SCRIVERE IL VOLGARE
FRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
ATTI DEL CONVEGNO DI STUDI
Siena, 14-15 maggio 2008
SCRIVERE IL VOLGARE
FRA MEDIOEVO
E RINASCIMENTO
a cura di
Nadia Cannata e Maria Antonietta Grignani
Testi e Culture in Europa
cinque
Pacini
Editore
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In copertina: Anonimo, Antiche Pitture di S. Michele del Sotteraneo in Borgo, di Pisa,
acquaforte e bulino. Collezione Valentino Cai, Pisa.
Nell’occhiello: Madonna della Misericordia, particolare, Basilica di S. Pietro,
Tuscania (VT).
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ISBN 978-88-6315-080-3
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INDICE
PREMESSA
pag. vii
I. Manoscritti, testi, questioni editoriali
Il Ritmo cassinese: cultura grafico-libraria
e qualche proposta di correzione
Maddalena Signorini
»
1
Bartolomeo Sanvito copista del Casanatense 924
Michela Cecconi
»
27
Trascrizione, edizione e commento di testi di lingua
cinquecenteschi: alcune questioni editoriali
Nadia Cannata
»
43
Il Dulpisto di Antonio Vignali (1540)
Silvio Giachetti
»
55
L’editore Niccolò Zoppino e la questione della lingua
Luigi Severi
»
69
Comporre il volgare in tipografia
Antonio Sorella
»
81
La lingua degli avvisi a stampa (secolo XVI)
Laura Ricci
»
97
Girolamo Gigli e i «Criminalisti del ben parlare»
Giada Mattarucco
» 115
II. Editoria e lingua
III. Donne e scrittura
In corso di stampa: Governare l’alfabeto. Donne, scrittura e libri
nel Medioevo
Luisa Miglio
» 125
Ancora sulle donne, il volgare e la grammatica nel Cinquecento
Helena Sanson
» 137
Intorno a Isabella Morra
Maria Antonietta Grignani
» 149
L’itinerario poetico di Vittoria Colonna
Maria Serena Sapegno
» 161
Michelangelo, Vittoria Colonna e la scrittura azzurra
Romeo De Maio
» 173
Bonsignore Cacciaguerra e Vittoria Colonna
nell’esperienza neostoica
Raffaella Ragone
» 177
IV. La scena di Roma: lingua, storia, teatro
Forme e strutture della nascente drammaturgia volgare:
il lavoro di Strascino
Marzia Pieri
» 185
Roma e le sue lingue nelle commedie del Rinascimento
Claudio Giovanardi
» 199
Vicende linguistiche di Roma. Nuovi acquisti
e punti critici
Pietro Trifone
» 213
“Ulterius non extendo”. Due testimonianze inedite del sacco
di Roma del 1527
Emma Condello
» 225
PREMESSA
Il progressivo affermarsi di una scrittura in volgare fra Medioevo e Rinascimento o, per meglio dire, lo spazio progressivamente
conquistato in Italia dal volgare è un capitolo affascinante della
nostra storia culturale che interessa molte e diverse discipline senza
esaurirsi in alcuna di esse.
Di particolare interesse per questo processo sono state alcune
categorie di scriventi, principalmente i laici, i mercanti, gli homini
sanza lettere, le donne, che – dapprima quasi presenze sporadiche
se non addirittura clandestine nei luoghi della comunicazione più
canonici – sono progressivamente emersi dal silenzio, dalla forzata
discrezione in cui erano chiusi con un flusso costante e sempre crescente di testimonianze, via via più ricco di voci: il volgare scritto,
affacciatosi inizialmente di straforo nelle formule giuridiche e nelle
sottoscrizioni, nelle scritte avventizie e nelle scritture private, iniziò
le sue vicende occupando spazi fisici per così dire di riporto, ma in
seguito, in quanto lingua dei ceti emergenti, fu strumento di espressione aperto anche ad altri usi, e in un giro d’anni relativamente
breve conquistò un posto nell’espressione artistica, e infine anche
nel canone della letteratura mutandone per sempre la composizione e la storia.
In questo senso l’affermazione di una cultura del volgare riguarda tanto la storia della letteratura e dei suoi generi, quanto la
storia della lingua, la paleografia e la storia del libro manoscritto e
a stampa. Al tempo stesso – è forse appena il caso di dirlo – essa ha
interessato la storia tout court, che mai come negli ultimi anni ha
avuto a cuore le vicende delle culture cosiddette subalterne, o quantomeno non egemoni, la storia delle donne e di quanti, tradizionalmente, furono esclusi o rimasero ai margini della cultura ufficiale.
Gli studi raccolti nel presente volume svolgono un percorso
teso ad illuminare questa impostazione pluridisciplinare.
Si parte dal Ritmo cassinese, testo difficile e a tratti oscuro, aggiunto su una carta bianca contenuta in un codice biblico, del quale
Maddalena Signorini offre uno studio paleografico che – tramite
l’analisi della beneventana in cui è scritto e l’interpretazione del suo
canone – è in grado di illuminare anche alcune zone d’ombra dell’edizione. Michela Cecconi studia la mano giovanile di Bartolomeo
Sanvito alla quale ha attribuito la preziosissima testimonianza del
codice 924 della Biblioteca Casanatense di Roma, latore di lezioni
d’autore non attestate negli autografi. Luisa Miglio offre uno studio
vii
SCRIVERE IL VOLGARE FRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
paleografico e storico delle diverse tipologie ed espressioni della
scrittura delle donne fra Medioevo e Rinascimento, a corredo di
un suo recente volume in cui ha pubblicato 66 lettere, scritte da
donne toscane nel Quattrocento, che rappresentano altrettanti testi
di lingua oltre che una testimonianza preziosa del rapporto fra le
donne e la cultura scritta nel primo Rinascimento, rapporto che
– sotto un diverso punto di vista – è illustrato nei lavori dedicati al
petrarchismo di Isabella Morra e alla scrittura di Vittoria Colonna,
oggetto rispettivamente del contributo di Maria Antonietta Grignani,
che torna su un tema da lei già affrontato e degli studi, anch’essi di
lungo respiro, che Maria Serena Sapegno, Romeo de Maio e Raffaella Ragone hanno dedicato alla Marchesa di Pescara.
