del Celio “in alio angulo Palatinum montem versus”, dove si trova la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, l’altra curia e il foro fondati dallo stesso re Tullo151. Prescindendo da una valutazione in merito a una conoscenza autoptica dei luoghi da parte di Pauliani o a una sua supposta (insolita per i tempi), capacità di datazione dei materiali antichi, dobbiamo notare che la sua “versione” topografica del Celio arcaico resta un “unicum”. Egli compie, infatti, due operazioni “originali”: sposta la prima curia e il foro di Tullo Ostilio alle pendici occidentali del Celio e, contemporaneamente, colloca la reggia di Numa e Tullo Ostilio, insieme a un’altra “curia ostilia”, nel settore orientale del colle (fig. 18.a,b). Mentre nel primo caso viene adotta la stessa area del Celio individuata dalla tradizione antiquaria, nel secondo caso possiamo solo immaginare che Pauliani avesse riconosciuto come particolarmente antichi resti di strutture visibili a metà del XVI secolo sulla sommità del Celio. Noto, a questo proposito, che l’area di cui scrive Pauliani potrebbe avere una corrispondenza con il comprensorio dell’attuale Ospedale Militare, dove i recenti scavi effettuati da Paola Palazzo e Carlo Pavolini nell’ambito della Basilica Hilariana hanno messo in evidenza tratti di muro, di frammenti ceramici e di recinzioni sacre databili al VI secolo a.C.152. Publio Vittore (1499-1585?), nella sua opera De Regionibvs Vrbis Romae, pubblicata da J. J. Boissard nel 1597, si limita a fare un elenco degli edifici della Regio II, fra cui, ripetendo alla lettera il testo di Livio, scrive: “Regia Tulli Hostilij, templumque, quod is in Curiam redegit ordine a sé aucto id est a patribus minorum gentium”. La Curia Ostilia, seguendo la tradizione dei suoi predecessori, viene individuata nel sito dei Ss. Giovanni e Paolo: “Vbi templum est SS. Ioannis & Pauli, versus Septizonium Severi, fuit Curia Hostilia: quam Tullus Hostilius erexit, post Albae destructionem: & in hanc saepius conueniebant Senatus de reipublicae negotiis tractaturus: alia quoque Curiam superius à Tullo structam diximus ad Forum Romanum, non procul à templo Pacis, vbi Rex idem suum habuit palatium”153. Onofrio Panvinio (1530-1568), nelle opere Descriptio Qvatvordecim Regionvm Vrbis Romae154, e Antiquae Vrbis Imago, In Sexti Rufi Librvm de Regionibvs Vrbis Romae155, situa tre curie nella Regio VIII: (“Curia; Curia Hostilia sub veteribus; Curia Calabra in Capitolio”); mentre alla Regio II attribuisce due edifici di età regia: “Templum Tulli Hostilij” e una “Regia Tulli Hostilij”. Noto, a questo proposito, che il “templum” non è da intendersi come un terzo edificio oltre la reggia e la curia, come interpreta Colini156, ma come la curia di Tullo Ostilio, fondata sul Celio e individuata nella sua specificità di templum, in quanto “locus manu auguris designatus”157, il “Tempio detto curia”, come dirà Panciroli158. Relativamente all’area del Claudium Flaminio Vacca (1538-1605), nelle sue Memorie di varie antichità del 1574, al numero 22, scrive: “A canto il Coliseo verso SS. Gio. e Paolo vi è una Vigna; mi ricordo vi fu trovata una gran platea di grossissimi quadri di travertini, e due capitelli Corintii; e quando Pio IV. Le Terme Diocletiane restaurò, e dedicolle alla Madonna degl’Angeli, mancandogli un capitello nella nave principale, che per antichità vi mancava, vi mise uno di quelli: e vi fu trovata una Barca di marmo di 40 palmi longa, & una Fontana molto adorna di marmi, e credetemi, che haveva havuto più fuoco che acqua; & ancora molti condotti di piombo. Dicevano esser’il fine di Casa Aurea; e di poi Vespasiano vi fabricò il Coliseo”.159 Nell’opera Romanae Vrbis Topographiae & Antiquitatum, pubblicata a Francoforte nel 1597, Jean Jacques Boissard (1528-1602) evidenzia la desolazione del colle: “In Coelio praeter ruinas obscuras, nihil admodum spectatur notatu dignum”160, tuttavia segue la tradizione che attribuisce alla zona occidentale del Celio, verso il Settizonio, una delle due curie fondate da Tullio Ostilio: “Vbi templum est SS. Ioannis & Pauli, versus Septizonium Seueri”; mentre colloca l’altra, insieme alla reggia, al Foro Romano accanto al Tempio della Pace. Il coltissimo Pompeo Ugonio (m 1614), nel manoscritto vaticano Barb. Lat. 2160, concordando con la tradizione antiquaria, propone che la “Curia Hostilia” si trovi sul luogo dei Ss. Giovanni e Paolo, che sulla curia sia stata edificata la casa dei Santi e su di essa la chiesa161. Tuttavia, nella Historia delle stationi di Roma del 1588162, pur avallando con la sua autorità l’idea che sul luogo dove sorse la “Curia Hostilia” sia stata edificata la casa dei martiri e successivamente, la chiesa eponima e il palazzo dei pontefici, (ripetendo l’errore di Flavio Biondo e di Lucio Fauno, sulla collocazione degli edifici dei papi)163, non concorda con quegli antiquari che identificavano la reggia di Tullo Ostilio con il Claudium. Egli, infatti, non riconoscendo ancora nel monumento il tempio di cui parla Svetonio nella Vita di Vespasiano164, ne posticipa la datazione dall’ “età dei re” a quella “dei cesari”, sia perché non ne ritiene possibile la sopravvivenza in seguito ai rivolgimenti urbanistici attuati in sette secoli di storia, sia perché ne rileva la vicinanza stilistico-strutturale con l’anfiteatro flavio (invece che con strutture realmente coeve al Claudium, quali, per esempio, i fornici dell’acquedotto claudio neroniano trasformati poi in Porta Maggiore)165. vogliono fusse edificata la Regia. Ma à me non pare in alcun modo verisimile, che dal tempo de i Re fino à questa età sia restata simil fabrica, hauendo poi i Consoli nel progresso della Republica, & gl’altri Cittadini potentissimi, & finalmente gl’Imperatori deditissimi al fabricare riuolta la Città di Roma sottosopra con varij edifitij. Credo dunque che la Regia di Hostilio potesse essere in questo medesimo sito, ma quegli archi che vi sono fi huoggi, più tosto deuono esser di qualche fabrica de i tempi de Cesari, che di alcun Re. Appresso questa Chiesa Flauio Biondo dice che habitarono alcuna volta i Papi. Il Fuluio scrive, che questo medesimo loco fu la casa paterna di SS. Giovanni e Paolo, doue come s’è mostro di sopra furono ammazzati e sepolti. Tutto questo che detto abbiamo, può stare che fusse in diuersi tempi”. 166 Solinori 1588, p. 6r.: “Questa Chiesa è nel principio del Monte Celio, vicino alle ruine della casa di Nerone nominata casa Aurea. La qual principuaua nella valle del Palatino, & Celio, & tirava per l’Esquilie infino a Monte Cavallo, dou’era già la Curia Hostilia, così detta da Tullio Hostiluio terzo Re de Romani, che la A. Englen: Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio Esprime un parere simile a Ugonio il suo contemporaneo Sante (Santi) Solinori (XVI sec.) nelle Stationi pubblicate nello stesso anno 1588, pervenendo, però, a una nuova lettura topografica e toponomastica: le imponenti strutture murarie presenti in quest’area del Celio sarebbero da attribuire all’età di Nerone e avrebbero costituito il monumentale complesso della Domus Aurea la quale “principuaua nella valle del Palatino, & Celio, & tirava per l’Esquilie infino a Monte Cavallo”. A questa interpretazione a cui si riferisce anche Giulio Cesare Mancini (1558-1630) nel Viaggio per Roma per vedere le pitture che in essa si trovano si affianca l’idea che la Curia Ostilia fosse stata edificata vicino alla propaggine sud della Domus Aurea su cui, successivamente, sarebbe stata edificata la casa paterna e, su questa, la chiesa dei martiri Giovanni e Paolo166. Il teologo Ottavio Panciroli (1554-1624), nei Tesori nascosti dell’alma città di Roma pubblicati nel 1600, sposta verso l’area del Claudium la collocazione della curia e della reggia di Tullo Ostilio, di cui individua i resti nella proprietà del monastero attiguo ai Ss. Giovanni e Paolo: “De due grandi, e belle fabriche fù adornato questo luogo dal terzo Re de Romani Tullio Hostilio, l’una fù d’un Tempio detto Curia, per le cause, e li negotij publici, che qui si trattauano, che per le cose appartenenti alla religione in vn’altro si congregauano, l’altra d’un nobilissimo palazzo, che fece per se vicino al detto Tempio, di cui fin’al giorno d’hoggi si vedono le ruine nel monasterio di questa Chiesa”. Riportando poi l’opinione di altri prosegue: “Altri vogliono che qui fosse la casa delli stessi martiri Giouanni e Paolo, e che qui anco fossero martirizzati, e fin’al giorno d’hoggi nel mezo della Chiesa è vna pietra di marmo, sopra della quale per comandamento di Giuliano apostata furono decapitati; L’vno, e l’altro, credo io, sia vero, poiche passarono molte centinaia d’anni dal Re Tullo all’Imperator Giuliano, e però non è gran cosa, che qui, doue quel Re haueua fabricato quel Tempio, mancando poi per la vecchiezza, hauessero loro fabricato la propria casa”167. Pompilio Totti (XVII secolo), nelle due opere Roma antica (1627) e Roma moderna (1638), mette insieme sul Celio più notizie tratte dagli autori precedenti e, nella Roma moderna, ricopia quasi alla lettera I tesori nascosti di Ottavio Panciroli. Tuttavia, primo tra gli antiquari, sembra riferirsi al tempio dedicato da Agrippina a Claudio168, quando, collocando la Curia Ostilia accanto alla basilica dei Ss. Giovanni e Paolo, la definisce, con una certa confusione “stratigrafica”, “curia cioè corte Hostilia. Dipoi Claudia”169. Pietro Martire Felini (ca. 1565-1613) nel suo Trattato nuovo del 1610, adottando la versione topogra- 35 18a 18b fece fabbricare, doue li Sacerdoti procuravano le cose sacre”. Sulla presenza di resti della Domus Aurea nell’area dei Ss. Giovanni e Paolo vd. il Viaggio di Giulio Cesare Mancini, nel Barb. Lat. 4315, f. 6 (trascrizione di Rodolfo Lanciani, Scavi V, p. 156, “negl’Horti del Monastero vi sono cose della casa di Nerone fatte probabilmente da Amulio pittor romano”). 167 Panciroli 1600, p. 370s.; p. 370, par. 116 a lato: “De due grandi, e belle fabriche fù adornato questo luogo dal terzo Re de Romani Tullio Hostilio, l’una fù d’un Tempio detto Curia, per le cause, e li negotij publici, che qui si trattauano, che per le cose appartenenti alla religione in vn’altro si congregauano, l’altra d’un nobilissimo palazzo, che fece per se vicino al detto Tempio, di cui fin’al giorno d’hoggi si vedono le ruine nel monasterio /p. 371/ di questa Chiesa”. Vd. anche Panciroli 1602, p. 4. 168 Vd. supra, p. 19, nota 28. 169 Totti 1627, p. 109s.: “Appresso (l. la chiesa di S. Gregorio) si vede da man sinistra il Tempio di s. Giouanni & Paolo, oue eran le loro case; & oue per comandamento di Giulia- Fig. 18 a, b – Giovan Battista Pauliani, Gli insediamenti di età regia sul Celio, in De Iobileo et Indulgentiis (1550), in part. pp. 221, 226. 36 no Imperatore furono ammazzati, & sepolti vicino alla curia, cioè corte Hostilia. Dipoi /p. 110/ Claudia” = Totti 1633, p. 109s.; Totti 1638, pp. 147-149; p. 147 “Delle altre antichità solo appaiono le rouine, come della Curia vecchia, e dell’Hostilia. Sopra queste rouine doppo molte centinaia d’anni fabbricarono la casa loro i SS. fratelli Gio. e Paolo”; p. 697: “Di quattro cose, ch’anticamente furono in questo luogo, d’vna sola ci restò il nome insino al tempo di San Gregorio I che fu del 600, e questa è la calata di Scauro. Nobilissima fu in Roma la fameglia de’ Scauri; ma che fabbrica hauesse in questa altra salita del monte Celio, non si legge, saluo che presso l’arco di Tito si nomina vn palazzo de’ Scauri, nel cui cortile erano colonne di smisurata grandezza. Dell’altre antichità solo appaiono ruine, come della Curia vecchia, dell’Hostilia, e de’ Rostri, che pure vecchi si dissero. Erano le curie fatte in forma de’ Tempij, dove si pigliaua cura, e partito di trattare le cose del ben publico. ….Delle sacre n’haueuano la cura i sacerdoti, & à questi seruiua la Curia vecchia fatta da Romolo. L’Hostilia, che poi fece il terzo Rè de’ Romani Tullo Hostilio, era de’ Senatori per trattarui le cause ciuili. De’ Rostri, ch’erano quì da principio, /p. 199r./ basta quello, che de’ nuoui si è detto alla chiesa de’ SS. Cosimo e Damiano in campo vaccino. Sopra queste ruine doppo molte centinaia d’anni fabbricarono la casa loro i SS. fratelli Gio. e Paolo”. 170 Felini 1610, p. 84: “Si crede che qui prima fosse il Palazzo detto Curia, nel quale si trattavano le liti & negotij publici, fondato da Tullo Hostilio terzo Rè de Romani, & il palazzo per lui stesso, e dapoi per vecchiezza mancando le fabriche, vi fecero le loro habitationi li progenitori di questi duoi gloriosi Santi Gio. e Paolo”. 171 Dempster 1559, p. 14: “Habuit in hoc monte Regiam suam Tullus Hostilius, ut scribit Livius, quae postea Curia Hostilia vocitata est”. 172 Donati 1639, pp. 243-246, p. 245: “Verum ad aedem beatorum Ioannis & Pauli, Tulli Hostilii DOMUS Tertii Romanorum Regis, & CVRIA de eiusdem nomine HOSTILIA fuit. Hic enim Rex diruta Alba Romam Albanos traduxit. Coelius, inquit, Liuius, additur Vrbi Mons, & quo frequentior habitaretur, eam sedem Tullus Regiae capit, inique (sic) deinde abitavit. Templumque ordini à se aucto curiam fecit, quae Hostilia usque ad patrum nostrorum aetatem appellata est”. 173 Donati 1665, p. 323. 174 Vd. infra, p. 23, fig. 6. 175 Martinelli 1668, p. 128: “SS. IOANNIS ET PAULI In cliuo Scauri in Celio, vbi olim altera curia Hostilia. Olim propria eorundem sanctorum domus”; Id. 1750, p. 97: “Quì fu il Palazzo di Tullo Ostilio, terzo Rè de’ Romani, i cui vestigi si vedevano pochi anni or sono sotto il Campanile; e nelle Ortaglie, che al Monastero soggiacciono: e incontro al Palatino vedevasi una lunga tela di muro, nella quale erano in piedi nove, o dieci archi di grossi travertini, simili a quelli dell’anfiteatro; Sopra de’ quali vogliono gli Antiquari fosse edificata la Reggia del detto Ostilio, Ma Pompeo Ugonio. Crede, che la Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali fica maggioritaria, colloca la curia e la reggia attribuite a Tullo Ostilio sul sito dei Ss. Giovanni e Paolo: “Si crede che qui prima fosse il Palazzo detto Curia, nel quale si trattavano le liti & negotij publici, fondato da Tullo Hostilio terzo Rè de Romani, & il palazzo per lui stesso, e dapoi per vecchiezza mancando le fabriche, vi fecero le loro habitationi li progenitori di questi duoi gloriosi Santi Gio. e Paolo”170. Thomas Dempster (1579-1625), nell’opera Antiquitatum Romanorum corpus absolutissimum pubblicata a Ginevra nel 1559, interpreta Livio collocando la reggia di Tullo Ostilio sul Celio e facendola coincidere con la curia171. Alessandro Donati (1584-1640), nella sua Roma vetus ac recens del 1639 si attiene all’impostazione tradizionale, collocando sia la curia che la reggia di Tullo Ostilio presso i Ss. Giovanni e Paolo: “Verum ad aedem beatorum Ioannis & Pauli, Tulli Hostilii DOMUS Tertii Romanorum Regis, & CVRIA de eiusdem nomine HOSTILIA fuit. Hic enim Rex diruta Alba Romam Albanos traduxit. Coelius, inquit, Liuius additur Vrbi Mons”172. Un’interessante stampa, con una immaginaria Curia Ostilia (fig. 19)173, simile a quella presente nella pianta di Pirro Ligorio del 1561174, figura nella terza edizione postuma e riveduta dell’opera di Donati, pubblicata nel 1665. Fioravante Martinelli (1599-1667), nella sua Roma ex ethnica sacra del 1668 e nella Roma ricercata nel suo sito del 1750, non aggiunge nulla di nuovo ai suoi predecessori, attenendosi a Ugonio circa l’attribuzione del Claudium a età imperiale. Nell’edizione, sulle Magnificenze di Roma, del 1725, segue sempre l'opinione tradizionale degli antiquari sulla collocazione della curia e della reggia di Tullo Ostilio, ma ci dà un’importante informazione su un’aggressiva spoliazione ai danni del Tempio di Claudio effettuata nell’anno 1641: “Delli detti archi, e logge antiche di travertino, la maggior parte è stata gittata a terra, e portati altrove i travertini per fabbriche moderne l’anno 1641”175. La tradizionale collocazione degli edifici di età regia nell’area occidentale del Celio, prosegue con Giovanni Severani (XVII secolo), il quale, nei manoscritti su Roma sacra della Biblioteca Vallicelliana, scrive: “Dove è la presente chiesa, o vicin a quella, fu già la Curia Hostilia fatta da Tullo Hostilio, terzo re de’ Romani, dove si convocava il senato et il popolo per trattar le cause secolari, essendo questa differente dalle altre, dove li sacerdoti trattavano le cose sacre de’ loro fideli et intimavano le feste che dovevano farseli et cetera. In questa, della qual parliamo, fu ancora la regia et il palazzo del medesimo Tullo Hostilio e se ne vedono li vestigii appresso alla medesima chiesa. Mancata poi la detta Curia vi ebbero la casa propria santi Giovanni e Paolo”176. Nella letteratura storico-antiquaria su quest’area del Celio, si distingue Antonio Bruzio (1614-1692), il quale, nelle tre edizioni del Theatrum Urbis Romae, editio maior latina Vat. Lat. 11872, editio minor latina Vat. Lat. 11880 ed editio minor italiana Vat. Lat. 11885, oltre a riportare le opinioni dei suoi predecessori (Flavio Biondo, Andrea Fulvio, Bartolomeo Marliani, Pompeo Ugonio, Famiano Nardini) circa la collocazione del- la curia e della reggia di Tullo Ostilio177, aggiunge sul Celio “arcaico”, notizie e dettagli, finora ignorati dagli studi, ma non privi di interesse in relazione alla ricerca storico archeologica sull’area. Nell’articolata opera di Bruzio speciale considerazione merita la trascrizione, nel Vat. Lat. 11872, di un manoscritto a tuttoggi inedito178 del romano Urbano Davisi (1618-1686), il quale, entrato nell’ordine dei Gesuati nel 1636 – diventato nel 1656 procuratore generale e priore del convento dei Ss. Giovanni e Paolo e generale dell’ordine, dal 1662 fino al 1668 (anno della soppressione dell’ordine)179 – era persona di notevole cultura fisico-matematica, seguace del metodo sperimentale galileiano trasmessogli negli studi effettuati a Bologna presso il matematico Bernardo Cavalieri, autore egli stesso di importanti opere scientifiche, dal campo matematico a quello dell’idraulica180. La formazione di Urbano Davisi e la sua lunga presenza nel convento dei Gesuati rendono i suoi appunti particolarmente affidabili dal punto di vista delle descrizioni materiali e metriche dei luoghi, avendo origine da una frequentazione autoptica e dall’abitudine alla precisione e all’esattezza proprie di un matematico. Essi rivestono pertanto un interesse notevole per l’interpretazione topografica dell’area compresa tra il Claudium, la basilica dei Ss. Giovanni e Paolo e il Clivo di Scauro, costituendo una preziosa testimonianza su quanto vi fosse ancora (o già) visibile di “antico” nel XVII secolo, e, in particolare, rappresentano la prima testimonianza ad annum di uno scavo all’interno della basilica dei Ss. Giovanni e Paolo. Il manoscritto ha inizio con un postulato sulla Curia Hostilia, la fabbrica “più antica che habbia la città di Roma o almeno che si sappia”, concepita da Urbano Davisi come un complesso di vaste dimensioni che occupava l’area della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo e lo spazio antistante. Il postulato si basava sulle seguenti motivazioni: - il parere unanime degli antiquari; - il paragone “stratigrafico” tra la “terra smossa” che secondo Davisi si trova alle fondamenta delle “fabriche antiche degli imperatori”, se costruite su edifici più antichi, e la “terra vergine” che “comincia sopra il tufo” che si trova invece nelle fondamenta degli edifici di età antecedente, com’è il caso degli ambienti sottostanti la basilica dei Santi 181, prova, secondo Davisi, dell’attribuzione all’età regia di queste strutture originarie; - la differenza di quota altimetrica tra il “piano della chiesa” e quello sottostante, che “è tanto alto che arriva quasi sopra il mezzo dell’arco del pilastro superiore”, secondo quanto rilevato dallo scavo effettuato circa l’anno 1628. Lo scavo, avrebbe infatti evidenziato uno spesso palinsesto costituito dalle “ruine d’altri edifizii”, ulteriore prova “stratigrafica” per il riconoscimento dell’ esistenza di un primo strato attribuibile all’età regia; - e infine sulla considerazione in cui l’imperatore Claudio avrebbe tenuto, secondo Davisi, la Curia Ostilia, tanto che per “riguardo a questa fabrica” avrebbe fatto deviare il tracciato dell’ acquedotto, nel percorso dal Celio al Palatino. Gli argomenti di Davisi sulla datazione degli edifici antichi, sicuramente discutibili rispetto alle moderne scienze archeologiche, sono tuttavia interessanti sia per- A. Englen: Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio ché testimoniano del perdurare dell’interesse a individuare un sito di età regia sul Celio, sia perché, per la prima volta, ci forniscono notizie dettagliate sui luoghi e datano al 1628 il primo“scavo” nell’area della basilica: nel manoscritto trascritto da Bruzio, infatti, Davisi stesso, datando il suo scritto al 1658, precisa che gli scavi furono effettuati trent’anni prima. Dobbiamo quindi a Bruzio182, se disponiamo, attraverso la trascrizione del manoscritto di Davisi, di dati e valutazioni non presenti in nessuna altra fonte, indipendentemente dalla “scientificità” o meno di quanto asserito. Siamo di fronte a un’interpretazione topografica del sito dei Ss. Giovanni e Paolo e delle strutture antiche limitrofe che, per la prima volta, mette in relazione le “quote” altimetriche del pavimento della basilica di Pammachio con quelle degli ambienti sottostanti (interpretati come “ruine di fabriche antiche”), pervenendo all’acquisizione di vari dati circa: 1. Il pavimento della basilica di V secolo183: per Davisi esso corrisponde a “l’istesso piano che fu fatto da Pammachio a’ tempo di Gioviniano, che fu del 363, e questo è tanto alto che arriva quasi sopra il mezzo del pilastro dell’arco superiore”184; 2. Lo scavo: l’intervento è stato realizzato nell’area compresa tra la tribuna e il termine della navata destra, a distanza di “sei palmi” (cioè circa mezzo metro185) “dalla seconda colonna”. Tale apertura aveva permesso a Urbano Davisi di ispezionare gli ambienti sottostanti, calandosi per una scala di circa 6 metri186 fino alla quota delle “case romane” (le “muraglie ben fatte di mattoni” su cui Davisi precisa: “non ho possuto però accertarmi di che fabrica potessero essere, ma credo che corressero con il piano di detto palazzo”), rilevando con precisione il livello di interramento in cui si trovavano gli ambienti ipogei prima dello scavo stesso “avanti che questo luogo fosse cavato, era seppellita la fabrica tutta sino al detto segno” (cioè: “il mezzo del pilastro dell’arco superiore”187). Lo scavo giunse realmente fino al piano di calpestio delle “case romane”. Infatti, se consideriamo la quota di m 6.15, rilevata dallo studio di Lucia, Valdarnini e Serena Scolastico cui rinvio188, tra l’attuale pavimento della basilica al termine della navata destra e le case Reggia di Ostilio potesse essere in questo sito; ma che fossero quegli archi più tosto di qualche fabrica de’ Cesari, che de i Rè”; Id. 1725, p. 68s. “qui fu il palazzo di Tullo Ostilio III Rè de’ Romani, i cui vestigi dicono esser quei, che si vedevano sin pochi anni sono sotto il campanile, e passando più oltre, in qell’ortaglie, che al Monastero soggiacciono; perciocché vi era una tela di muro lungo incontro al Palatino, nella quale erano inpiedi da nove o dieci archi di travertini, con i suoi conci e cornicioni simili a qelli dell’Anfiteatro, sopra i quali archi vogliono gli Antiquari fosse edificata la Reggia del detto Ostilio. Ma a Pompeo Ugonio non pare in alcun modo verisimile, che dal tempo de i Rè fino a questa nostra età sia restata simil fabrica, avendo poi i Consoli nel progresso della Repubblica, e gli altri Cittadini potentissimi, e finalmente gl’Imperatori deditissimi al fabbricare, rivolta la Città di Roma sottosopra con vari edifizi. Crede dunque l’istesso Ugonio, che la Regia di Ostilio potesse essere in questo medesimo sito; ma quegli archi, che v’erano, più tosto dovevano essere di qualche fabbrica de i tempi de’ Cesari, che di alcun Rè. Delli detti archi, e logge antiche di travertino, la maggior parte è stata gittata a terra, e portati altrove i travertini per fabbriche moderne l’an- 37 Fig. 19 – Alessandro Donati, Cvria hostilia in monte Coelio, in Roma vetus ac recens, p. 323 (1665). 19 romane sottostanti, notiamo che l’altezza della scala cui si riferisce Davisi si avvicina approssimativamente a tale quota (tenendo presente che il pavimento del tempo di Davisi è ancora quello di Pammachio, inferiore di circa cm 60 rispetto a quello attuale189). 3. L’analisi delle murature del complesso dei Ss. Giovanni e Paolo: Urbano Davisi, per primo, ne differenzia la datazione che, sebbene imprecisa nell’individuazione dei periodi storici, è tuttavia corretta in merito alla loro successione cronologica. La parete sud della basilica è infatti considerata l’abitazione dei martiri Giovanni e Paolo, in quanto “facciata d’una casa habitabile”, con un portico antistante e due ordini di finestre, “uno sopra l’altro, come si usa nelle case private”. no 1641. Fuvi anche l’abitazione di alcuni Pontefici”. 176 Vd. Severani, Vallic. G 16, ff. 160r.-162r. “Dove è la presente chiesa, o vicin a quella, fu già la Curia Hostilia fatta da Tullo Hostilio, terzo re de’ Romani, dove si convocava il senato et il popolo per trattar le cause secolari, essendo questa differente dalle altre, dove li sacerdoti trattavano le cose sacre de’ loro fideli et intimavano le feste che dovevano farseli et cetera. Vi fu un’altra Curia Hostilia, dove fu poi edificato il tempio della Pace, della quale si dirà altrove. In questa, della qual parliamo, fu ancora la regia et il palazzo del medesimo Tullo Hostilio e se ne vedono li vestigii appresso alla medesima chiesa. Mancata poi la detta Curia vi ebbero la casa propria santi Giovanni e Paolo”. Vd. Severani, Vallic. G. 26, f. 289v.: “La chiesa dei Santi Giovanni e Paolo fu edificata da san Pammachio nella casa medesima di questi santi, dove hebbero il martirio, la quale era vicina o sopra le rovine della Curia detta Hostilia da Tullo Hostilio, re de’ Romani, che la fece per congregarvi i senatori a trattar delle cose pubbliche”. 177 Bruzio, Vat. Lat. 11872, f. 180v.: “Sanctorum Johannis et Pauli situs expenditur. Curiam Hostiliam hic fuisse plurimorum antiquariorum fert opinio et quid. de Curiae huius vestigiis dictitant. Ugoni non videtur verosimile quod hic Curiae Hostiliae vestigia remanserint et cur, et fornices qui hic videntur cesarianos fuisse putat. Curia Hostilia secunda non videtur ex iis, quae per antiquarios deducuntur, potuisse hic consistere. Negari non debent veterum traditiones tot scriptorum auctoritatibus obfirmatae”; f. 182v.: “Sacer hic locus situs est in angulo Montis Caelii ad acclinem Scaurorum viam, quae a Gregoriana aede se iungit. In secunda regione veteres numerant, recentiores in Ripensi, sed post novissimam partitionem, sedente Urbano VIII, factam tribuitur regioni Campitelli. Veterum Romanorum aedificio impositus creditur magna enim undique antiquitatis vestigia. Blondo, Fulvio, Marliano omnibusque propemodum antiquariis fuit hic Curia Hostilia qua templum a Tullo Hostilio, tertio Romanorum rege, Albanis, Alba diruta, Romam translatis, extructum. De hisce curiis, nempe sacra et prophana, aliquid diximus ad Sanctae Mariae Liberatricis in hac eadem regione, quo lectorem remittimus. Cum Livius affirmet hoc templum in Caelio, coniectant Curiam hic positam nec abfuisse regias Tulli regis aedes, quibus superstructum existimant coenobium. aedi huic adiunctum, asserentes earum vestigia sub turri ac procedentes ad incultos hortos sub coenobio iacentes cum in illis longus contra Palatinum paries, novem vel decem ex ingentibus tiburtinis fornices, stantes cum perpolitis lapidibus et coronis amphiteatricis non absimilibus ostentatum eat, sentiunt hic regiam conditam *Lib. Stat. feriae 6, primae hebdomadae quadragesimae*. Ugonio autem non videtur vero prorsus simile quod a regum memoria ad suam usque, qui Sixto V ad ecclesiam gubernandam sedente, scripsit id. mansisse aedificii. Consules enim Romana re progrediente aliique cives, quibus opes maximae ipsique Caesares, quorum non credibile sumptuosa excitandi aedificia studium, rudera omnia vel antiquissima movisse. Hinc credendum putat regiam Hostilii hic fuisse, sed fornices, qui et hodie extant, caesarianos potius esse quam regios. *Romae Veteris, capitulo 7, libro 3”. Vd., infra, p. 42s.; Id., Vat Lat 11880, ff. 136v.-137r. “ Sacer hic locus situs est in imo monte Caelio ad acclinem Scaurorum viam, quae a Gregoriana aede se iungit. In secunda regione veteres numerant, recentiores in Ripensi veterum romanorum aedificio impositus creditur. Magna enim undique antiquitatis vestigia Blondo, Fulvio, Marliano, omnibus propemodum antiquariis, fuit hic Curia Hostilia qua templum a Tullo Hostilio, tertio Romanorum rege, Albanis, Alba diruta, Romam translatis extructum. Cum Livius affirmet hoc templum in Caelio, coniectant curiam hic positam nec abfuisse regias Tulli regis aedes, quibus superstructum existimant coenobium aedi huic adiunctum, asserentes earum vestigia sub turri ac 38 procedentes ad incultos hortos qui sub coenobio cum in illis longus contra Palatinum paries, novem vel decem ex ingentibus Tiburtini fornices stantes cum perpolitis lapidibus et coronis, quae amphitheatricis non absimiles ostentatum eat, sentiunt hic regiam conditam. Ugonio tamen ad stationem primam in quadragesimali ieiunio sextae feriae non videtur vero prorsus simile quod a regum memoria ad suam usque, qui Sixto V ad ecclesiae gubernaculum sedente, scripsit id. mansissse aedificii. Consules enim romana re progrediente aliique cives, quibus opes maxime ipsique Caesares quorum non credibile sumptuosa excitandi /f. 137 recto/ aedificia studium, rudera omnia vel antiquissima movisse. Hinc credendum putat regiam Hostilii hic fuisse, fornices tamen, qui et hodie extant, caesarianos potius esse quam regios. Nardinus in Roma veteri, cap. 7, lib.3, reg. 2, cum narravit a Blondo et ab aliis dictum hic olim fuisse curiam Hostiliam secundam tamen quam Albanis translatis Tullus aedificavit, se plane ignorare testatur, quo id argumento asseruerint, cum e coronidis fornicumque e Tiburtino reliquiis, quibus turris superstructa inferri non possit, quid. nam fuerit aedificii. Mihi quidem videtur negare quod veteres tradiderunt, dum pro explorato est antiquarios, qui primi lucem attulerunt antiquarum rerum, monumentis traditionibus magna ex parte innixos in noscitandis aedificiorum vestigiis, fama curiae Hostiliae, Liviano testimonio, quod illam in Coelio constituit et inscriptionibus quae in proximo ad divae <Mariae> in Dominica repertae unde Albanae mansiones excipiuntur, incumbens vero dignum efficit hic omnino fuisse vero licet simile minus sit fornices e Tiburtino aliaque quae in dies effodiantur hic in vinea potissimum sub hoc coenobio e cuius solo pulcherrima efferuntur simulacra et marmora per regiam constituta memoriam”. Vd. p. 52; Id., Vat. Lat.11885, f. 183r.: “perché i consoli nel progresso della Repubblica, e gli altri cittadini potentissimi e finalmente gli imperatori deditissimi al fabricare rivoltavano sottosopra le più vecchie anticaglie con nuove fabriche e con varii edifitii, onde crede che la regia d’Ostilio potesse essere in questo medesimo sito, ma quelli archi che vi sono sin oggi piutosto siano di qualche fabrica de’ tempi de’ Cesari che d’alcun re. Il Nardini nella sua “Roma antica”, capitolo 7, libro 3, registro 2, narrando che il Biondo et altri affermano qui essere stata la Curia Ostilia, la 2a però fabricatavi da Ostilio dopo havervi trasportati gli Albani, soggiunge di non sapere con qual fondamento ciò essi habbiano asserito, non essendo possibile da un bel residuo di cornigione e d’archi di travertino, sopra il quale fu fatto poi il campanile, poter argomentare qual fabrica fosse; ma pare a me che ciò sia negare la tradizione degli antichi, essendo certo che gli antiquarii, i quali prima laudarono le memorie antiche, si fondarono in gran parte nella tradizione in riconoscere le vestigia delle fabriche, la qual fama essendo fondata nella sosistenza dell’autorità di Livio, che pone nel Celio la detta Curia, e da inscrittioni trovate appresso la vicina chiesa di Santa Maria in Domenica, ove s’asseriscono le mansioni Albane, sapendosi che qui non molto distanti essi Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali La parete ovest coincidente con il perimetro absidale è invece considerata da Davisi una struttura in cui sono presenti tracce di strutture più antiche, senza “somiglianza alcuna” con la precedente, “tanto nella materia quanto nell’antichità”190, in particolare per la presenza, nell’area della “porta laterale” (cioè nell’angolo sud ovest, accanto alla scala costruita da papa Simmaco191) di “un pilastro di travertino che mostra una grandissima antichità”192, elemento che lo induce a considerare le murature di quell’area come facenti parte della Curia di Tullo Ostilio. 