MICHELE SANVICO
SIBILLA APPENNINICA
IL MISTERO E LA LEGGENDA
MONTI SIBILLINI: LA LEGGENDA PRIMA DELLE
LEGGENDE1
1. La Sibilla Appenninica e Ponzio Pilato non abitano più qui
I Monti Sibillini costituiscono uno straordinario scenario che innalza le
proprie vette al centro della penisola italiana, tra le regioni delle Marche e
dell'Umbria. Parte della catena appenninica, i loro formidabili bastioni,
caratterizzati dalla presenza di creste vertiginose e spaventosi precipizi,
sono abitati da sinistre leggende un tempo conosciute in tutta Europa,
capaci di attirare schiere di visitatori da paesi assai lontani, alla ricerca
della caverna nella quale si diceva dimorasse una sensuale profetessa, una
Sibilla, e del lago nel quale si riteneva che il corpo di un antico prefetto
1 Articolo pubblicato il 5, 8, 10, 12, 14, 17, 20, 21, 24, 26 e 27 novembre 2019
(http://www.italianwriter.it/TheApennineSibyl/TheApennineSibyl_LegendBefore_new.asp)
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romano, Ponzio Pilato, conoscesse un inquieto riposo. Due luoghi
illuminati da un'intensa fascinazione mitica, caratterizzati da due narrazioni
differenti e apparentemente non correlate, e posizionati su vette diverse
separate solamente da pochi chilometri di distanza, in piena linea visuale
reciproca.
Luoghi di ardite avventure. Luoghi di magia e mistero. Due siti, una
caverna al cui interno una Sibilla degli Appennini aveva stabilito la propria
leggendaria dimora sotterranea, e le rive rocciose di un piccolo lago, presso
il quale i negromanti si recavano per consacrare i propri libri magici.
Ma da dove viene tutto ciò? L'origine delle leggende della Sibilla
Appenninica e dei Laghi di Pilato è stata oggetto di un'analisi approfondita
ed esaustiva nell'ambito di una serie di articoli da noi pubblicati nel corso
degli ultimi due anni.
Ne I Cavalieri della Sibilla - Guerrin Meschino e i suoi antecedenti siamo
stati in grado di identificare una serie di ascendenti letterari relativi ad
alcuni episodi narrativi presenti nel romanzo quattrocentesco Guerrin
Meschino, una delle due fonti principali della leggenda concernente la
Sibilla Appenninica. Con ulteriori articoli, tra i quali Antoine de La Sale e il
magico ponte nascosto nel Monte della Sibilla e La verità letteraria sulle
magiche porte nel 'Paradiso della Regina Sibilla', abbiamo posto in
evidenza le illustri tradizioni letterarie che si nascondono dietro agli
incantati meccanismi descritti dal gentiluomo provenzale Antoine de la
Sale nel suo quattrocentesco resoconto di una visita al Monte Sibilla, la
seconda principale fonte che narra di questa leggenda.
I predetti indizi, assieme alla mancanza di ogni riferimento alla leggenda
sibillina nei secoli che precedono il quindicesimo, come illustrato
nell'articolo Sibilla Appenninica: un viaggio nella storia alla ricerca
dell'oracolo, hanno indirizzato la nostra investigazione verso una direzione
che non era mai stata sufficientemente esplorata in precedenza: abbiamo
infatti cominciato a comprendere come molteplici strati letterari aggiuntivi
stessero occultando il nucleo più vero del mito che abitava tra le vette dei
Monti Sibillini, nell'Italia centrale.
In questo stimolante contesto, è stato necessario affrontare una nuova e
ambiziosa problematica: si trattava di identificare e rimuovere la corposa
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mole di elementi letterari che si era venuta ad aggiungere alla leggenda
italiana attraverso centinaia e centinaia di anni, dall'antichità e fino al
quindicesimo secolo. Il nostro obiettivo diventava quello di avvicinarci
sempre di più al cuore originario della leggenda, in modo da potere
finalmente disvelare la vera matrice degli affascinanti racconti relativi alla
Grotta della Sibilla e al Lago di Pilato.
Questa attività di ricerca è stata condotta affrontando le due leggende
separatamente, e in successione l'una rispetto all'altra.
Nel nostro primo articolo Nascita di una Sibilla: la traccia medievale,
abbiamo esplorato gli strati letterari che risultano essere stati sovrapposti al
nucleo mitico primitivo connesso alla presenza di una sinistra caverna sulla
vetta di ciò che oggi conosciamo con il nome di Monte Sibilla. Ci siamo
subito imbattuti in una serie di risultanze assai significative: 'Sibilla', infatti,
è un personaggio tradizionale che appare in modo ricorrente in romanzi e
poemi appartenenti alla Materia di Bretagna e al Ciclo Arturiano. La sua
prima apparizione in qualità di potente negromante, proprio come Fata
Morgana, la famosa sorellastra di Re Artù, risale al 1185, con il poema
Erec, scritto dal poeta tedesco Hartmann von Aue. A partire da quest'opera,
e per i secoli a seguire, Sibilla comincia a essere rappresentata come
compagna e migliore amica di Morgana in molti componimenti medievali,
con una crescente confusione e commistione tra le figure delle due
incantatrici. Sensualità, cavalieri imprigionati e magiche dimore situate al
di sotto di montagne, in un caso localizzate addirittura in Italia,
costituiscono tutti caratteri associati con entrambe le negromanti, nel corso
del loro ininterrotto viaggio attraverso i secoli, e attraverso molte opere
letterarie e un incessante fluire di narrazioni orali, che sembrano puntare
direttamente verso l'insediamento di una versione della loro storia tra i
remoti picchi dei Monti Sibillini: una catena montuosa che parrebbe
sufficientemente adatta, per qualche imprecisato motivo, a ospitare una
narrazione leggendaria incentrata su di una negromantica Sibilla dimorante
in una caverna posta al di sotto di una cresta rocciosa. Una Sibilla che non
è nata in questi luoghi, appartenendo essa a una differente tradizione
mitica, che proviene da regioni settentrionali e distanti.
Un secondo articolo, Una leggenda per un prefetto romano: i Laghi di
Ponzio Pilato, ha operato una completa esplorazione del mito del Lago di
Pilato, posto tra i Monti Sibillini. In questa specifica investigazione, il
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compito di identificare e rimuovere i livelli leggendari aggiuntivi è risultato
essere assai più facile. Sono infatti ben note agli studiosi le vicende e
l'origine della leggenda di Pilato, che riguarda i suoi molteplici e demoniaci
luoghi di sepoltura, distribuiti su vari siti in Europa, tra i quali Vienne e il
fiume Rodano, in Francia, Saint-Chamond nella stessa regione, Losanna e
Lucerna nelle Alpi svizzere. Seguendo le tracce di questa antica leggenda a
partire dagli autori classici e fino al Medioevo, si scopre come non sia
rinvenibile alcun riferimento ai Monti Sibillini in qualità di luogo di
sepoltura di Pilato, trovandoci costretti a giungere fino ad Antoine de la
Sale per potere reperire la prima menzione in tal senso. Ancora una volta,
risulta facile dimostrare come nessun Ponzio Pilato sia mai stato gettato
nelle acque del piccolo lago incastonato all'interno del circo glaciale del
Monte Vettore, la vetta più impressionante dei Monti Sibillini: come
abbiamo già potuto rilevare anche per la Sibilla, quel sito è stato capace di
attrarre a sé una narrazione leggendaria che non appartiene, né trova
origine, in questa porzione d'Italia.
A conclusione dei due articoli citati, abbiamo potuto definire le nuove
domande che sarebbero state al centro del nostro successivo impegno di
ricerca: quale sorta di magnetica attrazione ha attirato i magici racconti del
Ciclo Arturiano sulla sinistra vetta del Monte Sibilla? E perché un
tenebroso racconto concernente il maledetto luogo di sepoltura di Ponzio
Pilato è giunto a stabilirsi proprio al centro di ciò che oggi conosciamo
come i Monti Sibillini, nella catena appenninica? Per quale genere di fatale
combinazione queste leggende nate altrove sono venute ad arrestarsi, come
una sfera carambolante sul disco di una roulette, precisamente nelle
posizioni segnate da questa isolata montagna e da questo remoto lago
dell'Italia centrale?
Sappiamo, con estrema sicurezza, che ciò non è avvenuto per puro caso.
Siamo convinti che una leggenda, un qualche genere di mito nativo,
originario, fosse già lì prima che la Sibilla Appenninica e Ponzio Pilato
giungessero qui con le proprie estranee narrazioni, nate altrove.
La Grotta e il Lago erano già abitati da un precedente racconto leggendario.
E, successivamente, i racconti relativi a una cavalleresca regina Sibilla e a
un luogo di sepoltura per Ponzio Pilato sono venuti a stabilirsi esattamente
qui, sotto la mitica attrazione esercitata dai due siti posti tra i Monti
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Sibillini. Secoli e secoli di narrazioni orali e poi di componimenti letterari
hanno condotto le due leggende fin qui, dove esse sono state in grado di
trovare un'ambientazione particolarmente appropriata e invitante presso la
quale radicarsi.
Fig. 1 - Una visione satellitare tridimensionale del massiccio dei Monti Sibillini con le posizioni del Laghi
di Pilato e della Grotta della Sibilla
È questa la questione fondamentale di tutta la nostra ricerca, la domanda
maggiormente critica: sembra plausibile ipotizzare che sia i Laghi di Pilato
che la Sibilla Appenninica siano sorti da una particolare condensazione
relativa, in modo specifico, alla natura di questi luoghi, i Monti Sibillini.
Parrebbe sussistere una sorta di nucleo originario, pertinente a entrambi i
miti: una leggenda prima delle leggende, qualcosa che non fu trapiantato
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tra queste montagne giungendo da altri luoghi e tradizioni, qualcosa che
ebbe invece origine esattamente qui, e forse collegato con il fatto che questi
siti rappresentano luoghi molto speciali.
In questo nuovo articolo, inizieremo ad affrontare questa strana
condensazione. Il nostro intento sarà quello di porre in luce la peculiare
natura di questo angolo d'Italia.
Per raggiungere questo obiettivo, dovremo prima comprendere quali
caratteri possano avere in comune la Grotta della Sibilla e i Laghi di Pilato,
in termini di fama leggendaria. Le due leggende sono caratterizzate da tratti
mitici del tutto differenti? Oppure, esistono specifici aspetti che le
accomunano e le collegano?
Siamo in grado di intravedere ciò che dovrebbe costituire il loro possibile,
seppure ancora ignoto, comune nucleo leggendario, se davvero esso esiste?
Se saremo capaci di rilevare eventuali caratteristiche comuni che
connettono tra di loro le due leggende, la Grotta della Sibilla e i Laghi di
Pilato, ci troveremo sull'orlo di una nuova emozionante scoperta: le due
leggende potrebbero risultare essere strettamente legate, come segnalato da
quegli specifici aspetti condivisi che marcherebbero entrambe.
E potremmo allora riuscire a capire perché esse siano state in grado di
sviluppare una potenza mitica così intensa da attrarre a sé narrazioni
leggendarie così illustri e così distanti, come quelle che riguardano una
cavalleresca Sibilla e il corpo maledetto di Ponzio Pilato, calamitate fino
alla sinistra oscurità di questi luoghi, posti nel centro dell'Italia.
Cominciamo dunque un nuovo viaggio. Questa volta non ci metteremo alla
ricerca di livelli narrativi aggiuntivi, appartenenti a tradizioni leggendarie
estranee e differenti. Questa volta andremo in cerca di ciò che la Grotta e i
Laghi condividono assieme.
Andremo a caccia dei tratti comuni. E, come si vedrà, ne troveremo
parecchi.
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2. I tratti condivisi
Assai bizzarro appare il fatto che i ricercatori siano soliti considerare la
Grotta della Sibilla e i Laghi di Pilato come due narrazioni del tutto
distinte. Le due leggende vengono normalmente affrontate e studiate
separatamente. La prima racconta la storia di un incantato reame d'amore e
di peccato, nascosto al di sotto di una montagna e governato da una
profetessa e negromante denominata Sibilla; la seconda narra di un lago
demoniaco, nelle cui acque il corpo di Ponzio Pilato avrebbe terminato il
proprio viaggio infernale alla ricerca di un luogo di sepoltura.
