Paola Di Nicola, Dipartimento di Scienze Relazione tenuta nell’ambito del Convegno
dell’Educazione, Università degli Studi di Nazionale “Separazioni difficili”, ULSS20Verona
Comune di Verona, 5-6 novembre 2004
Famiglia e famiglie
Paola Di Nicola
1.Introduzione
L’attenzione costante con la quale sono stati seguiti, monitorati i mutamenti nelle strutture
familiari ha spesso fatto passare in secondo piano il cambiamento che ha investito le relazioni
familiari. Tradizionalmente, la demografia e la sociologia hanno studiato le strutture familiari,
relativamente facili da rilevare, oggetto di rilevazioni periodiche dell’ISTAT: si pensi ai censimenti
della popolazione, alle indagini multiscopo.
Sappiamo, dunque, che dal punto di vista strutturale le famiglie italiane diventano sempre più
numerose, ma anche sempre più piccole: le strutture si semplificano, anche se si moltiplicano le
tipologie. In Italia ci si sposa, oggi, di meno e sempre più tardi, si generano meno figli e anche in
questo caso sempre più tardi; i figli tendono a rimanere in casa con i genitori ben oltre l’avvenuta
emancipazione sociale; gli anziani, anche se soli, tendono a fare nucleo familiare a sé e, stante
l’allungamento della vita media, per lassi di tempo sempre più lunghi (Di Nicola 1999;
Barbagli,Saraceno 1997; Donati, Di Nicola 2002; Rossi 2001).
Dal punto di vista strutturale, quindi, la realtà familiare tende a polarizzarsi su base
generazionale: da una parte famiglie composte da anziani soli o ancora in coppia, dall’altra parte
adulti e giovani che danno origine a famiglie nucleari classiche (la coppia coniugale con figli).
Ambedue queste forme di coabitazione tendono ad occupare nelle biografie di vita individuale archi
temporali sempre più lunghi: è come se i tempi della famiglia si fossero dilatati e rallentati.
Tuttavia, all’interno di quella che sembra una dilatazione lineare ed un rallentamento che tende alla
stasi, elementi di discontinuità, fratture, interruzioni e riprese dei tempi sono da ricondurre ad un più
silenzioso, meno visibile e per molti aspetti meno studiato mutamento sociale: il cambiamento nelle
relazioni familiari.
Cambiano sotto il profilo sociale e generazionale coloro che vivono sotto lo stesso tetto, ma
cambiamo anche i modi, i rapporti, i legami che uniscono i soggetti che vivono sotto lo stesso tetto.
Si è modificato il senso, il valore, il significato che gli attori sociali annettono alle relazioni
familiari, sono cambiate le motivazioni e le aspettative che sono alla base di scelte importanti quali
sposarsi, uscire di casa, generare figli.
Anche se spesso si sottolinea la necessità di riferirsi alla famiglia al plurale, perché – si dice –
nascono nuove strutture familiari (le convivenze, le famiglie ricostituite, i nuclei monogenitoriali)
(Zanatta 1997), in realtà la pluralizzazione delle forme familiari riguarda più le relazioni familiari,
che non le strutture. Anche nel passato vi erano – e non erano poche! – le famiglie ricostituite e le
monogenitoriali: il “mondo che abbiamo perduto”, per usare un’espressione di P. Laslett, era
popolato di vedove e vedovi, di matrigne e patrigni, di figliastri e fratellastri. Eppure, nella
percezione di senso comune, la famiglia era una: la famiglia, appunto.
Un sistema, un’organizzazione di vita retta da regole e norme condivise e sancite-legittimante
dall’esterno (dalla società, dal diritto, dalla comunità di appartenenza, dalle consuetudini), che si
imponevano ad individui, che poco avevano da scegliere e molto da accettare, se non subire.