La novità di un’arte della poesia e della scrittura esercitata da
chi fino ad un secolo prima non aveva espresso per iscritto quasi
null’altro se non il dolore per distacchi forzati o assenze di figli e
mariti, prosa sì, ma certo non letteraria, è interessante in sé, in forza
di indiscusse qualità letterarie, né interessante e importante solo per
gli studi di genere, per dare legittima voce ad un Rinascimento al
femminile la cui storia è oscura almeno quanto è stato sotto i riflettori il Rinascimento degli uomini. La conoscenza di questa poesia
è indispensabile anche per la comprensione del canone poetico
che essa stessa pose in discussione proprio nel momento in cui ne
entrò a far parte di diritto. Helena Sanson illustra poi un ulteriore
tassello, essenziale per la comprensione storica di questo quadro,
che riguarda l’educazione linguistica che le donne ebbero, il grado
di accesso loro consentito alla norma della lingua, e – cosa ancora
più importante – la valutazione di quali fossero gli esatti limiti entro
i quali era ritenuto accettabile che le donne utilizzassero il volgare,
inteso tanto come parola che come lingua scritta.
Forse si potrebbe dire che la storia del volgare in Italia racconta, in un certo senso, quanto sarebbe rimasto nel silenzio se non si
fossero operate forzature o magari vere e proprie rotture nella tradizione. Analogamente, la storia della nostra lingua non è, evidentemente, riducibile alla storia dell’affermazione del modello toscano o
toscano-centrico, così come la storia della nostra letteratura nel Rinascimento ha abbracciato materia più grande della sola poesia petrarchista, del trattato in forma di dialogo o della novellistica. Nadia
Cannata si occupa dei problemi editoriali legati all’edizione di testi
teorici sulla lingua i quali, forse anche a causa del loro appartenere
ad un filone per così dire ‘perdente’ della teorizzazione linguistica
del primo Cinquecento, non avendo dignità di testi finiti pongono
problemi spinosi al filologo che intenda conservarli a dispetto della loro marginalità. Silvio Giachetti pubblica uno studio preparato-
viii
PREMESSA
rio in vista dell’edizione di un altro testo marginale e incompleto,
ma molto interessante per la storia del dialogo del Rinascimento,
il Dulpisto di Antonio Vignali, altrimenti noto come lo sboccato e
irriverente autore della Cazzaria. Di teatro parla Marzia Pieri, specialista del genere e studiosa di lunga esperienza del teatro senese
trapiantato a Roma e in particolare dello Strascino, autore particolarmente interessante in questo contesto perché la sua attività, tutta
anteriore al Sacco, si colloca – come lei stessa scrive – in quella fase
di sviluppo della letteratura volgare in cui oralità, scrittura e stampa
si affiancano senza gerarchie definite, e in un’epoca in cui il teatro
non è ancora formalizzato.
Un’intera sezione del volume è poi dedicata al rapporto fra
editoria nel Cinquecento e questione della lingua, argomento più
spesso evocato che studiato a fondo, anche per l’oggettiva difficoltà
e fatica di raccogliere testi tanto numerosi quanto dispersi e spesso
marginali, e di analizzarne la facies linguistica con il dettaglio che
tale analisi impone. In questo ambito, Luigi Severi si occupa dell’attività di Nicolò Zoppino, uno dei più importanti e prolifici editori del
primo Cinquecento, ferrarese di origine, ma stampatore in Venezia;
Antonio Sorella studia la fisionomia linguistica e le scelte operate
nel concreto da compositori e correttori attivi a Venezia nella seconda metà del Cinquecento; Laura Ricci illustra la lingua degli avvisi a
stampa, esempi embrionali di prosa giornalistica e di informazione
pubblica della prima età moderna, e infine Giada Mattarucco, con
una proiezione nel tempo verso il Settecento, dimostra che a distanza di secoli il fuoco delle dispute linguistiche non era spento, come
pure bruciava ancora – a Siena come altrove – il presunto obbligo
di accettare l’assioma della centralità fiorentina.
La sezione conclusiva del lavoro è dedicata a Roma, teatro di
avvenimenti di straordinario rilievo per la storia della cultura del
nostro Paese, anche fra Quattro e Cinquecento: al romanesco sono
dedicati i contributi di Claudio Giovanardi e Piero Trifone, che qui
si occupano della lingua della commedia romana del Cinquecento
e di alcuni punti critici negli studi più recenti sulla lingua di Roma,
studi a cui entrambi hanno contribuito generosamente nel corso
dell’ultimo decennio; Emma Condello, infine, pubblica due inedite
testimonianze del Sacco, una in volgare e l’altra in latino, anch’esse
altrimenti destinate all’oblio il cui interesse, storico, paleografico e
linguistico le ha restituite alla nostra memoria.
Il volume prende avvio dal convegno Scrivere il volgare fra
Medioevo e Rinascimento tenutosi il 14-15 maggio 2008 a Siena,
allestito a chiusura del Progetto di ricerca di interesse nazionale
Scrivere l’italiano: usi pratici, scritture femminili, tentativi di ca-
ix
SCRIVERE IL VOLGARE FRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
nonizzazione ‘dal basso’, approvato e finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica per il triennio 2005-2008, cui
hanno collaborato studiosi dell’Università per Stranieri di Siena e
dell’Università «La Sapienza» di Roma.
Nadia Cannata
Maria Antonietta Grignani
x
IV. LA SCENA DI ROMA:
LINGUA, STORIA E TEATRO
“ULTERIUS NON EXTENDO.”
DUE TESTIMONIANZE INEDITE
DEL SACCO DI ROMA DEL 1527
Emma Condello
Il saccheggio perpetrato in Roma nel 1527 dalle truppe imperiali, vissuto inevitabilmente nella coscienza europea come un evento inaudito per carica sacrilega, violenza, durata, ha stimolato negli
ultimi decenni una produzione storiografica che ha saputo servirsi
al meglio delle fonti raccolte soprattutto tra XVI e XIX secolo, in
forma di corrispondenza diplomatica o privata, documento d’archivio, resoconto, narrazione diretta o riportata, lamentatio letteraria
prosastica o poetica1.
