DEVIANZA UNO
A prima vista sembrerebbe che, per parlare di devianza, possa bastare l’individuazione di due elementi: un comportamento (od anche un singolo atto) considerato come deviante ed un soggetto (od una serie di soggetti) che danno vita a tale comportamento od a tali atti singoli.
Ci accorgiamo però subito che non è così : per poter parlare di devianza occorre aggiungere un terzo elemento senza il quale essa non potrebbe esistere. Questo terzo elemento é costituito dal “contesto” che é l’unico a poter giudicare se l’atto che viene preso in considerazione possa essere considerato deviante oppure no.
Facciamo un esempio :
siamo nel 1700 , una donna, regolarmente sposata, è stata stuprata da un estraneo ed é
rimasta incinta a causa di questo avvenimento. Alla donna non é possibile portare a
compimento la gravidanza perchè verrebbe immediatamente allontanata dal marito che si
riterrebbe comunque disonorato, anche se manca la colpevolezza della moglie. Lei si rivolge quindi ad un’altra donna che è conosciuta per essere capace di procurare l’aborto e, in
conseguenza di questa sua capacità, é definita come “strega” .
Quest’ultima, se scoperta, verrà messa di fronte alle proprie responsabilità e dovrà affrontare un giudizio severissimo che non verterà tanto sull’ atto da lei compiuto ma, molto di più sulla sua caratteristica di essere “strega” e perciò soggetto gravemente deviante rispetto alla moralità comunemente accettata e pertanto pienamente meritevole della condanna.
Riproponiamo ora lo stesso avvenimento collocandolo però ai nostri giorni e vediamo cosa
cambia : potrà probabilmente cambiare la motivazione per cui la donna violentata decida di non portare a termine la gravidanza, potranno cambiare altri elementi di dettaglio della vicenda ma, ciò che sicuramente cambierà sarà il giudizio della società nei confronti di chi aiuterà la donna ad interrompere la propria gravidanza, che non verrà visto come soggetto deviante ma, probabilmente, come soggetto professionalizzato ed addetto dalla società stessa allo svolgimento di tale compito.
Due situazioni analoghe, inserite però in contesti del tutto diversi, danno quindi origine in un
caso ad un giudizio di devianza, nell’altro no.
Altri possibili esempi possono essere la poligamia, accettata in alcuni contesti ed in altri no ed il suicidio ammesso in alcune culture ed in alcune epoche ma non in tutte.
L’esempio però forse più evidente è quello che riguarda i comportamenti sessuali. Non credo sia possibile negare come , in questo periodo, risulti estremamente difficile definire quale possa essere un comportamento sessuale deviato, vista la continua e molto rapida evoluzione dei costumi e della tolleranza sessuale , particolarmente avvertibile in alcune zone del nostro pianeta.
Possiamo quindi tranquillamente concludere che gli elementi costitutivi del fenomeno “devianza” possono essere considerati tre : il comportamento deviante, il soggetto che lo pone in essere ed il contesto in cui ciò avviene. Li esamineremo in seguito, uno per uno approfondendo il discorso sulle rispettive caratteristiche.
Abbiamo prima citato il caso del suicidio e questo ci porta immediatamente a parlare di Emile Durkheim che proprio sul suicidio ha portato avanti il suo studio forse più conosciuto.
Lo stesso Durkheim parlando della devianza in generale mette in luce quali possano essere gli scopi, da un punto di vista sociale, degli studi relativi a questo fenomeno. Il primo scopo è quello di distinguere la popolazione tra coloro che osservano le norme e gli obblighi sociali e coloro che invece non lo fanno.
Questa individuazione permetterebbe il perseguimento del secondo scopo che è quello di
permettere un’azione di “pressione” nei confronti dei non osservanti. Il terzo scopo infine ha un carattere adattivo, permette cioè che almeno una parte dei comportamenti ora considerati devianti, possa essere successivamente accettata dalla società rientrando quindi nel novero dei comportamenti ammessi e permettendo in tal modo l’aggiornamento e l’evoluzione del contesto in cui ci si trova e divenendo quindi fattore di cambiamento della società stessa.
