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Ricordo di Riccardo Picchio

2011

IN MEMORIAM Riccardo Picchio, uno dei maggiori slavisti in assoluto della seconda metà del Novecento, si è spento dopo una lunga malattia a New Haven nel Connecticut il 13 agosto 2011 poco prima di compiere 88 anni. Era nato ad Alessandria in Piemonte 7 settembre 1923, dove crebbe in uno studioso ambiente familiare che certo dovette contribuire non poco a destare il suo precoce interesse per gli studi linguistici e letterari. Il padre Carlo, avvocato, ma in realtà »letterato nel midollo«, un bel giorno del 1941 addirittura abbandonò la professione e, insieme, la città natale, per trasferirsi con la famiglia a Roma e dare fi nalmente libero sfogo alla sua inguaribile passione per la letteratura, soprattutto traducendo un gran numero di opere da molte lingue diverse, in primo luogo germaniche, e svolgendo un'intensa attività giornalistica. 1 Se al momento di iscriversi nel 1941 alla Facoltà di Lettere 1 Un suo vivido ritratto, delineato da Luciana Stegagno Picchio, sorella maggiore di Riccardo ed eminente fi lologa nell'ambito della letteratura portoghese e brasiliana, scomparsa qualche anno fa, si legge in appendice a C. PICCHIO, Il pretore, Roma, Biblioteca del Vascello, 1994.

View metadata, citation and similar papers at core.ac.uk IN MEMORIAM brought to you by SLOVO 62 (2012) IN MEMORIAM RICORDO DI RICCARDO PICCHIO (Alessandria, 7 settembre 1923 – New Haven, Connecticut, 13 agosto 2011) Riccardo Picchio, uno dei maggiori slavisti in assoluto della seconda metà del Novecento, si è spento dopo una lunga malattia a New Haven nel Connecticut il 13 agosto 2011 poco prima di compiere 88 anni. Era nato ad Alessandria in Piemonte 7 settembre 1923, dove crebbe in uno studioso ambiente familiare che certo dovette contribuire non poco a destare il suo precoce interesse per gli studi linguistici e letterari. Il padre Carlo, avvocato, ma in realtà »letterato nel midollo«, un bel giorno del 1941 addirittura abbandonò la professione e, insieme, la città natale, per trasferirsi con la famiglia a Roma e dare finalmente libero sfogo alla sua inguaribile passione per la letteratura, soprattutto traducendo un gran numero di opere da molte lingue diverse, in primo luogo germaniche, e svolgendo un’intensa attività giornalistica.1 Se al momento di iscriversi nel 1941 alla Facoltà di Lettere 1 Un suo vivido ritratto, delineato da Luciana Stegagno Picchio, sorella maggiore di Riccardo ed eminente filologa nell’ambito della letteratura portoghese e brasiliana, scomparsa qualche anno fa, si legge in appendice a C. PICCHIO, Il pretore, Roma, Biblioteca del Vascello, 1994. 267 CORE IN MEMORIAM SLOVO 62 (2012) e Filosofia della ‘Sapienza’ aveva pensato di studiare Filologia germanica, il giovane Picchio ben presto si convertì tuttavia agli studi slavistici, da lui coltivati sotto la guida di maestri quali Giovanni Maver, Ettore Lo Gatto ed Enrico Damiani; e con quest’ultimo si laureò nel 1946, discutendo una tesi sul poeta bulgaro Penčo Slavejkov. Prima di consacrarsi interamente alla slavistica, Picchio avevo tuttavia fatto in tempo a intraprendere una promettente carriera giornalistica all’»Avanti« (fu tra l’altro fra i primi giornalisti a visitare il campo di sterminio di Auschwitz). Dopo essere stato lettore d’italiano a Varsavia fra il 1947 e il 1949, e aver trascorso a Parigi nei due anni successivi un lungo periodo di studio che molto contò nella sua formazione, una volta rientrato in Italia Picchio continuò ad approfondire la propria preparazione slavistica sotto la guida principalmente di Giovanni Maver, al tempo stesso impegnandosi in una notevole attività pubblicistica e editoriale. Conseguita la libera docenza, dal 1954 iniziò a insegnare Letteratura russa all’università di Firenze, cui si aggiunse nel 1959 l’insegnamento della Filologia slava a Pisa; fu quindi chiamato, nel 1961, a succedere a Giovanni Maver sulla cattedra di Filologia slava dell’Università di Roma, dove tenne anche l’insegnamento di Lingua e letteratura polacca. A partire dalla metà degli anni Sessanta Picchio insegnò anche negli Stati Uniti, dapprima come visiting professor alla Columbia University di New York e poi dal 1971 in qualità di professore di Letterature slave all’Università di Yale; qui egli rimase fino alla metà degli anni ottanta, dando un forte impulso