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Interview on "Zanier. Il poeta migrante e la rivoluzione"

CULTURE E SOCIETÀ laRegione, martedì 12 luglio 2022 LUTTO 17 RSI La poesia svizzera ha perso Fabio Contestabile Era nato a Maroggia il 15 febbraio del 1954, si è spento domenica scorsa all’età di 68 anni. La poesia svizzera piange Fabio Contestabile. Una laurea in lingua e letteratura italiane e francesi nel 1979 a Zurigo, insegnante per quasi un ventennio, Contestabile aveva esordito nel 2007 con la raccolta ‘Con parole semplici’ (Edizioni Ulivo), opera dominata dal rapporto conflittuale tra il poeta-personaggio e il mondo. Nel 2009 era arrivato ‘Non c’è che il fluire crescente’ (alla chiara fonte): «È stato un titolo che probabilmente contiene in nuce il senso della vita, non facilissima in lui. Malgrado dolori molto profondi, era capace di sguardi illuminati, di un misticismo quasi orientale. In questo fluire, in questo suo andare avanti, mi pare sia racchiusa la sua personalità». Parole di Mauro ‘Vals’Valsangiacomo, fondatore di alla chiara fonte, dunque editore di quell’opera. «Voglio ricordare – dice ancora Vals – ‘La mappa per Pétur’ (ADV), un racconto nel quale è contenuta tutta la capacità di linguista di Fabio. Amava tanto lo studio del greco antico e le mitologie lontane». ‘La mappa per Pétur’, suo primo lavoro in prosa. Del 2010 è la pubblicazione di alcuni testi su La clessidra, semestrale di cultura letteraria (Joker); del 2011 è ‘Spazi e tempi’ (Manni), raccolta che è valsa a Contestabile l’invito alle Giornate letterarie di Soletta del 2012 e alla Seetaler Poesiesommer di Lucerna, da cui l’idea di una pubblicazione con traduzione tedesca a fronte, diretta al pubblico svizzero-tedesco: ecco dunque, nel 2013, sempre per alla chiara fonte, ‘Screziato di metallo il suono’, con traduzione in tedesco di Marisa Rossi. Del 2018 è la raccolta poetica intitolata ‘Il senso incerto’ (Manni), summa dei temi affrontati nell’arco degli anni. «Di Fabio – conclude Valsangiacomo – ricordo il nostro ultimo incontro. Risale a qualche settimana fa. Abbiamo trascorso un pomeriggio insieme in un bar. È stato un momento di grande serenità, di gioia, si percepiva il senso così piccolo dell’esistere, dell’esserci. Abbiamo condiviso questo sentimento, che Fabio portava con sé: l’essere piccoli di fronte a quell’immensità che è l’esistenza». B.D. Spiando Leo Zanier, ‘pericoloso sovversivo’ Primo maggio a Berna nel 1973: lavoratori italiani manifestano (nel riquadro, Leonardo Zanier) 1954-2022 VICEVERSA LOCARNO75 L’Osi apre il Festival suonando ‘Broken Blossom’ Il 75esimo Locarno Film Festival inizia mercoledì 3 agosto alle 13.30 con un salto nel 1919: ‘Broken Blossoms’ è il lungometraggio del pioniere del cinema David Wark Griffith, e l’Orchestra della Svizzera italiana (Osi), diretta da Philippe Béran, ne eseguirà dal vivo le musiche di Carl Davis, compositore e direttore d’orchestra statunitense, autore di numerose colonne sonore per il cinema muto, da ‘Napoleon’ di Abel Gance (1927) a ‘Intolerance’ di Griffith (1916). Il Palexpo di Locarno è pronto a far rivivere uno dei capolavori del cinema muto americano, interpretato dalla star Lillian Gish. Musa di Griffith, a 26 anni Gish interpretò la 13enne Lucy Burrows; al suo fianco, nel ruolo di Cheng Huan, il newyorkese Richard Barthelmess. In ‘Broken Blossoms’, Griffith continuò il suo inesauribile processo di sperimentazione. “‘Broken Blossoms’ è un film incredibile, incredibilmente moderno e addirittura contemporaneo, sia per il linguaggio, sia per i temi che tratta”, racconta Philippe Béran. “È tecnicamente meraviglioso e per me sarà un onore essere il primo al mondo a dirigerlo dopo Carl Davis. Mi ha mandato una partitura scritta appositamente per questo film: farla ascoltare al pubblico di Locarno sarà una vera gioia ed emozione (...) Le musiciste e i musicisti dell’Osi che avrò il piacere di dirigere saranno 48 e insieme ricostruiremo un’atmosfera veramente particolare, unica, lontana un secolo ma fortemente attuale”. David Wark Griffith, pioniere del cinema PUBLIC DOMAIN A colloquio con Mattia Lento, autore del radiodramma ‘Zanier. Il poeta migrante e la rivoluzione’, su Rete Due dal 13 al 15 luglio e dal 18 al 22 luglio. di Beppe Donadio Ha messo le mani negli archivi della polizia politica di Zurigo per riportarci tutti all’epoca dello Statuto dello stagionale (abolito giusto vent’anni fa), ai giorni della prima iniziativa Schwarzenbach (l’espulsione di massa dalla Svizzera di migliaia di persone senza passaporto), al tempo delle battaglie del movimento dei lavoratori migranti in cerca di giustizia sociale. Il risultato della ricerca di Mattia Lento, in collaborazione con Manuela Ruggeri, è confluita in ‘Zanier. Il poeta migrante e la rivoluzione’, radiodramma in onda su Rete Due dal 13 al 15 luglio e dal 18 al 22 luglio, sempre alle 13.30, prodotto da Francesca Zorzi e diretto da Flavio Stroppini. «Zanier è la figura che ho scelto per raccontare un