Academia.eduAcademia.edu

Grand Tour: immaginario, territorio e culture digitali

2016

Il Grand Tour puo essere recuperato come asset narrativo utile per un intervento strategico di re-branding del viaggio in Italia? Il contributo analizza il contesto e le condizioni per una progettazione di questo livello nell’ambiente culturale dell’epoca digitale. Considerando gli archetipi moderni della mediazione dei luoghi come una grande riserva di senso, da riattivare sia nelle pratiche basate sui format seriali e transmediali che valorizzano i territori nella produzione creativa, sia nella costruzione di infrastrutture digitali e  transluoghi per la valorizzazione degli attrattori culturali. DOI 10.4399/97888548993914

Metadata, citation and similar papers at core.ac.uk CORE Provided by Archivio della ricerca- Università di Roma La Sapienza DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures Grand Tour: immaginario, territorio e culture digitali Emiliano Ilardi Donatella Capaldi Dipartimento di Pedagogia, Psicologia, Filosofia Università di Cagliari Digilab Università di Roma “La Sapienza” Abstract Il Grand Tour può essere recuperato come asset narrativo utile per un intervento strategico di rebranding del viaggio in Italia? Il contributo analizza il contesto e le condizioni per una progettazione di questo livello nell’ambiente culturale dell’epoca digitale. Considerando gli archetipi moderni della mediazione dei luoghi come una grande riserva di senso, da riattivare sia nelle pratiche basate sui format seriali e transmediali che valorizzano i territori nella produzione creativa, sia nella costruzione di infrastrutture digitali e transluoghi per la valorizzazione degli attrattori culturali. Published 22 December 2016 Correspondence should be addressed to Emiliano Ilardi, Dipartimento di Pedagogia, Psicologia, Filosofia, Università di Cagliari. Email: [email protected] DigitCult, Scientific Journal on Digital Cultures is an academic journal of international scope, peer-reviewed and open access, aiming to value international research and to present current debate on digital culture, technological innovation and social change. ISSN: 2531-5994. URL: http://www.digitcult.it Copyright rests with the authors. This work is released under a Creative Commons Attribution (IT) Licence, version 3.0. For details please see http://creativecommons.org/ licenses/by/3.0/it/ DigitCult 2016, Vol. 1, Iss. 3, 37–48. 37 http://dx.doi.org/10.4399/97888548993914 DOI: 10.4399/97888548993914 38 | Grand Tour: immaginario, territorio e culture digitali doi:10.4399/97888548993914 Perché ritornare al Grand Tour? 1 Comunicazione turistica top down e bottom up, marketing esperienziale del territorio, (digital) storytelling, immersività, profilazione del visitatore; docufiction, mockumentary e reality show per il turismo, cineturismo, teatralizzazione degli spazi storico-artistici, realtà aumentata, 3D, gamification, social network. Sono tanti gli strumenti oggi disponibili per la valorizzazione del patrimonio culturale. C’è molta confusione, a iniziare dalla messa a fuoco dei punti di forza di un italian cultural heritage e quindi dalle scelte sui settori del nostro patrimonio sui quali concentrare (le poche) risorse: tangible o intangible? l’archeologia? il paesaggio? l’enogastronomia? le città d’arte? i borghi? Tutti insieme? Mancano linee e macroobiettivi di comunicazione e si procede come al solito a braccio. Ogni regione, ogni comune va avanti per conto suo, con strumenti di promozione diversi e spesso non integrabili. Senza voler sminuire qui le responsabilità delle istituzioni per il disastro in cui versa la comunicazione turistica e del territorio in Italia, va ammesso che valorizzare e promuovere il Belpaese è oggettivamente difficile, anche perché non ci sono modelli da imitare. La Spagna per esempio ha puntato in gran parte su alcuni luoghi dello svago e dello “sballo” (Costa del Sol, la costa valenciana, Barcellona e la Costa Brava, le Baleari) che attraggono soprattutto i giovani, mentre nei mesi invernali si popolano di pensionati stranieri. Il turismo francese è "parigicentrico" e basato essenzialmente sulla cultura artistica ed enogastronomica. Quello inglese, "londracentrico", su un mix di cultura (soprattutto pop) e divertimento, oltre ovviamente sull’insegnamento della lingua. Quello olandese, "amsterdamcentrico", funziona sul modello spagnolo, con più musei e architettura. Tutti, in effetti, si caratterizzano per la presenza di una struttura semplice e compatta di luoghi e archetipi, di asset narrativi transmediali (Giovagnoli 2013) su cui costruire una diversificata strategia promozionale che utilizzi tutti gli strumenti comunicativi per poi valorizzare il resto del patrimonio e dei territori. È più o meno la strategia della “coda lunga” (Anderson 2006). Una strategia difficilmente applicabile in Italia, dove i grandi attrattori sono moltissimi, di molti tipi diversi, e sparsi sul territorio: Roma, Venezia, Firenze, Napoli, la Sicilia, l’Umbria, i cinquantuno siti Unesco, le Alpi, i Vulcani, il mare della Sardegna e quello della riviera romagnola, il trekking, lo sci, l’enogastronomia (diversa in ogni regione), le terme, la musica, etc. Lo stesso per gli archetipi: il sacro, il profano, il benessere, il divertimento, il cibo, il clima, la cultura (in tutte le sue possibili declinazioni), il paesaggio, lo sport, l’avventura, etc., senza considerare la debole identità nazionale degli italiani e la loro scarsa fiducia nelle istituzioni statali sovraregionali. Il rischio è che siano altri soggetti a costruire stereotipi (il paese del Papa, dell’arte, del mare) e narrazioni su di noi, a determinare la nostra immagine, e dunque la quantità e qualità dei flussi turistici (impermeabili l’uno all’altro e non organizzati sul territorio in percorsi e itinerari coerenti). A fronte della straordinaria ricchezza dei punti di interesse, se il soggiorno medio dei turisti stranieri in Italia resta inferiore alla settimana (a Roma solo tre notti)2 la causa principale è l’incapacità di immaginare strategie di gestione e promozione del patrimonio sistemiche e coerenti, sulle quali costruire comunicazione e servizi. Esiste una possibilità di creare per il patrimonio e territorio italiani un asset turisticonarrativo che attraversi verticalmente il paese e che possa assicurare coerenza ed efficienza dal punto di vista gestionale, economico e comunicativo? E quali relazioni si configurano tra l’ambiente digitale e queste scelte strategiche? Nel nostro contributo proponiamo di tornare indietro nel tempo, a quando l’Italia era per l’Europa la meta di viaggio per eccellenza, il luogo in cui fare esperienza di tutto: arte, religione, natura, scienza, politica, catastrofe, erotismo, clima, benessere, avventura, festa, divertimento, cibo, commercio. Tutto in un solo viaggio che infatti durava mesi, se non anni. Rilanciato da una sterminata produzione letteraria, il Grand Tour era un sistema abbastanza complesso che legava a sé tra la fine del XVI e il XIX secolo miti e territori del Belpaese in un viaggio di formazione che metteva alla prova il visitatore e lo preparava alla sua vita futura. Prima delle metropoli, il principale spazio di simulazione per l’Europa, e il primo grande immaginario transnazionale moderno. È possibile recuperarlo nell’ambiente culturale della 1 L'articolo è stato condiviso e discusso dagli autori. Nello specifico Emiliano Ilardi ha scritto i primi 3 paragrafi e Donatella Capaldi gli ultimi 2. 