4. La descrizione degli avanzi di strutture monumentali presenti nell’area tra la basilica e il convento alla metà del XVII secolo. Per quanto riguarda il Claudium Davisi continua a considerare “la bellissima fabrica di travertino” un’edificio di Tullo Ostilio193, a distanza di quasi un secolo dall’opera di Pompeo Ugonio che lo attribuisce all’età imperiale194. A nord del monastero, Davisi descrive una vigna di forma “quadra” dove si trovano resti di “edifitii magnifici” e a nord-ovest, verso il Colosseo, rileva “vestigii d’archi che dimostrano esservi stato qualche palazzo o edificio publico, il frontespizio de’ quali era tutto di travertino”; a est rileva resti di edifici termali molto articolati, “una fabrica veramente capriciosa”, forniti da una condotta per l’acqua. Il manoscritto era accompagnato da un disegno illustrativo, non copiato da Bruzio195. 5. Gli interventi di scavo effettuati verso la metà del XVII secolo nell'area termale a nord-est del monastero, con il recupero di una grande quantità di materiali preziosi, fistule di piombo e monete di Costantino: nel primo “vi si è trovato segno di lastrichi di bagni con luoghi che dimostrano vi si facesse il fuoco”; nel secondo, realizzato nell’orto accanto alle terme; “vi si trovò una platea lastricata di marmi fini et una quantità di capitelli di colonne d’un palmo e mezzo di diametro e per tutti quanti questi horti, quando è stato cavato, si sono trovati marmi travertini, colonne d’alabastro, e di presente 1658 si è trovata una bellissima colonna di giallo e condotti di piombo con lettere che dicevano: DOMITIANI. CAES. AVG. SVB/CINI CLEMENTIS/ DOMITIANI. CAES.AVG. GERM./ POSTVMIVS. AMERIMNVS. FE/ AMERIMNUS. FE/ POSTVmius196. Plumbeae fistulae per aquas (sc. per quas) aqua ducebatur, ponderatae fue[runt] librae 450. Che sì come era prima il più nobil sito della città, così era anche ornato sopra tutti, o al paro degli altri, e potria essere vi fosse il palazzo dell’istesso Costantino e segno ne dà il trovar che si fa nel maneggiar la terra di molte medaglie di Costantino”197. Famiano Nardini (m. 1661) nell’opera postuma Roma Antica pubblicata nel 1665, mette in dubbio criticamente, perché non appoggiata a suo parere su validi motivi, la corrispondenza tra il sito dei Ss. Giovanni e Paolo e la curia edificata da Tullo Ostilio sul Celio198: “Dove oggi è la chiesa di S. Gio. e Paolo essere stata la Curia ostilia, la seconda però fabbricatavi da Ostilio, dopo avervi trasportati gli Albani, si dice dal Biondo, e da altri, ma con quale autorità, o indizio non mi è noto”199. L’opera di Nardini ha una nuova edizione latina, Roma Vetus, nel 1732200 e infine, nel 1818, una quarta edizione, con il titolo di Roma Antica di Famiano Nardini, curata da Antonio Nibby, “accresciuta delle ultime scoperte con note ed osservazioni critico antiquarie di Antonio Nibby”201. Si distingue dalla storiografia coeva, per ampiezza e impegno, lo studio di Filippo Rondinini (1682-1718) il quale, nel volume De Sanctis Martyribus Johanne et Paulo, pubblicato nel 1707, dedica un intero capitolo al Celio e alla sua storia in relazione alla basilica dei Santi. Nel capitolo sesto sono, infatti, puntualmente ricapitolate sia le fonti di età classica, su cui si fonda la tradizione antiquaria che individua nella Regio Secunda i monumenti di età regia, sia le diverse interpretazioni delle fonti operate dagli antiquari dei secoli XV-XVII, con riferimento alle varie ipotesi sulla collocazione della reggia e della curia di Tullo Ostilio nell’area sud occidentale del Celio202. I fratelli Rossi (XVII-XVIII sec.) nella Descrizione di Roma Antica (1727), dopo una dotta descrizione sul Celio, dove viene citato Dionigi di Alicarnasso, Livio, Tacito e Cornelio Nepote, collocano la reggia e la curia di Tullo Ostilio “vicino” alla basilica203; nella Descrizione di Roma Moderna seguono invece la tradizionale collocazione della curia sulle fondamenta della basilica dei Ss. Giovanni e Paolo204. Francesco Ficoroni (1664-1747), nelle Vestigia e rarità di Roma Antica del 1744205, premette che non è in grado di riconoscere nel Claudium la Curia Ostilia (segno che all’inizio del XVIII secolo se ne ipotizzava ancora la collocazione in quell’area) ma dà interes- Albani erano aquartierati, non è compatibile il dire che qui fosse quella Curia Ostilia ancorché sia inverisimile per altro che l’anticaglie degli archi di travertino et altre cose che in questo sito si vanno giornalmente discoprendo nella vigna massime sotto questo monastero, dove continuamente si cava bellissime statue e marmi, fossero del tempo dei re. In progresso poi di tempo hebbero qui la casa i gloriosi santi Giovanni e Paulo fratelli nobili romani, i quali vissero nel tempo di san Liberio Papa e si allevarono nella Corte imperiale”. Vd., infra, p. 57. 178 Bruzio, Vat. Lat. 11872, 196r.-198v., vd., infra, pp. 5052. Il ms. di Urbano Davisi (sono state vane le ricerche del ms. effettuate da Sofia Barchiesi sul fondo dei Gesuati presso l’Archivio di Stato di Venezia, su mia richiesta), nella trascrizione che ne fa Antonio Bruzio, non era nota né a Lanciani, né a Colini né a Krautheimer. D’altra parte sia il Vat. Lat. 11872 che le altre due versioni “minores” del Theatrum Urbis di Bruzio (Vat. Lat. 11880 e Vat. Lat. 11885) erano scarsamente conosciute nella loro integrità (poche le citazioni fra cui Hülsen) e finora trascritte solo in minima parte. 179 Nell’anno 1668 sono documentate due licenze a “cavare” tra l’orto di Cornovaglia, di fronte al Claudium e l’orto del convento dei Ss. Giovanni e Paolo. (Lanciani, Scavi, IV, p. 243). Sull’insediamento dei Gesuati e la soppressione dell’ordine Vd. Barchiesi e Ferrara, Caelius II, 2, c.s. 2014. 180 Meschini 1987, in D.B.I., pp. 171-173. 181 Bruzio, Vat. Lat. 11872, f. 196r., vd. p. 50. 182 Vd. Barchiesi, Caelius II, 2, c.s. 201. 183 Vd. Astolfi, p. 83. 184 Bruzio, Vat. Lat. 11872, f. 196r., vd. infra, p. 50. 185 Se consideriamo come misura l’antico palmo romano che è di circa cm 7,41. A. Englen: Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio santi informazione circa: l’esistenza, nella biblioteca dei Padri Passionisti, di un “gran pezzo di tubo che portava 23 libre d’acqua a qualche gran fonte”, che sembrerebbe corrispondere ai “condotti di piombo” di cui scrive circa un secolo prima Urbano Davisi206; il ritrovamento, presso gli archi sul lato sud della basilica, “creduti della detta antica Curia Ostilia”, di “quattro sedie di marmo, che si conservano nelle scale del Palazzo de’ Duchi Mattei” e di un bassorilievo con tre teste di filosofi, nel vicino orto di S. Gregorio, come segnalato da Rodolfo Lanciani207. Giovan Battista Piranesi (1720-1778) nella didascalia che accompagna la stampa n. 205 sul Claudium nella sua monumentale opera sulle Antichità di Roma pubblicate nel 1756208, cosi scrive: “avanzo del serraglio di una parte delle fiere per uso dell’Anfiteatro Flavio: Questo avanzo dimostra in tutte le sue parti nel tomo IV dalla tav. LIII alla tav. LVI. Esso fu fabbricato da Domiziano con due ordini di archi. L’ordine inferiore è interamente ricoperto (…) Ne’ cavi da me fattivi fare negli anni scorsi (…) si debbe supporre, che questo fusse un serraglio di bestie o di volatili sociabili”. Nella didascalia della stampa 206 si legge: “ Chiesa de’ SS. Giovanni e Paolo fabbricata ne’ tempi bassi sulle rovine della loro casa, di cui si sono scoperti ultimamentegli avanzi mediante uno scavo di cento palmi [cioè circa 7 metri e mezzo]209 dal piano moderno della Chiesa fino al piano antico di Roma210 . Gli archetti che rimangono a uno dei fianchi della stessa Chiesa, non solo per la loro mala costruzione, ma anco per esser fondati sul rialzamento del predetto piano antico, dimostrano parimenti di essere stati fatti ne’ tempi bassi per corroborazione e appoggio della medesima come fondata sulla istabilità di detto rialzamento”211. L’importante notizia sullo scavo Piranesi, effettuato negli ambienti sottostanti la basilica dei Ss. Giovanni e Paolo a metà del XVIII secolo (il secondo, più di un secolo dopo quello di Urbano Davisi212), viene riportata da Nibby in una nota all’edizione dell’opera di Nardini del 1818: “Gli avanzi della casa de’ SS. Giovanni, e Paolo furono scoperti verso la metà dello scorso secolo 100 palmi sotto il piano della Chiesa. Gli archi, che veggonsi sullo clivo di scauro appoggiar la Chiesa di S. Giovanni e Paolo sono del medio evo”213. Dominique Magnan (17311796), nella Città di Roma del 1779, dà voce all’incertezza dei suoi tempi circa il riconoscimento dei resti di edifici antichi nell’area dei Ss. Giovanni e Paolo limitandosi a dire che “Nella clausura de’ Passionisti e ne’ contorni si trovano molte rovine, ma non si sa bene a quali antichi edifizj appartenessero”214. Antonio Nibby (1792-1839)215, nella descrizione di Roma nell’anno 1838, ripete, ampliando e precisando il discorso, quanto già detto in nota al testo di Nardini216 riferendo che “gli scavi fatti ai tempi di Piranesi presso la chiesa de’ ss. Giovanni e Paolo sulla piazza hanno mostrato il piano antico di Roma in quella parte essere da 100 palmi più bassa del suolo odierno”217 e che “è ragionevole il nome di Linfeo di Nerone dato a queste sostruzioni (sc. del Claudium), altrettanto stolto è quello di Curia Ostilia che diedero loro alcuni moderni descrittori di Roma, poiché oltre la natura della fabbrica è certo che la Curia Ostilia fu nel Foro Romano”218. Nibby precisa inoltre che “Gli archi, che veggonsi sullo clivo di scauro appoggiar la Chiesa di S. Giovanni e Paolo sono del medio evo”219. 186 Ho ipotizzato questa misura considerando che l’altezza media di un gradino in una scala a pioli misura circa 18-20 cm e che Davisi parla di una scala “almeno di trenta gradini” (Bruzio Vat. Lat. 11872, f. 196v.). 187 Id., ib., f. 196r. 188 Vd. Vadarnini, Scolastico, Caelius II, 2, c.s. 2014. 189 Vd. Krautheimer 1937, p. 285. 190 Bruzio, Vat. Lat. 11872, f. 196v., vd. p. 51. 191 Vd. Barchiesi, Ferrara, Caelius II, 2, c.s. 2014. 192 Bruzio Vat. Lat. 11872, f. 197r. Sui pilastri dell’area absidale: vd. Astolfi, p. 102, nota 212; Palazzo, p. 156, fig. 17. 193 Bruzio, Vat. Lat. 11872, f. 197r., vd. p. 51. 194 Vd., supra, p. 34s. e nota 165. 195 Bruzio, Vat. Lat. 11872, f. 198r., vd. p. 51. 196 CIL XV, II, 1, 7660, p. 962: “Amerimnus plumbarius fistulae”. Il CIL fa riferimento al ms. di Bruzio Vat. Lat. 11872 “Brvt, III, p. 198”, e all’anno 1658 ma l’epigrafe fu vista non da Bruzio, come riporta il CIL, ma dal priore dei Ss. Giovanni e Paolo Urbano Davisi, secondo il “diario” di Davisi stesso trascritto da Bruzio. Il CIL (XV, II, 1, 7278, p. 920) registra un’altra epigrafe riferita a una fistula sempre opera di Amerimnus, vista nell’orto dei Ss. Giovanni e Paolo da Bianchini nel 1694. Vd. Lanciani 1880, p. 159: “che si dice scendesse alla meta sudante fu fatta da Domiziano ‘sub cura’ di M. Arricino Clemente con l’opera dello stagnaro Postumio Amerimno. Misurava nel diametro minore m 0, 223 ed era capace di once 276 pari a 176 quinarie”;.vd. anche Panvini Rosati 1955, p. 118, rif. a “tres fistulae plumbae, saeculi. p. C. II fere ineuntis, prima origine ignotae, altera reperta in horto coenobii SS. Iohannis et Pauli (alterum exemplum ib. erutum una cum n. 7278), tertia lamina pertinentes ad castellum plumbeam reperta in horto coenobii SS. Iohannis et Pauli: P. Postumius Amerimnus fec(it)”. Il pas- so del Vat. Lat. 11872, f. 198r., da “segni di lastricato” (letto “lastrichi”) fino a “AMERINVS FE”, è trascritto da Mariano Armellini (Armellini 1841, p. 511). 197 Bruzio,Vat. Lat. 11872, f. 198r., vd. p. 51. Per l’area descritta tra il Claudium e il complesso dei Ss. Giovanni e Paolo vd. Pavolini 2006, pp. 29-30 con note. 198 Vd. p. 25, nota 72; cfr. Colini 1944, p. 142, nota 25. 199 Nardini 1665, l. III, cap. VI, p. 99. 200 Nardini 1732, cap. VII, col 1000: “Ubi nunc Ecclesia SS. Ioannis & Pauli est, Curiam olim fuisse Hostiliam secundam, ab Hostilio traductis in urbem Albanis exstructam, Blondus opinatur; cui & alii assentiuntur: at quo auctore, quove indicio, iuxta me nescire fateor cum ignarissimis”. 201 Nardini ed. Nibby 1818. 202 Rondinini, 1707, pp. 59-68, in part. pp. 62-68. 203 Rossi, Rossi 1727a, pp. 25-28; p. 27s: “ La salita verso la Chiesa, e Monastero de’ Santi Giovanni e Paolo, fu anticamente chiamata il Vico di Scauro, vicino alla quale era il Palazzo di Tullo Ostilio terzo Re de Romani, e la Curia da lui cognominata Ostilia”. 204 Rossi, Rossi 1727b, p. 202 : “ Vedesi dall’altra parte della strada, che guida verso il giardino Mattei, e alla Navicella, questa nobil’ Chiesa delli menzionati Santi Fratelli MM. Edificata dal S. Monaco Pammachio, nel quarto secolo, dove fù la loro abitazione, & anticamente la Curia Ostilia”. 205 Ficoroni 1744, vol. I, p. 87 (cfr. Vat.Lat. 13031, f. 182):“Così il portico, sul quale è fondato il campanile di struttura de’ secoli barbari, come il Convento sono degni di essere considerati, essendo costrutto sopra alti archi di gran pezzi di pietra tiburtina. Se questo antico edificio appartenesse all’antica vecchia curia io non saprei dirlo. Nella Biblioteca di detti esemplari religiosi si conserva il gran pezzo di tubo che por- 39 tava 23 libre d’acqua a qualche gran fonte. In un lato di detta Chiesa, che corrisponde alla pubblica via rimangono rovine d’archi di terra cotta creduti della detta antica Curia Ostilia per esservi anche ritrovate le quattro sedie di marmo, che si conservano nelle scale del Palazzo de’ Duchi Mattei, la cui villa è congiunta a i predetti rovinati archi”. (cfr. Colini, p. 208, nota 29). 206 Vd. Bruzio, Vat. Lat. 11872, f. 198 r., vd. p. 5. 207 Lanciani, Scavi, VI, p. 84. 208 Piranesi 1756, t. I, p. 24: stampa 206. 209 Per la misura del palmo vd. supra nota 185. 210 Cfr. Ranucci, p. 71. 211 Piranesi 1756, t. I, stampa 206. 212 Vd. supra, p. 37s. 213 Nardini ed. Nibby 1818, t. I, l. III, p. 200, nota 3. 214 Magnan 1779, t. IV, col. 18. 215 Nibby 1838, p. 19s.: “…gli scavi fatti ai tempi di Piranesi presso la chiesa de’ ss. Giovanni e Paolo sulla piazza hanno mostrato il piano antico di Roma in quella parte essere da 100 palmi più bassa del suolo odierno e quelli fatti negli anni 1821 e 1822 presso la chiesa di S. Tommaso in Formis ed il fornice di Dolabella, entro la villa già Mattei, veduti da me, fecero conoscere che il piano antico ivi era circa 40 palmi sotto: /p. 20/ quindi il greppo, sul quale sono in parte la villa testè ricordata, e la vigna, chiesa, e monastero di s. Gregorio, era molto più basso del rimanente del colle, e come separato dal ripiano principale. La roccia di questo monte sotto il convento de’ ss. Giovanni e Paolo, ed il giardino annesso si ravvisa in una grandiosa latomia antica: essa è di tufa litoide: in altre parti è di tufa ricomposto, e granulare”; Id. 1839, II p. 658: “Quanto è ragionevole il nome di Linfeo di Nerone dato a queste sostruzioni (sc. del Claudium), altrettanto stolto è quello di Curia Ostilia che diedero loro alcuni moderni descrittori di Roma, poiché oltre la natura della fabbrica è certo che la Curia Ostilia fu nel Foro Romano. Piranesi suppose in questo luogo un Vivarium, o serraglio di belve, che dice edificato da Domiziano per uso dell’Anfteatro, opinione non improbabile considerando la natura di quel portico a tre piani, la prossimità dell’Anfiteatro, ed il potere entro ciascun arco porre le gabbie contenenti le fiere”. 216 Vd. supra, p. 38. 217 Nibby 1838, p. 19. 218 Id, ib., p. 20; vd. supra, nota 215. 219 Nardini ed. Nibby 1818. 40 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali Appendice: Fonti Manoscritte I manoscritti qui trascritti, anche quelli citati dagli studi (Krautheimer, Hülsen, Colini), sono nella loro integrità inediti. Su di essi e sui testi a stampa mi sono basata per il lavoro sul Celio “arcaico”. Ho scelto di trascrivere interamente le tre versioni del Theatrum Urbis di Antonio Bruzio, trattandosi dei testipiù ricchi di notizie sull’area dei Ss. Giovanni e Paolo. Nel lavoro di trascrizione sono stata aiutata da Anna Maria Lorenzoni, la quale ha interamente curato la trascrizione dei mss. di Bruzio (Vat. Lat. 11880, ff. 136v.142r.; Vat. Lat. 11885, ff. 182v.-192r.) di Ugonio: Vat. Lat. 1994, f. 89v. e Barb. Lat. 2160, ff. 141v.-142r. A lei esprimo gratitudine e grande riconoscenza. I mss. trascritti sono privi di commento, note e riferimenti se non minimi. Fonti Manoscritte Julio Roscio Hortino (XVI secolo) Vat. Lat. 11904 Descriptio aliquot Ecclesiarum Romanarum, Auctore. Julio Roscio Hortino, Romae 1585, ff.19 v.-21r. f. 19 verso È opinione di giuditiosi huomini, che la chiesa di San Giovanni e Paulo nel monte Celio fusse edificata da Pammachio, huomo di stirpe patritia e consolare, amicissimo di San Girolamo, circa gli anni del Signore 400 nel pontificato di Anastasio primo, sendo imperatori Archadio e Honorio fratelli, e che perchiònelle antiche scritture sia questa chiesa il titolo di Pammachio nomata, come il titolo di Calisto, di Damaso, e di Castore e di altri, nel Concilio Romano sotto Simmaco primo nel 499 dove, tra gli altri preti che vi si nominano del tempo di Gelasio primo, ve se nomina Gordiano e Giovanni, preti di Santi Giovanni e Paolo nel f. 20 recto titolo di Pammachio. Anastasio Bibliotecario nella vita del detto Simmaco narra come egli fece a San Giovanni e Paolo i gradi dopo la tribuna. Tutti gli Anticharii si accordano che questa fusse la Curia Hostilia, che era un tempio fatto da Tullo Hostilio re per le genti di Alba che lui, destrutta quella città transferì a Roma. Il congionto monasterio è fondato sopra il Palazzo Reale del medesimo re Tullo, e se ne veggono i vestigii sotto il campanile. Dice il Biondo che qui habitarono alcuna volta i Papi. Fulvio scrive che questo luocho fu la casa paterna d’i Santi Giovanni e Paolo, dove furono da Terentiano ammazzati, e sepolti. Il porticho spatioso di questa chiesa volto a levante, sostentato da 8 colonne, 2 de le quali sono di bellissimo mischio, fece un prete detto Giovanni, cardinale di questo titolo, come nel frontispizio si legge, sotto il quale vi è una sola porta assai grande di marmo incorniciata con una riga di musaicho nel mezzo1. La chiesa è sostenuta da 20 colonne che in 3 navi la dividono e 2 altre colonne, assai belle, sostengono il coro medemamente fabricatovi da l’ Illustrissimo Sans mentre era di questa chiesa titolare. Il pavimento della nave di mezzo è in varii luoghi di vaghi lavori intarsiato. L’altar maggior, tutto guarnito di mischio verde, ha sotto la confessione, di sopra il tabernacolo, come nell’altre chiese antiche, sostenuto da 4 colonne. La tribuna è nella parte più bassa incrostata di tavole di marmo distinte con fregi di pietre di più colori, et, alquanto più sopra, una cornice pure di marmo che gira tutto il semicircolo e pocho più sopra un ordine di colonnette, che similmente va intorno. La curvità della tribuna, è ornata di figure moderne. Regole di massima seguite nella trascrizione: 1 - svolgimento di tutte le abbreviazioni. 2 - normalizzazione di minuscole e maiuscole. 3 - segnalazione, mediante sottolineatura e nota a pié di pagina, delle parole incerte o delle lacune. 4 - qualche rara integrazione di lettera mancante, che poteva far pensare ad una mia omissione o cattiva lettura, in parentesi angolari < >. 5 - eventuali aggiunte marginali dei testi mss. sono rese in grassetto e ricomprese tra due asterischi. Data la prevalente provenienza dei testi mss. citati dalla Biblioteca Apostolica Vaticana, è stata scelta la dizione foglio (f.) per carta, e fogli (ff.) per carte, secondo l’uso vaticano. Nel caso di mss. con moderna cartulazione è segnata l’ultima numerazione e tra parentesi il numero originario. f. 20 verso 1l resto della chiesa è tutto imbianchato. Quella porta, che è a man dritta dell’altar grande, vi fu da principio, e, per essere la salita difficile, papa Simmaco vi fece le scale. Nella nave principale sono rincontro all’altro 2 altari di vaghe pietre e colonne ornati. Spatio di marmo chiuso per la cappella de’ cantori. Guglielmo Hencavort, cardinale thedescho, titolare di questa chiesa, la restaurò, come mostrano l’arme sulla facciata della chiesa sotto quella di Adriano, e finalmente Sans l’<ha> ridotta in quella forma che oggi si vede. Reliquie Sotto l’altar maggiore sono i corpi de’ Santi Martiri Scillitani così detti dall’Isola scillitana, cioè d’i santi Speratio, Cirino, Felice, Letario, Natalio, Beturio, Aquilino, Januario, Santa Generosa, Belissa, Bestina, Donata, Seconda. Sotto l’altare di San Saturnino è il suo corpo. Sotto l’altare di San Nicola vi sono delle reliquie di esso santo, di Santo Stefano, di San Silvestro papa, e di tutti li apostoli e un vaso di vetro pieno di sangue di Santi Martiri, con altre reliquie di Santi Chrisanto e Daria. Sotto l’altare a man dritta di santi Giovanni e Paulo, è una cassa piena di diverse reliquie. Ne l’ altare che è rincontro vi è una testa che si crede sia di uno di doi, o di San Giovanni o di San Paulo. Sotto l’altar della Madonna, nella nave minore, che sta a man destra entrando, vi è un vaso di piombo con dentro assai vasi, parte di legnio, e parte di vetro, pieni qual di sangue e qual di ossa di martiri, e qual di terra con il sangue incorporata. f. 21 recto Dove è quella ferrata nella nave di mezzo distesa quello è il loco, dove i Santi Martiri Giovanni e Paulo, riceverono il martirio2. Tengono questa chiesa oggi li frati Gesuati, che ebbero principio da Giovan Colombino Senese, quali non prendono ordini sacri, ma con le fatiche delle sue mani servono a Dio, et si sostentano, e qui in Roma si occupano in stillare acque de diversi fiori e herbe, così per medicina, come per odore. Vi è statione il primo venerdì di Quadragesima. Pompeo Ugonio (m. 1614) Vat. Lat. 1994 Theatrum Urbis, f. 89 verso. (Tav. 2). f. 89 verso quia Iulianus Apostata hic occidit sanctos [………] T. Sanctorum Ioannis et Pauli cum coenobio. Baronius t. 4 p. 96. Persecutionem Romae Iuliano connivente et absente per praefectos actam dicit. Dolebat Iulianus quod Constans Augustus nobilem aram Victo- 41 A. Englen: Appendice: Fonti manoscritte riae, in Capitolio romano sitam, iusserat tolli (nota in Capitolio). Ea sub Magnencio tyranno restituta est, eadem rursus a Constantio tolli iuxta quod testatur Symmacus in orationem ad Valentinianum. Ea de causa tumultuatur sepe sub ipso Constantino et deinceps sub aliis imperatoribus. Causa pretexta tempore Iuliani in Christianos quod ex templis deorum expilacio[ne] ditati essent et quia Christus monet relinquere divitias. Ideo fiscus in Gallicanum, virum(?) consularem, invadit. Hic fuit gener Constantini, de quo plus(?) Baronius. Restituti(?) Romae Hilarius, Gallicani amicus, sicut Donatus episcopus aretinus. Trunco capite a Terenciano, praefecto pretorianorum, Ioannes et Paulus, in aulam olim Constantini magni educati, secreteque domi sepulti dissipato rumore eos in exilium actos, rem tamen daemones enunciarunt, quam ob rem Terentianus enuntiatus(?) est. Notat Baronius haec acta esse absente Iuliano in Oriente, idest acta esse mandata, nec illa integre quae ferunt Terencianum ipsum scripsisse. Eodem die martyrii sanctorum Ioannis et Pauli Iulianus in Oriente occisus est in Perside. Pigmenius presbiter tituli Pastoris hoc eodem tempore a gentilibus in Tyberim iactus est 9 kalendas aprilis. Extant acta (inquit Baronius) nonnihil corrupta. Pridie nonas ianuarii […] ex martyrologio ex clero romano: Priscus presbiter et Priscillianus ordinis inferioris clericus. Benedicta, Dafrosa, uxor Flaviani ex praefecti, Bibiana et de ea, de matre ac de sorore Demetria, quas Ioannes presbiter tumulavit, Baronius ait de patre Flaviano praefecto extant acta depravata. Ioannes presbiter nono kalendas iunii via Salaria veteri decollatus ante simulacrum solis corpusque eius a Concordio presbitero sepultum ad concilia Martyrum. […] Gordianus vicariam praefecturam gerens pro Iuliano, qui persecutor dictorum martyrum fuit, ante Templum Telluris. Sepultus via Latina in Cryptis apud sanctum Epimachum. Uxor Marina in massa servitio rusticorum ad Aquas Salvias /seu […], ut vetusti codices habent. Ianuarius presbiter inscriptione notatur ut in notis Martyrologii Baronii. Errare ait acta […] Baronius cum dicunt gesta Romae acta a Iuliano presente, qui toto tempore imperii nunquam Romae fuit. Nescio an de hoc intelligat Monasterio sanctus Gregorius, libro 3 dialog., c. 38, ubi de Redempto, Ferentinae civitatis episcopo, ait quod in monasterio preposito sibi valde familiariter iungebatur. Credo ait de vicinitate. Homelia 20 super Evangelia: Presenti anno in Monasterio meo, qui iuxta beatorum martyrum Ioannis et Pauli ecclesiam situm est et cetera. Similiter loquitur homelia 39. Hic effissa (sic) est ad Sanctos Ioannem et Paulum basis oblonga in Caelio, de qua [...], fol. 58, n.8, stela (?) manet, est Iuliani si hac illa ex [...] indicium cum passi sint a Iuliano hi duo sancti atque locum(?) illum ex[...] honore ad eos tribuendo (?), basi in hac potest autem videri annus (?) huius prefecturae infra et passionis Sanctorum. Nummus apud Baronium T.4, p. 362. Iulianus Serapim maxime coluit, p. 13. T. 4. 13. Barb. Lat. 2160 Pompeii, Ugonii manuscripta., ff. 141v.-142r.3 Tav. f.t. II f. 141 verso “Symmacus fecit ad Santum Ioannem et Paulum gradus post absidam”. “Santi Giovanni e Paulo. Questa è una bellissima chiesa nel monte Celio, nel loco dove fu anticamente la Curia Hostilia, come convengono li antiquarii (Biondo, libro I, n. 78; Fulvio, libro 2, carta 113; Marliano, libro 4, capitolo 19). Et destrutta detta curia vi fu, come riferisce Fulvio, la casa paterna di detti santi martiri romani Giovanni e Paulo, nel qual loco essendo loro, per comandamento di Giuliano imperatore, uccisi furono parimenti sepoliti. Innanzi l’entrata della chiesa è un portico grande con belle colonne 8 sostenuto nella cui cornice è scritto: Presbiter ecclesiae romanae rite Ioannes, Haec animi voti dona vovendo, dedit Martyribus Christi Paulo pariterque Ioanni Passio quos eadem contulit esse pares. La porta della chiesa lavorata di pietre ha due leoni ai piedi, con aquile in mezzo che tengono con griffi un animale. Ha doi entrate un’altra verso San Gregorio. A man manca della quale è l’altare maggiore dove si ascende per alcuni gradi, che ha il ciborio di marmo sopra 4 bianche colonne e esso altare tutto di verde sasso coperto. Vi è la tribuna antica imbiancata con un ordine di colonnette piccole che ancora sta in parte et in questa altra il pavimento tassellatto di varii colori scompartito. Sotto l’altare maggiore sono i corpi di sanctorum Martyrum Scillitanorum: Speratio, Platalio, Beturio, Aquilino, Ianuarii, Letario, N. N. Quivi nel piano innanzi l’altar grande vi è un spatio, che mostra esser anticamente stato discluso, cinto di marmi con i sedili attorno di pietra accanto le colonne della nave. Vi è una pietra che mostra quivi esser stato altre volte clerici secolari perché vi è scritto “Iacob” e “clericus huius ecclesie” è sepolto. Sostengono le navi tre colonne dieci per parte con doi pilastri di mattoni 6. Nella nave di mezzo, più innanzi, è un altare con pietre(?) et colonnette bene ornato, fatto l’anno 1575, quando furono ritrovate le reliquie dei santi martiri Giovanni e Paulo in un antico muro, donde cavate, furono in una cassa riposte in questo novo altare. Quivi appresso è-vi in terra una grata di ferro, quale è il loco del martirio di detti santi Giovanni e Paulo. Rincontro all’altare destro nella medesima nave, ve n’è un altro eleganter ornato, dove è riposto il capo di uno dei detti santi martiri levato dalla cassa delle reliquie trovate. Nell’entrar della porta, a man dritta è l’altar di san Nicola dove sono delle reliquie d’esso santo, di santo Stefano, Silvestro, 22 apostoli, e Grisante, santi, e un vaso di vetro con altre reliquie. Dall’altro canto è l’altare di san Saturnino con il suo santo corpo. Nella nave a man dritta è un altro altare. f. 142 recto Le chiese della nostra religione oltre il nome del santo o santa sotto il quale sono dedicate, sogliono havere aggiunto alcuna(sic) altra(sic) sopranome per più dichiaratione e specificatione. Et tal sopranome si pigliano hor da una hor da un’altra particolarità di esse, a le quali troviamo che dai fondatori molte chiese sono state denominate come San Lorenzo in Damaso e quella di San Giovanni e Paulo chiamato del titolo di Pammachio, così avviene a quel di San Giovanni e Paolo (………..) anticamente il titolo di Pammachio perché Pammachio fondò et edificò questa chiesa. Amico di san Gironimo. Pammachio ebbe per moglie Paulina. Sprezò il mondo per seguir Christo. Nobile e patritio. Elemosinarum divitem. (………………………………………………….) Pammachio marito di Paulina. Pammachio Furiani germinis decus. Texotio Blisella Paulina uxor Pammachii Sancta Paula Eustochio (…) Rufino Texotio figlio” Segue la trascrizione della bolla di papa Gregorio sui territori donati alla Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, per la quale vd. Vat. Lat. 11872, f. 193r.v. (p. 49). BCAF, classe I, 161 Theatrum Urbis Romae, ff. 160r.-161r. (fig. 17) Non trascritto. Vd. fig. 18, p. 29. 