Vorrei sottolineare l’importanza che Durkheim assegnava al contesto sociale quando affermava che” non é l’azione deviante ad essere condannata dal contesto sociale, è la condanna del contesto sociale a definire l’azione deviante”.
Durkheim va inoltre ricordato per il concetto di “anomia” che non significa assenza di leggi ma insufficienza di leggi oppure forza insufficiente delle leggi esistenti.
Questo concetto verrà utilizzato da molti studiosi di sociologia e noi lo incontreremo di nuovo quando parleremo della Scuola di Chicago e dei suoi studi riguardo il contesto sociale.
L’anomia si verificherebbe quando la società attraversa dei momenti di disgregazione sociale in cui gli individui non si sentono sufficientemente tutelati dalle norme esistenti e questo fa venire a mancare la coesione sociale ed il potere della società di disciplinare le passioni del singolo assegnando un limite ai suoi desideri ed alle sue aspirazioni.
In questo punto il pensiero di Durkheim si salda molto con quello di un sociologo a lui molto
successivo Robert Merton che cerca a sua volta di spiegare l’origine della devianza sociale
attraverso la tensione che esisterebbe tra le mete che la società assegna ai suoi membri, ed i
mezzi messi a disposizione di ogni singolo individuo per il loro conseguimento. Le mete
risulteranno simili per tutti grazie alla diffusione ed alla capillarizzazione degli strumenti culturali che la società ha a disposizione. I mezzi messi a disposizione saranno invece molto diversificati in base alla stratificazione sociale esistente.
L’individuo che non riuscirà quindi a perseguire le mete assegnate perché privo dei mezzi
normalmente previsti per tale scopo, reagirà o perseguendo le stesse mete con altri mezzi
(devianti) oppure rifiutando le mete stesse e prendendo le distanze dalla società in cui vive.
Questa teoria faceva evidentemente riferimento alle ricadute del così detto “sogno americano” sui membri della società che non riuscivano a pervenire ad un apprezzabile grado di successo.
Altri studiosi cercheranno di spiegare il sorgere della devianza facendo invece riferimento o al soggetto deviante oppure al contesto in cui ci si trova, li incontreremo in seguito.
La prossima volta parleremo invece dell’azione deviante.
DEVIANZA DUE
La volta scorsa abbiamo avuto modo di dire che il giudizio di devianza rispetto ad
un determinato comportamento varia seconda del contesto in cui si verifica.
Ma adesso ci dobbiamo domandare se sia possibile individuare dei
comportamenti che possano essere universalmente considerati devianti, a
prescindere dal tempo e dal luogo in cui vengono messi in essere.
La risposta é probabilmente “ni”.
Il sociologo e criminologo canadese Maurice Cusson giunse, ad esempio, ad
individuare quattro comportamenti che vengono nella quasi totalità dei casi
considerati come devianti:
l’incesto, lo stupro (attenzione però: non ogni tipo di stupro, ma soltanto quello di
una donna sposata), l’omicidio ( ma anche qui attenzione: non qualsiasi omicidio
ma soltanto quello che colpisce un appartenente al proprio gruppo) ed il furto.
Ma anche riguardo questo ristretto gruppo potremmo trovare delle eccezioni
perché in alcuni contesti culturali troviamo dei giudizi diversi. Ci sono tribù che
potrebbero non considerare deviante l’incesto, potrebbero considerare lo stupro
non deviante od almeno solo parzialmente deviante e così anche per gli altri due.
Dobbiamo, in altri termini, assegnarci all’ idea dell’esistenza del relativismo
culturale che impedisce l’individuazione di assoluti culturali capaci di attraversare
le regioni e le epoche.