2 Statistiche ENIT 2015: http://www.enit.it/it/studi.html e Comune di Roma: https://www.comune.roma.it/ PCR/resources/cms/documents/Il_turismo_a_Roma_24_11_2015_01_X.pdf DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures doi:10.4399/97888548993914 Emiliano Ilardi e Donatella Capaldi | 39 società delle reti? Adattarlo all’Italia di oggi, e al viaggiatore contemporaneo, che si sposta velocemente con aerei e treni ad alta velocità armato di smartphone e tablet? Renderlo credibile per il turismo esperienziale, immersivo, consumista e disincantato? Gli archetipi del Grand Tour La nascita del Grand Tour a fine Cinquecento segna un passaggio chiave verso la modernità: dai pellegrinaggi medievali - il cammino di Santiago, la via Francigena dal Nord dell’Europa verso Roma e Ancona o Brindisi per l’imbarco per la Terra Santa, e altri itinerari devozionali diretti a santuari e abbazie - a una concezione laica del viaggio come esperienza di formazione, che da allora fino a metà Ottocento ha assolto una precisa funzione nella vita dei rampolli delle classi dirigenti nobili e alto borghesi delle principali nazioni straniere, rispondendo a una doppia pulsione, verso la conoscenza e verso il piacere. Convenzionalmente se ne attribuisce l’invenzione a Elisabetta d’Inghilterra, poi imitata dal Re Sole e dall’Elettore del Brandenburgo (Brilli 1995). Borse di studio venivano destinate a giovani gentiluomini che, accompagnati da un tutor e spesati dalla corona, avrebbero dovuto raffinarsi sul piano politico ed estetico, viaggiando in Francia, Svizzera, Germania, per approdare in Italia, terra di corti e di repubbliche dogali, ossia dei modelli politici esemplari a livello europeo. Un “vademecum” del perfetto viaggiatore, redatto da Francis Bacon (Of the travel, 1615), insegnava ad affinare l’osservazione dei fenomeni politici ed economici (nello stile della nascente metodologia scientifica), registrarne le peculiarità organizzative e culturali, imparare la lingua, le maniere e le relazioni sociali, avviare e mantenere i contatti necessari per scoprire cose inedite, rinsaldare rapporti futuri, e soprattutto comprendere il funzionamento delle istituzioni: politiche, giudiziarie, religiose, artistiche, educative e militari. Nelle città-capitali (per l’Italia soprattutto Roma e Venezia) i giovani dovevano visitare le corti dei principi e quelle di giustizia, le chiese e i monasteri, i monumenti, le mura e le fortificazioni, le biblioteche, le università, l’alta manifattura e le rarità; se si arrivava in una città di mare (Genova era per gli inglesi il punto di approdo in Italia) anche il porto e le camere di commercio. La Serenissima, oggetto di culto soprattutto per i britannici nel secolo della rivoluzione di Cromwell, coniugava istituzioni politiche “aperte”, intense attività economiche e commerciali, una fertile produzione artistica e una nuova e agguerrita industria dell’intrattenimento. Mentre Roma, rimessa a nuovo da Papa Sisto, era la Corte ma anche l’Urbs per antonomasia, il luogo della Res Publica, della fondazione del diritto, dell’Impero, dello Stato Pontificio, dell’antichità a cielo aperto e di una concentrazione unica e irripetibile di opere d’arte e di architettura. Una terza capitale, Napoli, si aggiungeva al Grand Tour alla fine del Seicento, con le incombenti e “minacciose” bellezze del Vesuvio e dei Campi Flegrei e le vestigia greco-romane (Fino 1993; De Seta 2011). Da Genova, da Torino, dal Brennero, partiva una rete di stazioni di posta che, ogni 30 km, garantivano riposo e cavalli freschi; e lungo il viaggio altre esperienze si innestavano sul tragitto canonico, fino a creare un archetipo più complesso: via Lucca (con i bagni termali, l’antenato della pratica salutistica moderna); via Bologna, passando da Firenze e Siena; via Verona verso Venezia; o percorrendo la dorsale adriatica, Ancona e Loreto (con il santuario religioso). Ma se migliaia di giovani patrizi, e in seguito semplicemente benestanti, si muovevano nel nostro paese era anche per intercettare le grandi ricorrenze spettacolari, come la “Sensa” a Venezia con lo sposalizio del mare, e il celebrato Carnevale; e lo stesso a Roma: il Carnevale, le cerimonie religiose e le intronizzazioni papali. Il ludus costituiva il versante solo apparentemente minore di questo nuovo archetipo dell’immaginario collettivo. La festa ne era il motore meno ufficiale ma più efficace: allestimenti fastosi, macchine spettacolari, teatri d’opera e concorsi di popolo. E facilità di relazioni, incontro, stordimento, mirabilia e fantasmagoria, travestimento e cambio di identità, trasgressione sessuale, superamento provvisorio delle barriere sociali. Perciò Venezia diventò l’indiscussa prima meta di viaggio, la città-spettacolo con i ridotti, le bische, il barcheggio sulla laguna, l’arte della cavallerizza, e la grande invenzione - dal 1637 - dell’opera lirica, in una fusione già seriale di musica, canto, recitazione, danza, ed effetti speciali, che ripetevano in spazi chiusi le grandi macchine delle cerimonie spettacolari in piazza. Venezia, il luogo principe del divertimento - nutrito da sapienti operazioni di marketing editoriale e onnipresente nella letteratura e nella pittura sei-settecentesca – era imperdibile per i giovani europei, che annotavano tutte le loro esperienze nei diari di viaggio (De Seta 2014). Ancora dopo quasi due secoli, calato in parte il fascino di quello veneziano, il Grand Tour si polarizzava sull’altro grande Carnevale, quello romano, raccontato da Goethe, Gogol, Stendhal, Dickens e soprattutto Dumas, nel Conte di Montecristo (1845): un evento in cui saltavano le DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures 40 | Grand Tour: immaginario, territorio e culture digitali doi:10.4399/97888548993914 norme sociali e si allentavano le rigide