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La storia nascosta nei dati

2014, in "Opening the Past 2014. Immersive Archaeology. Pisa 23/05/14"

You need to think about the archaeological data as a common good (like the water!). To transform the data in a common good, in addition to open them (essential condition), it is also necessary that they are accessible to all. The archaeological data, as many of the raw data of other scientific disciplines, are cryptic words whose meaning is known only by a restricted community. Now, if an archaeologist does not need someone to explain him the story behind the Harris matrix because its expertise and background allow him to see what is written beyond numbers and links, for a "non-archaeologist" those same data are inaccessible and unusable. So it seems that a narrative passage is essential. In this way, the publication of open archaeological data, as well as being an important contribution to the archaeological community, could be a source of inspiration for different professions in the field of tourism, education , business, etc.

MapPapers 1-IV, 2014, pp.1-44 doi:10.4456/MAPPA.2014.01 Opening the Past 2014 Immersive Archaeology Pisa 23/05/2014 Opening the Past means to tell the Past to the scientiic community, but especially to the community of citizens to whom the archaeologists and more generally the operators of the Cultural Heritage should speak to .Tell in an engaging and immersive way means to capture the attention of the citizens towards their past, to make them aware of the Cultural Heritage and to educate to protect it . Storytelling must necessarily be at the center of what we call public archeology . Archeology, although it is a humanistic discipline , has abdicated to the storytelling and failed to form adequate expertise in this ield. Nowadays, it is increasingly necessary that the archaeologists tell the archeology, using new and old media, social networks, virtual reality, and seeking new way such as those related to open data, maker culture ,gamiication , and sharing to produce a story more and more immersive. Keywords: storytelling, archaeology, history, open data, sharing La storia nascosta nei dati Francesca Anichini, Gabriele Gattiglia Abstract: You need to think about the archaeological data as a common good (like the water!). To transform the data in a common good, in addition to open them (essential condition), it is also necessary that they are accessible to all. The archaeological data, as many of the raw data of other scientiic disciplines, are cryptic words whose meaning is known only by a restricted community. Now, if an archaeologist does not need someone to explain him the story behind the Harris matrix because its expertise and background allow him to see what is written beyond numbers and links, for a “non-archaeologist” those same data are inaccessible and unusable. So it seems that a narrative passage is essential. In this way, the publication of open archaeological data, as well as being an important contribution to the archaeological community, could be a source of inspiration for diferent professions in the ield of tourism, education , business, etc. MapPapers - 17 Dialogo semiserio tra Io e Te. Io: Partiamo dal dato. Cos’è? Come posso spiegare che avere a disposizione dati aperti consente di raccontare storie più grandi, più varie, più ampie e consente a più narratori di intervenire sulla stessa storia? …… Arriviamo allo storytelling. Perché sembra di moda, ma fa così paura? Ogni storia per essere tale dovrebbe poter essere raccontata e ogni archeologo dovrebbe saperlo fare. ….. Gli strumenti (infograica, visualizzazione spaziale dei dati, ricostruzioni virtuali) si possono applicare anche ai dati chiusi, ai dati proprietari. Cosa cambia se abbiamo i dati aperti? Te: Cambiano due fattori: la scala e gli attori. Il fattore di scala è un fattore non secondario: pensa se avessimo solo i dati delle provenienze ceramiche, potremmo raccontare i commerci (o meglio parte dei commerci) testimoniati dal nostro scavo, se avessimo a disposizione i dati di un intero sito potremmo raccontare i commerci (o meglio parte dei commerci) che si svolgevano in quel sito in una determinata epoca, se avessimo i dati di una regione potremmo raccontare i commerci (o meglio parte dei commerci) che si svolgevano in quella regione, se avessimo i dati di una nazione o addirittura del bacino del mePag. 1 diterraneo potremmo raccontare i commerci (o meglio parte dei commerci) che coinvolgevano un’area vastissima. Va da sé che nessun ricercatore potrebbe essere da solo il produttore e il proprietario di tutti questi dati, ma se fossero aperti, cioè proprietà comune di tutti i ricercatori, allora sarebbe possibile raccontare una storia vastissima. Io: Questa storia però interesserebbe solo altri ricercatori! Te: Non è vero, perché questa storia può essere raccontata a diversi livelli, sempre a partire dagli stessi dati, potrebbe essere raccontata per gli scienziati e per i bambini. Io: Prima parlavi di attori cosa intendevi? Te: Intendevo i narratori. Se i dati sono a disposizioni di tutti non avremo mai un unico racconto, ma avremmo dei racconti diferenti, ognuno può fare il suo, vedere la storia da una prospettiva