Avendo parlato poco fa di un criminologo chiariamo subito il rapporto che esiste
tra devianza e criminalità: quest’ ultima é un sotto insieme della categoria più
generale della devianza ed individua quei comportamenti che disubbidiscono a
norme dell’ordinamento giuridico recanti anche sanzioni a carico dei trasgressori.
Cerchiamo ora di individuare alcune caratteristiche dell’azione deviante, iniziando
dalla volontarietà.
Lo stesso Cusson distingue 4 tipi di atti devianti in base al grado di volontarietà
che gli attori hanno nel commetterli.
Secondo Cusson possiamo distinguere tra:
-atti di devianza subculturale, quando si sforzano di promuovere delle norme dei
valori sostitutivi (ad esempio i terroristi, oppure appartenenti a sette religiose).In
alcuni casi possiamo parlare di subculture che diventano controculture, quindi
individui che si contrappongono alla cultura dominante in modo volontario ma
anche esplicito.
-atti di trasgressione, violano deliberatamente una norma di cui pure
riconoscono la validità, non agiscono quindi per principio ma per opportunismo,
oppure lasciandosi trasportare dalla passione o dal desiderio. All'interno di questa
categoria Cusson inserisce la maggior parte dei delinquenti
-atti derivati da disturbi di comportamento, sono atti di cui non si può dare per scontata la volontarietà come avviene nel caso degli alcolisti dei tossicomani e dei malati psichici.
-atti compiuti da handicappati. In questi casi il grado di volontarietà è praticamente assente e quindi costituiscono la categoria limite di questa classificazione.
Ulteriore caratteristica che deve avere il comportamento deviante è quella di
essere un comportamento sociale o, come avrebbe detto Max Weber, un
comportamento che tiene conto anche degli altri.
La volta scorsa abbiamo infatti detto che il comportamento deviante può essere
messo in atto da un singolo individuo od anche da un gruppo di individui. Ma
anche nel primo caso occorre che abbia comunque un riferimento collettivo.
Facciamo un esempio : se io iniziassi da domani a camminare a piedi nudi per la
città, senza che nessuno facesse insieme a me la stessa cosa, questo potrebbe
essere considerato un comportamento deviante ? Sicuramente si, perché magari
non contrasterebbe con alcuna norma scritta ma andrebbe sicuramente a
scontrarsi con l’opinione comune che reputa normale comportarsi in modo
totalmente diverso. Ma tale devianza potrebbe avere un carattere di devianza
sociale che è quello che a noi interessa ? Altrettanto sicuramente no. Si tratta
infatti di un comportamento che non comporta alcuna conseguenza per nessuno
al di fuori di mè stesso, probabilmente neanche in termini di imitazione da parte di
qualcuno, oppure da parte mia nei confronti di qualcuno.
Non avrebbe quindi la caratteristica di fatto sociale, quella che appunto Max
Weber vede obbligatoriamente legata ad alcune condizioni od orientata ad alcuni
obiettivi.
Ed infatti weber distingue 4 tipi di azione :
-quella razionale rispetto allo scopo che punta a soddisfare le proprie aspettative,
-quella razionale rispetto a un valore che può provenire da credenze di vario
genere : etiche, religiose, estetiche. Chi effettuaquesto tipo di azioneé mosso dal
dovere, da un precetto religioso, da una causa che ritiene giusta, e non si
preoccupa delle conseguenze
-l’azione affettiva, determinata, appunto, da affetti e da stati attuali del sentire. Si tratta
di pure manifestazioni di ciò che si prova, variando dalla gioia alla gratitudine, oppure ad
esempio alla vendetta. Anche questo tipo di agire sociale, come quello razionale rispetto al
valore, ha senso per sé stesso, senza riferimento alle possibili conseguenze.
