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IN MEMORIAM
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SLOVO 62 (2012)
IN MEMORIAM
RICORDO DI RICCARDO
PICCHIO
(Alessandria, 7 settembre 1923 –
New Haven, Connecticut, 13 agosto 2011)
Riccardo Picchio, uno dei maggiori slavisti in assoluto della seconda metà
del Novecento, si è spento dopo una lunga malattia a New Haven nel
Connecticut il 13 agosto 2011 poco prima di compiere 88 anni. Era nato
ad Alessandria in Piemonte 7 settembre 1923, dove crebbe in uno studioso
ambiente familiare che certo dovette contribuire non poco a destare il suo
precoce interesse per gli studi linguistici e letterari. Il padre Carlo, avvocato, ma in realtà »letterato nel midollo«, un bel giorno del 1941 addirittura
abbandonò la professione e, insieme, la città natale, per trasferirsi con la
famiglia a Roma e dare finalmente libero sfogo alla sua inguaribile passione
per la letteratura, soprattutto traducendo un gran numero di opere da molte
lingue diverse, in primo luogo germaniche, e svolgendo un’intensa attività
giornalistica.1 Se al momento di iscriversi nel 1941 alla Facoltà di Lettere
1
Un suo vivido ritratto, delineato da Luciana Stegagno Picchio, sorella maggiore di Riccardo
ed eminente filologa nell’ambito della letteratura portoghese e brasiliana, scomparsa
qualche anno fa, si legge in appendice a C. PICCHIO, Il pretore, Roma, Biblioteca del
Vascello, 1994.
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e Filosofia della ‘Sapienza’ aveva pensato di studiare Filologia germanica,
il giovane Picchio ben presto si convertì tuttavia agli studi slavistici, da lui
coltivati sotto la guida di maestri quali Giovanni Maver, Ettore Lo Gatto ed
Enrico Damiani; e con quest’ultimo si laureò nel 1946, discutendo una tesi
sul poeta bulgaro Penčo Slavejkov. Prima di consacrarsi interamente alla
slavistica, Picchio avevo tuttavia fatto in tempo a intraprendere una promettente carriera giornalistica all’»Avanti« (fu tra l’altro fra i primi giornalisti a visitare il campo di sterminio di Auschwitz). Dopo essere stato lettore
d’italiano a Varsavia fra il 1947 e il 1949, e aver trascorso a Parigi nei due anni
successivi un lungo periodo di studio che molto contò nella sua formazione, una volta rientrato in Italia Picchio continuò ad approfondire la propria
preparazione slavistica sotto la guida principalmente di Giovanni Maver, al
tempo stesso impegnandosi in una notevole attività pubblicistica e editoriale. Conseguita la libera docenza, dal 1954 iniziò a insegnare Letteratura
russa all’università di Firenze, cui si aggiunse nel 1959 l’insegnamento della
Filologia slava a Pisa; fu quindi chiamato, nel 1961, a succedere a Giovanni
Maver sulla cattedra di Filologia slava dell’Università di Roma, dove tenne
anche l’insegnamento di Lingua e letteratura polacca. A partire dalla metà
degli anni Sessanta Picchio insegnò anche negli Stati Uniti, dapprima come
visiting professor alla Columbia University di New York e poi dal 1971
in qualità di professore di Letterature slave all’Università di Yale; qui egli
rimase fino alla metà degli anni ottanta, dando un forte impulso agli studi
slavistici americani, per concludere infine la propria carriera accademica di
nuovo in Italia, all’Orientale di Napoli. Nella sua vita di studioso Picchio ha
così attraversato gran parte della slavistica del Novecento, partecipando da
protagonista ai tanti cambiamenti che, anche dal rispetto culturale e politico,
gli studi incentrati sul mondo slavo hanno conosciuto tra la fine del fascismo
e la Seconda guerra mondiale, tra gli anni della guerra fredda e la caduta del
Muro di Berlino e la riconquistata libertà dei paesi slavi.