Eppure, sussiste un elemento fattuale che risulta essere assolutamente
incontrovertibile: sappiamo che i due siti sono collocati nei medesimi
Monti Sibillini, ed essi risultano essere così prossimi l'uno all'altro che i
due luoghi risultano essere addirittura mutuamente visibili. E dunque, come
possiamo essere così irragionevolmente ciechi da presumere che le due
rispettive narrazioni leggendarie possano essere distinte e autonomamente
indipendenti?
Fig. 2 - Una linea di vista priva di ostruzioni: il circo glaciale del Monte Vettore, all'interno del quale
giacciono i Laghi di Pilato, osservato dalla vetta del Monte Sibilla
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Al fine di riuscire a porre in evidenza i tratti comuni che entrambe le
leggende condividono, abbiamo prima dovuto raggiungere una piena
consapevolezza del fatto che i racconti che riguardano la Sibilla
Appenninica e i Laghi di Pilato sono entrambi segnati da evidenti
sovrapposizioni narrative, con una presenza di vari livelli di narrazioni
leggendarie nate altrove e trasferitesi presso i Monti Sibillini: strati che
nascondono il vero nucleo del mito locale originario.
Abbiamo infatti dimostrato come il primo racconto sia costituito da una
sovrapposizione narrativa derivata da una tradizione leggendaria di origine
nordeuropea appartenente alla Materia di Bretagna, concernente magici
castelli e montagne, e che pone in scena, in qualità di protagoniste
principali, le figure negromantiche di Morgana la Fata e della sua
compagna Sebile; il secondo racconto, invece, è palesemente una versione
italiana della narrazione medievale che riguarda Ponzio Pilato e il suo
cadavere maledetto, una storia che ha trovato dimora in un piccolo lago
circondato dalle alte creste del Monte Vettore.
Fig. 3 - Sibilla Appenninica, un affresco dipinto da Adolfo De Carolis nel 1908 (Ascoli Piceno, Palazzo
del Governo)
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E così ci troviamo ora di fronte a due diversi strati leggendari, che sono,
fondamentalmente, del tutto indipendenti: un regno sotterraneo la cui
regina è una Sibilla, e un luogo di sepoltura per il corpo demoniaco di un
prefetto romano. Con queste due sovrapposizioni, assai dissimili tra di loro,
la Grotta della Sibilla e il Lago di Pilato ci appaiono come due luoghi e due
leggende completamente distinti. Talmente distinti da far apparire il
territorio dei Monti Sibillini come una landa particolarmente adatta a
ospitare varie tipologie di narrazioni mitiche, anche molto assortite.
Ma, a guardare bene, non è proprio questo il caso.
Fig. 4 - Gesù innanzi a Ponzio Pilato, affresco dipinto da Gaudenzio Ferrari, 1513 (Chiesa di Santa Maria
delle Grazie, Varallo Sesia)
Se cessiamo di focalizzarci sulle figure della Sibilla e di Ponzio Pilato,
entrambe appartenenti a tradizioni leggendarie estranee a questa porzione
della terra d'Italia, iniziamo a renderci conto di come sia possibile
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cominciare a prendere in considerazione altri e differenti aspetti che
caratterizzano la Grotta e il Lago. Aspetti che essi hanno in comune. Tratti
specifici che entrambi i luoghi sembrano condividere.
E dunque, una volta rimosse le citate sovrapposizioni leggendarie,
possiamo cominciare a vedere i legami comuni che connettono tra di loro le
due leggende. Un'improvvisa visione del possibile nucleo originale della
leggenda. E non solo a motivo della limitata distanza tra i due siti.
Nei prossimi paragrafi, andremo a esplorare tre aspetti peculiari che paiono
marcare entrambi i luoghi, la Grotta della Sibilla e i Laghi di Pilato.
Evidenzieremo i tratti che essi hanno in comune, un triplice legame che li
collega, attraversando la distanza di 8.3 chilometri che separa il Monte
Sibilla dal circo glaciale del Monte Vettore.
Ne analizzeremo i caratteri negromantici. Ci confronteremo con
leggendarie entità demoniache. Prenderemo in considerazione tempeste e
devastazioni.
Sono questi gli aspetti che imprimeranno la propria sinistra impronta su
entrambi i siti. Indicandoci, forse, la direzione da prendere se veramente
intendiamo avvicinarci al loro comune significato, e al loro più riposto
segreto.
3. La negromanzia come elemento comune
3.1 Magici rituali presso gelide acque
Il primo tratto condiviso che andremo ad affrontare è assai noto. Entrambi i
luoghi, il Lago e la Grotta, sono segnati dalla negromanzia.
Per secoli, i due siti sono stati oggetto di visite per celebrare riti magici in
essi o nelle immediate vicinanze, con lo specifico obiettivo di entrare in
contatto con leggendarie entità soprannaturali, al fine di ottenere un
qualche effetto e/o acquisire proibite conoscenze. Una mera illusione,
naturalmente: una credenza leggendaria e ingannevole, una convinzione
irrazionale, eppure ritenuta così verosimile da attirare sedicenti maghi e
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negromanti fino a questi luoghi così remoti, nascosti tra le alte vette dei
Monti Sibillini.
Questo aspetto si presenta ai nostri occhi in modo molto evidente nel
momento in cui si prende in considerazione la fama leggendaria che ha
avvolto il Lago di Pilato sin dagli antichi riferimenti resi disponibili da
Antoine de la Sale nel suo quattrocentesco Paradiso della Regina Sibilla:
«Nel mezzo si trova una piccola isoletta costituita da un'enorme roccia, che
un tempo fu murata tutt'attorno, e in molti punti sono ancora visibili le parti
inferiori di questo muro. Dalla riva a quest'isola corre un piccolo passaggio,
sommerso nell'acqua profonda cinque piedi, così come la gente mi disse, il
quale fu danneggiato dagli abitanti del luogo al fine di renderlo
impraticabile, in modo che coloro che si recavano all'isola per consacrare i
loro libri per arte di negromanzia non la potessero trovare più. Questa isola
è molto sorvegliata e controllata dalla gente del luogo, perché quando
qualcuno vi si reca in segreto per praticare l'arte del Nemico...».
Fig. 5 - Il brano che descrive l'isoletta posta al centro del Lago di Pilato tratto dal Paradiso della Regina
Sibilla di Antoine de la Sale (manoscritto n. 0653 (0924), Bibliothèque du Château (Musée Condé),
Chantilly, folium 4v)
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[Nel testo originale francese:: «Au milieu a une petite islete dun rochier qui
jadis fut muree tout en tour encores y sont les fondemens du mur en
plusieurs lieux. De la terre à celle isle a une petite chausse couverte deaue a
la haulteur de v piez comme les gens me dirent laquelle fust rompue tant
quon ne la peust cuier par les gens du pais affin que ceulz qui aloient en
lisle consacrer leurs livres pour lart dingromance ne la peussent trouver. La
quelle isle est moult gardee et deffendue des gens du pais pource que quant
aucun y vient seleement et a fait son art de l'ennemy...»].
Dunque, il Lago di Pilato costituiva un luogo d'elezione per l'esecuzione di
arti magiche e proibite. E, spesso, quei sedicenti negromanti non facevano
che andare incontro a un terribile destino personale, come lo stesso Antoine
de la Sale ci riferisce:
«Non è trascorso molto tempo da quando in quel luogo furono catturati due
uomini, dei quali uno era un prete. Questo prete fu condotto nella detta città
di Norcia e lì fu martirizzato e arso, L'altro fu smembrato e poi gettato nel
lago da coloro che lo avevano catturato».
[Nel testo originale francese: «Navoit pas long temps quel y fut prins deux
hommes dont lun estoit prestre ce preste fut admene a la dicte cite de norce
et la fut martire et ars. Lautre fut taille a pieces et puis boute dedens le lac
par ceulz qui les avoient prins»].
Fig. 6 - L'uccisione di sospetti negromanti presso il Lago di Pilato, dal Paradiso della Regina Sibilla di
Antoine de la Sale (manoscritto n. 0653 (0924), Bibliothèque du Château (Musée Condé), Chantilly,
folium 5r)
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Nel 1474, lo studioso italiano Flavio Biondo pubblicò la propria opera De
Italia illustrata, in seguito tradotta in lingua italiana nel 1542, in cui egli
riporta un'ulteriore menzione a proposito delle arti magiche praticate presso
il Lago:
Fig. 7 - De Italia illustrata di Flavio Biondo, con il brano relativo alla Sibilla Appenninica (edizione in
lingua italiana pubblicata nel 1542)
«Poco più su è quel lago famoso nel territorio di Norcia, dove dicono
falsamente, che in vece di pesci, è pieno di demoni, e la fama [...] del lago
ha ne di nostri tirati molti pazzi dati a queste poltronarìe de la negromantia,
et avidi di sapere et intendere di queste novelle magiche, e più ne secoli
passati, come si raggiona, gli ha tirati dico a sallire su questi altissimi
monti, et alpestri, con gran fatica, e vana».
Tra il 1496 e il 1499, il cavaliere tedesco Arnold von Harff intraprese un
itinerario che lo condusse attraverso diversi paesi, da lui descritti nel suo
Pellegrinaggio, un resoconto di viaggio. Nella propria opera egli inserì un
riferimento, ancora una volta, al carattere negromantico del Lago posto tra i
Monti Sibillini:
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«Dopo mezzogiorno [il signore della contrada] cavalcò con noi sulla
montagna, fino ad arrivare dove si trovava un piccolo lago. Accanto a
questo lago si trovava una piccola cappella, simile a una santa casa.
All'interno era posto un piccolo altare. Egli ci riferì che in passato, quando
la negromanzia era praticata nel mondo, alcune persone frequentavano
questo altare [...], praticando qui la loro negromanzia. [...] Non sopportando
più tutto questo, la gente del luogo elevò delle proteste presso il signore di
questo castello, che fece così innalzare una patibolo tra la santa casa e il
lago, e proibì a chiunque, da allora in poi, di praticare la negromanzia
presso l'altare, e che chiunque lo avesse fatto sarebbe stato impiccato su
quella stessa forca».
[Nel testo originale tedesco: «Nae myttaghe reyt he mit vns oeuen off desen
berch. Daer off stund eyn kleyne staynde see. By deser see stunt eyn kleyn
cappelgen wie eyn heyligen huyss. Dae inne stunt eyn kleyn altair. Dae van
saicht he vns, dat vurtzijden doe die kunst der nigermancien in der werlt
vmb gynck, doe lieffen dese seluigen off desen altair [...], drijuende dae
yere nigremancie. [...] Item dit en wolde dat volck nyet me lijden ind claget
dem castelangen dys sloss, der van stund an eyn vpgereckde galge leyss
settzen tusschen dat heyligen huyssgen in die see ind dede verbieden dat
niemans me off dem elter nigermancie doyn en suyldt, der aber dat dede
den seuldt man an die galge hangen»].
Fig. 8 - A sinistra: Arnold von Harff, rappresentato come un pellegrino, nell'immagine tratta da Die
Pilgerfahrt des Ritters Arnold von Harff (manoscritto Bodl. 972, Bodleian Libraries, Oxford, folium 1r);
a destra: il brano relativo al Lago di Norcia tratto da un'edizione a stampa di Die Pilgerfahrt des Ritters
Arnold von Harff pubblicata da E. Von Groote (Colonia, 1860)
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Ci imbattiamo in ulteriori riferimenti al Lago a mano a mano che
procediamo oltre attraverso i secoli. Nel 1550 Leandro Alberti, un frate
domenicano, scrive le seguenti parole nella sua Descrittione di tutta l'Italia:
«Poscia alquanto più in su nell'Apennino nel territorio Nursino, evi il Lago
[...] addimandato Lago di Norsa [...] alcuni huomini di lontano paese [...]
venero a questi luoghi per consagrare libri scelerati et malvaggi al diavolo,
per potere ottenere alcuni suoi biasimevoli desiderii, cioè di ricchezze, di
honori, di amenosi piaceri et di simili cose. [...] havendo disegnato il
Circolo, et fatti i debiti caratteri colle escomunicate cerimonie [...] tanto
concorso di incantatori, che salivano sopra questi asperi et alti monti».
Fig. 9 - Descrittione di tutta l'Italia di Leandro Alberti, edizione originale pubblicata nel 1550, con il
brano dedicato alla Grotta della Sibilla (pag. 248 e 249)
Ma quanto è antica questa negromantica fama? Possiamo ritornare indietro
nei secoli e aprire le pagine del Dittamondo, un poema redatto tra il 1350 e
il 1367 da Fazio degli Uberti, poeta trecentesco originario della Toscana.