1 Da: “La chiesa” fino a “oggi si vede”, il testo è stato così trascritto da Mariano Armellini (Armellini ed. Cecchelli 1942, vol. I, p. 621s.): “La chiesa è sostenuta da 20 colonne che in 3 navi la dividono e 2 altre colonne, assai belle, sostengono il coro medemamente fabricatovi da l’ Illustrissimo Laus mentre era di questa chiesa titolare. Il pavimento della nave di mezzo è in varii luoghi di vaghi lavori intarsiato. L’altar maggiore, tutto guarnito di marmo verde, ha sotto la confessione, di sopra il tabernacolo, come nell’altre chiese antiche, sostenuto da 4 colonne. La tribuna è nella parte più bassa incrostata di tavole di marmo distinte con fregi di pietre di più colori, et, alquanto più sopra, una cornice pure di marmo che gira tutto il semicircolo e pocho più sopra un ordine di colonnette, che similmente va intorno. La cavità della tribuna, è ornata di figure moderne./ f. 20v/1l resto della chiesa è tutto imbianchato. Quella porta, che è a man dritta dell’altar grande, vi fu da principio, e, per essere la salita difficile, papa Simmaco vi fece le scale./Nella nave principale sono rincontro all’altro 2 altari di vaghe pietre e colonne ornati./Spatio di marmo chiuso per la cappella de’ cantori. /Guglielmo Hencavort, cardinale thedescho, titolare di questa chiesa, la restaurò, come mostrano l’arme sulla facciata della chiesa sotto quella di Adriano, e finalmente Laus l’<ha> ridotta in quella forma che oggi si vede”. 2 Da “Tengono” fino a “odore” il testo è stato così trascritto da Mariano Armellini (Armellini ed. Cecchelli 1942, vol. I, p. 622: “Tengono questa chiesa oggi li frati Gesuiti (sic.) i quali non prendono ordini sacri, ma con le fatiche delle sue mani servono a Dio, et si sostentano, e qui in Roma si occupano in stillare acque de diversi fiori e herbe, così per medicina, come per odore”. 42 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali Giovanni Antonio Bruzio (1614-1692)3 Vat. Lat. 11872 De Aede ac Coenobio S. Ioannis et Pauli, in Regio Montis seu etiam Campitelli, in Theatrum Romanae Urbis, Tomo VIII, Tomo I, lib. 4. cap. XIIII, ff. 180 v.-198v. f. 180 verso Regio Campitelli sive etiam Ripa Tom. I, lib. 4, cap. XIIII De aede ac coenobio Sanctorum. Ioannis et Pauli. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 3 Giovanni Antonio Bruzio (Sant’Angelo in Vado 1614 - Roma 1692). Ancora giovane, nel 1638, ottenne la prebenda teologale del capitolo cattedrale e iniziò ad interessarsi alla storia ecclesiastica. Nel 1652 partì per Roma, dove prese possesso del rettorato della chiesa di S. Dorotea a Porta Settimiana. Appassionato di antichità, è autore di diverse opere su chiese, conventi, monasteri di Roma, ma la sua opera principale è il Theatrum Romanae Urbis a cui lavorò per un ventennio. L’opera, tuttora inedita, è in 27 volumi ed è conservata presso la BAV (Neveu 1972, p. 738s.). 4 San Gerolamo, dottore della Chiesa, uno dei quattro massimi Padri latini (Stridone 347? - Betlemme 420). Sanctorum Johannis et Pauli situs expenditur. Curiam Hostiliam hic fuisse plurimorum antiquariorum fert opinio et quid de Curiae huius vestigiis dictitant. Ugoni non videtur verosimile quod hic Curiae Hostiliae vestigia remanserint et cur, et fornices qui hic videntur cesarianos fuisse putat. Curia Hostilia secunda non videtur ex iis, quae per antiquarios deducuntur, potuisse hic consistere Negari non debent veterum traditiones tot scriptorum auctoritatibus obfirmatae. Aedes patriae hic fuerunt procedente tempore sanctorum Ioannis et Pauli, eorum acta et martyrium sub Iuliano Apostata. Iuliani Apostatae impietas et horribilis blasphemia et mors. Sanctorum Ioannis et Pauli sacra corpora iussu Ioviniani Caesaris quaesita per Bizantium senatorem eiusque filium Pammachium in dubium affertur. f. 181 recto 9. Pammachii origo, genus et nobilitas. X. Pammachius haeres opum Paulinae uxoris, quas distribuit pauperibus et mundo nunciam remisit monachum indutus. XI. Pammachius pro catholica fide acerrime pugnat et oppugnat haereticos. XII. Sanctus Hieronimus4 suis literis Pammachii virtutes commendat. XIII. Pammachius primum detegit Romae haereses in libris Ioviniani impullitque sanctum Hieronimum ad scribendum contra illum et Siricium pontificem ut illos damnaret. XIV. Pammachius, ut sancti Hieronymi studiosus ac eius doctrinae propugnator, exprobratus etiam stat pro sancto Hieronymo, cuius sensus tunc non bene percipiebatur, qui suadente ipso Pammachio pro suis libris de Virginitate apologiam edidit. XV. Item sanctus Hieronymus, suadente Pammachio, apologiam scribendam suscepit pro divo Epiphanio contra Ioannem episcopum Hierosolymitanum. XVI. Piloscioti dicti per ludibrium ab hereticis catholicis qui credant quod mortui cum pilis quoque ad vitam redituri sint. XVII. Ioannes episcopus Hierosolymitanus, cur in haeresim lapsus. XVIII. Sanctus Epiphanius dignus poena non fuit quia ex necessitate initiavit sacris ordinibus monachos Coenobio sacerdotibus indigente. XIX. Pammachii obitus anno 410. XX. An iste Pammachius studiosus sancti Hieronymi, an vero aliquis alius huius nominis, hanc ecclesiam excitaverit et difficultas circa hoc cum sanctissimi Ioannes et Paulus martyrium consumaverint iam titulo Pammachii in urbe instituto. XXI. Pammachii tituli antiquitas expenditur. XXII. Gradus pene<s> absidem huius ecclesiae a sancto Symmacho positi; statio a sancto Gregorio Magno qui dixit hic homiliam quartam et trigesimam. XXIII. Ditissimum hic olim asceterium quod sedes fuit monachis Sancti Pammachii ad annum usque Redemptoris 1216. XXIV. Aegyptorum monachorum Sancti Antonii et Hilarionis huc institutum a Pammachio adductum. f. 181 verso 25. Fuit etiam post praefatos monachos sedes Canonicorum Saecularium ad annum usque 1454, inde Iesuatos quibus suppressis Clementis IX pontificis constitutione. Inde Virgines, Philippinae appellatae, et ad annum tantum, hodie in Coenobio Sanctae Crucis in Monte Citorio. 26. Cardinalium titularium Syllabus. 27. Cardinales qui ex hoc titulo ad summum pontificatum emerserunt. 28. Sanctus Agapitus anno 534 clericum egit in Sanctorum Ioannis et Pauli et eius ad Iustinianum iter et dictum. 29. Honorius III, e clarissima Sabellonua gente, ex hoc titulo fit summus pontifex et eius praeclara gesta in oriente sole. 30. Innocentius item sextus, qui Carolum IV Romanorum imperatorem coronavit per duos cardinales et Aegidium Carellum, cardinalem legatum, misit in Italiam. 31. Hadrianus item VI, cui perbrevis pontificatus fuit. 32. Leo XI et Paulus V etiam fuere titulares huius aedis a quo fecerunt transitum ad alios titulos. 33. Sanctorum Ioannis et Pauli aedes reparata a sancto Symmacho. 34. Cardinalium titularium aliqui etiam instaurarunt, inter quos Ioannes Sutrinus ex nobilissima familia comitum Anagniae. 35. Item Gulielmus Hencavort, cardinalis Germanus, sub Hadriano VI. 36. Item Nicolaus de Pelvé, Gallus, archiepiscopus Senonensis. 37. Item decius Carafa, neapolitanus, archiepiscopus et princeps. 38. Item Augustinus Cusanus nobilis mediolanensis. 39. Sanctorum Ioannis et Pauli aedis consecratis. 40. Corpora Sanctorum et reliquiae, quae huc conditae sunt sub aris huius ædis, quae numerantur. 41. Aeris huius coenobii salubritas non sinit hanc aedem obsequio debito destitui. Cum haec sedes fuerit aliquibus summis pontificibus. f. 182 recto 42. Canonici sex, qui Latino cardinale Ursino titulari operam hac in aede praestabant, obsequium negligentes, a Nicolao V. (cardinale ipso petente) omnino sublati sunt, concessa hac aede Iesuatis qui <a> Clemente IX suppressi sunt. 43. Iesuatorum ordinis auctor, beatus Iohannes Colombinus senensis: eius acta, ordinis progressus et finis. 44. Sanctorum Johannis et Pauli aedis descriptio. 45. Leones marmorei, cur prae templorum foribus positi. 46. Pavimentum olim stratum.segmentato opere. 47. Absis depicta sanctorum imaginibus, qui hic requiescunt. 48. Arae maximae descriptio. 49. Cernitur hic ex antiquo moris quae dicitur Cantorum Schola ut et in Sancti Clementis sed sine pulpitis. 50. Nonnullae hic memoriae. 51. Arae duae ubi servantur corpora sanctorum Ioannis et Pauli, eorum imagines et ornamenta. 52. Lapis hic locatus, Urbano VIII sedente, ab eminentissimo Francisco cardinale Barberino. 53. Odeum extruxit cardinalis Nicolaus Pelve, gallus, archiepiscopus Senonensis. 54. Arae duae sub ipso odeo. 55. Laquear imposuit cardinalis Cusanus, cuius sunt insignia. 56. Alae dexterae ara. 57. Alae sinistrae ara. 58. Epitaphium cardinalis Anastasii assignatum a Martinello ad hanc aedem, a me non repertum in ea. 59. Memoria sepulchralis in urna quadam in peristylio 43 A. Englen: Appendice: Fonti manoscritte 60. huius coenobii. Sacris in hoc coenobio dabant operam sub prioris imperio Iesuati, suppressi duodeviginti. Abbatia hodie instituta fruitur eminentissimus cardinalis Iacobus Rospigliosus. f. 182 verso 61. Cultus et tres feste huius sanctuarii indulgentia et statio. 62. Urbani Davitii rationes pro regiis et non coesareis aedificiis. Sacer hic locus situs est in angulo Montis Caelii ad acclinem Scaurorum viam, quae a Gregoriana aede se iungit. In secunda regione veteres numerant, recentiores in Ripensi, sed post novissimam partitionem, sedente Urbano VIII, factam tribuitur regioni Campitelli. Veterum Romanorum aedificio impositus creditur magna enim undique antiquitatis vestigia. Blondo5, Fulvio6, Marliano7 omnibusque propemodum antiquariis fuit hic Curia Hostilia qua templum a Tullo Hostilio, tertio Romanorum rege, Albanis, Alba diruta, Romam translatis, extructum. De hisce curiis, nempe sacra et prophana, aliquid diximus ad Sanctae Mariae Liberatricis in hac eadem regione, quo lectorem remittimus. Cum Livius8 affirmet hoc templum in Caelio, coniectant Curiam hic positam nec abfuisse regias Tulli regis aedes, quibus superstructum existimant coenobium. aedi huic adiunctum, asserentes earum vestigia sub turri ac procedentes ad incultos hortos sub coenobio iacentes cum in illis longus contra Palatinum paries, novem vel decem ex ingentibus tiburtinis fornices, stantes cum perpolitis lapidibus et coronis amphiteatricis non absimilibus ostentatum eat, sentiunt hic regiam conditam. Ugonio9 autem non videtur vero prorsus simile quod a regum memoria ad suam usque, qui Sixto V ad ecclesiam gubernandam sedente, scripsit id mansisse aedificii. Consules enim Romana re progrediente aliique cives, quibus opes maximae ipsique Caesares, quorum non credibile sumptuosa excitandi aedificia studium, rudera omnia vel antiquissima movisse. Hinc credendum putat regiam Hostilii hic fuisse, sed fornices, qui et hodie extant, caesarianos potius esse quam regios. Nardinus10 cum narravit a Blondo et ab aliis dictum hic olim fuisse Curiam Hostiliam secundam tamen quam, Albanis translatis, Tullus aedificaverit, se plane ignorare testatur quo id argumento asseruerint cum e coronidis fornicumque e Tiburtino reliquiis, quibus turris superstructa, inferri non / f. 183 recto possit quid nam fuerit aedificii. Mihi quidem videtur absonum negare quod veteres tradunt, dum pro explorato est antiquarios, qui primi lucem attulerunt antiquarum rerum monumentis, traditionibus magna ex parte innixos, in noscitandis aedificiorum vestigiis, fama Curiae Hostiliae, Liviano testimonio, quod illam in Coelio constituit et inscriptionibus, quae in proximo ad Divae Mariae in Dominica repertae sunt, unde Albanae mansiones excipiuntur, incumbens vero dignum efficit hic omnino fuisse, vero licet simile minus sit, fornices e Tiburtino aliaque quae in dies effodiuntur hic in vinea, potissimum sub hoc coenobio, et nobilium virorum Didaci Cornovaglii et N. Vigevani hodie excellentissimi ducis Paganicae, e cuius solo pulcherrima efferuntur simulacra et marmora per regiam constituta memoriam sed Caesarianam potius, *contra quam assertionem pugnat Urbanus Davitius11 in quadam sua ratione seu codice de hac aede, vernaculo sermone, cuius rationes in fine adnectimus huic capitulo f. 196.* Procedente autem tempore patriae hic aedes fuere Romanis patriciis fratribus sanctis Ioanni et Paulo, qui spiritum duxerunt Sancto Liberio summo catholicae cymbae nauclero et caesariana in aula educti sunt, praestitis Constantiae, Constantini Caesaris filiae, obsequiis, nobiles ephebi ideoque multis per illam opibus ditati quas omnes in egenorum subsidia contulerunt. Iulianus Apostata, rerum potitus, clarissimos fratres ad aulica evocat ministeria. Abnuunt omnino. Sibi quidem nec libere nec licere operam praestare Caesari, qui a Christo desciverit, respondentes. Impius, graviter commotus, dies decem praestituit quibus ea de constitutum habeant contumaciae poenam et quidem capite daturos nisi cum ipso sint Iovique supplicent. At illi, adamantina in Christi fide, constantia muniti, praestituto tempore, quicquid opum reliqui indigis erogant, quo expeditius ad superos evolent. Decem iam elapsis diebus Terentianus, praetoriae cohortis praefectus, ad sanctissimos fratres accedit cum Iovis signo testatumque esse iubet a Caesare, nisi thus idolo adoleant, morituros. Interriti cum precibus operam narrent,se respondent mortem pro Christo Domino non metuere. Terentianus ne a publica nobilium Romanorum, qui pluris in Urbe et in aula erant, nece aliquid exoriatur turbarum, clanculum perimit VI calendas iulias in suis aedibus, in quibus et tumulo inferuntur anno reparati orbis 363. Rumor increbruit per Aulicos Caesaris f. 183 verso iussu actos in exilium,non necatos. Energumeni autem, quos deserebat obsidens daemon in aedes martyrum adductos, clare locuti quod res est necemque vulgarunt. In his saluti redditur Terentiani ipsius filius fanaticus, qui vix ingressus se clamavit a Ioanne et Paulo comburi. Iam liber et salvus, Christo nomen dedit cum patre, qui aliquid martyrum beneficentiae relaturus gratiae, acta ipsorum in memoriam ac reverentiam literis mandavit. Iulianus vero, qui martyrio affecit, illato Persis bello, a divo Mercurio, qui divinitus ex hostium agmine illi obvius occidit, memorat Nicephorus *liber X, cap. 52*, sumptum ex accepto vulnere cava manu sanguinem ac si Christus ob oculos versaretur, caelum suspiciens in illum coniecit, additis his summa cum impietate vocibus: “Vicisti Galilaee, vicisti”. Iuliano igitur vita per caelum exuto succedens Iovinianus quod quaedam narrat hac in aede historia iussit Bizantium senatorem eiusque filium Pammachium sacra corpora perquirere repertisque hortatus est ut aedem extruerent. Imperata fiunt, dictaque aedes est titulo Bizantii et Pammachii. Ego quidem scribentis pace dixerim, non adstipulor. Iovinianus profecto Caesar ab exercitu salutatus, christiana licet fide imbutus, administrato non ultra septem menses et extra urbem imperio, cum et ipse in acie contra Saporem, Partorum regem, turpiter pacis concordiam accipere coactus esset, romanis legionibuis sub iugum indigne missis, gravibus rebus implicitus id impetrare non potuit nisi dixerimus literis imperatum. Sed quis sciat? Verum facile assequi licebit ex iis quae de Pammachio literis prodam. Nobilitate inter Romanos inclaruit e gente prognatus consulari Furii Camilli connubio Paulinae iunctus, sanctae Paulae filiae et sorori Eustochii, quae mulieres e Gracchis et Scipionibus ortum ducentes, ex divo Hieronimo non minori sanctitatis luce splenduerunt quam originis. Paulina igitur coelo donata, coniugis opem haereditatem Pammachius adiit, quibus paupertati Romanae distributis, humana omnia detestatus, monachum induens, divino sese obsequio tradidit. Sancta eius consilia piaque gesta miris effert lauf. 184 recto dibus divus Hieronimus optimi viri amantissimus in literis quas ad ipsum dedit de Paulinae coniugis amissione. Ex illis non possum pauca non afferre. «Nobis post dormitionem somnum, quae Paulinae Pammachium monachum Ecclesia peperit posthumum ex patris coniugis nobilitate patritius eleemosynis divitem humilitate sublimem», et iterum: «nostris temporibus Roma possidet quod mundus ante nescivit. Tunc rari sapientes, potentes, nobiles, quibus cunctis Pammachius meus sapientior, potentior, nobilior, magnus in magnis, primus in primis, αρχιστιαταγος13 monachorum. Tales Paulina morte sua nobis liberos dedit, quos vivens concupiverat possidere. Laetare sterilis quae non paris; erumpe et clama quae non parturis - Isaia 54 - quoniam quot Romae sunt pauperes, tot filios repente genuisti, ardentes gemmae quibus antea collum et facies ornabantur, egentium ventrem saturiunt, vestes sericae et aureum in fila lentescens in mollia lanarum vestimenta mutata sunt, quibus repellatur frigus, non quibus videtur ambitio, deliciarum quondam supellectilem virtus insumit. Ille coecus extendens manum et saepe ubi nemo est clamitans, haeres Paulinae, coheres Pammachii 5 Flavio Biondo (Forlì 1392 - Roma 1463), autore di Italia illustrata, Roma instaurata e Topografia antiquae Romae. (Fubini 1968, pp. 536-559). 6 Andrea Fulvio, archeologo e numismatico (Palestrina seconda metà del XV secolo), arciprete di S. Maria ad Martyres. Scrisse una descrizione di Roma in esametri, Antiquaria Urbis (1513), le Antiquitates Urbis in 5 libri (1527) e, in collaborazione con l’incisore Marco Fabio Calvo, Antiquae Urbis cum regionibus simulacrum, carta topografica delle antichità di Roma in 14 fogli (1527), secondo un progetto di Raffaello (vd. Ceresa 1998, pp. 709-712). 7 Bartolomeo Marliano, studioso dell’antico (fine secolo XV - 1560 circa), autore di ponderose opere sull’antichità e la topografia di Roma fra le quali: Urbis Romae topographia libri V (1534) e Consulum, dictatorum, censorumque Romanorum series (1549). 8 Tito Livio (Padova 59 a.C. - 17 .C.) autore di una storia di Roma dalla fondazione della città alla morte di Druso (9 a.C.). 9 Pompeo Ugonio, romano, bibliotecario di Ascanio Colonna. Pubblicò l’Historia delle Stationi. 10 Famiano Nardini, archeologo fiorentino (m. 1661), autore del volume topografico Roma antica (post 1666). 11 Urbano Giovan Francesco Davisi (Roma 1618 - Roma 1686). Vd. supra, pp. 36-38. (Vd. Meschini 1987, pp. 171-173). 44 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali est. Illum truncum pedibus et toto corpore se trahentem tenerae puellae sustentat manus, fores quae prius salutantium turbas vomebant, nunc a miseris obsidentur. Alius tumenti aqualiculo mortem parturit, alius elinguis et mutus et ne hac quidem habens unde roget, magis rogat dum rogare non potest. Hic debilitatus a parvo non sibi mendicat stipem. Ille putrefactus morbo regio supervivit cadaveri suo. Non mihi si linguae centum sint, atque centum, omnia poenarum percurrere nomina possim. Hoc exercitu comitatus incedit in his Christum confovet. Horum sordibus dealbatis munerarius pauperum et gentium candidatus sic festinat ad caelum. Caeteri mariti super tumulos coniugum spargunt violas, rosas, lilia floresque purpureos et dolorem pectoris his officiis consolantur. Pammachius noster sanctam Sc. ἀρχιστρατήγος. Cesare Baronio, cardinale e storico (Sora 1538 - Roma 1607), bibliotecario di S. Romana Chiesa (1597). Soprannominato “padre della storia ecclesiastica” allo studio della quale si consacrò fin da quando, ventenne, ebbe dal Filippo Neri l’incarico di narrare la storia della Chiesa ai laici. Pubblicò il Martirologium romanum (1583) in cui appare evidente la sua grande erudizione. La sua fama è legata agli Annales ecclesiastici (12 volumi per gli anni 1-1198). 14 Epifanio di Salamina. 12 13 f. 184 verso favillam ossaque veneranda eleemosynae balsamis rigat, his pigmentis atque odoribus fovet cineres quiescentes, sciens scriptum Ecclesiaste 3: “sicut aqua extinguit ignem, ita eleemosyna extinguit peccatum” et paulo infra laudans monachorum vitam: “quis enim hoc crederet ut consulum pronepos et Furiani germinis, decus inter purpuras senatorum, furva tunica pullatus incederet et non erubesceret oculos sodalium ut deridentes se derideret”, et paulo post: “non est parum virum nobilem, virum disertum, virum locupletem, potentium in plateis vitare comitatum, miscere se turbis, adhaerere pauperibus, rusticis copulari, de principe vulgum fieri. Sed quanto humilior tanto sublimior est, lucet margarita in sordibus et fulgor gemmae purissimae etiam in luto radiat”. Item: “Audio te xenodochium in Portu fecisse romano et virgam de arbore Abraham in Ausonio plantasse litore, quasi Aeneas nova castra metaris”. Item: “Quod patricii generis primus inter primos monachos esse coepisti, non tibi sit honoris sed humilitatis occasio.*De prefato xenodochio ita tradit Baronius13: “Sed et frustra quaesita sunt vestigia nobilissimi xenodochii, quod sanctus Pammachius, cuius immensae charitati angustior visa urbs et tardior educatus pauperum, extendens usque ad mare propagines misericordiae suae, in eodem portu romano construxit ut e navi pauperibus descendentibus ipse eos parato suscepturus hospitio prius occurreret*. Unum Pammachio decus idque maximum quod pro catholica fide acerrime pugnaverit oppugnaveritque cum ipso divo Hieronymo haereticos, Romae serpentes, ut Hieronymus de ipso *Proaemium in Ioel*: “Omni arte pugnandi adversus diabolum dimicas”. In aliis quoque literis de virtutibus meminit Pammachii et non immerito cum Hieronymianae eruditionis studiosissimum se praestiterit pro qua data quavis occasione, strenue stetit atque anno potissimum humanae Salutis nonagesimo ultra trecentesimum cum, lectis libris, quos Iovinianus Romae vulgaverat, detestandisque hereticae nequitiem erroribus retectis ne pestilens adeo lues pedem figeret anticatholicorum dogmatum reum fecit apud Siricium summum pontificem, qui illum damnavit eiectumque e sinu Ecclesiae, ut factum testatur ab ipso pontifice. Tunc temporis in heresiarcham doctrinae suae fulmina divus Hieronymus misit, *epist. 3 […]* salutari antidoti serpenti occursuras veneno. Sancti Hieronymi sudoribus quorum ad profligandam haeresim singulae stillae stellae singulae videbantur, palam verum facientibus honor dabatur ac praemium. f. 185 recto contra tamen fuit. Neque enim Siricius modo sed et alii, qui pietate praediti, non leviter offensi quod in haeresiarcham supra quam par esset pro virginitate invectus matrimonium in odium, contemptumque adduxisse videretur. Aliquid propterea querimoniae fuit cum Pammachio, quem acerrimum Hieronymi doctrinae propugnatorem non ignorabant. Ea de re sanctissimus doctor ad illum scribens: *epist. 32* “Audio”, inquit,”totius in te urbis studia concitata; audio pontificis et populi voluntate pari mente congruere, minus est tenere sacerdotium quam mereri”. Ecquis plane commotus non fuisset audiens ipsum ad clavum ecclesiae sedentem, cui sancti doctoris labores fuerunt et laude et praemio af- ficiendi in eum iniuria exarsisse, qui pro catholica veritate literario ferro decertaverat tantaque cum sacrae doctrinae claritate, ut ea nihil purius ac candidius nihil fieri potuerit. Attamen sanctissimus doctor non sua sed Dei religionis publicaeque salutis peramans aequissimo tulit animo. Pammachius Hieronymum gravibus hisce molestiis levaturus operis exemplaria sublegere inque unum apud se omnia congerere conatus est, sed frustra, cum iam apud plures et plerumque ignotos notis excepti fuissent. Ipso autem suadente egregius doctor apologiam pro illis edidit quamvis, quod sentit, non necessariam, cum in ipso contra Iovinianum librorum limine testatissimum iam esse voluisset, se nuptiis nihil dare vitio sed pro virginitate pugnare a Ioviniano oppugnata et quia impius ille ore patentissime dictitabat, quibus pluris virginitas esset quam nuptiae, causam pro Manichaeis dicere divus Hieronymus aliter contra ipsum divo Augustino teste egit, nuptias pro viribus extollens, laudata etiam pro merito virginitate librumque contexuit de bono coniugali contra Iovinianum. Neque divus Hieronymus tantum, petente Pammachio, antedictam conscripsit apologiam, verum etiam alteram conscribendam suscepit pro sancto Epiphanio14 contra Ioannem episcopum Hierosolymitanum, demonstrata Epiphanii innocentia et Ioannis aliorumque Origenistarum Ruffini, Palladii aliorumque Aegyptiorum monachorum erroribus reiectis, qui omnes illos qui eorum dogmatis non assentiebantur, appellare consueverunt rudes, simplices, feros et in ludibrium f. 185 verso nova, quam Hieronymus refert, voce Pilosciotos, catholicis irridentes, qui credant quod mortui cum pilis quoque ad vitam redituri sint et asserant ex fide catholica cum omnibus membris vitae reddendos, quod Origenistae omnino negarunt. Cur autem Ioannes praedictus literaria studiorum arma in divum Epiphanium converterit, non mirum literas enim Deus ad ipsum dederat acerbe castigans, quod cum Origenistis esset, eadem prorsus de causa in Ioannem scriptis erupere divi Hieronymus et Theophilus, episcopus Alexandrinus. Macedonianus fuit Ioannes et haeresim proscripsit alliciente infulae episcopalis spe, quam assecutus cum proscripta iterum fuit, et castigationis impatiens in castigatorem graves excitavit tumultus, quod in coenobio Eutropolitano in Palestina sacris primum evangelicis, inde sacerdotalibus initiaverit Paulinum, sancti Hieronymi fratrem, sumpta hinc occasione insectandi praesidis, qui extra dioecesim pontificalia exercuerit. Verum quidem id fuit, episcopo tamen Caesariensi, in Palestina metropolitano, exigendae fuerunt poenae. Poena profecto divus Epiphanius dignus non fuit, tum quia ex necessitate initiaverit, coenobio sacerdotibus indigente, tum quia ea in Cypro consuetudo promovendi in aliena dioecesi ad ordines fuerat. Sanctus autem Hieronymus in Apologia, Pammachio exposcente, divum Epiphanium egregie defendit. Meritis onustus ad superos evolavit beatissimus Pammachius anno 410, 3. calendas septembres atque hic terrae mandatus creditur e Fastis Panvinianis15, quo tempore Gothi Romam urbem ipsi patriam circumsidebant, eodem Hieronymo tradente.*liber I in Ezechielem in proemio* *De stationibus ad hanc ecclesiam*. Ugonius existimat sub annum christianum 400 hanc aedem conditam, Anastasio I summo Pontifice, Cesaribus vero Arcadio et Honorio fratribus, et hoc tempore condere potuit Pammachius, sed cum ipse animadverterim inter quinque ac viginti titulos cardinalibus Romae tributos, ut in illis sacro fonte tingerent et poenitentiae sacramento expiarent, ethnicos catholicae religionis mysteria amplexos, titulus nominari Pammachii asserendum utique ut aedem hanc cum coenobio neque a Pammachio neque a f. 186 recto Bizantio, patre et senatore, extructam, sed a viro aliquo cognominis eiusdem titulumque Pammachii etiam alium ab hoc fuisse; etenim cum titulus Pammachii anno memoretur 305 in divisione Sancti Marcelli I, sancti fratres ac martyres, ut iam dictum est, a gloriosa pro Christo nece triumpharunt anno 363 et postquam erat in Urbe titulus Pammachii, ea autem re fate- 45 A. Englen: Appendice: Fonti manoscritte or me expediri non posse, nisi dixerimus lapsum Ciacconium16 in costituendo sub Marcello titulo Pammachii. Addit Ugonius antiquissimam aedis huius memoriam se nactum in actis Romanae synodi, quae sub Symmacho I habita fuit anno Christi 499. Ibi enim inter alios presbyteros mentio incidit de Ioanne et Gordiano, presbytero Sanctorum Ioannis et Pauli in titulo Pammachii. Anastasius in Symmacho auctor est, positos ab eo ad Sanctorum Ioannis et Pauli gradus pene absidem, scalam nempe quae exit in clivum Scauri et hodie extat perque illam ad hanc aedem ascenditur. Divus etiam Gregorius meminit et homiliam quartam et trigesimam in hac aede dixit, cui et stationem impertitus est prima quadragesimalis ieiunii sexta feria.*Regesto, libro 4, capitulo 88* Nitissimum hic olim asceterium, cuius bona memorantur in vetusto lapide, qui stetit in porticu, nunc vero in aede: ex eo constat eadem bona a sancto Gregorio Magno rata firmaque fuisse.Afferemus nos describentes infra hanc basilicam. In hoc igitur asceterio sedes fuit monachis Sancti Pammachii ad annum usque Redemptoris 1216. Ille hic, quae mihi fides est, cum saeculum aevo Sanctos Basilium et Benedictum antecessiret, Aegyptiorum monachorum Sanctorum Antonii et Hilarionis institutum induxit, quod et divus Hieronymus servatum ivit. Monachis Canonicorum successit Collegium, quod ad annum mansit 1454, quo coenobiticas hasce aedes obtinuerunt Iesuati, ut infra narrabimus, quibus a Clemente IX suppressis Abbatiaque effecta eminentissimo Cardinali Iacobo Rospigliosi concessa est, illoque in loci possessionem immisso ne tam insignis sanctuarii cultus, qua in parte minueretur, huc translatae sunt f. 186 verso eiusdem Clementis IX iussu Virgines Philippinae, sic dictae quod a sancto Philippo Nerio institutae fuerint; de quibus suo loco nobis sermo erit. Cum vero in hoc loci, utpote nimium a frequentiori urbe semoti, puellarum industria unde foveri non haberet viarum intercapedine prohibente ad illas deferri quae arachnea arte elaboranda illis essent in compendium Gynaecaei seu Conservatorum, inde remotae illarum Praesidium providentia pretio comparatum peristylium monialium Sanctae Crucis in Monte Citorio ingressae sunt, ubi vitam agunt commodiorem, opificio sibi plurimum alitionis parantes. Destituta haec sacra aedes ministerio, ut speramus a tanti cardinalis religione et liberalitate redintegranda erit obsequiis per aliquam congregationem regularium virorum praestandis, cui rei titulares pro tempore eminentissimi […]17 vigilantia animos adiicient, praesertim cum cardinales presbyteri, bonitate et virtute insignes, sacrum hunc locum administrarunt, e quibus nonnullorum tempora cydaris trigemina circumdedit; series haec est licet intercisa: -Gordianus presbyter cardinalis sanctorum Iohannis et Pauli in titulo Pammachii, et Ioannes archipresbyter anno 494 sub Gelasio pontifice. *San Giovanni I, toscano, da questo titolo del 523 fu eletto papa. Sant’ Agapito da questo titolo di Pammachio l’anno 534 fu assunto al sommo pontificato*. -Deusdedit, cardinalis presbyter Sanctorum Ioannis et Pauli in titulo Pammachii in Synodo coacta a Sancto Gregorio Magno anno 600, et anno 613 renunciatus est. Summus pontifex. -Georgius, presbyter cardinalis divorum Ioannis e Pauli anno 735 sub Gregorio III. -Dominicus, *sive Romanus*, presbyter cardinalis Sanctorum Ioannis et Pauli, qui Romanae synodo interfuit sub Leone IV anno 853. -Theodoricus, germanus, presbyter cardinalis Sanctorum Ioannis et Pauli, sub Urbano II ante annum 1099 sacra ignominia sub Paschale 2° notant. -Theobaldus presbyter cardinalis tituli Pammachii a Paschale II creatus qui Synodum Vastellensem subscripsit anno 1106. *De eadem refert Ciacconus haec carmina: Sedis apostolicae Theobaldus presbyter implet; Martyres usque sacri opus hoc assignat honori*. -Albericus Tomacellius, neapolitanus gentis scilicet de Cybo clarissimae, presbyter cardinalis Divorum Ioannis et Pauli, renunciatus ab Honorio II anno 1125, mense decembri. f. 187 recto -Lucas Agathensis, gallus, insignitus titulo cardinalis presbyteri sanctorum Ioannis et Pauli in Synodo Claremontana anno 1130 ab Innocentio II. *Tumulo hic mandatus est ut ex urna cum elogio*. -Theobaldus, cardinalis titulo Divorum Ioannis et Pauli, in patrum Sacri Senatus Romanus ecclesiae ordinem adscriptus ab Innocentio II anno 1140 mense decembri. *Sive Thebaldus*. -Ioannes Sutrinus, presbyter cardinalis Sanctorum Ioannis e Pauli, ab Eugenio III renunciatus anno 1150, qui postea Vaticanae basilicae archipresbyter et heros inter amplissimi ordinis senatores recensetur, qui e clarissima comitum Ananginorum gente prodiere. -Rainerius a Papia, primum diaconus cardinalis Sancti Georgii in Velabro ab Alexandro III factus anno 1173, inde presbyter Sanctorum Ioannis et Pauli anno 1182, in Sacrum Collegium cooptatus Velitris mense decembri. -Frater Melchior I*Sive Mel…*18, gallus, cardinalis presbyter Sanctorum Ioannis et Pauli a Lucio III electus anno 1185. Veronae ipsis cineralibus*. -Cencius Sabellus, quem cardinalatus honore dignatus est Caelestinus III, primum sit Sanctae Luciae in Orthaea anno 1193, inde presbyter Divorum Ioannis et Pauli, unde summum pontificem ascendit. Honorius III appellatus. -Magister Bertrandus ad cardinalitiam dignitatem erectus ab Honorio III, huius sit presbyter Sanctorum Ioannis et Pauli anno 1216. *Vir probatae fidei, potens in opere et sermone, a pontifice vocatus*. -Iacobus de Via, Caturicensis, aquitanus, gallus, nepos e sorore pontifici Ioanni XXII, a quo et cardinalis dictus anno 1316 tituli presbyterialis divorum Ioannis et Pauli quadripartitis Dominici adventus temporibus. -Frater Matthaeus Francisci Neapolionis Ursini ad Praedicatorum, a Ioanne XXII anno 1327 cardinalis presbyter Sanctorum Ioannis et Pauli, renunciatus. -Stephanus Albertus, Lemovicensis, gallus, episcopus Claremontanus amplissime hoc ordine honestatus titulo cardinalis presbyteri Sanctorum Ioannis et Pauli a Clemente VI, Avenione, anno 1342, 12 calendas octobres; inde episcopus Ostiensis, evasit dein pontifex maximus Innocentii VI nomine. -Andoinus *sive Aldoinus* Albertus, Lemovicensis, aquitanus gallus, pontificis nepos ab Innocentio VI in patrum Romanae Ecclesiae Senatus ordinem f. 187 verso relatus anno 1353, Avenione, mense martio tituli cardinalis Presbyteri Sanctorum Ioannis et Pauli. Solus. -Frater Guilelmus Sudre, Lemovicensis, ex Provincia Tolosana gallus et ex Dominicano ordine per Urbanum patrum sacro Senatui Romanae Ecclesiae adscriptus anno 1366, XIV calendas octobres, tituli cardinalis Presbyter Divorum Ioannis et Pauli, optavit deinde Ostiensem infulam. -Simon de Borsano, mediolanensis, ad dignitatem cardinalatus et hunc titulum presbyteralem Sanctorum Ioannis et Pauli promotus anno 1375, mense decembri, Avenione, a Gregorio XI. -Cuncterus Cometii *Gometii* de Luna, pseudo cardinalis Sanctorum Ioannis et Pauli ab antipapa Clemente 7 anno 1382. -Ioannes Flandrinus, presbyter cardinalis Sanctorum Ioannis et Pauli sub pseudo Papa Clemente VII, postea a Benedicto XIII creatus episcopus Sabinensis. -Dominicus Ram, hispanus, cardinalis Sancti Sixti, inde Sanctorum Ioannis et Pauli a Martino V in Cardinalitium Senatum adsecutus, tandem episcopus Portuensis anno 1426, IX calendas iulias. -Latinus Ursinus, domicellus romanus, a Nicolao V declaratus presbyter cardinalis Sanctorum Ioannnis et Pauli anno 1449, idibus ianuariis. 