diversa, inaspettata, originale. Io: Ma la storia è un po’ una noia! Te: Che vuoi dire? Io: Non si possono raccontare anche delle cose più attuali? Te: E perché no! Ad esempio Pompei ora metterà open data tutte le gare per gli appalti del Grande Progetto Pompei, allora sì che si potranno raccontare delle storie attuali…oppure il progetto MAPPA ha messo come open data i risultati di un suo sondaggio sugli open data in archeologia… Vedi ci sono tante e diverse possibilità, è questo il bello di avere molti dati liberati, ognuno può cercarci dentro la storia che più gli interessa! Io: ???? Te: Sono troppo autoreferenziale? La CIA (non le spie – la Confederazione Italiana Archeologi) ha promesso di mettere come dati aperti i dati del suo sondaggio sul lavoro degli archeologi in Italia, confrontando i due sondaggi si potrebbero raccontare delle storie diverse, o più parti di uno stesso racconto, più punti di vista, quello di genere ad esempio. Io: Genere? Te: Sì, raccontare la stessa storia dal punto di vista delle archeologhe e degli archeologi… Io: …due storie del tutto diverse quindi… Te:…già! Io: Ok, posso anche essere d’accordo, ma poi inisce sempre che gli archeologi quando ti raccontano una storia danno per scontato che tu sappia già un sacco di cose! Usano parole incomprensibili: Unità Stratigraiche, Fasi (de che’? lunari?), reperti… Insomma, le persone non capiscono poi molto di quella storia! Te: Hai ragione! Il problema degli archeologi è che, in quanto “umanisti”, sono convinti che il loro linguaggio sia già chiaro ai più, ma in realtà non è così. Però vedi questa è (solo) una questione di linguaggio e di MapPapers - 17 comunicazione, una questione di narrazione. Ci sono dei professionisti della narrazione che partendo dai dati riescono eicacemente a comunicare; pensa al regista di un ilm, a uno scrittore, a chi realizza game, libri ludici e didattici, a chi fa della museologia veramente eicace… Se gli archeologi condividessero liberamente i loro dati, loro stessi e molti altri professionisti della comunicazione, potrebbero intravedere tante storie, forse con destinatari diversi, forse con messaggi diversi. Io: Non sono convinto. Continuo a pensare che il linguaggio archeologico sia una grossa barriera… Te: Dai fai uno sforzo, pensa alle favole. C’era una volta, Once upon a time… è l’incipit che ognuno di noi conosce, il più familiare, quello che immediatamente ci attrae perché presagisce un’avventura, personaggi intriganti, luoghi afascinanti. C’era una volta è l’inizio di un racconto che quasi mai si rivela noioso, anzi, il più delle volte è talmente bello che non ci si stanca di riascoltarlo, arrivando a farlo nostro, a riconoscerne i protagonisti, ad amarli od odiarli, sentendoli familiari, apprendendone il messaggio che trasmette. Forse è dalle favole che gli archeologi dovrebbero ripartire per imparare a narrare, in modo eicace, il loro sapere; da quella struttura narrativa, che colloca al posto giusto ogni elemento all’interno della trama – personaggi, eventi, ambientazioni –tanto da mantenere sempre viva l’attenzione, così come da un linguaggio che possa essere compreso da tutti, a partire dai bambini, che si dovrebbe cominciare a divulgare l’archeologia. Io: Si, ma non cadere nel generalista, mica tutti apprezzano le favole…diciamocelo, sono per bambini! Te: attento, sto parlando di linguaggio, di comunicazione. Ogni comunicazione può attivare livelli diversi di comprensione, di curiosità… Banalizzando potremmo dire che in una storia ci sono tre cose: la trama, le parole, i dettagli. Sono proprio in questi ultimi che l’archeologo spesso si incaglia. Nella visione “prettamente scientiica”, tutto è importante; nella divulgazione archeologica – prendiamo ad esempio i risultati di uno scavo - ogni particolare è legato a un altro e a un altro ancora in maniera inscindibile; si ha sempre la sensazione di non poter tralasciare nulla, di dover raccontare ogni dettaglio ponendo tutto sullo stesso piano, fosse anche solo per il fatto che un dato non spiegato possa essere maggiormente attaccato. I dettagli, se non sono essenziali possono sviare, spostare continuamente l’attenzione di chi ascolta e far perdere il ilo del racconto. Riuscire a raccontare ripulendo il racconto di tutto ciò che non è necessario (e con questo non si intende scarniicare ino a lasciare solo l’indispensabile), vuol dire avere ben chiara l’informazione che si vuole dare; aver già vagliato tutti i se e i ma e tutti i “probabilmente” e gli “ipotizzati” tanto cari agli archeologi (che lasciano sempre aperta una possibile via di fuga) quanto confusionari per chi li ascolta (e qui ti dò ragione). Solo dalla sintesi nasce la trama e su quella trama si possono scegliere i protagonisti e i fatti salienti, su quella trama si può scegliere la modalità di narrazione. Pag. 2 Io: Mmm…credi veramente che gli archeologi abbiamo la formazione giusta per fare tutto questo? Te: Beh se stiamo a guardare, gli archeologi sono dei “letterati” e dovrebbero saper raccontare una storia. Ma comunque non è detto che un buon archeologo sia necessariamente anche un buon narratore. In molti casi però è convinto di esserlo! E’ abituato per formazione – e per non formazione – a fare un po’ di tutto; negli anni ha dovuto lottare ( e lo sta ancora