divisioni di classe per cui si incontrava l’aristocratico giocare a carte in una lurida osteria con il calzolaio, il maniscalco o addirittura un brigante (la scena restituita da Mario Monicelli e Alberto Sordi nel Marchese del Grillo). Nasceva così l’immaginario turistico occidentale, dove l’archetipo del viaggio di formazione “politica” si arricchiva teatralizzando i luoghi, liberando la pulsione erotica e ludica e immergendo i primi turisti in un mix di arte e di cultura popolare. L’iniziazione, l’avventura a sfondo sessuale, il gioco, l’industria del piacere sollevavano il giovane viaggiatore, spesso proveniente da paesi calvinisti o riformati, dalle norme e dalle mortificazioni del corpo (Littlewood 2004), come testimoniano le più esplicite note di viaggio del Settecento spesso romanzate (come l’Ardinghello di Wilhelm Heinse), dove il tratto libertino si combinava con l’avventura romanzesca on the road: l’imprevisto legato al mezzo di trasporto, il pericolo incombente dei briganti che rendevano le vie malsicure, le fughe da situazioni scabrose e malavitose, duelli e sfide all’arma bianca in cui incappavano regolarmente i viaggiatori (Brilli 2003, 2004). Già ibridandosi con la fiction, il romanzo, il Grand Tour diveniva così un gigantesco problem solving dal vivo, una sfida con l’insicurezza e l’ignoto, la scoperta, la sorpresa, l’incontro fortunato. In aggiunta, scemando via via la valenza politica delle corti italiane, cresceva l’immaginario sull’Italia come luogo del classico, evocato dalla grande pittura rinascimentale e ridefinito dal Poussin “romano” nel Seicento. Il paesaggio archeologico, le rovine come fastigi di uno splendore e di una armonia perduti, la Natura come Mater Tellus, depositaria e custode della bellezza, e come sprigionamento del desiderio e dell’amore, alla base della civiltà e del sentimento. Una inclinazione prima arcadica e poi romantica che aveva radici nel già consolidato contrasto barocco tra Roma e Napoli, immaginata come luogo della catastrofe e degli inferi: l’eruzione del Vesuvio del 1674 richiamò migliaia di turisti, e fu riprodotta in centinaia di quadri diffusi in tutta Europa; nel 1738 il Vesuvio tornò a parlare attraverso la scoperta delle rovine di Ercolano, a cui seguì quella di Pompei (un continuum non casuale collega l’ambasciatore inglese Hamilton che sovvenzionava alla fine del XVII sec. la prima campagna di scavo e gli interventi recenti su Pompei e Ercolano del British Museum e della fondazione HP). Il Grand Tour assorbì dunque da Napoli il senso della catastrofe, insieme a un “format della rovina”, che serializzava Roma, e in generale l’Italia in senso neoclassico (con il ruolo sempre più importante di Firenze), come paesaggio della storia e dell’arte, che Winckelmann diffuse in tutta Europa: i luoghi come immenso deposito di reperti e opere, concentrati all’inverosimile e fruibili ovunque, anche nelle cantine dei palazzi, in un addensamento tale da far quasi svenire Stendhal a Santa Maria Novella (e ancora oggi, gli spettatori della Grande Bellezza di Sorrentino davanti al panorama di Roma visto dal Gianicolo). Fragonard, Goethe, David, Chateaubriand e molti altri intellettuali e artisti in viaggio ne rimanevano folgorati, e restituivano uno spazio sentito come enorme quinta variata e variabile in cui mettersi in scena, e in cui scavare fino alle radici più antiche. Così il viaggio a Sud si prolungava da Napoli alla Sicilia, trainato dalla riesumazione dei templi dorici delle colonie greche e delle architetture normanno-sveve (Cometa 1999; Bonaventura 2009). L’arco storico connesso alla formazione del gentiluomo iniziava ad esaurirsi nella prima metà dell’Ottocento: cambiavano il soggetto del viaggio in Italia (ora il turista borghese), e nel suo complesso l’ambiente culturale (ora i nuovi media metropolitani: oltre al romanzo, il giornale, la rivista illustrata, la fotografia, la pubblicità). Ciò nonostante, tutte le strutture archetipiche che abbiamo disegnato fin qui hanno continuato a rielaborarne i tratti e, ri/mediate dalla narrativa e dalla pittura, sono diventate la prima riserva di un iniziale branding turistico italiano: il mito di Venezia, rilanciato da Hoffmann nei suoi aspetti decadenti, e più tardi da Ruskin nella celebrazione dell’artista-artigiano. Quello di Firenze, corroborato dai Preraffaeliti. Quello di Roma dal celebre Fauno di marmo di Hawthorne (1860), dove la scenografia monumentale della città eterna diventava anche luogo dei misteri. L’Italia come una miniera ad alta concentrazione di classicità, un palcoscenico di millenni, civiltà e popoli, in una sorta di sospensione temporale, era da un lato il terreno preferito per il gothic con inclinazioni fantasticohorror, decisamente avventuroso e sinistro, per i cunicoli e sotterranei di castelli (Horace Walpole e Ann Radcliffe); dall’altro era il contesto del best seller europeo indiscusso di tutto il primo Ottocento: Corinna o l’Italia di Madame de Stäel (1807), dove il paesaggio, tra Roma, Napoli, Firenze e Venezia, era esperienza spirituale, rapporto con l’infinito, educazione sentimentale, e occasione per rigenerare il format del Grand Tour basato sul viaggio di formazione culturale (sulle orme di Corinna si sarebbe incamminato il drappello di inglesi “romani”: Byron, Percy e Mary Shelley, Keats). Seguono il giornalismo politico (che introduceva un nesso di lì in poi quasi obbligato tra Italia e il conflitto/instabilità) con il periodo delle guerre di Indipendenza, della nascita di uno Stato unitario, e delle gesta di Garibaldi, e poi altri generi e DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures doi:10.4399/97888548993914 Emiliano Ilardi e Donatella Capaldi | 41 media editoriali: il libro di viaggio, rivolto a un ampio pubblico borghese; e la rivista illustrata, destinata a un’audience ancora più popolare e trasversale. Tecnologie sempre più raffinate per l’immagine, prima ad opera di illustratori, xilografi e bozzettisti e in seguito incorporando la fotografia, erano finalmente disponibili per la carta stampata, riproducibili a fine Ottocento anche in milioni di copie. Dei monumenti e delle opere d’arte principali si poteva ormai avere un’idea indipendentemente dal viaggiare; e la mobilità si allargò a strati più ampi, lungo le strade ferrate, e poi in automobile: commercianti, professionisti, artigiani, impiegati, studiosi, giovani studenti. Con la possibilità di scoprire palmo a palmo il territorio, frammentando spaziotemporalmente il canone direzionale nord-sud, il percorso iniziò ramificarsi in molti modi, per esempio verso la costa orientale. E dal 1897 arrivava anche in Italia il viaggio organizzato