Altre due attestazioni, l’una in latino l’altra in volgare, inedite a
quanto finora risulta, accomunate dal valore di testimonianza oculare e dalla mancanza di scopi e esiti letterari, sono oggetto di questa
comunicazione che, per la specificità della sede e le finalità stesse
di un contributo nato a latere di una indagine paleografica e codicologica, potrà richiamarsi solo parzialmente alla vasta bibliografia
storiografica sul Sacco. Del resto, alcuni dei più recenti lavori di
Chastel, Firpo, Gouwens sono pregevoli anche per la completezza
di informazione bibliografica su un evento che, a ragione segnalava
Massimo Miglio nel 1987, in passato «aveva goduto più di notorietà
che di studio»: ad essi si fa quindi rinvio2, richiamandosi inoltre a
Ancora di particolare utilità le edizioni di fonti realizzate da C. Milanesi, Il sacco di
Roma del 1527. Narrazioni di contemporanei, Firenze, Barbera, 1867; A. Rodriguez
Villa, Memorias para la historia del asalto y saqueo de Roma en 1527 por el ejército
imperial, Madrid, Imprenta de la Biblioteca de instrucción y recreo, 1875; G. Cavaletti Rondinini, Nuovi documenti sul Sacco di Roma del MDXXVII, «Studi e documenti di storia e di diritto», 5 (1884), pp. 221-246; L. Dorez, Le sac de Rome (1527).
Relation inédite de Jean Cave, Orléanais, «Mélanges d’archéologie et d’histoire.
École Française de Rome», 16 (1896), pp. 355-419. Per un compendio selettivo, M.
L. Lenzi, Il sacco di Roma del 1527, Firenze, La Nuova Italia, 1978. Degli elenchi di
fonti in passato allestiti, concilia concisione e ricchezza di dati H. Schulz, Der Sacco
di Roma. Karls V. Truppen in Rom 1527-1528, Halle, Niemeyer, 1894; oggi si deve
ricorrere all’acribia e all’intelligenza critica dei riferimenti offerti da A. Chastel, Il
sacco di Roma, 1527, Torino, Einaudi, 1983, e M. Firpo, Il sacco di Roma del 1527
tra profezia, propaganda politica e riforma religiosa, Cagliari, CUEC, 1990.
2
v. supra, nota 1; inoltre, The Pontificate of Clement VII. History, Politics, Culture,
ed. by K. Gouwens and S. E. Reiss, Aldershot, Ashgate, 2005. La citazione deriva
1
225
SCRIVERE IL VOLGARE FRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
una serie di studi e contributi pubblicati nell’ultimo ventennio che
manifestano un punto di vista diverso e complementare, volto a
riflettere sulle ricadute culturali in senso più ampio e profondo e su
quelle letterarie del Sacco3.
I brevi testi di cui si presenta l’edizione sono conservati in codici di biblioteche romane nei quali essi compaiono al seguito di un
testo primario oppure scritti a memento in libri che ne sono solo
il casuale ospizio: l’uno è allegato a una organica trattazione sul
Sacco, aggiunta su spazi liberi di un codice è invece la serie di brevi
testi che costituiscono la seconda attestazione. Le voci che riportano
sono quelle di testimoni diretti, di difficile identificazione – seppure
con qualche spiraglio per il primo – che si esprimono in contesti
non letterari (l’uno forse di ambito giudiziario, chiaramente privato
l’altro) e danno vita a documenti che presentano, oltre all’evidente
interesse storico, anche un interesse linguistico per il latino non
canonico e per il volgare in cui sono vergati.
1. Il codice Vittorio Emanuele 1686 della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma “Vittorio Emanuele II”, è un cartaceo di dimensioni
limitate4, composito di due parti per 55 carte complessive, con lega-
da M. Miglio, Causarum cognitio. Memoria, autobiografia e cronaca del Sacco, nel
volume poligrafico Il Sacco di Roma del 1527 e l’immaginario collettivo, Roma,
Istituto nazionale di Studi romani, 1987, pp. 8-17, p. 9 nota 1.
3 Ha aperto una strada in questa direzione il volume Il Sacco di Roma del 1527 e
l’immaginario cit., con i saggi di M. Miglio, V. De Caprio, D. Arasse, A. Asor Rosa.
V. inoltre K. Gouwens, Remembering the Renaissance. Humanistic Narrative of
the Sack of Rome, Leiden-New York, Brill, 1998; i molteplici interventi di Paola
Farenga (La memoria di una minoranza, in La memoria e la città. Scritture storiche fra Medioevo ed Età moderna, a cura di C. Bastia e M. Bolognani, Bologna, Il
Nove, 1995, pp. 319-330; Introduzione a M. Alberini, Il sacco di Roma. L’edizione
Orano de ‘ I ricordi’ di Marcello Alberini, Roma, RR, 1997, pp. VII-LXVI; Nuovi
tormenti e nuovi tormentati. L’Historia del Sacco di Roma di L. Guicciardini, in
Sylva. Studi in onore di Nino Borsellino, a cura di G. Patrizi, Roma, Bulzoni, 2002;
«per tener la città più sottomessa...»: i ricordi di Marcello Alberini e la coscienza
della crisi, in Roma nella svolta tra Quattro e Cinquecento. Atti del Convegno
int. di studi (Roma, 28-31 ottobre 1996), a cura di Stefano Colonna, Roma, De
Luca, 2004, pp. 29-36); quelli di Giulia Ponsiglione (Scritture della crisi e crisi
della scrittura. Echi savonaroliani in Francesco Guicciardini, «Bollettino di Italianistica», 2006, fasc. 2, pp. 67-93; Due ignoti documenti a stampa sulla ‘ruina’
di Roma (1527-1530), «Roma nel Rinascimento», 2007, pp. 339-348), della quale
è in corso di stampa uno studio sulla ricezione e la presentazione del Sacco nella
letteratura coeva e successiva, dal titolo La ‘ruina’ di Roma. Il Sacco del 1527 e
la memoria letteraria.
4
Mm 232x181, specchio di scrittura < 163/153x104 >, piena pagina, per una media
di 15 linee di scrittura (ma talora con oscillazioni da 16 a 13, cfr. cc. 6v, 15r). La
226
LA SCENA DI ROMA: LINGUA, STORIA E TEATRO
tura moderna rivestita in carta decorata5. Privo di decorazione, contiene nella prima parte (cc. 1r-52v) un Ristretto del sacco di Roma
anonimo6, attestato tuttavia anche da altri codici: si segnalano qui
almeno, per le biblioteche romane, il ms Biblioteca Angelica 1002
e il Vitt. Em. 623 (ambedue con testo mutilo delle conclusioni sulle
cause del Sacco), tra i quali il nostro cronologicamente si colloca7.
