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CONDELLO Tre Fontane

SAPIENZA - UNIVERSITÀ DI ROMA STUDI DEL DIPARTIMENTO DI STORIA, CULTURE, RELIGIONI 10 Comitato scientiico Orsola Amore, Giuliana Ancidei, Antonello Biagini, Anna Maria Gloria Capomacchia, Antonino Colajanni, Anna Esposito, Francesco Gui, Anna Maria Isastia, Anna Maria Iuso, Mariano Pavanello, Guido Pescosolido, Emanuela Prinzivalli, Alessandro Saggioro, Alberto Sobrero, Maria Antonietta Visceglia (coordinatore) Segreteria di redazione Michela Guerrato I testi della collana sono valutati da specialisti esterni con procedura anonima Ricerca come incontro Archeologi, paleograi e storici per Paolo Delogu a cura di Giulia Barone, Anna Esposito e Carla Frova viella Copyright © 2013 – Viella s.r.l. Tutti i diritti riservati Prima edizione: settembre 2013 ISBN: 978-88-6728-137-4 viella libreria editrice via delle Alpi, 32 I-00198 ROMA tel. 06 84 17 758 fax 06 85 35 39 60 www.viella.it Tabula gratulatoria Alberzoni Maria Pia, Milano Amore Orsola, Roma Andenna Giancarlo, Milano Archetti Gabriele, Milano Arnaldi Girolamo, Roma Balestracci Duccio, Siena Baronio Angelo, Brescia Beatrice Pier Franco, Padova Beolchini Valeria, Roma Bernacchia Roberto, Mondolfo Biblioteca di Scienze della Storia e Documentazione Storica, Università degli Studi di Milano Boniglio-Dosio Giorgetta, Padova British School at Rome, Roma Caciorgna Maria Teresa, Roma Carbonetti Cristina, Roma Carocci Sandro, Roma Cavallo Guglielmo, Roma Centro Italiano di Studi Longobardi, Brescia Cherubini Giovanni, Firenze Chittolini Giorgio, Milano Collavini Simone Maria, Pisa Corsi Pasquale, Bari Cortonesi Alio, Viterbo Cosentino Salvatore, Bologna Dierkens Alain, Bruxelles Esch Arnold, Roma Falcioni Anna, Fano von Falkenhausen Vera, Roma VI Ricerca come incontro Gangemi Maria Luisa, Roma Gelichi Sauro, Venezia Gianmaria Gioacchino, Anagni Ginatempo Maria, Siena Giostra Caterina, Milano Goetz Hans-Werner, Hamburg Istituto Storico Germanico / Biblioteca Storica, Roma Istituto Storico Italiano per il Medioevo, Roma Kujawiński Jakub, Poznań Leggio Tersilio, Farfa Leverotti Franca, Massa Lorè Vito, Roma Luzzati Michele, Pisa Maire Vigueur Jean-Claude, Roma Manacorda Daniele, Roma Matheus Michael, Mainz Meyer Andreas, Marburg Miglio Massimo, Roma Miller Maureen C., Berkeley Molinari Alessandra, Roma Nishimura Yoshiya, Nagoya Oficina di Studi Medievali, Palermo Piccinni Gabriella, Siena Pinto Giuliano, Firenze Racine Pierre, Strasburgo Rossetti Gabriella, Pisa Saguì Lucia, Roma Saitta Biagio, Catania Sangermano Gerardo, Napoli Senatore Francesco, Napoli Slavazzi Fabrizio, Milano Stroppa Francesca, Brescia Vannini Guido, Firenze Varanini Gian Maria, Verona Varela-Rodríguez Ma Elisa, Girona Vendittelli Marco, Roma Visceglia Maria Antonietta, Roma Ward-Perkins Bryan, Oxford Wolf Kordula, Roma Da quando, nel 1964, venne pubblicato sul «Bullettino dell’Istituto Storico italiano per il Medio Evo» il suo primo saggio Consors regni. Un pro­ blema carolingio, Paolo Delogu è stato una presenza costante e via via di sempre maggior rilievo nella medievistica italiana. Professore prima a Salerno, in seguito a Firenze e, dal 1985, a Roma, gli interessi di Delogu si sono rivolti in un primo tempo alla dissoluzione del potere carolingio in Italia, poi alla storia di Salerno tra VIII e XI secolo, in seguito ai longobardi – e soprattutto al loro sempre discusso rapporto con i romani –, più tardi ai normanni nel Mezzogiorno d’Italia e alla storia economica di Roma nell’alto medioevo. Fondamentale è certamente stato il suo contributo all’affermazione dell’archeologia medievale, una disciplina che in Italia – ino agli Settanta del XX secolo – era stata “schiacciata” dall’incombente presenza di quella classica e che Paolo Delogu ha inizialmente praticato di persona, restando poi, ino ad oggi, attento e stimolante interlocutore per tutti quelli che la praticano sul campo. Nel corso di questo lungo itinerario, geograico e culturale, Delogu ha avuto modo di incontrare molti colleghi, di formare ottimi allievi e di incrociare i più diversi campi di ricerca. Questo volume raccoglie i saggi di chi è entrato in rapporto con lui, come collega, allievo o compagno nell’avventura dell’indagine del passato. La raccolta di saggi, pensata in occasione del suo settantesimo compleanno, coglie la fortunata opportunità di festeggiare la sua nomina a professore emerito della “Sapienza”. Giulia Barone, Anna Esposito, Carla Frova Indice Paolo Tedesco Note sulla genesi e l’evoluzione dell’autopragia demaniale nei secoli IV-VI 3 Gian PieTro BroGiolo Verona tra tardo antico e alto medioevo: alcune considerazioni 19 Marco di Branco Pregi e difetti della compilazione: gli attacchi arabi contro Rodi nelle fonti islamiche 33 sauro Gelichi Lupicinus presbiter. Una breve nota sulle istituzioni ecclesiastiche comacchiesi delle origini 41 alessia rovelli Dns Victoria. Legende monetali, iconograia e storia nelle coniazioni della Langobardia meridionale del IX secolo 61 Giuliano Milani Il secondo Simone. Le fonti letterarie e visuali di un’illustrazione del salterio Chludov (Bisanzio, secolo IX) 83 viTo lorè La chiesa del principe. S. Massimo di Salerno nel quadro del Mezzogiorno longobardo 103 X Ricerca come incontro Giulia Barone Theophanius imperator augustus? Postille sul documento dell’imperatrice Theophanu per Farfa (1° aprile 990) 125 daniele Bianconi Tracce di scrittura beneventana in un nuovo codice italogreco 143 Paolo PeduTo Dal legno alla pietra nelle fortiicazioni normanne in Italia meridionale 165 Federico Marazzi Ultimi longobardi. La contea di Venafro e il suo territorio fra Montecassino, S. Vincenzo al Volturno e i normanni (950-1100 circa) 183 chris WickhaM Albano in the central Middle Ages 209 anTonio sennis Linguaggi della persuasione. Le visioni soprannaturali nel mondo monastico medievale 227 eMMa condello «In monasterio sancti Christi martirys Anastasii qui vocatur Aqua Salvia». Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane 245 lidia caPo Sulle cronache medievali 265 alFonso Marini I viaggi di Francesco. Storia e “memorie”, leggende e metafore 279 carla Frova La storia delle istituzioni scolastiche nel medioevo come tema di storia sociale 293 Indice XI Bruno FiGliuolo I priorati celestiniani molisani di Trivento e Agnone dalle origini alla soppressione (secoli XIII-XIX) 309 ivana aiT Domini Urbis e moneta (ine XIII-inizi XV secolo) 329 Marco cursi Cacciatori di autograi: ancora sul codice Riccardiano 2317 e sulla sua attribuzione alla mano del Boccaccio 351 alFredo cocci Temi antiebraici e islamici nel De adventu Messiae (1339) di Alfonso Buenhombre OP 379 Giovanni viTolo Governo del territorio e rappresentazione dello spazio nel Mezzogiorno aragonese 399 riTa cosMa Il codice Vaticano latino 3993 425 eleonora PleBani Verso l’Africa e l’Oriente. Alcune rilessioni sulla recente medievistica italiana 451 anna esPosiTo Famiglie aristocratiche e spazi sacri a Roma tra medioevo e prima età moderna 471 uMBerTo lonGo L’inventio di Archelao: ovvero la riscoperta delle origini cristiane nel Seicento sardo 483 leonida PandiMiGlio Due libri di famiglia del terzo millennio 495 eMMa condello «In monasterio sancti Christi martyris Anastasii qui vocatur Aqua Salvia». Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane 1. Sui codici superstiti del monastero romano dei Ss. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane, alcuni dei quali presumibilmente anche vergati in quella sede, manca ancora un lavoro paleograico, codicologico e storico che ne conduca l’analisi complessiva, contribuisca alla storia della raccolta libraria,1 e attraverso di essa a quella della vita culturale che pure si svolse nel monastero delle Tre Fontane, e concorra quindi a una migliore comprensione del ruolo effettivo che la fondazione poté esercitare sulla scena religiosa e politica romana tra i secoli VII e XIV. Una ricerca attualmente in corso, dedicata appunto alla raccolta libraria del monastero delle Tre Fontane, ha portato alla luce un nuovo codice, oggetto di questa segnalazione e testimone utile alla rilessione su una delle fasi storicamente non documentate delle vicende del monastero. Già la fase della fondazione, del resto, è documentata in modo controverso e solo indirettamente.2 Il Chronicon di Benedetto di S. Andrea del Soratte ne attribuisce l’istituzione a Narsete nel luogo della decollazione 1. Utile e unico apporto speciico è ad oggi lo studio di L. Speciale, Una cellula e i suoi libri: i Ss. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane e Casamari, in «Ratio fecit diversum». San Bernardo e le arti, Atti del Congresso internazionale (Roma, 27-29 maggio 1991) = «Arte medievale», 2a s., 8 (1994), fasc. 2, pp. 47-76, in particolare pp. 47-61: prodigo di spunti validi per altri approcci, il lavoro è orientato naturalmente secondo prospettive di interesse spiccatamente storico-artistico, e le attribuzioni segnalate sono da esaminare in chiave paleograica e storica e, nel complesso, da rideinire nel numero. 2. G. Ferrari, Early Roman Monasteries. Notes for the History of the Monasteries and Convents at Rome from the V through the X Century, Città del Vaticano 1957, pp. 3348, in particolare pp. 33-36 per un elenco delle testimonianze indirette dei secoli VII-XI ineunte. 246 Emma Condello e della prima sepoltura di san Paolo,3 poi traslato nella basilica eponima di fondazione costantiniana; la fondazione di Narsete sorgerebbe su un oratorio eretto già poco dopo il martirio dell’apostolo Paolo.4 Scavi condotti circa un ventennio fa all’interno della chiesa attuale attestano fondazioni sulle quali l’attuale monastero insiste, databili alla seconda metà del VI o al VII secolo: sono state individuate molteplici tracce, tra le quali un muro portante in opus listatum di blocchetti di laterizio di recupero e blocchetti di peperino squadrati, le sezioni parziali di fondamenta con peculiarità distintive rispetto alle strutture sovrapposte, i resti di «una poderosa struttura che divideva due ambienti pavimentati a cruste marmoree, l’uno a E e l’altro a O».5 3. Il «Chronicon» di Benedetto monaco di S. Andrea del Soratte e il «Libellus de imperatoria potestate in urbe Roma», a cura di G. Zucchetti, Roma 1920, p. 32. La notizia del Chronicon è tuttavia da considerare con cautela, poiché istituisce, in epoca tarda, una continuità tra la fondazione di Narsete e il monastero di S. Anastasio sulla quale vigono orientamenti contrastanti: cfr. [A. Barbiero o.c.r.], S. Paolo e le Tre Fontane. XXII secoli di storia messi in luce da un monaco cisterciense (trappista), 1, Roma 1938, p. 66, con attribuzione agli anni Sessanta del VI secolo, e, versus, oltre già a I. Giorgi, Il Regesto del monastero di S. Anastasio ad Aquas Salvias, in «Archivio della Società romana di storia patria», 1 (1887), pp. 49-77, anche J.-M. Sansterre, Les moines grecs et orientaux à Rome aux époques byzantine et carolingienne (milieu du VIe s.-in du IXe s.), Bruxelles 1983, 1, pp. 14-15, 30-31, 2, p. 229. Va rilevato che nonostante la forte connotazione paolina del luogo (cfr. G.B. De Rossi, Oratorio e monastero di S. Paolo alle Acque Salvie costruiti da Narsete patrizio, in «Bullettino di archeologia cristiana», 4a s., 5 [1887], pp. 79-81), non appare incontrovertibile nemmeno la notizia dell’intitolazione a san Paolo della chiesa e del monastero istituiti da Narsete giusto in contiguità dell’omonima abbazia, maggiore e preesistente: alla quale, inoltre, nel 604 Gregorio Magno assegnava l’intera «massam quae Aqua Salvias nuncupatur, cum omnibus fundis suis», formula che può agevolmente sottintendere chiese minori, oratori o luoghi di culto circoscritti, ma dificilmente un monastero già attivo da circa mezzo secolo e assegnato a monaci non latini (cfr. Inscriptiones Christia­ nae Urbis Romae septimo seculo antiquiores, n.s., 2, ed. A. Silvagni, Romae 1935, n. 4790, per la charta lapidaria tuttora in S. Paolo). 4. B.G. Bedini, Breve prospetto delle Abbazie Cistercensi d’Italia, dalla fondazione di Citeaux (1098) alla metà del secolo decimoquarto, Casamari 1966, p. 30. Cfr. V. Fiocchi Nicolai, Strutture funerarie ed ediici di culto paleocristiani in Roma dal III al VI secolo, in Le iscrizioni dei cristiani in Vaticano. Materiali e contributi scientiici per una mostra epi­ graica, a cura di I. Di Stefano Manzella, Città del Vaticano 1997, pp. 121-141, in particolare pp. 121-122; inoltre, i frammenti di epigrafe pubblicati da G.B. De Rossi, Recenti scoperte nella chiesa delle Acque Salvie dedicata alla memoria dell’apostolo Paolo, in «Bullettino di archeologia cristiana», 7 (1869), pp. 83-92, in particolare p. 84, n. 2, attribuiti dall’editore al restauro di un luogo di culto paolino preesistente da parte di Sergio I, dunque tra 688 e 689. 5. M.L. Mancinelli, L. Saladino, M.C. Somma, Indagini all’interno della chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio, in «Ratio fecit diversum», fasc. 1, pp. 107-120 (citazione da p. 114). Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane 247 Il monastero appare intitolato nel VII secolo a sant’Anastasio, recente martire di Persia le cui spoglie, trasferite con il favore dell’imperatore Eraclio, sotto Onorio I trovarono sede e culto in Roma: il corpo decollato in S. Paolo fuori le Mura, la testa e l’immagine miracolosa nel vicino monastero delle Tre Fontane alle Acque Salvie da allora dedicato al martire persiano.6 S. Anastasio è stato per diverso tempo un monastero greco: per crisma di fondazione, se lo si consideri continuazione di una primitiva fondazione di Narsete, o per destinazione successiva quando, con la prima metà del VII secolo, a causa dell’invasione araba prima ancora che per i torbidi durante l’eresia monotelita, divenne asilo di monaci esuli dalla Cilicia,7 dei quali in relazione al concilio Lateranense del 649 si menziona Giorgio «abbas presbyter venerabilis monasterii de Cilicia, qui ponitur in Aquas Salvias, quod in hac romana civitate habitare dignoscitur».8 Certamente il monastero era retto da un egumeno nell’ultimo quarto dell’VIII secolo, quando il culto romano di Anastasio veniva ricordato nel corso del II concilio di Nicea;9 poco più tardi, «Basilica vero monasterii beati Anastasii Christi Martiris, una cum baptisterio et egumenachio, ceterisque aediiciis per in6. Gli Acta Sanctorum quotquot toto orbe coluntur, Ianuarii, 2, Antverpiae 1643, p. 425, citano come asilo delle reliquie una chiesa di S. Maria ad Aquas Salvias, in base alla notizia errata che tale fosse l’intitolazione del monastero precedente alla attuale. Si opera così una confusione, trasmessa ad altre fonti, con la chiesa di S. Maria in Scala coeli, notevolmente più tarda del VII secolo, che trae origine da una cappella semplicemente intitolata alla Vergine, attigua alla chiesa abbaziale di S. Anastasio e ricordata già nel Liber pontii­ calis come un oratorio «sanctae Mariae qui ponitur in monasterio Aquae Salviae» (Liber pontiicalis, Texte, introduction et commentaire par l’abbé L. Duchesne, Paris 1886-1892, 2, p. 24). La cappella fu in seguito solennizzata come luogo della visione dell’ascesa delle anime purgate al Paradiso ricevuta da Bernardo di Clairvaux lì raccolto in preghiera (cfr. A. Manrique, Cisterciensium seu verius ecclesiasticorum annalium a condito Cistercio…, 1, Lugduni 1642, p. 393, nn. 6-7): di qui l’appellativo in Scala coeli. 