facendo) per afrancare la sua professione e le sue competenze che non gli sono state riconosciute e così si è trovato a fare anche mestieri diversi. Io: Quindi ho ragione io…Dai l’archeologo non è capace! Te: Ok, faccio un discorso che è un po’ idealista, ma solo un po’. L’archeologo è uno che “dovrebbe” saper fare gioco di squadra, il suo lavoro glielo richiede quotidianamente perché quotidianamente ha bisogno di confrontarci con specialisti di varie discipline a lui complementari e, sempre quotidianamente, deve rapportarsi con soggetti di settori diversi ( architetti, ingegneri, amministratori…). Insomma chi fa l’archeologo dovrebbe sapere – e capire – qual è il conine delle proprie competenze anche quando si parla di raccontare. Esistono professionisti della comunicazione e della narrazione, lo sai bene, il cui mestiere è raccontare eicacemente storie che nascono in ambiti diversi, ma per farlo hanno bisogno di buoni consulenti che con chiarezza evidenzino concetti e obbiettivi. Mettiamo nel conto che ci sia l’archeologo anche esperto di storytelling, fa da solo. Ma mettiamo anche nel conto che in molti non sono altrettanto capaci, ma possono essere degli ottimi mediatori, traduttori di dati criptici in favore di chi sa trasformare il dato in una divulgazione dell’informazione attraverso varie forme narrative. Io: Si in efetti sulla necessità di buoni consulenti (come del resto avviene in tutti i campi) sono d’accordo con te. Ma comunque sia, tornando al discorso dei dati che non sono sempre comprensibili, aperti o no, non c’è diferenza! Te: Non è del tutto vero. Cambia ottica: devi pensare ai dati archeologici come un bene comune (tipo l’acqua…!). Per far sì che i dati siano realmente un bene comune, oltre a “tirarli fuori” (condizione essenziale), è necessario anche che siano efettivamente accessibili a tutti. Un dato archeologico, come molti dei dati grezzi delle diverse discipline, è un linguaggio criptico, una parola il cui signiicato è noto solo ad una comunità ristretta (quella scientiica appunto). Per garantire una piena fruizione e consentire che i dati possano essere motori culturali e di sviluppo, è indispensabile che vi sia una traduzione. Facciamo un esempio. La pubblicazione aperta dei dati dello scavo di un determinato sito, oltre ad essere un contributo importante per la comunità archeologica, potrebbe essere fonte d’ispirazione per professionalità diverse che in quei dati intravedono possibilità applicative nel campo del turismo, della formazione, del business, ecc… Creare un app, un game, un brand… sono MapPapers -17 possibilità economiche, culturali, di sviluppo… sono possibilità comunicative. Ora, se l’archeologo non ha bisogno che qualcuno gli illustri la storia che sta dietro ad un diagramma stratigraico perché le sue competenze e il suo background gli permettono di vedere ciò che è scritto aldilà di numeri e collegamenti, per un “non-archeologo” quegli stessi dati risultano inaccessibili, inutilizzabili in qualunque nuova forma di comunicazione. Sembra quindi che un passaggio narrativo sia essenziale. Io:??? Te: Vedi alla ine tutto ruota sul ruolo che ricopre effettivamente la comunicazione nel settore archeologico. Se un ingegnere progetta un reattore e non lo racconta a nessuno (o lo racconta, ma nessuno capisce), il reattore funzione lo stesso. Se un archeologo fa una ricerca e non la comunica bene, l’eicacia del suo lavoro è compromessa. La divulgazione – intesa proprio come difusione di un sapere attraverso una modalità narrativa - non è un di più, ma una parte sostanziale del lavoro dell’archeologo. Io: però bisognerebbe pensare ad un nuovo paradigma…. Te: un paradigma che non si fondi più sull’archeologia come scoperta, sui beni culturali come oggetti, ma che faccia sua appieno la lezione degli anni ’70, un nuovo paradigma fondato sul racconto, su una narrazione collettiva, su una narrazione stratigraica, fatta da tutti gli attori dell’archeologia, archeologi professionisti, universitari, ministeriali e semplici cittadini… Io: allora ci vorrebbe qualcosa che nasca dal basso in modo aperto, qualcosa che possa essere di tutti e per tutti… Te: già proprio così. Ti propongo questo: realizzare una carta archeologica d’Italia completamente open data! Io: Forse ti sfugge che di dati archeologici aperti ce ne sono veramente pochi; in tanti parlano, ma alla ine quanti open data archeologici abbiamo realmente? Te: No, cambia ancora ottica. Rendiamo accessibile ciò che già è aperto, perché sotto gli occhi di tutti (pensa a WikiLovesMonuments e EAGLE con le epigrai): le aree archeologiche, i monumenti, i castelli, i ruderi…attraverso la partecipazione di tutti, archeologi e non, andando in giro in campagna o in città, durante una passeggiata in un bosco, in vacanza… basta una foto, una geolocalizzazione, un’app che renda facile l’inserimento di alcune informazioni e… potremmo creare un grande repository con un’interfaccia semplice, un grande racconto collettivo. Io: e la qualità del dato chi la assicura? Te: la comunità tutta che partecipa, e gli archeologi in primis… Io: Ok, mi hai convinto… Te: Allora si fa! Pag. 3 Raccontare storie, raccontare Storia. La divulgazione del patrimonio nel solco delle tecniche narrative Augusto Palombini CNR – Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali Abstract: After the digital revolution, which allowed scholars to manage and communicate high quantity and quality of data as never before, the representation of the past has become a fundamental aspect of the archaeologist’s work. Archaeology can no more be a simple description of speciic and isolated informations, and must become also narration, linking together those fragments through connections and relations, maybe arbitrary but not false, as in the itting example of a restored pot, where the connecting paste (not original) is necessary to make understandable the isolated fragments, unable to communicate a readable message as single elements. The problems arising with the need of representing uncertain elements enlivened a debate at least twice in the past: about restoration techniques and about historical novel writing, so that many observations contained in essays on historical novel are still well itting on the discussion around storytelling in the digital era. Such a situation makes relevant, for the scholars, the knowledge of narrative theory and techniques. Creating arbitrary narrative links among elements is as important as not creating false ones, whereas false is “contradictory with historical facts as we know them”, as arbitrary is “not contradictory even if unproved (and probably unprovable)”. The storytelling skills may become an opportunity for creating new professionals and job positions, as well as enhancing Cultural Heritage audience, thanks to the enormous emotional power of every narration. La più signiicativa trasformazione che la rivoluzione digitale ha operato nella disciplina dello studio del passato è stata la possibilità di acquisire, gestire, elaborare e trasmettere enormi quantità di informazioni. In ciò è implicita un’accresciuta facilità di rappresentazione della realtà antica in tutta la sua complessità. Questo aspetto solleva problematiche non del tutto risolte, ad esempio quella legata alla necessità di rappresentare scenari nella loro interezza, comprendendo quindi anche gli aspetti su cui non abbiamo certezze o addirittura non sappiamo nulla. Una tale trasformazione comporta un mutamento di approccio epistemologico della disciplina: l’archeologia non MapPapers - 17 può più essere semplicemente descrizione di informazioni speciiche e puntiformi, ma deve anche farsi narrazione, collegando fra loro quelle stesse informazioni attraverso nessi talvolta arbitrari ma non per questo falsi. L’esempio più calzante è probabilmente quello del restauro di un vaso, nel quale parti non originali (la pasta che aggrega i frammenti) sono necessarie per rendere intellegibili le parti originali in un insieme coerente e comunicativamente funzionale, laddove i cocci sconnessi non trasmetterebbero altrimenti un messaggio immediatamente riconoscibile. Il medesimo fenomeno può essere assunto come valore paradigmatico della necessità di un approccio narrativo: ciò che è incerto aiuta a creare nessi fra gli elementi certi e quindi a creare storie, a descrivere vicende che ci rendono più vicini e comprensibili i comportamenti di tempi che non abbiamo vissuto. Il dibattito che può scaturire da queste considerazioni – sull’opportunità o meno di divulgare attraverso simili strumenti – è certamente articolato ma spesso fondato su un equivoco semantico che confonde i concetti di “narrazione” come oggetto e come tecnica (Narrazione vs. narrAzione). Il primo caso (quello generalmente temuto dagli studiosi) richiama l’idea di una composizione di fantasia che si sostituisce alla realtà storica, mentre la narrazione come tecnica è evidentemente un mero strumento comunicativo, che può veicolare qualunque contenuto formulato – con più o meno correttezza – da chi ne padroneggia l’utilizzo. In ogni caso, tale dibattito non è afatto nuovo. Simili discussioni si sono accese in tutti i momenti storici in cui la necessità di comunicare il passato in modo vivido ha forzato i limiti delle poche e frammentarie certezze che abbiamo su di esso, e ciò è avvenuto almeno in due circostanze: a proposito delle tecniche di restauro e a proposito del romanzo storico. Non sorprende quindi che in un’opera come il trattato “Sul romanzo storico” di Alessandro Manzoni, del 1830, si ritrovino molte osservazioni perfettamente attuali e applicabili alle moderne tecniche di comunicazione, a proposito della divulgazione storico-archeologica (non a caso, il titolo originale è “Del romanzo e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione”:possiamo a buon titolo considerare le odierne tecniche multimediali dei componimenti misti): come l’osservazione (anticipata sopra) che ciò che è incerto è necessario per connettere informazioni certe ma frammentarie, e che la trasmissione delle informazioni sul passato fra generazioni, nella storia dell’umanità, è avvenuta per una parte assolutamente preponderante attraverso forme narrative (res gestae, canzoni popolari, racconti e leggende) rispetto alla storiograia propriamente detta. Questi aspetti ci richiamano alla necessità di una comunicazione storica e archeologica che tenga conto delle esigenze di un pubblico vasto e sappia costruire una comunicazione ad esso adatta e da esso fruibile, senza per questo perdere i crismi della correttezza. Un’esigenza che sarà sempre più sentita nel momento in cui l’esiguità crescente dei inanziamenti alla ricerca comporta la necessità di un chiaro valore soPag. 