Dotato di una prodigiosa cultura generale che sembrava non conoscere
confini, Picchio dominava l’intero panorama delle lingue e letterature slave,
con alcune predilezioni, come per es. la letteratura polacca e quella bulgara,
oltre a quella russa, ma senza alcuna preclusione. Dalle fonti cirillometodiane
del IX secolo a tutta la successiva produzione slava ecclesiastica, dallo
Slovo di Igor’ a Puškin, Gogol’, Čechov e Mandel’štam, da Kochanowski
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a Mickiewicz, da Eutimio di Tărnovo a Paisij Chilendarski, per non dire
dei tanti temi slavo-romanzi da lui approfonditi nel corso degli anni, sono
innumerevoli gli autori e i testi sui quali Picchio ha fermato la sua attenzione,
sempre indicando originali prospettive di ricerca, sempre superando idee
ricevute e steccati ideologici con uno slancio e un vigore intellettuale che
lo ha contraddistinto fino a quando la malattia che lo aveva colpito negli
ultimi anni gli ha permesso di lavorare. Non meno importanti i suoi lavori di
sintesi, esemplari per nitidezza di disegno e profondità storica, sulla ‘Slavia
ortodossa’ e la ‘Slavia romana’, sull’insieme della tradizione linguistica e
letteraria slava ecclesiastica o sulla questione della lingua nel mondo slavo.
Per dare un’idea dell’irradiazione dei suoi lavori, ricorderemo che nel corso
degli ultimi vent’anni sono uscite in vari paesi – Italia Bulgaria Polonia
Russia – corpose raccolte di suoi studi (e un’analoga silloge è in preparazione
in America, mentre una prima raccolta in francese, Études littéraires slavoromanes, era stata pubblicata a Firenze già nel 1978); e ricorderemo che
la sua Storia della letteratura russa antica, uscita per la prima volta nel
1959 e sulla quale si sono formate intere generazioni di studenti italiani,
dopo essere stata tradotta in spagnolo già nel 1972, qualche anno fa è stata
tradotta anche in Russia, ma – per un destino imprevedibile che molto lo
aveva divertito – non una, bensì due volte, da due diversi traduttori. Picchio
era inoltre membro di varie accademie, delle Accademie delle Scienze di
Russia, Polonia e Bulgaria così come della Medieval Academy of America;
e in suo onore sono state pubblicate nel corso degli anni ben tre miscellanee
di studi, uscite rispettivamente a Roma nel 1986, a Napoli nel 2003, e a New
Haven nel 2008.
Grazie a una produzione scientifica tanto vasta quanto varia, Riccardo
Picchio ha dato un apporto ingente e multiforme al progresso delle
conoscenze in ambito slavistico. Anzitutto, come e più di altri slavisti italiani
della sua generazione, egli ha infatti contribuito in maniera determinante a
diffondere in Italia una più meditata conoscenza della civiltà slava, in questo
continuando l’opera dei suoi maestri, Maver primo fra tutti (e anzi, accertare
quanto vi sia di maveriano nell’opera di Picchio costituisce, se non erro,
uno studio tutto ancora da impostare). Uno dei tratti salienti della sua figura
di studioso va senza dubbio individuato nella sua capacità di abbracciare
il mondo slavo nella sua totalità, una capacità che è già evidente fin dagli
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incunaboli della sua bibliografia: chiunque rilegga oggi per es. il suo La crisi
di sviluppo dell’intellighenzia slava, pubblicato quando l’autore non aveva
ancora compiuto trent’anni, non può che restare ammirato dalla chiarezza
e dalla sicurezza con le quali l’autore vi delinea la storia dell’intellighenzia
in Polonia e in Russia, e poi nel resto del mondo slavo, avendo al tempo
stesso sempre ben presente lo sfondo storico europeo. Con che tocchiamo
con mano un altro elemento caratteristico del suo essere slavista, vale
a dire la capacità di inserire le proprie ricerche slavistiche, tanto quelle
puntuali quanto quelle di maggior respiro, nel più ampio contesto della
storia linguistica e letteraria, e in genere culturale, europea, dalle sue radici
classiche e cristiane fino all'epoca contemporanea. Questi due tratti, del tutto
naturalmente e si vorrebbe dire spontaneamente, conferiscono a molti dei
suoi lavori, in modo ora più scoperto (si pensi per es. alle sue Guidelines
for a Comparative Study of the Language Question among the Slavs), ora
più nascosto, un’impronta comparatistica che ne accresce l’interesse e il
valore scientifico; e consentono a Picchio, questi due tratti, di adottare
ben spesso una prospettiva dichiaratamente sovranazionale, tanto più utile
e necessaria in un campo di studi che non sembra aver del tutto superato
ottiche nazionali, ove non nazionalistiche, in ultima analisi di ascendenza
romantica che, soprattutto per l’età medievale e premoderna, non hanno
giovato (e non giovano) a una corretta soluzione di molti dei problemi
affrontati. Di una tale prospettiva sovranazionale hanno beneficiato in
particolar modo la sua citata Storia della letteratura russa antica, e a
maggior ragione, essendo lo slavo ecclesiastico in fin dei conti una lingua
‘senza popolo’, i suoi studi sulla tradizione linguistica e letteraria slava
ecclesiastica. Picchio ha infatti cercato di comprendere la civiltà letteraria
slava ecclesiastica sì nella cornice della storia letteraria europea, ma iuxta
propria principia, indagandone per es. le opere più significative alla ricerca
dei procedimenti formali caratteristici di quella tradizione e puntando
la propria attenzione in particolare sulle strutture isocoliche, sulle chiavi
tematiche bibliche, e in generale sul significato spirituale di quelle opere.