Ambito di vita percepito come naturale (nel senso di dato, di un qualcosa che l’individuo si trovava
già fatto e costruito), come “naturale” meccanismo di regolazione dei rapporti tra famiglie
(parentele), tra i sessi e tra le generazioni, che richiedeva il sacrificio della libertà, in cambio di
sicurezza. Sicurezza, data non tanto dal fatto che la scelta familiare fosse irreversibile (gli alti tassi
di mortalità, per esempio, scompaginavano frequentemente le piccole sicurezze dei focolari
domestici!), quanto dal fatto che a nessuno si chiedeva di costruire, inventare, negoziare le regole
del vivere sotto lo stesso tetto. Anche nel passato vi erano molteplici forme familiari, ma ognuno
viveva la sua famiglia come l’unica possibile.
La famiglia come istituzione era un contenitore che accoglieva al suo interno uomini e donne,
generazioni diverse scandendo e segnando i ritmi e le fasi delle biografie individuali.
Oggi sono le biografie individuali, i ritmi e le fasi dei corsi di vita di uomini e donne in carne ed
ossa che scandiscono i ritmi e le fasi del ciclo di vita delle famiglie (Donati, Di Nicola 2002).
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dell’Educazione, Università degli Studi di Nazionale “Separazioni difficili”, ULSS20Verona
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In questo spostamento di equilibri e priorità tra individuo e famiglia si è giocato e si gioca
tutt’ora il cambiamento nelle relazioni familiari; in realtà è questo spostamento che porta alla
necessità di riferirsi alla famiglia al plurale (Donati 2001).
2. Privatizzazione e soggettivizzazione delle relazioni familiari: il codice “elettivo”
Privatizzazione, de-istituzionalizzazione, de-giurisdizzazione delle relazioni familiari,
individualizzazione nelle relazioni familiari sono alcune delle espressioni con le quali si è cercato di
comprendere, spiegare e sintetizzare i più rilevanti cambiamenti della famiglia nella società
contemporanea. Sono espressioni che tutte suggeriscono l’esistenza di un lento spostamento della
famiglia da istituzione a gruppo, da sottosistema sociale specializzato nell’assolvimento di funzioni
socialmente rilevanti ad affare “privato”, unità di affetti. Spostamento perfettamente in linea con
un’organizzazione sociale che non ha più bisogno di una famiglia, avendone assorbite le funzioni
solidaristiche, educative, assistenziali, oltre che economiche (Di Nicola 1998).
Famiglie, dunque che sono ed agiscono come unità degli affetti e che si muovono
prevalentemente nell’area del consumo. Famiglie – come diceva C. Lasch – rifugio in un mondo
senza cuore. È’ questa una lettura della famiglia che mostra tutta la sua fallacia nel momento in cui
le famiglie smettono o fanno fatica a mediare il rapporto individuo-società, quando smettono di
essere solidali e di produrre legami sociali, quando incontrano difficoltà crescenti a svolgere il
proprio lavoro di accudimento, di cura in senso ampio.
La centralità sostanziale della famiglia – al di là e al di sotto di una sua immagine prevalente di
legame effimero, leggero, liquido come direbbe Bauman - nulla toglie al fatto che comunque oggi il
fare famiglia richiede agli attori sociali elevati investimenti, dal momento che quella che un tempo
era considerata fonte per eccellenza di sicurezza e tranquillità, è diventata per molti aspetti fonte di
stress: di insicurezza, di incertezza, di vulnerabilità. Il matrimonio non è certamente più per la vita;
forti sono le resistenze a contrarre legami impegnativi, come una relazione stabile di coppia; essere
sposati, avere figli è spesso causa di povertà, di esposizione a maggiori rischi sociali.
Questo senso crescente di incertezza, insicurezza e vulnerabilità riguarda sia la relazione
coniugale che quella di filiazione, ma entro una cornice sociale più ampia che si può definire
“società del rischio” e della scelta.
Alle direttive tradizionali che contenevano restrizioni rigorose nell’agire, se non veri e propri
divieti, si è sostituita la densità dei regolamenti delle società moderne, che impongono al cittadino
di fare per poter fare valere i suoi diritti.
