SAPIENZA - UNIVERSITÀ DI ROMA
STUDI DEL DIPARTIMENTO DI STORIA, CULTURE, RELIGIONI
10
Comitato scientiico
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Segreteria di redazione
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Archeologi, paleograi e storici
per Paolo Delogu
a cura di
Giulia Barone, Anna Esposito e Carla Frova
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Copyright © 2013 – Viella s.r.l.
Tutti i diritti riservati
Prima edizione: settembre 2013
ISBN: 978-88-6728-137-4
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Da quando, nel 1964, venne pubblicato sul «Bullettino dell’Istituto Storico italiano per il Medio Evo» il suo primo saggio Consors regni. Un pro
blema carolingio, Paolo Delogu è stato una presenza costante e via via di
sempre maggior rilievo nella medievistica italiana.
Professore prima a Salerno, in seguito a Firenze e, dal 1985, a Roma, gli
interessi di Delogu si sono rivolti in un primo tempo alla dissoluzione del
potere carolingio in Italia, poi alla storia di Salerno tra VIII e XI secolo, in
seguito ai longobardi – e soprattutto al loro sempre discusso rapporto con i
romani –, più tardi ai normanni nel Mezzogiorno d’Italia e alla storia economica di Roma nell’alto medioevo. Fondamentale è certamente stato il
suo contributo all’affermazione dell’archeologia medievale, una disciplina
che in Italia – ino agli Settanta del XX secolo – era stata “schiacciata”
dall’incombente presenza di quella classica e che Paolo Delogu ha inizialmente praticato di persona, restando poi, ino ad oggi, attento e stimolante
interlocutore per tutti quelli che la praticano sul campo.
Nel corso di questo lungo itinerario, geograico e culturale, Delogu ha
avuto modo di incontrare molti colleghi, di formare ottimi allievi e di incrociare i più diversi campi di ricerca. Questo volume raccoglie i saggi di
chi è entrato in rapporto con lui, come collega, allievo o compagno nell’avventura dell’indagine del passato.
La raccolta di saggi, pensata in occasione del suo settantesimo compleanno, coglie la fortunata opportunità di festeggiare la sua nomina a professore emerito della “Sapienza”.
Giulia Barone, Anna Esposito, Carla Frova
Indice
Paolo Tedesco
Note sulla genesi e l’evoluzione dell’autopragia demaniale
nei secoli IV-VI
3
Gian PieTro BroGiolo
Verona tra tardo antico e alto medioevo: alcune considerazioni
19
Marco di Branco
Pregi e difetti della compilazione: gli attacchi arabi
contro Rodi nelle fonti islamiche
33
sauro Gelichi
Lupicinus presbiter. Una breve nota sulle istituzioni
ecclesiastiche comacchiesi delle origini
41
alessia rovelli
Dns Victoria. Legende monetali, iconograia e storia
nelle coniazioni della Langobardia meridionale del IX secolo
61
Giuliano Milani
Il secondo Simone. Le fonti letterarie e visuali
di un’illustrazione del salterio Chludov (Bisanzio, secolo IX)
83
viTo lorè
La chiesa del principe. S. Massimo di Salerno
nel quadro del Mezzogiorno longobardo
103
X
Ricerca come incontro
Giulia Barone
Theophanius imperator augustus? Postille sul documento
dell’imperatrice Theophanu per Farfa (1° aprile 990)
125
daniele Bianconi
Tracce di scrittura beneventana in un nuovo codice italogreco
143
Paolo PeduTo
Dal legno alla pietra nelle fortiicazioni normanne
in Italia meridionale
165
Federico Marazzi
Ultimi longobardi. La contea di Venafro e il suo territorio
fra Montecassino, S. Vincenzo al Volturno e i normanni
(950-1100 circa)
183
chris WickhaM
Albano in the central Middle Ages
209
anTonio sennis
Linguaggi della persuasione. Le visioni soprannaturali
nel mondo monastico medievale
227
eMMa condello
«In monasterio sancti Christi martirys Anastasii qui vocatur
Aqua Salvia». Un nuovo codice superstite del monastero
delle Tre Fontane
245
lidia caPo
Sulle cronache medievali
265
alFonso Marini
I viaggi di Francesco. Storia e “memorie”, leggende
e metafore
279
carla Frova
La storia delle istituzioni scolastiche nel medioevo
come tema di storia sociale
293
Indice
XI
Bruno FiGliuolo
I priorati celestiniani molisani di Trivento e Agnone
dalle origini alla soppressione (secoli XIII-XIX)
309
ivana aiT
Domini Urbis e moneta (ine XIII-inizi XV secolo)
329
Marco cursi
Cacciatori di autograi: ancora sul codice Riccardiano 2317
e sulla sua attribuzione alla mano del Boccaccio
351
alFredo cocci
Temi antiebraici e islamici nel De adventu Messiae (1339)
di Alfonso Buenhombre OP
379
Giovanni viTolo
Governo del territorio e rappresentazione dello spazio
nel Mezzogiorno aragonese
399
riTa cosMa
Il codice Vaticano latino 3993
425
eleonora PleBani
Verso l’Africa e l’Oriente. Alcune rilessioni sulla recente
medievistica italiana
451
anna esPosiTo
Famiglie aristocratiche e spazi sacri a Roma tra medioevo
e prima età moderna
471
uMBerTo lonGo
L’inventio di Archelao: ovvero la riscoperta delle origini
cristiane nel Seicento sardo
483
leonida PandiMiGlio
Due libri di famiglia del terzo millennio
495
eMMa condello
«In monasterio sancti Christi martyris Anastasii
qui vocatur Aqua Salvia».
Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane
1. Sui codici superstiti del monastero romano dei Ss. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane, alcuni dei quali presumibilmente anche vergati in
quella sede, manca ancora un lavoro paleograico, codicologico e storico
che ne conduca l’analisi complessiva, contribuisca alla storia della raccolta
libraria,1 e attraverso di essa a quella della vita culturale che pure si svolse
nel monastero delle Tre Fontane, e concorra quindi a una migliore comprensione del ruolo effettivo che la fondazione poté esercitare sulla scena
religiosa e politica romana tra i secoli VII e XIV. Una ricerca attualmente
in corso, dedicata appunto alla raccolta libraria del monastero delle Tre
Fontane, ha portato alla luce un nuovo codice, oggetto di questa segnalazione e testimone utile alla rilessione su una delle fasi storicamente non
documentate delle vicende del monastero.
Già la fase della fondazione, del resto, è documentata in modo controverso e solo indirettamente.2 Il Chronicon di Benedetto di S. Andrea del
Soratte ne attribuisce l’istituzione a Narsete nel luogo della decollazione
1. Utile e unico apporto speciico è ad oggi lo studio di L. Speciale, Una cellula e i suoi
libri: i Ss. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane e Casamari, in «Ratio fecit diversum».
San Bernardo e le arti, Atti del Congresso internazionale (Roma, 27-29 maggio 1991) =
«Arte medievale», 2a s., 8 (1994), fasc. 2, pp. 47-76, in particolare pp. 47-61: prodigo di
spunti validi per altri approcci, il lavoro è orientato naturalmente secondo prospettive di
interesse spiccatamente storico-artistico, e le attribuzioni segnalate sono da esaminare in
chiave paleograica e storica e, nel complesso, da rideinire nel numero.
2. G. Ferrari, Early Roman Monasteries. Notes for the History of the Monasteries
and Convents at Rome from the V through the X Century, Città del Vaticano 1957, pp. 3348, in particolare pp. 33-36 per un elenco delle testimonianze indirette dei secoli VII-XI
ineunte.