Ecco le parole vergate da questo letterato a proposito della tenebrosa
leggenda che già abitava quel Lago nella seconda metà del Trecento:
«La fama qui non vo’ rimagna nuda - del monte di pillato, dov’è il lago che si guarda l'estate a muda a muda - però che qua s’intende in Simon
mago - per sagrar il suo libro in su monta...».
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Fig. 10 - Il folium iniziale del Dittamondo di Fazio degli Uberti e i versi relativi al Lago di Pilato tratti da
un manoscritto risalente al 1447 (Bibliothèque Nationale de France, Département des Manuscrits, Italien
81, folia 1r and 95v)
Ma il riferimento più importante concernente il Lago di Pilato è quello
maggiormente risalente, il più antico che gli studiosi abbiano potuto
reperire. Si trova nel Reductorium Morale, un'opera scritta dal monaco e
abate benedettino francese Petrus Berchorius (Pierre Bersuire), vissuto tra
il 1290 e il 1362. In questo passaggio, non si rinviene alcuna menzione di
Pilato, eppure già ci imbattiamo nei negromanti che usano radunarsi presso
le gelide acque del Lago:
«Ho udito narrare un terribile racconto a proposito di Norcia, città d'Italia,
riferitomi come cosa assolutamente vera e sicura [...] Tra le montagne che
si innalzano in prossimità di questa città si trova un lago [...] al quale oggi
nessun uomo, ad eccezione dei negromanti, può accedere...».
[Nel testo originale latino: «Exemplum terribile esse circa Norciam Italie
civitatem audivi pro vero et pro centies experto narrari [...] inter montes isti
civitati proximos esse lacum [...] ad quem nullus hodie praeter
necromanticos potest accedere...].
E dunque maghi e negromanti erano soliti salire a quel Lago, posto tra le
creste precipiti del Monte Vettore, ben prima che la fama di quelle acque
come luogo di sepoltura del prefetto romano Ponzio Pilato fosse
menzionata nell'opera di Antoine de la Sale.
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Fig. 11 - Il brano relativo al Lago di Norcia tratto dal Reductorium Morale di Petrus Berchorius
(Bibliothèque Nationale de France, Département des Manuscrits, Latin 16786, folium 301v)
Sembrerebbe, quindi, che l'aspetto negromantico rappresenti un tratto
originario caratterizzante, sin da tempi molto antichi, ciò che oggi
conosciamo come i Laghi di Pilato: un elemento fondamentale dal quale
partire se intendiamo comprendere la vera origine di questa leggenda, alla
quale si è successivamente aggiunto un mito addizionale relativo a Ponzio
Pilato, come abbiamo avuto modo di illustrare nel nostro precedente
articolo Una leggenda per un prefetto romano: i Laghi di Ponzio Pilato.
Questo tratto negromantico è forse presente anche nella leggendaria
narrazione che riguarda la Grotta della Sibilla?
Per rispondere a questa domanda, proseguiamo con il nostro viaggio
attraverso le due leggende. E possiamo già anticipare che la risposta
risulterà essere pienamente affermativa.
3.2 Evocazioni all'ingresso della Grotta
Abbiamo visto come i rituali negromantici costituiscano parte integrante
del racconto leggendario che concerne i Laghi di Pilato. Possiamo
affermare lo stesso anche in relazione alla Grotta il cui nome è legato a
quello della Sibilla Appenninica?
Apparentemente, la Grotta della Sibilla sembrerebbe non mostrare alcuna
connessione, diretta e originaria, con la pratica di arti proibite e
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negromantiche, anche se il luogo si presenta, ovviamente, come fortemente
caratterizzato dalla potente magia praticata all'intero dei suoi tenebrosi
recessi. È lo stesso Andrea da Barberino, nel suo quattrocentesco romanzo
Guerrin Meschino, a narrarci delle repellenti trasformazioni degli abitanti
della Grotta, i quali ogni sabato e domenica vengono tramutati in serpenti,
draghi, rospi, vermi e altre abominevoli creature: un segno delle
incontenibili forze magiche all'opera nella caverna. E lo stesso racconto ci
viene proposto anche da Antoine de la Sale nel suo Il Paradiso della
Regina Sibilla, nel quale egli propone al lettore un'analoga scena a
proposito delle orribili trasformazioni che si verificano nella caverna.
Fig. 12 - Guerrino contempla una Sibilla trasformata in un disegno tratto da un'edizione a stampa del
Guerrin Meschino pubblicata in Italia nel 1841
Ma né Andrea da Barberino, né Antoine de la Sale inseriscono nelle loro
rispettive opere alcuna diretta rappresentazione di rituali magici eseguiti
nella Grotta, o presso l'ingresso della medesima, da alcun personaggio in
visita. Nondimeno, la negromanzia e i negromanti si collocano alla stessa
base della leggenda della Grotta della Sibilla, come abbiamo già avuto
modo di dimostrare nel nostro precedente articolo Nascita di una Sibilla: la
traccia medievale, in cui l'ascendenza della Sibilla Appenninica può essere
rintracciata, indietro nel tempo, fino a Sebile, l'esperta fata e negromante
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presentata come compagna e alter ego di Morgana la Fata, la sorellastra di
Re Artù nel leggendario ciclo della Materia di Bretagna.
Fig. 13 - La Sibilla è il suo seguito tramutati in orribili mostri in una miniatura tratta dal Paradiso della
Regina Sibilla di Antoine de la Sale (manoscritto n. 0653 (0924), Bibliothèque du Château (Musée
Condé), Chantilly, folium 15v)
In quel contesto, Morgana viene paragonata a una Sibilla, da intendersi
probabilmente come la Cumana, in relazione agli straordinari poteri
negromantici posseduti da entrambe, nell'antico poema tedesco Erec, scritto
da Hartmann von Aue nel 1185:
«Se lo avesse voluto, avrebbe potuto trasformare chiunque in un uccello o
in un animale. E poi gli avrebbe rapidamente restituito la sua forma usuale.
Conosceva ogni sorta di arti magiche. Essa viveva marcatamente contro
Dio: perché sotto il suo comando erano gli uccelli delle terre disabitate, dei
boschi e dei campi, e ciò che è più importante per me, gli spiriti maligni,
che sono chiamati dèmoni, erano sotto il suo controllo. [...] Da quando la
Sibilla è morta, e Erichto è perita, della quale Lucano ci parlò, e le arti
magiche che esse potevano comandare sono sparite ormai da tanto tempo,
con essa sono pienamente ritornate (ma di questo non voglio raccontare
troppo ora, perché troppo tempo occorrerebbe). Da quell'epoca, sulla terra
non c'è stata forse alcuna altra signora delle arti magiche se non Morgana la
Fata».
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[Nel testo originale in antico tedesco: «vnd ſo ſy des began - ſo mochte ſy
den man - Ze vogel oder ze tiere - darnach gab ſy im ſchiere - wider ſein
geſchafft - ſÿ kunde doch zaubers die kraft - sÿ lebete vaſt wider got - wann
es wartette jr gepot - das gefugl zu dem wilde - on walde vnd on geuilde vnd daz mich daz maiſte - die vbeln geiſte - die da tiefln ſint genant - die
waren alle vnnder jr handt [...] Seyt daz ſibilla erſtarb - vnd Ericto verdarb von der vns Lucanuſ zalt - daz jr zauberlich gewalt - wem ſÿ wolte gepot der dauor was lanng todt - daz er erſtund wol geſunt - von der ich euch hie
zeſtund - nu nicht mer fagen wil - wann es wurde ze vil - sy gewan das
erdtrich - das wiſſet warlich - von zauberlichen ſÿnne - nie beſſer
maiſterÿnne - dann Famurgan»].
Fig. 14 - Il paragone tra Morgana la Fata e la Sibilla dall'Erec di Hartmann von Aue (Codex
Vindobonensis Ser. Nova 2663 Ambraser Heldenbuch, Österreichische Nationalbibliothek, Vienna,
folium 40v)
Tale è la negromantica discendenza di Sibilla - Sebile - Morgana, così
come investigata nei nostri precedenti articoli di ricerca. E, benché tale
discendenza non sia apertamente esplicitata da Andrea da Barberino e
Antoine de la Sale, la negromanzia è pienamente parte dell'eredità
leggendaria della Grotta della Sibilla, come possiamo chiaramente
discernere negli autori successivi.
Nella sua Descrittione di tutta l'Italia, è lo stesso Leandro Alberti, da noi
già citato in relazione ai Laghi di Pilato, a fornirci un indizio assai
20
significativo in merito ai magici vantaggi potenzialmente ottenibili
visitando la Sibilla:
«La larga, horrenda et spaventevole spelunca nominata Caverna della
Sibilla. De la quale è volgata fama, anzi pazzesca favola [... che] quelli che
vi erano stati et poi ritornarano fuori, gli sono fatte tante gratie et privileggi,
da la Sibilla, che felicissimamente poi passano i suoi giorni».
Fig. 15 - Il brano relativo ai vantaggi ottenibili presso la Grotta della Sibilla tratto dalla Descrittione di
tutta l'Italia di Leandro Alberti (p. 248)
Secondo questa fama leggendaria, la Sibilla Appenninica, se debitamente
consultata e servita, avrebbe potuto onorare il visitatore con molti doni. Ma
per ottenere tutto ciò sarebbe stato forse necessario praticare rituali
tipicamente negromantici?
La risposta è affermativa. E possiamo reperire una completa illustrazione di
ciò nell'opera scritta da Pierre Crespet, conosciuto anche come 'Crespetus',
un monaco celestiniano francese vissuto nella seconda metà del sedicesimo
secolo. Più di centocinquanta anni dopo Guerrin Meschino e Il Paradiso
della Regina Sibilla, Crespeto ci rappresenta le pratiche negromantiche da
eseguire non presso le rive dei Laghi di Pilato, ma direttamente alla Grotta
della Sibilla:
21
«Un famoso mago chiamato Domenico Mirabello [... e] la sua matrigna
Marguerite Garnier, i quali furono entrambi arrestati a Mantova con i loro
libri di magia, che essi stavano portando alle Sibille, divinità dei maghi, per
essere consacrati, al fine di potenziarli [...] egli era stato a consultare la
famosa Sibilla che i viaggiatori in Italia affermavano trovarsi in una grotta
o cava in prossimità della città di Norcia in Italia [...] La Sibilla gli diede un
libro consacrato, & mise in un anello che egli aveva al dito uno spirito, per
mezzo dei quali libro e spirito egli avrebbe avuto il potere di recarsi in ogni
luogo egli avesse desiderato di essere trasportato, a condizione che il vento
non gli fosse contrario».
Fig. 16 - Il brano relativo a una visita alla Grotta della Sibilla tratto da De la hayne de Satan et malins
esprist contro l'homme, di Pierre Crespet (Crespetus), pubblicato a Parigi nel 1590 (Livre I, Discours VI,
p. 92-93)
[Nel testo originale francese: «Un insigne magicien nommé Dominique
Mirabille Italien [...] & à sa belle mere Marguerite Garnier, qui furent
22
apprehendez à Mante avec leur livres de magie qu'ils portoient aux Sibylles
deesses des magiciens pour etre consacrez, à fin d'avoir plus d'effet [...] il
avoit esté consulter la Sibylle fameuse que les voyageurs d'Italie asseurent
etre en une grotte ou carriere proche de la ville de Nurse en Italie [...]
laquelle luy donna un livre consacré, & luy meit dans un agneau qu'il avoit
au doigt un esprit, par le moyen desquels livre & esprit il eust la puissance
d'aller en tous lieux où il souhaittoit estre transporté moyenant que le vent
ne fust contraire.»]
Queste parole sono tratte dall'opera di Crespeto De la hayne de Satan et
malins esprist contro l'homme (Libro I, Discorso 6), pubblicato a Parigi nel
1590. Ulteriori dettagli in merito ai rituali negromantici da effettuarsi
presso la Grotta della Sibilla sono forniti più oltre nel medesimo testo
(Discorso 15):
«I circoli sono tracciati affinché il demonio non entri in essi o si scagli
contro coloro che l'invocano e lo chiamano in aiuto; essi sono muniti di
croci e di altri sacri simboli che il diavolo teme».
[Nel testo originale francese: «Les cercles se font, afin que le diable n'ait
entree ou force sur ceux qui l'invoquent & appellent à leur secours, & sont
munis de croix & autres expiations que le diable redoubte»].