3 ciale (e quindi di una fruibilità difusa) dei risultati che essa persegue. E’ quindi importante che gli operatori degli studi sul passato riconoscano il rilievo di una formazione sulle tecniche speciiche che riguardano il narrare, e ciò almeno per due ragioni, la prima connessa alla possibilità di nuove professionalità e prospettive occupazionali che possono derivarne, la seconda perché siano gli archeologi a prendere l’iniziativa nei contesti di divulgazione, anziché lasciarli in altre mani probabilmente meno scrupolose in termini di approccio metodologico. Padroneggiare una tecnica signiica tuttavia afrontarla con l’atteggiamento di un qualunque campo di studio, cioè come disciplina di ricerca, quale lo storytelling indubbiamente è. Peraltro, lo studio delle strutture narrative conosce negli ultimi decenni uno sviluppo signiicativo che porta a una continua innovazione delle forme, visti anche i campi molteplici delle sue applicazioni, dalla narrazione multimediale legata alla iction (letteraria, cinematograica, televisiva, con le speciicità di ciascuno di questi mezzi), alle più recenti strategie pubblicitarie o promozionali in senso lato (come il corporate storytelling) esplose in particolare con l’avvento dei social network. Il fattore dell’interattività infatti, con la possibilità degli utenti di non essere semplici fruitori passivi ma di condizionare lo sviluppo narrativo, ha dato vita a ulteriori forme di innovazione. Ciò che si può quindi indicare in questa sede è semplicemente uno spunto di partenza che permetta di mappare l’articolazione delle fonti bibliograiche in questo campo. I iloni di studio sulla narrativa, per quanto riguarda l’uso multimediale che può farne l’archeologo o lo storico, si possono schematizzare in 3 grandi direzioni: - Quella più classica, degli studi narratologici, che parte idealmente dalla Poetica di Aristotele (Poetica, VII) e arriva ai giorni nostri passando per la scuola strutturalista e in particolare per le trattazioni novecentesche sul romanzo storico (fra gli altri: ProPP 1928, Bachtin 1973). - Quella cinematograica, e in particolare la scuola hollywoodiana, a tutt’oggi la più feconda di rilessioni e innovazioni sulle strutture narrative (McKee 1997, truBy 2007). - Il ilone più recente e speciico sul mondo digitale, quello del ‘Digital storytelling’ germogliato al MIT alla ine degli anni ‘90 (Murray 1998, handler Miller 2008). Ciascuno di essi può dare un signiicativo apporto alla strutturazione di iniziative divulgative, con la consapevolezza che l’importanza di saper creare elementi arbitrari, in questo tipo di comunicazione, è oggi pari a quella di evitare elementi falsi, laddove per falso si intende: in contraddizione con le conoscenze storiche in nostro possesso’ e per arbitrario: coerente con esse, anche se indimostrato (e generalmente indimostrabile). Il valore di questo approccio è più evidente allorché – seguendo la classiicazione delle narrazioni storiche proposta da Eco (1980) – si costruiscano forme narrative impostate non su personaggi storicamente MapPapers - 17 celebri ma su individui anonimi, attraverso i quali è decisamente più eicace trasmettere informazioni e suggestioni sulla vita quotidiana, sulla cultura materiale, sull’organizzazione sociale delle società del passato. La padronanza di questi strumenti, oltre che aprire la strada a nuove prospettive professionali, può dare un impulso oggi largamente sottovalutato alla fruizione del nostro Patrimonio storico, come dimostrato dai lussi di visita in numerosi esempi italiani ed europei (antinucci 2006, PaloMBini 2012), attraverso la capacità di coinvolgimento emotivo insita in ogni storia basata su fatti reali, in quanto metafora dell’eterno dramma umano (Murray 1998). Bibliograia antinucci F. 2006, Musei virtuali, Laterza. Aristotele, Poetica (http://www.ilosoico.net/poeticaristotele.htm) Bachtin M.M. 1973, Questions of Literature and Aesthetics, Moscow eco u. 1983, Postille al Nome della Rosa, in: Alfabeta 49. handler Miller c. 2008, Digital storytelling, II ed. Focal Press, Oxford Manzoni a. 1830, Del romanzo e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione (http://www.classicitaliani.it/manzoni/prosa/manzoni_romanzo_storico_01.htm ; http://www.classicitaliani.it/manzoni/ prosa/manzoni_romanzo_storico_02.htm ) McKee r.1997, Story, Harper Collins. (tr. it. Story. Contenuti, struttura, stile, principi per la sceneggiatura e per l’arte di scrivere storie, Omero Editore, 2010) Murray J. 1998, Hamlet on the Holodeck, MIT Press, Boston PaloMBini a. 2012, Narrazione e virtualità: possibili prospettive per la comunicazione museale, In: DIGITALIA, vol. 1. ProPP V. 1928, Morphology of the Folktale, Leningrad (tr.it. Morfologia della iaba, Einaudi 1990) truBy J. 2007, Anatomy of a story. Faber and Faber, London (tr.it. Anatomia di una storia, Dino Audino Editore, 2009) Pag. 4 Archeologi(a) e video: una questione di storie Francesco Ripanti Abstract Archaeology, video and storytelling are words that should go together in the world of heritage communication. Usually you don’t see archaeologists with a camera