246
Emma Condello
e della prima sepoltura di san Paolo,3 poi traslato nella basilica eponima di
fondazione costantiniana; la fondazione di Narsete sorgerebbe su un oratorio eretto già poco dopo il martirio dell’apostolo Paolo.4 Scavi condotti circa
un ventennio fa all’interno della chiesa attuale attestano fondazioni sulle
quali l’attuale monastero insiste, databili alla seconda metà del VI o al VII
secolo: sono state individuate molteplici tracce, tra le quali un muro portante
in opus listatum di blocchetti di laterizio di recupero e blocchetti di peperino
squadrati, le sezioni parziali di fondamenta con peculiarità distintive rispetto
alle strutture sovrapposte, i resti di «una poderosa struttura che divideva due
ambienti pavimentati a cruste marmoree, l’uno a E e l’altro a O».5
3. Il «Chronicon» di Benedetto monaco di S. Andrea del Soratte e il «Libellus de
imperatoria potestate in urbe Roma», a cura di G. Zucchetti, Roma 1920, p. 32. La notizia
del Chronicon è tuttavia da considerare con cautela, poiché istituisce, in epoca tarda, una
continuità tra la fondazione di Narsete e il monastero di S. Anastasio sulla quale vigono
orientamenti contrastanti: cfr. [A. Barbiero o.c.r.], S. Paolo e le Tre Fontane. XXII secoli
di storia messi in luce da un monaco cisterciense (trappista), 1, Roma 1938, p. 66, con
attribuzione agli anni Sessanta del VI secolo, e, versus, oltre già a I. Giorgi, Il Regesto del
monastero di S. Anastasio ad Aquas Salvias, in «Archivio della Società romana di storia
patria», 1 (1887), pp. 49-77, anche J.-M. Sansterre, Les moines grecs et orientaux à Rome
aux époques byzantine et carolingienne (milieu du VIe s.-in du IXe s.), Bruxelles 1983, 1,
pp. 14-15, 30-31, 2, p. 229. Va rilevato che nonostante la forte connotazione paolina del
luogo (cfr. G.B. De Rossi, Oratorio e monastero di S. Paolo alle Acque Salvie costruiti da
Narsete patrizio, in «Bullettino di archeologia cristiana», 4a s., 5 [1887], pp. 79-81), non
appare incontrovertibile nemmeno la notizia dell’intitolazione a san Paolo della chiesa e
del monastero istituiti da Narsete giusto in contiguità dell’omonima abbazia, maggiore e
preesistente: alla quale, inoltre, nel 604 Gregorio Magno assegnava l’intera «massam quae
Aqua Salvias nuncupatur, cum omnibus fundis suis», formula che può agevolmente sottintendere chiese minori, oratori o luoghi di culto circoscritti, ma dificilmente un monastero
già attivo da circa mezzo secolo e assegnato a monaci non latini (cfr. Inscriptiones Christia
nae Urbis Romae septimo seculo antiquiores, n.s., 2, ed. A. Silvagni, Romae 1935, n. 4790,
per la charta lapidaria tuttora in S. Paolo).
4. B.G. Bedini, Breve prospetto delle Abbazie Cistercensi d’Italia, dalla fondazione
di Citeaux (1098) alla metà del secolo decimoquarto, Casamari 1966, p. 30. Cfr. V. Fiocchi
Nicolai, Strutture funerarie ed ediici di culto paleocristiani in Roma dal III al VI secolo, in
Le iscrizioni dei cristiani in Vaticano. Materiali e contributi scientiici per una mostra epi
graica, a cura di I. Di Stefano Manzella, Città del Vaticano 1997, pp. 121-141, in particolare
pp. 121-122; inoltre, i frammenti di epigrafe pubblicati da G.B. De Rossi, Recenti scoperte
nella chiesa delle Acque Salvie dedicata alla memoria dell’apostolo Paolo, in «Bullettino di
archeologia cristiana», 7 (1869), pp. 83-92, in particolare p. 84, n. 2, attribuiti dall’editore al
restauro di un luogo di culto paolino preesistente da parte di Sergio I, dunque tra 688 e 689.
5. M.L. Mancinelli, L. Saladino, M.C. Somma, Indagini all’interno della chiesa dei Ss.
Vincenzo e Anastasio, in «Ratio fecit diversum», fasc. 1, pp. 107-120 (citazione da p. 114).
Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane
247
Il monastero appare intitolato nel VII secolo a sant’Anastasio, recente
martire di Persia le cui spoglie, trasferite con il favore dell’imperatore Eraclio, sotto Onorio I trovarono sede e culto in Roma: il corpo decollato in S.
Paolo fuori le Mura, la testa e l’immagine miracolosa nel vicino monastero
delle Tre Fontane alle Acque Salvie da allora dedicato al martire persiano.6
S. Anastasio è stato per diverso tempo un monastero greco: per crisma di
fondazione, se lo si consideri continuazione di una primitiva fondazione di
Narsete, o per destinazione successiva quando, con la prima metà del VII
secolo, a causa dell’invasione araba prima ancora che per i torbidi durante
l’eresia monotelita, divenne asilo di monaci esuli dalla Cilicia,7 dei quali
in relazione al concilio Lateranense del 649 si menziona Giorgio «abbas
presbyter venerabilis monasterii de Cilicia, qui ponitur in Aquas Salvias,
quod in hac romana civitate habitare dignoscitur».8 Certamente il monastero era retto da un egumeno nell’ultimo quarto dell’VIII secolo, quando
il culto romano di Anastasio veniva ricordato nel corso del II concilio di
Nicea;9 poco più tardi, «Basilica vero monasterii beati Anastasii Christi
Martiris, una cum baptisterio et egumenachio, ceterisque aediiciis per in6. Gli Acta Sanctorum quotquot toto orbe coluntur, Ianuarii, 2, Antverpiae 1643, p.
425, citano come asilo delle reliquie una chiesa di S. Maria ad Aquas Salvias, in base alla
notizia errata che tale fosse l’intitolazione del monastero precedente alla attuale. Si opera
così una confusione, trasmessa ad altre fonti, con la chiesa di S. Maria in Scala coeli, notevolmente più tarda del VII secolo, che trae origine da una cappella semplicemente intitolata
alla Vergine, attigua alla chiesa abbaziale di S. Anastasio e ricordata già nel Liber pontii
calis come un oratorio «sanctae Mariae qui ponitur in monasterio Aquae Salviae» (Liber
pontiicalis, Texte, introduction et commentaire par l’abbé L. Duchesne, Paris 1886-1892,
2, p. 24). La cappella fu in seguito solennizzata come luogo della visione dell’ascesa delle
anime purgate al Paradiso ricevuta da Bernardo di Clairvaux lì raccolto in preghiera (cfr. A.
Manrique, Cisterciensium seu verius ecclesiasticorum annalium a condito Cistercio…, 1,
Lugduni 1642, p. 393, nn. 6-7): di qui l’appellativo in Scala coeli.
7. R.-J. Lilie, Die byzantinische Reaktion auf die Ausbreitung der Araber. Studien
zur Strukturwandung des byzantinischen Staates im 7. und 8. Jahrhundert, Münich 1976
(Miscellanea Byzantina Monacensia, 22), pp. 52-56, 61.
8. Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio…, ed. novissima, 10, 1767,
903 B-C; v. poi Annales ordinis Sancti Benedicti, 1, Lucae 1739, pp. 373-374, ad a. 649:
«Tunc temporis plurimi, tum ex Oriente, tum ex Africa monachi a Monothelitis vexati in
Urbem commigraverant, sibique assignatas a pontiice occupabant ecclesias… Ab eo tempore a monachis Graecis incoli coepit basilica sancti Anastasii ad Aquas salvias, quem
locum Gregorius Magnus basilicae sancti Pauli prius attribuerat».
9. P. Labbe, Sacrosanta concilia ad regiam editionem exacta… nunc vero integre in
sertis Stephani Baluzii et Iohannis Arduini additamentis, 8, Venetiis 1729, coll. 861-866,
ad a. 787.