Dunque, proprio come ai Laghi di Pilato, la Grotta della Sibilla appare
essere il teatro di riti magici e negromantici. L'obiettivo è quello di
acquistare per se stessi fama e ricchezze terrene, da guadagnare a mezzo
dei favori e delle azioni condotti da entità maligne, come racconta
Crespeto:
«Nella richiesta che venne loro trovata indosso, da presentarsi alle Sibille
che presiedevano alla Negromanzia e alla Magia, erano contenute queste
cose, che essi supplicavano le Sibille di consacrare i loro libri in modo tale
che gli spiriti maligni facessero tutto ciò che fosse loro ingiunto nel corso
dell'evocazione senza loro nuocere, apparendo in piacevole forma di uomo
[...] e che fossero pronti a venire di notte come di giorno, quando fossero
stati evocati. Le supplicavano inoltre di apporre ai loro libri magici, che
erano in numero di tre, il proprio marchio, affinché essi risultassero più
potenti al fine di poter richiamare i detti spiriti, e che essi non fossero mai
arrestati dalla Giustizia, e anche che risultassero favoriti in tutte le loro
23
imprese, amati sommamente da Re, Principi e grandi Signori, che non
perdessero mai ai giochi d'azzardo, e potessero anche godere della fortuna e
guadagnare quanto volessero, sviando al contempo gli attacchi dei propri
nemici».
[Nel testo originale francese: «Car en la requeste qu'on leur trouva pour
presenter au Sibylles qui president sur la Necromance, & Magie, ces choses
estoient contenues, qu'ils supplioient les Sibylles de consacrer leur livres à
tels effects que les mauvais esprits fissent tout ce que leur seroit enjoint par
leur coniuration sans faire aucun mal, apparoissans en forme de bel
homme, & qu'on ne fust contrainst de faire aucun cercle n'y en leurs
maisons, ny aux champs, & qu'ils fussent prompts à venir de nuist & de
jour, quand ils seroient evoquez. Les supplioient aussi d'apposer à leurs dits
livres de Magie, qui estoient trois en nombre, leur caractere, afin qu'ils
eussent plus de puissance pour appeller lesdits esprits, & qu'ils ne fussent
repris de Iustice, ains qu'ils fussent fortunez en toutes leurs entreprises, bien
aymez des Roys Princes, & grands Seigneurs, ne perdissent jamais aux
jeux, ains fussent chanceux & gaignassent quand ils voudroient, que leurs
ennemis ne pourtassent nuysance»].
Fig. 17 - Un ulteriore passaggio concernente la stessa visita alla Grotta della Sibilla tratto da De la hayne
de Satan et malins esprist contro l'homme, di Pierre Crespet (Crespetus), pubblicato a Parigi nel 1590
(Livre I, Discours XV, p. 245-246)
24
In questo contesto, la Grotta della Sibilla non è affatto presentata come
l'ingresso a un nascosto regno sotterraneo abitato da graziose damigelle e
da una fatata regina, pronta a elargire amorose gioie e una vita senza fine ai
più arditi visitatori.
La Grotta ci appare, invece, in una veste del tutto differente. Si tratta di un
luogo dove viene praticata la negromanzia, per consacrare libri magici e
ottenere proibiti vantaggi. Una fama leggendaria, irragionevole e del tutto
mitica come certamente è, ma che comunque ci ricorda un altro luogo, che
si trova non molto distante da questa tenebrosa caverna.
Ci riporta alla mente i Laghi di Pilato. Solamente a pochi chilometri di
distanza.
3.3 Il ruolo condiviso della negromanzia in entrambe le leggende
A valle di questa fase iniziale della nostra analisi relativa agli aspetti
comuni che marcano sia la leggenda della Grotta della Sibilla che il mito
dei Laghi di Pilato, abbiamo raggiunto una prima interessante conclusione:
in entrambe le leggende, la negromanzia gioca un ruolo primario.
È un fatto che l'arte negromantica, da intendersi come l'effettuazione di
magici rituali finalizzati all'evocazione di entità maligne, dalle quali tentare
di ottenere proibiti servigi, è stata effettivamente praticata in entrambi i siti,
e attraverso molti secoli.
Nei paragrafi precedenti, abbiamo potuto notare come personaggi ben poco
raccomandabili siano stati soliti recarsi in visita a quel Lago annidato tra le
creste del Monte Vettore per centinaia di anni, senza manifestare alcun
interesse per la leggenda di Ponzio Pilato, una narrazione estranea ai luoghi
che si limitava a coprire e romanzare il vero mito originario: una tradizione
nativa, quest'ultima, concernente la consacrazione di libri magici e la messa
in scena di empi rituali da compiersi dopo avere debitamente evocato una
qualche sorta di leggendaria entità maligna. Questo racconto era già noto
nella prima metà del quattordicesimo secolo, e abbiamo già avuto modo di
dimostrare, nel nostro precedente articolo, Una leggenda per un prefetto
romano: i Laghi di Ponzio Pilato, come Pilato costituisse una mera
25
sovrapposizione narrativa, originatasi in luoghi lontani, che velava un mito
locale, già caratterizzante quel sito.
Fig. 18 - I Laghi di Pilato come si presentano ai nostri giorni
Abbiamo anche potuto notare come lo stesso genere di malintenzionati
personaggi usasse recarsi in visita presso la Grotta della Sibilla, posta sulla
cima dell'omonimo monte, distante pochi chilometri dal Lago, per eseguire
la stessa tipologia di rituali proibiti. Quei negromanti non andavano alla
Grotta in cerca di una Regina Sibilla e della sua magnifica corte, presso la
quale ricercare amore e gioia eterna e perdizione della propria anima: essi
erano, invece, alla ricerca di magici poteri, da evocare e porre al proprio
servizio in modo da realizzare i propri malvagi desideri. Inseguivano il
potere, e non erano affatto interessati alla cavalleresca storia di una Sibilla
Appenninica, un altro racconto estraneo che giungeva da contrade lontane,
una narrazione relativa a Morgana e alla sua fatata compagna Sebile, con il
loro apparato costituito da cavalieri imprigionati, castelli nascosti e
magiche montagne, assai popolari nei romanzi e nei poemi appartenenti
alla Materia di Bretagna, nella quale entrambe sono descritte come potenti
incantatrici e negromanti: un'ascendenza che abbiamo già avuto modo di
tracciare nel nostro precedente articolo Nascita di una Sibilla: la traccia
medievale.
26
Fig. 19 - Il Monte Sibilla
E dunque, la negromanzia costituisce uno dei tratti comuni che
caratterizzano entrambi i racconti leggendari, quello del Lago e quello della
Grotta. Un aspetto condiviso che è anche menzionato da un Papa vissuto
nel quindicesimo secolo, Pio II Piccolomini, il quale, nella sua famosissima
lettera, scritta il 15 gennaio 1444 all'amico e cugino Gregorio Lolli (già da
noi presentata nel precedente articolo La lettera originale di Papa Pio II
Piccolomini sulla grotta della Sibilla pubblicata oggi per la prima volta),
descrive in questo modo entrambi i siti, senza porre alcun discrimine tra i
due per quanto riguarda i rituali negromantici effettuati in quei luoghi:
«Mentre parlavamo, mi venne in mente che esiste un lago, in Umbria, detta
anche provincia del Ducato, non lontano dalla città di Norcia, dove
un'impervia montagna ospita una immane caverna, attraverso la quale
scorrono le acque. Mi ricordo di aver sentito dire che lì si trovano streghe e
demoni e ombre notturne, un luogo nel quale coloro che posseggono un
animo audace possono ascoltare le voci degli spiriti malvagi, parlare con
loro e apprendere le arti magiche. [...] mi assicurò che tutte queste cose
sono vere, mi fece menzione del lago e mi descrisse il luogo».
[Nel testo originale latino: «Inter conferendum autem venit in mentem
locum esse in umbria, quae provincia ducatus dicitur, non longe ab Urbe
Nursia ubi preruptus mons ingentem speluncam facit per quam aquae
fluunt. Illic memini audisse me striges esse et Demones ac nocturnas
umbras, ubi qui audaces animo sunt, spiritus nequam audiunt,
27
alloquunturque et artes ediscunt magicas. [...] haec mihi vera esse
asseveravit lacum nominavit et locum descripsit»].
Fig. 20 - Il brano relativo alla Grotta e al Lago di Norcia tratto dalla lettera De Monte Veneris vergata da
Pio II Piccolomini (manoscritto Latin 8578, Bibliothèque Nationale de France, folium 96r)
Nel testo del Piccolomini, il Lago e la Grotta sono considerati come
appartenenti a un medesimo sinistro contesto, presso il quale evocazioni
vengono praticate, e entità richiamate.
Quindi, appare indubbio come la negromanzia costituisca uno dei tratti
caratterizzanti entrambi i siti leggendari, ambedue collocati tra i Monti
Sibillini, in Italia.
È possibile rilevare ulteriori aspetti che caratterizzino entrambi i siti, la
Grotta della Sibilla e i Laghi di Pilato? Certo, ve ne sono anche altri. E
abbiamo proprio cominciato a menzionarli quando abbiamo iniziato a
occuparci di negromanzia.
28
Perché negromanzia significa evocare qualcosa. Maligne presenze mitiche
vengono richiamate. Stiamo ora per confrontarci con le demoniache entità
che, secondo i leggendari racconti, abiterebbero sia la Caverna che il Lago.
4. Entità maligne come elemento comune
4.1 Demoni mitici sotto le acque
Nel precedente capitolo, abbiamo avuto occasione di esplorare la
negromanzia nella sua qualità di tratto condiviso caratterizzante entrambe
le leggende che abitano i Monti Sibillini, nel centro dell'Italia. Come
riferito da varie fonti, sia i Laghi di Pilato che la Grotta della Sibilla
ricevevano visite da parte di malevoli personaggi, i quali effettuavano
magici rituali, consacravano libri d'incantesimi ed evocavano sconosciuti
esseri maligni, al fine di ottenere potere, fama, ricchezze e altri vantaggi
mondani.
Dunque, questi visitatori si recavano presso questi luoghi in cerca di un
contatto proibito con empie entità.
Naturalmente, nessuna inesistente e illusoria entità del genere ha mai
realmente dimorato nelle acque cristalline dei Laghi di Pilato, trattandosi
solamente di un tenebroso racconto leggendario. Nondimeno, l'idea segna
certamente questi luoghi, per quanto assurda essa possa sembrare. Ma
quale sorta di leggendarie entità, quei visitatori al Lago, erano così
desiderosi di incontrare?
Secondo le numerose fonti letterarie da noi già menzionate nei nostri
articoli di ricerca, una diffusa credenza pareva affermare che sia nel Lago
che nella Grotta vivessero esseri demoniaci.
La fama del Lago di Pilato come dimora per inquiete forze demoniache è
attestata sin dalle più risalenti menzioni della leggenda, e questa sinistra
caratteristica si inserisce perfettamente nella sovrapposta tradizione
letteraria concernente il corpo maledetto di Ponzio Pilato, che è
caratterizzata dai propri specifici e agitatissimi demoni.
29
Come abbiamo avuto modo di illustrare nel nostro precedente articolo Una
leggenda per un prefetto romano: i Laghi di Ponzio Pilato, la delicata
questione relativa a come trattare il ripugnante cadavere del prefetto
romano che aveva condannato Gesù Cristo a morte aveva condotto
all'elaborazione, attraverso molti secoli, di una complessa narrazione, il cui
apice può essere rintracciato nella Legenda Aurea, scritta da Jacopo da
Varagine e risalente alla fine del tredicesimo secolo. In quest'opera, il corpo
di Ponzio Pilato viene inizialmente gettato nel fiume Tevere, poi nel fiume
Rodano, successivamente nel territorio di Losanna, e infine in un abisso
situato tra le Alpi.
In ognuna delle predette tappe, i demoni sono sempre presenti per
accogliere quel cadavere maledetto, come descritto nei seguenti brani:
«Ma spiriti maligni ed esecrandi, gioendo di quel cadavere maligno ed
esecrando, cominciarono a suscitare straordinarie ondate [nel Tevere] [...]
Ma gli spiriti malvagi non disertarono nemmeno questo luogo, presso il
quale essi operarono proprio come a Roma: e così quegli uomini, non
potendo sopportare una tale infestazione di demoni [nel Rodano] [...] Ma
coloro [a Losanna] che subirono la medesima infestazione già in
precedenza descritta [...] gettarono quel corpo in un certo abisso circondato
dalle montagne, presso il quale ancora oggi, secondo quanto riferito da
alcuni, è possibile osservare il ribollente manifestarsi di illusioni create dai
demoni [nelle Alpi]».