-l’azione tradizionale, compiuta in base ad abitudini acquisite, reazioni abitudinarie a
stimoli ricorrenti. Nell’agire tradizionale non ci si pongono domande sull’esistenza di
possibili alternative utili al raggiungimento dello stesso scopo o sul valore che si cerca di
promuovere
Si tratta comunque, è bene ricordarlo, di “idealtipi” di cui Max Weber si serve per trattare in
modo il più deterministico possibile i fenomeni sociali che intende studiare. Nella realtà
questi tipi non sono facilmente riscontrabili, sono invece molto più frequenti situazioni che
presentano contemporaneamente caratteristiche dell’uno e dell’altro di questi tipi o che si
situano a metà strada tra alcuni degli stessi.
Qualcuno potrebbe chiedersi, a questo punto, cosa possa entrarci la devianza con la
classificazione fatta da Max Weber dei tipi di azione sociale. Il fatto é che la devianza
rappresenta pienamente un tipo di azione sociale, con tutte le caratteristiche e le
classificazioni che di questa possono essere fatte.
Ce lo ricorda un sociologo che abbiamo incontrato la volta scorsa : Robert King Merton
quando, parlando delle possibili risposte date dall’individuo alle norme sociali, ne prevede 5
di cui una normale e ben 4 devianti:
-la prima sarà di conformità e prevederà l’accettazione delle norme, ed é l’unica considerata
normale,
-la prima risposta deviante punterà invece alla modifica delle norme ed avrà
quindi un carattere di innovazione,
-la seconda prevede un semplice adeguamento alle norme senza alcuna forma di interiorizzazione delle stesse ma soltanto in modo rituale,
- la terza modalità deviante sarà costituita dal rifiuto ad aderire alle norme e
-la quarta dall’aperta ribellione nei confronti delle stesse.
Tutte queste modalità di adattamento costituiscono azioni sociali in quanto comportano,
come detto, conseguenze per gli altri membri della società.
Bene, la prossima volta parleremo del soggetto deviante.
Prima però ritengo opportuno segnalare alcune fonti da cui poter ricavare dati sui fenomeni devianti nel nostro paese :
– L’ANDAMENTO GENERALE DELLA CRIMINALITÀ https://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/14/0900_rapporto_criminalita.pdf
Delitti denunciati dalle forze di polizia all'autorità giudiziaria
http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=dccv_delittips
Procedimenti definiti in Procura
https://www4.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-percorso-giudiziario/procedimenti-definiti-in-procura
DEVIANZA 3
Perchè alcune persone decidono di intraprendere una carriera criminale ed altre no e quale è l'origine della loro devianza ?
Nella seconda metà dell’ottocento un criminologo, Cesare Lombroso, ha cercato di dare una risposta a tale domanda proponendo una sua teoria su basi squisitamente biologiche.
Lui era infatti convinto che i criminali potessero essere identificati da tratti fisici specifici ad esempio la forma del cranio, i lineamenti del viso ,alcuni tratti somatici .
Tale teoria rimase però priva di solide basi scientifiche, nonostante il suo autore partisse addirittura da premesse darwiniane.
Egli considerava la morfologia del fisico, in particolare del viso, come la principale causa di criminalità. Il potenziale delinquente sarà dunque un essere umano che non è pienamente riuscito ad evolvere e che porta sulla sua faccia e sul suo corpo la testimonianza di tale insuccesso, apparendo più simile all’uomo primitivo rispetto alla media dei suoi concittadini.
Cesare Lombroso cercò di supportare tale teoria, studiando, nel gabinetto di medicina legale di Torino, i cadaveri di malati di mente, di criminali e di prostitute. Durante la seconda guerra di indipendenza ebbe anche la possibilità di poter studiare crani e cervelli dei soldati caduti in battaglia. In seguito portò avanti gli stessi studi sui deceduti dei manicomi di Pesaro e Pavia.