248
Emma Condello
curiam monachorum nocturno silentio exustam a fundamentis usque ad
summum», e Adriano I, miracolosamente recuperata intatta la cassa delle
reliquie, «noviter in meliori statu praedictam ecclesiam cum vestario et
ygumenarchio ceteraque aediicia renovavit ac restauravit. Et amplius in
ea sanctuaria atque ministeria et ornatum maxime quam ibidem combusta sunt contulit».10 Monaci greci devono aver popolato S. Anastasio ino
a momento imprecisato del X secolo, forse ino al termine del secolo se
ancora nel 998 a san Nilo veniva proposta la sistemazione in quella sede
e l’egumenato del monastero stesso, cui il santo avrebbe rinunciato preso
atto della decadenza dei costumi della comunità:11 indicativa la speciicazione «Grecanicae genti semper addictum» che accompagna la notizia
e la menzione del monastero nella Vita s. Nili, composta nel primo scorcio e comunque entro la metà dell’XI secolo.12 Appare improbabile che la
presenza greca si sia protratta oltre il limite del X secolo, in mancanza di
testimonianze ulteriori e alla luce della rapida lessione dell’elemento greco che si registra nella Chiesa romana dall’ultimo quarto del IX secolo,13
nonché dell’eventualità che i benedettini siano subentrati in S. Anastasio
proprio tra il IX e il X secolo.14 Dopo la metà dell’XI secolo il monastero
10. Liber pontiicalis, 1, pp. 512-513.
11. Sansterre, Les moines grecs, 1, p. 207; Id., Le monachisme byzantin à Rome, in
Bisanzio, Roma e l’Italia nell’alto medioevo, 34a settimana di studio del Centro italiano di
studi sull’alto medioevo (Spoleto, 3-9 aprile 1986), Spoleto 1988, pp. 701-746, in particolare p. 709.
12. [Bartholomaeus Cryptoferratensis], Vita s. Patris Nili iunioris… latinitate donata
interprete Io. Matthaeo Caryophilo archiep. Iconiensi, Romae 1624, p. 153. In base a questo dato, Sansterre, Le monachisme byzantin, pp. 709 e 716, ipotizza che l’insediamento
greco sussistesse ancora nell’XI secolo: ma la redazione della biograia di san Nilo è immediatamente successiva alla scomparsa del santo, nel 1004, e appare azzardato estendere
la validità dell’attestazione oltre il primo scorcio del secolo. Del resto, tempi analoghi di
passaggio dai monaci greci ai latini si riscontrano per altri monasteri romani: S. Saba, S.
Agata de Subura, S. Andrea in clivo Scauri, S. Silvestro in Capite.
13. Sansterre, Les moines grecs, 1, pp. 206-212. Il più recente riepilogo, con bibliograia aggiornata, sulla comunità greca, ecclesiastica e laica, nella Roma altomedievale,
e sul declino di tale presenza, ora in V. von Falkenhausen, Roma greca: VIIXI secolo, in
Roma e il suo territorio nel medioevo. Le fonti scritte fra tradizione e innovazione, Atti
del Convegno dell’Associazione Italiana Paleograi e Diplomatisti (Roma, 25-29 settembre
2012), in corso di stampa.
14. G. Tomassetti, La Campagna romana antica, medioevale e moderna, nuova ed.
aggiornata a cura di L. Chiumenti, F. Bilancia, 5, Roma 1979, p. 425. Suggestiva ma inora
priva di riscontro la notizia che i benedettini fossero insediati in S. Anastasio in dal 795:
Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane
249
era già di culto e lingua latini, se latino si deve ipotizzare fosse l’arciprete
Suppo, padre spirituale di Nicolò II e igura inluente tanto da poter intervenire in favore del deposto antipapa Benedetto X, ottenendo per lui da
Nicolò condizioni di penitenza meno umilianti e in seguito da Gregorio VII
una sepoltura onoriice.15
2. Il rischio di dispersione e la vastità della materia impediscono di
ripercorrere in questa sede ulteriori fonti e notizie riferibili alla fortuna e ai
periodi di oscurità del monastero in Aquas Salvias, alla nuova consacrazione da parte di Onorio III nel 1221, all’inclusione del martire iberico Vincenzo nel titolo originario, alla decadenza progressiva con il XV secolo; né
le circostanze e conseguenze dell’avvicendamento di benedettini, benedettini cluniacensi, cistercensi dopo la comunità greca delle origini.16 Tuttavia,
tra le fonti richiamate nelle righe precedenti, almeno il Liber pontiicalis
merita, ai ini di un discorso sulla cultura libraria del sito, un sovrappiù di
attenzione, per i numerosi richiami alla benevolenza papale verso l’abbazia nei secoli VIII e soprattutto IX, concretizzata in molti doni generosi che
tuttavia mai riguardano libri. A pubblica conferma del loro favore, Leone
III, Gregorio IV, Leone IV, Benedetto III, Niccolò I offrono al monastero
«vestem cum chrisolabo, eiusdem martyris passione depicta, vestem siricam de fundato, et vela de fundato duo, compta in circuitu de blata; cum
periclisin de blatthin vela quattuor; farum de argento com canistro octogoni, coronam ex argento; gabatham saxiscam ex argento purissimo unam»,17
ma non libri: contrariamente a quanto contemporaneamente accade per
altre chiese e monasteri romani e del comprensorio.18 Il monastero di S.
cfr. L.H. Cottineau, Répertoire topobibliographique des Abbayes et prieurés, Mâcon 1937,
2, col. 2503.
15. Liber pontiicalis, 2, Annales romani, p. 336.
16. Si rinvia alla pubblicazione della ricerca in corso, richiamando qui la bibliograia
sopra riferita cui si aggiungano almeno P.F. Kehr, Le bolle pontiicie che si conservano negli
Archivi Senesi, in «Bullettino senese di storia patria», 6 (1899), pp. 51-102, in particolare
p. 56 n. 3; Id., Papsturkunden in Italien. Reiseberichte zur Italia pontiicia, 4, 19031922,
Città del Vaticano 1977, pp. 14, 34-35, 130, 134; R. Valentini, G. Zucchetti, Codice topo
graico della città di Roma, Roma 1940-1953, 2, p. 109, 3, p. 24, 4, p. 88.
17. Liber pontiicalis, 2, pp. 11, 22, 24, 79, 109, 145, 158.
18. S. Andrea sulla via Appia, chiesa suburbana, riceve da Leone III libri, oltre che argenti e vesti; Leone IV commissiona ben undici codici liturgici (tra i quali un Evangeliario
legato in argento) per S. Maria in vico Sardorum e per S. Leone di Cencelle; Benedetto III
dona un Vangelo decorato e vergato in oro e argento a S. Maria in Trastevere, e due forse
250
Emma Condello
Anastasio, che giusto nel IX secolo sembra aver toccato il massimo del
suo prestigio tra i monasteri greci di Roma, doveva tuttavia già disporre
di un proprio corredo di libri, dei quali parte sostanziale necessariamente
consisteva di codici greci. Della raccolta più antica nulla è identiicato, né
è possibile ipotizzarne l’entità, pur dovendo postularne l’esistenza. Essa
doveva includere i libri liturgici indispensabili e quanto necessario all’acculturazione almeno minimale dei monaci, in greco ma anche in latino, e
forse si estendeva anche ad altri generi: verosimilmente a quello agiograico, se – come suggeriscono la versione latina degli Acta s. Anastasii e
la composizione, accompagnata dalla immediata traduzione, del Miracu
lum s. Anastasii Persae, ambedue compiute nel monastero rispettivamente
nell’VIII secolo e alla ine del secolo stesso19 – il monastero stesso ebbe
parte attiva nella campagna di traduzioni agiograiche dal greco fervida
in Roma tra VII e IX secolo.20 Non emerge notizia di libri appartenuti al
monastero delle Acque Salvie per l’età anteriore all’XI secolo, mentre per
i secoli compresi tra la ine dell’XI e il XV si collezionano, tramite ricerca d’archivio e segnalazioni di studi liturgistici o storico-artistici, undici,
forse dodici codici in corso di analisi paleograico-codicologica e storica:
tra di essi, quello che si attesta come uno dei più antichi, certamente il più
rilegati in argento rispettivamente a S. Balbina e a S. Ciriaco; S. Salvatore, Ss. Quattro
Coronati, S. Marcello, S. Maria in Manturiano, S. Pudenziana, S. Anastasia, S. Croce in
Gerusalemme, S. Gregorio presso S. Pietro, la Schola cantorum ricevono libri da Stefano
V: cfr. ibid., pp. 9, 128, 132, 145, 146, 194-195.