15 Da Onofrio Panvinio, erudito (Verona 1530 - Palermo 1568). Agostiniano, si dette in Roma, giovanissimo, a indagini sull’antichità romana, acquistando grande fama. Divenne revisore alla Biblioteca Vaticana. Fra le sue molte opere, particolarmente notevoli i Commentarii ai Fasti (1558). 16 Alonso Chacon (Baeza 1530 Roma 1599), autore, fra l’altro, di una Historica descriptio Urbis Romae e delle Vitae et gesta summorum Pontificum a Christo Domino usque ad Clementem VIII, nec non S.R.E. Cardinalium cum eorumdem insignibus, stampate postume nel 1601. (Grassi Fiorentino 1980, pp. 352-356). 17 Illeggibile. 18 Non completamente leggibile. 46 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali -Philibertus Ugonetus, gallus, episcopus Matisconensis, a Calixto III declaratus cardinalis huius tituli Sanctorum Ioannis et Pauli, ad quod transivit ex Maconia Sanctae Luciae in Orthea. *A Sixto IV renuntiatus anno 1473*. -Ioannes Baptista Ursinus, purpura a Sixto donatus anno 1483, calendis ianuariis, cardinalis diaconus Sanctae Mariae Novae, qui deinde titulum per optionem accepit Sanctorum Ioannis et Pauli. -Ardicinus de Porta, novariensis, episcopus Albiensis, evectus ad purpuram ab Innocentio VIII anno 1489 pridie Idus martias tituli cardinalis presbyteri divorum Ioannis et Pauli, sed corrige cum domino Abbate Michaele […] in […] episcoporum, Solenensis19. -Raimundus Periordus Peraululi, Surgeriis in Xantonibus20 natus, gallus, episcopus Gurcensis ab Alexandro VI honore purpurato affectus anno 1493, XI calendas octobres, presbyter f. 188 recto cardinalis Sanctorum Ioannis et Pauli. -Hadrianus Florentii, Traiectensis, germanus, episcopus Bertusensis, presbyter cardinalis Sanctorum Ioannis et Pauli a Leone X purpura nobilitatus anno 1517 calendis iuliis, inde evasit summus pontifex nuncupatus Adrianus VI. -Guilelmus Enchfort, a Traiecto Brabantiae, ab Habriano VI ad purpuram promotus anno 1523 cardinalis titulo Sanctorum Ioannis et Pauli atque huic summus pontifex ecclesiam suam Dertusensem posuit. -Stephanus Gabriel Merinus, Giennensis, hispanus, Indiarum patriarcha et archiepiscopus Bariensis a Clemente VII in cardinalitium Senatum adlectus anno 1533 titulo Sanctorum Ioannis et Pauli, IX calendas martias. -Georgius de Arminiaco de comitibus Arminiaci, in Aquitania episcopus, episcopus Ruthensis, a Paulo III in pontificiam Curiam ads […]atus titulo Sanctorum Ioannis et Pauli anno 1544, calendas ianuarias. -Antonius Triultius, domicellus mediolanensis, renuntiatus cardinalis presbyter Sanctorum Ioannis et Pauli a Paulo 4 de anno 1557. -Alphonsus Carafa, domicellus neapolitanus, a Paulo IV diaconus cardinalis primum Sanctae Mariae in Dominica anno 1557, idibus martiis, inde presbyter Sanctorum Ioannis et Pauli. -Gabriel Paleottus, bononiensis, a Pio IV anno 1565, IV idus martias, ditatus purpura tituli Sanctorum Nerei et Achillei, qui postea optavit titulum Sanctorum Ioannis et Pauli. -Nicolaus de Pelve, gallus, archiepiscopus Senonensis, a Pio V cardinalis, renunciatus sit Sanctorum Ioannis et Pauli anno 1570. -Alexander Mediceus, patritius florentinus, a Gregorio XIII cardinalis presbyter creatus Sanctorum Quirici et Iulittae anno 1583, idibus decembribus, optatum inde voluit titulum Sanctorum Ioannis et Pauli atque is cum pontificia sedit omnium suprema dignitate Leonis XI nomine. -Antonius Carafa, domicellus neapolitanus, disciplinarum omnium peritia celeberrimus cui cum purpura datus titulus Sanctorum Ioannis et Pauli. -Ioannes Baptista Castruccius, lucensis, a Sixto V decoratus purpura anno 1583 tituli Sanctae Maria in Ara Coeli, optatam deinde voluit aedem Sanctorum Ioannis et Pauli sub Clemente VIII. -Augustinus Cusanus, patritius mediolanensis, a Sixto V pur- 19 20 Parole parzialmente intelliggibili. Località di difficile individuazione. f. 188 verso pura indutus titulo Cardinalis diaconi Sancti Hadriani anno 1588, calendis ianuariis, sub Gregorio XIV per optionem titulum assecutus est primum Divi Laurentii in Panisperna, inde hunc Sanctorum Ioannis et Pauli. Decessit Mediolani anno 1598 et haec aedes deflevit erga se tam liberalis et munifici titularis obitum. -Camillus Burghesius, romanus, presbyter cardinalis tituli Sancti Eusebii a Clemente VIII creatus anno 1596, optavit anno 1599 titulum Sanctorum Ioannis et Pauli ad annum usque 1602 retentum, dimisit per optionem Sancti Chryso- goni a quo anno 1605 rerum potitus est, Paulus V appellatus. -Octavius Aquaquia (sic, i.e. Aquaviva), domicellus neapolitanus, quem purpura insignivit Gregorius XIV anno 1591, iniit possessionem tituli presbyteralis Sanctorum Ioannis et Pauli eodem anno 1605 illoque dimisso transiit ad Sanctae Praxedis. -Petrus Aldobrandinus, patritius florentinus, quem Clemens VIII, *patruus*, ad purpuram provexit anno 1593, a titulo cardinalis presbyteri Sancti Pancratii per optionem potitus est hoc eodem Sanctorum Ioannis et Paul,i quem dimisit anno 1612, inita possessione Sanctae Mariae Trans Tyberim. -Decius Carafa, domicellus neapolitanus, archipresbyter Damascenus et apud Catholicum Hispaniarum regem nuncius, cui Paulus V purpuram imposuit anno 1611 cardinalis presbyteri Sancti Laurentii in Panisperna, optavit deinde hunc titulum Sanctorum Ioannis et Pauli et retinuit ad annum usque 1626, quo vivis ereptus est X calendas februarias. -Carolus Pius, princeps carpensis, quem anno1604 Clemens VIII induit sacra purpura e titulo cardinalis diaconi Sanctae Mariae in Via Lata anno 1626, mense martio, gradum fecit ad hunc presbyteralem Sanctorum Ioannis et Pauli, quem eodem anno, mense octobri, dimisit per optionem tituli Sancti Laurentii in Lucina. Obiit decanus Sacri Collegii. -Laurentius Magalottus, patritius florentinus, per Urbanum VIII anno 1624 ad purpuram evectus Sanctae Mariae in Aquiro, anno 1628 gradum fecit ad titulum presbyteralem Sanctorum Ioannis et Pauli, pridie calendas martias. Illi ante assumptionem ad pontificatum erat cum Urbano VIII arctissima familiaritas, ut patet ex carminibus quibus eundem invitat rusticatum, iis, inquam, suavissimis: Arva madent pluviis et amabilis aura calores iam fregit celerique fuga se proripit aestas rura vocant laetisque patens in collibus aer, hic recreor spatiorque libens et cetera. Si, Magalotte, placet tristes deponere curas, qua lacus Albanus vitreis diffunditur undis Gandulphi pagus veteris pars altior albae excipiet lare nos modico, qui sufficit usus quos parvo contenta petit natura superbae non aedes, animi requies facit una beatos, hanc tibi quae cordi solum parat ardua virtus, f. 189 recto huc igitur secede, bonis quae detulit anni hora, parensque sua tellus dat sponte, frueris, et cetera. Ut inde non mirum si ad quietem ruris invitaverit, statim etiam ac ad dignitatum omnium apicem provectus fuerit, Magalottum ad molis levamen pontificiae invitaverit et cardinalitia purpura insigniverit: tantae familiaritatis in causa erant ingentes virtutes singularesque animi dotes, quibus imbutus Magalottus sympatico quodam affectu Urbani VIII benevolentiam et gratiam iniit. Erat enim ingenio acer et in arduis ac difficillimis rebus semper ob inclitam sibi prudentiam ad meliora propensus eratque illi sermo et eloquentia efficax ad omnia ut merito princeps optimus maximus illius fidei plura commiserit quae sapienter non minus quam feliciter peracta summa cum commendatione sunt. Inde Curiam reliquit Ecclesiae ferrariensi praepositus quo in munere obiit anno 1637. -Franciscus Maria Macchiavellus, patritius florentinus, ab Urbano VIII *1637* in purpuratorum ordinem adscriptus titulo cardinalis presbyteri Sanctorum Ioannis et Pauli anno 1641, XVII calendas ianuarias, et infula cohonestatus ferrariensi, fato concessit anno 1645. -Gibertus Borromeus, domicellus mediolanensis, ab Innocentio X purpuratis patribus adscriptus anno 1651, XI calendas martias, titulo presbyterali Sanctorum Ioannis et Paulo, qui morum integritate, virtute, doctrina, cum humana tum etiam divina floruit neque enim tantum litavit legali prudentiae sed etiam Sacrae Theologiae libavit ut propterea difficillimas quasque quaestiones et argumenta magistrorum more explicaret et solveret. Occidit certe, eo defuncto, magnus Sacrae Purpurae splendor et iubar occubuit virtutum omnium, ut qui inclytus heros vestigia oppido Sancti Caroli 47 A. Englen: Appendice: Fonti manoscritte Borromei, gentilis sui, prosequeretur, tantum boni cum totius Curiae maerore abstulit una dies. Eius exuviae illatae tumulo sunt in aede Sancti Caroli nationis mediolanensis. Clarissime illius memoriae me plurimum debere profiteor memoris animi gratiae cum etiam a me non rogatus sed pro sua, qua erat praeditus benignitate, commendatum me voluerit sanctae memoriae Alexandri VII. f. 189 verso -Iacobus Rospigliosus, pistoiensis, nepos Clementis IX, a quo purpura et titulo Sancti Sixti ornatus anno 1667, 12 decembris, sub Clemente X *titulum hunc assecutus est, princeps certe religione et pietate insignis et liberalitate eximius praesertim in pauperes, ut non mirum si urbis totius benevolentiam inierit*. Ex his titularibus nonnulli rerum potiti fuerunt. In his Sanctus Ioannes I anno Christi 523, qui, totus in extinguendo haereticorum nomine, Arrianos ex Italicis tractibus exturbavit eorumque sacras aedes dono catholicis dedit ut propterea Theodoricus, Gothorum rex, immaniter ad obitum usque insectatus sit. Sanctus Agapitus anno 535, auctore Anastasio, clericum egit in Sanctorum Ioannis et Pauli, id quod, teste Ugonio id asserente, nec a Platina nec a Panvinio traditur magnus ille fuit pontifex, qui Iustiniano caesare adito, suadere conanti ut damnatum Eutichetis sententiam ratam firmamque esse iubeat, plenus animi et roboris: “Credebam”, inquit, “me ad Iustinianum accessisse christianissimum principem, sed quod video, Diocletianum nactus sum Christo infensissimum”. Sanctus Deusdedit anno 613 quo de mentio in marmore mox afferendo eius sanctitatem prodigium declaravit quo, elephantiacum osculo impertitum, pristinae reddidit saluti. Honorius III, e clarissima Sabellorum gente, ex hoc titulo cardinalitio ad obeunda in orbe catholico summa pro Christo munia ascendit. Is inter alia praeclare gesta expeditionem in sultanum aegyptium molitus est, ingentes in aegyptios tractus copias trayciens legato a latere magno illo Ioanne cardinale Columna tribusque catholicis regibus rem tantum administrantibus, Pannonio, Cyprio, Hierosolymitano, cum aliis Christiani nominis principibus, qui omnes sultano in fugam coniecti, ad Pelusium, innumeros, capta urbe, Saracenos internecione deleverunt tricies mille in servitutem abductis relatisque opimis spoliis. Innocentius VI anno 1352, qui suo nomine per cardinales duos Romae insignibus imperatoriis Carolum IV evinxit. Aegidium Carellum, cardinalem Albernotium, hispanum, in Italiam Avenione misit, a quo urbe tyrannica vi occupatus recepit. Franciscum Baroncellum et Nicolaum Laurentii oppressit, f. 190 recto qui romanae urbis ditionem ad se traduxerint. Hadrianus VI anno 1522, cui perbrevis ad pontificium gubernaculum sedes agendarum cum fama rerum occasionem praeripuit. Hi omnes ex hoc titulo proxime ad honorum apicem evecti non immediate tamen Leo XI et Paulus V, quibus ex aliis optatis titulis fuit gradus ad summum fastigium. Non una huic aedi per pontifices et cardinales reparatio, non unus ornatus Sancti Symmachi *et Hadriani I romani, ut Anastasius21 in eo: “sed et in titulo Pammachii Sanctorum Ioannis et Pauli, qui per elapsos marcuerat annos, omnia sarta tecta eiusdem tituli renovavit”* et praedicti Hadriani VI, pontificum, extant hic monumenta. Sanctus Leo III ex Anastasio in eo: “sed et in titulo Pammachii fecit coronam in argento pensantem libras decem”. Idem auctor in Gregorio IV obtulit vero: “bea[…] […] papa in titulo Pammachii vertere ac staurari cum periclyti de quadropulo”. Ad cardinales titulares quod attinet vel plane restituit vel restauravit Ioannes Sutrinus anno 1150, quod supra diximus, et censetur ex auctographo Coenobii clarissimae familiae comitum Tuscolanorum, dictus fortasse Sutrinus ex eo, quod eius familia ibi dominatum gereret, eius beneficentiam palam esse iubet tetrastichon in epistylio porticus huius basilicae: Presbyter Ecclesiae Romanae rite Ioannes Haec animi voti dona vovenda dedit Martyribus Christi, Paula pariterque Ioanni Passio quos eadem contulit esse pares. Guilelmus Hencavort cardinalis, germanus, ab HadrianoVI renuncians, aedem hanc sibi titularem reparavit docent insignia marmorea quae in facie subsunt ipsius pontificiis insignibus a quo aliquid in reparationem erogatum fuit cum summum in illum esset studium e cuius titulo vel absens ad summum pontificatum evectus est. Non ita tamen reparata ut dignissimis titularibus Nicolao de Pelve, gallo, et Antonio Carafae, neapolitano, pie ac liberaliter auxilio subeundum non fuerit. Pelvius sumptuose tecta refecit, parietes instaurat, aras ornat, odeum extruit supra valvas, pavimentum adaptat, porticum renovat eoque splendoris aedem adducit, quem divum cultus dignitas postulat. Carafa nobilitate, doctrina ac pietate eminens scitissimis picturis de quibus infra illustrat. Coenobium ex parte restituit, aliaque confecit in sacrum hunc locum beneficia. f. 190 verso Augustinus cardinalis Cusanus caelato (ex insignibus palam est) egit lacunari. Leo XI titularis sacra supellectile sacrarium instruit, loquentibus per eius insignia antependiis. De huius aedeis consecratione nonnulla Floravantes Martinellus e codicibus manuscriptis illa autem sunt: «Anno Domini MCLVII, Pontificatus divi Hadriani IV papae anno IV, II calendas ianuarii, per Ioannem presbyterum cardinalem qui totum opus simul et altare construxit, consecratum est hunc altare a Viliano pisano archiepiscopo, viro religioso, ad honorem Dei omnipotentis et sancti confessoris Nicolai et protomartyris Stephani et sancti Silvestri et omnium apostolorum et sanctorum Chrysanti et Dariae martyrum, quorum reliquiae ibi plurimae reconditae sunt feliciter». Item: “Anno Domini MCCLVI, indictione XIV, Pontificatus domini Alexandri IV papae anno II, consecratum est hoc altare in die Palmarum ad honorem Dei omnipotentis, Petri et Pauli et aliorum apostolorum per ipsum papam, qui annis singulis ad hanc ecclesiam accedentibus in Assumptionis Beatae Mariae die et usque ad 15 sequentes, duodecim annos de vera indulgentia concessit, quae de ultima per Antonium cardinalem Carafa consecratione ararum sex habetis infra suo loco”. Ditescit preterea hoc sanctuarium e pretiosis sacrorum pignorum reliquiis, quarum pars sub ara maxima in confessione, pars sub aris, pars in Sacrario. En index ab Ugonio: Sub ara maxima corpora sanctorum Martyrum Scillitanorum ex insula nimirum Scillitana apud Afros, quorum celebritas ad diem decimum sextum ante calendas sextiles quievere in metropolitana Carthaginensi, in qua Romanum Martyrologium collocat Romam translata, Carolo Magno vivente. Consule notas ad Martyrologium ad praedictum diem. Haec autem martyrum nomina: Sancti Speratus, Felix, Natales, Aquilinus, Generosa, Donata, Cythinus, Leptarius, Beturius, Ianuaria, f. 191 recto Bassia, Secunda. Sub ara sancto Nicolao sacra conditae reliquiae eiusdem sancti Nicolai, Stephani I, Silvestri I, Chrisanti et Dariae omniumque apostolorum ac vitreum vas sanguinis sanctorum martyrum plenum et alia. Sub ara dextera divis Ioanni et Paulo, posita in navi media, arca servatur, in qua multa veneratione dignae condita sunt. In ara quae e regione est caput veneramur alterutrius sanctorum aut Ioannis aut Pauli. Alterum fama est asservari filisburgii. Sub ara, quae Deiparae Niveae dicata, et ad dexteram sita ingredientium, vas est plumbeum in quo alia vasa lignea et vitrea martyrum implet vel sanguis vel ossa vel terra mixta sanguine.Ex iis quae de tam nobili tamque antiqua basilica persecuti sumus compertissimum est deserendam non fuisse iustoque non frustrandam obsequio. Saluberrimo enim caelo fruitur, cum in montis vertice posita sit, et ex Aquilone vallem habeat per quam Austro liber aditus et ex adverso multa vetustate insignia aedificia quae prohibent. Idcirco e summis romanis 21 Anastasio Bibliotecario (tra 800 e 817- ante 879). Vd. Arnaldi 1961, pp. 2537. 48 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali pontificibus fuerunt nonnulli quibus ex Ugonio sedes hic fuit. Attamen canonici sex qui Latino cardinale Ursino titulari operam hac in aede praestabant, obsequium negligentes continensque palatium non habentes ut proinde aedes et palatium tantum non corruerint a Nicolao V, cardinale ipso titulare contendente, cui curae fuit conservatio sanctuarii ac divini cultus incrementum, omnino sublati sunt. Hinc pervolante tunc temporis optima Iesuatorum fama, ipsis hanc aedem cardinalis impetravit primusque possessionem iniit beatus Antonius Bettinus senensis, quem vita integerrimum Pius II infula donavit Fulginiensi et Ursino et Bettino in grati animi significationem imaginem constituerunt sodales religiosi in priori coenobii peritstylio: “Latino Ursino, tituli Sanctorum Ioannis et Pauli Sanctae Romanae Ecclesiae presbytero cardinali, quod beatum Antonium Bettinum senensem, ordinis Iesuatorum postea Episcopium Fulginatem, ad urbem profectum amantissime exceperit eique eamdem suam titularem ecclesiam […] et iura a Nicolao V pontifice maximo […] impetraverit ad f. 191 verso ampliorem tanti beneficii memoriam et Iesuati romani hic exprimendam curarunt anno Domini 1626”. Auctor huius ordinis beatus Ioannes Columbinus senensis ac nobilis uxor in causa fuit ut sanctus fieret. Domum enim aliquando reversus ut prandeat cum illa mensam non straverit quo aequanimiter expectet, legendum tradit codicem de Sanctis. Ille tamen gravius succensus, proiicit. Continuo poenitens in manus iterum sumit inciditque in Historiam Sanctae Mariae Aegyptiacae, qua lecta, tantum sentit pietatis studium ut in sodalitatem flagello se diverberantium (e qua prodiit sanctus Bernardinus civis et ordinis seraphici iubar lucidissimum) adlegi voluerit. Tantum apud illos proficit Ioannes ut olim impius in indigos pius adeo factus sit, ut quadam die obvium pauperem toto corpore stigmaticum domum detulerit, cibum praebuerit, lecto crediderit. Novit inde coelitus Christum a se delatum, nutritum, lecto creditum. Hinc cum coniuge convenit de servanda in omne tempus castimonia seque ab ipsa deiungendo ad asperioris vitae cultum comite, cui idem velle, idem nolle adscito, nudus cum illo pedes incedit et caput, cui et alii adiuncti, quorum numero ad sexaginta expleto, Urbanus V anno 1367 praemisso examine album calculum novo ordini adiecit, data veste cum Augustinianis legibus, Hieronymiani etiam dicti sunt cum divum Hieronymum patronum habuerint. Vestiit alba laxa, quam ad pectus zona constrinxit non satis lane manicata, ad pedes promissa, ac pallium fulvum cum cucullo ad humeros. Nullum induit ordo scapulare seque praecinxit alba vitta. Iesuatorum nomen e caelo narratur acceptum. Viterbium enim, ubi aula tunc pontificia, infantes pueruli eum primum videre, eo appellarunt nomine. Operam in stillandis herbis ponebant, precum poenarumque studio non dimisso sed literarum, unde in ordine nemo sacra faciens, anno 1611 Paulus V [quibus]dam relatis causis, permissum Iesuatis voluit ut inter ipsos essent qui sacra peragerent, dominicae psalmodiae pensum exsolverent, ab excipiendis confessionibus abstinerent. Annus, quo 22 Benedetto Mellini, romano, bibliotecario della regina Cristina di Svezia, morto nel 1667. Pubblicò un libretto sull’Oratorio di San Lorenzo al Laterano e scrisse un’opera sulle antichità di Roma (Vat. Lat. 11905) pubblicata da Federico Guidobaldi e Claudia Angelilli (Guidobaldi, Angelilli 2010). Non ho trovato il passo di Mellini cui fa riferimento Bruzio. f. 192 recto firmus ratusque fuit ordo pontifici, vivis auctorem Senis eripuit et ad Coenobium cui vulgo Sancta Bonda nomen, in quo eius filia velo se involverat, sacrum Ioannis corpus delatum est. Nihil Romae est quod beati Columbini memoriae deserviat quam cilicium ac vestis quae ad sanctae Marthae iuxta fornicem Camiliani. Aedes autem haec, si describenda more nostro sit, *et ut in codice manu scripto habet etiam Millinus22*, tres ostentat naves facieque gaudet orientali. Navim mediam columnae sustinent quatuor et viginti, quae ex Africano marmore et ordinis Corinthii e quibus viginti tantummodo videntur, cum quatuor totidem in pilis lateant, quae ad laterales sustinendos parietes, quibus fornices duo impositi cum erismis ad Austrum, quo parietes inclinant. Lux erat olim aedi utrinque a fenestris tredecim, quibus superiores arcus et a tribus in fronte, hodie tamen a tribus tantum, cum reliquus occludat paries. Ianuam maximam ornat elegans porticus octastylos et e columnis primam et ultimam vides e Pario marmore, caeteras ex Africano seu Numidico, atque inter has quae pro ianua e viridi laconico, quas Paulus V, aliis suppositis, amovit ut in Basilicae Liberianae zophorus ex illis fieret sumptuosissimi sui sacelli hemisphaerio. Porticus epistylio carmina incisa sunt, quae supra attulimus: «Presbyter et cetera». Valvae unae, sed amplae, quas marmor coronat, musivi linea coronas intersecante, *opus Iacobi, quem credo filium Cosmae, recensiti tabernaculi aedificatoris*, vertici aquila marmorea insigne, creditur Ioannis, quem diximus, cardinalis Sutrini e familia clarissima, quae fides est comitum. Ex utroque in imo latere leones duo e marmore, quibus in ore sus, in aditus custodiam. Ab ethnicorum memoria mos invaluit ur pro templis leones, testantibus et aliis Romae sacris aedibus. Ortus autem mos ab Aegyptiis non ignorantibus lumina leoni non vigili ad somnum ducenti patere, et quidem igneis proxima. Hinc leo vigilantiae hieroglyphicum qua potissimum sacrae aedes custodiendae. Pavimentum olim stratum segmentato opere indicat quicquid valvis proximum reliqui est, in quo porphyretici lapides non pauci, qua longum palmos numeras viginti ultra ducentos, qua latum octo et viginti ultra centum. In summo absis egregie picturata, superiorem eius partem Servator pictus ornat, stipatus angelis *cui sub pede sinistro ingens stat globus*. f. 192 verso Inferiora vero Sanctorum Sanctarumque imagines quorum in hac aede sacra corpora, *nimirum sancti Saturnini a dextris et hinc inde sanctorum Sperati, Felicis, Nazzarii, Aquilini, Cythini, Laetarii, Beturii, Generosae, Donatae, Ianuariae, Bassiae et Secundae*. Cernitur postremo beatus Pammachius monachum indutus, cui haec subscripta: Sanctus Pammachius huius ecclesiae conditor. His picturae subiectae quae coloribus expressa referunt, quae nobilissimi bellatores praeclare gessere divi Ioannes et Paulus, cum *pluribus gentis Carafae insigniis inauratis et* aurea hac in ipsa coronide epigraphe: Antonius Carafa Sanctae Romanae Ecclesiae Presbyter Cardinalis, cum huius ecclesiae titulum obtineret, exornandum curavit anno Domini 1587. *Ad latera parietis extra absidem a dextris visitur imago beati Ioannis Colombini et sancti Hieronymi et a sinistris beati Francisci Vincentis, beati Ioannis socii*. Ex utroque confessionis latere per gradus quinque ad absidem ascenditur. In medio ara maxima eaque insulata et a viridi laconico spectabilis tabernaculum tegit quod columnae quatuor sustinent *in qua basi est inscultpum nomen fabri, videlicet Cosma*, e quibus priores duae ordinis Corinthii, posteriores ad absidem compositi. Inferiorem partem crustant marmoreae tabuale zophoris discolaribus distinctae. Superior non multum distat coronis marmorea, quae semicirculo circumducitur et super coronidem columanrum e marmore ordo, qui et circumducitur; opera haec omnia antiquitatem sapiunt. Arae subiacet confessio cum sanctorum corporibus, quae iam percensuimus. Ante confessionem hoc monumentum: “Hic requiescit magister Iacobus, filius olim Angeli Nicolai scriptor domini papae et clericus huius ecclesiae. Sub confessione ex utroque navis latere marmorea subsellia cum gradibus. Hic olim qualis, quod sentio, qua in Sancti Clementis, sed sine pulpitis, quae apparent sublata fuisse: quod accidit in sacris aliis aedibus antiquissimis. In huius scholae gradu ad dexteram hoc fragmentum cernitur: D.M. Aelia, Calphurni filii, Rinthia vel prisf. libert. augg.ma incomparabili et a Mamertino filio piis fecit et sibi liberti23. Ad columnae24 in pariete hoc inscriptum: Antonius Carafa huius tituli Sanctae Romanae Ecclesiae Presbyter Cardinalis sex huius ecclesiae altaria a Ludovico archiepiscopo Montis Regalis, die sancti Ioseph 1588 consecrari curavit, quo die quotannis visitantibus unum ex his altaribus Sixtus papa V decem annos de vera indulgentia concessit. In huius mediae navis umbilico haec pavimento f. 193 recto insculpta leguntur: 49 A. Englen: Appendice: Fonti manoscritte Hocce puellae iacet tumulo corpus Elisabeth Quod manet in Sancta Aula nunc Baptistae Iohannis. Ildebrandus, eius genitor, Theodoraque mamma. Ortu puella ideo fuit ardua stemmate Romae, bis annos <h>abuit senis et mensibus decem. Ducta, Iohannes, vestra Paulique iure sub alma, Pro qua vos Dominum deposcite, martyres almi, Ut sibi det requiem sanctam post funere semper tumulum ad requiem, Subiaceat nexu dum vivit in orbe anathema. Dep. V kalendas septembras, INDICTIONE V. Cernitur etiam in pavimento locus martyrii sanctorum Ioannis et Pauli, clathris et in sacrario servatur truncus super quem sacra illis capita lictorem recisa traduntur. Primae pilae ad dexteram marmor illud, quod olim fuisse diximus in porticu, in quo sanctus Gregorius Magnus omnia aedis huius bona confirmat, ita loquitur: “Gregorius episcopus servus servorum Dei Dilectissimis in Christo filiis Deusdedit cardinali et Ioanni archipresbytero tituli Sanctorum Ioannis et Pauli et per vos in eodem titulo in perpetuum. Creditae speculationis impellimur cura et ardore Christiane religionis etiam studio divini cultus promeremur pro venerabilium piorumque locorum praecogitare stabilitate atque Deo servientium securitate ut hoc proveniente pro labore et animae Christo dicatae eique se illi diebus vitae eorum servire decreverunt, perseverent et imperturbate, nec non in illa maneant finetenus firma quae a Christianis in Dei laudem constructa sunt. Quia igitur dilectio atque religiositas vestra petiit nobis quatenus hos fundos in integro sitos territorii Bellitrensis milliario XXII ac in aliis locis. N + Territorius Bellitrensis milliario XXII C O Fundus Mucianus in integro O T Fundus Cosconis in integro, ubi supra N f. 193 verso S I fundus Praetoriolus in integro, ubi supra T T fundus Casacatelli in integro, ubi supra A I fundus Proclis in integro via Appia milliario XIII. N A fundus Virginis in integro via Appia milliario II. cum pantano T fundus Capitonis Via Ardeatina milliario III I F fundus Fonteianus in integro via suprascripta milliario V. N V fundus Furnusianus25 in integro via suprascripta milliario plus minus XII. V N fundus Lausianus in integrum via suprascripta milliario suprascripto S D fundus Carbonariorum in integro via suprascript milliario plus IX. O fundus Publica in integro via Latina milliario plus minus XI. S R fundus Casa Quinti in integro via Latinamilliario plus minus XI. E V fundus Lacitianus in integro via Lavicana milliario XV. R M fundus Sergianus in integro ubi supra V T fundus Septiminis in integro via *** V I fundus Caesarianus in integro via Praenestina milliario XXX. T fundus Stagnis in integro in via Latina milliario plus minus XXX. S V fundus Casaluci in integro ubi supra S L fundus Casacellensis via Appia milliario XIII E I R V H Vestrae Ecclesiae confirmamus26 et nos ita O V confirmamus ut, si quis27 temerator extiteI rit, anathematis vinculo subiaceat in perpetuum R S M” Ad secundas huius navis pilas arae duae sanctorum martyrium triumphale exhibent sanctorum Ioannis et Pauli. Dexteram pinxit Raphael Rhegiensis, laevam Paris Roma- nus. Alteram ornant geminae columnae ex albo marmore, quod nigro interstinguitur ordinis Ionici. Alteram quoque totidem columnae e Carystio sine maculosae. Sub his corpora servantur sanctorum Ioannis et Pauli et in ara altera caput alterutrius. Condita f. 194 recto haec sacra pignora in plumbea capsula sub hac ara voluit Nicolaus de Pelve, archiepiscopus Senonensis, translata per ipsum honorificentius hinc a loco in eadem aede, ubi illo cardinale titulari reperta fuerunt, non sine romani populi confluentis ingenti iubilo, ob praeconceptam spem sibi a tanto thesauro, qui tunc innotuit, tutissimum afferendum praesidium in adversis omnibus. Serenissima etiam Respublica Veneta, germanorum Caelitum Ioannis et Pauli antiquitus patrocinium experta, excitavit ad eorumdem honorem templum in illa urbe splendidissimum tum magnitudine molis, tum formae praestantia, tum cellarum picturis et ornamentis, tum denique […]starum numero et obsequiis. Caruit diu, alioquin ditescens ab aliis sacris pignoribus, reliquiis patronorum sanctorum Ioannis et Pauli, quibus si potirentur Serenissimae illae simulque religiosissimae Publicae Rei, plurimum augendum divinum cultum et religionem erga sanctissimos martyres in persuaso erat. Accessit martyrum interventu eademque anniversaria solemnitate beneficium aliquod Reipublicae tributum quod prodigii loco acceptum est. Propterea voti compos fieri exoptans amplissimus Senatus per illustrissimum et excellentissimum oratorem equitem Petrum Bassadonna, venetum patritium, morum elegantia et singulari in rebus agendis prudentia spectabilem anno a pactu virgineo 1661 preces porrexit Alexandro VII ut duas reliquias eorumdem germanorum insignes Reipublicae supplici concedere dignaretur venerationi fidelium decentissimo loco exhibendas in praefata iisdem nominibus Sacra Aede Venetiis. Annuit pontifex maximus serenissimae Reipublicae precibus statimque iniunxit Octaviano Carafae, archiepiscopo Patracensi, tunc temporis martii Ginetti cardinalis vicarii vicesgerenti, ut adiret cardinalem Gibertum Borromaeum, tunc aedis titularem, certioremque faceret de gratia eidem excellentissimo oratori, pro Republica acceptanti, concessa deque tempore quo aperiendum esset sacrum conditorium una deliberarent imperata igitur Alexandri maximi pontificis uterque facturus statuta die et hora, mense septembri illius anni, adhibitoque notario, qui in tabulas redigat exuviarum sacrarum identitatem deque concessione et traditione respective publicum faciet documentum, necnon chirurgo anotomiae peritissimo ut ossa sacra recognoscat. Donatae igitur sunt f. 194 verso selectae duae brachiorum portiones seu, ut chirurgi dicunt, duas viscas sanctorum Ioannis et Pauli, has sumpserunt a praefata capsula per quam decenter thecisque inclusas praefati cardinalis titularis et archiepiscopus vicesgerens praebuerunt excellentissimo oratori sigillis munitas assentientibus et sacrum munus gratulantibus nedum praefatis, sed etiam Urbano Davitio, tunc dignissimo priore loci, et suis fratribus omnibus, qui in Sanctorum honorem solemni ritu sacris operati sunt illo mane. Magna veneratione urbs Venetiarum excepit sacra haec pignora, universi amplissimi ordines in laetitiam effusi apparatu pompaque mirifica et musicis modulantibus, religionem in sanctissimos martyres pietatemque ingentem testati sunt conditaque voluerunt in duobus vasis crystallinis pretiosissimis, quae sustinent duo angelorum marmorea signa ad aram tantorum caelitum et patronorum Ioannis et Pauli. Et haec omnia narravimus ex relatione eiusdem Urbani Daviti, parochi nunc Sancti Ioannis de Mata et per illud temporis prioris sancti Ioannis et Pauli et suae religionis iam suppressae procuratoris generalis indeque prioris generalis meritissimi. Qua pila valvas spectat, priscum marmor cernitur quod hic nempe inventum, moderante clavum ecclesiae Urbano VIII atque hic ab eminentissimo Francisco cardinale Barbarino, 23 Vd. CIL VI, 2, 9008, p. 1194: D.M. AELIA CALPURNI. FIL. CO/ RINTHIAS. AEL. PRISCIANO/ LIB. ET. PROC. AVGG. MARITO/ INCOMPARABILI. ET AEL/ MAMERTINO FILIO PIISSIMO/ FECIT. ET SIBI. LIBERTIS. LI/ BERTABVSQ. POSTErisqu.eor. Vd. supra, p. 26 e p. 27, nota 89. 