mondo. Non volevo santificarlo, né farne un’agiografia», ci spiega Lento. E Zanier è Leonardo ‘Leo’ Zanier (19352017), poeta e sindacalista, educatore e attivista sindacale, friulano della Carnia spostatosi dapprima in Marocco e poi a Zurigo per diventare – in quanto figura di riferimento dell’emigrazione italiana in Svizzera – uno dei soggetti più spiati dalla polizia politica elvetica. ‘Zanier. Il poeta migrante e la rivoluzione’ alterna poesia e prosa, nel funzionale incastro con materiale d’archivio inedito e soprattutto con le ‘fiches’ della polizia politica a lui riservate, oggi conservate allo Stadtarchiv di Zurigo, spunto offerto a Lento per raccontare il protagonista attraverso lo sguardo di due poliziotti, un ticinese e un bregagliotto, sulle tracce del “pericoloso sovversivo” (dopo l’emissione, l’opera radiofonica sarà disponibile all’indirizzo www.rsi.ch/radiodrammi). Mattia Lento, perché proprio Zanier? A colpirmi sono stati i racconti di molte persone politicamente attive nel mondo della migrazione italiana e spagnola, spiati dalla polizia. In particolare mi ha colpito la storia di Lisetta Rodoni, proprietaria della Libreria italiana di Zurigo, oggi chiusa, spiata per anni dalla polizia e anche dai KEYSTONE/RSI vicini, sempre cordiali con lei, una doppia faccia dalla quale Lisetta restò assai segnata. Il marito Sandro, un ticinese di Biasca, fu uomo importantissimo del Pci, rappresentò una sorta trait d’union tra Partito del lavoro, Pci e mondo della migrazione italiana. testimonianze, a interviste dirette, quelle con Marco Mona, o con Bruno Cannellotto, sindacalista anch’egli spiato, amico di Zanier. E poi c’è un po’ di fantasia: i poliziotti sono due italofoni, figure magari un pochino inverosimili, ma ispirate a racconti dei diretti testimoni. C’è stata una conoscenza diretta con il ‘pericoloso sovversivo’? Lo incontrai per la prima volta al 50esimo dalla fondazione della Libreria italiana. Non posso dire di aver avuto con lui un rapporto profondo. Io vengo dalla ricerca, ho studiato cinema, ho fatto un post-dottorato con il Fondo Nazionale Svizzero occupandomi dei rapporti tra migrazione italiana e cinema svizzero e Zanier, oltre all’importanza in ambiti di formazione e diritti, fu anche l’artefice del forte impulso giunto ai cineclub delle colonie libere. Se vogliamo, Zanier l’ho più studiato che conosciuto. Tra i nostri incontri ricordo la visione di un film insieme, credo si trattasse di un’opera di Bizzarri. In Zanier s’incarnano la mia volontà di raccontare un mondo della migrazione italiana organizzato e combattivo insieme al trauma della repressione politica. È un attimo, rileggendo questa fetta di storia, immaginarsi ‘Le vite degli altri’… Anche la mia mente è andata al modello Ddr. Negli anni 60 in Svizzera c’era lo spauracchio dell’espulsione, e Rodoni sarebbe dovuto essere espulso almeno dieci volte, ma lo salvò l’essere ticinese. Sì, il modello è presente, e Zanier si chiede proprio quanto questa attività abbia portato a una sorta di Berufsverbot (legge federale tedesca che esclude dall’impiego pubblico soggetti dalle idee politiche radicali o estremiste, ndr). Nel radiodramma cito il ruolo del datore di lavoro dello Zanier, che sembra coprirlo in quanto il suo dipendente è gran lavoratore, è qualificato. Probabilmente al datore di lavoro non interessava l’attività politica, ma la sua resa lavorativa. E Zanier chiama di suo rispetto e ammirazione. Ho scoperto, studiandolo, che è l’inventore del concetto di albergo diffuso, per esempio. Ecco, sugli altri suoi ruoli sociali, alla fine, si potrebbe scrivere un opera radiofonica a sé. Quali le fonti, gli spunti per la drammaturgia? Di Zanier ho approfondito la vita e l’opera, grazie anche a Paolo Barcella, storico della migrazione italiana e autore della sua biografia. Ogni episodio è aperto da un testo di Zanier. Da poesie, in particolare, che fungono da ‘accompagnamento’, a introdurre il tema della puntata o a fare riferimento a un contenuto che emerge dall’episodio. Le schede della polizia zurighese sono state per me spunto ma anche importante fonte in chiave di ricostruzione dei fatti. Zanier stesso, delle sue ‘fiches’, dice: “Quando avrò l’Alzheimer questi documenti mi diranno cosa ho fatto”. Sono schede a volte quasi ridicole, nei confronti delle quali non tutti hanno reagito male, alcuni le hanno anche derise per quel misto paradossale di acribia e raffazzonaggine. Una scheda, in particolare, mi è servita come struttura di un’intera puntata: è una fiche pubblicata anche da Paolo Barcella nella quale si legge di quello che pare un inseguimento da cinema americano, un’azione messa in atto per cercare di prevenire chissà quale azione sovversiva per scoprire poi che si trattava solo di una tombolata. La miccia che ha portato al radiodramma è stata proprio questa scheda, e il mio progetto iniziale era quello di costruire l’intera drammaturgia sulle schede stesse, ma sarebbe stato impossibile. Ho dovuto fare riferimento a Mattia Lento