19. BHG 89, BHL 412; Acta martyris Anastasii Persae, ed. H. Usener, Bonn 1894.
20. Cfr. Sansterre, Les moines grecs, 1, pp. 112, 149, 150, e 2, p. 75, nota 109, passim,
e Id., Le monachisme byzantin, p. 728. Per un aggiornamento della vasta bibliograia sul
tema della traduzione dal e in greco a Roma nell’alto medioevo, sviluppata a partire dalle
osservazioni di P. Batiffol, Librairies byzantines à Rome, in «Mélanges d’archéologie et
d’histoire de l’École Française de Rome», 8 (1888), pp. 297-308, in particolare pp. 298300, utili oggi i riferimenti romani nelle trattazioni e bibliograie ragionate allestite da R.
Gounelle, Traductions de textes hagiographiques et apocryphes latins en grec, in «Apocrypha», 16 (2005), pp. 35-73, e X. Lequeux, Latin Hagiographical Literature Translated into
Greek, in The Ashgate Research Companion to Byzantyne Hagiography, 1, Periods and
Places, a cura di S. Efthymiadis, Farnham-Burlington 2011, pp. 385-399 (devo la conoscenza di quest’ultimo contributo alla competenza di Sever Voicu, che ringrazio vivamente). Una visione cronologicamente e tematicamente più ampia del fenomeno, inclusiva del
basso medioevo e della letteratura profana e sempre molto attenta all’ambito romano, è offerta da P. Chiesa, Le traduzioni in latino di testi greci, in Lo spazio letterario del medioevo,
3.1, Roma 2004, pp. 419-518, in particolare pp. 496-505, e da D. Bianconi, Le traduzioni in
greco di testi latini, ibid., pp. 519-568, in particolare pp. 539-549.
Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane
251
eccentrico rispetto alla isionomia del corpus sotto osservazione, e inora il
più rilevante per qualità graica, interesse decorativo e le implicazioni con
fenomeni librari spiccatamente romani nei secoli XI e XII.
3. Si tratta di un Gregorio Magno, oggi Moralia in Iob, Biblioteca apostolica Vaticana, Urbinate lat. 97, che costituiva il primo tomo (ll. I-XX)
di un esemplare dei Moralia in due volumi.21 Il codice, databile tra la ine
dell’XI secolo e il primo scorcio, o primo quarto del XII, è un manufatto
di ben 339 carte, pregevole per cura nella confezione, attenzione graica,
inezza decorativa. L’esame approfondito lo segnala come ulteriore testimone di quella parte della produzione libraria romana, e della regione immediatamente circostante, collegata al fenomeno delle Bibbie atlantiche.22
Atlantico è il formato (mm 555 × 372, con specchio scrittorio di mm 426
× 259), pianiicabile e gestibile solo da un’oficina di notevoli capacità
artigianali: a tale presupposto rimandano anche la fascicolazione regolarissima, in quaternioni la cui sequenza si rivela rimaneggiata in inizio e
ine del codice,23 nonché la cura nella foratura, con tracce esigue, e nella
21. La bibliograia sul codice, sfuggito inora all’attenzione degli studi, consiste della descrizione in C. Stornajolo, Biblioteca Apostolica Vaticana. Codices Urbinates latini, 1, Romae
1902, p. 114, in A. Poncelet, Codicum hagiographicorum latinorum Bibliothecae Vaticanae,
Bruxellis 1910, p. 295, e di una spoglia menzione in S. Gregorii Magni Moralia in Iob, cura
et studio Marci Adriaen, 1, Turnholti 1979, p. XVIII. Se ne pubblicherà la scheda analitica a
cura di chi scrive nel Catalogo dei manoscritti miniati della Biblioteca Apostolica Vaticana.
Fondo Urbinate, in corso di allestimento per cura di S. Maddalo: a quella sede si rinvia per
ogni dettaglio ulteriore, fornendo qui una presentazione inalizzata a una prima segnalazione.
22. P. Supino Martini, Roma e l’area graica romanesca, Alessandria 1987, pp. 25-33,
108-117, passim; ead., La scrittura delle Scritture (sec. XIXII), in «Scrittura e civiltà», 12
(1988), pp. 101-118; ead., Origine e diffusione della Bibbia atlantica, in Le Bibbie atlanti
che. Il libro delle Scritture tra monumentalità e rappresentazione (Montecassino-Firenze,
11 luglio 2000-gennaio 2001), catalogo a cura di M. Maniaci e G. Oroino, Roma 2000,
pp. 39-44; da ultimo, E. Condello, La Bibbia al tempo della Riforma gregoriana: le Bibbie
atlantiche, in Forme e modelli della tradizione manoscritta della Bibbia, a cura di P. Cherubini, Città del Vaticano 2005, pp. 347-372, con riepilogo della bibliograia retrospettiva.
23. Quanto alla consistenza dei fascicoli, le sole eccezioni originarie sono motivate da
esigenze di scansione testuale (nel caso dei fascicoli I [cc. 3-8], senione, e XLIII, l’ultimo,
ternione mutilo dell’ultima carta, bianca, reintegrata da restauro). Risultano spostati – forse
all’epoca dell’attuale legatura, realizzata negli anni Cinquanta-Sessanta del XVII secolo sotto
Alessandro VII – il fascicolo XL (cc. 309-312), che era anteposto agli altri e ha inoltre subito
smembramento, sicché ne sono al di fuori oggi le cc. 1-2 e 307-308 che originariamente completavano il quaternione, e il I, sopra descritto, che si trovava inizialmente in seconda sede.
La sequenza corretta delle carte è pertanto: 1, 309, 307, 310, 311, 308, 312, 2-306, 313-334.
252
Emma Condello
rigatura che prevede colonne deinite da verticali doppie, con rettrici coninate all’interno delle due colonne di scrittura.24 Ben più incisivi quanto alla
localizzazione romana del codice si rivelano i fattori graico e decorativo, e
i dati storici che una attenta ispezione del manoscritto porta in luce.
La decorazione del manoscritto, ignoto a Garrison nella sua vastissima
e documentata rassegna della produzione latamente romana dei secoli XI e
XII,25 manifesta elementi di aderenza al geometrical style e inlussi di decorazione beneventana, tali da segnalare l’eventualità di origine in Roma o
area limitrofa, in quanto solo ambito ove storicamente la commistione tra i
due mondi decorativi e le due civiltà librarie è possibile e attestata.26 Il confronto con i materiali pubblicati da Garrison e da Ayres27 non ha individuato
24. Tipo speciale P4-K 20E2, in base a J. Leroy, Les types de réglure des manuscrits
grecs, Paris 1976. Da rilevare, a proposito degli indizi di ambiente e cronologia cui anche la
rigatura può fornire talora supporto, che la tipologia con doppia vertiacale a delimitare ogni
colonna di scrittura appare maggioritaria nelle Bibbie atlantiche anteriori agli esordi del
XII secolo, mentre la gestione delle rettrici presentata dall’Urbinate sembra aver riscontro
limitato alle Bibbie di Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Conventi soppressi 307,
e Biblioteca apostolica Vaticana, lat. 4216, ambedue del XII secolo, primo quarto o entro
la metà (cfr. le rilevazioni di M. Maniaci, La struttura delle Bibbie atlantiche, in Le Bibbie
atlantiche, pp. 47-60, in particolare pp. 51 e 54).
25. E.B. Garrison, Studies in the History of Mediaeval Italian Painting, Firenze 19531962.
26. La più articolata trattazione organica dei rapporti tra scritture e libri di area romanesca e di area beneventana in Supino Martini, Roma e l’area graica romanesca, pp.
147-167, con ulteriori frequenti riferimenti passim; v. inoltre Garrison, Studies, 1, p. 24 e
nota 28, 2, p. 82.