dalle agenzie stile Thomas Cook. Con il passaggio definitivo al sistema dei media della metropoli l’asset narrativo del Grand Tour durante il Novecento si è definitivamente frammentato, e le sue riserve di senso (motivazioni, immaginari dei luoghi, strutture archetipiche in grado di generare storie) sono state riutilizzate nei nuovi format dei linguaggi e delle pratiche di consumo, e negli stereotipi del turismo massificato. Le singole mete di viaggio canoniche sono tuttavia rimaste invariate: Venezia – la città/oleografia degli amanti, pallido riflesso del passato; Roma – la città della classicità e del papa; Firenze – la città dell’arte; e Napoli - la città degli inferi sotto il Vesuvio e degli scavi di Pompei. Le aggiunte più evidenti sono state nutrite fin dagli anni Cinquanta dal cinema (che ha sfruttato, ancora una volta, il romanzo): le isole di Capri, Procida e Ischia, e le Eolie; la riviera romagnola; il paesaggio toscano degli inglesi (da Camera con vista a Io ballo da sola, fino alla saga vampiresca di Twilight che scopre Volterra e Montepulciano); più recentemente il Sud profondo, con anticipi sulla costa amalfitana, Taormina, il Salento, il Cilento, la costa meridionale della Sicilia. E come gli immaginari relativi alle quattro città principali, anche altre strutture topiche sembrano sopravvivere nella lunga durata, in particolare l’idea dell’Italia come ambiente saturo d’arte; mentre altre sono state riutilizzate dal cinema e dalla televisione, come la festa e l’avventura erotica (nella versione abbassata dei latin lover/vitelloni); la catastrofe naturale e antropica (dai vulcani al relitto della Costa Concordia); l’avventura (sistemazioni di fortuna, detective story); le terme (il fitness); l’esotico (e il cibo); il gothic; il conflitto e l’instabilità, ma anche la facilità di relazioni e l’accoglienza (distrutte e ripristinate, da Benvenuti al Sud fino a Hotel da incubo). I flussi e i social network Su questo complesso archetipico ormai ridotto a stereotipi diffusi a livello globale agisce di solito lo storytelling pubblicitario dell’industria turistica. Ma come viene messo a fuoco da studi recenti (Giordana 2010; Calabrese e Ragone 2016), il turista è da tempo e prima di tutto uno spettatore e un attore dei media, e questo è un aspetto fondamentale se si vuole passare dallo sfruttamento dell’immagine banalizzata del luogo a una narrazione che ricostruisca (o ricrei) in modo fertile e stabile un immaginario sul luogo. È anzi possibile espandere questa tesi: solo a partire dal lavoro sugli immaginari collettivi, dal territorio immaginato, dagli archetipi culturali, si possono generare nuove mete turistiche, allargando il potenziale disponibile, creando nuovi asset stabili per lo storytelling, e allungando come effetto finale i periodi di permanenza. Purché si produca una interazione tra quattro flussi narrativi, che qui proviamo a scorporare e definire: a) il senso autoctono dei luoghi: dato dall’insieme di patrimoni materiali, immateriali e paesaggistici, storici antropologici e socio-economici che rendono un territorio caratteristico e immediatamente identificabile (le Cinque Terre o la Laguna Veneta); b) i racconti sui luoghi costruiti dall’industria turistica; nei casi migliori, quando un patrimonio storico-antropologico prima semisconosciuto e disaggregato riesce a divenire un nuovo brand grazie ad investimenti in cultura, valorizzazione e marketing (la val d’Orcia, la val Marecchia, il Salento, la via Francigena); c) i racconti sui luoghi costruiti dai media spettacolari, che trasformano in attrattori alcuni territori e centri urbani (il cinema - che ora genera direttamente cineturismo, i best seller letterari, la serialità televisiva, i videogame); d) le storie personali che si proiettano sulla meta di viaggio e/o si identificano con essa, partecipando alla costruzione di (auto)biografia e senso identitario. L’interazione fra i quattro flussi è stata resa possibile dalla rivoluzione culturale delle reti che, con le tecnologie digitali, ha permesso di ibridarli stabilmente (Ragone 2011). I social media, nella fase attuale della trasformazione sociale (Boccia Artieri 2012), accelerano e riplasmano la DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures 42 | Grand Tour: immaginario, territorio e culture digitali doi:10.4399/97888548993914 portata dell’interazione, funzionando come vettore di frammentazione, rielaborazione personale, creazione di link transmediali e condivisione delle esperienze che si vivono in ognuno di essi. I luoghi diventano iperlink, reali e virtuali, transluoghi (Bertone, Morreale e Taddeo 2013; Capaldi e Ilardi 2016). E fungono inoltre da sorgente della comunicazione sulle piattaforme digitali per la gestione e la riconversione dei territori, che oggi sono infrastrutture imprescindibili e vitali per ogni operazione di branding che si basi sulla mobilitazione di reti, soggetti e imprese per una co-produzione di immaginari e servizi. Ma torniamo al soggetto, al turista che è attore dei media: le azioni di sistema per la valorizzazione turistica, affinché si inneschi un circolo virtuoso efficace, nutrito dal social networking, non possono prescindere da un ampio riuso degli immaginari dell’industria creativa, tendenzialmente ad audience più larga. Partendo dal fattore (c) si può attivare più facilmente il circolo virtuoso che coinvolga i racconti sulle storie personali (d) e sui patrimoni locali (a), fino a riaggregarli nel re-branding (b). Riusare i media creativi Per formalizzare l’ipotesi strategica di un “ritorno” all’asset narrativo del Grand Tour occorre quindi esaminare brevemente i format attuali dei media (oggi in vorticosa convivenza e ibridazione nell’ambiente digitale) che, come hanno rilevato ormai da un quarto di secolo gli studi sull’immaginario turistico (a partire da Urry 1990), determinano ampiamente l’economia, l’organizzazione e l’evoluzione del settore. Si tratta di almeno quattro zone principali: i format televisivi di viaggio, la rimediazione dei luoghi nelle produzioni creative di fiction o documentari, la nuova produzione di format e fiction seriali sul web, e la teatralizzazione e virtualizzazione di luoghi attraverso il riuso delle produzioni creative. La prima zona comprende in Italia programmi ormai ben collaudati (Sereno Variabile, Linea Verde, Linea Blu, Linea Bianca, Geo and Geo, Kilimangiaro, in parte Quark e derivati), basati sull’assemblaggio di format altrettanto classici: servizio giornalistico, documentario, docufilm di avventura, clip di film, talk show; l’appeal è generato dalla qualità spettacolare degli spezzoni in audiovideo, ma il palinsesto è altrettanto