Semplificando, mentre nella società tradizionale si nasceva con determinati vantaggi – per esempio di ceto o di
religione -, per ottenere i nuovi vantaggi bisogna fare qualcosa, impegnarsi attivamente. Qui i vantaggi vanno
conquistati, bisogna sapersi imporre sulla concorrenza per ottenere risorse limitate, e non una volta, ma ogni santo
giorno.
La biografia normale si trasforma così in «biografia della scelta», in «biografia riflessiva», in «biografia del fai da
te». Questo non comporta necessariamente né una scelta, né un successo. La biografia del fai da te è al tempo stesso una
«biografia a rischio», anzi una «biografia funambolica», è – in parte palesemente, in parte celatamente – uno stato di
pericolo permanente. Spesso la facciata del benessere, del consumo, dello sfarzo ci impedisce di vedere quanto il
baratro sia prossimo. Il lavoro sbagliato, il settore sbagliato, e, inoltre, le infelici spirali private della separazione, della
malattia, della perdita della casa – che sfortuna, si dice dopo. Nei casi estremi, viene fuori apertamente ciò che
sotterraneamente si sapeva già: la biografia del fai da te può degenerare molto rapidamente in una biografia del
fallimento. Al posto dei legami predisposti naturalmente – spesso forzati – subentra il principio del «si vedrà» (Beck,
2000, p.6).
Come dunque dice Beck, per ottenere nuovi vantaggi bisogna fare qualcosa, impegnarsi
attivamente e non una volta, ma ogni santo giorno. Questa necessità di impegnarsi attivamente
diventa l’imperativo che regola le relazioni affettive tra uomo e donna, ma non perché il matrimonio
non è più per la vita. Separazioni e divorzi sono la conseguenza, non la causa di questa necessità di
impegno attivo. Dal momento che, oggi, uomini e donne non sono più legati – dentro il matrimonio
– da forti vincoli di dipendenza reciproca, la relazione coniugale non solo deve essere costruita
giorno per giorno – e questa è l’altra faccia del processo di de-istituzionalizzazione – ma deve
essere confermata e riconfermata giorno per giorno, in quanto nulla tiene più unita la coppia se non
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il desiderio-volontà di stare insieme, le reciproche aspettative di autorealizzazione e affermazione
del sé.
Le regole si “soggetivizzano”: diventano stili relazionali, stili di vita distintivi delle singole
coppie. Di qui la necessità di parlare di famiglia al plurale! Allora forte è la concorrenza di altri
potenziali partner che offrono migliori - o forse solo altre! - possibilità di autorealizzazione e di
felicità. Nessuno vuole più essere “custode di qualcuno”, anche perché la nostra società stigmatizza
chi è dipendente, chi ha bisogno di legami (Bauman 2002a, 2002b; Di Nicola 2002b)). Come dice
Bauman, nella società complessa non vogliamo più essere “legati a”, ma siamo e vogliamo essere
“connessi”, pronti a staccare quando il legame si fa invischiante, quando i costi superano i vantaggi,
quando sentiamo o temiamo di perdere il controllo del legame (Bauman 2004). Si preferisce la
relazione “pura”, simmetrica, che dura sino a quando non esaurisce tutto il suo potenziale di
gratificazione per l’attore sociale (Giddens 1995). Alla asetticità della relazione pura, così come
descritta da A.Giddens, si contrappone la carnalità, la promiscuità di vita dei legami sociali
rimpianti da Bauman.
La relazione affettiva, quindi, non è più solo fonte di sicurezza e di gratificazioni, ma diventa
essa stessa fonte di stress: richiede un intenso e quotidiano lavoro di “manutenzione”, senza mai
avere la certezza di stare facendo un buon lavoro.
Un’altra citazione ben esemplifica la condizione di donne ed uomini di fronte alla scelta
procreativa e ci introduce al tema delle relazioni di filiazione nella società complessa..