Le sue teorie riuscirono ad influenzare in un certo momento perfino psicologi come Freud e Jung,( ad esempio Sigmund Freud, analizzando la struttura pulsionale dell'individuo, affermava che la personalità si basa su stimoli biologici, innati, ereditari, soprattutto di natura sessuale. ) . Vennero però ben presto rigettate, per mancanza di riscontro , dalla gran parte della comunità scientifica che rimproverò a Lombroso, per quanto riguarda la parte finale della sua esistenza, di aver aderito anche a credenze nello spiritismo.
Storicamente il più antico trattato sulla fisiognomica è attribuito ad Aristotele e la disciplina ebbe particolare fortuna nel Medio Evo quando fu trattata da Avicenna, Alberto Magno, Duns Scoto e Tommaso d'Aquino.
Oggi invece l'Eciclopedia Britannica la considera senza appello una pseudoscienza .
Nei secoli XVIII e XIX la fisiognomica fu proposta come un mezzo per individuare le tendenze criminali, ma ogni suo sistema fu esaminato e successivamente scartato perchè fallace. Nel XX secolo la fisiognomica è ormai considerata esclusivamente come una realtà storica priva però di validità scientifica.
Queste teorie risultano quindi al giorno d’ oggi completamente abbandonate.
LA CAUSA GENETICA
IL CROMOSOMA CRIMINALE
SINDROME XYY
La sindrome XYY – conosciuta anche come sindrome di Jacobs o Sindrome del Supermascho – è una anomalia numerica del cromosoma Y che colpisce i maschi, che nascono con un cromosoma Y in più rispetto al normale.
In ogni cellula si trovano 23 coppie di cromosomi: ogni cellula dell’organismo, quindi, contiene 46 cromosomi.
I maschi con la sindrome XYY, invece, hanno due cromosomi Y e un cromosoma X, per un totale di 47 cromosomi.
Dalle ricerche effettuate sulla relazione tra caratteristiche genetiche innate e criminalità è emerso che coloro che possiedono una mutazione genetica relativa al cromosoma extra Y sono maggiormente predisposti a comportarsi in maniera antisociale e violenta. Per questi soggetti esistono quindi implicazioni sul piano dell’imputabilità e della pericolosità sociale ai fini della punibilità. Per loro, infatti, non ci sarebbe possibilità di interventi riabilitativi e potrebbero quindi rischiare l’ergastolo o di essere internati a vita in ospedali di massima sicurezza. Studi successivi hanno però negato la relazione tra l’anomalia cromosomica XYY e la malattia mentale o il comportamento deviante.
EREDITARIETA' -RICERCHE SUI GEMELLI
Alcuni studi canadesi indicherebbero che, fin dal secondo mese di vita, vi sono neonati maggiormente aggressivi. Molti genetisti, affascinati dal tema dell'ereditarietà, hanno condotto uno studio denominano” Metodo gemellare”. esaminando coppie di gemelli omozigoti, allevati in contesti familiari, sociali e culturali diversi. Si tratta di coppie di gemelli che, fin dalla nascita, sono state divise ed i piccoli sono stati affidati a genitori adottivi di diversa estrazione e di differente condizione sociale. Si tratta di una ricerca condotta a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, che è stata replicata anche di recente, verso la metà degli anni Novanta .
Si è, in particolare, studiata la relazione tra il tipo di comportamento antisociale dei gemelli monozigoti e quello dei gemelli dizigoti. Ipotizzando che l’ambiente sociale sia lo stesso per entrambi i gemelli, se l’ereditarietà gioca un ruolo importante nel determinare il comportamento criminale, si dovrebbe giungere al risultato che i gemelli monozigoti ( un'Unica cellula/uovo) dovrebbero avere un comportamento simile a quello dei gemelli dizigoti (due cellule uovo). Dai diversi studi effettuati è emerso che nei gemelli monozigoti c’è invece una caratteristica genetica che aumenta la probabilità che loro siano coinvolti in azioni criminali.