standard: presentazione basic di un luogo, bellezze artistiche/archeologiche, paesaggio, memorie locali, enogastronomia, patrimonio immateriale (feste, usanze, leggende, lingue, musica, sistemi agricoli e di pesca), itinerari consigliati, sport associabili; schemi da guida turistica piuttosto che da wiki-enciclopedia, e comunque privi di asset narrativi forti. Ultimamente è comparso un reality show come Pechino Express, format fiammingo riadattato da RAI2, che offre storytelling e valenza immersiva. Il viaggio come avventura, improvvisazione, incontro inaspettato; un precedente è stato Turisti per caso, dal 1991, dove il modello letterario del libro di viaggio si mescolava con leggerezza a suspense, problem solving e un pre-reality sui rapporti interpersonali della coppia; ne è nato un sito collaborativo - emulo del celebre WAYN: Where are you now, attivo dal 2002 e che oggi conta 20 milioni di utenti - dove il pubblico condivide diari, itinerari consigli, notizie e pacchetti personalizzati, integrato con Facebook e con forum specializzati; come vedremo, un anticipo non banale della tendenza verso la sitcom in rete. Pechino Express viene animato da coppie di viaggiatori chiamate a superare delle mission, come è tipico di un genere mutuato in parte sul videogame. Il territorio funziona come una mappa, e come una quinta, la scenografia della prestazione: un misto di sport, ostacoli vari, performance, e ricerca di soluzioni, gestito dal conduttore, tra commenti salaci e incitamenti. Più che reality show, l’esito è quello di una fiction, complice un sapiente montaggio del girato (mentre le scene più divertenti vengono subito lanciate sui social network). Di nuovo, sebbene a un livello molto superficiale, c’è la scoperta di tradizioni e usi autoctoni, e l’accento sulla capacità di relazione, che riguarda le dinamiche interne alla coppia, ma anche la maniera di rapportarsi ai nativi con l’ausilio di un linguaggio extraverbale che genera esilaranti malintesi o inaspettate forme di aiuto. Se la banalità classica e standard dei format televisivi non offre vere storie utili nella mediazione dei luoghi, al massimo frammenti, gag e testimonial che possono riprodursi nelle pratiche delle reti, sono invece i best seller – romanzi sempre più spesso di tipo seriale – a trainare il più delle volte location note o anche inedite, oppure tradizioni del patrimonio immateriale: gli esempi sono tanti, dalla Stoccolma dei gialli di Stieg Larsson, alla Sicilia del Commissario Montalbano. Seguendo la lunga tradizione del film di avventura e spy story, un effetto di ri/mediazione potente è imperniato attualmente soprattutto su plot avventurosi basati su un segreto, un enigma da risolvere, come nel Codice da Vinci e in Angeli e Demoni; mentre i videogame hanno abituato i giocatori alle ricostruzioni in 3D con salti temporali anche DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures doi:10.4399/97888548993914 Emiliano Ilardi e Donatella Capaldi | 43 lunghissimi (Assassins’ Creed a Venezia o nella Roma dei Borgia). I luoghi divengono a volte metafore colme di senso e associabili a uno stile di vita: la fontana di Trevi nella Dolce Vita felliniana; o all’eterno conflitto dell’amore impossibile: la Bocca della Verità in Vacanze Romane, il castello di Aglié in Elisa di Rivombrosa. Il Colosseo nel Gladiatore, invece, o la Fontana dell’Acqua Paola nella Grande bellezza sono lo specchio della resistenza e della decadenza. Ci sono infine strategie pubblicitarie originali e avanzate, che insegnano come trainare contemporaneamente un territorio e i suoi prodotti. Il pastificio Garofalo di Caserta, per esempio, da oltre un decennio coltiva il brand trasformandosi in produttore di video sui luoghi più affascinanti della Campania; la potenza dell’immaginario evocato dal territorio diventa garante implicito del prodotto, nemmeno citato, ma veicolato in maniera affatto obliqua e sotterranea. Del tutto al di fuori dei format della pubblicità televisiva, la Garofalo affida dei “corti” (max 20’) a grandi registi italiani e americani, reclutando come protagonisti star internazionali3 (Richard Dreyfuss tra gli altri). I corti vengono trainati, a parte i passaggi nelle sale cinematografiche, da eventi web e campagne di fidelizzazione attraverso Facebook (del resto la tendenza dominante nella pubblicità degli ultimi anni è di depotenziare le grandi agenzie e riportare la strategia all’interno delle aziende). Il brand Garofalo, e l’alta qualità della pasta, vengono associati allo splendore di un cinema di qualità e al fascino delle storie che vengono evocate dai luoghi (il Museo Madre di Napoli per Valeria Golino regista, o San Gregorio Armeno, la via napoletana, dei presepi che si trasforma con Terry Gilliam, in un plot inquietante negli inferi di Napoli). Dall’immaginario filmico deriva, come indotto, il fenomeno in ingente crescita del cineturismo” (Todaro 2011) che tradizionalmente porta a una mappatura dei luoghi e dei set dei film (a volte dei romanzi) per creare un percorso di visita, promosso da una articolata operazione di marketing, curato in Italia dalle diciannove agenzie regionali per le location. Casi emblematici i Sassi di Matera, con la Passione di Cristo di Mel Gibson; e all’estero i luoghi cult della serie Sex and the City a New York; le ambientazioni della saga di Harry Potter; gli scorci della Nuova Zelanda nel Signore degli anelli. Un’altra tendenza diffusa, resa possibile dalle tecnologie digitali, è la rifunzionalizzazione dei luoghi come aggregatori eterogenei di frammenti di fiction e altre produzioni creative: passeggiate cineturistiche metropolitane in cui è possibile richiamare con una app le scene dei film girate in questa o quella strada, da Parigi a Tokyo, da Londra a New York. Per l’Italia ricordiamo Napoli con il Movie Tour dei film di De Sica, Rosi, Martone, e Roma, con le location dei maggiori film, e tre percorsi dedicati alla Grande Bellezza di Paolo Sorrentino. Anche Google Play, piattaforma mirata al noleggio e all’acquisto dal catalogo Play Film, ha lanciato una app simile sui set di varie città del mondo. Del resto, al di là del cineturismo e delle app, il virtuale tende ad innestarsi nei luoghi reali, in forme sempre diverse di teatralizzazione. Fin dal tardo Ottocento (copiosi esempi si trovano nei romanzi satirici di Jerome K. Jerome) i media hanno stimolato la creazione di luoghi fittizi, “realizzando” storie e immaginari collettivi: la famosa “casa di Giulietta” in via Cappello a Verona viene visitata ogni anno da milioni di persone, ma è in realtà un’invenzione che risale agli anni Trenta del XX sec. sulla scia del successo mondiale della tragedia