Il testo è vergato in una cancelleresca italica di unica mano databile
verso la metà del XVII secolo, calligrafica, di modulo grande, da uno
scrivente che lingua e ortografia suggeriscono romano8. Non saranno inutili questi brevi cenni alle caratteristiche della prima e principale parte del codice, perché ad essa sembra legata la presenza
della seconda parte, costituita da tre carte di cui le due esterne con
funzione di guardia e la mediana, numerata 1 da mano moderna,
trascritta con il testo che ora più ci interessa. Il tutto faceva parte verosimilmente di una miscellanea storica organizzata per destinazione privata e successivamente smembrata, della quale rimane indizio
la perdita di almeno un altro testo, il cui frontespizio ha lasciato
una flebile impressione a c. 52v9. Certamente le due parti insieme
furono vendute in un’asta romana da Christie’s, nel 1998, e acquisite
come composito dalla Biblioteca nazionale di Roma10.
carta è italiana, di buona qualità, con filigrana Piccard “Anker”, V 423, Roma 1662:
cfr. G. Piccard, Wasserzeichen Anker, Stuttgart, Kohlhammer, 1978.
5 Biblioteca Nazionale Centrale “Vittorio Emanuele II” Roma, Catalogo dei manoscritti Vittorio Emanuele, V, pp. 72-73.
6 Inc.: Il Ristretto, che desidera del deplorabile Sacco che le Truppe di Carlo V
Imperatore…; expl.: …andaremo discorrendo, e dei motivi, che n’hebbero, e cominciaremo dal Duca di Ferrara.
7 Il codice Angelicano, ampia interessante miscellanea della fine del XVI sec. dedicata al Sacco nella quale il Ristretto è alle cc. 637-711, è descritto sinteticamente da
E. Narducci, Catalogus codicum manuscriptorum praeter graecos et orientales in
Bibliotheca Angelica, I, Roma, Cecchini, 1893, p. 418, e analiticamente esaminato
nei contenuti ed utilizzato da C. Milanesi, Il sacco, cit., pp. LIV-LX. Il Vitt. Em. 623
riporta il Ristretto alle cc. 1r-24r, di mano della fine del XVIII secolo, e proviene
dalla Biblioteca di Costantino Corvisieri; descrizione in Catalogo dei manoscritti
Vittorio Emanuele cit., II, pp. 45-46.
8
Si segnalano qui, solo come indizi per gli addetti ai lavori, le grafie azzioni (c. 14r r.
13), subbitamente (c. 16r r. 1) commando (c. 50r r. 2), rubbate (c. 50r r. 12) e analoghe,
nonché il dominio incontrastato della desinenza–orno per il pass. rem. 3a pl., e i futuri
che conservano il nesso –ar- intertonico andaremo, cominciaremo (c. 52v rr. 6-7).
9
Con l’ausilio delle apparecchiature disponibili presso la Biblioteca nazionale si
legge il titolo Racconto | del | bombarda|mento | di | Genova, vergato in lettere
capitali, e si intravvedono tre righe di testo troppo sbiadite per essere decifrabili
(contenenti comunque la data M[DC]LXIV): certamente la scrittura del titolo e apparentemente quella del testo coincidono con quelle usate per il Ristretto.
10
Christie’s (Roma), Libri di pregio, manoscritti e autografi da collezioni private,
227
SCRIVERE IL VOLGARE FRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
La carta che contiene la testimonianza sul Sacco è titolata,
sulla guardia che la protegge, da una mano del XVII secolo: 1527.
6 Magg. Memoria istorica del Sacco di Roma. Consiste di un foglio
di dimensioni ridotte (mm 200 x 126), originariamente piegato in
senso longitudinale, a cedola. La carta è piuttosto ingiallita, cosparsa di piccole macchie bruno chiaro, danneggiata da macchie
di inchiostro, piccole corrosioni dovute all’acidità dell’inchiostro,
minime lacerazioni che, nonostante il restauro per velatura, ovvero anche a causa di esso, ne complicano la leggibilità. Altre mani
sono presenti, dopo quella del copista: molte, seppure di solito
per brevi interventi, per un testo così ridotto. Una coeva (B) ha
apposto alcune correzioni e contenute aggiunte nel margine interno. Un’altra mano, più recente, annota nel margine interno una
indicazione di collocazione del foglio, o forse dell’originale che vi
è trascritto (IIcond Quad). Infine, quasi nell’angolo inferiore esterno, disposto perpendicolarmente alla scrittura, si legge la cifra 94:
la numerazione originaria della carta più grande il cui lembo fu
reimpiegato per trascrivere il testo, dato che lo scrivente depenna la cifra, e ne tiene conto nel regolare la lunghezza delle righe
adiacenti, da 31 a 33.
La carta è scritta su ambedue i lati da una mano databile
forse entro la fine del XVI, dunque anteriore rispetto a quella del
Ristretto e certamente meno controllata e calligrafica, che riempie il foglio rispettando solo un margine interno, mentre sul lato
esterno si spinge fino al taglio della carta; forse è ancora suo il
numerale II vergato sul verso, alla fine della carta. Esegue una
corsiva, nervosa, molto inclinata a destra, di modulo minuto, con
leggeri uncini di attacco alla sommità dei tratti verticali di h, talora
t e l; d corsiva a doppio occhiello; p dall’occhiello aperto e asta
lunga sotto il rigo raddoppiata; r aguzza in due tratti, facilmente
confondibile con t la cui traversa è divenuta un trattino obliquo
originato dalla base della brevissima asta. Le abbreviazioni sono
talvolta eccentriche (cfr. quelle per obstantibus e per omnibus, rr.
9 e 13 dell’edizione), la punteggiatura è minimale, ma non casuale,
e accentua il pathos dell’esposizione; lo scrivente talvolta interviene con minime riscritture o correzioni. Il testo occupa 33 linee sul
recto, 5 sul verso, e consiste di una testimonianza rilasciata da un
martedì 9 giugno 1998. Roma, Christie’s, 1998, p. 44, lotto n. 288. Nel medesimo
lotto, compaiono un manoscritto del Sacco di Roma del De Rossi e uno del Diario
di Lello Petroni, Stefano Infessura e suoi antenati, che costituiscono oggi i Vitt. Em.