7. R.-J. Lilie, Die byzantinische Reaktion auf die Ausbreitung der Araber. Studien zur Strukturwandung des byzantinischen Staates im 7. und 8. Jahrhundert, Münich 1976 (Miscellanea Byzantina Monacensia, 22), pp. 52-56, 61. 8. Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio…, ed. novissima, 10, 1767, 903 B-C; v. poi Annales ordinis Sancti Benedicti, 1, Lucae 1739, pp. 373-374, ad a. 649: «Tunc temporis plurimi, tum ex Oriente, tum ex Africa monachi a Monothelitis vexati in Urbem commigraverant, sibique assignatas a pontiice occupabant ecclesias… Ab eo tempore a monachis Graecis incoli coepit basilica sancti Anastasii ad Aquas salvias, quem locum Gregorius Magnus basilicae sancti Pauli prius attribuerat». 9. P. Labbe, Sacrosanta concilia ad regiam editionem exacta… nunc vero integre in­ sertis Stephani Baluzii et Iohannis Arduini additamentis, 8, Venetiis 1729, coll. 861-866, ad a. 787. 248 Emma Condello curiam monachorum nocturno silentio exustam a fundamentis usque ad summum», e Adriano I, miracolosamente recuperata intatta la cassa delle reliquie, «noviter in meliori statu praedictam ecclesiam cum vestario et ygumenarchio ceteraque aediicia renovavit ac restauravit. Et amplius in ea sanctuaria atque ministeria et ornatum maxime quam ibidem combusta sunt contulit».10 Monaci greci devono aver popolato S. Anastasio ino a momento imprecisato del X secolo, forse ino al termine del secolo se ancora nel 998 a san Nilo veniva proposta la sistemazione in quella sede e l’egumenato del monastero stesso, cui il santo avrebbe rinunciato preso atto della decadenza dei costumi della comunità:11 indicativa la speciicazione «Grecanicae genti semper addictum» che accompagna la notizia e la menzione del monastero nella Vita s. Nili, composta nel primo scorcio e comunque entro la metà dell’XI secolo.12 Appare improbabile che la presenza greca si sia protratta oltre il limite del X secolo, in mancanza di testimonianze ulteriori e alla luce della rapida lessione dell’elemento greco che si registra nella Chiesa romana dall’ultimo quarto del IX secolo,13 nonché dell’eventualità che i benedettini siano subentrati in S. Anastasio proprio tra il IX e il X secolo.14 Dopo la metà dell’XI secolo il monastero 10. Liber pontiicalis, 1, pp. 512-513. 11. Sansterre, Les moines grecs, 1, p. 207; Id., Le monachisme byzantin à Rome, in Bisanzio, Roma e l’Italia nell’alto medioevo, 34a settimana di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo (Spoleto, 3-9 aprile 1986), Spoleto 1988, pp. 701-746, in particolare p. 709. 12. [Bartholomaeus Cryptoferratensis], Vita s. Patris Nili iunioris… latinitate donata interprete Io. Matthaeo Caryophilo archiep. Iconiensi, Romae 1624, p. 153. In base a questo dato, Sansterre, Le monachisme byzantin, pp. 709 e 716, ipotizza che l’insediamento greco sussistesse ancora nell’XI secolo: ma la redazione della biograia di san Nilo è immediatamente successiva alla scomparsa del santo, nel 1004, e appare azzardato estendere la validità dell’attestazione oltre il primo scorcio del secolo. Del resto, tempi analoghi di passaggio dai monaci greci ai latini si riscontrano per altri monasteri romani: S. Saba, S. Agata de Subura, S. Andrea in clivo Scauri, S. Silvestro in Capite. 13. Sansterre, Les moines grecs, 1, pp. 206-212. Il più recente riepilogo, con bibliograia aggiornata, sulla comunità greca, ecclesiastica e laica, nella Roma altomedievale, e sul declino di tale presenza, ora in V. von Falkenhausen, Roma greca: VII­XI secolo, in Roma e il suo territorio nel medioevo. Le fonti scritte fra tradizione e innovazione, Atti del Convegno dell’Associazione Italiana Paleograi e Diplomatisti (Roma, 25-29 settembre 2012), in corso di stampa. 14. G. Tomassetti, La Campagna romana antica, medioevale e moderna, nuova ed. aggiornata a cura di L. Chiumenti, F. Bilancia, 5, Roma 1979, p. 425. Suggestiva ma inora priva di riscontro la notizia che i benedettini fossero insediati in S. Anastasio in dal 795: Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane 249 era già di culto e lingua latini, se latino si deve ipotizzare fosse l’arciprete Suppo, padre spirituale di Nicolò II e igura inluente tanto da poter intervenire in favore del deposto antipapa Benedetto X, ottenendo per lui da Nicolò condizioni di penitenza meno umilianti e in seguito da Gregorio VII una sepoltura onoriice.15 2. Il rischio di dispersione e la vastità della materia impediscono di ripercorrere in questa sede ulteriori fonti e notizie riferibili alla fortuna e ai periodi di oscurità del monastero in Aquas Salvias, alla nuova consacrazione da parte di Onorio III nel 1221, all’inclusione del martire iberico Vincenzo nel titolo originario, alla decadenza progressiva con il XV secolo; né le circostanze e conseguenze dell’avvicendamento di benedettini, benedettini cluniacensi, cistercensi dopo la comunità greca delle origini.16 Tuttavia, tra le fonti richiamate nelle righe precedenti, almeno il Liber pontiicalis merita, ai ini di un discorso sulla cultura libraria del sito, un sovrappiù di attenzione, per i numerosi richiami alla benevolenza papale verso l’abbazia nei secoli VIII e soprattutto IX, concretizzata in molti doni generosi che tuttavia mai riguardano libri. A pubblica conferma del loro favore, Leone III, Gregorio IV, Leone IV, Benedetto III, Niccolò I offrono al monastero «vestem cum chrisolabo, eiusdem martyris passione depicta, vestem siricam de fundato, et vela de fundato duo, compta in circuitu de blata; cum periclisin de blatthin vela quattuor; farum de argento com canistro octogoni, coronam ex argento; gabatham saxiscam ex argento purissimo unam»,17 ma non libri: contrariamente a quanto contemporaneamente accade per altre chiese e monasteri romani e del comprensorio.18 Il monastero di S. cfr. L.H. Cottineau, Répertoire topo­bibliographique des Abbayes et prieurés, Mâcon 1937, 2, col. 2503. 15. Liber pontiicalis, 2, Annales romani, p. 336. 16. Si rinvia alla pubblicazione della ricerca in corso, richiamando qui la bibliograia sopra riferita cui si aggiungano almeno P.F. Kehr, Le bolle pontiicie che si conservano negli Archivi Senesi, in «Bullettino senese di storia patria», 6 (1899), pp. 51-102, in particolare p. 56 n. 3; Id., Papsturkunden in Italien. Reiseberichte zur Italia pontiicia, 4, 1903­1922, Città del Vaticano 1977, pp. 14, 34-35, 130, 134; R. Valentini, G. Zucchetti, Codice topo­ graico della città di Roma, Roma 1940-1953, 2, p. 109, 3, p. 24, 4, p. 88. 17. Liber pontiicalis, 2, pp. 11, 22, 24, 79, 109, 145, 158. 