24 Per columnas. 25 Per Fausianus. 26 Per confirmaremus. 27 Per quisdam. 50 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali cui summa in antiquitate religio, locatum eius insignibus appositis et ita habet: Constat nimirum, dilectissimi fratres, de promissione, quam ex corde fecimus coram Deo et Sanctis eius ut unusquisque nostrum, fratres sacerdotes et posteri nostri sacerdotes in perpetuum, qualiscumque ex hac luce migraverit, XL missas pro eius anima per unumquemque sacerdotem, qui superstites sunt, canere promisimus; si tamen infirmitate fuerit occupatus, non reputetur ei in peccatum et si receptus fuerit in pristinam sanitatem, omne quod supra dictum est adimpleat, qui vero custos et observator fuerit, habeat benedictionem Dei patris omnipotentis et Filii et Spiritus Sancti et coeleste regnum possideat cum omnibus Sanctis; qui et hoc non observaverit sit anathematis vinculo innodatus et a Regno Dei separatus. Haec fert opinio eo tempore marmori tradita, quo hic sedere monachi Pammachiani, quibus laudabilis hic mos ut, suf. 195 recto premo die expleto, sacerdos defuncti sacerdotis re divina facta noxas expiaret. Si ad aedis fores descendas, odeum cernes quod a Nicolao cardinale de Pelve extructum fuit, cuius et habes insignia. Columnae quatuor quarum duae e Pario negri coloris venis distincto et quidem perpulchrae sustinent. Addita etiam hic epigraphe: Ad Dei gloriam et honorem sanctorum Ioannis et Pauli et sancti Saturnini anno Domini 1581. Sub odeo ad lustralis aquae vas, quod Camillus Borghesius, tunc aedis titularis, construxit, haec in fragmento leguntur: Constanti beatissimo ob perennem de quadis ex eorum te [...].. Sub ipso odeo arae duae, altera sancto Saturnino martyri sacra, qui ibi pictus, cuius et hic, quod iam dictum est, corpus quiescit in urna porphyretica sub hac ipsa ara cuius gryphes exculpti duo *fuere in paràssitis* mirabili artificio nec sine ornatu duarum columellarum e marmore carystio. Altera vero sancto Nicolao, episcopo Myrensi, dicata, cui idem plane ornatus cum reliquiis de quibus supra egimus. Laqueare, quo navis haec media tegitur, opere diaglyptico affabre caelatos venerare sanctissimos martyres ac fratres Ioannem et Paulum inter Cusani cardinalis insignia, qui dum deaurare destinaverat ne infra alia Romae esset, diem ultimum Mediolani clausit. Navim dexteram subeuntibus occurrit in medio ara quae Virgini inter Virgines maximae potita est, cuius in tabella effigies. Puerum gestat in sinu. Angeli duo aureum diadema imponunt duoque alii sustinent. Geminae colummellae ornant ex ophite viridi. Utrinque extra aram beatorum imagines, qui Iesuatorum ordinem illustrarunt, Ioannis Tossignani, quem Eugenius IV Aecclesiae ferrariensi praefecit et Antonii Bettini, quem Pius II episcopum Fulginatibus dedit. Donant lumine utroque e latere fenestrae duae tetragonae. Laeva navis, ad quam est congressus per gradus quos a Scauri clivo erexit Simmachus Papa, teste Anastasio, ut supra diximus, super ianuam in summo picturas ostentat antiquissimas, nimirum in medio Servatorem sedentem, cui codex apertus in sinistra manu haec praefert inscripta: Ego sum lux mundi, qui sequitur me non ambulat in tenebris. Stant a destris imagines sanctorum Pauli, Ioannis et Iacobi; a sinistris vero sanctorum Petri, Andreae et, ut credo, sanctus Thomae, cum nominis literae obliteratae sint, quae tamen 28 Fioravante Martinelli, romano, scrittore della Biblioteca Vaticana. f. 195 verso leguntur sub aliis imaginibus. Ad latus dextrum, sub dictorum apostolorum picturis, cernuntur quatuor lineae uncialium literarum, quae antea per rectam lineam totam percurrebant frontem, sed ampliata ianua hac a cardinale Sexonensi, elisae sunt dictae literae, quarum tantum in prima linea hae remanserunt, videlicet + Anno Domini M. CF. LV., e quibus apparet has Christi et sanctorum Apostolorum effigies esse quadringenterias. In medio stat ara beato Ioanni Colombino sacrata, cuius imago in tabula Servatorem visum adorantis, cui orbis in manu. In loculamento, quod brevi intervallo ab hac ara disiungitur, antiquissimas pariter videas licet effigies Domini Nostri Iesu Christi in gloria exhibiti, cui beatissima Virgo a dextris assidet. In inferiori ordine repra- esentantur duae aliae imagines sanctorum Ioannis et Pauli, qui videntur lilios illis offerentibus similes. Est et alia imago viri in genua provoluti et hinc inde ad latera sanctorum Apostolorum Petri et Pauli effigies. Martinellus28 affert in hac aede legendum Anastasii cardinalis epitaphium: Hic requiescit in pace Anastasius presbyter Sanctae Romanae Aecclesiae, qui vixit plurimos annos. Illud vero mihi reperire non licuit. In primo Coenobii peristylio urnam sepulchralem vidi, cui basis loco leones duo marmorei atque haec inscripta: Hic dormit Lucas Agatensis, gentis alumnus, Functus in hac aula cardinis officio, Iustitiae fons, munditiae vas seu pietatis L[ux c]aeco, claudo pes, via spes miseris, Ut vo[lui]t Deus, hunc mundi finire labores Sustulit ad se animam, credidit ossa mihi. Hic cardinalis, quem supra diximus creatum ab Innocentio II in Concilio Clarimontano Sanctorum Ioannis et Pauli titularem, devotus […]more29 fuit sancti Bernardi, qui propterea illius meminit epistula 144 ad suos monachos Claravallenses his verbis: Orate pro domino Cancellario et pro iis, qui cum eo sunt [n]ominis Luca Chrysogono et magistro Ioanne. Hodie sacris hic operandis duo tantum capellani amovibiles ad nutum f. 196 recto eminentissimi cardinalis titularis et abbatis simul loci solemnia singulis annis recolunt sanctorum Ioannis et Pauli V, calendas iulias et stationis prima a cineralibus sexta feria, qua cardinalis titularis aedem splendide exornat. Adnectimus modo huic capitulo Urbani Davitii rationes, quibus propugnat rudera hic super quae haec aedes excitata esse a regibus non autem a Cesaribus contra Ugonium et Nardinum, contrarium sentientes, ita enim habet eius manuscriptum Codex italice, videlicet: Dalle ragioni che addurrò credo potersi dire concludentemente questa fabrica ssere quella propria che fu fatta dal re Tullo Hostilio e, quando così sia, che questa sia la più antica che habbia la città di Roma o almeno che si sappia. Primieramente, tutti gli antiquarii dicono questa essere stata fabrica di detto re e nessuno scrive che imperatori o altri ci fabricassero. Secondo, se si havrà riguardo alle fabriche antiche degli imperatori fatte in luogo, dove fosse per avanti habitato, per la maggior parte si troveriano haver il fondamento dentro alla terra smossa e non venire col pulito fuori di terra vergine; ma questa comincia sopra il tufo e, come ho detto di sopra, di là comincia ad uscire polita. Terzo, il piano della chiesa, conforme proverò quando parlerò di quella, è l’istesso piano che fu fatto da Pammachio a’ tempo di Gioviniano, che fu del 363, e questo è tanto alto che arriva quasi sopra il mezzo del pilastro dell’arco superiore e trent’anni fa, avanti che questo luogo fosse cavato, era seppellita la fabrica tutta sino al detto segno, di modo che bisogna dire che a’ tempo che fu edificata la chiesa, il piano della terra si era alzato tanto, onde non pare che se fosse stata fabrica d’imperatori, la quale al detto tempo si saria potuta dire quasi moderna, fosse possuta essersi sotterrata sino a quel segno. Sì che bisogna fossero accorse delle ruine d’altri edifizii, sopra le quali havessero poi li santi Giovanni e Paulo fabricata la loro casa overo habitata in quella già per l’avanti fabricata, che haveva il piano del terreno al pari di quel segno in questo edifizio che di sopra habbiamo detto; onde a quel tempo doveva havere il nome d’antica, conforme appresso di noi hanno l’altre fabriche fatte f. 196 verso anche dopo gl’imperatori. Mi pare ancora di conoscere la di lei antichità vedendo che Claudio imperatore nel condurre che fece l’acqua, dal suo nome detta Claudia, nel transitarla dal monte Celio al Palatino se non havesse havuto riguardo a questa fabrica, havria fatto passare li condotti per la più breve per mezzo a prefato luogo, e pur vediamo haver declinato tanto da essa, quanto è bastato a scansarlo di modo che a suo tempo ci era la detta Curia che puote essere stata fabricata e nello spatio d’avanti a questa chiesa, e dove oggi sta la chie- 51 A. Englen: Appendice: Fonti manoscritte sa, la quale è certo essere sopra ruine di fabriche antiche, come si puol vedere se si alzerà una pietra del pavimento nella nave verso a tramontana che sta discosto sei palmi dalla seconda colonna accanto alli scalini, per i quali si va alla tribuna, perché vi si vedranno muraglie ben fatte di mattoni, che per scendere sino al piano di esse, ci vuole una scala al meno di trenta gradini: non ho possuto però accertarmi di che fabrica potessero essere, ma credo che corressero con il piano di detto palazzo. Di certo habbiamo che anticamente nel sito dove hora è la chiesa fu la casa de’gloriosi santi fratelli Giovanni e Paulo et cetera o poco più abasso: che questa poi sia l’istessa fabrica che fu fatta fare dal detto Pammachio non se ne puol dubitare poiché da molti segni, che ho notati in quella, si può probabilmente dire che sia l’istessa, anzi che parte delle muraglie siano quelle proprie che erano della casa de’ Santi, perché se porremo ben mente alla muraglia della navata verso mezzo giorno, vedremo che è fatta con disegno della facciata d’una casa habitabile, vedendo che al piano della terra corre un portico che lo dimostrano gli archi, sopra il volto interiore de’ quali camina il piano della chiesa e sopra essi ci sono due ordini di fenestre, uno sopra l’altro, come si usa nelle case private, e la muraglia, che connette questa con quella della tribuna, si vede apertamente che non ha somiglianza alcuna con essa tanto nella materia quanto nell’antichità e che una è stata fatta separatamente dall’altra; e non so se si potesse f. 197 recto dubitare senza ragione che questa, nella quale è la porta laterale, fosse di quelle proprie della Curia, vedendo che è fondata sopra un pilastro di travertino che mostra una grandissima antichità. Il disegno d’essa chiesa è conforme l’antico delle basiliche con tre navate, e quella di mezzo sostentata da 20 colonne di granito affricano, e per l’antichità minacciando ruina con inclinare i due muri della nave di mezzo verso il mezzogiorno, è stato riparato a detta ruina con farci due grossisssimi archi che sostentano la muraglia che sta dalla parte di tramontana; e questi restano in chiesa, e per di fuora fattovi due altri contraforti per reggere l’altra muraglia opposta e fiancheggiare li detti doi archi e sette altri archi minori per reggere la muraglia della nave bassa, che è quella che credo fosse la propria casa de’ Santi, sotto li quali passa la strada detta anticamente “Clivus Scauri”. Spesa che, se non fosse stata fatta a considerazione di mantenere l’antichità della chiesa e devozione di quelle sante mure, crederei fosse messo più conto ad impiegarla in rifarla di nuovo: queste cose il signor don Urbano Daviti, a quo etiam verba fiunt de attiguo caenobio et iis quae inventa ib. sunt data occasione aliquid pro caenobio moliendo, quae omnia antiquitatem, non minus quam situs nobilitatem demonstrare ait; propterea citatum manuscriptum exscripsimus et ne tum dignae notitiae pereant, eas huic nostro operi inserere voluimus. Il monastero (sunt eiusdem verba) resta congionto con la chiesa con un breve andito e tutta la fabrica di quello è stata fatta in diversi tempi, sì come ci dimostrano le antichità delle muraglie. La prima parte è quella posta più vicina alla chiesa fondata sopra una bellissima fabrica di travertino anticamente di 14 archi, ma di presente solo di otto, che dalle congetture si puol credere fosse una di quelle fatte fare dal re Tullo Hostilio, e sopra uno dei detti archi è fondato un nobil campanile con sopra tre bonissime campane e questa fabrica potria essere che servisse anticamente per l’habitatione de’ Canonici. Nella parte più alta f. 197 verso modernamente fu fatta una divisione di stanze che servono per il novitiato. Dalla parte di fuori è sostenuta da tre contraforti grossissimi che la puntellano sin sotto il tetto. Attacca con questa dalla parte di levante la seconda fabrica, nel piano da basso della quale ci è il refettorio, cucina, dispensa, e di sopra ci sono due appartamenti: uno serve per habitatione de’ Superiori e l’altro per forasterie. Resta dalla parte di tramontana, distante da questa palmi 48, un’ala d’habitatione più bassa, fatta al tempo del cardinal Pietro Aldobrandini, sopra la quale sono le celle de’Religiosi e tra queste due ultime sono due cortili, in uno de’ quali prima vi si facesse la fabrica il cardinal d’Armignach, francese, essendo titolare del 1544, vi haveva fatto fare una cisterna con molto buona architettura. Restano le sopradette celle congionte all’habitatione del Superiore con un’altra fabrica di due buone stanze a volta fatte l’anno 1630. La porta principale del monasterio è verso mezzogiorno. Manca in questo luogo l’acqua di fonte, in vece della quale, oltre la sopradetta cisterna, ci sono due pozzi che gli soministrano acqua abbondantissimamente, uno è per di dentro, profondo palmi 120 e largo 9, la cui acqua per esser al coperto riesce un poco cruda; l’altro, che è nell’horto, dell’istessa profondità, è di acqua perfettissima e fu trovata accidentalmente imperciò che facendosi cavare il tufo e la grotta gocciando acqua, fu fatta una buca per raccoglierla acciò non impedisse il lavoro, e, veduto che multiplicava assai, fu quella allargata e per la quantità diè poi il pensiero d’aprire una buca e servirsene per pozzo. Gode questo sito aria perfettissima per essere nella più alta parte del monte, e trovassi dalla parte di tramontana la valle che dà libero il passo al sirocco e d’avanti, per di contro ad esso, ha molte fabriche antiche che glielo riparano. Dalla parte di mezzogiorno è terminata la chiesa e monasterio dalla strada che da San Gregorio passa a San Tomasso. Da tramontana si esce in una spaziosa vigna di sito mirabile per essere d’ogni intorno sostentata da fabriche antiche, che l’inalzano al pari del piano del monasterio: in altezza è tal loco di più di palmi cento e di figura quadra, e dalla parte di ponente ci si entra sotto per certe f. 198 recto grotte di fabrica, che dimostra essere stata d’edifitii magnifici. Dalla parte di tramontana, nell’angolo che attacca con la parte di ponente, si vedono ancora vestigii d’archi che dimostrano esservi stato qualche palazzo o edificio publico, il frontespizio de’ quali era tutto di travertino e per tutta questa parte si vedono segni d’archi e non puol essere di meno che non fosse anticamente ornatissima per esser posta su la piazza avanti l’anfiteatro, il quale entrava con il circolo esterno dentro l’horto che gli sta d’avanti. Da levante si vede una fabrica veramente capriciosa, come mostra il disegno della pianta e penso potesse servire per terme. A mezzo l’altezza di questa camina un condotto che doveva servir per portar l’acqua per tutti i bagni. Nel mezzo della volta d’alcuni di quei tondi vi si vede un buco quadro, e le muraglie sono fatte con polizia grande di mattoni, e se bene hanno la terra per di sopra e d’intorno con una sol parte all’aria, non di meno si conservano asciutte. Nel cavare avanti a queste vi si è trovato segno di lastrichi di bagni con luoghi che dimostrano vi si facesse il fuoco. Nel horto posto avanti a queste, cavandosi alcuni anni sono, vi si trovò una platea lastricata di marmi fini et una quantità di capitelli di colonne d’un palmo e mezzo di diametro e per tutti quanti questi horti, quando è stato cavato, si sono trovati marmi travertini, colonne d’alabastro, e di presente 1658 si è trovata una bellissima colonna di giallo e condotti di piombo con lettere che dicevano: DOMITIANI. CAES. AVG. SVB CINI CLEMENTIS DOMITIANI. CAES.AVG. GERM. POSTVMIVS. AMERIMNVS. FE AMERIMNUS. FE POSTVmius Plumbeae fistulae per aquas30 aqua ducebatur, ponderatae fue[runt] librae 450. Che sì come era prima il più nobil sito della città, così era anche ornato sopra tutti, o al paro degli altri, e potria essere vi fosse il palazzo dell’istesso f. 198 verso Costantino e segno ne dà il trovar che si fa nel maneggiar la terra di molte medaglie di Costantino. Queste cose il detto Davitio. *Non omiserim huiusmodi sacram aedem concessam a sancta memoria Clementis X fratribus ordinis Praedicato- 52 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali ris Anglis obsequiis huius sancti luoci commorantibus ex beneficentia eminentissimi cardinalis Evardi, angli, quem idem Clemens X in purpuratorum patrum amplissimum collegium cooptavit. Item sub tam insignis principis pietate hic numero XII religiose aluntur. Propterea idem Evard aedem instauravit, sancta corpora sub ara maxima recondidit in quatuor sacella, construi curavit in alis a lateribus, tam a capite quam a pede, fenestris recenti ritu construxit, aedem mirifice illustravit porticu nihilominus restorato, impendia, ut dicunt, aureorum 4066*. Foglietto tra f. 185 verso e 186 recto. “In certissimis enim est illum condidisse hanc aedem, ut habemus in actis sanctorum Ioannis et Pauli apud patrem Paulum Artenghum in Roma Subterranea Rossii31, a quibus docemur etiam in hac aede in absida videlicettumulata corpora Sanctorum. Crispi et Crispiniani clerici et Benedictae, quos interfici iussit Iulianus (sunt verba eorundem Actorum) quia sanctorum. Ioannis et Pauli corpora ubi sepulta fuerunt Christianis ostenderunt. et paulo infra; et coepit eam studiose Bizantiuscum filio suo Pammachio aedificare, quod contingit anno Domini CCCLXVIII, in cuius rei confirmationem acta recensita referunt, quae infra damus carmina mandata olim marmori, quod nostra memoria in praefata ecclesia haud reperire potuimus. Antistes Domini celsa sacraria Christi Vestibulum decorat gratia pulc<h>ra loci quae quia compta nitet, primaque in fronte renidet obstendit quantum nominis intus inest. Quis tantas Christo venerandas condidit aedes si quaeris ! Cultor Pammachius fidei. Vat. Lat. 11880 De Aede ac Coenobio divorum Ioannis et Pauli, in Ecclesiae Romanae urbis, nec non collegia canonicorum caeterorumque presbyterorum ac virorum monasteria regularia quacumque in Theatrum Romanae Urbis. Tomo IX, II metà XVII secolo, ff. 136v.-142r. f. 136 verso Sacer hic locus situs est in imo monte Caelio ad acclinem Scaurorum viam, quae a Gregoriana aede se iungit. In secunda regione veteres numerant, recentiores in Ripensi veterum romanorum aedificio impositus creditur. Magna enim undique antiquitatis vestigia Blondo, Fulvio, Marliano, omnibus propemodum antiquariis, fuit hic Curia Hostilia qua templum a Tullo Hostilio, tertio Romanorum rege, Albanis, Alba diruta, Romam translatis extructum. Cum Livius affirmet hoc templum in Caelio, coniectant curiam hic positam nec abfuisse regias Tulli regis aedes, quibus superstructum existimant coenobium aedi huic adiunctum, asserentes earum vestigia sub turri ac procedentes ad incultos hortos qui sub coenobio cum in illis longus contra Palatinum paries, novem vel decem ex ingentibus Tiburtini fornices stantes cum perpolitis lapidibus et coronis, quae amphitheatricis non absimiles ostentatum eat, sentiunt hic regiam conditam. Ugonio tamen ad stationem primam in quadragesimali ieiunio sextae feriae non videtur vero prorsus simile quod a regum memoria ad suam usque, qui Sixto V ad ecclesiae gubernaculum sedente, scripsit id mansissse aedificii. Consules enim romana re progrediente aliique cives, quibus opes maxime ipsique Caesares quorum non credibile sumptuosa excitandi 29 Parola parzialmente comprensibile. Dovrebbe essere per quas. 31 Jiulio Rossi de Horte, canonico di Santa Maria in Trastevere. 30 f. 137 recto aedificia studium, rudera omnia vel antiquissima movisse. Hinccredendum putat regiam Hostilii hic fuisse, fornices tamen, qui et hodie extant, caesarianos potius esse quam regios. Nardinus in Roma veteri, cap. 7, lib.3, reg. 2, cum narravit a Blondo et ab aliis dictum hic olim fuisse curiam Hostiliam secundam tamen quam Albanis translatis Tullus aedificavit, se plane ignorare testatur, quo id argumento asseruerint, cum e coronidis fornicumque e Tiburtino reliquiis, quibus turris superstructa inferri non possit, quid nam fuerit aedificii. Mihi quidem videtur negare quod veteres tradiderunt, dum pro explorato est antiquarios, qui primi lucem attulerunt antiquarum rerum, monumentis traditionibus magna ex parte innixos in noscitandis aedificiorum vestigiis, fama curiae Hostiliae, Liviano testimonio, quod illam in Coelio constituit et inscriptionibus quae in proximo ad divae <Mariae> in Dominica repertae unde Albanae mansiones excipiuntur, incumbens vero dignum efficit hic omnino fuisse vero licet simile minus sit fornices e Tiburtino aliaque quae in dies effodiantur hic in vinea potissimum sub hoc coenobio e cuius solo pulcherrima efferuntur simulacra et marmora per regiam constituta memoriam. Procedente autem tempore patriae hic aedes fuere romanis patriciis fratribus divis Ioanni et Paulo, qui spiritum duxerunt, divo Liberio summo catholicae cymbae nauclero, et caesariana in aula educti sunt, praestitis Constantiae Constantini Caesaris filiae obsequiis, nobiles pueri, ideoque multis per illam opibus ditati, quasi omnes in egenerum subsidia contulerunt. Iuliano Apostata rerum potitus clarissimos fratres ad aulica evocat ministeria. Abnuunt omnino. Sibi quidem nec libere, nec licere operam praestare Caesari, qui a Christo desciverit. Impius graviter commotus dies decem praestituit quibus ea de re constitutum habeant contumaciae poenam et quidem capite daturos, nisi cum ipso sint Iovique supplicent. At illi adamantina in Christi fide, constantia muniti, praestituto tempore, quicquid opum reliqui indigis erogant quo expeditius ad superos evolent. Decem iam elapsis diebus Terentianus, praetoriae praefectus, ad sanctissimos fratres accedit cum Iovis signo, testatumque esse iubet a Caesare, nisi thus deastro adoleant, morituros. Interriti, cum precibus operam navent, se respondent mortem pro Christo Deo non metuere. Terentianus, ne a publica nobilium romanorum, qui pluris in urbe et in aula erant, nece aliquid exoriatur turbarum, clanculum perimit VI calendas iulias in suis aedibus in quibus et tumulo inferuntur anno reparati orbis f. 137 verso 363. Rumor increbuit per aulicos, Caesaris iussu,actos in exilium, non necatos. Energumeni tamen quos deserebat obsidens daemon in aedes martyrum adductos, clare locuti quod res est necemque vulgarunt. In his saluti redditur Terentiani ipsius filius fanaticus, qui vix ingressus se clamavit a Ioanne et Paulo comburi. Iam liber et salvus Christo nomen dedit cum patre, qui aliquid martyrum beneficentiae relaturus gratiae acta ipsorum in memoriam ac reverentiam literis mandavit. Iulianus vero qui martyris affecit, illato Persis bello, a divo Mercurio, qui divinitus ex hostium agmine illi obvius occidit memorat Nicephorus, libro 10, capitulo 12, sumptum ex accepto vulnere cva manu sanguinem ac si Christus ob oculos versaretur, caelum suspiciens, in illumk coniecit, additis his summa cum impietate vocibus:”Vicisti, Galilaee, vicisti”. Iuliano igitu,r vita per caelum exuto, succedens Iovinianus, quod quaedam narrat hac in aede historia, iussit Bizantium senatorem eiusque filium Pammachium sacra corpora perquirere, repertisque hortatus est ut aedem extrueret. Imperata fiunt, dictas aedes est titulo Bizantii et Pammachii. Ego quidem scribentis pace dixerim, non adstipulor. Iovinianus profecto Caesar ab exercitu salutatus, christiana licet fide imbutus, administrato non ultra septem menses et extra urbem imperio, cum et ipse in acie contra Saporem, Persarum regem, turpiter pacis concordiam accipere coactus esset, romanis legionibus sub iugum indigne missis, gravibus rebus implicitus id imperare non potuit, nisi dixerimus literis imperatum. Sed quis sciat? Verum facile assequi licebit ex iis, quae de Pammachio literis prodam. Nobilitate inter Romanos inclaruit e gente prognatus consulari Furii Camilli connubio iunctus Paulinae, quae divae Paulae filia et soror Eustochii, quae mulieres e Gracchis et Scipionibus ortum ducentes ex divo Hieronymo non minori sanctitatis luce splenduerunt, quam originis. Paulina igitur caelo donata, coniugis opum haereditatem Pammachius adiit, quibus paupertati romanae distributis, humana omnia detestatus monachum induens divino sese obsequio tradidit. Sancta eius consilia piaque gesta miris effert laudibus divus Hieronymus optm viri amantissimus in literis quas ad ipsum dedit de Paulinae coniugis amissione.Ex illis non possum pauca non 53 A. Englen: Appendice: Fonti manoscritte afferre: Nobis post dormitionem et cetera. Paulo infra in iisdem literis haec habet de monastico vitae genere: Qui enim hoc crederet et cetera. Unum Pammachio decus idque maximum, quod pro catholica fide acerrime pugnaverit oppugnaveritque cum ipso divo Hieronymo haereticos, qui Romae serpebant, ut Hieronymus de ipso «Proaemio in Ioel»: Omni arte pugnandi et cetera. In aliis quoque literis de virtutibus meminit Pammachii et non immerito cum Hieronymianae eruditionis studiosissimus se praestiterit, pro qua data quavis occasione, strenue stetit atque anno potissimum humanae f. 138 recto salutis nonagesimo ultra trecentesimum, cum lectis libris, quos Iovinianus Romae vulgaverat, detestandisque haereticae nequitiae erroribus retectis, ne pestilens adeo lues pedem figeret, anticatholicorum dogamatum reum fecit apud Siricium summum pontificem, qui damantus voluit eiectumque e sinu Ecclesiae. Id testatur factum est ab ipso pontifice, Epistula 3, Tomus 1, Epistulae romanorum pontificum. Tunc temporis in Haeresiarcham doctrinae suae fulmina divus Hieronymus misit salutari antidoto serpenti occursurus veneno. Hieronymianis sudoribus, quorum ad profligandam haeresim singulae stillae stellae singulae videbantur, palam verum facientibus honor debebatur ac praemium. Contra tamen fuit. Neque enim Siricius modo, sed et alii, qui pietate praeditimnon leviter offensi quod in haeresiarcham supra quam par esset pro virginitate invectus matrimonium in odium contemptum adduxisse videretur. Aliquid propterea querimoniae fuit cum Pammachio acerrimum Hieronymianae doctrinae propugnatorem non ignorabant. Ea de re Hieronymuys ad illud epistulam 22 scribens: “Audio, inquit, in te urbis studia et cetera”. Ecquis plane commotus non fuisset audiens ipsum ad clavum ecclesiae sedentem, cui Hieronymiani labores fuerunt et laude et praemio afficiendi in eum iniuria exorsisse, qui pro catholica veritate literario ferro decertaverat, tantaque cum sacrae eruditionis claritarte, ut ea nihil purius ac candidius nihil fieri potuerit. Attamen catholicus doctor non sui sed Dei religionis publicaeque salutis peramans aequissimo tulit animo. Pammachius Hieronymum gravibus hisce molestiis levaturus operis exemplaria sublegere inque unum apud se omnia congerere conatus est, sed frustra cum iam apud plures et plerumque ignotos. Ipso autem suadente egregius doctor apologiam pro illis edidit quamvis quod sensit non necessariam, cum in ipso contra Iovinianum librorum limine testatissimum iam esse voluisset, se nuptiis nihil dare vitio, sed pro virginitate pugnare a Ioviniano oppugnatam. Et quia impius ille ore patentissimo dictitabat, quibus pluris virginitas esset, quam nuptiae