“Volevo solo una cosa, rimanere incinta per caso. L’inaspettato lato negativo della vita moderna consiste nel fatto
che abbiamo sconfitto il destino. Ci si aspetta che noi decidiamo su molte cose, quasi su tutto […] In un’altra epoca,
avrei avuto dei figli nei miei vent’anni, quando ero sposata con Danny. Sarei diventata madre senza bisogno di
rifletterci su più di tanto. Senza dover soppesare le conseguenze” 1.
Diventare madre (e padre) riflettendo e soppesando le conseguenze: è questo il contesto sociale,
simbolico e normativo al cui interno si inscrive, oggi, la genitorialità nella società del benessere (Di
Nicola 2002a).
Prevale, anche in tema di genitorialità, un ordine individuale, che soggettivizza questa funzione:
che cosa fare e come fare in quanto genitore è qualcosa che è posto nelle mani e nei cuori –
parafrasando Beck – di coloro che si assumono tale onere, compiendo una libera scelta. L’elemento
che tuttavia merita una sottolineatura è dato dal fatto che anche questo processo di
individualizzazione e di soggettivazione della genitorialità è un processo strutturale, sociale e quindi
normativo. A livello generale, a livello sociale l’attore sociale “deve” scegliere se generare o non
generare, deve essere in grado di valutare le conseguenze che questa scelta comporta per la sua vita,
una volta che ha scelto se ne deve assumere tutte le conseguenze. È tanto forte questo imperativo
della scelta che oggi, chi diventasse madre e/o padre per caso o senza una forte consapevolezza
sarebbe giudicato improvvido, una persona superficiale, una persona “irresponsabile”. Questo
imperativo, questa regola ha delle forti ripercussioni sui modi in cui l’attore sociale assolve a questa
funzione soggettivizzata (Di Nicola 2002a). Partendo dalla regola che la maternità e la paternità
sono una scelta, le conseguenze sono esemplificabili nei termini seguenti:
- gli investimenti affettivi sui figli sono altissimi;
- le aspettative/attese nei loro confronti sono elevatissime, tanto più alte quanto più i figli sono
voluti, pianificati, desiderati e cercati;
- l’importanza del figlio – come simbolo dell’unico e ultimo legame indissolubile! – sarà tanto
più grande quanto più le altre relazioni sociali diventano contingenti e rischiose;
- il peso della responsabilità dell’avere generato è tanto più oneroso – e spesso fonte di timore –
quanto più forte è la consapevolezza di aver scelto per conto di un altro (il figlio);
- il senso di frustrazione, del “non farcela” sarà tanto più forte quanto più precocemente il
genitore realizza che “deve” socializzare il figlio all’autonomia, al saper fare e farcela da solo;
- il bisogno di conoscenza e di informazioni, di confronto con altri genitori e di condivisione sarà
tanto più elevato quanto più chiara è la consapevolezza che saperi “profani”, tradizione, affetto e/o
istinto non sono più guide adeguate ed efficienti in una società complessa, caratterizzata non tanto
dalla crisi dei valori, quanto dal pluralismo dei valori;
1
Citazione di M. Cunningham (A Home at the End of the World, 1991) di Beck ,2000. pp.12-13.
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- il bisogno di confronto e di sostegno sarò tanto più elevato nei casi in cui il genitore deve
affrontare una nuova transizione – ad esempio una separazione – rispetto alla quale non ha modelli
di riferimento a cui affidarsi.
3. Le relazioni familiari in tempi di incertezza
Fragilità, incertezza, insicurezza sono termini che sempre più frequentemente sono utilizzati per
dare il senso sia oggettivo (la reale dinamica delle relazioni familiari) che soggettivo (come gli
attori sociali vivono ed interpretano il loro essere oggi parti di una famiglia) dell’essere e fare
famiglia nell’era della dopo-modernità, della modernità riflessiva e/o della modernità liquida.