agli studi slavistici americani, per concludere infine la propria carriera accademica di nuovo in Italia, all’Orientale di Napoli. Nella sua vita di studioso Picchio ha così attraversato gran parte della slavistica del Novecento, partecipando da protagonista ai tanti cambiamenti che, anche dal rispetto culturale e politico, gli studi incentrati sul mondo slavo hanno conosciuto tra la fine del fascismo e la Seconda guerra mondiale, tra gli anni della guerra fredda e la caduta del Muro di Berlino e la riconquistata libertà dei paesi slavi. Dotato di una prodigiosa cultura generale che sembrava non conoscere confini, Picchio dominava l’intero panorama delle lingue e letterature slave, con alcune predilezioni, come per es. la letteratura polacca e quella bulgara, oltre a quella russa, ma senza alcuna preclusione. Dalle fonti cirillometodiane del IX secolo a tutta la successiva produzione slava ecclesiastica, dallo Slovo di Igor’ a Puškin, Gogol’, Čechov e Mandel’štam, da Kochanowski 268 IN MEMORIAM SLOVO 62 (2012) a Mickiewicz, da Eutimio di Tărnovo a Paisij Chilendarski, per non dire dei tanti temi slavo-romanzi da lui approfonditi nel corso degli anni, sono innumerevoli gli autori e i testi sui quali Picchio ha fermato la sua attenzione, sempre indicando originali prospettive di ricerca, sempre superando idee ricevute e steccati ideologici con uno slancio e un vigore intellettuale che lo ha contraddistinto fino a quando la malattia che lo aveva colpito negli ultimi anni gli ha permesso di lavorare. Non meno importanti i suoi lavori di sintesi, esemplari per nitidezza di disegno e profondità storica, sulla ‘Slavia ortodossa’ e la ‘Slavia romana’, sull’insieme della tradizione linguistica e letteraria slava ecclesiastica o sulla questione della lingua nel mondo slavo. Per dare un’idea dell’irradiazione dei suoi lavori, ricorderemo che nel corso degli ultimi vent’anni sono uscite in vari paesi – Italia Bulgaria Polonia Russia – corpose raccolte di suoi studi (e un’analoga silloge è in preparazione in America, mentre una prima raccolta in francese, Études littéraires slavoromanes, era stata pubblicata a Firenze già nel 1978); e ricorderemo che la sua Storia della letteratura russa antica, uscita per la prima volta nel 1959 e sulla quale si sono formate intere generazioni di studenti italiani, dopo essere stata tradotta in spagnolo già nel 1972, qualche anno fa è stata tradotta anche in Russia, ma – per un destino imprevedibile che molto lo aveva divertito – non una, bensì due volte, da due diversi traduttori. Picchio era inoltre membro di varie accademie, delle Accademie delle Scienze di Russia, Polonia e Bulgaria così come della Medieval Academy of America; e in suo onore sono state pubblicate nel corso degli anni ben tre miscellanee di studi, uscite rispettivamente a Roma nel 1986, a Napoli nel 2003, e a New Haven nel 2008. Grazie a una produzione scientifica tanto vasta quanto varia, Riccardo Picchio ha dato un apporto ingente e multiforme al progresso delle conoscenze in ambito slavistico. Anzitutto, come e più di altri slavisti italiani della sua generazione, egli ha infatti contribuito in maniera determinante a diffondere in Italia una più meditata conoscenza della civiltà slava, in questo continuando l’opera dei suoi maestri, Maver primo fra tutti (e anzi, accertare quanto vi sia di maveriano nell’opera di Picchio costituisce, se non erro, uno studio tutto ancora da impostare). Uno dei tratti salienti della sua figura di studioso va senza dubbio individuato nella sua capacità di abbracciare il mondo slavo nella sua totalità, una capacità che è già evidente fin dagli 269 IN MEMORIAM SLOVO 62 (2012) incunaboli della sua bibliografia: chiunque rilegga oggi per es. il suo La crisi di sviluppo dell’intellighenzia slava, pubblicato quando l’autore non aveva ancora compiuto trent’anni, non può che restare ammirato dalla chiarezza e dalla sicurezza con le quali l’autore vi delinea la storia dell’intellighenzia in Polonia e in Russia, e poi nel resto del mondo slavo, avendo al tempo stesso sempre ben presente lo sfondo storico europeo. Con che tocchiamo con mano un altro elemento caratteristico del suo essere slavista, vale a dire la capacità di inserire le proprie ricerche slavistiche, tanto quelle puntuali quanto quelle di maggior respiro, nel più ampio contesto della storia linguistica e letteraria, e in genere