in their hands just only because they don’t know that videos can tell stories of archaeology in a very involving way. Video storytelling is part of “Digital Narrative” and “Visual Narrative” and archaeology is closely linked with these because it’s a inexhaustible container of stories. In this paper you ind diferent examples of video storytelling made by archaeologists. Docudrama is the genre more experienced in the Roman site of Vignale: archaeologists perform as actors, reenacting in a likely way an ancient event in front of the camera. Recording a story, they tell what has happened during the ieldwork in a narrative way. Other examples of video storytelling are some dialogues through archaeologists and the stories of professional archaeologists. Sit down and see some archeovideos! Stories love archaeology: video e “Visual Narrative” in archeologia Nell’immaginario collettivo della nostra professione certamente non risiede la scena dell’archeologo che utilizza una videocamera. L’uso di questo strumento è infatti relegato ai margini sia nell’ambito del lavoro sul campo che in quello della comunicazione. Raccontare l’archeologia con i video non è una pratica molto comune, soprattutto tra gli stessi archeologi. Se i ilmati non sono da tutti ritenuti indispensabili per la documentazione dello scavo, dovrebbero esserlo invece nella comunicazione della ricerca. Infatti, mettendo insieme immagine e suoni e costituendo allo stesso tempo un linguaggio in sé con un lusso di informazioni che ha una dimensione temporale, rispetto ad altri media il video ci restituisce la più semplice espressione di un processo in forma narrativa, una peculiarità speciica che ben si adatta a quelle che sono le potenzialità dell’archeologia nel raccontare le sue storie. Oltre che nel “digital storytelling”/“digital narrative”, il “video storytelling” rientra nella “visual narrative”, termine più generico che deinisce la narrazione di una storia attraverso un “visual media”. Con “visual” infatti si intende qualcosa che può essere visto dall’occhio umano; con “storia” una serie di eventi legati da causalità, temporalità, sequenza o ordine di accadimento; con “narrative”, l’azione di raccontare una storia, la storia stessa o l’ordine di presentazione (PiMenta , PooVaiah 2010: 30). L’archeologia risponde a tutte queste tre istanze: si presta ad essere visualizzata attraverso uno scherMapPapers -17 mo perché ritrae luoghi concreti e lontani dalla quotidianità, riuscendo così ad esercitare attrazione; ha un bagaglio inesauribile di storie; queste storie non aspettano altro che essere raccontate. Le storie dell’archeologia provengono per la maggiorparte dalla terra, frutto dello scavo, e dallo studio dei contesti e dei siti, ma non solo. Ad esempio, sono storie di archeologia anche quelle che riguardano i suoi protagonisti, gli archeologi, e tutte le persone che hanno a che fare con l’archeologia, come i bambini. Vediamo come possono essere messe in scena. Dalla terra a YouTube: storie dallo scavo “The site contains many potential stories, but every one is a product of the archaeological imagination that pulls together historical and archaeological facts into an interpretation that is more than the sum of the parts of which it is made and more than its excavator can document in the usual way.” (“Why every archaeologist should tell stories once in a while”, Adrian Praetzellis) Sul sito di Vignale (LI), dal 2004 oggetto di scavo dell’Università di Siena in collaborazione con il MIBACT e il Comune di Piombino - Quartiere Riotorto (GiorGi, z anini c.s.), si è cercato di raccontare via video i temi di ricerca e il lavoro degli archeologi sul sito. Dal 2008 in poi, con la realizzazione di diversi generi di ilmati, si sono sperimentati alcuni dei ruoli che un archeologo può avere in una comunicazione autoprodotta della propria ricerca. Il sito, fattoria nel III e nel II secolo a.C., villa nel I secolo a.C. e mansio dal I secolo a.C. al V secolo d.C., per la pluralità di temi di ricerca si è rivelato fonte di nuove storie ogni anno, storie di cui gli archeologi hanno curato la messa in scena, con le risorse e i tempi (ridotti) della singola campagna di scavo. Il genere che ha permesso di sviluppare al meglio le storie dello scavo è stato quello del docudrama. Questo si deinisce come “genere cinematograico che cerca di fondere documentario e cinema di inzione, attraverso la ricostruzione più realistica e circostanziata possibile di eventi realmente accaduti. Si distingue dal cinema di ricostruzione storica per l’attenzione speciica a eventi legati ancora all’attualità, per l’ambientazione nei luoghi reali della storia e perché, quando possibile, utilizza come attori gli stessi protagonisti dell’evento della vita reale.” (c anoVa 2009: 326) A Vignale si è fatto proprio questo: sono state proposte delle storie a partire da quello che veniva scavato nel sito. Tutte le scene sono state girate negli immediati paraggi dell’area di scavo, vale a dire nell’area in cui in modo verosimile potrebbero aver avuto realmente luogo. Gli studenti di archeologia, nelle scene girate sullo scavo, hanno messo in scena a tutti gli efetti la propria professione, chi come attori, chi come comparse. In generale queste rappresentazioni con attori che