Fig. 21 - I demoni accolgono il corpo di Ponzio Pilato, secondo diversi passaggi tratti dalla Legenda
Aurea (manuscript NAL 1747, Bibliothèque Nationale de France, folium 93v)
30
[Nel testo originale latino: «Spiritus vero maligni et sordidi corpori
maligno et sordido congaudentes et nunc in aquis nunc in aere rapientes
mirabiles indundationes in aquis movebant [...] Sed ibi nequam spiritus
effluunt, ibidem eadem operantes, homines ergo illi tantam infestationem
daemonum non ferentes [...] Qui cum nimis praefatis infestationibus
gravarentur [...] in quodam puteo montibus circumsepto immerserunt, ubi
adhuc relatione quorundam quaedam dyabolicae machinationes ebullire
videntur»].
Nella lunga vicenda della leggenda di Ponzio Pilato attraverso i secoli, i
suoi numerosi luoghi di sepoltura sono sempre stati infestati dalla presenza
di demoni, un'immagine che è anche contenuta nel Rescriptum Tiberii, noto
anche come Epistola Tiberii ad Pilatum, risalente all'undicesimo secolo, in
cui il sommo sacerdote Caifa muore nel corso del suo viaggio verso l'esilio
e, quando si tenta di seppellirlo, la terra si rifiuta di ricevere il suo corpo, e
lo rigetta.
Fig. 22 - I demoni nel Lago così come menzionati da Antoine de la Sale ne La Salade, stampata a Parigi
nel 1527
Troviamo un riferimento alle stesse demoniache presenze anche nella
descrizione del Lago, posto tra i Monti Sibillini, fornitaci da Antoine de la
31
Sale. Nella versione a stampa dell'opera Il Paradiso della Regina Sibilla,
pubblicata nel 1527, i negromanti vengono rappresentati mentre
raggiungono la grande roccia posta al centro del Lago per eseguire i propri
abominevoli rituali:
«... Coloro che si recavano sulla piccola isola per consacrare i loro libri per
invocare i demoni...»
[Nel testo originale francese: «... ceuls qui aloyent en l'islecte consacrer
leurs livres pour invocquer les dyables...»].
Nel 1474 Flavio Biondo ci fornisce piena conferma a proposito di questa
sinistra fama vergando le seguenti parole nel suo De Italia illustrata:
«Non molto più in alto nell'Appennino, si trova quel lago nel territorio di
Norcia, nel quale secondo una vana dicerìa pullulerebbero più demoni che
pesci».
[Nel testo originale latino: «paulo superius est lacus ille in nursinorum agri
appenino, quem vano ferunt mendacio piscium loco daemonibus scatere»].
Fig. 23 - Demoni nel Lago di Norcia come menzionati nel manoscritto originale del De Italia illustrata di
Flavio Biondo (Ottobonian Latin n. 2369, Biblioteca Apostolica Vaticana, folium 50r)
Nella Descrittione di tutta l'Italia di Leandro Alberti, pubblicata nel 1550,
troviamo i seguenti passaggi:
«Vedesi alla parte de quest'altissimo monte [Monte Vettore], che riguarda
all'oriente, quel tanto famoso Lago del quale se dice che vi appareno i
demoni costretti dagli incantatori, et che qui vi parlano con essi. [...] Poscia
alquanto più in su nell'Apennino nel territorio Nursino, evi il Lago [...]
32
addimandato Lago di Norsa, nel quale dicono gli ignoranti nottare i diavoli
[...] quivi soggiornano i Diavoli, et danno risposta a chi gli interroga».
Fig. 24 - Demoni nel Lago dalla Descrittione di tutta l'Italia di Leandro Alberti, edizione originale
pubblicata nel 1550 (p. 248)
Ulteriori menzioni possono essere facilmente reperite in altri autori, tra i
quali Papa Pio II Piccolomini; nondimeno dobbiamo considerare come
questi leggendari demoni risultino essere presenti presso il Lago ben prima
che il leggendario racconto relativo a Ponzio Pilato giungesse a stabilirsi in
questo remoto specchio d'acqua italiano. Secondo Petrus Berchorius e il
suo trecentesco Reductorium Morale, dal quale abbiamo già avuto modo di
trarre citazioni, esseri demoniaci dimoravano già, in modo palese, le gelide
acque del Lago:
«Tra le montagne che si innalzano in prossimità di questa città [Norcia] si
trova un lago, dagli antichi consacrato ai dèmoni, e da questi visibilmente
abitato».
[Nel testo originale latino: «Inter montes isti civitati [Norcia] proximos
esse lacum ab antiquis daemonibus consecratum et ab ipsis sensibiliter
inhabitatum»].
Il Lago e i demoni: una relazione inscindibile, per quanto mitica essa possa
apparire. Vedremo che, assieme alla negromanzia, questa caratteristica
33
permetterà alla nostra investigazione di progredire ulteriormente alla
ricerca del vero significato che si cela dietro la leggenda.
Fig. 25 - Esseri maligni nel Lago di Norcia dal Reductorium Morale di Petrus Berchorius (Bibliothèque
Nationale de France, Département des Manuscrits, Latin 16786, folium 301v)
Ma cosa possiamo dire a proposito della Grotta della Sibilla? È forse
anch'essa abitata da leggendari demoni?
La risposta, ovviamente, è affermativa. Un altro tratto comune che la Grotta
condivide con il Lago.
4.2 Demoni mitici nella caverna
Il leggendario racconto che riguarda i Laghi di Pilato pone in scena demoni
in qualità di entità residenti che dimorerebbero nelle gelide acque situate tra
i Monti Sibillini. È possibile che analoghi demoni abbiano abitato anche le
profondità della Grotta della Sibilla?
A prima vista, la Sibilla Appenninica, così come rappresentata da Andrea
da Barberino nel proprio romanzo, potrebbe apparire come qualcosa di
differente. La Sibilla stessa pare frapporre una certa distanza tra se stessa e
una propria eventuale natura demoniaca, quantomeno in relazione alla
propria asserita corporeità, quando essa rimprovera aspramente Guerino
con le seguenti parole:
«O falso christiano le tue sconiuratione non me posseno nocere impero che
io non sono corpo fantastico ma sono e fui de carne e ossa come che tu sei
[...]; ma sconiura li demonii li quali non hano corpo e li spiriti imondi».
34
Fig. 26 - La Sibilla si esprime a proposito della propria stessa natura, dal Guerrin Meschino di Andrea da
Barberino (Capitolo CLII dell'edizione stampata a Venezia nel 1480)
Nondimeno, è chiaro come un maligno potere sia pesantemente all'opera
nella Grotta. Guerrino è pienamente cosciente del fatto che il regno della
Sibilla, con tutti i suoi castelli e palazzi e giardini, non possa esistere nella
realtà spaziale racchiusa nel limitato volume di una caverna, e di come tutto
ciò che appare di fronte ai suoi occhi non sia che il risultato di un
incantamento («vide molte castelle e molte ville molti palacii e molti
ziardini et imaginò questi tutti essere incantamenti, per ché in poco loco de
la montagna non era possibile che tante cose vi fosseno»). In diverse
occasioni, Guerrino invoca il nome di Gesù Cristo a modo di protezione
contro i malvagi allettamenti offertigli dalla Sibilla, pregando così per la
salvezza della propria anima: un chiaro segno di come una malvagità
soprannaturale sia presente nella grotta. Inoltre, la ricorrente
trasformazione della regina di quei luoghi e delle sue compagne in
ripugnanti vermi e serpenti non contribuiva certo a confermare la vibrante
dichiarazione della Sibilla di non essere affatto un demone.
E, come ad apporre una sorta di sigillo a questo genere di discussione, è lo
stesso Andrea da Barberino a indicarci la natura di quel luogo, inserendo
una potente immagine nella propria narrazione, nel momento stesso
dell'ingresso di Guerrino nei più profondi recessi della caverna:
«Pocho andò che trovò una porta di metalo et da ogni latto era Scolpito uno
dimonio che propio pareano vivi».
35
Fig. 27 - I demoni scolpiti che attendono i visitatori nei recessi più interni della Grotta della Sibilla, così
come appaiono nel Guerrin Meschino di Andrea da Barberino (manoscritto n. MA297, Biblioteca Civica
Angelo Mai, Bergamo, folium 138r)
A titolo di ulteriore conferma a proposito dell'evidenza di una leggendaria
presenza demoniaca all'interno della Grotta della Sibilla, apriamo le pagine
del Paradiso della Regina Sibilla di Antoine de la Sale, nel quale
ritroviamo il medesimo minaccioso, malvagio sigillo apposto alla grotta,
esattamente come il segno menzionata da Andrea da Barberino nella
propria opera:
«Alla fine di questa caverna, si trovano due draghi, ai due lati, di artificiale
fattura, ma essi sembrerebbero veramente essere vivi, se non fossero
totalmente immobili, e i loro occhi sono così lucenti che essi spargono
chiarore tutt'intorno».
[Nel testo originale francese: «Au bout de ceste cave, trouve l'en deux
dragons, des deux lez, qui sont faiz artificiallement mais il est advis
proprement quilz soient en vie, fors de tant quilz ne se bougent, et ont les
yeulz si reluysans quilz donnent clarté tout entour eulx»].
36
Fig. 28 - I demoniaci draghi descritti da Antoine de la Sale nel suo Paradiso della Regina Sibilla
(manoscritto n. 0653 (0924), Bibliothèque du Château (Musée Condé), Chantilly, folium 12r)
Dunque vi sono demoni all'opera nella grotta, e Antoine de la Sale rimarca
senza alcuna ambiguità questo aspetto quando egli riferisce la storia del
lungo soggiorno di un cavaliere tedesco nella caverna:
«Un giorno [...] cominciò a provare dolore nel proprio cuore [...] egli aveva
agito contro il suo volere e i suoi comandamenti [di Dio] [...] e per trecento
lunghi giorni si era accompagnato con il Nemico, perché egli poteva ben
comprendere come lì abitasse veramente il Nemico, perché, quando
giungeva il venerdì dopo la mezzanotte, la sua compagna lo abbandonava e
si recava presso la regina [...] e lì sostavano in apposite stanze e altri luoghi
appositamente apprestati, trasformati in vipere e serpenti».
[Nel testo originale francese: «Un jour [...] le cuer lui commança à douloir
[...] il avoit faictes encontre son vouloir et ses commandemens [of God]
[...] par l'espace de iii cens jours, pour soy acompaigner avec son ennemy,
car certainement apperceut-il bien que l'ennemy estoit-il vraiement, pour ce
que, quant venoit le vendred, après la mienuyt, sa compaigne se levoit
37
d'emprès lui et s'en aloit à la royne [...] et la estoient toutes en chambres et
en autres lieux ad ce ordonnez, en estat de couleuvres et de serpens».
Fig. 29 - Presenze demoniache all'interno della Grotta della Sibilla, dal Paradiso della Regina Sibilla di
Antoine de la Sale (manoscritto n. 0653 (0924), Bibliothèque du Château (Musée Condé), Chantilly, folia
15r-15v)
E una delle considerazioni finali di de la Sale nel Paradiso della Regina
Sibilla è dedicata a «tutte le apparizioni e invenzioni diaboliche [...]
attraverso le quali i demoni ingannano gli uomini» («toutes fantosmes et
toutes deableries [...] de quoy les deables decevoient le gens»), ora rese
innocue e inefficaci grazie alla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo.
Perché, aggiunge lo scrittore provenzale, questa non è che una «falsa
Sibilla, che il Demonio, con il suo potere e approfittando della nostra
fragile fede, ha reso famosa allo scopo di ingannare la gente semplice»
(«ceste faulse Sibille que le deable par son pouvoir a cause de nostre faible
creance a mis la renommee sus pour decevoir les simples gens»).
38
Fig. 30 - La Sibilla come demone maligno dal Paradiso della Regina Sibilla di Antoine de la Sale
(manoscritto n. 0653 (0924), Bibliothèque du Château (Musée Condé), Chantilly, folia 25r and 27r)
Dunque, appare chiaro come anche la Grotta della Sibilla, proprio come il
Lago di Pilato, contenga al proprio interno una mitica presenza demoniaca.