Soprattutto le sue ricerche sulle strutture isocoliche – che hanno lasciato
una traccia anche in una sua raccolta di poesie, I segni di Dedalo, risalente
al 2007 – hanno dato vita a un intenso dibattito critico, non privo in alcuni
casi di aspre punte polemiche; non può tuttavia esservi alcun dubbio che
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le proposte interpretative di Picchio hanno contribuito a (ri)dare dignità
letteraria a una tradizione che era stata spesso in passato analizzata piuttosto
da un punto di vista eminentemente linguistico oppure contenutistico. Il
nome di Picchio resta poi indissolubilmente legato a nozioni come quelle
di ‘Slavia ortodossa’ e di ‘Slavia romana’, nozioni sulle quali egli aveva
iniziato a ragionare fin dai tardi anni Cinquanta e sulle quali è tornato spesso
e volentieri nei decenni successivi, dialogando con i vari studiosi, italiani
e non (in Croazia soprattutto Eduard HERCIGONJA, il quale ne parla per
es. nel suo Srednjovjekovna književnost, Zagreb 1975, passim; e si noti
che nel medesimo volume vengono discusse anche le strutture isocoliche),
che a mano a mano erano intervenuti nel dibattito da lui stesso innescato,
e cercando di mettere sempre meglio a fuoco la propria visione della
storia culturale degli Slavi, in particolare durante il loro lungo Medioevo.
E se è vero, com’è vero, che Riccardo Picchio è stato un filologo slavo
nell’accezione più ampia e profonda del termine, è altrettanto indubitabile
che in lui abitava anche uno storico, e direi uno storico di prim’ordine: lo
dimostrano anzitutto le imprese di storiografia letteraria, individuali, come
la menzionata Storia della letteratura russa antica, o collettive, quali la
Storia della civiltà letteraria russa, curata insieme a Michele Colucci, e
poi una fatica storica tout court quale L’Europa orientale dal Rinascimento
all’età illuministica, uscita nel 1970, ma anche altri suoi studi piuttosto di
storia delle idee, come per es. la sua Genesi ed evoluzione del pensiero di
A. Mickiewicz, pubblicato nel 1956 e che ha le dimensioni di una piccola
monografia, o le sue riflessioni sulla storia della slavistica italiana (si vedano
per es. i suoi Quaranta anni di slavistica italiana nell’opera di E. Lo Gatto
e G. Maver, che è del 1962, e La slavistica italiana negli anni dell’Europa
bipartita, del 1994), e, last not least, le salde coordinate storiche che
sottendono tutti i suoi lavori.