inscenano un determinato episodio, deinite anche dramatic performances (Piccini 2007: 227), sono fondamentali per accreditarsi la iducia degli spettatori: infatti, attraverso di esse, il pubblico ha l’impressione Pag. 5 di star percependo qualcosa d’attuale, perciò il gioco di credibilità funziona molto meglio rispetto a documentari strutturati tramite interviste ad esperti. Sofermandosi brevemente sulle storie raccontate, si nota subito come esse prendano spunto dal main theme della campagna di scavo. Nel 2008 l’idea del docudrama è partita dalla volontà di descrivere alcuni aspetti del cantiere archeologico moderno. Questo obiettivo prende corpo con “Il Vignale Ritrovato” (http://youtu.be/YrTi42kaIS4), una storia che vede il direttore degli scavi del 1831 trasportato in sogno sullo scavo attuale. Dialogando con gli studenti, che interpretano se stessi egli scoprirà quali siano le diferenze principali e le innovazioni dello scavo attuale rispetto a quello dei suoi tempi. A partire dall’obiettivo principale del ilmato, la trama permette quindi di venire a conoscenza anche di un tema fondamentale della ricerca a Vignale, ovvero gli scavi del 1831. La diicoltà nell’identiicare l’area degli scavi ottocenteschi, in un paradossale gioco al contrario, viene invece facilitata al direttore del 1831 (Fig. 1) con la consegna di un’accurata pianta del sito. Nel 2009 in “Passaggi a Vignale” (http://youtu.be/ HPVVJInnNZM), il tema centrale è la caratteristica di Vignale di essere un luogo di passaggio. Questa viene raccontata attraverso due scene, una introduttiva e l’altra conclusiva, ambientate ai giorni nostri e altre due centrali ambientate in età romana e nell’Ottocento. In questo caso sono stati messi in scena diversi personaggi realmente esistiti: nella sequenza romana, lo schiavo Menophilos, il cui nome ci è testimoniato da una irma graita su una parete di anfora Dressel 2/4, Marcus Fulvius Antiocus, il gestore della fornace di mattoni ritrovata sul sito, attestato dai bolli, e Marcus Fulvius, l’ex-padrone di Antiocus e proprietario della fornace (Fig. 2), che ci è testimoniato da un’altra serie di bolli con il nome di suoi schiavi e uno che lo identiica come oicinator. Per la scena ottocentesca, la fonte principale è stata una tesi in cui veniva descritta la storia della fattoria nell’età moderna e l’organizzazione della sua produzione agricola; i personaggi (che portano nomi attestati nello studio per i contadini dell’epoca), riportando considerazioni e dati presi dalla tesi, rendono un buon efetto d’insieme e quindi la scena stessa verosimile (z anini, riPanti 2012: 15-17). Nel 2010 in “Mansio” (http://youtu.be/ GhGwQqAk72w) si è sviluppato il tema della funzione di stazione di posta del sito di Vignale attraverso una favola raccontata da una mamma ai suoi bambini. Ambientato intorno al 480 d.C., all’interno di una cornice ottocentesca, la storia narra delle avventure di due personaggi ittizi, un avventuriero e il suo servo. Questi, arrivando alla mansio, scoprono che è stata distrutta e, dialogando con il praepositus e sua moglie, riescono a capire come poteva funzionare una stazione di posta come quella di Vignale. Se i protagonisti questa volta sono inventati, le notizie riportate sull’organizzazione della mansio sono invece state rielaborate da una tesi incentrata sul tema. Il docudrama del 2011, “Morte a Vignale” (http://youtu.be/i7fa5uBQRGI), non racconta un tema speciico dello scavo a Vignale, così come era avvenuto negli MapPapers - 17 anni precedenti, ma la campagna di scavo in corso. L’intento è stato quello di mostrare come lavorano gli archeologi per capire quello che stanno scavando: sono inquadrati mentre usano trowel e piccone, mentre scrivono, mentre parlano tra loro su ciò che hanno appena portato alla luce, e per la prima volta sono stati utilizzati anche alcuni appunti video che fanno parte della documentazione di scavo. La trama vede un continuo alternarsi di scene ambientate sullo scavo durante la campagna e altre nella zona della stazione di sosta nel V secolo d.C. (Fig. 3) con l’obiettivo di creare un collegamento tra quello che si è trovato sullo scavo e una sua possibile ricostruzione. L’alternanza delle scene ha proprio l’obiettivo di far notare il passaggio dalla scavo all’interpretazione e al racconto di una storia che non potremo mai provare ma che è senza dubbio verosimile. In questo senso i dialoghi nei titoli di coda sono intesi sia come parte integrante del processo conoscitivo (la storia raccontata è solo una delle ipotesi, quella che al momento ci sembrava la più verosimile ma ce ne sono altre) sia come parte della storia (ma qui non c’era una sceneggiatura, sono improvvisati perché è come uno dei tanti dialoghi che si fanno mentre si scava, solo che in questo caso la telecamera era in funzione). Anche nel 2012, con “Strada maestra” (http://youtu. be/sP2JC7_V-dA), si racconta la campagna in corso, con lo scavo dell’area del diverticolo che doveva portare alla via Aurelia. Nei tre brevi episodi si racconta in forma narrativa l’idea che gli archeologi si sono fatti della storia di questo diverticolo, cercando di evidenziare come nelle varie epoche la strada fosse percepita in maniera diversa. Lo Storytelling a scuola: mettere in scena la propria storia