1687 e 1688.
228
LA SCENA DI ROMA: LINGUA, STORIA E TEATRO
Iohanni Michelihius che ricorda con precisione la prima irruzione
degli imperiali e condensa poi in poche righe gli orrori seguiti fino
a sottoscriversi come vittima delle torture che accompagnarono il
Sacco. Eccone la trascrizione11:
1
5
Die Lune 6(us) Maij 1527. | Fuit festu(s) Sancti Iohannis ante Portam
Latinam, et militum violentus exercitus cesareus debellavit | Urbem illam
qua(m) vi et armata manu | ingressus fuit retro Campum Sanctu(m)12 |
et Santu(m) Petru(m), unde plures interfecti | fuere. Et sic mane totu(m)
Burgum appre|hendiderunt et palatiu(m) Apostolicu(m) | intrarunt. Pontifex vero ad Castrum Sanct(i) | Angeli, cum nonnullis Cardinalibus13, et
aliis | prelatis, et diversis romanis, et monialibus | aufugit, et in illo preclusit et fortifi|cavit in quo per plures dies sic reclusus | et tandem dictu
exercitu assediatus | remansit14. I […] vero vesperorum vel | circa, post
Le abbreviazioni vengono sciolte tra parentesi tonde, le lacune da guasto meccanico sono in parentesi quadre, le integrazioni dell’editore in parentesi angolari;
sono state regolarizzate le maiuscole. Riguardo all’interpunzione, si interviene solo
dove indispensabile alla comprensione del dettato, integrando la punteggiatura
dell’originale con molta cautela, per renderne quanto più possibile la sobrietà e la
drammaticità che ne risulta.
12 Il Campo Santo era area addossata alle mura Vaticane, accanto alla Porta Torrione, prossima all’attuale Porta Cavalleggeri, ove esisteva la chiesa di San Salvatore
del Torrione, o in Macello, detta anche “de ossibus” per il cimitero annesso (Ricordi inediti di Girolamo Morone, Gran Cancelliere dell’ultimo Duca di Milano,
sul decennio dal 1520 al 1530, pubblicati dal conte T. Dandolo, Milano, BoniardiPogliani, 1855, p. 124). Il Campo è più volte menzionato come luogo del primo
sfondamento da parte degli imperiali: cfr. le fonti raccolte da Orano in M. Alberini,
Il sacco di Roma cit., pp. 249-250 nota 1, e C. Ravioli, La guerra dei sette anni sotto
Clemente VII; assalto, presa e sacco di Roma; l’assedio e la perdita di Firenze dall’anno MDXXIII al MDXXXI sui documenti ufficiali, «Archivio della Società romana
di Storia patria», 6 (1883), pp. 303-444, p. 369.
13
Ancora in Alberini il dettaglio dei tredici cardinali rifugiatisi con Clemente VII in
Castel S. Angelo, e degli almeno otto che rimasero invece nei loro palazzi, alcuni
sentendosi tutelati dalla qualifica di filoimperiali o dalla nazionalità che non valsero invece a proteggerli: dopo i primi otto giorni (secondo alcune fonti, quattro)
«non ritrovando più de satchegiare si poseno a dar le bataglie ad li palazi di cardinali, et non li valeva ad esser ne Orsino ne Coloneso …», come racconta il bresciano Arrivabene Gavardo in una lettera del 5 dicembre allo zio Girolamo, edita in Dil
Sacho de Roma (1527), «Archivio storico lombardo», (1877), pp. 628-637, p. 629.
Ne davano notizia tra i primi diffusamente il cardinale Scaramuccia Trivulzio nella
lunga lettera-resoconto inviata il 24 maggio da Castel Sant’Angelo al segretario
Iacopo Baratero, edita da Milanesi, Il sacco di Roma cit., pp. 469-490, pp. 474-479,
p. 482; più sinteticamente, dalla parte degli imperiali, Giov. Bartolomeo Arborio
da Gattinara, negoziatore della resa del Papa, nella lettera dell’8 giugno a Carlo V,
edita anch’essa in Milanesi, Il sacco cit., pp. 491-530, p. 502.
14
Clemente VII sarebbe rimasto ben otto mesi in Castel Sant’Angelo, fino al 6 dicembre, con la sua corte ristretta e assediata dalla peste e presto dalla fame, oltre
che dagli imperiali.
11
229
SCRIVERE IL VOLGARE FRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
10
15
20
quam dicti imperiales in dicti<s> | palatio apostolico et burgo bona [….]
| ritis refecti et lucrati fuerunt, Urbem sibi | vi et armata manu per portam Septimiana | versus Transtiberim, non […] obstanti(bu)s papis|tis et
Romanis qui illam custodiebat, | intrarunt illam que crudelit(er) saccagiarunt | et depredarunt p(ro) ut in similibus bellis | fieri solet, licet sui
stili numquam. Fuer[..] | quasi octom(ilia) ho(mi)nes et etiam no(n)nulle
| militis pueri virgines vidue et moniales | captivati per plures dies
fuer(un)t, et crudeli|ssima(m) famen ta(m) † generosis sustinuer|unt et
passi fuerunt et que permissa | et via alia que facta fuerunt o(m)nijbus
| in Urbe tunc e partibus. Et sostinuij | michi Iohanni Michelihius, qui
hora(m) | suspensus fui plura † confecti, et || et per testicullos per
hora(m) suspensus15 et remansi | sani, et notariam exist(er)unt. In Deo
me(o), ulte|rius non extendo: quare ab illa die circa | tota Urbe fuit
maxi(m)a desolationis, non | resta ant(e)a neque res. F.16
-----------------------------------1 1527 sottolineato; militum aggiunto sopra da B, con segno di richiamo.