shakespeariana in salsa hollywoodiana di George Cukor (1936)4. Il verosimile diventa vero, e il luogo della storia coinvolge, genera proiezione e identificazione, complice anche la statua di Giulietta sistemata ad hoc e i messaggi d’amore che gli innamorati possono lasciare sulle pareti predisposte. Funziona anche con la pubblicità: il duecentesco mulino delle Pile a Chiusdino nel senese si tramuta nel brand Mulino Bianco della Barilla, e come tale è divenuto meta di viaggio. Altro esempio di trasferimento dalla fiction alla riutilizzazione di luoghi reali: Ponte Milvio a Roma come meta dove appendere un lucchetto sul modello del best seller Tre metri sopra il cielo di Federico Moccia (1992), una pratica dilagata a livello globale grazie anche ai social network. O ancora: il Museo d’arte Ghibli, una sorta di parco interattivo, concepito dal celebre regista di animazione Hayao Miyazaki in un quartiere periferico di Tokyo, dove tutto rimanda alle creazioni più famose dell’omonimo studio di disegni animati (Heidi, Porco Rosso, La città incantata). Anche dal Museo dell’Innocenza, scritto nel 2008 dal premio Nobel Ohran Pamuk, è nato a Istanbul un vero e proprio museo. La teatralizzazione e virtualizzazione dei luoghi con installazioni digitali eredita in realtà pratiche tradizionali, che hanno sempre puntato sulla rimediazione della letteratura, e delle sue riduzioni filmiche e seriali: dalla Märchen Straβe, la 3 http://raffaeleconte.com/strategie-web-marketing-facebook-garofalo/; https://www.youtube.com/watch?v=R6c1STmvNJc 4 http://www.verona-in.it/2007/12/24/antonio-avena-lurbanista-del-900-che-creo-i-luoghi-di-giulietta-eromeo/ DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures 44 | Grand Tour: immaginario, territorio e culture digitali doi:10.4399/97888548993914 Strada delle favole dei Fratelli Grimm, che in Germania si stende per quasi 600 km da Hanau a Brema, toccando tutti i paesi resi celebri dalle loro fiabe, al percorso della Bella Addormentata a Sommariva del Bosco in Piemonte, o alle miniere di sale di Wielickza vicino a Cracovia, dove grandi statue di nani o orchi rimandano al Signore degli Anelli di Tolkien, che visitò forse il luogo nel 1908, traendone ispirazione per le Miniere di Moria. Dalla televisione e dal cinema ci stiamo così via via spostando verso l’esperienza dei transluoghi (Calabrese e Ragone 2016). Inseriti in un ambiente-fiction, in una storia che ci porta a rivivere aspettative, reazioni emozionali, e a caricarle di significati individuali, i beni e i territori vengono valorizzati - e visitati fisicamente - in modo “laterale” rispetto al loro valore storicoartistico (Kotler e Andreasen 2004). Il belief finzionale, come Morin (1956) spiegava già nel suo saggio-capolavoro sul cinema, cattura, suscita e rafforza di per sé il ricordo e l’affettività, ed espande l’interesse per l’esplorazione anche antropologica dei luoghi. L’immersione non più solo virtuale ma fisica nell’ambiente e nell’azione della fiction - magari coadiuvata dalla realtà aumentata - permette di condividere e provare modelli di vita e codici di comportamento, invita a saldare l’archetipo narrativo all’esperienza individuale, dilata la partecipazione e lo status di soggetto sociale del visitatore; e non da ultimo, stimola la riappropriazione del corpo all’interno del format. Ed è una estensione soggettiva che per la sua valenza sempre più importante (in tempi di an-estesia ed euforia della virtualizzazione digitale) tende a essere riproiettata spontaneamente - miliardi di volte - nei social network. Il riuso intelligente degli immaginari di massa e la teatralizzazione degli spazi con tecnologie digitali sono oggi - insieme al social networking - una via obbligata per qualsiasi strategia di valorizzazione turistica. Resta un’ultima zona che vale la pena di esaminare, quella della produzione “nativa” sul web. La moderna serialità ha essenzialmente due temi portanti: il viaggio avventuroso in terre lontane e inaccessibili (che dall’esotico ottocentesco arriva alla fantascienza e al fantasy) e la drammatizzazione della vita quotidiana (che dal romanzo rosa arriva alla soap opera e alla sitcom senza dimenticare ovviamente il giallo, il thriller, l’horror, il medical drama). Apparentemente, il primo genere sembrerebbe quello più riusabile per le strategie turistiche. Si sta però creando un effetto di saturazione da eccesso di pressione causato dai format che governano la sorpresa e l’avventura, secondo schemi – sempre gli stessi - progettati e standardizzati. Occorre guardare al riuso nell’immaginario turistico anche per l’altra dimensione della serialità, quella della drammatizzazione del quotidiano. A partire dal secondo dopoguerra, con l’allargamento dell’accesso delle masse ai mezzi di trasporto, il viaggio ha smesso di essere avvertito come una rottura radicale con la quotidianità, ed è divenuto anzi uno dei suoi elementi costitutivi. Non solo la vacanza o il lungo viaggio di lavoro ma anche l’eterno e noioso movimento del pendolare, in treno, in macchina, sull’autobus e, ultimamente, anche in aereo. La diffusione delle compagnie low cost ha trasformato perfino il weekend fuori porta in un viaggio all’estero. Le aspettative del nuovo viaggiatore non prevedono più l’incontro con il diverso “assoluto” o l’avventura radicale ma, più modestamente, la scoperta di nuovi scorci o luoghi (spesso di un panorama già conosciuto attraverso i media); tornare a casa sapendone un po’ più di prima, gestire un’avventura “sotto controllo”, da raccontare sui social, al limite con qualche imprevisto ma di facile soluzione, e se va bene l’incontro con persone interessanti. La moderata drammatizzazione da sitcom (che è poi il clima comunicativo tipico di Facebook), ripresa in televisione da Turisti per Caso, Milano-Roma, Frontalieri o Piloti, lontana eredità delle storyline secondarie del Grand Tour, fatte di feste, incontri casuali con persone di tutti i tipi, piccole avventure e imprevisti, tende a diventare terreno fertile per un format nato da pochi anni, ma che sta riscuotendo sempre più successo: la webserie. Sono essenzialmente autoproduzioni a basso costo, girate quasi sempre nei luoghi di origine dei produttori. Ve ne sono anche di genere fantascientifico, come While, viaggi nel tempo ambientati nei luoghi simbolici della Basilicata; o fantasy, come L’uomo di Montevecchio, creata da un gruppo di studenti nelle miniere di Montevecchio in Sardegna. Ma di solito sono girate in luoghi e situazioni che gli autori conoscono bene in ogni dettaglio: anche quelli che il comune turista non può immaginare; e che possono offrire uno sguardo alternativo su ciò che per molti