A titolo di ulteriore conferma di questa leggendaria tradizione, i secoli
successivi vedranno la classificazione della Sibilla Appenninica all'interno
di una ben specifica classe di demoni, così come riferito dall'ecclesiastico
fiammingo Martino Delrio, nel suo Disquisitionum magicarum libri sex,
pubblicato nel 1599, il quale cita un brano in precedenza vergato da
Johannes Trithemius:
«Il quinto genere è chiamato sotterraneo: coloro che dimorano nelle
spelonche e caverne e cavità delle remote montagne. E questi dèmoni sono
estremamente pericolosi: si impadroniscono specialmente di coloro che
scavano gallerie e cercano metalli, e di chi è alla ricerca di tesori nascosti
sotto la terra: sono particolarmente desiderosi di nuocere al genere umano
[...] Essi non chiedono di meglio [...] che suscitare terrore e stupefazione
nel cuore degli uomini. È noto inoltre che in alcuni casi essi abbiano
condotto uomini tra i più semplici fino ai segreti recessi delle loro
montagne, mostrando loro meravigliose illusioni: come se ivi fossero da
trovarsi le aule degli uomini beati, e dichiarandosi, mentendo, amici degli
uomini».
[Nel testo originale latino: «Quintum genus subterraneum dicitur, quod in
speluncis et cavernis montiumque remotis concavitatibus demoratur. Et isti
demones affectione sunt pessimi; eosque invadunt, maxime, qui puteos et
39
metalla fodiunt, et qui thesauros in terra latentes querunt, in pernicie
humani generis paratissimi [...] Nihil magis quarunt [...] quam metum
hominum et admirationem. Unde habemus compertum, quod simpliciores
hominum quosdam nonnumquam in sua latibula montium duxerunt,
stupenda mirantibus ostendentes spectacula, et quasi beatorum ibi sint
mansiones, amicos virorum se mentiuntur»].
Fig. 31 - I demoni sotterranei nella classificazione di Tritemio come riferita da Martino Delrio nel suo
Disquisitionum magicarum libri sex (p. 254-255)
A questa maligna classe appartiene la Sibilla Appenninica, come
esplicitamente affermato da Martino Delrio:
«È proprio da questi inganni che si sono originate le favole a proposito del
monte di Venere, di cui si fa menzione nella lettera di Papa Pio II e nella
descrizione della Grotta della Sibilla nella regione di Ancona riportata da
Antoine de la Sale; e anche della montagna delle femmine Bianche vicino
Kempenfent, e del 'monte delle Donne elfiche' nel Brabante; e in Italia a
proposito della Caverna di Norcia e della Sibilla che lì risiederebbe, della
quale fece menzione Pio II nell'epistola 46».
40
[Nel testo originale latino: «Ex huiusmodi ludibriis natae sunt fabulae de
monte Veneris, cuius mentio apud Pium II in epistola et Speluncae Sibyllae
quam in Ancona describit Antonius de la Sale; et montis Albarum
foeminarum apud Kempenfem, et in Branbantia 'den Alvinnen berch'; et in
Italia de Specu Nursino et de Sibylla illic degente, cuius meminit D. Pius II
[in] epistola 46...»].
Fig. 32 - La Grotta della Sibilla nel Disquisitionum magicarum libri sex di Martino Delrio (p. 255)
E questo tratto demoniaco proprio della Sibilla Appenninica è pienamente
presente nell'opera del monaco celestiniano francese Crespetus, dal quale
abbiamo già avuto modo di trarre citazioni. Nel suo trattato De la hayne de
Satan et malins esprist contro l'homme, egli ripercorre il processo criminale
tenutosi nel 1586 contro Domenico Mirabelli, un negromante che fu
catturato mentre si recava al Monte Sibilla. Nel suo racconto, la Sibilla
viene rappresentata come un'entità in grado di comandare schiere di esseri
maligni:
«Essi supplicavano le Sibille di consacrare i loro libri in modo tale che gli
spiriti maligni facessero tutto ciò che fosse loro ingiunto nel corso
dell'evocazione senza loro nuocere, apparendo in piacevole forma di uomo;
essi chiesero di non essere costretti a tracciare alcun circolo, né nelle loro
case, né all'aperto, e che i demoni fossero pronti a venire di notte come di
giorno, quando fossero stati evocati. Le supplicavano inoltre di apporre ai
loro libri magici, che erano in numero di tre, il proprio marchio, affinché
essi risultassero più potenti al fine di poter richiamare i detti spiriti».
[Nel testo originale francese: «Ils supplioient les Sibylles de consacrer leur
livres à tels effects que les mauvais esprits fissent tout ce que leur seroit
41
enjoint par leur coniuration sans faire aucun mal, apparoissans en forme de
bel homme, & qu'on ne fust contrainst de faire aucun cercle n'y en leurs
maisons, ny aux champs, & qu'ils fussent prompts à venir de nuist & de
jour, quand ils seroient evoquez. Les supplioient aussi d'apposer à leurs dits
livres de Magie, qui estoient trois en nombre, leur caractere, afin qu'ils
eussent plus de puissance pour appeller lesdits esprits»].
Fig. 33 - Demoni evocati presso la Grotta della Sibilla nella descrizione di Pierre Crespet (Crespetus) nel
De la hayne de Satan et malins esprist contro l'homme (p. 246)
Questo carattere demoniaco della leggenda della Sibilla appare essere del
tutto compatibile con i tratti analoghi tipici della narrazione addizionale
concernente Morgana/Sebile, così come descritta nel nostro precedente
articolo Nascita di una Sibilla: la traccia medievale. Dobbiamo infatti
ricordare come Morgana la Fata, l'illustre ascendente della Sibilla
Appenninica, sia stata descritta dal poeta tedesco Hartmann von Aue, più di
due secoli prima di Andrea da Barberino e Antoine de la Sale, come una
sorta di malvagia regina che presiedeva alle potenze demoniache del
sottosuolo:
42
«Essa viveva marcatamente contro Dio: perché sotto il suo comando erano
gli uccelli delle terre selvagge, dei boschi e dei campi, e ciò che è più
importante per me, gli spiriti maligni, che sono chiamati dèmoni, erano
sotto il suo controllo [...] Essa aveva anche comunanza con il profondo
dell'Inferno, il demonio le era compagno. Egli era costretto a obbedirle,
anche se protetto dalle fiamme, e tutto ciò che avesse desiderato dal reame
della terra, lei avrebbe potuto ottenerlo senza contrasto».
Fig. 34 - Il passaggio relativo a Morgana la Fata e i demoni dall'Erec di Hartmann von Aue (Codex
Vindobonensis Ser. Nova 2663 Ambraser Heldenbuch, Österreichische Nationalbibliothek, Vienna,
folium 40v)
[Nel testo originale in antico tedesco: «sÿ lebete vaſt wider got - wann es
wartette jr gepot - das gefugl zu dem wilde - on walde vnd on geuilde - vnd
daz mich daz maiſte - die vbeln geiſte - die da tiefln ſint genant - die waren
alle vnnder jr handt [...] - auch het ſÿ mage - tieff in der helle - der teufl was
jr gefelle - der ſant jr ſteure - auch aus dem feure - wieuil ſy des wolte - vnd
was ſÿ haben ſolte - von erdtriche - des nam ſÿ im angſtliche - alles ſelb
genug»].
Come si può osservare nei brani qui riportati, è evidente come la leggenda
della Grotta della Sibilla Appenninica sia una leggenda di demoni, proprio
43
come la narrazione mitica concernente i Laghi di Pilato. A quella caverna,
posta sulla vetta del Monte Sibilla, i visitatori si recavano per eseguire empi
rituali, e per convocare i servitori del Nemico, che, secondo la leggenda, la
Sibilla era in grado di controllare.
La Grotta e il Lago. E demoni leggendari dimoranti in entrambi i luoghi.
Un tratto condiviso che marca le due leggende. A pochi chilometri di
distanza l'una dall'altra.
4.3 Sinistri abitatori leggendari dimorano in entrambi i luoghi
Dopo avere consultato le principali fonti letterarie che narrano della Grotta
della Sibilla e dei Laghi di Pilato, abbiamo potuto evidenziare un ulteriore
significativo elemento: non solo i due siti sono entrambi legati
all'effettuazione di rituali negromantici, ma essi sarebbero anche abitati da
qualche genere di leggendari demoni residenti in loco. Ambedue i siti.
Per quanto riguarda i Laghi di Pilato, non si tratta certamente di una nuova
e inaspettata scoperta: l'intera tradizione medievale che narra dei luoghi di
sepoltura di Ponzio Pilato, infatti, è caratterizzata da vere e proprie schiere
di demoni, rappresentati nell'atto di accogliere, con agitata turbolenza, il
corpo maledetto del prefetto mentre esso viene gettato nelle acque di un
fiume, sia questo il Tevere o il Rodano, oppure in un abisso situato tra le
Alpi. E gli stessi demoni sono anche presenti nella descrizione, fornitaci da
Petrus Berchorius, del nostro lago italiano annidato tra i Monti Sibillini:
una descrizione che, però, non riporta alcuna menzione a proposito del
famoso funzionario romano.
Per quanto riguarda, invece, la Grotta della Sibilla, molti ricercatori e autori
contemporanei parrebbero avere sottovalutato o addirittura completamente
trascurato, più o meno intenzionalmente, i segni demoniaci che marcano il
mito sibillino. Come avremo modo di vedere in futuri articoli, essi hanno
piuttosto preferito porre in risalto il carattere positivo, matriarcale di una
saggia Sibilla, nella sua qualità di regina, veggente e maestra di saperi
tradizionali conferiti alle comunità femminili locali: una sorta di
anticipatrice di moderne istanze femministe, la cui immagine non è però in
alcun modo rinvenibile in nessuna delle antiche fonti che riguardano la
44
Sibilla degli Appennini, e non è supportata da alcuna rilevabile traccia
filologica, né della benché minima evidenza scientifica.
Fig. 35 - Una visione dei Laghi di Pilato al tramonto
Tutte le antiche fonti rintracciabili, siano esse manoscritte o a stampa,
raccontano una storia del tutto differente. Sinistri abitatori leggendari
dimorano in entrambi i luoghi. Nessuna 'buona' Sibilla ha mai calcato la
nostra scena.
A titolo di ulteriore conferma di quest'ultima osservazione, possiamo citare
ancora dalla lettera vergata da Papa Pio II Piccolomini, il quale nel 1444 fa
menzione di entrambi i siti, il Lago e la Grotta; e, per entrambi, egli
riferisce che «lì si trovano streghe e demoni e ombre notturne, un luogo nel
quale coloro che posseggono un animo audace possono ascoltare le voci
degli spiriti malvagi, parlare con loro ed apprendere le arti magiche».
Il Lago e la Grotta. Ambedue situati nei Monti Sibillini, in Italia, e posti a
pochi chilometri l'uno dall'altro, in piena linea di vista reciproca. In
45
entrambi i siti vengono effettuati rituali negromantici. E mitici demoni
parrebbero abitare entrambi i luoghi.
Fig. 36 - Alba sul Monte Sibilla
Le analogie cominciano a fluire copiosamente. E non ne abbiamo soltanto
due. Ne abbiamo anche una terza. Un terzo aspetto comune, che è presente
in entrambi i siti.
E il terzo aspetto comune è costituito dalle tempeste.
5. Tempeste come elemento comune
5.1 Tempeste e distruzioni che sorgono dal lago
Stiamo ancora sviluppando la nostra ricerca relativa ai tratti comuni
condivisi da due leggende apparentemente differenti, la Grotta della Sibilla
46
e i Laghi di Pilato, entrambe vive tra le vette dei Monti Sibillini, in Italia, a
soli 8.3 chilometri di mutua distanza, e in piena linea di vista reciproca.
Nei nostri precedenti articoli, abbiamo potuto rilevare come entrambe le
leggende condividano due aspetti comuni: in ambedue i siti viene praticata
la negromanzia, e demoni leggendari sarebbero presenti in entrambi i
luoghi. Stiamo ora per andare a esplorare un terzo, stupefacente aspetto che
collega il Lago e la Grotta.
Il terzo aspetto riguarda tempeste e distruzioni. E iniziamo dalla
descrizione del Lago che ci viene fornita da Antoine de la Sale nel suo
quattrocentesco Il Paradiso della Regina Sibilla:
«Quell'isola [una grande roccia posta al centro del lago] è attentamente
sorvegliata e protetta dalla gente del luogo, perché quando qualcuno vi
perviene segretamente e vi pratica le arti del Demonio, subito si leva nella
regione una tempesta così violenta da distruggere tutti i raccolti e i beni
della contrada».
[Nel testo originale francese: «La quelle isle est moult gardee et deffendue
des gens du pais pource que quant aucun y vient seleement et a fait son art
de l'ennemy apres se fait se lieve une tempeste si grant par le pais qui gaste
tous les fruiz et biens de la contree»].