2 violentus: supporto in parte corroso, la parola è aggiunta nel margine interno da B, che depenna la parola seguente, militum, a sua volta
reinserita sopra il primo rigo. 4 Santu(m): –m abbreviata da titulus,
su cui interviene B correggendolo in –s, a sua volta in seguito depennata e ricondotta a titulus; sic soprascritto da B su depennamento non
leggibile. 6 cum soprascritto da B su depennamento non leggibile. 7
preclusit corretto su pereclusit; sic soprascritto da B su depennamento
non leggibile. 9 lacerazione; dicti<s>: ultima lettera danneggiata per il
taglio esterno della carta consunto. 10 macchia di inchiostro. 11 ritis
integrato in marg. interno da B, verosimilmente a recupero della lacuna.
12 macchia di inchiostro; obstanti(bu)s: -s corretta da –b. 13 crudelit(er)
corretto su crudelis da B. 14 solet corretto su poset da B. 15 Fuer<..>:
ultime lettere, apparentemente due, perdute per consunzione del taglio
esterno della carta. 17 † legge dudsti, con abbreviazione per contrazione. 18 o(m)nijbus sic. 19 Iohanni Michelihius preceduto e seguito
da punto. 20 hora(m) depennato; plura soprascritto, di prima mano, su
p(l)us malamente leggibile; † legge inar mali[..]
Il testo appare come una dichiarazione sintetica resa in prima persona: più una testimonianza finalizzata alla redazione di un
Su questa specifica tortura, conferme da più testimoni coevi, in scritti privati (lettera del 17 giugno dello scriptor brevium Apostolicorum Theodor Gescheid, edita
da J. Mayerhofer, Zwei Briefe aus Rom aus dem Jahre 1527, «Historisches Jahrbuch»,
12 (1891), pp. 747-756, p. 752; Arrivabene Gavardo, Dil Sacho cit., p. 630) o in testi
letterari (L. Guicciardini, Il Sacco di Roma, edito in Milanesi, Il sacco cit., pp. 1-244,
p. 225-226; P. Corsi, Ad humani generis servatorem in Urbis Romae excidio deploratio, edizione di L. Dorez, Le sac de Rome cit., pp. 420-436, p. 428).
16
La F. potrebbe essere una sigla di chi ha trascritto il testo, o l’indicazione che
l’originale riportava una sottoscrizione del testimone.
15
230
LA SCENA DI ROMA: LINGUA, STORIA E TEATRO
documento o a una situazione giuridica, in cui si possa o si debba registrare formalmente una testimonianza oculare, che non una
memoria destinata a tramandare ai familiari o ai posteri la propria
esperienza della storia. Del resto, l’ambiente notarile fu tra i più solleciti nel fissare il racconto dei giorni e mesi del Sacco, in note private e in documenti dei quali è ripreso lo studio e la pubblicazione
e che forniranno molti dettagli e soprattutto lo sguardo realistico di
cittadini e popolani coinvolti nella quotidianità dell’occupazione17.
Mancano elementi sicuri di identificazione di Iohanni Michelius: è
un laico, altrimenti la qualifica religiosa comparirebbe certamente
accanto al nome, si attenta nell’uso del latino dando luogo a una
lingua incorretta, di livello chiaramente non comparabile a quello
del latino che vediamo utilizzato dai notai nei loro racconti del Sacco, e tuttavia espressiva, cui gli attacchi delle frasi con et reiterati
danno il registro del racconto orale. Si può segnalare solo che i due
censimenti condotti in Roma prima del Sacco, l’uno nel 1517-18
l’altro nel 1526-27, pochi mesi prima dei fatti, registrano un solo
Iohanne Michaele ipoteticamente sovrapponibile al teste del Sacco:
privo di cognome come lui, originario di Tivoli, presente continuativamente a Roma, abitante in casa propria nel rione Sant’Eustachio
presso “li heredi de illustrissimo Bar[tholom]eo de la Valle” in una
casa cui sono attribuite 10 ‘bocche’, o abitanti, dal censo del 15262718. Ma i due censimenti registrano solamente i titolari dei ‘fuochi’,
Esemplari la memoria di Savo Perelli, notaio romano e figlio del notaio Salvato,
pubblicata in traduzione da P. Mazio, Della Guerra fra Clemente VII e gli imperiali, e documenti inediti in proposito, «Il Saggiatore», I (1844), 10, pp. 305-316; la
memoria in volgare di Teodoro Gualderonio (sul quale è in corso uno studio di
chi scrive) edita da M. Armellini, Gli orrori del saccheggio di Roma l’anno 1527
descritti da un cittadino romano di quel tempo, «Cronachetta mensuale di scienze
naturali e d’archeologia», XX, 4 (1886), pp. 91-94; la nota di Luca di Domenico
Tomassini, notaio in Fabriano, al libro delle Riformanze del 1527, edita da R. Sassi,
Il sacco di Roma del 1507 negli atti di un notaio contemporaneo, «Deputazione
di Storia patria per le Marche. Atti e memorie», 4 (1927) pp. 299-300; la memoria
di Stefano de Amannis, notaio romano, edita in R. Lanciani, Storia degli scavi di
Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità, I, Roma, Quasar, 1989
(già Roma, Loescher, 1902), p. 291; le memorie notarili pubblicate da A. EspositoM. Vaquero Piñeiro, Rome during the Sack: chronicles and testimonies from an
occupied city, in The Pontificate of Clement VII cit., pp. 125-142, nell’ambito di una
ricerca nell’Archivio di Stato di Roma ancora in corso. Innumerevoli, e non censiti,
i riferimenti contingenti al Sacco in atti notarili degli anni immediatamente successivi: O. Montenovesi, Echi del Sacco di Roma dell’anno 1527, «Archivi. Archivi
d’Italia e Rassegna internazionale degli Archivi», s. II, 10 (1943), pp. 9-17.
18
Habitatores in Urbe: the population of Renaissance Rome, ed. by E. Lee, Roma,
Università La Sapienza, 2006, nn. 2282 p. 107, 6922 p. 247. Gli altri due omonimi
– Io(anne) Michiel Paravisino, in rione Ponte, n. 3452 p. 211, e Ioannes Micael Pala17
231
SCRIVERE IL VOLGARE FRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
proprietari o capifamiglia, e nel caso specifico non possono da soli
fondare l’identificazione19.