è già familiare, e dove è sempre possibile fare nuove scoperte o incontri stimolanti. Travel Companions è per esempio ambientato interamente sulla tangenziale di Napoli con le avventure di due personaggi che cercano quotidianamente di recarsi al lavoro. BlaBlaCar Road Movie, creata dalla famosa piattaforma online di ride sharing, è un tour di quaranta tappe: piccole e grandi città da nord a sud, per raccontare, telecamera alla mano, l’Italia che si sposta insieme ad estranei, offrendo e accettando passaggi in auto. Gli attori sono persone sconosciute, compagni di viaggio di ogni paese, lingua e cultura; il copione è imprevedibile, affidato al caso dell’incontro. Interessante è anche ’A Famigghia che racconta in cinque episodi la sgangherata DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures doi:10.4399/97888548993914 Emiliano Ilardi e Donatella Capaldi | 45 impresa turistica di tre ventenni che a bordo di un furgoncino offrono a due turiste in crociera, appena sbarcate al porto di Messina, «un viaggio “on the road” alla scoperta della vera Sicilia». Un fenomeno prevalentemente giovanile da tenere in conto per le strategie di re-branding come quella che proponiamo. Re-branding e ambiente/culture digitali Al panorama della produzione creativa più popolare, attiva nel veicolare immaginari sul nostro territorio, e in lenta ibridazione con l’ambiente digitale, con i social media e con le installazioni nei luoghi, dobbiamo naturalmente aggiungere il lavoro documentaristico. Dove ai prodotti audiovideo spesso di altissimo livello, ma raramente accessibili in rete, si affianca da tempo una sterminata factory costituita da community e videomakers locali, spesso artigianale, e mirata alla valorizzazione diretta attraverso YouTube o siti web dedicati ai patrimoni locali. Le risorse di base (l’immaginario dei media, le energie utilizzabili localmente per la valorizzazione in rete dell’immaginario dei luoghi) sono ampiamente disponibili. Il punto è che ai giganteschi vantaggi delle culture digitali, che hanno rivoluzionato i sistemi di valorizzazione dell’heritage (accelerazione della comunicazione, globalizzazione, trasformazione dei consumer in prosumer, ibridazione tra conoscenze formalizzate e creatività), si accompagna l’implosione, non solo del tempo (l’istantaneità della comunicazione e la simultaneità dei collegamenti tra frammenti di conoscenza e di esperienza) ma anche dello spazio; cosa assai evidente per il turismo in termini di micronizzazione spontanea delle proposte, quando non esista una strategia efficace di storytelling basata su archetipi di lunga durata: il Palazzo Te e non la Mantova dei Gonzaga, il Colosseo e i Fori e non la Città Eterna, per non parlare delle cento città e dei borghi che pure sono la storia e lo spazio che ci rende unici al mondo. Torniamo allora all’ipotesi di partenza: il re-branding del Grand Tour. Segnali di evoluzione di almeno alcune aree del fenomeno turistico sembrano motivare ulteriormente l’idea di un salto di qualità del brand Italia, sia come operazione di storytelling coerente con una nuova antropologia del viaggiatore, che come organizzazione e servizi in rete. Il viaggio, infatti, è sempre più inteso come “cultura”, e quindi come attività creativa e non solo ricreativa (Miliani 2015)5; un’esperienza che rimette in gioco il corpo, la fisicità dei luoghi, e la relazione sociale, in cui trovare senso rispetto alla pressione troppo forte della virtualità, della connettività e del solipsismo imperante sui social media. Ritorna il viaggio come “tecnologia del sé”, cura del corpo e dell’identità, mediante immersione e dialogo con narrazioni altre. Il senso del Grand Tour riemerge e crea una nuova domanda. L’archetipo della formazione europea che abbiamo descritto - esplorazione ed educazione, esperienza estetica, avventure e divertimento, accoglienza e enogastronomia, in territori sempre diversi, con differenti modi di vivere, di fare cultura e di essere nel paesaggio - si collega alla filosofia post-industriale di Slow Travel, una delle espressioni del Movimento Slow, teorizzato da Carlo Petrini e da Carl Honoré. Non solo relax, sostenibilità, agriturismi, trasporti a bassa emissione di CO2 come il treno, la bicicletta, ma anche un’esperienza di vita nella quotidianità dei luoghi, la ricerca di esperienze fuori degli itinerari di massa, il territorio come spazio del rapporto con l’altro (Nocifora, De Salvo e Calzati 2011). L’ospite diventa attore, in un ambiente dove si sovrappongono esperienze spaziotemporalmente diverse rispetto al suo trascorso di vita, e nella condivisione ciò che accade di inatteso e inaspettato funziona come una chiave di entrata possibile per conoscere una comunità (Gardner 2009). Il fenomeno va estendendosi, per esempio con la riattivazione come asset narrativo di percorsi antichi (la Francigena, in embrione l’Appia), sia con il ritorno alla grande festa, che rappresentava nel Grand Tour l’attrattore implicito del viaggio (la Taranta); ed è oggetto in questo periodo di riflessioni e ipotesi di lavoro interessanti come l’idea delle “geografie private” (Brilli 2014), quelle del viaggiatore di un tempo, del viaggio “lento” come vettore essenziale dei percorsi da riprogettare in Italia. Il momento è probabilmente maturo per passare da una dimensione di nicchia a un’operazione di strategia nazionale, come è accaduto negli ultimi anni per Slow Food. L’ipotesi di un re-branding basato sulla reinvenzione dell’itinerario nazionale Nord-Sud, deve includere naturalmente i due aspetti: il viaggio lento (con stazioni che sostituiscano le antiche stazioni di posta), e le feste (un investimento strategico, che al di là di quanto già accade a Venezia, deve trovare sostegno pubblico e capacità di progetto almeno a Roma, 5 Una riflessione sui risultati emersi dall’indagine dell’Osservatorio “Vivo la cultura” 2015, nato dalla collaborazione tra SWG e DigiLab-Sapienza. DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures 46 | Grand Tour: immaginario, territorio e culture digitali doi:10.4399/97888548993914 Napoli, Palermo). Terzo aspetto, gli immaginari collaudati e ancora molto fertili nella cultura di massa che possono essere richiamati nei luoghi (il gothic, l’avventura, il mistero, la catastrofe, la detective story, le terme e il gusto, etc.), a nutrire, come un tempo, i percorsi. E quarto aspetto, quello relazionale, dove è possibile prevedere, secondo modelli di sharing economy momenti di scambio e di esperienza in comune (turisti di altri paesi, comunità locali): senza ripristinare salotti e diligenze, il viaggio può tornare a essere scoperta di culture diverse, anche trovandosi a