causam pro Manichaeis dicere, divus Hieronymus aliter contra ipsum, divo Augustino teste egit nuptias pro viribus extollens, laudata etiam pro merito virginitate librumque contexuit «De bono coniugali contra Iovinianum». Neque divus Hieronymus tantum, petente Pammachio, antedictam conscripsit apologiam, verum etiam alteram conscribendam suscepit pro divo Epiphanio contra Ioannem episcopum Hierosolymitanum, demonstrata Epiphanii innocentia et Ioannis aliorumque Origenistarum Ruffini, palladii aliorumque Aegyptiorum monachorum erroribus reiectis, qui omnes illos, qui eorum dogmatis non assentiebantur, appellare consueverunt, rudes, simplices, feros, et in ludibrium nova, quam divus Hieronymus refert, voce f. 138 verso Pilosciosos, catholicis irridentes, quia credant quod mortui cum pilis quoque ad vitam redituri sint et asserant ex fide catholica cum omnibus membris vitae reddendos, quod Origenistae omnino negarunt. Cur autem Ioannes praedictus literaria studiorum arma in divum Epiphanium converterit, non mirum literas enim divus ad ipsum dederat acerbe castigans quod cum Origenistis esset. Eadem prorsus de causa in Ioannem scriptis erupere divi Hieronymus et Theophilus episcopus Alexandrinus, macedonianus monachus fuit Ioannes et haeresim proscripsit alliciente infulae episcopalisspe, quam assecutus cum proscripta iterum fuit et castigationis impatiens in castigatorum graves excitavit tumultus, quod in Coenobio Eutropolitano in Palestina sacris primum evangelicis, inde sacerdotalibus initiaverit Paulinum, qui, divo Hieronymo frater, sumpta hinc occasione insectandi praesidis, qui extra dioecesim pontificalia exercuerit. Verum quidem id fuit episcopo tamen caesariensi in Palestina metropolitano exigendae fuerunt poenae.Poena profecto divus Epiphanius dignus non fuit sed quia ex necessitate initiaverit caenobio sacerdotibus indigente, tunc quia ea in Cypro consuetudo promovendi in aliena dioecesi ad ordines. Divus tamen Hieronymus in Apologia, divo Pammachio exposccente, divum Epiphanium egregie defendit. Meritis onustus ad superos evolavit beatissimus Pammachius anno 410 III calendas septembres atque hic terrae mandatus creditur e fastis Panvianianis, quo tempore Gothi Romam urbem ipsi patriam circumsidebant, eodem Hieronymo tradente in proaemio libri 1 in Ezechielem. Ugonius, DeStationibus, existimat sub annum Christianum 400 hanc aedem conditam Anastasio I summo pontifice, Caesaribus vero Arcadio et Honorio, fratribus. Et hoc tempore condere potuit Pamachius. Cum tamen ipse animadverterim, inter quinque ac viginti titulos cardinalibus Romae tributos, ut in illis sacro fonte tingerent et poenitentiae sacramento expiarent, ethnicos catholicae religionis mysteria amplexos, titulus nominatur Pammachii, asserendum utique est aedem hanc cum coenobio a Pamachio nec a Bizantio patre et senatore extructam sed a viro aliquo cognomine titulumque Pammachii etiam alium ab hoc fuisse. Etenim cum titulus Pammachii anno memoretur 305 in divisione divi Marcelli I sancti fratres ac martyres ut iam dictum est, a gloriosa pro Christo nece triumpharunt anno 363 et postquam erat in urbe titulus Pammachii, ea autem in re fateor me expediri non posse, nisi dixerimus lapsum Ciacconium in constituendo sub Marcello titulo Pammachii. Addit Ugonius antiquissimam aedis huius memoriam se nactum in actis Romanae Synodi, quae sub Symmacho I habita anno Christi f. 138 bis recto 499. Ibi enim inter alios presbyteros mentio incidit de Ioanne et Gordiano presbytero divorum Ioannis et Pauli in titulo Pammachii. Anastasius in Symmacho acutor (= auctor) est, positos ab eo ad divorum Ioannis et Pauli gradus pene absidem scalam nempe quae exit in Clivum Scauri, et hodie extat, perque illam ad hanc aedem ascenditur. Divus etiam Gregorius in Regesto, libro 4, carta 88, meminit et homiliam quartam et trigesimam in hac aede dixit, cui et stationem impertituts est prima quadragintadialis ieiunii sexta feria. Ditissimum hic olim asceterium cuius bona memorantur in vetusto lapide, qui stetit in porticu, nunc in aede.Ex eo constat eadem bona a divo Gregorio Magno rata firmaque fuisse. Afferemus nos describentes infra hanc basilicam. In hc igitur asceterio sedes fuit monachis divi Pammachii ad annum usque Redemptoris 1216. Divus hic, quae mihi fides est, cum saeculum aevo divos Basilium et Benedictum antecesserit Aegyptiorum monachorum divorum Antonii et Hilarionis institutum induxit, quod et divus Hieronymus servatum ivit. Monachis canonicorum successit Collegium, quod ad annum mansit 1454, quo coenobiticas hasce aedes obtinuerunt Iesuati, ut infra narrabimus. Cardinales presbyteri bonitate et virtute insignes sacrum hunc locum administrarunt e quibus nonnullorum tempora cydaris tergemina circumdedit. Series haec esto, licet intercisa: 494 Gordianus presbyter cardinalis divorum Ioannis et Pauli in titulo Pamachii et Ioannes archipresbyter anno 494 sub Gelasio I. 600 Deusdedit cardinalis presbyter divorum Ioannis et Pauli in titulo Pammachii in Synodo, quae a divo Gregorio Magno coacta anno 600. 731 Georgius presbyter cardinalis divorum Ioannis et Pauli anno 731 sub Gregorio III. 813 Dominicus presbyter cardinalis divorum Ioannis et Pauli, qui romanae Synodo interfuit sub Clemente IV anno 813. 54 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali 1099 Theodoricus presbyter cardinalis divorum Ioannis et Pauli sub Urbano II ante annum 1099. 1106 Theobaldus presbyter cardinalis tituli Pammachii a Pascali II creatus, qui Synodum Vastellensem subscripsit anno 1106. 1125 Albericus Tomacellius, neapolitanus presbyter cardinalis divorum Ioannis et Pauli purpuram indutus ab Honorio II anno 1125 mense decembri. 1130 Lucas, gallus, insignitus titulo cardinalis presbyteri divorum Ioannis et Pauli in Synodo Claremontana anno 1130 ab Innocentio II. 1150 Ioannes Sutrinus presbyter cardinalis divorum Ioannis et Pauli ab Eugenio III renunciatus anno 1150, qui postea Vaticanae basilicae archipresbyter et heroes inter purpuratos recensetur, qui e nobilissima comitum Tusculanorum familia prodiere. f. 138 bis verso 1173 Rainerius a Papia primum diaconus cardinalis divi Georgii in Velabro, ab Alexandro III purpura honestatus anno 1173, inde presbyter divorum Ioannis et Pauli anno 1182. Inter purpuratos heroes numeravit Velitris mensis decembris. 1185 Frater Melchior, gallus, cardinalis presbyter tituli divorum Ioannis et Pauli a Lucio III electus anno 1185, Veronae ipsis cineralibus. 1193 Cencius Sabellus a Celestino III dignatus purpura presbyter cardinalis tituli divae Luciae in Orthea anno 1193, inde presbyter divorum Ioannis et Pauli, quo e titulo unde summum pontificatum ascendit. 1216 Magister Bertrandus, quem Honorius III ad purpuram evexit titulo presbyteri cardinalis divorum ioannis et Pauli anno 1216. 1316 Iacobus de Via, Caturicensis, aquitanus gallus, nepos e sorore pontifici Ioanni XXII, a quo et cardinalis factus anno 1316 tituli presbyteralis divorum Ioanni et Pauli quadripartitis Dominici adventus temporibus. 1342 Stephanus Albertus, Lemovicensis, gallus, episcopus Claremontanus, sacra purpura exornatus tituli cardinalis presbyteri divorum Ioannis et Pauli a Clemente VI, Avenione, anno 1342, XII calendas octobres, inde episcopus Hostiensis. 1353 Andoinus Albertus, Lemovicensis, aquitanus, gallus, pontificis nepos, ab innocentio VI in purpuratum numerum relatus anno 1353, Avenione, mense martio, tituli cardinalis presbyteri divorum Ioannis et Pauli. Soli data purpura. 1366 Frater Guilelmus Sudre, Lemovicensis ex Provincia Tolosanam gallus, et ex Dominicano odine per Urbanum V purpurato Senatui adscriptus anno 1366, XIV calendas octobres titulo cardinalis presbyteri divorum Ioannis et Pauli. Optavit deinde Hostiensem infulam. 1371 Simon de Borsano, mediolanensis,ad purpuram a Gregorio XI promotus anno 1371, mense decembri, Avenione, titulo presbyteri cardinalis divorum Ioannis et Pauli. 1426 Dominicus Ram, hispanus, cardinalis divi Sixti, inde divorum Ioannis et Pauli a Martino V in cardinalitium senatum adscitus, tandem episcopus Portuensis anno 1426, IX calendas iulias. 1449 Latinus Ursinus, domicellus romanus, a Nicolao V declaratus presbyter cardinalis tituli divorum Ioannis et Pauli anno 1449, idibus ianuariis. 1456 Philibertus ugonetus, galus, episcopus Matisconensis, a Calisto III declaratus cardinalis. 1483 Ioannes Baptista Ursinus purpura a Sixto IV donatus anno 1483, calendis ianuariis, cardinalis diaconus Divae Novae, qui deinde titulum per optionem accepit divorum Ioannis et Pauli. 1489 Ardicinus de Porta, novariensis, episcopus Albiensis, evectus as purpuram ab Innocentio VIII, anno 1489, pridie idus martias, tituli cardinalis presbyteri divorum Ioannis et Pauli. 1493 Raimundus Periordus Peraululi, Surgeriis in Xantonibus natus, f. 139 recto gallus, episcopus Gurcensis, ab Alexandro VI honore pur- purato affectus anno 1493, XI calendas octobres, presbyter cardinalis divorum Ioannis et Pauli. 1517 Hacrianus Florentii Traiectensis, germanus, episcopus Dertusensis, presbyter cardinalis divorum Ioannis et Pauli a leone X purpura nobilitatus anno 1517, calendis iusliis. 1527 Guilelmus Enchfor, e Traietto Brabantiae ab Hadriano VI ad purpuram promotus anno 1527 cardinalis titulo divorum Ioannis et Pauli atque apud hunc pontifex ecclesiam suam dertusensem deposuit. 1533 Stephanus Gabriel Morinus, Giennensis, Hispanus, Indiarum patriarcha et archiepiscopus Bariensis a Clemente VII in cardinalitium senatum adlectus anno 1533 titulo divorum Ioannis et Pauli, IX calendas martias. 1544 Georgius de Arminiaco de Comitibus Arminiaci in Aquitania, episcopus Rothensis, a Paulo III in pontificam curiam adscitus titulo divorum Ioannis et Pauli, anno 1544, XIV calendas ianuarias. 1557 Alphonsus Carafa, neapolitanus, a Paulo IV diaconus cardinalis primum Divae in Dominica anno 1557, idibus martiis, inde presbyter divorum Ioannis et Pauli. 1565 Gabriel Paleottus, bononiensis, a Pio IV anno 1565, Idibus martiis, ditatus purpura titulo divorum Nerei et Achillei, qui postea optavit titulum divorum Ioannis et Pauli. 1570 Nicolaus de Pelve, gallus, archiepiscopus Senonensis, a Pio V cadinalis renunciatus titulo divorum Ioannis et Pauli anno 1570. 1583 Alexander Mediceus a gregorio XIII cardinalis presbyter creatus divorum Quirici et Iulitae, anno 1589, idibus decembribus, optatum inde voluit titulum divorum Ioannis et Pauli atque is com pontificiam sedit maiestate. Antonius Carafa, neapolitanus, cui cum purpura datus titulus divorum Ioannis et Pauli. 1585 Ioannes Baptista Castrucius, lucensis, a Sixto V decoratus purpura anno 1581 tituli Divae in Aracaeli, optatam de hinc voluit aedem divorum Ioannis et Pauli sub Clemente VIII. 1588 Augustinus Cusanus, mediolanensis, a Sixto V purpura indutus tituli cardinalis diaconi divi Adriani, anno 1588, calendis ianuariis. Sub Gregorio XIV per optionem titulum assecutus est primum divi Laurentii in Panisperna, inde hunc divorum Ioannis et Pauli. Octavius Aquaviva, neapolitanus, a gregorio XIV presbyter cardinalis creatus tituli divorum Ioannis et Pauli. Camillus Burghesius presbyter cardinalis divorum Ioannis et Pauli, inde divi Chrisogoni. 1605 Petrus Aldobrandinus a Clemente VIII dignatus purpura a titulo cardinalis presbyteri divi Pancratii, transiit per optionem ad titulum divorum Ioannis et pauli anno 1605, calendis iuniis. 1611 Decius Carafa, neapolitanus, archiepiscopus Damascenus et apud catholicum Hispanaie regem nuncius, cui Paulus V purpuram imposuit, optato inde titulo divorum Ioannis et Pauli 1628 Laurentius Magalottus, florentinus, per Urbanum VIII ad purpuram evectus divae in Aquiro, optans inde titulum divorum Ioannis et Pauli anno 1628, pridie calendas martias. 1641 Franciscus Maria Machiavellus, florentinus, ab Urbano VIII in purpuratorum ordinem adscriptus titulo cardinalis presbyteri divorum Ioannis et Pauli anno 1641, XVII calendas ianuarias, et infula cohonestatus ferrariensi. 1651 Gibertus Borromaeus, patricius mediolanensis, ab Innocentio X purpuratis patribus adscriptus anno 1611, XI calendas martias titulo presbyterali divorum Ioannis et Pauli, qui morum integritate, virtute, doctrina, prudentia divi Caroli Borromaei vestigia oppido persequitur. Ex his titularibus nonnulli maiestatem consecuti sunt pontificiam. In his divus Ioannes I anno Christi 523, qui totus in extinguendo haereticorum nomine Arrianos ex italicis tractibus exturbavit eorumque sacras aedes dono catholicis dedit, ut propterea Theodoricus, Gothorum rex, immaniter ad obitum usque insectatus sit. Divus Agapitus anno 534, auctore Anastasio, clericum egit in divorum Ioannis et Pauli, id quod, teste Ugonio id asserente, nec a Platina, nec a Panvinio traditum. Magnus ille fuit pontifex, qui, Iustinia- 55 A. Englen: Appendice: Fonti manoscritte no caesare adito, suadere conanti ut damnatam Eutichetis sententiam, ratam, firmamque esse iubeat, plenus animi et roboris:”Credebam,”, inquit, “me ad Iustinianum accessisse christianissimum principem, sed, quod video, Diocletianum nactus sum Christo infensissimum”. Divus Deusdedit anno 613, quo de mentio in marmore, quod mox afferetur. Eius sanctitatem prodigium declaravit, quo elephantiacum osculo impertitum pristinae reddidit saluti. Honorius III e clarissima Sabellorum familia ex hoc titulo cardinalitio ad obeunda in orbe catholico summa pro Christo munia ascendit. Is inter alia praeclare gesta expeditionem in sultanum Aegyptium molitus est, ingentes in Aegyptios tractus copias traiiciens, legato a latere magno illo Ioanne cardinale Columna, tribusque catholicis regibus rem tantam administrantibus, Pannonio, Cyprio, Hierosolymitano, cum aliis christiani nominis principibus, qui omnes, sultano in fugam coniecto, ad Pelusium innumeros, capta urbe, saracenos internecione deleverunt, tricies mille in servitutem abductis relatisque opimis spoliis. Innocentius f. 140 recto VI, anno 1352, qui suo nomine per cardinales duos Romae insigni imperatorio Carolum IV evinxit, Aegidium Carillium, cardinalem Albernotium, hispanum, in Italiam Avenione misit, a quo urbes tyrannica vi occupatas recepit; Franciscum Baroncellum et Nicolaum Laurentii oppressit, qui romanae urbis imperium ad se traduxerant. Hadrianus VI anno 1522, cui perbrevis ad pontificium gubernaculum sedes agendarum cum fama rerum occasionem praeripuit. Hi omnes et hoc titulo proxime ad honorum apicem evecti, non proxime tamen Leo XI et Paulus V, quibus ex aliis optatis titulis fuit gradus ad summum fastigium. Non una huic aedi per cardinales et pontifices reparatio, non unus ornatus. Divi Symmachi et praedicti Habriani VI pontificum extant hic monumenta. Ad cardinales titulares quod attinet vel plane restituit vel instauravit Ioannes Sutrinus anno 1150, quod supra diximus et censetur ex autographo coenobii nobilissimae familiae comitum Anagniae dictus fortasse Sutrinus ex eo, quod eius familia ibi dominatum gereret. Eius beneficentiam palam esse iubet tetrastichon in epistylio porticus huius basilicae: Presbyter ecclesiae et cetera. Guilelmus Hencavort, cardinalis germanus, ab Hadriano VI renunciatus, aedem hanc sibi titularem reparavit. Docent insignia marmorea, quae in facie subsunt ipsius pontificis insignibus, a quo aliquid in reparationem erogatum fuit, cum summum in illam esset studium, e cuius titulo vel absens summo pontificatu digantus fuit. Non ita tamen reparata, ut dignissimis titularibus Nicolao de Pelve gallo et Antonio Carafae pie ac liberaliter auxilio subeundum non fuerit. Pelvius sumptuose tecta reficit, parietes instaurat, aras ornat. Odaeum extruit supra valvas, pavimentum adaptat, porticum renovat eoque splendoris aedem adducit, quem divini cultus dignitas postulat. Carafa nobilitate, doctrina ac pietate eminens, scitissimis picturis, de quibus infra, illustrat. Coenobium ex parte restituit, aliaque confert in sacrum hunc locum beneficia. Augustinus cardinalis Cusanus caelato (ex insignibus palam est) tegit lacunari. Leo XI titularis sacra suppellectili sacrarium instruit, loquentibus per eius insignia antependiis. De huius aedis consecratione nonnulla Floravantes Martinellus e codicibus manu scriptis. Illa autem sunt: Anno Domini MCLVII et cetera; Anno Domini MCCLVI, indictione et cetera. Quae de ultima per Antonium cardinalem Carafa consecratione ararum sex, habebis infra suo loco. Ditescit praeterea hoc sanctuarium e pretiosis sacrorum pignorum reliquiis, quarum pars sub ara maxima in confessione, pars sub aris, pars in sacrario. En index ab Ugonio: sub ara maxima corpora divorum martyrum Scillitanorum ex insula nimirum Scillitana apud Afros, quorum celebritas ad diem decimum f. 140 verso sextum ante calendas sextiles. Quievere in metropolitana Carthaginensi, in qua Romanum Martyrologium collocat; Romam translata Carolo Magno vivente; consule notas in Martyrologium ad praedictum diem. Haec autem martyrum nomina: Divi Speratus, Felix, Natalus, Aquilinus, Generosa, Donata, Cythinus, Letarius, Beturius, Ianuaria, Bassia, Secunda. Sub ara divo Nicolao sacra conditae reliquiae divorum Nicolai ipsius, Stephani I, Silvestri I, Chrysanthi et Dariae, omniumque apostolorum ac vitreum vas sanguinis martyrum plenum et alia. Sub ara dextera divis Ioanni et Paulo, posita in navi media, arca servatur in qua multa, veneratione digna. In ara, quae e regione, caput veneramur alterutrius divorum aut Ioannis aut Pauli. Alterum fama est asservari filisburgii. Sub ara, quae Deiparae Niveae dicata et ad dexteram sita ingredientium, vas est plumbeum, in quo alia vasa lignea et vitrea, quae martyrum implet vel sanguis, vel ossa, vel terra mixta sanguine. Ex iis, quae de tam nobili tamque antiqua basilica persecuti sumus, compertissimum est deserendam non fuisse iustoque non frustrandam obsequio : saluberrimo enim caelo fruitur, cum in montis vertice posita sit, ex Aquilone vallem habeat per quam Austro liber aditus, et ex adverso multa vetustate insignia aedificia, quae prohibent. Idcirco e summis romanis pontificibus fuerunt, quibus, ex Ugonio, sedes hic fuit. Attamen canonici sex, qui Latino cardinale Ursino titulari operam hac in aede praestabant, obsequium negligentes, continensque palatium non habentes, ut proinde aedes et palatium tantum non corruerint, a Nicolao V cardinale ipso contendente, cui curae fuit conservatio sanctuarii ac divini cultus incrementum, omnino sublati sunt. Hinc pervolante tunc temporis optima Iesuatorum fama, ipsis hanc aedem cardinalis impetravit primusque possessionem iniit beatus Antonius Bettinus senensis, quem vita integerrimum Pius II infula donavit fulginiensi et Ursino et Bettino in grati animi significationem imaginem constituerunt sodales religiosi in priori coenobii peristylio. Latino Ursino tituli et cetera. Auctor huius ordinis, beatus Ioannes Columbinus, senensis, ac nobilis uxor in causa fuit ut sanctus fieret. Domum enim aliquando reversus, ut prandeat cum illa mensam non straverit, quo patientius expectet, legendum tradit codicem de sanctis. Ille tamen, gravius succensens, proiicit. Continuo paenitens, in manus iterum sumit inciditque in Historiam Divae Mariae Aegyptiacae, qua lecta, tantum sentit pietatis studium ut in sodalitatem flagello se diverberantium, e qua prodiit divus Bernardinus civis et ordinis seraphici, adlegi voluerit. Tantum apud illos proficit Ioannes ut olim impius in indigos pius adeo factus sit, ut quadam die obvium pauperem toto corpore stigmaticum domum detulerit, cibum praebuerit, f. 141 recto lecto crediderit. Novit inde coelitus Christum a se delatum, nutritum, lecto creditum. Hinc cum coniuge convenit de servanda in omne tempus castimonia, seque ab ipsa deiungendo ad asperioris vitae cultum comite, cui idem velle, idem nolle adscito, nudus cum illo pedes incedit et caput cui et alii adiuncti quorum numero ad sexaginta expleto, Urbanus V anno 1367, praemisso examine, album calculum novo Ordini adiicit, data veste cum Augusti<ni>anis legibus. Hieronymiani etiam dicuntur, cum divus Hieronymum patronum habeant. Vestit alba lana, quam ad pectus zona constringit alba vitta. Iesuatorum nomen e caelo accipitur. Viterbium enim, ubi aula tunc pontificia, infantes pueruli, cum primum videre, eo appellarunt nomine. Operam in stillandis herbis ponunt, precum paenarumque studio non dimisso, sed literarum, unde in Ordine nemo sacra faciens. Anno tamen 1611 Paulus V quibusdam relatis causis, permissum Iesuatis voluit ut inter ipsos essent qui sacra peragerent, dominicae Psalmodiae pensum exolverent, ab excipiendis confessionibus abstinerent. Annus, quo firmus ratusque fuit Ordo pontifici, vivis auctorem Senis eripuitur et ad coenobium, cui diva***32 nomen, in quo eius filia velo se involverat, sacrum Ioannis corpus delatum est. Nihil Romae est, quod beati Columbini memoriae deserviat, quam cilicium ac vestis quae ad 56 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali divae Marthae iuxta fornicem Camiliani. Aedes autem haec, si describenda more nostro sit, tres ostentat naves facieque gaudet orientali. Navim mediamcolumnae sustinent quatuor et viginti, qua ex africano marmore et ordinis Corinthii, e quibus viginti tantummodo videntur, cum quatuor totidem in pilis lateant, quae ad laterales sustinendos parietes faciunt, quibus fornices duo impositi cum erismis ad austrum, quo parietes inclinant. Lux erat olim aedi utrinque a fenestris tredecim, quibus superiores arcus et a tribus in fronte, hodie tamen a tribus tantum, cum reliquas occludat paries. Ianuam maximam ornat elegans porticus octastylos et e columnis primam et ultimam vides e Pario marmore, caeteras e granato orientali, atque inter has, quae pro ianua e viridi laconico, quas Paulus V, aliis suppositis, sustulit ut in Divae Maioris zophorus ex illis fieret aediculae suae hemispaherio. Porticus epistylio carmina, quae supra attulimus, Presbyter et cetera. Valvae unae, sed amplae quas marmor coronat, musivi linea coronas intersecante. Vertici aquila marmorea insigne creditur Ioannis, quem diximus cardinalis Sutrini e familia, quae fides ex comitum ex utroque in imo latere leones duo e marmore, quibus in ore sus, in aditus custodiam. Ab ethnicorum memoria mos invaluit, ut pro templis leones, testantibus et aliis Romae sacris aedibus, ortus 32 Sc. Santa Bonda. Vd. Bruzio, Vat. Lat. 11872, f. 192r. Vd. supra, p. 48. f. 141 verso autem mos ab Aegyptiis non ignorantibus lumina leoni non vigili sed somnum ducenti patere et quidem igneis proxima. Hinc leo vigilantiae hieroglyphicum qua potissimum sacrae aedes custodiendae. Pavimentum olim stratum segmentato opere indicat quicquid valvis proximum reliqui est, in quo porphyretici lapides non pauci, qua longum palmos numeras viginti ultra ducentos, qua latum octo ac viginti ultra centum. In summo absis egregie picturata. Superiore, eius partem Servator pictus ornat stipatus angelis; inferiora vero divorum divarumque imagines quorum hac in aede sacra corpora. Cernitur in primis divus Pammachius, monachum indutus, cui haec subscripta: Sanctus Pammachius huius ecclesiae conditor. His picturae subiectae, quae coloribus expressa referunt, quae nobilissimi bellatores praeclare gessere divi Ioannes et Paulus cum aurea hac in ipsa coronide epigraphe:Antonius Carafa et cetera.Ex utroque confessionis latere per gradus quinque ad absidem ascenditur. In medio ara maxima, eaque insulata et a viridi laconico spectabilis. Camerula tegit quam columnae quatuor sustinent, e quibus priores duae ordinis Corinthii, posteriores ad absidem compositae. Inferiorem partem crustant marmoreae tabulae zophoris discoloribus distinctae, superior non multum distat coronis marmorea, quae semicirculo circumducitur et super coronidem columnarum e marmore ordo, qui et circumducitur: opera haec omnia antiquitatem sapiunt. Arae subiacet confessio cum divorum corporibus, quae iam percensuimus. Ante confessionem hoc monumentum: Hic requiescit et cetera. Sub confessione ex utroque navis latere marmorea subsellia cum gradibus. Hic olim canentium schola, qualis, quod sentio, quae in Divi Clementis sed sine pulpitis, quae sublata, quod accidit in sacris aliis aedibus antiquissimis. In huius scholae gradu ad dexterem hoc fragmentum: D. M. Aelia et cetera. Ad columnam in pariete hoc inscriptum: Antonius Carafa et cetera. In huius mediae navis umbilico haec pavimento insculpti: Hocce puellae et cetera. Primae pilae ad dexteram marmor illud, quod olim fuisse diximus in porticu, in quo divus Gregorius Magnus omnia aedis huius bona confirmat. Ita loquitur: Gregorius episcopus servus servorum Dei et cetera. Ad secundas huius navis pilas arae duae martyrium triumphale exhibent divorum Ioannis et Pauli. Dexteram pinxit Raphael Rhegiensis, laevam Paris Romanus. Alteram ornant geminae columnae ex albo marmorer, quod nigro interstinguitur ordinis Ionici. Alteram quoque totidem columnae e Carystio sive maculoso. Sub his corpora servantur divorum Ioannis et Pauli et in ara altera caput alterutrius. Qua pila valvas spectat, priscum marmor cernitur, quod hic nempe inventum, moderante clavum ecclesiae Urbano VIII atque hic a Francisco cadinale Barbarino, cui summa in antiquitate religio, locatum, eius insignis appositis. Constat nimirum et cetera. f. 142 recto Hac, fert opinio, eo tempore marmori tradita, quo hic sedere monachi Pammachiani, quibus laudabilis hic mos ut, supremo die expleto, sacerdos defuncti sacerdotis re divina facta noxas expiaret. Si ad aedis fores descendas, odaeum cernes, quod a Nicolao cardinale de Pelve extructum, cuius et habes insignia. Columnae quatuor quarum duae e marmore venis distincto et quidem perpulchrae sustinent. Addita etiam haec epigraphe Ad Dei gloriam et cetera.Sub odaeo, ad lustralis aquae vas, haec in fragmento leguntur: Constanti et cetera. Surgunt sub ipso odaeo arae duae: altera divo Saturnino martyri sacra, qui ibi pictus, cuius et hic, quod iam dictum, corpus quiescit, nec sine ornatu duarum columellarum e marmore Carystio; altera vero divo Nicolao episcopo Myrensi dicata, cui idem plane ornatus. Laqueare, quo navis haec media tegitur, opere diaglyptico caelatos venerare sanctissimos martyres ac fratres divos Ioannem et Paulum cum Cusani cardinalis insignibus. Navim dexteram subeuntibus occurrit in medio ara, quae Virgini inter Virgines maximae posita, cuius in tabella effigies: puerum gestat in sinu. Angeli duo aureum diadema imponunt, duoque alii sustinenti. Geminae columellae ornant e glarea viridi. Utrinque, extra aram, beatorum imagines, qui Iesuatorum ordinem illustrarunt, Ioannis Rossignani, quem Eugenius IV ecclesiae praefectum voluit ferrariensi et Antonii Bettinii, quem Pius II episcopum Fulginatibus dedit. Donant lumine utroque e latere fenestrae duae tetragonae. Laeva navis super ianuam in summo picturas ostentat quadringentarias Christi et apostolorum. In medio stat ara, quae beatus Ioanni Columbino sacrata, cuius imago in tabula Servatorem visum adorantis, cui orbis in manu. In loculamento, quod brevi intervallo ab hac ara disiungitur, antiquissimas videas licet effigies divorum apostolorum Petri et Pauli ac divorum Ioannis et Pauli. Martinellius affert in hac aede legendum Anastasii cardinalis epitaphium: Hic requiescit et cetera. Mihi tamen reperire non licuit. In primo coenobii peristylio urnam sepulcralem vidi, cui basis loco leones duo marmorei atque haec inscripta: Hic dormit et cetera. Sacris in hoc coenobio sub prioris imperio dant operam Iesuati duodeviginti. Rem divinam in singulos dies septies, aut octies peragunt. Divinae psalmodiae pensum diu noctuque persolvunt. Solemnia singulis annis recolunt, divorum Ioannis et Pauli VI calendas iulias, beati Ioannis Columbini pridie calendas sextiles et stationis prima a cineralibus sexta feria, qua cardinalis titularis aedem splendide exornat. Vat. Lat. 11885 Chiesa e monasterio de’ Santi Giovanni e Paulo. in Chiese de’ Canonici e de’ Regolari et altro del Clero Romano in Theatrum Romae Urbis, Tomo XVI, Romae, II metà XVII secolo, ff. 182v.