L’uso ormai pressoché d’obbligo del plurale – famiglie vs famiglia – sembra rimandare ad
un’esperienza di vita quotidiana che sfugge a qualsiasi norma e regola sociale, che non sia la
realizzazione di progetti di vita sempre più contingenti e contrassegnati da incertezza e discontinuità
(Beck 2000). All’interno di questi progetti di vita individuali il “fare famiglia” diventa una scelta
sempre più procrastinata nel tempo e sempre più improbabile; il “vivere in famiglia” una condizione
sempre più rischiosa oltre che ad elevata transitorietà (Beck, Beck-Gernsheim 1996). Tramonta per
i giovani il modello del matrimonio come sodalizio di due adulti che si scelgono, come impresa da
intraprendere, forte è la tendenza a rimanere agganciati alla sfera relazionale dei genitori, garanti di
quella base di sicurezza, anche materiale – ma non solo! – che aiuta ad affrontare un futuro i cui
contorni sono sempre più sfumati ed incerti. La relazione di coppia più che fonte di sicurezza e
rassicurazione è fonte di stress: si è chiamati all’onere e alla responsabilità di costruire, innovare,
reinventare la relazione coppia giorno dopo giorno.
Relazioni di coppia sempre più frequentemente instabili da una parte, relazioni genitori-figli
contrassegnate da incertezze e senso di inadeguatezza dall’altra. Alcuni autori parlano della
famiglia contemporanea come di un sogno che evochiamo per trovare un falso lenimento alle nostre
paure, alle nostre incertezze, alle nostre debolezze. Lenimento perché la famiglia evoca l’immagine
di un porto sicuro, di una nicchia affettiva calda e protettiva, “rifugio in un mondo senza cuore”;
falso perché la famiglia come legame, come espressione di una scelta compiuta sotto l’egida di
un’etica della responsabilità non può essere lenimento per chi ha fatto – spesso indotto dalle più
ampie dinamiche sociali - della logica della scelta, dell’economia del rischio e del superamento dei
legami sociali i pilastri sui quali appoggiare la propria biografia di vita.
Se le tecniche di negoziazione tra due soggetti che sentivano di avere almeno potenzialmente gli
stessi diritti e doveri potevano aiutare nel passato recente la coppia a trovare un modus vivendi, che
altro non era che la realizzazione di una relazione che voleva coniugare il massimo della libertà con
il massimo della sicurezza, oggi spesso la coppia non giunge ad alcuna forma di mediazionenegoziazione, preferendo la risoluzione del legame ad una costruzione discorsiva di una relazione,
attraverso il confronto e, a volte, attraverso il conflitto. In una società come la nostra – si dice – fatta
di relazioni sociali deboli, una rete sociale a maglia larga, anche le relazioni familiari si sono
allentate: i nodi sono più distanti e, soprattutto, legati più debolmente.
Nel rapporto genitori- figli, l’orientamento puerocentrico, che ancora vedeva il genitore nel ruolo
attivo e propositivo di chi aiuta, favorisce, asseconda i processi di crescita del figlio, ha conosciuto
una parziale revisione. Non nel senso, ovviamente, di un arretramento dell’interesse dell’adulto nei
confronti dei più piccoli, ma nella crescente incapacità, senso di inadeguatezza che i genitori
sperimentano nel quotidiano e faticoso lavoro di cura ed accudimento dei figli. Delegittimato il
modello impositivo, indebolito il modello maieutico, emerge un modello, uno stile relazionale che
oscilla tra compiacenza e complicità, distanziamento e paure ossessive, costruzione di regole
comuni e patteggiamento sulle regole.