cena, dopo aver programmato insieme l’invito su una piattaforma digitale. Oltre ai servizi standard del tipo di Trip Advisor, infatti, una piattaforma social network del Grand Tour potrebbe offrire molto di più di quanto oggi è disponibile fra guide turistiche, siti di promozione territoriale, di musei, alberghi o ristoranti. Elencando in breve: i libri e i diari di viaggio, le repliche delle tappe “classiche” negli itinerari principali e nelle ramificazioni - un buon esempio su questo versante è stato realizzato da tempo in Toscana6; le stazioni di posta e di ristoro anche sulle vie secondarie, le attività tipiche del community-based tourism come gli alberghi diffusi (Valayer 1993; Dall’Ara 2011); e ancora: i materiali disponibili sui luoghi nominati nei resoconti di viaggio; visite virtuali e in loco, servizi per la mobilità, prenotazioni, escursioni, attività, occasioni di incontro; interazione, apertura alle proposte di community locali e blogger, un’espansione reticolare della piattaforma sono le altre componenti essenziali per trasformare un luogo in net-locality (Gordon e De Souza e Silva 2011). La creazione di installazioni digitali locali e la “smartizzazione” dei luoghi avverrebbero così in connessione con una infrastruttura di comunicazione e servizio di livello internazionale. In tempi di (necessaria) ricentralizzazione delle politiche per il turismo, il re-branding del Grand Tour è un’ipotesi concretamente realizzabile: con una campagna di comunicazione e di marketing virale; con il concorso delle Regioni e degli enti locali, che per frammenti stanno in parte ricostruendo il circuito e la sua memoria, come a Latina o a Reggio Calabria (Scamardi 1998); e soprattutto con la partecipazione attiva al (social) network di imprenditori del settore turistico, di gestori del patrimonio culturale, di community di fan dei luoghi e di singoli cittadini e turisti. References Anderson, Chris. La coda lunga. Da un mercato di massa a una massa di mercati. Torino: Codice, 2007. Bertone, Giulia, Domenico Morreale e Gabriella Taddeo. “Cronaca di un modello culturale: la Partecipatory Culture al vaglio degli stakeholder”. Comunicazioni sociali 3 (2013): 386-397. Boccia Artieri, Giovanni. Stati di connessione. Pubblici, cittadini e consumatori nella (social) network society. Milano: FrancoAngeli, 2013 Bonaventura, Vincenzo. La Sicilia al tempo del Grand Tour. L'isola vista dai viaggiatori stranieri della seconda metà del Settecento. Messina: GBM, 2009. Brilli, Attilio. Il grande racconto del viaggio in Italia: itinerari di ieri per i viaggiatori di oggi. Bologna: Il Mulino, 2014. Brilli, Attilio. Viaggi in corso. Aspettative, imprevisti, avventure del viaggio in Italia. Bologna: Il Mulino, 2004. Brilli, Attilio. Un paese di romantici briganti. Gli italiani nell'immaginario del Grand Tour. Bologna: Il Mulino, 2003. Brilli, Attilio. Quando viaggiare era un'arte. Il romanzo del Grand Tour. Bologna: Il Mulino, 1995. 6 http://www.turismo.intoscana.it/site/it/itinerario/Ripercorri-gli-itinerari-del-Grand-Tour-00001/ e il materiale approntato dalla Biblioteca Nazionale di Firenze: http://grandtour.bncf.firenze.sbn.it/. Nell’ambito del progetto “Percorsi d’Innovazione 2008" del CESVOT. DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures doi:10.4399/97888548993914 Emiliano Ilardi e Donatella Capaldi | 47 Calabrese, Stefano e Giovanni Ragone (a cura di). Transluoghi. Storytelling, beni culturali, turismo esperienziale. Napoli: Liguori, 2016. Calzati, Viviana. Nuove pratiche turistiche e slow tourism. Il caso della Valnerina in Umbria. Milano: FrancoAngeli, 2016. Capaldi, Donatella ed Emiliano Ilardi. Lo storytelling dei beni e luoghi della cultura: teoria e pratica, in Calabrese e Ragone. Transluoghi. Storytelling, beni culturali, turismo esperienziale. Napoli: Liguori, 2016. Cometa, Michele. Il romanzo dell'architettura. La Sicilia e il Grand tour nell'età di Goethe. RomaBari: Laterza, 1999. De Seta, Cesare. L’Italia nello specchio del Grand Tour. Milano: RCS, 2014. De Seta, Cesare. Il fascino dell'Italia nell'età moderna. Dal Rinascimento al Grand Tour. Milano: Raffaello Cortina, 2011. Dall’Ara, Giancarlo. Manuale dell’Albergo Diffuso. Milano: FrancoAngeli, 2011. Fino, Lucio. Vesuvio e Campi Flegrei. Due miti del Grand tour nella grafica di tre secoli (stampe, disegni e acquerelli dal 1540 al 1876). Napoli: Grimaldi & C., 1993. Gardner, Nicky. “A manifesto for slow travel.” Hidden Europe 25 (2009): 10–14. Giordana, Francesco. La comunicazione del turismo tra immagine, immaginario e immaginazione. Roma: FrancoAngeli, 2010. Giovagnoli, Max. Transmedia. Storytelling e comunicazione. Milano: Apogeo, 2013. Gordon, Eric e Adriana de Souza e Silva. Net Locality: Why Location Matters in a Networked World. Chicester, West Sussex: Wiley-Blackwell, 2011. Honoré, Carl. In Praise of Slow: Challenging the Cult of Speed. London: HarperOne, 2004. Kotler, Philip e Alan R. Andreasen. Marketing per le organizzazioni non profit. La grande scelta strategica. Milano: Il Sole 24 Ore, 2004. Littlewood, Ian. Climi bollenti. Viaggio e sesso dai giorni del Grand Tour. Firenze: Le Lettere, 2004. Magrelli, Valerio. Magica e velenosa. Roma nel racconto degli scrittori stranieri. Roma-Bari: Laterza, 2010. Miliani, Stefano. “Ora stupite: con la cultura si mangia.” (SWG e DigiLab-Sapienza. 2015. Indagine dell’Osservatorio “Vivolacultura”). L’Unità 8 luglio 2015, p. 12. Morin, Edgar. Il cinema o l'uomo immaginario. Saggio di antropologia sociologica. Milano: Feltrinelli, 1956. Nocifora, Enzo, Paola De Salvo e Viviana Calzati (a cura di). Territori lenti e turismo di qualità. Prospettive innovative per lo sviluppo di un turismo sostenibile. Milano: FrancoAngeli, 2011. Ragone, Giovanni. 2011. “Digital Heritage: Memoria, cultura, tecnologie e istituzioni ibride.” Ne I cantieri della memoria. Napoli: Liguori, 2011. DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures 48 | Grand Tour: immaginario, territorio e culture digitali doi:10.4399/97888548993914 Salvagni, Isabella e Margherita Fratarcangeli (a cura di). Oltre Roma. Nei Colli Albani e Prenestini al tempo del Grand Tour. Roma: De Luca ed., 2012. Scamardi, Teodoro. Viaggiatori tedeschi in Calabria. Dal Grand tour al turismo di massa. Soveria Mannelli (CZ): Rubbettino, 1998. Todaro, Giovanni. I magnifici set. I luoghi del grande cinema per organizzare un viaggio senza confini. Faenza: Polaris, 2011. Urry, John. Lo sguardo del turista. Il tempo libero e il viaggio nelle società contemporanee. Milano: Feltrinelli, 1990. Valayer, Dora. Le respect des hôtes. Genève: Labor et Fides, 1993. DigitCult | Scientific Journal on Digital Cultures