27. Cfr. L.M. Ayres, A Fragment of a Romanesque Bible in Vienna (Österr. National
bibl., Cod. ser. nov. 4236) and Its Salzburg Afiliations, in «Zeitschrift für Kunstgeschichte»,
45 (1982), pp. 130-144; Id., The Bible of Henry IV and an Italian Romanesque Pandect
in Florence, in Studien zur mittelalterlichen Kunst, 8001250. Festschrift für Florentine
Mütherich zum 70. Geburtstag, a cura di K. Bierbrauer, P.K. Klein, W. Sauerlander, München 1985, pp. 157-164; Id., An Italianate Episode in Romanesque Bible Illumination at
Weingarten Abbey, in «Gesta», 24 (1985), pp. 121-128; Id., An Italian Romanesque Manu
script of Hrabanus Maurus «de laudibus S. Crucis» and the Gregorian Reform, in «Dumbarton Oaks Papers», 41 (1987), pp. 13-27; Id., An Italian Romanesque Manuscript of Gre
gory the Great’s «Moralia in Job», in Florilegium in honorem Carl Nordenfalk octogenarii
contextum, Stockholm 1987, pp. 34-46; Id., Gregorian Reform and Artistic Renewal in Ma
nuscript Illumination: The «Bibbia atlantica» as an International Artistic Denomination,
in La Riforma gregoriana e l‘Europa, Congresso internazionale (Salerno, 20-25 maggio
1985), 2, Roma 1992, pp. 145-152; Id., The Italian Giant Bibles: Aspects of their Touronian
Ancestry and Early History, in The Early Medieval Bible. Its Production, Decoration and
Use, a cura di R. Gameson, Cambridge 1994, pp. 125-154; Id., Le Bibbie atlantiche. Dalla
Riforma alla diffusione in Europa, in Le Bibbie atlantiche, pp. 27-38.
Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane
253
parentele strette con singoli testimoni, ma una chiara familiarità con i modi
che Garrison indicava come early e transitional geometrical style, e inoltre
un inlusso dei motivi e del colorismo luminoso e trasparente prediletto dal
libro in beneventana lì praticato in gamma ben più ampia di quella rappresentata nell’Urbinate. Le venticinque iniziali decorate, collocate in apertura
di ogni libro, delle prefazioni e dei prologhi, sono disegnate con inezza, in
qualche caso superbamente, come per l’inizio del prologo ai Moralia a c.
9r, ove RE(verentissimo) disegnate da tratti raddoppiati e tralci proilati di
rosso in riserva si stagliano su fondo giallo, con lacunari riempiti di giallo
e di azzurro chiaro, e presentano intreccio geometrizzante desinente in fogliette cuoriformi o nodi geometrizzanti e sviluppo lussureggiante di girari
per un’altezza di 21 cm, corrispondente a ventuno righe di scrittura. La
medesima carta esibisce anche l’iniziale della lettera prefatoria, D(udum)
eseguita in rosso a tratto raddoppiato, recante all’interno disegno fogliare
su sfondo bipartito giallo e azzurro chiaro, con il tratto superiore adagiato
a sinistra terminante con largo nodo e testina d’uccello che becca il tralcio.
Le iniziali delle prime centocinquanta carte circa fanno capo a questa tipologia di lettere delineate in rosso in riserva, a doppio nastro o con tralci
avvinti su se stessi, con motivi di nodi geometrizzanti nei tratti o all’interno
degli occhielli o alla sommità delle aste o all’intersezione di tratti. Le lettere possono presentare, come nei casi già riferiti, sfondo o lacunari gialli e
azzurro chiaro28 oppure solo gialli;29 spesso recano, nel disegno della lettera
stessa o alle terminazioni dei tratti o dei tralci, motivi zoomori di evidente
ispirazione beneventana quali le igurine o testine d’uccello30 o di cane31
che afferrano i tralci (igura 1). Da c. 171 in poi le iniziali sono ancora delineate in rosso in riserva e riempite di tralci, risultando tuttavia completate
solo quelle con sfondo o lacunari gialli e verde chiaro;32 da c. 202v in poi,
compaiono inemente disegnate in rosso e complete nella forma ma prive di
colore e verosimilmente non terminate,33 come appare anche in quelle più
articolate quanto a motivi ornamentali adottati.34 Alle consuetudini graiche
28. C. 116r, P.
29. Cc. 18r, V; 25v, S; 70v, D.
30. Cc.11v, I; 42v, b; 54v, Q; 102v, Q.
31. Cc. 89v, S; 137r, P.
32. Cc. 171r, Q; 182v, M; 193v, E. A questa tipologia si riferiscono anche le iniziali 1v,
C , e 309r, V, di disegno meno elegante.
33. Cc. 202v, S; 217 v, Q; 234v, Q; 252r, Q; 304r, Q.
34. Cfr. a c. 264r, P(lerumque), con asta a intreccio geometrico in riserva e terminazioni inferiore a palmetta, superiore a nodo intrecciato; o a c. 288r, Q(uid), in cui i due tratti
254
Emma Condello
Figura 1. BAV Urb. lat. 97, c. 89v (particolare)
Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane
255
e ornamentali delle Bibbie atlantiche romane si riferisce poi direttamente
la capitale epigraica con E ed M tonde, G a ricciolo (anche nella variante
squadrata), R con occhiello piccolo e aperto e tratto obliquo sinuoso e molto sviluppato, titulus a tegola, lettere incluse, nessi, letterine rimpiccolite e
sollevate: anche qui è utilizzata per incipit ed explicit solenni, impaginati
con criteri di nitore epigraico (cfr. cc. 9r, 89v, 116r, 304r), in lettere rubricate, o nere proilate o riempite di rosso e di giallo o di giallo e azzurro, o a
lettere alternate rosse e nere, o a righe alternate rosse o nere.35
Il testo dei Moralia è vergato in una carolina grande, larga, squadrata, leggermente inclinata a destra, con elementi molto frequenti di inlusso cancelleresco manifesti nella prima e nell’ultima riga di molte carte,
laddove le aste frequentemente si sviluppano oltre la norma nel margine
superiore o inferiore e quelle alte sul primo rigo presentano spesso terminazione sinuosa o iocco cancelleresco,36 o possono talvolta comparire
litterae elongatae,37 o ricorrono legamenti st di esagerata altezza desinenti
a punta aguzza o a nodo, oppure bassi e dilatati, a cupola;38 si aggiunga
inoltre il iocco cancelleresco frequentissimo nell’abbreviazione di -us e
di -rum. La scrittura presenta in ricorrenti seppure incostanti accenni di
schiacciamento (cfr. cc. 113r, 128va, passim) e altre caratteristiche che tracurvi di destra e sinistra sono riempiti di intreccio geometrizzante e recano a metà nodi
anch’essi geometrizzanti, mentre il tratto terminale orizzontale rimane vuoto, come l’occhiello. Diversa dalle altre iniziali la Q di c. 158r, da attribuire ad altra mano che ha riempito
in un secondo tempo uno spazio rimasto riservato, ripetendo i motivi decorativi già praticati
nel codice (tralci in riserva, sfondo giallo, testina d’uccello) con esiti piuttosto sommari.
35. Di minore eleganza e altra esecuzione l’incipit di c. 1r, in lettere alternate rosse e
nere, e l’explicit di c. 333v, in modulo solenne: ambedue comunque riferiti ai modelli epigraici cui si ispira tutto il codice (42v, 102v, 116r, 158r, 171r, 182v, 193v, 217v, 234v, 251v,
264r, 288r, 309r), per i quali A. Petrucci, Divagazioni paleograiche sulla Roma gregoriana,
in Studi sulle società e le culture del Medioevo, per G. Arnaldi, a cura di L. Gatto, P. Supino,
Firenze 2002, pp. 471-478. Utile il raffronto con la capitale distintiva, appena più tarda forse,
della Bibbia Biblioteca apostolica Vaticana, Rossiano 617, codice atlantico di origine romana
databile al primo quarto del XII secolo, per il quale si rinvia a E. Condello, Per una indagi
ne sui secoli XI e XII: considerazioni sulla Bibbia atlantica BAV Rossi 617, in «Bullettino
dell’Istituto storico italiano per il Medioevo», 110 (2008), 2, pp. 189-203, cfr. p. 202, nota 52.