culturale, europea, dalle sue radici classiche e cristiane fino all'epoca contemporanea. Questi due tratti, del tutto naturalmente e si vorrebbe dire spontaneamente, conferiscono a molti dei suoi lavori, in modo ora più scoperto (si pensi per es. alle sue Guidelines for a Comparative Study of the Language Question among the Slavs), ora più nascosto, un’impronta comparatistica che ne accresce l’interesse e il valore scientifico; e consentono a Picchio, questi due tratti, di adottare ben spesso una prospettiva dichiaratamente sovranazionale, tanto più utile e necessaria in un campo di studi che non sembra aver del tutto superato ottiche nazionali, ove non nazionalistiche, in ultima analisi di ascendenza romantica che, soprattutto per l’età medievale e premoderna, non hanno giovato (e non giovano) a una corretta soluzione di molti dei problemi affrontati. Di una tale prospettiva sovranazionale hanno beneficiato in particolar modo la sua citata Storia della letteratura russa antica, e a maggior ragione, essendo lo slavo ecclesiastico in fin dei conti una lingua ‘senza popolo’, i suoi studi sulla tradizione linguistica e letteraria slava ecclesiastica. Picchio ha infatti cercato di comprendere la civiltà letteraria slava ecclesiastica sì nella cornice della storia letteraria europea, ma iuxta propria principia, indagandone per es. le opere più significative alla ricerca dei procedimenti formali caratteristici di quella tradizione e puntando la propria attenzione in particolare sulle strutture isocoliche, sulle chiavi tematiche bibliche, e in generale sul significato spirituale di quelle opere. Soprattutto le sue ricerche sulle strutture isocoliche – che hanno lasciato una traccia anche in una sua raccolta di poesie, I segni di Dedalo, risalente al 2007 – hanno dato vita a un intenso dibattito critico, non privo in alcuni casi di aspre punte polemiche; non può tuttavia esservi alcun dubbio che 270 IN MEMORIAM SLOVO 62 (2012) le proposte interpretative di Picchio hanno contribuito a (ri)dare dignità letteraria a una tradizione che era stata spesso in passato analizzata piuttosto da un punto di vista eminentemente linguistico oppure contenutistico. Il nome di Picchio resta poi indissolubilmente legato a nozioni come quelle di ‘Slavia ortodossa’ e di ‘Slavia romana’, nozioni sulle quali egli aveva iniziato a ragionare fin dai tardi anni Cinquanta e sulle quali è tornato spesso e volentieri nei decenni successivi, dialogando con i vari studiosi, italiani e non (in Croazia soprattutto Eduard HERCIGONJA, il quale ne parla per es. nel suo Srednjovjekovna književnost, Zagreb 1975, passim; e si noti che nel medesimo volume vengono discusse anche le strutture isocoliche), che a mano a mano erano intervenuti nel dibattito da lui stesso innescato, e cercando di mettere sempre meglio a fuoco la propria visione della storia culturale degli Slavi, in particolare durante il loro lungo Medioevo. E se è vero, com’è vero, che Riccardo Picchio è stato un filologo slavo nell’accezione più ampia e profonda del termine, è altrettanto indubitabile che in lui abitava anche uno storico, e direi uno storico di prim’ordine: lo dimostrano anzitutto le imprese di storiografia letteraria, individuali, come la menzionata Storia della letteratura russa antica, o collettive, quali la Storia della civiltà letteraria russa, curata insieme a Michele Colucci, e poi una fatica storica tout court quale L’Europa orientale dal Rinascimento all’età illuministica, uscita nel 1970, ma anche altri suoi studi piuttosto di storia delle idee, come per es. la sua Genesi ed evoluzione del pensiero di A. Mickiewicz, pubblicato nel 1956 e che ha le dimensioni di una piccola monografia, o le sue riflessioni sulla storia della slavistica italiana (si vedano per es. i suoi Quaranta anni di slavistica italiana nell’opera di E. Lo Gatto e G. Maver, che è del 1962, e La slavistica italiana negli anni dell’Europa bipartita, del 1994), e, last not least, le salde coordinate storiche che sottendono tutti i suoi lavori. Al di là della sua ricchissima bibliografia, comprendente anche un numero assai elevato di recensioni su argomenti quanto mai eterogenei e che testimoniano anch’esse della concezione dialettica e dialogica della Filologia slava come da lui intesa e praticata, Riccardo Picchio ha influito sugli studi slavistici anche per mezzo della sua intensa e fruttuosa collaborazione