Questa differenza però potrebbe essere dovuta sia ad esperienze simili nel processo di socializzazione e nell’ambiente di appartenenza , sia invece ad un loro identico patrimonio ereditario.
Gli studi sui soggetti adottati hanno infatti analizzato l'ipotesi che il loro comportamento fosse più simile a quello dei genitori adottivi (influenza dei fattori ambientali) oppure a quello dei genitori biologici (influenza dei fattori genetici); è emersa una maggiore concordanza della delinquenza con la condotta deviante dei genitori biologici. Il problema rimane comunque aperto perché da altre ricerche è emerso il ruolo svolto dai fattori ambientali.
Parlando delle precedenti due teorie abbiamo detto che risultano ormai superate.
Ma sarà veramente così ?
Oggi noi sappiamo che nella così detta “ società a rischio”, dove la paura della criminalità (reale o percepita) influenza il nostro modo di vivere, si sta sviluppando un dibattito riguardo i sistemi così detti di “riconoscimento facciale”.
Questo dibattito, presente soprattutto in America, parte del presupposto dell’esistenza di un tasso di errore, nelle rilevazioni di tali sistemi, che risulterebbe doppio per i gruppi demografici afroamericani rispetto a quanto evidenziato per i gruppi di cittadini bianchi. Da questo scaturirebbe, in base ad uno studio effettuato nel 2012 in California (cfr.Cristina Di Stazio “The Thinking Watermill Society”), un aumento non giustificato del numero di arresti di persone innocenti, sempre nel gruppo degli afroamericani,al punto che il congresso di Washington ha dovuto introdurre in data 26/6/2020 un regolamento denominato “Facial Recognition and Biometric Tecnology Moratorium Act” per limitarne gli effetti dannosi dopo che perfino società come Microsoft, Amazon ed IBM avevano deciso di non fornire più dispositivi di riconoscimento facciale alle forze dell’ordine.
E’ possibile stabilire una correlazione tra tale dibattito e quanto affermato dal Lombroso ? Certamente no a livello di elaborazione teorica perché, nel caso del Lombroso si trattava di un convincimento scientifico da dover avallare con i risultati, mentre nel caso dei problemi relativi al riconoscimento facciale, si tratta evidentemente di un errore non voluto e non desiderato ma che non si è riusciti ad eliminare.
E’ possibile però rilevare una notevole affinità metodologica nel fatto di assumere come modello base un particolare tipo di essere umano, ed esercitare le operazioni successive sulla base di una “vicinanza “ o “lontananza” da tale tipo riscontrata nella foto, nella ripresa video etc. che si stanno esaminando.
E’ quella che tecnicamente viene definita “fase di estrazione delle features” e che consiste nell’individuazione in forma matematica di alcune caratteristiche fondamentali riguardanti occhi, bocca, capelli, naso e lineamenti.(cfr. “Face Recognition Vendor Test”- National Institute of Standards and Technology 2019).
Altro esempio è il finanziamento da parte di Microsoft a una società israeliana di sorveglianza di un programma di riconoscimento facciale chiamata AnyVision che ha come obiettivo l’individuazione dei palestinesi in Cisgiordania. AnyVision consente alle autorità israeliane di identificare i palestinesi e tenere traccia dei loro movimenti nello spazio pubblico.
Questo ha forti implicazioni sulle libertà civili associate al riconoscimento facciale in contesti di polizia e contraddice alcuni principi di “non discriminazione” e di “ limiti alla messa a rischio della libertà” dichiarati dalla stessa Microsoft.
Il gigante delle telecomunicazioni cinese Huawei ha invece testato un proprio software per il riconoscimento facciale che può mandare un segnale di allarme alle autorità quando il sistema rivela i tratti del volto di un membro dell'etnia uigura, originaria della regione autonoma cinese dello Xinjiang e di religione islamica.