36. A titolo di campionatura di fenomeni molto frequenti, cfr. cc. 18r, 162vb, 178rb,
182vb, sempre in primo rigo, e 157rb, 172vb in ultimo rigo.
37. Cfr. h c. 150vb, f c. 162vb, I, l c. 166vb, E c. 169vb, sempre in primo rigo.
38. Per il primo caso, cfr. cc. 23rb o 113rb, sempre in primo rigo; ma anche in interno di colonna, cc. 113rb r. 23. Per il secondo, c. 118rb r. 35 e 202 vb r. 35 est, 126va r. 15
intestati, e passim.
256
Emma Condello
discono una contiguità con la minuscola romanesca: tracce di legamenti
corsivi sporadicamente emergenti o appena accennati in em, en, er, i, ri;39
R, non solo in ine rigo o ine testo ma talvolta in interno di parola;40 u angolata in interlinea a ine rigo;41 nesso NT, molto frequente,42 e nesso NS,
più raro.43 Inoltre, ricorrono spesso il punto interrogativo inale beneventano e occasionalmente il segno interrogativo soprascritto,44 e il periodus
beneventano come segno di pausa inale. Questa carolina così connotata
viene vergata da due mani molto afini, databili tra la ine dell’XI secolo
e il primo quarto del XII, che si avvicendano a metà circa del codice, e a
metà esatta del testo, tra la conclusione del libro X e l’inizio dell’XI. La
mano A, che esegue le cc. 9r-170v e ricompare brevemente a c. 172rb rr.
1-4, appare più calligraica, via via spesso più rigida, e sembra indulgere a
elementi di gusto cancelleresco. La mano B, cui spettano le cc. 171r-306v
e 313r-333r, utilizza di quando in quando e con occhiello superiore chiuso
tendenzialmente più alta delle lettere adiacenti,45 e manifesta suggestioni di
romanesca più esplicite, tra le quali una maggiore inclinazione di r, talvolta
appena discendente sotto il rigo e spesso dotata, se in ine rigo, del tratto di
destra dilatato e prolungato,46 con analogia a quanto la stessa mano pratica
per a nella medesima posizione;47 il ricorrere di N in interno di parola e di
rigo, spesso sviluppata in larghezza;48 la maggiore frequenza del nesso NT
39. Cc. c. 328rb r. 141 arcem; 314ra r. 16 accendatur; 266rb r. 25 mergatur; 168vb r.
42 paciica, 188vb r. 6 iant; 145ra r. 9 altaris, 162va r. 23 turbari.
40. C. 156rb r. 27 disparilitas.
41. Cc. 153rb r. 29 seque, 183rb ultimo rigo eius.
42. Cc. 98ra r. 13, 112ra r. 29, 168vb r. 29, 188vb rr. 6 e 7, 200 rb r. 43, 207rb r. 26,
passim.
43. C. 153rb r. 14 resistens.
44. Così anche in alcuni codici sicuramente romani, vergati in romanesca o in carolina
non tipizzata: ambedue i segni nel Lezionario di S. Gregorio al Celio Biblioteca apostolica
Vaticana, lat. 1274, del secolo XI ine o XII inizi; il segno soprascritto nelle Vitae Sancto
rum Biblioteca apostolica Vaticana, lat. 1189, della prima metà dell’XI, nell’Expositio in
ep. Pauli Oxford, Bodl. Add. D 104 trascritto nel 1067 per S. Cecilia in Trastevere, nel
Martirologio Barb. lat. 646, attribuibile a S. Paolo fuori le Mura e alla seconda metà dell’XI
secolo. Su di essi, cfr. E.A. Lowe, The Beneventan Script. A History of the South Italian
Minuscule, 2a ed. a cura di V. Brown, Roma 1980, pp. 261, 265, 266, 267, e Supino Martini,
Roma e l’area graica romanesca, pp. 90-91, 95-97, 100-102, 103 e nota 2, 108.
45. Cc. 204rb u.r. prosperitatem; 301ra r. 36 congregaret; passim.
46. Cc. 171v r. 36 reverteris; 183vb rr. 36 recuperantur, 41 multiplicantur, 43 fortiter.
47. C. 172ra r. 33 reddunt.
48. Cc. 234vb r. 11, 240va r. 2, passim.
Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane
257
anche interno al rigo. Ambedue gli scriventi manifestano stanchezze che
possono rendere il tracciato più pesante e l’esecuzione meno curata,49 in
A occasionalmente e in B verso la ine della propria porzione, ove inoltre
aumenta la spaziatura tra le lettere e la propensione alle abbreviazioni.
Alle due mani che trascrivono i Moralia ne vanno aggiunte altre due
cui si devono testi accessori ma non casuali. Infatti, al testo gregoriano furono anteposti, in tempi collimanti o di poco successivi alla sua scritturazione,
due fascicoli contenenti il libro di Giobbe completo di prologo geronimiano, vergati dalle mani C e D50 in carolina non tipizzata, con aste elevate sul
rigo piuttosto sviluppate e desinenti a spatola, una scrittura che con quella
del testo principale condivide l’aspetto squadrato, la leggera inclinazione, la
N molto larga già rilevata nella seconda mano dei Moralia, e altri elementi:
il legamento corsivo ri cui indulge la mano C, nel complesso più curata e
più rigida, i legamenti st molto alti, di matrice cancelleresca, e il nesso NT
rilevabili nella mano D, meno ordinata, con tracciato più pesante. Le due
mani appaiono vicine per ambiente e suggestioni a quelle del testo principale, rispetto alle quali tradiscono sintomi minimi ma rilevabili di maggiore
avanzamento verso la minuscola di transizione (et anche in nota tironiana;
in D, il compendio di -rum con r stretta e verticalizzata) che le collocano nel
XII secolo, plausibilmente entro il primo quarto o poco oltre.51
La presenza del testo biblico e della sua prefazione, che l’analisi paleograica e codicologica suggerisce trascritti parallelamente ai Moralia
49. Se ne vedano i sintomi alle cc. 32ra, 108v, 152v per A; 329rb-va, 330r-333r per B.
50. C trascrive il prologo geronimiano, alle cc. 1v, 309ra r. 8; D prosegue vergando il
libro di Giobbe nel resto del fascicolo (in sequenza corretta, cc. 309ra r. 15, 307, 310-311,
308, 312, 2) e nel fascicolo seguente (cc. 3-8).
51. Nei margini il codice presenta tracce di uso, anche colto, almeno ino al XIV secolo:
maniculae, monogrammi per nota (spesso spiccatamente cancellereschi, cfr. cc. 178r, 182r)
e annotazioni marginali. Di queste ultime vanno segnalati qui almeno i numerosi interventi
di mani coeve che integrano piccole lacune da collazione o appongono varianti, brevi glosse,
note di studio, utilizzando un complesso di segni, in particolare varie forme di asterisco e le
sigle di tradizione tardoantica h(ic) d(eest) / h(ic) p(one), (cfr. cc. 14r, v, 16r, 136r, passim);
nonché le rare ma interessanti comparse di una mano informale del XIII secolo (cc. 74v, 90r,
passim). In calce poi alla ine del XX libro dei Moralia, a cc. 333r-334v una mano in textualis
minuta databile al XIII secolo ha trascritto un testo anepigrafo identiicabile come la Vindicta
Salvatoris, capp. 1-35, un apocrifo del X secolo che nell’Urbinate presenta notevole differenza rispetto al testo edito in Evangelia apocrypha…, recensuit C. Tischendorf, Lipsiae 1876,
pp. 471-486. Cfr. inoltre F. Stegmüller, Repertorium Biblicum Medii Aevi, 1, Matriti 1940,
n. 180, e 8, ibid. 1976, n. 180; The Apocryphal New Testament… with Other Narratives and
Fragments Newly Translated, a cura di M.R. James, Oxford 1924, pp. 159-160.