18. S. Andrea sulla via Appia, chiesa suburbana, riceve da Leone III libri, oltre che argenti e vesti; Leone IV commissiona ben undici codici liturgici (tra i quali un Evangeliario legato in argento) per S. Maria in vico Sardorum e per S. Leone di Cencelle; Benedetto III dona un Vangelo decorato e vergato in oro e argento a S. Maria in Trastevere, e due forse 250 Emma Condello Anastasio, che giusto nel IX secolo sembra aver toccato il massimo del suo prestigio tra i monasteri greci di Roma, doveva tuttavia già disporre di un proprio corredo di libri, dei quali parte sostanziale necessariamente consisteva di codici greci. Della raccolta più antica nulla è identiicato, né è possibile ipotizzarne l’entità, pur dovendo postularne l’esistenza. Essa doveva includere i libri liturgici indispensabili e quanto necessario all’acculturazione almeno minimale dei monaci, in greco ma anche in latino, e forse si estendeva anche ad altri generi: verosimilmente a quello agiograico, se – come suggeriscono la versione latina degli Acta s. Anastasii e la composizione, accompagnata dalla immediata traduzione, del Miracu­ lum s. Anastasii Persae, ambedue compiute nel monastero rispettivamente nell’VIII secolo e alla ine del secolo stesso19 – il monastero stesso ebbe parte attiva nella campagna di traduzioni agiograiche dal greco fervida in Roma tra VII e IX secolo.20 Non emerge notizia di libri appartenuti al monastero delle Acque Salvie per l’età anteriore all’XI secolo, mentre per i secoli compresi tra la ine dell’XI e il XV si collezionano, tramite ricerca d’archivio e segnalazioni di studi liturgistici o storico-artistici, undici, forse dodici codici in corso di analisi paleograico-codicologica e storica: tra di essi, quello che si attesta come uno dei più antichi, certamente il più rilegati in argento rispettivamente a S. Balbina e a S. Ciriaco; S. Salvatore, Ss. Quattro Coronati, S. Marcello, S. Maria in Manturiano, S. Pudenziana, S. Anastasia, S. Croce in Gerusalemme, S. Gregorio presso S. Pietro, la Schola cantorum ricevono libri da Stefano V: cfr. ibid., pp. 9, 128, 132, 145, 146, 194-195. 19. BHG 89, BHL 412; Acta martyris Anastasii Persae, ed. H. Usener, Bonn 1894. 20. Cfr. Sansterre, Les moines grecs, 1, pp. 112, 149, 150, e 2, p. 75, nota 109, passim, e Id., Le monachisme byzantin, p. 728. Per un aggiornamento della vasta bibliograia sul tema della traduzione dal e in greco a Roma nell’alto medioevo, sviluppata a partire dalle osservazioni di P. Batiffol, Librairies byzantines à Rome, in «Mélanges d’archéologie et d’histoire de l’École Française de Rome», 8 (1888), pp. 297-308, in particolare pp. 298300, utili oggi i riferimenti romani nelle trattazioni e bibliograie ragionate allestite da R. Gounelle, Traductions de textes hagiographiques et apocryphes latins en grec, in «Apocrypha», 16 (2005), pp. 35-73, e X. Lequeux, Latin Hagiographical Literature Translated into Greek, in The Ashgate Research Companion to Byzantyne Hagiography, 1, Periods and Places, a cura di S. Efthymiadis, Farnham-Burlington 2011, pp. 385-399 (devo la conoscenza di quest’ultimo contributo alla competenza di Sever Voicu, che ringrazio vivamente). Una visione cronologicamente e tematicamente più ampia del fenomeno, inclusiva del basso medioevo e della letteratura profana e sempre molto attenta all’ambito romano, è offerta da P. Chiesa, Le traduzioni in latino di testi greci, in Lo spazio letterario del medioevo, 3.1, Roma 2004, pp. 419-518, in particolare pp. 496-505, e da D. Bianconi, Le traduzioni in greco di testi latini, ibid., pp. 519-568, in particolare pp. 539-549. Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane 251 eccentrico rispetto alla isionomia del corpus sotto osservazione, e inora il più rilevante per qualità graica, interesse decorativo e le implicazioni con fenomeni librari spiccatamente romani nei secoli XI e XII. 3. Si tratta di un Gregorio Magno, oggi Moralia in Iob, Biblioteca apostolica Vaticana, Urbinate lat. 97, che costituiva il primo tomo (ll. I-XX) di un esemplare dei Moralia in due volumi.21 Il codice, databile tra la ine dell’XI secolo e il primo scorcio, o primo quarto del XII, è un manufatto di ben 339 carte, pregevole per cura nella confezione, attenzione graica, inezza decorativa. L’esame approfondito lo segnala come ulteriore testimone di quella parte della produzione libraria romana, e della regione immediatamente circostante, collegata al fenomeno delle Bibbie atlantiche.22 Atlantico è il formato (mm 555 × 372, con specchio scrittorio di mm 426 × 259), pianiicabile e gestibile solo da un’oficina di notevoli capacità artigianali: a tale presupposto rimandano anche la fascicolazione regolarissima, in quaternioni la cui sequenza si rivela rimaneggiata in inizio e ine del codice,23 nonché la cura nella foratura, con tracce esigue, e nella 21. La bibliograia sul codice, sfuggito inora all’attenzione degli studi, consiste della descrizione in C. Stornajolo, Biblioteca Apostolica Vaticana. Codices Urbinates latini, 1, Romae 1902, p. 114, in A. Poncelet, Codicum hagiographicorum latinorum Bibliothecae Vaticanae, Bruxellis 1910, p. 295, e di una spoglia menzione in S. Gregorii Magni Moralia in Iob, cura et studio Marci Adriaen, 1, Turnholti 1979, p. XVIII. Se ne pubblicherà la scheda analitica a cura di chi scrive nel Catalogo dei manoscritti miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana. Fondo Urbinate, in corso di allestimento per cura di S. Maddalo: a quella sede si rinvia per ogni dettaglio ulteriore, fornendo qui una presentazione inalizzata a una prima segnalazione. 22. P. Supino Martini, Roma e l’area graica romanesca, Alessandria 1987, pp. 25-33, 108-117, passim; ead., La scrittura delle Scritture (sec. XI­XII), in «Scrittura e civiltà», 12 (1988), pp. 101-118; ead., Origine e diffusione della Bibbia atlantica, in Le Bibbie atlanti­ che. Il libro delle Scritture tra monumentalità e rappresentazione (Montecassino-Firenze, 11 luglio 2000-gennaio 2001), catalogo a cura di M. Maniaci e G. Oroino, Roma 2000, pp. 39-44; da ultimo, E. Condello, La Bibbia al tempo della Riforma gregoriana: le Bibbie atlantiche, in Forme e modelli della tradizione manoscritta della Bibbia, a cura di P. Cherubini, Città del Vaticano 2005, pp. 347-372, con riepilogo della bibliograia retrospettiva. 23. Quanto alla consistenza dei fascicoli, le sole eccezioni originarie sono motivate da esigenze di scansione testuale (nel caso dei fascicoli I [cc. 3-8], senione, e XLIII, l’ultimo, ternione mutilo dell’ultima carta, bianca, reintegrata da restauro). Risultano spostati – forse all’epoca dell’attuale legatura, realizzata negli anni Cinquanta-Sessanta del XVII secolo sotto Alessandro VII – il fascicolo XL (cc. 309-312), che era anteposto agli altri e ha inoltre subito smembramento, sicché ne sono al di fuori oggi le cc. 1-2 e 307-308 che originariamente completavano il quaternione, e il I, sopra descritto, che si trovava inizialmente in seconda sede. La sequenza corretta delle carte è pertanto: 1, 309, 307, 310, 311, 308, 312, 2-306, 313-334. 