Chiunque fosse Iohanni Michelius, qualunque sia stata la sollecitazione o l’urgenza che l’hanno spinto a testimoniare, la sua memoria è diretta, precisa a suo modo, incalzante nell’affastellamento
di sequenze paratattiche (6: cum nonnullis Cardinalibus, et aliis
prelatis, et diversis romanis, et monialibus; 17-18 sustinuerunt et
passi fuerunt et que permissa et via alia que facta fuerunt) o non
casualmente prive di pause (15-16 octomilia homines et etiam nonnulle militis pueri virgines vidue et moniales captivati), nell’ansia
di scandire il tempo (l’indicazione della festa liturgica, e di quanto
avvenne mane e di come dilagarono gli imperiali a sera), di dettagliare i luoghi in cui tutto iniziò e di quantificare i prigionieri,
come pure di riferire della feroce tortura subita specificando di non
averne riportato mutilazioni. Iohanni ricorda, parla, ma vuole anche
chiudere: il solo commento personale esplicito che si concede è di
amara concisione, rilevando in un breve inciso che se in guerra fieri
solet il saccheggio e la violenza, mai però se ne videro a tal punto
(licet sui stili numquam); e termina spiegando di non voler parlare
oltre, perché da quel giorno Roma intera è desolata, e non rimane
nulla di quanto c’era prima: ulterius non extendo…
2. Il manoscritto di Roma, Biblioteca Casanatense 956, è un codice
di sole 44 carte e di dimensioni modeste (mm 255 x 165), in pergamena di notevole qualità, vergato in umanistica corsiva calligrafica
vesino, in rione Regola, n. 5720 p. 235 – hanno un cognome (Paravicini/Pallavicini)
che difficilmente sarebbe stato omesso in una testimonianza, ma anche in un testo
memoriale. I due sono probabilmente tra loro parenti, se non si tratta piuttosto di
una stessa persona censita come proprietario di case in zone diverse della città:
e forse del Giovanni Michele Paravicini padre del futuro cardinale Ottaviano (crf.
P. Cosola, Documenti vaticani per la storia di Alessandria. Il Cardinale Ottavio
Paravicini Vescovo di Alessandria, riformatore e nunzio apostolico (1552-1611),
Alessandria 1991; C. Eubel, Hierarchia catholica Medii Aevi, III, 1923, p. 53).
19
Per letture della demografia di Roma nel primo Cinquecento diverse per orientamenti e obiettivi, ma comunque fondate sui due censimenti: L. Livi, Un censimento di Roma avanti il sacco borbonico. Saggio di demografia storica, Roma,
Athenaeum, 1914; Lenzi, Il sacco cit., pp. 106-107 e 114-117; A. Esposito, I forenses
a Roma nell’età del Rinascimento, in Ead., Un’altra Roma. Minoranze nazionali e
comunità ebraiche tra Medioevo e Rinascimento, Roma, Il calamo, 1995, pp. 75-92;
introduzioni a E. Lee, Descriptio Urbis: the Roman census of 1527, Roma, Bulzoni,
1985, e a Habitatores in Urbe cit.; infine, A. Esch, Un giro attraverso la Roma del
Rinascimento, in compagnia degli ufficiali del censimento (inverno 1526-27), in
Scritti per Isa. Raccolta di studi offerta a Isa Lori Sanfilippo, a cura di A. Mazzon,
Roma, ISIME, 2008, pp. 339-355.
232
LA SCENA DI ROMA: LINGUA, STORIA E TEATRO
databile alla metà del XV secolo, e pregevole anche per la legatura originale20. Presenta due sole iniziali decorate, tuttavia in parte
dorate21, ma la c. 4r è ornata con una bordura a fondo pagina con
rameggi a bacche auree, motivi floreali azzurri, verdi, rosa, due pavoni negli angoli, due angeli che reggono uno stemma cardinalizio
identificato come quello di Astorgio Agnese, Cardinale dal 144822.
La solennità della c. 4r si spiega con il fatto che, dopo le prime
tre carte che tramandano la canzone Beato il prego tuo cortese ed
almo, anepigrafa ma attribuita al poeta fabrianese Alberto Orlandi,
il codice riporta i Trionfi di Francesco Petrarca, in una sequenza dei
capitoli che lo individua come peculiare all’interno del gruppo di
testimoni cui è ascritto23.
L’ultima carta del codice, la 44, presenta il solo recto, essendo
stata incollata al piatto della legatura a mo’ di carta di guardia sebbene riporti gli ultimi sei versi del Triumphus mortis: il resto della
carta era rimasto vuoto, e in quello spazio sono state apposte da un
ignoto proprietario del manoscritto sei annotazioni relative agli anni
dal 1521 al 1532 (tav. 1). La scrittura è una italica del tutto congruente con gli anni cui le notazioni si riferiscono: leggermente inclinata,
ben padroneggiata anche se non calligrafica, con trattini orizzontali
molto evidenti alla terminazione delle aste lunghe sotto il rigo (f, p)
e talora all’appoggio dei tratti verticali sul rigo (R), minuto segno “a
due” per et (r. 4 della trascrizione, passim); piuttosto personali sono:
g sinuosa, con occhiello superiore minuto e talora sollevato rispetto
al rigo e occhiello inferiore piuttosto piccolo e calato (r. 11, generale), h aperta a sinistra di ascendenza mercantesca (r. 2, che), r corsiva minuta. Le abbreviazioni si limitano al troncamento di come e
20 Il codice è descritto nell’Inventario dei manoscritti della Biblioteca Casanatense, I,
p. 71 e in MANUS, Censimento dei manoscritti delle biblioteche italiane, http://manus.
iccu.sbn.it.. Per la legatura, P. Quilici, Legature antiche e di pregio della Biblioteca
Casanatense, secc. XIV-XVIII, I, Roma, Ist. Poligrafico, 1995, p. 91 n. 44.
21
B c. 1v, N c. 4r: lettera maiuscola gotica rosa, o rosa e azzurra, su riquadro aureo,
con motivi di palmette e fiori rosa, verdi, azzurre, rosse e bacche auree. Il codice
presenta inoltre lettere filigranate rosse con filigrana violetta e azzurre con filigrana
rossa. La decorazione del codice, sia per le iniziali sia per la bordura di cui si dirà,
sembra più tarda e sovrapposta al codice in tempi non immediatamente successivi
alla scritturazione.
22
Eubel, Hierarchia catholica cit., II, 1914, p. 11 Lo stemma è riprodotto in Stemmario
bolognese Orsini De Marzo, Milano, Orsinidemarzo.com, 2005, p. 129.