258
Emma Condello
o sopraggiunti immediatamente dopo la copia del testo primario52 e nel
medesimo ambito, fa dell’Urbinate latino 97 nel suo assetto attuale l’esito di uno sforzo editoriale in linea con i tempi. La pianiicazione di un
esemplare dei Moralia corredato dei testi inalizzati a favorirne la massima
comprensione e l’approfondimento, a rendere immediatamente disponibile
un riferimento costante per la rilessione e lo studio dell’opera esegetica,
risponde al disegno di riqualiicazione intellettuale e religiosa che fu tanta parte del progetto della riforma cosiddetta gregoriana e partecipa della
temperie culturale e spirituale viva a Roma ancora nei primi decenni del
XII secolo, cui si deve una produzione libraria più vasta e coesa di quanto
ino a qualche tempo fa si sia ritenuto.53
4. Il codice reca due sottoscrizioni metriche che, pur censite in passato,54 sono rimaste sostanzialmente trascurate. La prima di esse (igura 2) si
colloca alla ine del l. X, quindi a metà del testo del codice, a c. 170vb, e
recita:
Prudens quisquis lector volumen cum legeris istud
Scriptori imperito veniam concede deposco.
Et eradere quod super est et non pigriteris aptare que desunt
Qui patris es verbum me Iohannes abbas presbiter55 proprium suscipe suum56
Iohannes presbiter et abbas scripsi libellum istud pro se det amen.57
La seconda sottoscrizione (igura 3) è posta a ine volume, a c. 333ra
dopo l’explicit solenne del l. XX, che concludeva la pars sexta dell’opera:
Sexta docet inem pars hoc resonare volumen
Quod bene ter senis distinguitur undique libris
Anastasii sancti concessum munere Christi
Altari, cuius si quis subtraxerit istud
Donum, percussus sit sic Anathemate Iesu
52. La segnatura originale dei fascicoli, in lettere quasi sempre maiuscole, non computa le sezioni vergate da C e D, oggi fasc. I e XL.
53. Cfr. Condello, La Bibbia al tempo della Riforma gregoriana, pp. 360-361, 368.
54. Benedictins du Bouveret, Colophons de manuscrits occidentaux des origines au
XVIe siècle, 3, Fribourg 1973, n. 8384.
55. Ioha(nn)es a(bbas) p(res)b(i)t(er) in monogramma, con a(bbas) sospesa su o,
p(res)b(i)t(er) in nesso con l’asta di h.
56. Colophons legge Iohannem e tuum.
57. In sillabe palindrome: Nes an io ter bi pres et bas ab si scrip lum bel li tud is se.
p(ro). t đ. am(en).
Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane
Figura 2. BAV Urb. lat. 97, c. 170vb (particolare)
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Emma Condello
Figura 3. BAV Urb. lat. 97, c. 333ra (particolare)
Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane
261
Perpetua vita careat tunc morte futura
Iohannes scriptor da Christe medelam.
Le due brevi composizioni ritmiche di poche righe, che aspirano a
solennizzare il codice più di quanto lingua e metrica parimenti imperfetti
riescano a fare, reimpiegano stilemi e formule tradizionali (i vv. 1-3 del
primo testo,58 la formula di sanzione e l’invocazione di premio per il copista nel secondo): rivelano tuttavia un nome, Iohannes presbiter et abbas,
e una dedica a un luogo sacro a sant’Anastasio per il quale il libro è stato
realizzato, da identiicare nel monastero delle Acque Salvie. Quanto inora
rilevato per il proilo graico, decorativo e codicologico del manoscritto
non consente di ipotizzare aree diverse da quella romana in senso lato, né a
Roma e nel territorio circostante si danno alternative credibili al monastero
di S. Anastasio alle Tre Fontane. Le altre fondazioni monastiche intitolate a un Anastasio riscontrabili a quest’altezza cronologica in area laziale
sono infatti sedi minori, di intitolazione non univoca, prive di attestazione
anche indiretta quanto a biblioteca o ad attività di produzione scrittoria,
per più aspetti incompatibili con l’allestimento o con l’offerta di un codice
impegnativo quale l’Urbinate. Si tratta di due cellae benedettine maschili
rispettivamente a Corneto e a Tivoli: la prima dedicata ai santi Pellegrino
e Anastasio, soggetta a Farfa, è erraticamente attestata nel 1017, 1043 e
1297, e presto scomparsa nel XIV secolo; la seconda citata nel tempo come
S. Barbara, poi Ss. Sebastiano e Barbara, o solo S. Sebastiano, inine Ss.
Barbara e Anastasio, soggetta all’abbazia di S. Scolastica nei cui possessi
viene menzionata più volte unicamente in quanto sede di mulino, tra IX
secolo e 1216, risulta scomparsa dopo quest’ultima data.59
58. La formula, censita in D. Schaller, E. Könsgen, Initia carminum Latinorum sae
culo undecimo antiquior. Bibliographisches Repertorium für die lateinische Dichtung der
Antike und des früheren Mittelalters, Göttingen 1977, p. 567, n. 12716, era in uso a partire
dall’età carolingia: cfr. Versi Sangallenses, ed. K. Strecker in MGH. Poetarum latinorum
Medii Aevi, 4, Berolini 1923, p. 1112, e A. Bruckner, Scriptoria Medii Aevi Helvetica. Den
kmaler Schreibkunst des Mittelalters, 2, Genf 1936, p. 56, e 3, 1938, pp. 124-125.
59. Monasticon Italiae, 1, Roma e Lazio, a cura di F. Caraffa, Cesena 1981, pp. 176
n. 235, 182 n. 254. Improponibili anche le altre cinque piccole chiese romane intitolate a
S. Anastasio: de Trivio, nel rione Trevi, l’unica ancora esistente, intitolata ormai ai Ss. Vincenzo e Anastasio; de Marmorata, presso l’Aventino; de Arenula, attestata nel 1186 come
dipendenza di S. Lorenzo in Damaso; de Pinea, nel rione omonimo, attestata però dal XIV
secolo; de Puteo Probae, sul Viminale, di identiicazione assai incerta. Nessuna di esse ha
lasciato traccia che possa giustiicare, per il periodo qui rilevante, la capacità e i mezzi di
allestire o importanza tale da giustiicare il dono di un codice come l’Urbinate: per tutte
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Emma Condello
Il collegamento del codice Urbinate al monastero di S. Anastasio alle
Acque Salvie ha trovato imprevisto conforto inale nella decifrazione di
una nota parzialmente erasa apposta a c. 334v, ultima originariamente
bianca del codice, occupata in parte dal testo dei Vindicta Salvatoris e da
numerose prove di penna di epoca varia. La lettura con l’ausilio della lampada di Wood ha restituito una nota di possesso vergata da una mano del
XIII secolo in questi termini: Iste liber Moralium est Monasterii sancti
Anastasii qu<..> Ac<…>S<..>e thebald.s de [ur]bino sub <…> | <…>
nulli reddatur <…>, che autorizzano l’integrazione in favore delle Acque
Salvie e indicano un termine cronologico della permanenza del codice nella
biblioteca monastica. Le sottoscrizioni presentano tuttavia aspetti problematici, per l’attribuzione a unica mano di quanto si è veriicato vergato da
due, pure strettamente afini, e per l’adozione di una carolina così connotata da elementi di derivazione cancelleresca da sembrare di primo acchito
comparabile solo in modo mediato a quella del testo. In realtà, la prima
sottoscrizione si rivela eseguita in due tempi e da due mani, una delle quali
è A, che conclude la propria porzione di testo principale con la formula
tradizionale delle righe 1-3, nel medesimo inchiostro del testo, manifestando l’inclinazione allo schiacciamento già segnalata e accentuando quella
all’enfatizzazione delle aste di gusto cancelleresco. In calce alla formula,
altre due righe nelle quali Iohannes si dichiara, praticando il vezzo di una
crittograia blanda (scrittura palindroma per sillabe) ma non priva di insidia nello scioglimento della clausola inale, e abbreviando nome e qualiiche in un monogramma unico, che ulteriormente suggerisce la conidenza
dello scrivente con abitudini documentarie. Rispetto alle righe precedenti,
Iohannes verga una carolina più minuta e rigida, nella quale spiccano le
aste sempre molto sviluppate, particolarmente quelle alte sul rigo fornite di
loro si rinvia a M. Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, nuova ed., Roma
1942, pp. 288, 409, 607, e C. Hülsen, Le chiese di Roma nel Medioevo, Firenze 1927, pp.