Fig. 37 - Il peculiare brano riguardante le tempeste che sarebbero suscitate dalla pratica delle arti
negromantiche presso il Lago di Pilato, dal Paradiso della Regina Sibilla di Antoine de la Sale
(manoscritto n. 0653 (0924), Bibliothèque du Château (Musée Condé), Chantilly, folium 4v)
47
Dunque, troviamo che l'effettuazione di pratiche negromantiche presso il
Lago di Pilato parrebbe scatenare qualche genere di forza sconosciuta:
violente tempeste si leverebbero, e si verificherebbero devastazioni nei
territori circostanti.
Devastazioni che procedono dal Lago sono anche menzionate nelle pagine
del Dittamondo, un poema scritto da Fazio degli Uberti e risalente al
quattordicesimo secolo. In un brano assai noto, il poeta toscano descrive gli
effetti prodotti dalle attività negromantiche eseguite presso il Lago:
«La fama qui non vo’ rimagna nuda - del monte di pillato, dov’è il lago che si guarda l'estate a muda a muda - però che qua s’intende in Simon
mago - per sagrar il suo libro in su monta - onde tempesta poi con grande
smago - secondo che per quei di là si conta».
Fig. 38 - I versi di Fazio degli Uberti relativi al Lago di Pilato tratti dal suo Dittamondo (Bibliothèque
Nationale de France, Département des Manuscrits, Italien 81, folium 95v)
E in un manoscritto quattrocentesco contenente lo stesso Dittamondo
(Bibliothèque Nationale de France, Département des Manuscrits, Italien 81,
folium 110r), il copista Andrea Morena da Lodi, nel commentare un
passaggio relativo a Norcia, al suo territorio e al suo piccolo ruscello
Torbidone, aggiunge la seguente annotazione:
48
«Questo fiumicello nasce sopra Norcia, quasi due miglia, e chiamasi
Torbedone, e quelli da Norcia credono abbia il suo origine dal lago ove
vanno a sacrare i libri suoi quelli che usano arte di nigromantia; però che
[danno?] che surge e a loro infelice o di morbo o di carestia o de altro
infortunio. E poi questo cotale fiume mette capo nella Negra (Nera) nove
miglia longi da Norcia».
Fig. 39 - L'annotazione vergata da Andrea Morena a proposito del Lago di Pilato menzionato nel
Dittamondo di Fazio degli Uberti (Bibliothèque Nationale de France, Département des Manuscrits, Italien
81, folium 110r)
E questa sinistra tradizione leggendaria a proposito di tempeste e terre
devastate prosegue nei secoli successivi. Nel Pellegrinaggio di Arnold von
Harff, vergato tra il 1496 e il 1499, il cavaliere tedesco scrive le seguenti
parole:
«Nei tempi antichi, quando l'arte della negromanzia era diffusa nel mondo,
alcuni frequentavano questo altare e si votavano agli spiriti malvagi,
praticando qui la negromanzia. Quando ciò accadeva, le acque di questo
piccolo lago si innalzavano in furiosi vapori, per poi ricadere nuovamente
con un rombo come di tuono, inondando la circostante landa per tre o
quattro miglia, così da impedire il raccolto quell'anno».
[Nel testo originale tedesco: «Vurtzijden doe die kunst der nigermancien in
der werlt vmb gynck, doe lieffen dese seluigen off desen altair ind
beswoeren dae den boesen geyst, drijuende dae yere nigremancie. Item as
dat dan geschiet was hoyff sich off dat wasser des cleynen sees in eynen
wolcken ind quam dan weder her aeff mit eyme donresslage,
verdrenckende dat gantze lant dae vmbtrijnt drij off vier mylen, so dat dat
jair geyn korn dae en woyss»].
49
Fig. 40 - Le tempeste suscitate presso il Lago di Norcia dall'edizione a stampa del Die Pilgerfahrt des
Ritters Arnold von Harff pubblicata da E. Von Groote (Colonia, 1860, p. 38)
Cinquanta anni dopo, il frate domenicano Leandro Alberti, nell'opera
Descrittione di tutta l'Italia, fornisce ulteriori dettagli sull'argomento:
«... [il] Lago di Norsa, nel quale dicono gli ignoranti nottare i diavoli,
imperoché continouamente se veggiono salire et abassare l'acque di quello
in tal maniera che fanno maravegliare ciascuno che le guarda, parendogli
cosa sopranaturale, non intendendo la cagione di tal movimento [...] Ben è
vero che cercando diligentemente la cagione de'l detto movimento de le
acque, chiaramente conobbino esser i venti, i quali continouamente
conducevano l'acque per il stretto Lago intorniato da alte ruppi, et così
conducendole, se veddono mo alzate et poi abbassate, con gran maraviglia
di che le vede».
Potremmo considerare come queste tempeste e sollevamenti d'acque e
devastazioni sembrino rappresentare il medesimo genere di turbolenze, che
include anche grandini, vapori e fiamme, di cui troviamo descrizione
attraverso la lunga, millenaria tradizione che concerne Ponzio Pilato e i
suoi molti irrequieti luoghi di sepoltura, così come abbiamo avuto modo di
conoscerli approfonditamente nel nostro precedente articolo Una leggenda
50
per un prefetto romano: i Laghi di Ponzio Pilato. Si tratta certamente di
un'osservazione veritiera, eppure solo parzialmente, perché una demoniaca
agitazione pare infestare quel Lago indipendentemente dal racconto
leggendario addizionale che riguarda il prefetto romano. Come avremo
modo di verificare nella seguente investigazione.
Fig. 41 - I passaggi sul sollevamento delle acque presso il Lago di Norcia dalla Descrittione di tutta
l'Italia di Leandro Alberti (p. 248 e 249)
Fig. 42 - Turbolenze nel fiume Rodano in occasione dell'immersione del corpo di Pilato (Chronica de
duabus civitatibus di Ottone di Frisinga, manoscritto Car. C. 33 (247), Zentralbibliothek, Zurigo, folium
42r)
51
Il più antico riferimento all'agitazione delle acque nelle quali Pilato viene
gettato è rinvenibile nella Chronica de duabus civitatibus, scritta da Ottone
di Frisinga nella prima metà del dodicesimo secolo: «Egli [Pilato] fu
inviato in esilio a Vienne, città della Gallia, dove si dice che egli sia stato
annegato nel Rodano. E proprio per questo la gente del luogo sostiene che
le navi che transitano in quella zona corrano dei pericoli» (nel testo
originale latino: «Eum apud Viennam urbem Galliae in exilium trusum ac
post in Rhodano mersum dicant. Unde usque hodie naves ibi periclitari ab
incolis affirmantur»).
Il periglioso carattere del luogo di sepoltura di Ponzio Pilato nel fiume
Rodano è ulteriormente illustrato in un passaggio del poema De Vita Pilati,
databile al dodicesimo secolo:
Fig. 43 - Demoniache turbolenze nel fiume Rodano (De Vita Pilati, manoscritto LIP 51, Università di
Leida, folium 117v)
«Fu deciso che il suo corpo non dovesse essere seppellito - ma che dovesse
invece essere allontanato e gettato - nel Rodano, per essere occultato dalle
correnti del fiume - Ma in quel luogo si levarono agitazioni rabbiose - tali
che ogni nave che avesse inteso transitare in quel punto - subito veniva
catturata dal gorgo e affondava nell'abisso».
[Nel testo originale latino: «Hunc exstinctum non miserunt tumulari - sed
procul a patria jusserunt praecipitari - in Rhodanum, latuitque diu sub
fluminis unda - Sed huic mansit rabies quaedam furibunda - nam naves
52
quaecunque locum transire volebant - gurgitis extemplo pereuntes ima
petebant»].
Come narrato nella De Vita Pilati, per rendere di nuovo sicuro quel luogo la
gente del luogo decide di trasferire altrove quel corpo così turbolento. E
così il cadavere di Pilato viene gettato all'interno di un pozzo infernale
situato tra le Alpi, «dal quale, così come si ricorda, terrificanti fiamme
visibilmente si levano - essi presero Pilato e lo precipitarono in esso affinché fosse consumato dalle fiamme dell'Inferno, così come egli
meritava. - Spesso è lì possibile udire le voci dei dèmoni» (nel testo
originale latino: «horrifer et flammas a se proferre probatur - In quem
Pilatum traxerunt praecipitandum - atque gehennali, sicut decet, igne
cremandum. Vox ibi multotiens auditur daemoniorum»). Quel luogo,
dunque, non è né quieto, né tantomeno sicuro, e la ragione di tanta
agitazione sono proprio i demoni.
Fig. 44 - Un luogo di sepoltura tra le Alpi dal quale erompono fiamme infernali (De Vita Pilati,
manoscritto LIP 51, Università di Leida, folium 117v)
Questa medesima agitazione, questa volta attribuita a qualche sorta di
diabolica tempesta, è rilevabile anche presso l'abisso, situato non lontano
da Vienne, che viene menzionato da Stefano di Borbone nel suo Tractatus
de diversis materiis predicabilibus, risalente al tredicesimo secolo: «E lì,
non distante da quei luoghi, su di una montagna prossima a Saint Chamon,
egli [Pilato] fu gettato in una profonda cavità; dalla quale si racconta che,
quando vi venga gettata dentro una pietra, fuoriescano vapori, e vengano
suscitate tempeste» (nel testo originale latino: «et ibi prope in monte supra
Saint Chamon in puteo projectus; ubi, quando lapis proicitur, fumus inde
egredi dicitur, de quo tempestas concitatur»).
53
Fig. 45 - Il brano relativo al luogo di sepoltura di Pilato tratto dal Tractatus de diversis materiis
predicabilibus di Stefano di Borbone (manoscritto Latin 15970, Bibliothèque Nationale de France, folium
180r)
Ulteriori tempeste sono menzionate in altre opere medievali che narrano
della maledizione di Ponzio Pilato. In un anonimo commentario
duecentesco allo Speculum regum, scritto un secolo prima da Goffredo da
Viterbo, troviamo le seguenti parole:
«Essendo stato trovato morto, [Pilato] fu gettato nel Tevere, ma i demoni,
usando il suo corpo, posero in pericolo la città. Per questa ragione, per
ordine di Tiberio il suo cadavere fu recuperato e condotto presso Amona
[Vienne], e lì gettato nel Rodano. Ma anche lì i demoni sollevarono grandi
tempeste e grandini attorno al suo cadavere [...] Poi la gente del luogo
trasse dal Rodano il corpo di Pilato, e lo gettarono in una palude non
lontano da Losanna, in prossimità di Lucerna. E pare certo che, ogni volta
che qualcuno getta un oggetto, per quanto piccolo, nella palude [o pozzo],
subito tempeste, grandini, folgori e tuoni si levano sulla regione».
[Nel testo originale latino: «Mortuus repertus in Tiberim proiectus, et
demones cum corpore suo multa pericula intulerunt in patria. Quare a
Tiberi levatus et iuxta Amonam [Viennam] in Rodanum ductus est et
projectus; ubi similiter demones multas tempestates et grandines iuxta
corpus suum fecerunt [...] Ideo patrioti experti de corpore Pilati, de Rodano
receperunt et in montanis circa Losoniam prope Lucernam in quandam
paludem proiecerunt. Et certum est, quod quandocumque aliquis homo
aliquid quantumcumque parvum mittit in paludem [foveam], tunc in
continenti fiunt tempestates, grandines, fulgura et tonitrua»].
54
Fig. 46 - Inquieti luoghi di sepoltura per Ponzio Pilato dai manoscritti contenenti lo Speculum regum di
Goffredo da Viterbo (da Monumenta Germaniae Historica, Tomo XXII Scriptorum, Hannover 1872, p.
71, trascrizione di George Waitz)
Il mito relativo alle tempeste che i demoni solleverebbero nell'accogliere il
cadavere maledetto del prefetto è infine codificato nella Legenda Aurea,
scritta da Jacopo da Varagine alla fine del tredicesimo secolo:
«Il suo corpo fu legato a un grosso peso, e poi fu gettato nel Tevere. Ma
spiriti maligni ed esecrandi, gioendo di quel cadavere maligno ed
esecrando, cominciarono a suscitare straordinarie ondate, trasportandolo
ora in acqua, ora nell'aria, e generando nell'aria fulmini, tempeste, tuoni e
grandini in modo così terrificante, che tutti furono presi da terribile paura».