con molte istituzioni, nazionali e internazionali, e del fitto e vivace scambio di idee con un gran numero di studiosi; uno scambio di idee e una collaborazione 271 IN MEMORIAM SLOVO 62 (2012) che in àmbito croato hanno riguardato anzitutto lo Staroslavenski institut, e in particolare Ivanka Petrović. Questa propensione al lavoro di gruppo si è riflessa tra l’altro in ambiziosi progetti editoriali come per es. la creazione di collane quali gli »Studia Historica et Philologica« o »Renovatio«, una collana nata grazie a un accordo fra l’Orientale di Napoli e lo Harvard Ukrainian Institute, e nella sua partecipazione all’attività redazionale di varie riviste, da »Ricerche slavistiche« agli »Annali dell’Istituto Orientale di Napoli. Slavistica«, questi ultimi da lui rifondati al suo ritorno in Italia, e a »Russica Romana«. Non meno importante è stata la sua presenza a molti dei principali congressi slavistici internazionali che ai tempi della ‘cortina di ferro’ sono stati spesso un’occasione di incontro pressoché unica fra studiosi slavi e non, così come anche la sua attività di organizzatore di convegni: ricorderò qui, anche perché caddero in una fase storica particolarmente delicata, e decisiva per gli studi slavistici, il primo Congresso internazionale di studi ucraini, che si svolse a Ercolano nel 1989, e il primo Congresso degli slavisti italiani, tenutosi fra Napoli e Seiano di Vico Equense due anni dopo. Lo studio sistematico dell’insieme della sua poderosa opera permetterà in futuro di comprendere meglio il debito da lui contratto con altri studiosi, a cominciare dai suoi maestri, e soprattutto quanto gli dobbiamo noi oggi – si ricordi che nel suo mirabile profilo bio-bibliografico di venticinque anni fa Harvey Goldblatt aveva suddiviso la sua produzione scientifica in ben quattordici sezioni –, ma non è certo un’esagerazione affermare fin d’ora che Riccardo Picchio ha segnato in profondità gli studi slavistici a livello anche europeo e mondiale, e che egli va dunque annoverato in assoluto fra i maggiori studiosi di cose slave del secondo Novecento. Colpiva certo in lui la sua eccellenza e politropia di studioso e intellettuale, ma non meno spiccata è stata la sua unicità di maestro. La sua passione genuina per il mondo slavo, se da un lato gli ha permesso di comprendere più a fondo molti suoi aspetti fondamentali, dall’altro ha animato il suo mestiere di insegnante, contribuendo a farne un maestro, anzi, il maestro ideale, capace di trasmettere non solo il suo sapere, ma anche e soprattutto la sua curiosità e il suo entusiasmo, con una generosità senza pari: com’è dimostrato dalla circostanza che in tutte le sedi universitarie in cui ha lavorato Picchio ha attratto a sé schiere di studenti, e in ciascuna di esse ha saputo formare dei giovani che in seguito dovevano dedicarsi 272 IN MEMORIAM SLOVO 62 (2012) anche loro agli studi slavistici, e diventare in non pochi casi suoi colleghi. Nella moderna ‘repubblica delle lettere’ di cui l’umanista Picchio sentiva di far parte c’era del resto spazio tanto per gli studiosi più illustri quanto per gli studenti, anche quelli alle prime armi, i dottorandi e i giovani studiosi, anche di altre scuole: con gli uni e gli altri Picchio era capace allo stesso modo di dialogare, di studiare, e di divertirsi, sempre facendo leva sulla sua innata ironia e spesso raccontando qualcuno dei mille aneddoti slavistici che si erano depositati nella sua memoria e che egli sapeva raccontare con un calore e un brio del tutto particolari: aneddoti che riguardavano di volta in volta uno dei tanti studiosi da lui conosciuti da vicino come, per fare solo qualche nome, Jakobson o Vaillant, Unbegaun o Lotman, Damiani o Maver; aneddoti che vuoi per le sue capacità affabulatorie, vuoi per il suo acuto senso storico svolgevano anche una preziosa funzione pedagogica ed erano parte di una vera e propria storia della slavistica di tradizione orale. Si può ben dire in conclusione che la Filologia slava è stata per Riccardo Picchio una forma di conoscenza privilegiata; e che attraverso i suoi lavori scritti e il suo magistero di stampo davvero socratico egli ha enormemente arricchito anzitutto allievi e colleghi che hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di frequentarlo, e poi gli studi slavistici in tutta la loro ampiezza, anche ben oltre i confini italiani. GIORGIO ZIFFER 273