Nel settore privato esiste invece un sottoinsieme di tecnologie di riconoscimento facciale che afferma di “leggere” le nostre emozioni interiori interpretando le micro espressioni sul nostro viso, il così detto Affective Computing.
Il tutto inizia subito dopo l'attacco alle Torri Gemelle, quando il Dipartimento dei Trasporti degli USA pensò di utilizzare il “sistema Ekmann”, un metodo elaborato da uno psicologo che dovrebbe consentire l'individuazione di eventuali terroristi basandosi sulle espressioni del loro volto.
Successivamente assistiamo alla distribuzione su larga scala ed in tutti gli ambienti, dalle aule delle scuole alle interviste di lavoro, di programmi in grado di fornire informazioni su chi è “produttivo” o chi è un “buon lavoratore”, spesso all’insaputa delle persone.”
I critici hanno anche notato le somiglianze tra la logica del riconoscimento delle emozioni, in cui il valore personale e il carattere sono presumibilmente distinguibili dalle caratteristiche fisiche, e la scienza della razza e la fisiognomica, che era solita sostenere che le differenze biologiche giustificassero la disuguaglianza sociale.
Come si vede , non possiamo considerare le metodologie lombrosiane del tutto abbandonate.
Per quanto riguarda invece le teorie che prendono in considerazione i fattori genetici, anch'esse considerate ormai superate,
sarebbe bene prender nota di alcune vicende giudiziarie che le rendono invece assai attuali ed operanti : nell'ottobre del 2009 la Corte di Assise di Trieste ha fatto ricorso a delle indagini genetiche ed ad una ricerca strumentale di immagini cerebrali per un caso di omicidio. Analizzando le varianti di geni implicati nel metabolismo dei principali trasmettitori cerebrali la Corte è giunta alla concessione di una riduzione della pena all'imputato, in quanto nel suo patrimonio cromosomico emergeva la presenza di geni capaci di renderlo particolarmente reattivo in termini di aggressività e quindi vulnerabile in presenza di situazioni di strss. Si è dedotto che fosse affetto da “vulnerabilità genetica” perché possedeva alleli (un allele sta ad indicare le due o più forme alternative dello stesso gene) nella variante sfavorevole in grado di spingere ad un comportamento impulsivo ed aggressivo. La Corte volle distinguere però tra vulnerabilità, che indica la maggior possibilità di ammalarsi, e patologia, che invece indica una malattia in atto, stabilendo la rilevanza giuridica soltanto della malattia già in atto.
Conclusione : le teorie Lombrosiane e quelle genetiche sull'insorgenza della devianza non sembrerebbero del tutto morte anzi.... per copiare uno slogan politico..."sono vive e lottano insieme a noi".
Quali riflessioni attuali possiamo effettuare su quanto detto finora ?
Un punto fondamentale credo sia quello che questi autori non partono più dal concetto di norma sociale, trasformata o meno che sia in norma giuridica, ma utilizzano un concetto nuovo che è quello di “stigma”. Cosa è lo stigma ? Nell’antica Grecia era un marchio impresso a fuoco oppure inciso con un coltello che serviva ad indicare lo status di schiavo, di criminale o di traditore. E’ comunque un segno che squalifica e disonora la persona che lo porta e tende ad avere una valenza permanente. Rispetto alla norma sociale ha la caratteristica di essere più duttile , più immediato e più facilmente variabile, in grado quindi di poter quindi rendere meglio conto di alcune situazioni di passaggio che non sarebbe possibile altrimenti esaminare . La norma sociale infatti, soprattutto quella che riguarda devianze più importanti e che deve quindi diventare norma giuridica, ha dei tempi di realizzazione spesso lunghi. Jurgen Habermas, nel suo saggio “storia e critica dell’opinione pubblica” ci ricorda che il dibattito pubblico e l’acquisizione di un certo indirizzo valutativo, precedono sempre la formulazione di una qualsiasi legge, anche avente carattere