[Nel testo originale latino: «Moli igitur ingenti alligatur et in Tyberim
flumen immergitur. Spiritus vero maligni et sordidi corpori maligno et
sordido congaudentes et nunc in aquis nunc in aere rapientes mirabiles
indundationes in aquis movebant et fulgura, tempestates, tonitrua et
grandines in aere terribiliter generabant, ita ut cuncti timore horribili
tenerentur»].
Secondo la Legenda Aurea, dopo un secondo tuffo nel Rodano e
un'ulteriore sepoltura nel territorio di Losanna, i resti mortali di Ponzio
Pilato avrebbero terminato il proprio agghiacciante viaggio in un abisso
perduto tra le montagne, forse le Alpi, «presso il quale ancora oggi,
secondo quanto riferito da alcuni, è possibile osservare il ribollente
manifestarsi di illusioni create dai demoni» (nel testo originale latino: «Qui
cum nimis praefatis infestationibus gravarentur, ipsam a se removerunt et
in quodam puteo montibus circumsepto immerserunt, ubi adhuc relatione
quorundam quaedam dyabolicae machinationes ebullire videntur»).
55
Fig. 47 - I luoghi di sepoltura di Ponzio Pilato dalla Legenda Aurea (manoscritto NAL 1747, Bibliothèque
Nationale de France, folium 93v)
Potremmo essere tentati di interpretare le turbolenze del Lago di Pilato,
così come narrate da Antoine de la Sale, come una diretta eredità dell'antica
tradizione che concerne il luogo di sepoltura del prefetto romano. Ma non è
questo il caso.
È un dato di fatto come la narrazione relativa a Ponzio Pilato, caratterizzata
da specifici luoghi di sepoltura sparsi per l'Europa, si sia semplicemente
imbattuta in un luogo assai adatto, in Italia, presso il quale radicarsi. Perché
il Lago posto all'interno del circo glaciale del Monte Vettore era già segnato
dalle proprie liquide agitazioni, ben prima che il leggendario racconto di
Pilato trovasse dimora in quelle acque.
Abbiamo già avuto modo di vedere come il Reductorium Morale di Petrus
Berchorius, scritto nel quattordicesimo secolo, fornisca un riferimento al
sinistro Lago situato tra i Monti Sibillini, senza menzionare affatto il nome
di Ponzio Pilato. E la demoniaca agitazione delle acque, assieme alle
devastanti tempeste, risulta essere già presente, nel raccapricciante contesto
di un sacrificio rituale:
«Quella città [Norcia], ogni anno, invia un singolo uomo, vivo, oltre le
mura che circondano il lago, a modo di tributo per i dèmoni, i quali subito e
56
visibilmente lo smembrano e lo divorano; e dicono che se la città non
facesse questo, il suo territorio sarebbe devastato dalle tempeste».
[Nel testo originale latino: «Civitas illa omni anno unum hominem vivum
pro tributo infra ambitum murorum iuxta lacum ad daemones mittunt, qui
statim visibiliter illum hominem lacerant et consumunt, quod (ut aiunt) si
civitas non facet, patria tempestatibus deperiret»].
Fig. 48 - La demoniaca agitazione delle acque del Lago di Norcia così come è descritta nel Reductorium
Morale di Petrus Berchorius (Bibliothèque Nationale de France, Département des Manuscrits, Latin
16786, folium 301v)
Torneremo ancora sulla macabra descrizione fornita da Berchorius in un
futuro articolo; per il momento, appare manifestamente come il nostro
Lago sia tanto inquieto quanto i molti luoghi di sepoltura assegnati a
Ponzio Pilato dalla sua antica leggenda. Nondimeno, qui l'inquietudine
delle acque non necessita della presenza di alcun prefetto romano, perché
questo piccolo Lago italiano è già infestato per proprio conto, ed è solito
generare le proprie tempeste, nonché le proprie devastazioni del territorio
circostanze.
Questo è ciò che accade presso il Lago posto tra i Monti Sibillini. Forse
qualcosa del genere ha luogo anche presso la Grotta della Sibilla?
In apparenza, sembrerebbe che nessun riferimento a una tale sorta di
turbolenze sia stato mai vergato da nessun autore in relazione alla caverna
all'interno della quale dimorerebbe la leggendaria Sibilla Appenninica.
Invece, abbiamo una citazione. Andiamo a vederla nel prossimo paragrafo.
57
5.2 Devastazione che si diffonde dalla Grotta
Esiste una tradizione leggendaria che racconti di tempeste e devastanti
uragani che si produrrebbero presso la Grotta della Sibilla Appenninica,
posta tra i Monti Sibillini?
Nel precedente paragrafo, abbiamo visto come questo sia proprio il caso
del Lago di Pilato, così come attestato da un'antica tradizione. Eppure, se
rivolgiamo il nostro sguardo verso la famosa caverna, non troviamo alcun
riferimento a eventi di questo genere né nel romanzo di Andrea da
Barberino Guerrin Meschino, né nel Paradiso della Regina Sibilla di
Antoine de la Sale.
Nondimeno, siamo in grado di reperire, effettivamente, un riferimento a
uragani e tempeste nel contesto di un'opera più tarda che menziona proprio
la Grotta situata sulla vetta del Monte Sibilla.
Andiamo ad aprire nuovamente le pagine dell'opera di Crespeto, De la
hayne de Satan et malins esprist contro l'homme, un volume pubblicato a
Parigi nel 1590, che tratta estensivamente della Sibilla di Norcia:
«Il Papa fa attentamente sorvegliare la detta caverna dove si trova la citata
Sibilla, al fine di impedire ogni comunicazione con essa, e dunque non ci
sono che quei maghi in grado di rendersi invisibili che possano entrare in
contatto con essa; perché quando essa è interpellata, sia da maghi che da
altri, le tempeste e i fulmini si abbattono orribilmente su tutta la contrada».
[Nel testo originale francese: «Le Pape fait soigneusement garder la ditte
carriere où est la ditte Sibylle, pour empescher la communication avec elle,
& n'y a que ceux qui sont magiciens, & y peuvent invisiblement entrer qui
la puissent aborder, à cause que quand on communique avec elle, soyt
magicien ou autre, les tempestes & foudres s'esmouvent horriblement par
tout le païs»].
58
Fig. 49 - Il passaggio relativo alle tempeste che si leverebbero dalla Grotta della Sibilla tratto da De la
hayne de Satan et malins esprist contro l'homme, di Pierre Crespet (Crespetus), pubblicato a Parigi nel
1590 (Livre I, Discours VI, p. 93-94)
Dunque, i medesimi eventi leggendari che si verificherebbero presso i
Laghi di Pilato risultano caratterizzare anche il mito sibillino. La pratica
della negromanzia e i negromanti sembrano in grado di suscitare immense
potenze dalle viscere della Grotta della Sibilla, in modo tale che il territorio
circostante viene posto a rischio dai devastanti effetti conseguenti alle visite
proibite a questo sito.
E Crespeto aggiunge anche un ulteriore riferimento, relativo alla qualità
magica, divina di tali venti e tempeste, citando, egli dice, da «Palingenio,
un poeta italiano»:
«Gli Dèi celesti o forse le stesse stelle inviano questi venti
Spesso accade infatti che un negromante, in cerca di un tesoro nascosto
sottoterra,
o desideroso di consacrare un proprio libro,
oppure tentando con un magico rituale di soggiogare una divinità,
ho udito che i venti allora si levino, e improvvise tempeste si scatenino».
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[Nel testo originale latino:
«Hos ventos vel Dii aerii vel sydera mittunt,
Sepae etenim cum thesauros tellure latentes,
Vult auferre Magus vel consecrare libellum,
Vel magico ritu quemquam sibi subdere divum,
Audivi exortum ventum, subitamque procellam»].
Avremo modo di vedere come questo soprannaturale carattere dei venti,
che Crespeto trae da un'opera cinquecentesca, lo Zodiacus Vitae di
Marcello Palingenio Stellato, possa essere considerato come un elemento
importante del nucleo leggendario che pertiene sia alla Grotta della Sibilla
che ai Laghi di Pilato. Ma stiamo precorrendo i tempi.
Fig. 50 - Venti di origine soprannaturale dallo Zodiacus Vitae di Marcello Palingenio Stellato (edizione
stampata a Basilea, 1537, p. 357)
Per il momento, limitiamoci ad annotare come la Grotta della Sibilla abbia
anch'essa le proprie tempeste, significativamente generate dall'azione dei
negromanti, esattamente come si verificherebbe, secondo una ben
consolidata tradizione, presso i Laghi di Pilato.
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Un altro tratto condiviso. Un altro aspetto simile, il terzo, che i due siti
presentano in comune. Nella terra incantata dove si innalzano i bastioni dei
Monti Sibillini.
6. Sulle tracce del nucleo leggendario
Nella nostra ricerca del nucleo più vero delle leggende che riguardano la
Grotta della Sibilla e i Laghi di Pilato, siamo giunti a un ulteriore risultato
di rilevante significato. Un risultato che non è stato mai debitamente posto
in evidenza in nessuna precedente ricerca.
Entrambi i siti, posti tra gli stessi contrafforti dei Monti Sibillini, in Italia,
distanti solamente pochi chilometri l'uno dall'altro, condividono alcune
interessanti caratteristiche, in particolare almeno tre specifici aspetti.
Primo: ambedue i siti erano ritenuti costituire la dimora di leggendarie
presenze demoniache.
Secondo: ambedue i siti videro l'effettuazione di rituali negromantici, che
comprendevano anche l'evocazione di quei favolosi demoni locali.
E, terzo: in ambedue i siti, la turbolenza suscitata dai negromanti era
ritenuta tale da potere scatenare tempeste e uragani, con effetti devastanti
sul territorio circostante.
Tutto ciò costituisce un indizio particolarmente significativo in merito al
fatto che una qualche sorta di origine comune e di carattere condiviso
debbano trovarsi alla base di entrambe le leggende.
Come abbiamo già avuto modo di notare all'inizio del presente articolo, le
due leggende che narrano della Grotta della Sibilla e del Lago di Pilato
sono comunemente considerate come miti differenti e distinti, i quali, per
una curiosa casualità, si trovano a convivere a una distanza minima, in
effetti pochi chilometri, l'uno dall'altro. E infatti, a una prima osservazione
nessuna relazione parrebbe sussistere tra il racconto riguardante una maga e
profetessa sibillina, la cui dimora è collocata nell'oscurità sinistra di una
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Grotta, e la favola di un Lago che conterrebbe il corpo morto di Ponzio
Pilato, assieme a legioni di demoni.
Fig. 51 - Monte Sibilla
Ma abbiamo già potuto chiarire come quella Sibilla non costituisca che la
filiazione e la locale versione della leggendaria Sebile, un personaggio
tipico che compare in molti poemi e romanzi cavallereschi appartenti al
Ciclo di Bretagna, amica e compagna di Morgana la Fata, con il relativo
apparato fatto di castelli nascosti e cavalieri imprigionati; e come Ponzio
Pilato disponga già della propria bimillenaria leggenda, nonché di vari
luoghi di sepoltura sparsi per l'Europa, tali da rendere questo specifico
Lago la mera versione italiana di questa leggenda, e un adattamento locale
della stessa.
Quando ci disponiamo a rimuovere i due strati leggendari addizionali, e
dunque il livello concernente la Sibilla Appenninica e il livello relativo a
Ponzio Pilato, cominciamo a discernere i tratti comuni. Le due leggende
iniziano a mostrare di condividere gli stessi aspetti fondamentali: una
mitica presenza demoniaca; l'effettuazione di rituali negromantici; i venti,
le tempeste, le devastazioni.
Cominciamo, in effetti, a scorgere il nucleo comune, originario delle due
leggende. C'è qualcosa, nella Grotta e nel Lago, che non ha nulla a che fare
con la Sibilla Appenninica, né con Ponzio Pilato. C'è qualcosa di più
profondo. C'è qualcosa di più antico.
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Fig. 52 - I Laghi di Pilato
Ci stiamo avvicinando sempre di più al cuore più vero delle leggende che
abitano i Monti Sibillini, in Italia. Eppure, il nostro viaggio in direzione del
mistero che giace all'interno di quel nucleo non è ancora finito.
Dopo avere evidenziato i tre aspetti condivisi già descritti, dobbiamo ora
evidenziare un quarto tratto comune, che ancora non abbiamo mai
menzionato.
È il punto di accesso. L'accesso oltremondano al regno infero.
Come avremo modo di vedere nella prossima serie di articoli.
Michele Sanvico
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