252 Emma Condello rigatura che prevede colonne deinite da verticali doppie, con rettrici coninate all’interno delle due colonne di scrittura.24 Ben più incisivi quanto alla localizzazione romana del codice si rivelano i fattori graico e decorativo, e i dati storici che una attenta ispezione del manoscritto porta in luce. La decorazione del manoscritto, ignoto a Garrison nella sua vastissima e documentata rassegna della produzione latamente romana dei secoli XI e XII,25 manifesta elementi di aderenza al geometrical style e inlussi di decorazione beneventana, tali da segnalare l’eventualità di origine in Roma o area limitrofa, in quanto solo ambito ove storicamente la commistione tra i due mondi decorativi e le due civiltà librarie è possibile e attestata.26 Il confronto con i materiali pubblicati da Garrison e da Ayres27 non ha individuato 24. Tipo speciale P4-K 20E2, in base a J. Leroy, Les types de réglure des manuscrits grecs, Paris 1976. Da rilevare, a proposito degli indizi di ambiente e cronologia cui anche la rigatura può fornire talora supporto, che la tipologia con doppia vertiacale a delimitare ogni colonna di scrittura appare maggioritaria nelle Bibbie atlantiche anteriori agli esordi del XII secolo, mentre la gestione delle rettrici presentata dall’Urbinate sembra aver riscontro limitato alle Bibbie di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Conventi soppressi 307, e Biblioteca apostolica Vaticana, lat. 4216, ambedue del XII secolo, primo quarto o entro la metà (cfr. le rilevazioni di M. Maniaci, La struttura delle Bibbie atlantiche, in Le Bibbie atlantiche, pp. 47-60, in particolare pp. 51 e 54). 25. E.B. Garrison, Studies in the History of Mediaeval Italian Painting, Firenze 19531962. 26. La più articolata trattazione organica dei rapporti tra scritture e libri di area romanesca e di area beneventana in Supino Martini, Roma e l’area graica romanesca, pp. 147-167, con ulteriori frequenti riferimenti passim; v. inoltre Garrison, Studies, 1, p. 24 e nota 28, 2, p. 82. 27. Cfr. L.M. Ayres, A Fragment of a Romanesque Bible in Vienna (Österr. National­ bibl., Cod. ser. nov. 4236) and Its Salzburg Afiliations, in «Zeitschrift für Kunstgeschichte», 45 (1982), pp. 130-144; Id., The Bible of Henry IV and an Italian Romanesque Pandect in Florence, in Studien zur mittelalterlichen Kunst, 800­1250. Festschrift für Florentine Mütherich zum 70. Geburtstag, a cura di K. Bierbrauer, P.K. Klein, W. Sauerlander, München 1985, pp. 157-164; Id., An Italianate Episode in Romanesque Bible Illumination at Weingarten Abbey, in «Gesta», 24 (1985), pp. 121-128; Id., An Italian Romanesque Manu­ script of Hrabanus Maurus «de laudibus S. Crucis» and the Gregorian Reform, in «Dumbarton Oaks Papers», 41 (1987), pp. 13-27; Id., An Italian Romanesque Manuscript of Gre­ gory the Great’s «Moralia in Job», in Florilegium in honorem Carl Nordenfalk octogenarii contextum, Stockholm 1987, pp. 34-46; Id., Gregorian Reform and Artistic Renewal in Ma­ nuscript Illumination: The «Bibbia atlantica» as an International Artistic Denomination, in La Riforma gregoriana e l‘Europa, Congresso internazionale (Salerno, 20-25 maggio 1985), 2, Roma 1992, pp. 145-152; Id., The Italian Giant Bibles: Aspects of their Touronian Ancestry and Early History, in The Early Medieval Bible. Its Production, Decoration and Use, a cura di R. Gameson, Cambridge 1994, pp. 125-154; Id., Le Bibbie atlantiche. Dalla Riforma alla diffusione in Europa, in Le Bibbie atlantiche, pp. 27-38. Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane 253 parentele strette con singoli testimoni, ma una chiara familiarità con i modi che Garrison indicava come early e transitional geometrical style, e inoltre un inlusso dei motivi e del colorismo luminoso e trasparente prediletto dal libro in beneventana lì praticato in gamma ben più ampia di quella rappresentata nell’Urbinate. Le venticinque iniziali decorate, collocate in apertura di ogni libro, delle prefazioni e dei prologhi, sono disegnate con inezza, in qualche caso superbamente, come per l’inizio del prologo ai Moralia a c. 9r, ove RE(verentissimo) disegnate da tratti raddoppiati e tralci proilati di rosso in riserva si stagliano su fondo giallo, con lacunari riempiti di giallo e di azzurro chiaro, e presentano intreccio geometrizzante desinente in fogliette cuoriformi o nodi geometrizzanti e sviluppo lussureggiante di girari per un’altezza di 21 cm, corrispondente a ventuno righe di scrittura. La medesima carta esibisce anche l’iniziale della lettera prefatoria, D(udum) eseguita in rosso a tratto raddoppiato, recante all’interno disegno fogliare su sfondo bipartito giallo e azzurro chiaro, con il tratto superiore adagiato a sinistra terminante con largo nodo e testina d’uccello che becca il tralcio. Le iniziali delle prime centocinquanta carte circa fanno capo a questa tipologia di lettere delineate in rosso in riserva, a doppio nastro o con tralci avvinti su se stessi, con motivi di nodi geometrizzanti nei tratti o all’interno degli occhielli o alla sommità delle aste o all’intersezione di tratti. Le lettere possono presentare, come nei casi già riferiti, sfondo o lacunari gialli e azzurro chiaro28 oppure solo gialli;29 spesso recano, nel disegno della lettera stessa o alle terminazioni dei tratti o dei tralci, motivi zoomori di evidente ispirazione beneventana quali le igurine o testine d’uccello30 o di cane31 che afferrano i tralci (igura 1). Da c. 171 in poi le iniziali sono ancora delineate in rosso in riserva e riempite di tralci, risultando tuttavia completate solo quelle con sfondo o lacunari gialli e verde chiaro;32 da c. 202v in poi, compaiono inemente disegnate in rosso e complete nella forma ma prive di colore e verosimilmente non terminate,33 come appare anche in quelle più articolate quanto a motivi ornamentali adottati.34 Alle consuetudini graiche 28. C. 116r, P. 29. Cc. 18r, V; 25v, S; 70v, D. 30. Cc.11v, I; 42v, b; 54v, Q; 102v, Q. 31. Cc. 89v, S; 137r, P. 32. Cc. 171r, Q; 182v, M; 193v, E. A questa tipologia si riferiscono anche le iniziali 1v, C , e 309r, V, di disegno meno elegante. 33. Cc. 202v, S; 217 v, Q; 234v, Q; 252r, Q; 304r, Q. 34. Cfr. a c. 264r, P(lerumque), con asta a intreccio geometrico in riserva e terminazioni inferiore a palmetta, superiore a nodo intrecciato; o a c. 288r, Q(uid), in cui i due tratti 254 Emma Condello Figura 1. BAV Urb. lat. 97, c. 89v (particolare) Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane 255 e ornamentali delle Bibbie atlantiche romane si riferisce poi direttamente la capitale epigraica con E ed M tonde, G a ricciolo (anche nella variante squadrata), R con occhiello piccolo e aperto e tratto obliquo sinuoso e molto sviluppato, titulus a tegola, lettere incluse, nessi, letterine rimpiccolite e sollevate: anche qui è utilizzata per incipit ed explicit solenni, impaginati con criteri di nitore epigraico (cfr. cc. 9r, 89v, 116r, 304r), in lettere rubricate, o nere proilate o riempite di rosso e di giallo o di giallo e azzurro, o a lettere alternate rosse e nere, o a righe alternate rosse o nere.35 Il testo dei Moralia è vergato in una carolina grande, larga, squadrata, leggermente inclinata a destra, con elementi molto frequenti di inlusso cancelleresco manifesti nella prima e nell’ultima riga di molte carte, laddove le aste frequentemente si sviluppano oltre la norma nel margine superiore o inferiore e quelle alte sul primo rigo presentano spesso terminazione sinuosa o iocco cancelleresco,36 o possono talvolta comparire litterae elongatae,37 o ricorrono legamenti st di esagerata altezza desinenti a punta aguzza o a nodo, oppure bassi e dilatati, a cupola;38 si aggiunga inoltre il iocco cancelleresco frequentissimo nell’abbreviazione di -us e di -rum. La scrittura presenta in ricorrenti seppure incostanti accenni di schiacciamento (cfr. cc. 113r, 128va, passim) e altre caratteristiche che tracurvi di destra e sinistra sono riempiti di intreccio geometrizzante e recano a metà nodi anch’essi geometrizzanti, mentre il tratto terminale orizzontale rimane vuoto, come l’occhiello. Diversa dalle altre iniziali la Q di c. 158r, da attribuire ad altra mano che ha riempito in un secondo tempo uno spazio rimasto riservato, ripetendo i motivi decorativi già praticati nel codice (tralci in riserva, sfondo giallo, testina d’uccello) con esiti piuttosto sommari. 