23
Ne dà indicazione G. Guerrini Ferri, Il sistema di comunicazione di un “corpus” di
manoscritti quattrocenteschi: i “Trionfi” del Petrarca, «Scrittura e civiltà», 10 (1986),
pp. 172, 175 (n. 318). Cfr. comunque F. Petrarca, Die “Triumphe” im kristischem Texte, hrsg von C. Appel, Halle, Niemeyer, 1901, pp. 12, 106, passim, e I codd. petrarcheschi delle biblioteche governative del Regno, Roma, Tip. Romana, 1874, p. 168.
233
SCRIVERE IL VOLGARE FRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
de, al compendio di del, a rare nasali abbreviate con il titulus: poco
altro, e non sempre funzionale (cfr. r. 4, persone; 14, decembre).
Trascrizione:
1
5
Ricordo com(e) d(e)l mese d(e) maio 1521 com’io la peste in Roma | et
alzo tanto forte che moriano acento et ce(n)tocinquanta el di.
Ricordo com(e) adi 14 d(e) septembro 1526 introrno in Roma | li collonosi co(n) sei milia p(er)son(e) et tucto el palazo apostolico sachigiorno
| et el papa fugi in Castello et el di seque(n)ti se andorno condio24.
Ricordo come ad sei di d(e) maio 1527 intro el Campo | imperiale in
Roma et tucta lassachigiorno et ruvinorno et bruscio(r)no | et li homini
pregioni feceno.
10
Ricordo com(e) dicto esercito adi dicisepte d(e) febr|aro 1528 parti da
Roma et ando in Napoli | dove era arrivato el campo fransese con lotrech25 | loro capitano generale.
Ricordo com(e) ad di 7 d(e) octobre 1530 dal | Tevere Roma fu
inu(n)data26.
15
Ricordo come adi 22 d(e) decembr(e) 1532 unaltra | volta lamajor parte
de Roma dal Tevere fu inundata27.
Alberini, Il sacco di Roma cit., pp. 223-226 narra diffusamente l’oltraggio dei
Colonnesi al Vaticano, confermando che “la matina sequente partirno di Roma”:
Orano afferma tuttavia che i Colonnesi non si ritirarono fino al 22 settembre.
25 Mons. di Lautrec, capo dell’esercito inviato da Francesco I.
26 Dell’ulteriore colpo alla città parla anche la memoria di Teodoro Gualderoni: “In
dicto anno 1530 del mese d’Octobre de Jovedì in la nocte venendo lo venerdì per
le miracolose piogie state comincio el fiume ad crescere et seguio sino in la nocte
della dominica sino alle octo hore, de modo che inundò la Cità quasi tucta che
avanzò la inondatione da Alexandro pontifice, Xci palmi venne el fiumo sino ad
macello de Corvi et sino ad la Casa de nofrio rasca et sino alle Caule de la fonte de
triio; si perse molte quantità de grani vini strani lengne robe mobile, morsero molte persone, ruinorno molti palatii et Case, al decrescere resto la Cita et le cantine
piene de moltissimo limo et fangu. Santa Maria Rotonda restò piena che durò laqua
alta che se ce andava con le barche più d’un mese. Io persi molto vino che havia
in cantina dove durò laqua un mese, et cavai li botti dalle finestre della cantina con
corde et ne recuperai doi o tre bocie” (Armellini, Gli orrori cit., p. 94). Una diffusa
narrazione dell’inondazione fu stampata in tempo reale: Il diluvio di Roma che fu a
VII dottobre lanno MDXXX col numero delle case roinate, delle robbe perdute, animali morti, huomini e donne affogate con ordinata discrittione di parte in parte…,
Bologna, per Giov. Batt. di Phaelli, lanno 1530 dil mese di novembre, riedito a cura
di Benvenuto Gasparoni, in «Arti e lettere», 2 (1865) pp. 81-98, 106-131.
27
Di questa seconda inondazione non si fa menzione nelle fonti finora qui utilizzate.
24
234
LA SCENA DI ROMA: LINGUA, STORIA E TEATRO
---------------------------4-5 seimilia …andorno: su rasura di tre righe, scriptio superior della
medesima mano. 12 7 corretto da 2, di prima mano. 14-15 volta…inundata: sbiadimento, poco leggibile.
I testi sono in questo caso discontinui, ma evidentemente collimanti nei tempi con gli eventi citati: la scansione, l’intento di fissare
singoli eventi e non di narrare, l’evidenza linguistica che l’estensore
sia romano e abbia assistito a quanto si svolge – o abbia un interesse personale a fissarne la notizia in uno spazio disponibile mediante scritte avventizie ma non trascurate28, sulle quali reinterviene
per correzioni vaste (l’ampia rasura nella seconda nota) o piccole
imprecisioni (il giorno della prima inondazione) – ne confermano
la natura di testimonianze vicine ai fatti che, senza apportare nuove
cognizioni sulle vicende, attestano un interesse costante nel tempo
e protratto per undici anni a fissarne il ricordo per sé e per chi
possiederà poi quel codice. Nella medesima logica, con i medesimi
intenti e nella stessa tradizione delle note più private che facevano
di un codice un libro di memorie familiari29.
Per l’approfondimento del concetto e delle modalità delle scritte avventizie, e
per il rapporto tra esse e il codice-ospite, è d’obbligo il rinvio ad A. Petrucci, Spazi
di scrittura e scritte avventizie nel libro altomedievale, in Ideologie e pratiche del
reimpiego nell’alto medioevo, XLVI Settimana di studio del Centro italiano di studi
sull’alto medioevo (Spoleto, 16-21 aprile 1998), Spoleto 1999, pp. 981-1010.
29
Naturalmente, sulla mescolanza tra notizie di fatti storici e pubblici e memorie
private apposte anche come scritte avventizie a libri di altro contenuto si deve richiamare A. Cicchetti-R. Mordenti, I libri di famiglia in Italia. I, Filologia e storia,
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1985, e R. Mordenti, I libri di famiglia in
Italia. II Geografia e storia, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2002.
28
235
SCRIVERE IL VOLGARE FRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO
Tavola 1: Roma, Biblioteca Casanatense, ms 956, c. 44r