-192r. f. 182 verso Chiesa e monasterio de’ Santi Giovanni e Paulo. Il sito nel quale è posta la chiesa e monasterio de’ Santi Giovanni e Paulo è in principio del Monte Celio alla detta salita de’ Scauri, che divide questa dalla vicina chiesa e monasterio di San Gregorio annoverato dagli antichi nella 2a Regione e da’ moderni nella Regione di Ripa, sopra il quale si conosce manifestamente che fu qualche fabrica degli antichi Romani, sopra le cui ruine si è poi inalzata dalla pietà de’ fedeli questa chiesa e il contiguo monastero, imperciò che da più bande si iscoprono gran vestigii di vecchie muraglie. Il Biondo, il Fulvio et il Marliano e quasi tutta la Scuola degli antiquari si accorda nell’asserir questa chiesa per la Curia Hostilia, che era un tempio fatto da Tullo Hostlio, 3° re de’ Romani per le genti d’Alba, le quali da lui, destrutta quella città, furono transferite a Roma e perché Livio asserisce questo tempio nel Celio, hanno congeturato i detti [scrittori] che qui tal Curia 57 A. Englen: Appendice: Fonti manoscritte fosse e che quivi appresso fosse il palazzo e regia del medesimo re Tullo, sopra la quale sia fondato il monastero a questa chiesa congionto d[icen]do che i vestigii del real palazzo siano quelli che si veggono sotto il campanile e passando più oltre in quelle hortaglie che al monastero si giaciono, dove [è]una tela di muro lungo intorno al Palatino, nella quale sono in piedi nove o dieci archi di grossi travertini con i suoi conci e cornigioni simili a quelli dell’amfiteatro, vogliono che sopra questi fosse edificata la reggia. All’Ugonio nondimeno alla stazione del primo venerdì di Quaresima a questa Chiesa non pare in alcun modo verisimile che, dal tempo dei re sino alli sua, cioè al tempo di Sisto V, nel quale egli scrisse quel libro, sia restata una fabrica f. 183 recto perché i consoli nel progresso della Repubblica, e gli altri cittadini potentissimi e finalmente gli imperatori deditissimi al fabricare rivoltavano sottosopra le più vecchie anticaglie con nuove fabriche e con varii edifitii, onde crede che la regia d’Ostilio potesse essere in questo medesimo sito, ma quelli archi che vi sono sin oggi piutosto siano di qualche fabrica de’ tempi de’ Cesari che d’alcun re. Il Nardini nella sua “Roma antica”, capitolo 7, libro 3, registro 2, narrando che il Biondo et altri affermano qui essere stata la Curia Ostilia, la 2a però fabricatavi da Ostilio dopo havervi trasportati gli Albani, soggiunge di non sapere con qual fondamento ciò essi habbiano asserito, non essendo possibile da un bel residuo di cornigione e d’archi di travertino, sopra il quale fu fatto poi il campanile, poter argomentare qual fabrica fosse; ma pare a me che ciò sia negare la tradizione degli antichi, essendo certo che gli antiquarii, i quali prima laudarono le memorie antiche, si fondarono in gran parte nella tradizione in riconoscere le vestigia delle fabriche, la qual fama essendo fondata nella sosistenza dell’autorità di Livio, che pone nel Celio la detta Curia, e da inscrittioni trovate appresso la vicina chiesa di Santa Maria in Domenica, ove s’asseriscono le mansioni Albane, sapendosi che qui non molto distanti essi Albani erano aquartierati, non è compatibile il dire che qui fosse quella Curia Ostilia ancorché sia inverisimile per altro che l’anticaglie degli archi di travertino et altre cose che in questo sito si vanno giornalmente discoprendo nella vigna massime sotto questo monastero, dove continuamente si cava bellissime statue e marmi, fossero del tempo dei re. In progresso poi di tempo hebbero qui la casa i gloriosi santi Giovanni e Paulo fratelli nobili romani, i quali vissero nel tempo di san Liberio Papa e si allevarono nella Corte imperiale stando ai servigii di Costanza, figliola dell’imperatore Costantino, della quale furono paggi nella cui servitù essendosi fedelmente portati hereditarono da lei molte ricchezze che tutte a’ poveri di Christo distribuirono. Essendo caduto l’imperio nella mani di Giuliano Apostata, ricercati sa lui di essere nel numero de’ suoi corteggiani e familiari, liberamente negarono di volere stare appresso colui che si era ribellato dalla fede di Giesù Cristo, alla qual risposta, turbato l’empio imperatore, prefisse loro dieci giorni di tempo a risolversi, assicurandoli che se fra tanto non si accostavano a lui e non porgevano incenso a Giove, n’havre[bbe]ro pagato il fio con l’istessa morte; ma essi più che mai saldi come adam[anti] f. 183 verso nella santa fede, in quello spazio di tempo compartirono a’ poveri il rimanente delle loro facoltà per poter più speditamente volarsene alla gloria de’cieli. Venuto il giorno decimo, Terentiano, capitano della guardia dell’imperatore venne a trovare li signori fratelli Giovanni e Paolo qui in casa loro e, portata seco una statuetta di Giove, espose il comandamento dell’empio Giuliano, cioè che se essi ricusavano d’adorar Giove, li facesse morire. Stavano i santi, quando Terentiano arrivò qui, facendo orazione, al quale, senza punto turbarsi, risposero che per la confessione di Giesù Cristo, che come vero Dio col cuore e con la bocca honoravano, erano apparecchiati a ricevere la morte. Allora dubitando Terentiano che facendoli decapitare in publico non si solevasse il popolo per essere loro nobili, amati e stimati nella Corte, prese con- siglio di fargli morire nascostamente e così fu fatto perché a dì 26 di giugno in questa lor propria casa, dove si ritrovavano, furono di notte senza strepito decapitati e nel medesimo luogo, fatta una fossa, segretamente sepeliti l’anno della salute christiana 363. Per evitare qualche tumulto del popolo, si sparse la voce che d’ordine dell’imperatore erano stati mandati in essilio, ma la morte loro alcun tempo dopo fu dagli immondi spiriti divolgata perché diversi indemoniati venendo in questa casa, dove erano i corpi santi, si liberarono per i loro meriti, tra’ quali condottovi un figliolo del prefato Terentiano, cominciò a gridare che Giovanni e Paulo l’abbrugiavano et all’ultimo liberato ancor lui, si convertì alla fede di Christo insieme con Terentiano, suo padre, che ad eterna memoria scrisse poi la passione di questi gloriosi martiri. Giuliano poi, che gli fece morire, havendo mossa guerra ai Persiani, fu da san Mercurio, che miracolosamente dalla squadra de’ nemici gli comparve contro, ucciso. Narra Niceforo, libro X capitolo 52, che havendo dalla sua piaga con la mano cava cavato il sangue e che guardando al cielo, come se havesse veduto Christo signor nostro, glielo gettò, bestemmiando:“Hai vinto, o Galileo, hai vinto”. Morto dunque Giuliano e succedendogli Gioviniano, come si legge in una certa leggenda appresso questa chiesa, ordinò a Bizanzio senatore et al suo figliolo Pamachio che ricercassero i santi corpi e trovatigli, gli essortò a fabricargli una chiesa conforme fecero e si chiamò poi dal fondatore col titolo di Bizanzio e di Pamachio. Io con pace di chi ha ciò scritto, mi parto da questa lettura. Convenga che Gioviniano, che fu salutato imperatore dall’essercito ancor che fosse bonissimo christiano, con tutto ciò non havendo imperato più che sette mesi e questo fuori della città di Roma, essendo che si trovasse anch’egli nella guerra contro Sapore, re di Persia, e gli convenisse far pace con brutte condizioni, essendo f. 184 recto messe sotto il giogo le legioni romane, non puoté dare tal comando a Bizanzio et a Pamachio, distratto massime in altri affari, se non volessimo dire, ma senza prova alcuna, che ciò havesse loro comandato per lettere, ma forse che potremo facilmente venirein cognizione della verità del fatto dal narrare alcune cose del medesimo Pammachio, il quale fu un nobilissimo romano della stirpe Patulia e consolare di Furio Camillo et hebbe per moglie Paulina, figliola di santa Paula e sorella d’Eustochio, quali donne discendevano dal chiarissimo sangue de’ Gracchi e de’ Scipioni e furono, come scrisse il medesimo san Girolamo, nobili di sangue, ma più nobili di santità. Essendo dunque Paulina passata a miglior vita, lasciò delle sue ricchezze herede Pammachio et esso le dispensò tutte in elemosina et opere pie e, sprezzate le pompe e grandezze del mondo, fattosi monaco, attese a servire a Dio. Il cui santo proposito e pietose azioni inalza al cielo mirabilmente san Girolamo, suo amatissimo, in quella lettera consolatoria ch’esso scrive sopra la morte della sua consorte Paulina, della qual lettera non posso fare di non inserir qui alcune parole: “Nobis post dormitionem somnum, quae Paulinae Pammachium monachum ecclesia peperit posthumum et patris coniugis nobilitate patritium eleemosynis divitem humilitate sublimen”, et iterum: “nostris temporibus Roma possidet quod mundus ante nescivit. Tunc rari sapientes, potentes, nobiles, christiani, nunc multi monachi sapientes, potentes, nobiles, quibus cunctis Pammachius meus sapientior, potentior, nobilior, mgnus in magnis, primus in primis αρχιστιαταγος monachorum. Tales Paulina morte sua nobis liberos dedit, quos vivens concupiverat possidere: laetare sterilis, quae non paris, erumpe et clama quae non parturis - Isaia 54 - quoniam quot Romae sunt pauperes, tot filios repente genuisti. Ardentes gemmae, quibus antea collum et facies ornabantur, egentium ventrem saturiunt. Vestes sericae et aurum in fila lentescens in mollia lanarum vestimenta mutata sunt, quibus repellatur frigus, non quibus nudetur ambitio. Deliciarum quondam supellectilem virtus insumit. Ille coecus extendens manum et saepe ubi nemo est clamitans, haeres Paulinae, cohaeres Pammachii est. Illum truncum pedibus et toto corpore se trahentem tenerae puellae sustentat manus. Fores, quae prius salutantium 58 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali turbas vomebant, nunc a miseris obsidentur. Alius tumenti aqualiculo mortem parturit, alius elinguis et mutus et ne hac quidem habens unde roget, magis rogat dun rogare non potest. Hic debilitatus a parvo non sibi mendicat stipem. Ille putrefactus morbo regio supervivit cadaveri suo. Non mihi si linguae centum sint oraque centum omnia poenarum percurrere nomina possim. f. 184 verso Hoc exercitu comitatus incedit, in his Christum confovet, horum sordibus dealbans munerarius pauperum et gentium candidatus sic festinat ad caelum, Caeteri mariti super tumulos coniugum spargunt violas, rosas, lilia floresque purpureos et dolorem pectoris his officiis consolantur. Pammachius noster sanctam favillam ossaque veneranda eleemosynae balsamis rigat, hiis pigmentis atque odoribus fovet cineres quiescentes sciens scriptum Ecclesiaste 3° sicut aqua extinguit ignem, ita eleemosyna extinguit peccatum”. Poco più sotto, seguitando nell’istessa epistola, loda la vita monachale: “Quis enim hoc crederet ut consulum pronepos et Furiani germinis, decus inter purpuras senatorum, furva tunica pullatus, incederet et non erubesceret oculos sodalium, ut deridentes se derideret”, et paulo post: “Non est parum virum nobilem, virum disertum, virum locupletem potentium in plateis vitare comitatum, miscere se turbis, adhaerere pauperibus, rusticis copulari, de principe vulgum fieri. Sed quanto humilior, tanto sublimior est. Lucet margarita in sordibus et fulgor gemmae purissimae etiam in luto radiat”. Item: “Audio te xenodochium in portu fecisse romano et virgam de arbore Abraham in Ausonio plantasse litore, quasi Aeneas nova castra metaris”. Item: “Quod patricii generis primus inter primos monachos esse coepisti, non tibi sit honoris sed humilitatis occasio”. Tra le principali sue virtù stimo io la principale l’essere stato accerrimo defensore della fede catolica e d’haver impugnati con il detto san Girolamo gli eretici che rampicavano in Roma, onde san Girolamo di lui disse nel proemio in Ioel: “Omni arte pugnandi adversus diabolum dimicas”. Et oltre la citata epistola, annovera anche le di lui virtù in alcuni altri luoghi delle sue epistole e con ragione in verità, essendo egli stato partialissimo alla dottrina dell’istesso san Girolamo e presane la difesa in qualunque occasione che si fosse rappresentata, come, tra l’altre, l’anno di nostra salute 390 che, havendo egli letto i libri di Gioviniano, publicati in Roma e scoprendo in essi i detestati errori, acciò che parte sì fiera non pigliasse piede, l’accusò a Siricio papa dal quale fu condannato e scacciato dalla chiesa santa come scrisse l’istesso pontefice - Epistola 3, tomo 1, Epistolae Romanorum Pontificum. Scrisse allora contro quell’eresiarca san Girolamo et havendo in Roma inviati i suoi libri per occorrere al veleno che dolcemente andava serpendo con salutevole antidoto, invece di riportarne honore, come meritavano i di lui ben spesi sudori, essendo ogni stilla del suo inchiostro una stella, che scopriva la verità, ne f. 185 recto conseguì più tosto biasmo, poiché non solo Siricio papa, ma anche altre persone pie non leggiermente gli impugnarono sotto colore che, infiammatosi di soverchio Girolamo in lodar la virginità contro l’heresiarca, pareva ch’egli spregiasse il matrimonio e perciò se ne resentirono anche con Pammachio, che sapevano anche essere ardentissimo deffensore dell’istesso Girolamo: Di che scrivendogli il santo - Epistola 32 - disse: “ Audio totius in te urbis studia concitata, audio pontificis et populi voluntatem pari mente congruere, minus est tenere sacerdotium quam mereri”. Chi non si sarebbe commosso nel sentire che il vicario di Cristo, dal quale si dovevano gradire e premiare quelle fatiche, si era senza cagione alterato contro chi haveva scritto in difesa della cattolica verità et haveva dottrina sì chiara che, se si fosse alienato dal papa, havrebbe in vendetta potuto anche nuocere e nientedimeno, non havendo il santo dottore l’amor proprio, ma quello d’Iddio, della religione e del prossimo, comportò il tutto con pazienza e constanza più che magnanima. Procurò allora Pammachio, per sottrarlo da queste amaritudini, di sottrare le copie de’ predetti essemplari, ma non venendogli ciò fatto perché si erano troppo divulgate e sparse per diverse mani, il santo dottore, per consiglio di lui, scrisse un’apologia in difesa di quelli, ancorché, conoscesse benissimo che ciò non era necessario perché san Girolamo haveva protestato nel principio di essi Contra Iovinianum, libro I, ch’ei non biasmava le nozze, ma difendeva la virginità da Gioviniano combattuta, e perché l’empio eresiarca a piena bocca diceva che quelli che anteponevano la virginità alle nozze difendevano la causa de’ Manichei, san Girolamo stesso trattò contro di lui in altra guisa, cioè, sì come afferma sant’Agostino, lodando quant’ era lecito le nozze, ma celebrando insieme le prerogative e le grandezze della virginità, e così scrisse il libro De bono coniugali contra Iovinianum. Né solo san Girolamo ad instanza di san Pammachio scrisse la detta apologia, ma anche ne prese a scrivere un’altra nella causa di san Epifanio contro Giovanni vescovo di Gerusalemme, dove mostra l’innocenza di sant’Epifanio e scopre e confuta gli errori di Giovanni e degli altri Origenisti, cioè di Ruffino e di Palladio e di molti monaci d’Egitto, i quali chiamavano quelli che non ammettevano gli errori loro huomini rozzi, semplici, del tutto animali e per iscorno con una nuova voce, sì come racconta san Girolamo, Piloscioti, facendosi i perversi beffe de’ catolici, perché credono che i morti siano per resuscitare etiamdio con peli mentre dicevano, secondo la verità catolica, che sarebbero da morte a vita risorti con tutte le membra del f. 185 verso corpo, la qual verità negavano gli Origenisti. La causa per la quale il detto Giovanni rivoltò i suoi studi contro sant’Epifanio fu una lettera che l’anno 392 gli <aveva> scritto il santo riprendendolo acremente perché defendesse e favorisse gli Origenisti come pur fecero Girolamo e Teofilo, vescovo Alessandrino, che se gli opposero insieme col detto sant’Epifanio. Fu Giovanni monaco macedoniano e lasciò l’heresia allettato dalla speranza di conseguire il vescovado, il quale havendolo ottenuto ritornò al Vomito e come pieno di mal talento non potendo sofrire la riprensione, mosse particolarmente contro il riprensore gravi tumulti perché esso haveva in un monastero di Eleutropoli nella Palestina ordinato prima diacono e poi prete Pauliano, fratello dell’istesso san Girolamo, e di qui prese occasione di perseguitare il santo prelato come chi haveva essercitato i pontificali fuori della sua diocesi, il che, se bene era vero, nulladimeno non toccava a lui farne un risentimento, ma al vescovo di Cesarea, metropoli di tutta la Palestina, e per altro sant’Epifanio fu degno di scusa sì perché, come egli dice, lo fece vedendo la necessità grande che quel monastero haveva de’ sacerdoti, sì anche per la conuetudine di Cipri, dove usava di farsi somiglianti ordinazioni nell’altrui diocese; ma san Girolamo in detta apologia da queste e da altre imposture, ad instanza di san Pammachio, difese egregiamente sant’Epifanio. Pieno di buon’opere passò al cielo da questa vita mortale il beatissimo Pammachio l’anno 410 ai 30 d’agosto e si crede che qui fosse sepelito, secondo i Fasti d’Onofrio Panvino in tempo che la città di Roma, patria di lui, era assediata da’ Gothi, come pur referisce il citato san Girolamo nel proemio del libro 1 sopra Ezechielle. L’Ugonio stima nel citato libro delle Stazioni che questa chiesa fosse fondata circa gli anni del Signore 400, nel pontificato d’Anastasio I, o intorno a questo, essendo imperatori Arcadio e Honorio fratelli: il che realmente verrebbe giusto a ferire il tempo che il detto Pammachio la puote haver edificata, ma havendo io avvertito che tra li 25 titoli distributi a’ cardinali in Roma per amministrare in essi il battesimo e la penitenza a quelli che dal gentilesimo venivano ad abbracciare la cattolica religione vi è nominato il titolo di Pammachio, è necessario affermare che questa chiesa e monastero non fosse altrimente edificata da lui né da Bizanzio senatore, suo padre, f. 186 recto ma da qualche altro personaggio di questo nome e che il titolo di Pammachio fosse anche diverso da questo della chiesa di San Giovanni e Paulo, perché essendo nominato il titolo 59 A. Englen: Appendice: Fonti manoscritte di Pammachio l’anno 305 nella divisione di san Marcello I, i sopradetti fratelli e martiri di Giesù Christo, come si è detto, consumarono il martirio l’anno 363 e così dopo che in Roma già era il titolo di Pammachio. Dal qual dubio io confesso non sapermi isbrigare se non vogliamo dire che sia errore nel Ciaccone nell’assegnare sotto Marcello il titolo di Pammachio. Soggiunge l’Ugonio che la più antica memoria che si trova nominatamente di questa chiesa è negli atti del Concilio romano celebrato sotto Simmaco I l’anno 499, dove tra gli altri preti che vi si nominano sono Giovanni e Gordiano, prete de’ Santi Giovanni e Paulo nel titolo di Pammachio. Anastasio nella Vita del sopradetto Simmaco narra com’egli fece a’ Santi Giovanni e Paulo i gradi dopo la tribuna cioè la scala che riesce nel Clivo di Scauro, la quale pur oggi vi si vede e per cui si ascende a questa chiesa. San Gregorio ancora nel Registro, libro 4, a capitolo 88, ne fa menzione e vi recitò l’homilia 34 e fu una alla quale il santo ordinò la stazione il primo venerdì di Quaresima”. Era già monastero ricchissimo e se ne conservava de’ beni dil medesimo memoria in una antica pietra drizzata nel portico della medesima, hora essistente in chiesa, nella quale appare la confermazione di essi beni fatta a questo monastero dall’istesso san Gregorio Magno, che sarà portata da noi nella descrittione di quest’istessa basilica qui appresso.Habitarono dunque in questo monastero i monaci di san Pammachio sino al 121633, e mancando questi fu qui eretta una Collegiata di canonici che vi continuarono sino al 1454, nel qual tempo vi fu introdotta la Congregazione de’ Padri Gesuati, come poco sotto narraremo. È stata governata da preti cardinali di gran bontà e valore de’ quali ne sono ascesi alcuni al summo pontificato, nominati da noi parimente poco sotto ma per portare la serie de’ suoi cardnali titolari: Gordiano prete cardinale de’ Santi Giovanni e Paulo nel titolo di Pammachio e Giovanni arciprete in detto titolo l’anno 494 sotto Gelasio I. Deusdedit cardinale prete de’ Santi Giovanni e Paulo nel titolo di Pammachio nel Concilio tenuto da san Gregorio Magno l’anno 600. Giorgio prete cardinale de’ Santi Giovanni e Paulo l’anno 735 sotto Gregorio III. Domenico prete cardinale de’ Santo Giovanni e Paulo intervenne al Concilio Romano sotto Leone IV l’anno 853. f. 186 verso Theodoricus, prete cardinale de’ Santi Giovanni e Paulo sotto Urbano II dell’anno 1099. Theobaldo, prete del titolo di Pammachio, sottoscrisse alla Sinodo Vastellense l’anno 1106, creato da Paschale II. Alberico Tomacelli, napoletano, prete cardinale de’ Santi Giovanni e Paulo porporato da Honorio II l’anno 1125 del mese di decembre. Luca, francese, decorato del titolo di cardinale prete de’ Santi Giovanni e Paulo nel Concilio Claremontano l’anno 1130 da Innocenzio II. Tebaldo, cardinale del titolo de’ Santi Giovanni e Paulo, creato da Innocentio II l’anno 1140 il mese di dicembre. Giovanni Sutrino, prete cardinale de’ Santi Giovanni e Paulo, creato da Eugenio III l’anno 1150, fu dopo arciprete di San Pietro et è annoverato tra cardinali della nobilissima Casa de’ conti Tuscolani. Raniero da Pavia, prima diacono cardinale di San Giorgio in Velabro da Alessandro 3° l’anno 1173, poi prete de’Santi Giovanni e Paulo l’anno 1182, fu promosso alla sacra porpora in Veletri del mese di dicembre. Frate Meliore, francese, cardinal prete del titolo de’ Santi Giovanni e Paulo, renunciato da Lucio III l’anno 1185 il primo dì di Quaresima in Verona. Cencio Savelli, creato da Celestino III prima cardinale del titolo di Santa Lucia in Orthea l’anno 1193, poi prete de’ Santi Giovanni e Paulo, dal quale ascese al sommo pontificato. Mastro Bertrando, honorato da Honorio III del titolo di prete cardinale de’ Santi Giovanni e Paulo l’anno 1216. Iacomo de Via, caturicense, vascone, francese, figlio della sorella del papa, honorato da Giovanni XXII l’anno 1316 del titolo di cardinale prete di San Giovanni e Paulo nelle quattro tempora dell’Avvento. Stefano Alberti, lemovicense, francese, vescovo Claramontano, decorato della sacra porpora del titolo di cardinale prete de’ Santi Giovanni e Paulo da Clemente VI in Avignone l’anno 1342, 12 kalendas octobris, poi passò al titolo di vescovo Ostiense. Andoino Alberti, lemovicense di Vascogna, francese, nepote del papa, sublimato da Innocentio VI l’anno 1353 in Avignone del mese di marzo al titolo di cardinale prete de’ Santi Giovanni e Paulo. Frate Guglielmo Sudre, lemovicense della Provenza tolosana, francese, dell’Ordine de’ Predicatori ornato da Urbano Vl’anno 1366, 14 kalendas octobris, del titolo di cardinale prete de’ Santi Giovanni e Paulo, poi ottò il Vescovado d’Ostia. Simon de Borsano, milanese, promosso da Gregorio XI, l’anno 1375 del mese di dicembre in Avignone, all’honore della sacra porpora del titolo di prete cardinale de’ Santi Giovanni e Paulo. Giovanni Fiandrini, prete cardinale de’ Santi Giovanni e Paulo dall’antipapa Clemente VII. Domenico Ram, spagnolo, cardinale di San Sisto, poi de’ Santi Giovanni e Paulo da Martino V, finalmente vescovo Portuense l’anno 1426, 9 kalendas iulii. Latino Ursino, domicello romano, creato da Nicola V prete cardinale del titolo de’ Santi Giovanni e Paulo l’anno 1444 ai 13 di genaro. Filiberto Ugonecti, francese, vescovo Matisconense, enunciato cardinale creato da Calisto III. Giovanni battista Ursino, creato da Sisto IV l’anno 1483, kalendas ianuarii, cardinale diacono di Santa Maria Nuova, ottò poi il titolo di prete cardinale de’ Santi Giovanni e Paulo. Ardicino della Porta da Novara, vescovo Albiense, inalzato da Innocentio VIII l’anno 1489, pridie idus martii, alla sacra porpora del titolo di cardinale prete de’ Santi Giovanni e Paulo. Raimondo Periordo Peraululi, Surgeriis in Xantonibus natus, francese, vescovo Gurcense, eletto da Alessandro VI l’anno 1493, 12 kalendas octobris, prete cardinale de’ Santi Giovanni e Paulo. Hadriano de Florentio da Traietto, germano, vescovo Dertusense e prete cardinale de’Santi Giovanni e Paulo creato da Leone X l’anno 1517, kalendas iulii, poi papa. Guillelmo Enchfort da Traietto di Brabanza, creato da Hadriano VI l’anno 1523, cardinale del titolo de’ Santi Giovanni e Paulo, a questo il papa rinunziò la sua chiesa Dertusense. Stefano Gabriel Morinus Giennense, spagnolo, patriarca dell’Indie e arcivescovo di bari, annoverato da Clemente VII l’anno 1533 tra i padri porporati oranto del titolo de’Santi Giovanni e Paulo, 9 kalendas martii. Giorgio de Arminiaco de Comitibus Arminiaci de Vascogna, vescovo Ruthense, ascritto da Paolo 2° tra cardinali del sacro collegio del titolo di prete de’Santi Giovanni e Paulo l’anno 1544, 14 kalendas ianuarii. Alfonso Carafa, napoletano, creato da Paolo IV diacono cardinale di Santa Maria in Domenica l’anno 1557, idibus martii, poi prete de’ Santi Giovani e Paulo. Gabriel Paleotto, bolognese, crerato da Pio IV l’anno 1565 ai 12 di marzo cardinale prete del titolo de’ Santi Nereo e Achilleo, ottò poi la chiesa de’ Santi Giovanni e Paulo. Nicolò di Pelve, francese, arcivescovo di Sans, eletto da Pio V, cardinale del titolo de’ Santi Giovanni e Paulo l’anno 1570. f. 187 verso Alessandro Medici, creato da Gregorio XIII cardinale prete de’ Santi Quirico e Giulitta l’anno 1583, 13 dicembre, ottò poi la chiesa de’ Santi Giovanni e Paulo; ascese al sommo pontificato. Antonio Carafa, napolitano, creato cardinale del titolo de’ Santi Giovanni e Paulo. 33 A questo punto nel testo vi è un segno di richiamo relativo a un’annotazione posta sul margine non compiutamente leggibile, con riferimento a san Benedetto e a san Girolamo. 60 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali Giovanni Battista Castrucci da Lucca, annoverato da Sisto V l’anno 1585 tra i padri del sacro Collegio de’ cardinali col titolo di Santa Maria in Aracoeli; ottò poi questa chiesa de’ Santi Giovanni e Paulo sotto Clemente VIII. Augustino Cusano, milanese, honorato da Sisto V del titolo di cardinale diacono di Sant’Adriano l’anno 1588, kalendas ianuarii, sotto Gregorio XIV; ottò il titolo di San Lorenzo in Panisperna et indi questo de’ Santi Giovanni e Paulo. Ottavio Acquaviva, napoletano, creato da Gregorio XIV prete cardinale del titolo de’ Santi Giovanni e Paulo. Camillo Borghese, prete cardinale del titolo de’ Santi Giovanni e Paulo, poi di San Chrisogono. Pietro Aldobrandino, creato da Clemente VIII, lasciato il titolo di cardinale prete di San Pancrazio, ottò questo de’Santi Giovanni e Paulo l’anno 1605, il primo di giugno. Decio Carafa, napoletano, arcivescovo di Damasco e nunzio in Spagna, eletto da Paulo V l’anno 1611, cardinale prete di San Lorenzo in Panisperna ai 17 d’agosto, ottò poi il titolo de’ Santi Giovanni e Paulo. Loenzo Magalotti, fiorentino, decorato da Urbano VIII della sacra porpora del titolo di Santa Maria in Aquiro, ottò il titolo de’ Santi Giovanni e Paulo l’anno 1628, pridie kalendas martii. Francesco Maria Machiavelli, fiorentino, annoverato da Urbano VIII nel numero dei padri porporati del titolo di cardinale prete de’ Santi Giovanni e Paulo l’anno 1641 ai 16 di [dicembre] e promosso alla Chiesa di Ferrara. Giberto Borromei, patrizio milanese, ascritto da Innocenzio X l’anno 1651, ai 19 di febraro, tra i padri del sacro collegio, ottò poi sotto Alessandro 7° il titolo di cardinale prete de’ Santi Giovanni e Paulo […] e vero imitatore di san Carlo Borromeo. Di questi suoi titolari ascesero in diversi tempi alcuni al sommo pontificato, come: san Giovanni I l’anno 523, il quale tutto acceso ad estinguere il nome degli eretici discacciò gli Ariani d’Italia e donò le lor chiese ai catolici, per la qual cosa fu da Teodorico, re de’ Gothi, crudelmente perseguitato sino alla morte; sant’Agapito del 534, come Anastasio scrive, fu clerico de’ Santi Giovanni e Paulo, il che non è notato, dice l’Ugonio che l’asserisce, né dal Platina né dal Panvino, e questo è quel gran papa che essendo andato da Giustiniano imperatore e sentendosi da lui tentare a voler confermare la prava opinione d’Eutichete, gli fece generosa risposta, dicendo: “Io mi credea venire a Giustiniano christianissimo principe, ma a quel che io veggio, ho trovato Diocleziano nemico di Christo”; santo Deusdedit l’anno 613, nominato nella tavola di marmo che portaremo qui appresso, la santità del quale venne approvata da quel miracolo che di lui si legge, cioè che incontratosi in un leproso col bacio lo [guarì] dalla lepra; Honorio III, della nobilissima gente Savella, ne fu anche assunto al pontificato l’anno 1216, il quale, oltre molte altre imprese segnalate, fece la f. 188 recto sacra impresa contro il Soldano d’Egitto, spingendo l’essercito christiano verso quelle parti e dove mandò suo legato a latere il gran cardinale Giovanni Colonna e vi furono tre re della Christinaità, quel d’Ungheria, quel di Cipro e quel di Gerusalemme con molti altri prencipi Christiani, i quali con una gloriosa vittoria misero in fugga esso Soldano appresso la città di Damiata, la quale presero con uccisione d’innumerabili Saraceni, facendone trentamila prigioni e riportandone ricchissime spoglie; Innocenzo VI l’anno 1352, il quale fece coronare Carlo IV imperatore da due cardinali in suo nome, essendo egli venuto a Roma per ricever la corona imperiale, operando in maniera che l’Italia rimanesse intatta dai suoi soldati; mandò in Italia Egidio Carilli, cardinale Albernosco, spagnolo, che ricuperò alla Chiesa tutte le città occupate da’ tiranni et estinse Francesco Baroncello e Cola di Rienzo, che havevano occupato il dominio di Roma; Hadriano VI l’anno 1522, al quale la brevità del pontificato tolse l’occasione di grandi imprese; quali tutti immediatamente da questo titolo salirono all’apice delle dignità; Leon XI e Paolo V erano parimenti stati di questo titolo, ma quando furono assunti al sommo pontificato erano titolari d’altre chiese da loro ottate. Hanno in diversi tempi e i sommi pontefici e i cardinali titolari ristorata et ornata questa chiesa. De’ pontefici restano qui le memorie di san Symacho e del prefato Hadriano VI. De’ cardinali titolari, fu poi questa chiesa o redificata o ristorata da Giovanni Sutrino, cardinale di questo titolo nel 1150, come si è detto di sopra, e si stima in un manoscritto del convento della nobilissima famiglia de’ Conti d’Anagni, detto forse “Sutrino“ dal dominio che n’hebbe la sua famiglia; n’appare memoria della sua beneficenza nell’architrave del portico di questa basilica in questi quattro versi: Presbyter ecclesiae romane rite Ioannes Haec animi voto dona vovenda dedit. Martyribus Christi, Paulo pariterque Ioanni Passio quos eadem contulit esse pares. Guglielmo Hencavort, cardinale tedesco, creato da papa Adriano VI, possedendo questo titolo restaurò la chiesa come dinota la sua arme, che di fuora nella facciata si vede in marmo sotto quella dell’istesso papa, che pur contribuì a detta restaurazione, come quegli che haveva particolar affetto a questo santo luogo, essendo dall’istesso titolo, anche absente, creato sommo pontefice. Nondimeno non fu tale la restaurazione che non bisognasse d’indi non molto a due degnissimi titolari della medesina, grandemente deserta e ruinata, con la lor pietà e liberalità soccorrerla e ripararla. Furno questi li cardinali Nicolò Pelve, francese, e Antonio Carafa, f. 188 verso napoletano. Il primo de’ quali con molta spesa rifece i tetti, rassettò i muri e gli altari, fece il choro da lato sopra la porta, accomodò il lastrico o pavimento, rinovò il portico e finalmente ridusse la chiesa in quella politessa e splendore che la dignità del culto divino ricercava. Antonio Carafa poi, chiaro non solo per la nobiltà e dottrina, ma anche per la pietà e liberalità, ornò la tribuna di questa chiesa di vaghissime pitture, fatta da ogni parte illustrare con farla dipingere nel modo che esprimeremo al suo luogo. Ristorò inoltre alcune stanze del convento e fece a questo santo luogho molti altri beneficii. Il cardinale Agostino Cusano, milanese, vi fece la soffitta intagliata, come si vede dall’arma di lui. Leon XI, essendone titolare, contribuì alla sagrestia nelle suppelletili sacre, come pur hora ne resta la memoria in alcuni palliotti ne’ quali è l’arme di lui. Vi sono di essa antiche memorie della consecratione rif[erite] a questa medesima chiesa da Fioravante Martinelli, che dice trascriverle dall’istessa chiesa e da codici manoscritti. La prima: ”Anno Domini MCLVII, pontificatus domini Hadriani IV papae anno IV, II calendas ianuarii, per Ioannem presbyterum cardinalem, qui totum opus simul et altare construxit, consecratum est hoc altare a Viliano Pisano archiepiscopo, viro religioso, ad honorem Dei omnipotentis et sancti confessoris Nicolai et prothomartiri Stephani e sancti Silvestri et omnium apostolorum et sanctorum Chrysanti et Dariae martirum, quorum reliquiae ibi plurimae reconditae sunt feliciter”. Item: “Anno Domini MCCLVI, indictione XIV, pontificatus domini Alexandri IV papae anno II, consecratum est hoc altare in die Palmarum ad honorem Dei omnipotentis, Petri et Pauli et alioreum apostolorum, per ipsum papam, qui annis singulis ad hanc ecclesiam accedentibus in Assumptionis beatae Mariae die et usque ad 15 sequentes duodecim annos de vera indulgentia concessit”. La memoria moderna dell’ultima consacrazione delli sei altari, che fece fare il cardinale Antonio Carafa la referiremo nel descrivere le memorie che si trovano al presente in questa chiesa al suo luogo. E’ inoltre ricco questo santuario d’alcuni corpi santi e reliquie, parte de’ quali si conservano sotto l’altar maggiore dentro la confessione, parte sotto alcuni altari e parte in sagrestia. Eccone il catalogo descritto dall’Ugonio: Sotto l’altar maggiore sono i corpi de’ santi martiri Scillitani, così detti dall’isola Scillitana in Africa, la festa de’ quali viene ai 17 f. 189 recto di luglio e sono gli infrascritti, che riposavano poi nella Metropolitana di Cartagine, nella quale gli pone il Martirologio Romano, ma ne fu fatta la translazione al tempo di *Carlo 61 A. Englen: Appendice: Fonti manoscritte Magno vedasi le note al martirologio […]*34: san Sperato, san Felice, san Natale, Sant’Aquilino, santa