sociale. Molto spesso passano addirittura anni dal raggiungimento di un certo consenso a livello di opinione pubblica rispetto alla promulgazione della relativa legge . Lo stigma invece è molto più veloce. E’ capace di diffondersi abbastanza rapidamente in settori vasti dell’opinione pubblica anche in assenza di dibattiti mirati o momenti di ufficializzazione istituzionale. E’ quindi in grado di modificare il criterio di giudizio rispetto ad un atto deviante od anche una categoria di atti devianti nel giro di breve tempo e senza bisogno di alcuna formalizzazione. Anche in presenza di norme sociali già esistenti lo stigma può portare a giudizi parzialmente diversi da quelli recati dalle norme. E’ il caso di alcuni reati, ad esempio quelli commessi dai così detti “colletti bianchi”, che in alcuni periodi storici vengono considerati meno screditanti rispetto ad esempio ai furti, anche quando la sanzione prevista dalla norma fosse equivalente, salvo poi mutare rapidamente nel giro di pochi anni. Ma anche il caso dello stigma riservato ad esempio all’evasione fiscale, da sempre molto minore rispetto a quello riservato a devianze giudicate invece equivalenti dall’ordinamento giuridico. Sempre con la possibilità che la situazione possa cambiare anche abbastanza velocemente, più velocemente comunque di quanto possa avvenire nel campo delle norme sociali. Lo stigma presenta anche un’altra caratteristica che riesce a render conto di un atteggiamento a volte ambivalente della devianza sociale. Il segno che porto sulla carne permette infatti agli altri di distinguermi da coloro che non sono colpiti dallo stesso tipo di discredito ma, nello stesso tempo, permette a tutti coloro che condividono il mio stesso tipo di attributo di riconoscermi e riconoscersi in esso. Questo porta alla formazione di un senso di appartenenza che è infatti tipico di molte situazioni criminali dotate di una larga base sociale, ma anche di situazioni parcellizzate di gruppi devianti (ad esempio i tossicomani) all’ interno delle quali è riscontrabile un atteggiamento empatico tra i vari membri del gruppo.
Erving Goffman, nella sua opera del 1963 “Stigma” afferma che il portatore di uno stigma è portato a cercare categorie sociali che possano mostrare un atteggiamento comprensivo nei suoi confronti. Il sociologo canadese individua infatti tre categorie di persone che possono svolgere questa funzione :
gli appartenenti al proprio gruppo, che sono i soggetti colpiti dallo stesso tipo di stigma,
quelli che nella società sono incaricati di assistere ed aiutare chi è colpito da quel tipo di devianza
il gruppo di coloro che vivono vicino allo stigmatizzato, lo conoscono bene e sono propensi ad avere verso di lui un atteggiamento benevolo.
L’insieme di questi gruppi costituirebbe quello che nella sua opera “La vita quotidiana come rappresentazione” viene visto come una specie di “retroscena” in cui il soggetto deviante condividerebbe i segreti relativi al suo vero modo di essere, mentre la realtà esterna in cui poi si svolge l’azione sarebbe il “palcoscenico” in cui si uniscono la caratteristica deviante del soggetto, e l’ etichetta deviante a lui assegnata dalla società .
A seconda quindi del contesto in cui si muoverebbe, l’individuo interpreterebbe una parte modificando la propria immagine allo scopo di trovare un compromesso tra le proprie aspirazioni ed i ruoli che gli vengono assegnati, nella ricerca del miglior compromesso sociale alla propria portata.
L’individuo risulterebbe a questo punto come prodotto della società, anzi della sua interazione con la società, teoria questa sostenuta anche dal sociologo e psicologo sociale George Herbert Mead che insegnò presso l’Università di Chicago fino alla sua morte avvenuta nel 1931 e che volle affermare che non soltanto l’individuo ma la sua stessa psiche non siano realtà a sé stanti ma nascono dalla sua interazione con la società.