174-175, e, per la chiesa de Arenula, ai documenti del XV secolo regestati in G. Barone, A.
Piazzoni, Le più antiche carte dell’Archivio del Gonfalone, 12671486, in Le chiavi della
memoria, Città del Vaticano 1984, pp. 17-105, in particolare pp. 75, 129, 132. Al di fuori del
Lazio, del resto, la stessa area umbra, certamente compatibile con l’Urbinate dal punto di
vista graico (ma non da quello decorativo), presenta solo presso il Duomo di Terni un culto
locale di sant’Anastasio vescovo, in parziale sovrapposizione con il martire persiano delle
Tre Fontane. Tuttavia la diocesi ternana è soppressa dal 760 al 1218, e solo dopo la restaurazione sotto Onorio III il culto conosce nuovo e temporaneo aflato. Quanto all’assenza di
Terni dal quadro delle attribuzioni di codici di cultura graica o di inluenza romanesca, cfr.
Supino Martini, Roma e l’area graica romanesca, pp. 196-197.
Un nuovo codice superstite del monastero delle Tre Fontane
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svolazzo o nodo terminale (cfr. suum r. 4, passim), che trova riscontro più
calligraico nella sottoscrizione inale, con iniziali di rigo riempite di giallo
come le capitali dell’explicit che precede. La maggiore estensione del secondo testo permette di cogliere meglio gli elementi collimanti tra la mano
di Iohannes e quelle del testo, in particolare B: accenni allo schiacciamento di lettere o singole parole,60 e con occhiello superiore alto e chiuso, et
con il tratto obliquo di destra che forma angolo molto aguzzo in basso e
si protende in alto in interlineo, con tratto orizzontale di t molto alto sul
rigo,61 legamento st in forma aguzza ma anche basso e largo,62 frequenza di
maiuscole;63 prolungamenti a destra per l’ultima lettera del rigo.64
5. Dunque Iohannes verosimilmente coincide con la mano B. Sottoscritta la chiusura del codice, egli appone un proprio sigillo anche a metà
libro utilizzando una formula che, se nell’immediato dà luogo a una falsa
attribuzione, va tuttavia considerata anche in relazione all’uso diffuso di
scribere in luogo di scribi facere: traslato che appare congruo alla condizione di un sottoscrittore abate del monastero al quale il codice è dedicato,
nel caso speciico in certo modo il committente di se stesso, due condizioni
che non si vuole sottacere e che chiaramente prevaricano quella dell’anonimo copista A. Ciò avviene nell’ultimo scorcio dell’XI secolo o entro il
primo quarto del XII, in appendice a una fase della vicenda del monastero
delle Acque Salvie per la quale non si hanno notizie né reperti: schiacciata
tra l’appartenenza benedettina da una parte, nebulosa nei termini cronologici e mal documentata nel suo trascorrere, un XI secolo tutto decadenza
e silenzio, aflizione per l’insalubrità dell’aria e abbandono, secondo la
versione comunemente accettata in letteratura,65 e inine l’assegnazione ai
60. Cfr. in particolare rr. 2, 6, passim.
61. Modalità comune alle mani A e B, riscontrata in molte Bibbie atlantiche e nella
produzione romana ad esse connessa.
62. La seconda forma, calligraica e artiiciosa, è attestata maggiormente nella mano
A ma anche in D, sembra essere quindi esito di abitudini comuni all’ambiente nel quale
operano tutte le mani a vario titolo attive nei testi dell’Urbinate.
63. La -N di volumen a r. 1 è identica a quella di AMEN che al rigo superiore chiude
l’explicit; cfr. inoltre rr. 2, 7.
64. Cfr. r. 6.
65. Manrique, Cisterciensium annalium, pp. 391-392, 1: «sed hoc tempore sola ecclesia, deerat habitator; monasterium monachis fere destitutum Innocentius II papa circiter a.
Ch. 1140 s. Bernardo magno abbati Claraevallensi donavit»; e sulla stessa linea P.F. Kehr,
Italia pontiicia…, 1, Berolini 1906, p. 171; Giorgi, Il Regesto, p. 55; Ferrari, Early Roman
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Emma Condello
cistercensi dalla quale soltanto, dal 1138-1140, sembra ricominciare la storia di una delle più antiche e peculiari istituzioni monastiche romane. Un
quadro rispetto al quale un prodotto librario del rilievo graico e decorativo del codice Urbinate, con il contesto di riferimento cui attiene, viene a
rappresentare una distonia e, segnalando una pigrizia della ricerca storica
e di storia della cultura graica e libraria,66 torna a proporre l’indagine sulla
realtà monastica delle Tre Fontane.
Monasteries, p. 44; [Barbiero], S. Paolo e le Tre Fontane, pp. 109-110, e la letteratura che
da essi dipende.
66. L’ambito degli studi storico-artistici appare il solo che abbia riservato attenzione
vigile al tema negli ultimi decenni, in relazione alla peculiarità architettonica di S. Anastasio alle Acque Salvie nel contesto dell’edilizia chiesastica cistercense e al problema critico
degli affreschi dell’arco di Carlomagno che introduce al complesso delle Tre Fontane. Per
questa tematica si rinvia almeno a Garrison, Studies, 3, pp. 27-28; F. De Maffei, Rilessi
dell’epopea carolingia nell’arte medievale: il ciclo di Ezechiele e non di Carlo a S. Maria
in Cosmedin e l’arco di Carlo Magno a Roma, in La poesia epica e la sua formazione, Atti
del convegno internazionale (Roma, 28 marzo-3 aprile 1969), Roma 1970, pp. 351-392; A.
Iacobini, La pittura e le arti suntuarie da Innocenzo III a Innocenzo IV, in Roma nel Due
cento. L’arte nella città dei papi da Innocenzo III a Bonifacio VIII, a cura di A.M. Romanini, Torino 1991, pp. 267-271. Per il primo aspetto, cfr. R. Wagner-Rieger, Die italienische
Baukunst zu Beginn der Gothik, 2, Süd und Mittelitalien, Graz-Köln 1957, pp. 27-30; H.
Hahn, Die frühe Kirchenbaukunst der Zisterzienser. Untersuchungen zur Baugeschichte
von Closter Eberbach in Rheingau und ihren europäischen Analogien in 12. Jahrhundert,
Berlin 1957, pp. 171-173; L. Fraccaro de Longhi, L’architettura delle chiese cistercensi
italiane, con particolare riferimento ad un gruppo omogeneo dell’Italia settentrionale, Milano 1958, pp. 267-269; C. Pietrangeli, L’Abbazia delle Tre Fontane, in C. D’Onofrio, C.
Pietrangeli, Abbazie del Lazio, Roma 1969, pp. 177-194, in particolare pp. 183-194; A.M.
Romanini, La storia architettonica dell’Abbazia delle Tre Fontane a Roma. La fondazione
cistercense, in Mélanges à la mémoire du père Anselme Dimier, Arbois 1982-1987, 3, pp.
653-695; P.F. Pistilli, Considerazioni sulla storia architettonica dell’abbazia romana delle
Tre Fontane nel Duecento, in «Arte medievale», II s., 6 (1992), pp. 163-192; A.M. Romanini, Ratio fecit diversum: la riscoperta delle Tre Fontane a Roma chiave di lettura dell’arte
bernardina, in Ratio fecit diversum, pp. 1-78; E. Parlato, S. Romano, Roma e il Lazio. Il
romanico, Roma-Milano 2001, pp. 77-86.