Al di là della sua ricchissima bibliografia, comprendente anche un
numero assai elevato di recensioni su argomenti quanto mai eterogenei e che
testimoniano anch’esse della concezione dialettica e dialogica della Filologia
slava come da lui intesa e praticata, Riccardo Picchio ha influito sugli studi
slavistici anche per mezzo della sua intensa e fruttuosa collaborazione con
molte istituzioni, nazionali e internazionali, e del fitto e vivace scambio di
idee con un gran numero di studiosi; uno scambio di idee e una collaborazione
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che in àmbito croato hanno riguardato anzitutto lo Staroslavenski institut, e
in particolare Ivanka Petrović. Questa propensione al lavoro di gruppo si è
riflessa tra l’altro in ambiziosi progetti editoriali come per es. la creazione
di collane quali gli »Studia Historica et Philologica« o »Renovatio«, una
collana nata grazie a un accordo fra l’Orientale di Napoli e lo Harvard
Ukrainian Institute, e nella sua partecipazione all’attività redazionale di
varie riviste, da »Ricerche slavistiche« agli »Annali dell’Istituto Orientale
di Napoli. Slavistica«, questi ultimi da lui rifondati al suo ritorno in Italia, e
a »Russica Romana«. Non meno importante è stata la sua presenza a molti
dei principali congressi slavistici internazionali che ai tempi della ‘cortina di
ferro’ sono stati spesso un’occasione di incontro pressoché unica fra studiosi
slavi e non, così come anche la sua attività di organizzatore di convegni:
ricorderò qui, anche perché caddero in una fase storica particolarmente
delicata, e decisiva per gli studi slavistici, il primo Congresso internazionale
di studi ucraini, che si svolse a Ercolano nel 1989, e il primo Congresso degli
slavisti italiani, tenutosi fra Napoli e Seiano di Vico Equense due anni dopo.
Lo studio sistematico dell’insieme della sua poderosa opera permetterà in
futuro di comprendere meglio il debito da lui contratto con altri studiosi, a
cominciare dai suoi maestri, e soprattutto quanto gli dobbiamo noi oggi –
si ricordi che nel suo mirabile profilo bio-bibliografico di venticinque anni
fa Harvey Goldblatt aveva suddiviso la sua produzione scientifica in ben
quattordici sezioni –, ma non è certo un’esagerazione affermare fin d’ora
che Riccardo Picchio ha segnato in profondità gli studi slavistici a livello
anche europeo e mondiale, e che egli va dunque annoverato in assoluto fra i
maggiori studiosi di cose slave del secondo Novecento.
Colpiva certo in lui la sua eccellenza e politropia di studioso e
intellettuale, ma non meno spiccata è stata la sua unicità di maestro. La
sua passione genuina per il mondo slavo, se da un lato gli ha permesso
di comprendere più a fondo molti suoi aspetti fondamentali, dall’altro ha
animato il suo mestiere di insegnante, contribuendo a farne un maestro, anzi,
il maestro ideale, capace di trasmettere non solo il suo sapere, ma anche e
soprattutto la sua curiosità e il suo entusiasmo, con una generosità senza
pari: com’è dimostrato dalla circostanza che in tutte le sedi universitarie
in cui ha lavorato Picchio ha attratto a sé schiere di studenti, e in ciascuna
di esse ha saputo formare dei giovani che in seguito dovevano dedicarsi
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anche loro agli studi slavistici, e diventare in non pochi casi suoi colleghi.
Nella moderna ‘repubblica delle lettere’ di cui l’umanista Picchio sentiva di
far parte c’era del resto spazio tanto per gli studiosi più illustri quanto per
gli studenti, anche quelli alle prime armi, i dottorandi e i giovani studiosi,
anche di altre scuole: con gli uni e gli altri Picchio era capace allo stesso
modo di dialogare, di studiare, e di divertirsi, sempre facendo leva sulla sua
innata ironia e spesso raccontando qualcuno dei mille aneddoti slavistici che
si erano depositati nella sua memoria e che egli sapeva raccontare con un
calore e un brio del tutto particolari: aneddoti che riguardavano di volta in
volta uno dei tanti studiosi da lui conosciuti da vicino come, per fare solo
qualche nome, Jakobson o Vaillant, Unbegaun o Lotman, Damiani o Maver;
aneddoti che vuoi per le sue capacità affabulatorie, vuoi per il suo acuto
senso storico svolgevano anche una preziosa funzione pedagogica ed erano
parte di una vera e propria storia della slavistica di tradizione orale. Si può
ben dire in conclusione che la Filologia slava è stata per Riccardo Picchio
una forma di conoscenza privilegiata; e che attraverso i suoi lavori scritti e il
suo magistero di stampo davvero socratico egli ha enormemente arricchito
anzitutto allievi e colleghi che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di
frequentarlo, e poi gli studi slavistici in tutta la loro ampiezza, anche ben
oltre i confini italiani.
GIORGIO ZIFFER
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