4. Le sfide dell’incertezza
Indubbiamente oggi le relazioni familiari stanno vivendo una fase di profondo cambiamento, che
spesso viene letto ed interpretato come profonda crisi, anticamera di un superamento totale di
questo vecchio istituto che ancora etichettiamo come famiglia. Rispetto a tale linea interprativa sono
necessarie alcune puntualizzazioni, tese a mettere in evidenza quanto delle crescenti difficoltà che le
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famiglie incontrano siano dovute a meccanismi interni e quanto, invece, dipende dalle più ampie
dinamiche sociali e culturali.
Le crescenti difficoltà relazionali, sintetizzabili in una più marcata fragilità delle relazioni
coniugali e di coppia e in una diffusa percezione dell’elevata contingenza legata ai legami genitori
figli, trovano un loro terreno di coltura in un affievolimento dell’etica della responsabilità, in una
accentuazione delle spinte individualistiche e narcisiste. A tale proposito l’esplosione del “privato”,
come allargamento dello spazio relazionale al cui interno il soggetto sembra agire sempre più
spesso come legibus solutus, sembra offrire una significativa chiave di lettura per comprendere le
radici della crisi della famiglia. Ma è necessario evitare l’errore di generalizzare comportamenti
individuali indubbiamente presenti, ma per molti aspetti elitari (vale a dire tipici di alcuni gruppi) e,
soprattutto, enfatizzati da chi opera delle fortissime polarizzazioni-contrapposizioni, anche per
portare alla luce dinamiche reali, ma spesso ancora allo stato latente. Il fatto che ancora oggi il
vivere in famiglia, ed in particolare vivere in una famiglia composta dalla coppia coniugale con
figli, sia un’esperienza di vita attraverso la quale passa la maggior parte della popolazione, dimostra
che il tema-problema della crisi merita ben altro approfondimento, pena il rischio di etichettare – e
liquidare – come crisi quella che è una profonda morfogenesi delle relazioni familiari.
Fragilità, insicurezza e incertezza connesse alle relazioni familiari acquistano un significato
meno drammatico e problematico se le si connette alle più recenti dinamiche che caratterizzano la
modernità riflessiva. Vale a dire un sistema simbolico e culturale al cui interno l’attore sociale si
muove dovendo operare regolari e ricorrenti scelte, valutando sempre i pro ed i contro, le
conseguenze potenziali delle sue opzioni, affidandosi non più al sapere tradizionale, alle pratiche
routinizzate, ma al sapere “esperto”. In un contesto siffatto, l’attore sociale è chiamato ad un’azione
regolare di meta-riflessione su quello che fa o non fa nelle sue relazioni affettive, nei suoi legami
sociali (con l’altro sesso e con i suoi discendenti): l’attivazione, il mantenimento e la costruzione
delle relazioni familiari diventano azioni “consapevoli” che richiedono un elevato impegno
personale, tanto più alto quanto più le dinamiche sociali non “premiano” i comportamenti connessi
al fare e diventare famiglia. La mancanza di un quadro di riferimento all’azione chiaro e condiviso
(l’esistenza quindi di un contesto di insicurezza e incertezza) rende – è vero – le relazioni familiari
potenzialmente fragili, ma anche profondamente elettive e selettive: figlie di un’intenzionalità che
le riconferma quotidianamente. Si può affermare che sul versante interno delle relazioni familiari,
insicurezza e incertezza non sono in sé elementi di debolezza, ma possono diventare punti di forza,
nella misura in cui hanno liberato i legami familiari dai vincoli posti dalla routine, dalla pura
dipendenza reciproca (soprattutto nel legame di coppia), dall’ossequio a norme accettate
supinamente, più che condivise, ponendo la responsabilità del fare ed essere famiglia nelle “mani e
nei cuori” di chi decide di correre il rischio di entrare in un legame sociale (relazione di coppia) e di
intensificare il suo involucro relazionale generando figli, anche al limite dopo una prima esperienza
negativa.