Generosa, santa Donata, san Cythino, san Letario, san Beturio, santa Ianuaria, santa Bessia, santa Seconda. Sotto l’altare di san Saturnino è il suo santo corpo, sotto l’altare di san Nicolò vi sono delle di lui reliquie, di santo Stefano I papa, di san Silvestro papa, de’santi Chrisante e Daria e di altri santissimi apostoli et un vaso di vetro pieno di sangue de’ martiri con altre reliquie; sotto l’altare a man dritta de’ santi Giovanni e Paulo, nella nave di mezzo, vi è una cassa piena di diverse reliquie. Nell’altare che è al dirimpetto vi è una testa d’uno de’ santi martiri o Giovanni o Paolo, dicendosi che una di essi santi martiri fratelli sia in Filisgurg35. Sotto l’altar della Madonna nella nave minore, che sta a man destra entrando, vi è un vaso di piombo con dentro altri vasi, parte di legno e parte di vetro, pieni qual di sangue e qual d’ossa de’ martiri e qual di terra col sangue incorporata. Dalle cose narrate di sì nobile et antica basilica appare che non era conveniente ch’ella fosse abbandonata e quasi del tutto derelitta dal suo debito ossequio tanto più che l’aria si stima assai salubre *per essere questo sito dalla zona del monte e trovarsi dalla parte di tramontana la valle che da libero col […] al scirocco et […] fabriche antiche che lo separano*36 et che perciò alcuni sommi pontefici romani, come pur scrive l’Ugonio, hanno qui habitato e nondimeno i sei canonici che al tempo del cardinale Latino Orsino vi erano, trascurando il servizio, né habitando, come conveniva, nel contiguo palazzo (dal che avveniva che sì la chiesa come l’habitazioni erano grandemente desolate) furono da Nicolò V del titolo suppressi ad instanza dell’istesso zelantissimo cardinale, a cui molto era a cuore il mantenimento di questo santuario e l’augumento del culto divino, onde correndo allora un’ ottima fama de’ padri Gesuati, l’ottenne il prefato titolare per i padri di questa Congregazione, et il primo priore che prendesse il possesso di questa chiesa e monastero fu il beato Antonio Bettini da Siena, che per la sua santità di vita Pio II fece vescovo di Foligno. N’hanno i padri Gesuati espresso segno di grata memoria con haver fatta figurare l’imagine di esso cardinale e del beato Antonio che riceve il possesso del monastero da lui, con questa inscrizione nel primo claustro del medesimo monastero:”Latino Ursino tituli Sanctorum Ioannis et Pauli Sanctae Romanae Ecclesiae presbytero cardinali quod beatum Antonium Bettinum senensem ordinis Iesuatorum, postea episcopum Fulginatem ad urbem profectum amantissime f. 189 verso exceperit eique eamdem suam titularem ecclesiam, palatium et iura a Nicolao V pontifice maximo impetraverit ad ampliorem tanti beneficii memoriam et Iesuati romani hic exprimenda curarunt anno Domini 1656”. Fondò quest’ordine il beato Giovanni Colombino, senese, di nobil famiglia; della sua conversione fu causa la sua moglie, perché un giorno ritornato egli a casa ne l ‘hora (?) del pranzo et ella non havendo apparecchiato, acciò che patientemente aspettasse, gli diede a leggere un libro delle vite de’ santi, ma egli maggiormente […] lo gettò via, del che poco di poi dolendosi e ripigliandolo non così tosto l’apperse che s’imbattè nella Vita penitentissima di santa Maria Egiziaca, donde ne trasse frutto che entrò nella Compagnia de’ Disciplinati, da’ quali anche n’escì san Bernardino, suo patriotta, dell’ordine serafico. Ma Giovanni Colombino vi fece profitto sì grande che di crudele ch’egli era co’poveri, divenne tanto pietoso che un giorno incontrandosi in un povero infermo tutto piegato, lo portò a casa e datogli da mangiare, lo mise a riposare in un buon letto. Seppe poi per revelazione che quello fu Giesù Christo, onde si accordò con sua moglie di vivere in perpetua castità, impetrò ancora di separarsi da lei per dar principio ad una più aspra vita et havendo ritrovato un compagno conforme al suo santo volere, andavano scalzi e col capo nudo e non mancarono altri che lo seguirono in tanto che dopo due anni, gionti al numero di 60, Urbano V l’anno 1367, fattigli essaminare, approvò l’ordine loro e gli diede l’habito [ …] portano sotto la regola degli Eremitani di sant’Agostino e, se bene s’appellano ancora di san Girolamo, egli è perchè l’hanno per particolare avocato e protettore. L’habito di essi è una bianca veste di lana che si allaccia dinanzi vicino al collo et ha le maniche non molto larghe, lunga sino ai piedi et un manto lionato col capuccio di dietro all’ […], non portano scapulare e patienza e si cingono con una fetuccia o benda bianca. Il nome de’ Gesuati l’hebbero miracolosamente dal cielo poi che, andando a Viterbo, dove allora si ritrovava la Corte pontificia, i fanciulli, che non havevano ancora formata parola, in vederli, cominciarono a chiamarli con tal nome. S’impiegano questi padri in distillare herbe d’ogni qualità, non lasciando per questo gli essercitii di varie orazioni e penitenze, e perché da principio lasciarono affatto quelli dell’[…] scienze, non poteva tra essi ordinarsi alcun sacerdote, ma l’anno 1611 furono a Paolo V rappresentate alcune ragioni che lo mossero ad alterare l’ordine in questa parte, volendo che vi fossero sacerdoti con obligo di recitar l’hore canoniche, ma lasciassero d’adire le confessioni. Nello stess’anno che da Urbano f. 190 recto fu confirmato quest’ordine, morì il suo fondatore in Siena e fuori, ad un monastero detto Santa Bonda fu portato il suo corpo, per haversi fatta monaca una sua figliola. Altra memoria del beato Colonbino Roma non ha se non del cilizio e veste sua in Santa Marta al varco di Camigliano. Veniamo hora a descrivere l’istessa chiesa la quale è repartita in tre nave et ha la sua facciata verso l’oriente. La nave di mezzo è sostenuta da 24 colonne tutte di granito affricano d’ordine corinthio, delle quali hora se ne vedono solo 20 per essere state coperte l’altre quattro da quattro pilastri fatti per sostenere le muraglie laterali, sopra i quali sono fondati due archi, che restano dentro e poi di fuori hanno i loro contraforti verso la parte di mezzogiorno, dove declinano le muraglie. Riceveva prima il lume da tredeci fenestre per parte con sopra altretanti occhi tondi e nella facciata da tre, ma oggi vien solo da tre finestre per parte illuminata, essendo o tutte l’altre murate. E’ornata avanti la porta maggiore d’un bel portico sostenuto da otto colonne, delle quali la prima et ultima sono di marmo bianco e l’altre sei di granito orientale, e di queste le due, che sono avanti la porta, erano di verde laconico, le quali furono fatte levare da Paolo V di santa memoria per fare il fregio alla cupola della sua capella in Santa Maria Maggiore, in luogo delle quali vi fece porre quelle che hora vi sono. Nell’architrave di questo portico sono i versi referiti di sopra: “Presbyter ecclesiae romanae et cetera”. Sotto è una sola porta ma grande incornigiata di marmo con una riga di mosaico per mezzo le conrigi nella cima rilieva un’ aquila marmorea creduta l’arme del detto cardinale Giovanni Sutrino creduto di Casa Conti; ai piedi di qua e di là si veggono due leoni di marmo con un porco in bocca, che stiano alla guardia di quell’entrata. Fu costume antichissimo sin de’ tempi de’ Gentili porre i leoni dinanti ai tempii, di che ve n’è in Roma l’esempio avanti alcune altre chiese. Venne quest’uso a Roma dall’Egitto i quali si messero a ciò fare perché questo animale ha una tal proprietà che quando veglia tien gli occhi chiusi, quando dorme gli tiene aperti e sfavillanti come fuoco, il ché è segno evidente d’uno che vigilante sta alla guardia, laonde s’usarono mettersi i leoni alla porta de’ tempii prima da’ Gentili e poi da’ Christiani, segno che le cose sacre si devono diligentemente custodire. Il piano del pavimento suo fu già tutto lavorato d’intarsia in quella guisa che ne resta un poco più vicino alla porta ricco per tante pietre di porfido che ancora vi si vedono. E’ di lughezza tutta palmi 220, di larghezza 128. Ha da capo la tribuna ornata f. 190 verso di vaghissime pitture. Nella curvità eminente di essa si vede il Salvatore schierato tutto dagli Angeli che il paradiso aperto rappresentano e sotto nel giro quei santi e sante i nomi de’ quali et i sacri corpi sono in questa chiesa honorati, tra’ quali si vede san Pammachio con l’abito monacale con queste lettere di sotto:”Sanctus Pammachius huius ecclesiae conditor”; poco più a 34 L’annotazione posta sul margine non è chiaramente leggibile. 35 Sic per Filisburg. 36 L’annotazione posta sul margine non è tutta chiaramente leggibile. 62 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali basso è distinta in quadro la Vita de’ valorosi campioni di Christo, santi Giovanni e Paulo, quivi nella cornice che gira tutto il semicircolo di essa tribuna è scolpita a lettere d’oro questa breve inscrittione: “Antonius Carafa sanctae romane ecclesiae presbyter cardinalis, cum huius ecclesiae titulum obtineret, exornandum curavit anno Domini 1587”. A questa tribuna si ascende da ambe le parti della confessione per cinque gradini. Sta nel mezzo l’altar maggiore isolato, quale è tutto guernito di verde mischio di Lacedemonia, e coperto da un ciborio, o tabernacolo, appoggiato sopra quattro colonne bianche: le prime due colonne sono d’ordine corinthio e le altre due più verso la tribuna d’ordine composto. Questa parte bassa è incrostata di tavole marmoree distinte con fregi di più colori, e ha sopra alquanto distante una cornice pur di marmo, che gira tutto il semicircolo; più su, un ordine di colonne marmoree che similmente gira, opre tutte de’ tempi più antichi, e sotto l’altare è la confessione co’ corpi santi, che si è già detto, avanti la quale si legge nel pavimento questa memoria:” Hic requiescit magister Iacobus, filius olim Angeli Nicolai scriptor domini papae et clericus huius ecclesiae”. Seguon poi sotto la detta confessione, da ambi i lati di questa nave, alcuni seggi di marmo con gradini e postergali e questa era già la Scola de’ Cantori, credo in quell’istesso modo che oggi si vede conservata in San Clemente, e poteva havere, come quella, due pulpiti, l’uno per l’epistola e l’altro per l’Evangelio, che ne sono poi stati levati, come è successo nell’altre chiese ancora delle più antiche. In un gradino di questa Scola de’ Cantori, dal lato del Vangelo, si legge questo fragmento: “D.M. Aelia Calpurni, fi. Rinthia vel prisf. libert. auggmaincomparabili et a Mamertino filio piis feci tet sibi liberti”. Vicino alla colonna nel muro ci è questa memoria: “Antonius Carafa huius tituli sanctae romane ecclesiae presbyter cardinalis sex huius ecclesiae altaria a Ludovico archiepiscopo Montis Regalis die festo sancti Ioseph 1588 consecrari curavit, quo die quotannis visitantibus unum ex his altaribus Sixtus papa V decem annos de vera indulgentia concessit”. Proseguendo per quella nave si trova nel mezzo f. 191 recto di essa, nel pavimento: Hocce puellae iacet tumulo corpus Elisabet Quod manet in sancta aula nunc Baptistae Ioannis Ildebrandus eius genitor Theodoraque mamma Orta puella ideo fuit ardua stimmate Romae Bis annos abuit Senis et mensibus decem Ducta Iohannis vestra Paulique iure sub alma. Pro qua vos Dominum deposcite martyres almi Ut sibi det requiem sanctam post funere semper Tumulum ad requiem Subiaceat nexu dum vivit in orbe anathema. Dep. V kalendas septembras, Indictione V. Nel primo pilastro a mano destra di questa nave è stato collocato quell’armo, che dicemo già essere stato nel portico, in cui san Gregorio Magno conferma tutti i beni di questa chiesa, del seguente tenore: “Gregorius episcopus servus servorum Dei Dilectissimis in Christo filiis Deusdedit cardinali et Ioanni archipresbytero tituli Sanctorum Ioannis et Pauli et per vos in eodem titulo in perpetuum. Creditae speculationis impellimur cura et ardore Christiane religionis etiam studio divini cultus promeremur pro venerabilium piorumque locorum praecogitare stabilitate atque Deo servientium securitate ut hoc proveniente pro labore et animae Christo dicatae eique se illi diebus vitae eorum servire decreverunt, perseverent et imperturbate, nec non in illa maneant finetenus firma quae a Christianis in Dei laudem constructa sunt. Quia igitur dilectio atque religiositas vestra petiit nobis quatenus hos fundos in integro sitos territorii Bellitrensis milliario XXII ac in aliis locis. N + Territorius Bellitrensis milliario XII C O Fundus Mucianus in integro O T Fundus Cosconis in integro, ubi supra N 37 Per Fausianus. Per confirmaremus. 39 Per quisdam. 38 f. 191 verso S I fundus Praetoriolus in integro, ubi supra T T fundus Casacatelli in integro, ubi supra A I fundus Proclis in integro via Appia milliario XIII. N A fundus Virginis in integro via Appia milliario II. cum pantano T fundus Capitonis Via Ardeatina milliario III. I F fundus Fonteianus in integro via suprascripta milliario V. N V fundus Furnusianus37 in integro via suprascripta milliario plus minus XII. V N fundus Lausianus in integrum via suprascripta milliario suprascripto S D fundus Carbonariorum in integro via suprascript milliario plus IX. O fundus Publica in integro via Latina milliario plus minus XI. S R fundus Casa Quinti in integro via Latinamilliario plus minus XI. E V fundus Lacitianus in integro via Lavicana milliario XV. R M fundus Sergianus in integro ubi supra V T fundus Septiminis in integro via *** V I fundus Caesarianus in integro via Praenestina milliario XX. T fundus Stagnis in integro in via Latina milliario plus minus XXX. S V fundus Casaluci in integro ubi supra L fundus Casacellensis via Appia milliario XIII S I R V H Vestrae Ecclesiae confirmamus38 et nos ita O V confirmamus ut, si quis39 temerator extiteI rit, anathematis vinculo subiaceat in perpetuum R S M” Seguendo per la medesima nave ai secondi pilastri sono due altari rapresentanti il martirio de’ santi Giovanni e Paulo. La pittura a man dritta è di Rafael da Reggio e l’altra all’incontro è di Paris Romano. L’una altare è ornata di due colonne di marmo bianco ventato di nero d’ordine ionico el’altra con due colonne tutte di marmo mischio. Si conservano sotto queste i corpi de’ santi Giovanni e Paulo e dall’altra altare una testa d’uno di essi santi. Dalla parte del palazzo che guarda alla porta è un marmo antico con questa memoria ritrovato lì sotto in tempo della santa memoria d’Urbano <VIII> e dal cardinale Francesco Barberino, religiosissimo delle sacre antichità, fatta esporre in questo luogo, onde sopra vi hanno fatta l’arme di lui: Constat nimirum, dilectissimi fratres, de promissione, quam ex corde fecimus coram Deo et Sanctis eius ut unusquisque nostrum, fratres sacerdotes et posteri nostri sacerdotes in perpetuum, qualiscumque ex hac luce migraverit, XL missas pro eius anima per unumquemque sacerdotem, qui superstites sunt, canere promisimus; si tamen infirmitate fuerit occupatus, non reputetur ei in peccatum et si receptus f. 192 recto fuerit in pristinam sanitatem, omne quod supra dictum est adimpleat, qui vero custos et observator fuerit, habeat benedictionem Dei patris omnipotentis et Filii et Spiritus Sancti et coeleste regnum possideat cum omnibus Sanctis; qui et hoc non observaverit sit anathematis vinculo innodatus et a Regno Dei separatus. Si stima tal memoria antica del tempo istesso che qui vivevano i monaci di San Pammachio, onde si vede l’antico costume che era in questo sacro luogo tra fratelli di suffragar insieme co’ sacrificii l’anime coascuno dell’altro fratello. Venendo verso la porta si vede il choro fatto dal cardinal Nicolò di Pelve, come pur mostrano l’arme di lui, e sopra esso, che è sostenuto da quattro colonne, due delle quali di marmo venato sono molto belle, è questa inscrittione: “Ad Dei gloriam et honorem sanctorum Ioannis et Pauli et sancti Saturnini anno Domini 1587”. Sotto, vicino all’acqua santa, in un fragmento si 63 A. Englen: Appendice: Fonti manoscritte leggono queste lettere: “Constanti beatissimo ob perennem de quadis e ex eorum te”. Sotto il choro sono due altari, una di san Saturnino martire, che sta ivi dipinto, con ornamento di due colonette di marmo mischio con frontespizio acuminato, il cui corpo si è detto di sopra riposare sopra quest’altare, e dall’altro lato, sotto l’istesso choro, è l’altare di san Nicolò, vescovo di Mira, ornato nell’istesso modo. Nel soffitto sopra questa nave si vedono intagliati di basso rilievo i gloriosissimi martiri fratelli santi Giovanni e Paulo e l’arme del cardinal Cusano milanese. Passando hora alla nave destra all’entrare, è nel mezzo di essa con altare dedicata alla beatissima Vergine di cui è l’imagine nel quadruccio, che tiene il bambino in braccio, coronata da due angeli e sostenuta da due altri angeli, ornata da due colonnette di breccia verde, e da ambi i lati fuori di detta altare sono l’imagini de’ due beati dell’ordine de’ Gesuati, cioè il beato Giovanni Tossignano, vescovo di Ferrara, fatto da Eugenio IV, e dall’altro lato il beato Antonio Bestini, vescovo di Folignio fatto da Pio II, et è illuminato da due finestre quadre, una per lat. Nella nave sinistra, sopra la porta in cima sono pitture, che sembrano d’anni 400, di Christo e degli Angeli, e nel mezzo di questa nave è l’altare eretta ad honore del beato Giovanni Colombino, che è figurato nel quadro con la visione ch’egli hebbe del Salvatore col mondo in mano. In una nicchia che è poco distante da quest’altare sono quattro figure antichissime effigie dei santi Pietro e Paulo apostoli e Giovanni e Paulo martiri. Il Martinelli porta in questa chiesa un epitaffio di Anastasio cardinale, ma io non l’ho potuto ritrovare, cioè: “Hic requiescit in pace Anastasius presbyter sanctae romanae ecclesiae, qui vixit plurimos annos”. Giovanni Severani (sec. XVII) Vallic. G. 16 Roma Sacra. Opera ecc. nella quale si descrivono tutte le chiese che sono state anticamente e sono hora in Roma; con quel che era già in tempo de’ Gentili, nel sito, o vie e luoghi vicini ad esse. ff. 160r. - 162r. f. 160 recto “Chiesa de’ Santi Giovanni e Paolo nel monte Celio. Questa chiesa è nel principio del monte Celio, il quale comincia dalla salita di San Gregorio, detta il Clivo di Scauro, e fu così chiamato il monte da Celio Vibenna Toscano, che venne con le sue genti in aiuto de’ Romani contra li Sabini, et in questo hebbe il suo alloggiamento, se bene doppo la sua morte, essendo il luogo assai munito, li Romani fecero andar le sue genti ad habitar nel piano, dubitando di quelle. Onde il detto piano si chiamò dall’habitatione loro Vico o Borgo Toscano, del quale si dirà altrove. Dove è la presente chiesa, o vicin a quella, fu già la Curia Hostilia fatta da Tullo Hostilio, terzo re de’ Romani f. 160 verso dove si convocava il senato et il popolo per trattar le cause secolari, essendo questa differente dalle altre, dove li sacerdoti trattavano le cose sacre de’ loro fideli et intimavano le feste che dovevano farseli et cetera. Vi fu un’altra Curia Hostilia, dove fu poi edificato il tempio della Pace, della quale si dirà altrove. In questa, della qual parliamo, fu ancora la regia et il palazzo del medesimo Tullo Hostilio e se ne vedono li vestigii appresso alla medesima chiesa. Mancata poi la detta Curia vi ebbero la casa propria santi Giovanni e Paolo, cortigiani già di santa Costanza, li quali non volendo andar in corte di Giuliano, furono di ordine suo fatti morire nella medesima casa dove ancora furono occultamente sepelliti dal medesimo Terentiano, che gli havea fatti morire. f. 161 recto Scoperti poi miracolosamente li detti corpi, come si legge negli Atti loro, e crescendo la devozione e frequentia del popolo in venerarli, san Pammachio, tanto celebrato da san Girolamo, il quale era genero di santa Paola, doppo la morte di Paolina, sua moglie, edificò nella medesima casa di detti santi la chiesa col monasterio dove si fece e visse monaco. Per tal causa si chiama questa chiesa titolo di Pammachio. Era prima volta verso l’Oriente, in modo che la sua facciata era dove hora è la tribuna, e per ascendervi Simmaco papa circa l’anno 500, vi fece la scala che hora ve si vede, come riferisce il Bibliotecario nella sua vita. Adriano primo restaurò questa chiesa, come f. 161 verso riferisce il Bibliotecario nella sua vita con queste parole: Titulum Pammachii Sanctorum Ioannis et Pauli, qui per elapsos marcuerat annos omnia sarta tecta eius Tituli renovavit. San Leone 3 vi fece alcuni ornamenti, come riferisce il medesimo, dicendo: In Titulo Pammachii fecit vestes duas. San Gregorio Magno vi fece l’homilia 34 e da questa chiesa volle che cominciasse la processione de’ monaci alla chiesa di Santa Maria Maggiore, quando istituì in Santa Sabina le litanie chiamate saettiformi. Gregorio 4 finalmente vi fece ancor esso alcuni ornamenti, dicendo di lui il Bibliotecario: Optulit vero beatissimus papa in Titulo Pammachii vestem destaurari cum pericliti de quadruplo40 et cetera. E’ stata restaurata poi ancora da’ cardinali titolari, come dalli cardinali Guglielmo Encovondi tedesco, da Nicolò Pelve di Sans, et ultimamente da Antonio Carafa et Agostino Cusano. f. 162 recto Si leggeva nella medesima chiesa quest’iscrittione riferita dal Baronio nel tomo 5 degli Annali, nella sua appendice che è nel tomo 12, pagina 915: Antistes Domini celsa sacraria Christi Vestibulum decorat gratia pulcra loci Quae quia compta nitet primaque in fronte renidet Ostendit quantum numinis intus inest Quis tantas Cristo venerandas condidit aedes Si quaeris cultor Pammachius fidei. Altre memorie vedasi Pancirolo”. Vallic. G. 26 Memorie sacre delle chiese antiche e moderne di Roma Del Padre Gio. Seuerano della Congregazione dell’Oratorio di Roma, Parte I, opera originale 1637, ff. 289v., 290v.-291r. (già ff. 268v., 269v.-270r.) Il ms 19 agosto 1637 sembra scritto dalla stessa mano dei ff. 160r.162r. del Vallic. G. 16. f. 289 verso Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo. La chiesa dei Santi Giovanni e Paolo fu edificata da san Pammachio nella casa medesima di questi santi, dove hebbero il martirio, la quale era vicina o sopra le rovine della Curia detta Hostilia da Tullo Hostilio, re de’ Romani, che la fece per congregarvi i senatori a trattar delle cose pubbliche. Con la chiesa fabricò ancora il monasterio. f. 290 verso Pammachio, nel quale egli doppo la morte di Paolina, figlia di santa Paola, celebrate da san Girolamo, fu monaco: onde questa chiesa è detta Titolo di Pammachio. Ora questa chiesa volta all’oriente in modo che la sua facciata era dove hora è la tribuna e per ascendervi Simmaco papa, circa l’anno 500, vi fece la scala, come riferisce il Bibliotecario nella sua Vita. San Gregorio vi fece l’Homilia 34. Mancati li monaci, si fece Collegiata nel 1216; mancando ancora li canonici, sapendola Titolo, il cardinale Latino Orsino l’anno 1454 l’ottenne da papa Nicolò V per li frati Giesuati. E’ stata restaurata et ornata dalli titolari cardinali Gugliemo Encovondi, tedesco, e Nicolà Pelve di Sans, Agostino Cusano et Antonio Carafa. 40 Leggi: vestem de stauraci cum periclisi de quadruplo. 64 Capitolo I: Le Case Romane e le sopravvivenze altomedievali f. 291 recto Della chiesa e monasterio di San Giovanni e Paolo nel Vaticano vedasi le Memorie Sacre, Gregorio 4: “Optulit vero beatissimus papa in titulo Pammachii vertere destaurari cum pericliti de quadrapulo41”. FONTI E BIBLIOGRAFIA sigle e abbreviazioni AFOFi BCAF BAV CBCR I CIL VI,1 CIL VI,2 CIL VI,3 Archivio Francescano di Ognissanti di Firenze Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara Biblioteca Apostolica Vaticana R. Krautheimer, Corpus Basilicarum Christianarum Romae, I, Città del Vaticano 1937 Corpvs Inscriptionvm Latinarvm, Inscriptiones Vrbis Romae, consilio et avctoritate Academiae Litterarvm Regiae Borvssicae collegervnt. G. Henzen et I.B. De Rossi, edd. E. Borman, G. Henzen, vol. 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Giovanni Antonio Bruzio, Vat Lat. 11880: De Aede ac Coenobio divorum Ioannis et Pauli. in Ecclesiae Romanae urbis, nec non collegia canonicorum caeterorumque presbyterorum ac virorum monasteria regularia quacumque, in Theatrum Romae Urbis, Tomo IX, Romae (II metà XVII sec.), ff. 136 v.-142 r. Giovanni Antonio Bruzio, Vat. Lat. 11885: Chiesa e monasterio de’ Santi Giovanni e Paulo, in Chiese de’ Canonici e de’ Regolari et altro del Clero Romano in Theatrum Romae Urbis, Tomo XVI, Romae (II metà XVII sec.), ff. 182v.-192r. Roscio Hortino, Vat. Lat. 11904 Severani, Vallic. G 16 Severani, Vallic. G. 26 Ugonio, Barb. Lat. 1994 Ugonio, Barb. Lat. 2160 Julio Roscio Hortino, Vat. Lat. 11904: Descriptio aliquot Ecclesiarum Romanarum, Romae 1585, ff. 19v.-21r. Giovanni Severani, Vallic. G 16: Roma Sacra. Opera ecc. nella quale si descrivono tutte le chiese che sono state anticamente e sono hora in Roma; con quel che era già in tempo de’ Gentili, nel sito, o vie e luoghi vicini ad esse, ff. 160r.162r. Giovanni Severani, Vallic. G. 26: senza titolo, ff. 289v., 290v.-291v. (già ff. 268v., 269v.-270r.). Pompeo Ugonio, Barb. Lat. 1994:Theatrum Urbis Romae. Compendium rerum memorabilium Urbis Romae. Monumenta sacra et profana Romanae Urbis Antiquitates Urbis (II metà XVI sec.), ff. 89v., 98r. Pompeo Ugonio, Barb. Lat. A. Englen: Il Celio “arcaico” secondo gli antiquari dei secoli XV-XVIII: la reggia e la curia di Tullo Ostilio Ugonio, BCAF, classe I, 161 2160, senza titolo, ff. 141v. -142r. Pompeo Ugonio, BCAF, classe I, 161: Theatrum Urbis Romae, ff. 160v.-161r. Donati 1665 stampe Giovannoli 1615 Giovannoli 1619 Laurus 1628 Rossini 1817 A. Giovannoli, Roma Antica di Alo Giouannoli di Ciuita Castellana Libro Secondo, s.l., 1615. A. 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Totti, Ritratto di Roma Antica, nel quale sono figurati i principali Tempij, Teatri, Anfiteatri, Cerchi, Naumachie, archi trionfali, Curie, Baſiliche, Totti 1633 Totti 1638 Ugonio 1588 Vacca 1574 Vegio 1511 Vittore ed. Boissard 1597 Volaterrano 1523 Colonne…E le dichiarationi di Bartolomeo Marliani Milaneſe e d’altri Autori, Roma 1627 P. Totti, Ritratto di Roma Antica nel quale sono figurati i principali Tempij, Teatri, Anfiteatri, Cerchi, Naumachie, archi trionfali, Curie, Baſiliche, Colonne E le dichiarationi di Bartolomeo Marliani Milaneſe e d’altri Autori, Roma 1633. P. Totti, Ritratto di Roma Moderna. All’Eminentiss. e Reuerendiss. Si.re il Sig. Card: Antonio Barberino, Roma 1638. P. Ugonio, Historia delle stationi di Roma che si celebrano la quadragesima di pompeo Vgonio all’illvstrissima & Eccell. Sig. 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Károly Kerényi e la megalografia Alia Englen Károly Kerényi si occupa per la prima volta dei dipinti murali del Ninfeo (Ambiente 22) nel 1948, con un saggio, “Die Göttin mit der Schale”, pubblicato nel 1949 in “Niobe”, pp. 208-230 e, in Italia, nel 1979 (e successive ristampe) presso Boringhieri nel volume “Miti e misteri”, pp. 419-439, figg. 5-10. È chiaro che il taglio di una personalità culturalmente poliedrica e complessa quale quella di Kerényi esprime un punto di vista altro, rispetto a un archeologo o a uno storico dell’arte, ma, al di là di interpretazioni confutabili da parte di un tecnico (come quella dell’anticipazione della datazione delle pitture al II secolo) lo spessore e l’ampiezza della disamina sui significati attribuiti alla megalografia, la pertinenza delle citazioni degli autori classici, e la precisione delle citazioni bibliografiche fanno comunque considerare questo scritto e quello successivo su Dioniso come parte integrante della storia dell’immagine antica (vd. Pavolini, p. 197, nota 27 e l’ampio studio di de Vos, in part. pp. 221-229 con figg.). In questo primo saggio la figura del giovane stante raffigurato nella megalografia è interpretata come Dioniso con i pampini e il rhyton da cui versa il vino nella coppa; la figura femminile nuda sarebbe Afrodite, “per la mostra che fa del suo bel corpo, per gli ornamenti appariscenti e per la concordanza tipologica con la Venere di alcuni quadri pompeiani”. Ad appoggio di questa tesi Kerényi cita F. Wirth (Römische Wandmalerei, Berlin 1934, p. 30). La seconda donna, vestita e velata con in mano la taenia scarlatta nuziale, sarebbe invece la dea dell’isola. L’argomento del dipinto sarebbero quindi le nozze divine tra Dioniso e Afrodite e a questo proposito Kerényi cita tre sarcofagi. Nel più importante, nei Musei Vaticani, già nei pressi del Celio, sono raffigurate tutte e tre le figure centrali, la cui somiglianza con la pittura delle Case Romane è stata individuata già da W. Amelung (Die Skulpturen des Vat. Museums II, Berlin 1908, p. 49 e ss. e “Diss. Pont. Acc. Rom. D’Arch.” Ser. II, X, 1, p. 20ss.) L’argomento della “dea con la coppa” stava evidentemente particolarmente a cuore a Kerényi. Infatti nell’opera (postuma) Dionysos, Urbild des unzerstörbaren Lebens (Munchen-Wien 1976) pubblicata da Adelphi con il titolo Dioniso, nel 1992 (4a ed. 2007), Kerényi ritorna sull’argomento, all’interno di un vasto studio sulla figura di Dioniso dal mondo minoico alla tarda antichità. Nel capitolo Il nucleo cretese del mito di Dioniso, pp. 69-130 (in particolare: pp. 127-128) Kerényi cita esplicitamente il dipinto con la megalografia, facendo di nuovo interessanti interpretazioni (e citazioni degli autori antichi). Questa volta il riferimento è alla coppia Dioniso e Arianna e, in particolare (p. 127), all’evento conclusivo del terzo atto del mito cretese: l’ascensione della coppia divina al cielo. Le nozze, scrive Kerényi, erano collocate, in un’isoletta nel mare, di nome Dia, l’antico nome di Nasso, i cui abitanti (Diodoro Sic., V, 51, 3. rif. F. Altheim, Griechische Götter im alten Rom, Giessen 1930, p. 55 e ss.; G. Radke, Die Götter Altitalien, 1965, pp. 104ss.), in onore delle sacre nozze, avrebbero eretto un tempio a Dioniso, di cui rimarrebbe la gigantesca cornice in marmo (rif. G. Welter, Altjonische Tempel I. Der Hekatompedos von Naxos, in AM, XLIX, 1924, pp. 17-22). Secondo Stefano di Bisanzio (Ethnicorum quae supersunt, s.v., Donousìa) Dioniso, infatti, avrebbe portato Arianna proprio sulla piccola isola circolare, Donousìa, a est di Nasso. In Dioniso, Kerényi aggiunge un’interpretazione “geografica” aggiuntiva a quella sostenuta nel 1948: il paesaggio raffigurato sullo sfondo della megalografia sarebbe l’isola nuziale di Dioniso e Arianna e, esattamente, lo scoglio davanti al porto di Nasso, da dove partiva, su piccole imbarcazioni, il corteo nuziale. La figura maschile stante sarebbe quindi Dioniso che versa ad Arianna il vino nella coppa e la figura femminile accanto ad Arianna la sua nutrice Korkýne, la cui tomba veniva mostrata a Nasso (Plutarco, Theseus, XX, 5) La presenza della nutrice è, secondo Kerényi, decisiva per collocare a Nasso tutta la composizione, diversamente da quanto sostiene B. Andreae, (Studien zur römishen Grabkunst, in RM, suppl. IX, 1963) per il quale la megalografia raffigurerebbe l’aldilà. Proprio gli eroti, infatti, sarebbero da interpretare in senso funerario. Anche qui Kerényi fa riferimento, come già fatto nel 1948 al sarcofago Vaticano, già pubblicato nel saggio dello stesso anno (vd. fig. 10).