35. Di minore eleganza e altra esecuzione l’incipit di c. 1r, in lettere alternate rosse e nere, e l’explicit di c. 333v, in modulo solenne: ambedue comunque riferiti ai modelli epigraici cui si ispira tutto il codice (42v, 102v, 116r, 158r, 171r, 182v, 193v, 217v, 234v, 251v, 264r, 288r, 309r), per i quali A. Petrucci, Divagazioni paleograiche sulla Roma gregoriana, in Studi sulle società e le culture del Medioevo, per G. Arnaldi, a cura di L. Gatto, P. Supino, Firenze 2002, pp. 471-478. Utile il raffronto con la capitale distintiva, appena più tarda forse, della Bibbia Biblioteca apostolica Vaticana, Rossiano 617, codice atlantico di origine romana databile al primo quarto del XII secolo, per il quale si rinvia a E. Condello, Per una indagi­ ne sui secoli XI e XII: considerazioni sulla Bibbia atlantica BAV Rossi 617, in «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medioevo», 110 (2008), 2, pp. 189-203, cfr. p. 202, nota 52. 36. A titolo di campionatura di fenomeni molto frequenti, cfr. cc. 18r, 162vb, 178rb, 182vb, sempre in primo rigo, e 157rb, 172vb in ultimo rigo. 37. Cfr. h c. 150vb, f c. 162vb, I, l c. 166vb, E c. 169vb, sempre in primo rigo. 38. Per il primo caso, cfr. cc. 23rb o 113rb, sempre in primo rigo; ma anche in interno di colonna, cc. 113rb r. 23. Per il secondo, c. 118rb r. 35 e 202 vb r. 35 est, 126va r. 15 intestati, e passim. 256 Emma Condello discono una contiguità con la minuscola romanesca: tracce di legamenti corsivi sporadicamente emergenti o appena accennati in em, en, er, i, ri;39 R, non solo in ine rigo o ine testo ma talvolta in interno di parola;40 u angolata in interlinea a ine rigo;41 nesso NT, molto frequente,42 e nesso NS, più raro.43 Inoltre, ricorrono spesso il punto interrogativo inale beneventano e occasionalmente il segno interrogativo soprascritto,44 e il periodus beneventano come segno di pausa inale. Questa carolina così connotata viene vergata da due mani molto afini, databili tra la ine dell’XI secolo e il primo quarto del XII, che si avvicendano a metà circa del codice, e a metà esatta del testo, tra la conclusione del libro X e l’inizio dell’XI. La mano A, che esegue le cc. 9r-170v e ricompare brevemente a c. 172rb rr. 1-4, appare più calligraica, via via spesso più rigida, e sembra indulgere a elementi di gusto cancelleresco. La mano B, cui spettano le cc. 171r-306v e 313r-333r, utilizza di quando in quando e con occhiello superiore chiuso tendenzialmente più alta delle lettere adiacenti,45 e manifesta suggestioni di romanesca più esplicite, tra le quali una maggiore inclinazione di r, talvolta appena discendente sotto il rigo e spesso dotata, se in ine rigo, del tratto di destra dilatato e prolungato,46 con analogia a quanto la stessa mano pratica per a nella medesima posizione;47 il ricorrere di N in interno di parola e di rigo, spesso sviluppata in larghezza;48 la maggiore frequenza del nesso NT 39. Cc. c. 328rb r. 141 arcem; 314ra r. 16 accendatur; 266rb r. 25 mergatur; 168vb r. 42 paciica, 188vb r. 6 iant; 145ra r. 9 altaris, 162va r. 23 turbari. 40. C. 156rb r. 27 disparilitas. 41. Cc. 153rb r. 29 seque, 183rb ultimo rigo eius. 42. Cc. 98ra r. 13, 112ra r. 29, 168vb r. 29, 188vb rr. 6 e 7, 200 rb r. 43, 207rb r. 26, passim. 43. C. 153rb r. 14 resistens. 44. Così anche in alcuni codici sicuramente romani, vergati in romanesca o in carolina non tipizzata: ambedue i segni nel Lezionario di S. Gregorio al Celio Biblioteca apostolica Vaticana, lat. 1274, del secolo XI ine o XII inizi; il segno soprascritto nelle Vitae Sancto­ rum Biblioteca apostolica Vaticana, lat. 1189, della prima metà dell’XI, nell’Expositio in ep. Pauli Oxford, Bodl. Add. D 104 trascritto nel 1067 per S. Cecilia in Trastevere, nel Martirologio Barb. lat. 646, attribuibile a S. Paolo fuori le Mura e alla seconda metà dell’XI secolo. Su di essi, cfr. E.A. Lowe, The Beneventan Script. A History of the South Italian Minuscule, 2a ed. a cura di V. Brown, Roma 1980, pp. 261, 265, 266, 267, e Supino Martini, Roma e l’area graica romanesca, pp. 90-91, 95-97, 100-102, 103 e nota 2, 108. 45. Cc. 204rb u.r. prosperitatem; 301ra r. 36 congregaret; passim. 46. Cc. 171v r. 36 reverteris; 183vb rr. 36 recuperantur, 41 multiplicantur, 43 fortiter. 47. C. 172ra r. 33 reddunt. 48. Cc. 234vb r. 11, 240va r. 2, passim. Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane 257 anche interno al rigo. Ambedue gli scriventi manifestano stanchezze che possono rendere il tracciato più pesante e l’esecuzione meno curata,49 in A occasionalmente e in B verso la ine della propria porzione, ove inoltre aumenta la spaziatura tra le lettere e la propensione alle abbreviazioni. Alle due mani che trascrivono i Moralia ne vanno aggiunte altre due cui si devono testi accessori ma non casuali. Infatti, al testo gregoriano furono anteposti, in tempi collimanti o di poco successivi alla sua scritturazione, due fascicoli contenenti il libro di Giobbe completo di prologo geronimiano, vergati dalle mani C e D50 in carolina non tipizzata, con aste elevate sul rigo piuttosto sviluppate e desinenti a spatola, una scrittura che con quella del testo principale condivide l’aspetto squadrato, la leggera inclinazione, la N molto larga già rilevata nella seconda mano dei Moralia, e altri elementi: il legamento corsivo ri cui indulge la mano C, nel complesso più curata e più rigida, i legamenti st molto alti, di matrice cancelleresca, e il nesso NT rilevabili nella mano D, meno ordinata, con tracciato più pesante. Le due mani appaiono vicine per ambiente e suggestioni a quelle del testo principale, rispetto alle quali tradiscono sintomi minimi ma rilevabili di maggiore avanzamento verso la minuscola di transizione (et anche in nota tironiana; in D, il compendio di -rum con r stretta e verticalizzata) che le collocano nel XII secolo, plausibilmente entro il primo quarto o poco oltre.51 La presenza del testo biblico e della sua prefazione, che l’analisi paleograica e codicologica suggerisce trascritti parallelamente ai Moralia 49. Se ne vedano i sintomi alle cc. 32ra, 108v, 152v per A; 329rb-va, 330r-333r per B. 50. C trascrive il prologo geronimiano, alle cc. 1v, 309ra r. 8; D prosegue vergando il libro di Giobbe nel resto del fascicolo (in sequenza corretta, cc. 309ra r. 15, 307, 310-311, 308, 312, 2) e nel fascicolo seguente (cc. 3-8). 51. Nei margini il codice presenta tracce di uso, anche colto, almeno ino al XIV secolo: maniculae, monogrammi per nota (spesso spiccatamente cancellereschi, cfr. cc. 178r, 182r) e annotazioni marginali. Di queste ultime vanno segnalati qui almeno i numerosi interventi di mani coeve che integrano piccole lacune da collazione o appongono varianti, brevi glosse, note di studio, utilizzando un complesso di segni, in particolare varie forme di asterisco e le sigle di tradizione tardoantica h(ic) d(eest) / h(ic) p(one), (cfr. cc. 14r, v, 16r, 136r, passim); nonché le rare ma interessanti comparse di una mano informale del XIII secolo (cc. 74v, 90r, passim). In calce poi alla ine del XX libro dei Moralia, a cc. 333r-334v una mano in textualis minuta databile al XIII secolo ha trascritto un testo anepigrafo identiicabile come la Vindicta Salvatoris, capp. 1-35, un apocrifo del X secolo che nell’Urbinate presenta notevole differenza rispetto al testo edito in Evangelia apocrypha…, recensuit C. Tischendorf, Lipsiae 1876, pp. 471-486. Cfr. inoltre F. Stegmüller, Repertorium Biblicum Medii Aevi, 1, Matriti 1940, n. 180, e 8, ibid. 1976, n. 180; The Apocryphal New Testament… with Other Narratives and Fragments Newly Translated, a cura di M.R. James, Oxford 1924, pp. 159-160. 