Fragilità, insicurezza e incertezza sono, invece, punti di debolezza per la famiglia, quando da
terreno di “coltura” per una meta-riflessione consapevole sul fare ed essere famiglia, diventano la
cornice al cui interno si snoda la biografia di vita individuale, portando ad esasperazione la
contrapposizione tra i tempi della famiglia ed i tempi di quelle biografie “fai da te” che troppo
spesso possono trasformarsi in biografie del fallimento (Beck 2002; Bauman 2002a, 2002b). Da una
parte abbiamo i tempi lunghi della famiglia, che richiede un impegno a lunga scadenza e tempi
sempre più dilatati, dall’altra parte si attiva un diverso dinamismo nei tempi dei cicli di vita
individuale. Un progetto “procreativo” (la decisione di generare un figlio) necessita di un tempo
lungo: almeno la durata di una generazione, che oggi si stima nell’ordine di 30-32 anni; anche se la
relazione coniugale non è più per la vita, rimane il fatto che la vita di coppia ha potenzialmente una
durata di 45-50 anni. A questi allungamenti dei tempi che segnano e scandiscono la vita familiare,
fa da contraltare una crescente frammentarietà, discontinuità e per molti aspetti un accorciamento
dei tempi delle altre sfere di vita, in particolare di quella lavorativa. Il lavoro, condicio sine qua non
– almeno per la realtà italiana - per poter accedere ai tempi della famiglia, è raggiunto sempre più
tardi. E’ una condizione che, soprattutto nei primi anni, è contrassegnata da discontinuità cicliche
(contratti di formazione e lavoro rinnovabili) e ricorrenti (la flessibilità/precarietà sta diventando la
caratteristica di molte carriere lavorative). Oggi viene scardinato uno dei punti forti ai quali si
ancorava l’identità adulta, passaporto per l’assunzione di tutti gli altri ruoli adulti. E’ un processo di
scardinamento che porta insicurezza, incertezza e vulnerabilità nelle biografie di vita individuale,
che induce a restringere gli orizzonti del futuro, ad appiattire la maggior parte dei tempi della scelta
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sul presente, tutt’al più sul futuro prossimo. E’ un processo – quello dell’erosione della sicurezza
del lavoro – che indebolisce una delle aree più significative per lo sviluppo della solidarietà e della
coesione sociale affidata alla logica dei legami e che porta, sostanzialmente, a legittimare
comportamenti aggressivi e di forte competizione con gli altri. Si diffonde inoltre “La nuova
pragmatica delle relazioni interpersonali (il nuovo stile di «politica della vita» descritto con grande
convinzione da A.Giddens) che, pervasa di spirito consumistico, considera l’Altro una fonte
potenziale di esperienze gradevoli: per quanto possa essere efficace in altri ambiti, questa nuova
pragmatica non è in grado di generare legami durevoli e certamente non i legami che si presumono
durevoli e che sono trattati come tali. I legami da essa generati incorporano il principio del «fino a
nuovo avviso» e del «disimpegno discrezionale» e non promettono né la concessione né
l’acquisizione di diritti e obblighi” (Bauman 2002a). I legami sociali diventano quindi pastoie,
impedimenti, limiti (Di Nicola 2002b) all’azione di un soggetto al quale si chiede e dal quale ci si
aspetta la massima disponibilità a ricominciare da zero quando è necessario, a rimettersi in
discussione, a salpare “libero” verso altri lidi. I tempi della famiglia diventano “anacronistici” per
un attore sociale che deve vivere nel presente e per il presente: i legami familiari parlano e sono
“parlati” con un linguaggio – quello dell’impegno, della responsabilità, dell’attaccamento, della
durata – che diventa ogni giorno più incomprensibile. Ma in tale prospettiva, la capacità di
riallineare i tempi di vita individuale, delle biografie della scelta e del rischio con i tempi della
famiglia e dei legami sociali non può essere compito di un solitario attore sociale che riannoda
trame recise spesso altrove: la politica della vita quotidiana può trasformarsi in una tattica perdente
di mera sopravvivenza se a livello sociale, oltre che culturale, non si creano i presupposti per una
società della cura.
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