258 Emma Condello o sopraggiunti immediatamente dopo la copia del testo primario52 e nel medesimo ambito, fa dell’Urbinate latino 97 nel suo assetto attuale l’esito di uno sforzo editoriale in linea con i tempi. La pianiicazione di un esemplare dei Moralia corredato dei testi inalizzati a favorirne la massima comprensione e l’approfondimento, a rendere immediatamente disponibile un riferimento costante per la rilessione e lo studio dell’opera esegetica, risponde al disegno di riqualiicazione intellettuale e religiosa che fu tanta parte del progetto della riforma cosiddetta gregoriana e partecipa della temperie culturale e spirituale viva a Roma ancora nei primi decenni del XII secolo, cui si deve una produzione libraria più vasta e coesa di quanto ino a qualche tempo fa si sia ritenuto.53 4. Il codice reca due sottoscrizioni metriche che, pur censite in passato,54 sono rimaste sostanzialmente trascurate. La prima di esse (igura 2) si colloca alla ine del l. X, quindi a metà del testo del codice, a c. 170vb, e recita: Prudens quisquis lector volumen cum legeris istud Scriptori imperito veniam concede deposco. Et eradere quod super est et non pigriteris aptare que desunt Qui patris es verbum me Iohannes abbas presbiter55 proprium suscipe suum56 Iohannes presbiter et abbas scripsi libellum istud pro se det amen.57 La seconda sottoscrizione (igura 3) è posta a ine volume, a c. 333ra dopo l’explicit solenne del l. XX, che concludeva la pars sexta dell’opera: Sexta docet inem pars hoc resonare volumen Quod bene ter senis distinguitur undique libris Anastasii sancti concessum munere Christi Altari, cuius si quis subtraxerit istud Donum, percussus sit sic Anathemate Iesu 52. La segnatura originale dei fascicoli, in lettere quasi sempre maiuscole, non computa le sezioni vergate da C e D, oggi fasc. I e XL. 53. Cfr. Condello, La Bibbia al tempo della Riforma gregoriana, pp. 360-361, 368. 54. Benedictins du Bouveret, Colophons de manuscrits occidentaux des origines au XVIe siècle, 3, Fribourg 1973, n. 8384. 55. Ioha(nn)es a(bbas) p(res)b(i)t(er) in monogramma, con a(bbas) sospesa su o, p(res)b(i)t(er) in nesso con l’asta di h. 56. Colophons legge Iohannem e tuum. 57. In sillabe palindrome: Nes an io ter bi pres et bas ab si scrip lum bel li tud is se. p(ro). t đ. am(en). Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane Figura 2. BAV Urb. lat. 97, c. 170vb (particolare) 259 260 Emma Condello Figura 3. BAV Urb. lat. 97, c. 333ra (particolare) Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane 261 Perpetua vita careat tunc morte futura Iohannes scriptor da Christe medelam. Le due brevi composizioni ritmiche di poche righe, che aspirano a solennizzare il codice più di quanto lingua e metrica parimenti imperfetti riescano a fare, reimpiegano stilemi e formule tradizionali (i vv. 1-3 del primo testo,58 la formula di sanzione e l’invocazione di premio per il copista nel secondo): rivelano tuttavia un nome, Iohannes presbiter et abbas, e una dedica a un luogo sacro a sant’Anastasio per il quale il libro è stato realizzato, da identiicare nel monastero delle Acque Salvie. Quanto inora rilevato per il proilo graico, decorativo e codicologico del manoscritto non consente di ipotizzare aree diverse da quella romana in senso lato, né a Roma e nel territorio circostante si danno alternative credibili al monastero di S. Anastasio alle Tre Fontane. Le altre fondazioni monastiche intitolate a un Anastasio riscontrabili a quest’altezza cronologica in area laziale sono infatti sedi minori, di intitolazione non univoca, prive di attestazione anche indiretta quanto a biblioteca o ad attività di produzione scrittoria, per più aspetti incompatibili con l’allestimento o con l’offerta di un codice impegnativo quale l’Urbinate. Si tratta di due cellae benedettine maschili rispettivamente a Corneto e a Tivoli: la prima dedicata ai santi Pellegrino e Anastasio, soggetta a Farfa, è erraticamente attestata nel 1017, 1043 e 1297, e presto scomparsa nel XIV secolo; la seconda citata nel tempo come S. Barbara, poi Ss. Sebastiano e Barbara, o solo S. Sebastiano, inine Ss. Barbara e Anastasio, soggetta all’abbazia di S. Scolastica nei cui possessi viene menzionata più volte unicamente in quanto sede di mulino, tra IX secolo e 1216, risulta scomparsa dopo quest’ultima data.59 58. La formula, censita in D. Schaller, E. Könsgen, Initia carminum Latinorum sae­ culo undecimo antiquior. Bibliographisches Repertorium für die lateinische Dichtung der Antike und des früheren Mittelalters, Göttingen 1977, p. 567, n. 12716, era in uso a partire dall’età carolingia: cfr. Versi Sangallenses, ed. K. Strecker in MGH. Poetarum latinorum Medii Aevi, 4, Berolini 1923, p. 1112, e A. Bruckner, Scriptoria Medii Aevi Helvetica. Den­ kmaler Schreibkunst des Mittelalters, 2, Genf 1936, p. 56, e 3, 1938, pp. 124-125. 59. Monasticon Italiae, 1, Roma e Lazio, a cura di F. Caraffa, Cesena 1981, pp. 176 n. 235, 182 n. 254. Improponibili anche le altre cinque piccole chiese romane intitolate a S. Anastasio: de Trivio, nel rione Trevi, l’unica ancora esistente, intitolata ormai ai Ss. Vincenzo e Anastasio; de Marmorata, presso l’Aventino; de Arenula, attestata nel 1186 come dipendenza di S. Lorenzo in Damaso; de Pinea, nel rione omonimo, attestata però dal XIV secolo; de Puteo Probae, sul Viminale, di identiicazione assai incerta. Nessuna di esse ha lasciato traccia che possa giustiicare, per il periodo qui rilevante, la capacità e i mezzi di allestire o importanza tale da giustiicare il dono di un codice come l’Urbinate: per tutte 262 Emma Condello Il collegamento del codice Urbinate al monastero di S. Anastasio alle Acque Salvie ha trovato imprevisto conforto inale nella decifrazione di una nota parzialmente erasa apposta a c. 334v, ultima originariamente bianca del codice, occupata in parte dal testo dei Vindicta Salvatoris e da numerose prove di penna di epoca varia. La lettura con l’ausilio della lampada di Wood ha restituito una nota di possesso vergata da una mano del XIII secolo in questi termini: Iste liber Moralium est Monasterii sancti Anastasii qu<..> Ac<…>S<..>e thebald.s de [ur]bino sub <…> | <…> nulli reddatur <…>, che autorizzano l’integrazione in favore delle Acque Salvie e indicano un termine cronologico della permanenza del codice nella biblioteca monastica. Le sottoscrizioni presentano tuttavia aspetti problematici, per l’attribuzione a unica mano di quanto si è veriicato vergato da due, pure strettamente afini, e per l’adozione di una carolina così connotata da elementi di derivazione cancelleresca da sembrare di primo acchito comparabile solo in modo mediato a quella del testo. In realtà, la prima sottoscrizione si rivela eseguita in due tempi e da due mani, una delle quali è A, che conclude la propria porzione di testo principale con la formula tradizionale delle righe 1-3, nel medesimo inchiostro del testo, manifestando l’inclinazione allo schiacciamento già segnalata e accentuando quella all’enfatizzazione delle aste di gusto cancelleresco. In calce alla formula, altre due righe nelle quali Iohannes si dichiara, praticando il vezzo di una crittograia blanda (scrittura palindroma per sillabe) ma non priva di insidia nello scioglimento della clausola inale, e abbreviando nome e qualiiche in un monogramma unico, che ulteriormente suggerisce la conidenza dello scrivente con abitudini documentarie. Rispetto alle righe precedenti, Iohannes verga una carolina più minuta e rigida, nella quale spiccano le aste sempre molto sviluppate, particolarmente quelle alte sul rigo fornite di loro si rinvia a M. Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, nuova ed., Roma 1942, pp. 288, 409, 607, e C. Hülsen, Le chiese di Roma nel Medioevo, Firenze 1927, pp. 174-175, e, per la chiesa de Arenula, ai documenti del XV secolo regestati in G. Barone, A. Piazzoni, Le più antiche carte dell’Archivio del Gonfalone, 1267­1486, in Le chiavi della memoria, Città del Vaticano 1984, pp. 17-105, in particolare pp. 75, 129, 132. Al di fuori del Lazio, del resto, la stessa area umbra, certamente compatibile con l’Urbinate dal punto di vista graico (ma non da quello decorativo), presenta solo presso il Duomo di Terni un culto locale di sant’Anastasio vescovo, in parziale sovrapposizione con il martire persiano delle Tre Fontane. Tuttavia la diocesi ternana è soppressa dal 760 al 1218, e solo dopo la restaurazione sotto Onorio III il culto conosce nuovo e temporaneo aflato. Quanto all’assenza di Terni dal quadro delle attribuzioni di codici di cultura graica o di inluenza romanesca, cfr. Supino Martini, Roma e l’area graica romanesca, pp. 196-197. Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane 263 svolazzo o nodo terminale (cfr. suum r. 4, passim), che trova riscontro più calligraico nella sottoscrizione inale, con iniziali di rigo riempite di giallo come le capitali dell’explicit che precede. La maggiore estensione del secondo testo permette di cogliere meglio gli elementi collimanti tra la mano di Iohannes e quelle del testo, in particolare B: accenni allo schiacciamento di lettere o singole parole,60 e con occhiello superiore alto e chiuso, et con il tratto obliquo di destra che forma angolo molto aguzzo in basso e si protende in alto in interlineo, con tratto orizzontale di t molto alto sul rigo,61 legamento st in forma aguzza ma anche basso e largo,62 frequenza di maiuscole;63 prolungamenti a destra per l’ultima lettera del rigo.64 5. Dunque Iohannes verosimilmente coincide con la mano B. Sottoscritta la chiusura del codice, egli appone un proprio sigillo anche a metà libro utilizzando una formula che, se nell’immediato dà luogo a una falsa attribuzione, va tuttavia considerata anche in relazione all’uso diffuso di scribere in luogo di scribi facere: traslato che appare congruo alla condizione di un sottoscrittore abate del monastero al quale il codice è dedicato, nel caso speciico in certo modo il committente di se stesso, due condizioni che non si vuole sottacere e che chiaramente prevaricano quella dell’anonimo copista A. Ciò avviene nell’ultimo scorcio dell’XI secolo o entro il primo quarto del XII, in appendice a una fase della vicenda del monastero delle Acque Salvie per la quale non si hanno notizie né reperti: schiacciata tra l’appartenenza benedettina da una parte, nebulosa nei termini cronologici e mal documentata nel suo trascorrere, un XI secolo tutto decadenza e silenzio, aflizione per l’insalubrità dell’aria e abbandono, secondo la versione comunemente accettata in letteratura,65 e inine l’assegnazione ai 60. Cfr. in particolare rr. 2, 6, passim. 61. Modalità comune alle mani A e B, riscontrata in molte Bibbie atlantiche e nella produzione romana ad esse connessa. 62. La seconda forma, calligraica e artiiciosa, è attestata maggiormente nella mano A ma anche in D, sembra essere quindi esito di abitudini comuni all’ambiente nel quale operano tutte le mani a vario titolo attive nei testi dell’Urbinate. 63. La -N di volumen a r. 1 è identica a quella di AMEN che al rigo superiore chiude l’explicit; cfr. inoltre rr. 2, 7. 64. Cfr. r. 6. 65. Manrique, Cisterciensium annalium, pp. 391-392, 1: «sed hoc tempore sola ecclesia, deerat habitator; monasterium monachis fere destitutum Innocentius II papa circiter a. Ch. 1140 s. Bernardo magno abbati Claraevallensi donavit»; e sulla stessa linea P.F. Kehr, Italia pontiicia…, 1, Berolini 1906, p. 171; Giorgi, Il Regesto, p. 55; Ferrari, Early Roman 264 Emma Condello cistercensi dalla quale soltanto, dal 1138-1140, sembra ricominciare la storia di una delle più antiche e peculiari istituzioni monastiche romane. Un quadro rispetto al quale un prodotto librario del rilievo graico e decorativo del codice Urbinate, con il contesto di riferimento cui attiene, viene a rappresentare una distonia e, segnalando una pigrizia della ricerca storica e di storia della cultura graica e libraria,66 torna a proporre l’indagine sulla realtà monastica delle Tre Fontane. Monasteries, p. 44; [Barbiero], S. Paolo e le Tre Fontane, pp. 109-110, e la letteratura che da essi dipende. 66. L’ambito degli studi storico-artistici appare il solo che abbia riservato attenzione vigile al tema negli ultimi decenni, in relazione alla peculiarità architettonica di S. Anastasio alle Acque Salvie nel contesto dell’edilizia chiesastica cistercense e al problema critico degli affreschi dell’arco di Carlomagno che introduce al complesso delle Tre Fontane. Per questa tematica si rinvia almeno a Garrison, Studies, 3, pp. 27-28; F. De Maffei, Rilessi dell’epopea carolingia nell’arte medievale: il ciclo di Ezechiele e non di Carlo a S. Maria in Cosmedin e l’arco di Carlo Magno a Roma, in La poesia epica e la sua formazione, Atti del convegno internazionale (Roma, 28 marzo-3 aprile 1969), Roma 1970, pp. 351-392; A. Iacobini, La pittura e le arti suntuarie da Innocenzo III a Innocenzo IV, in Roma nel Due­ cento. L’arte nella città dei papi da Innocenzo III a Bonifacio VIII, a cura di A.M. Romanini, Torino 1991, pp. 267-271. Per il primo aspetto, cfr. R. Wagner-Rieger, Die italienische Baukunst zu Beginn der Gothik, 2, Süd­ und Mittelitalien, Graz-Köln 1957, pp. 27-30; H. Hahn, Die frühe Kirchenbaukunst der Zisterzienser. Untersuchungen zur Baugeschichte von Closter Eberbach in Rheingau und ihren europäischen Analogien in 12. Jahrhundert, Berlin 1957, pp. 171-173; L. Fraccaro de Longhi, L’architettura delle chiese cistercensi italiane, con particolare riferimento ad un gruppo omogeneo dell’Italia settentrionale, Milano 1958, pp. 267-269; C. Pietrangeli, L’Abbazia delle Tre Fontane, in C. D’Onofrio, C. Pietrangeli, Abbazie del Lazio, Roma 1969, pp. 177-194, in particolare pp. 183-194; A.M. Romanini, La storia architettonica dell’Abbazia delle Tre Fontane a Roma. La fondazione cistercense, in Mélanges à la mémoire du père Anselme Dimier, Arbois 1982-1987, 3, pp. 653-695; P.F. Pistilli, Considerazioni sulla storia architettonica dell’abbazia romana delle Tre Fontane nel Duecento, in «Arte medievale», II s., 6 (1992), pp. 163-192; A.M. Romanini, Ratio fecit diversum: la riscoperta delle Tre Fontane a Roma chiave di lettura dell’arte bernardina, in Ratio fecit diversum, pp. 1-78; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio. Il romanico, Roma-Milano 2001, pp. 77-86.