Realizzare un docudrama, anche di livello amatoriale, comporta una serie di passaggi obbligati: dalla scelta allo studio del soggetto, dalla premessa drammaturgica (la storia racchiusa in una sola frase) alla deinizione dei personaggi ino alla redazione di una sceneggiatura. In ultimo l’organizzazione del set, con costumi, oggetti di scena e via dicendo. Nel 2011, la produzione del docudrama “Raccontando la cisterna romana” (http://youtu.be/sBQSkVE2yVs) insieme alle classi quinte della scuola primaria “Alighieri” di Falconara Marittima (AN), ha avuto l’obiettivo di coinvolgere i bambini nella realizzazione del ilmato e soprattutto, attraverso esso, di conoscere in modo divertente la cisterna romana della loro città. Questo è stato possibile proprio per il lungo tempo impiegato ad organizzare il video, durante il quale si sono susseguiti incontri a scuola e visite alla cisterna. In questo caso fare “video storytelling” ha signiicato dare la possibilità ai bambini di mettere in scena una storia che li ha visti protagonisti non solo come attori (Fig. 4) ma anche nel dare nuova attenzione e nuovo valore a questa antica cisterna, che la maggiorparte di loro non conosceva. Ecco quindi che il medium video si caratterizza come un processo di manipolazione e traduzione, di mediazione ed interazione, ma anche come una moPag. 6 Fig. 1: Snapshot da “Il Vignale ritrovato” Fig.2: Snapshot da “Passaggi a Vignale” MapPapers - 17 Pag. 7 Fig.3: Snapshot da “Morte a Vignale” dalità di partecipazione. Oggi che porzioni sempre maggiori della società e della cultura stanno afermandosi come soggetti primi della digitalizzazione di dati e informazioni, diventando essi stessi forme di mediazione, pensare i media come una modalità di partecipazione contribuisce a favorire la partecipazione attiva (ShanKS 2007: 281). Un video-racconto dello scavo tra entertainment ed edutainment Parlare al pubblico di ciò che si sta scavando, se non viene fatto con una certa perizia, può diventare facilmente una lunga e inconcludente sequela di parola che, nella migliore delle ipotesi, le persone si dimenticano una volta arrivate a casa. Con questa considerazione in mente, è nato “Last days of ieldwork in room 14” (http://youtu.be/XoiBiE6KiE): il titolo in inglese è dovuto al fatto di essere stato presentato al TAG 2012 alla sessione “Archaeology and the media - Entertainment or edutainment?”. In questo video vengono raccontati i lavori di scavo negli ultimi giorni della campagna 2012 nell’ambiente 14. All’interno del ilmato, oltre all’archeologa che racconta allo schermo che cosa si è scavato, sono stati inseriti una serie di media diversi, dalle voci degli studenti al time-lapse, da disegni ad appunti video ino a frammenti di diari di scavo. Questi hanno lo scopo di rendere il racconto più coinvolgente e, allo stesso tempo, di far entrare lo spettatore dentro lo scavo: frasi come “che ore sono?” o “tra poco c’è la MapPapers - 17 pausa!” aiutano a far sentire gli archeologi più vicini rispetto a come sono percepiti normalmente. Da archeologo ad archeologo: il dialogo per le storie Un altro modo di raccontare sperimentato a Vignale è stato quello dei dialoghi, sempre all’interno di una cornice narrativa. Il ricorso al dialogo è funzionale a tre speciiche istanze: spiegare al pubblico concetti più approfonditi e complicati; raccontare il dietro le quinte; mettere in scena un dibattito su un argomento speciico. In “Lo scavo e la sua storia” del 2011 (http://youtu. be/sP2JC7_V-dA), il protagonista è uno studente di archeologia che è in procinto di andare a scavare a Vignale. Prima dell’inizio della campagna di scavo si reca a Siena, dove incontra il professore che dirige lo scavo e i suoi collaboratori (Fig. 5). L’utilizzo del dialogo permette di gestire in maniera dinamica la spiegazione del sito e delle sue fasi e di approfondire usando comunque un linguaggio colloquiale. Non è un video per il grande pubblico ma è stato pensato per gli studenti universitari che vengono realmente a scavare a Vignale. “Dialoghi itineranti”, registrato nell’ottobre scorso a Vignale e prossimo all’uscita, racconta l’ultima campagna di scavo attraverso monologhi e dialoghi degli archeologi. Il video ha l’obiettivo di raccontare i “dietro le quinte” dello scavo: da quelli di “Let’s Dig Again”, primo esperimento di racconto dell’archeologia via web-radio, a quelli dei singoli archeologi che si interrogano sul lavoro che stanno facendo e, al termine Pag. 8 Fig. 4: Snapshot da “Raccontando la cisterna romana” delle operazioni, su quello che è stato fatto. Dialogando con altri (o con sé stessi) c’è perciò anche la possibilità di raccontare in modo intimo ciò che non si può vedere, ovvero quello che pensa l’archeologo mentre lavora e come organizza alcune sue attività. “Cannoni e farfalle” (http://youtu.be/PLz1MtxYmgY) è stato prodotto a partire da un dialogo di Giuliano De Felice pubblicato sul blog “Passato e futuro” (http://www.passatoefuturo.com/2012/10/cannonie-farfalle.html). Anche nella versione ridotta che ha partecipato e vinto il Videocontest di “Opening the Past 2013”, è possibile apprezzare uno degli aspetti più interessanti dell’uso del dialogo: arrivare a sviluppare nuova conoscenza a partire da un dibattito (con opinioni divergenti o meno) su uno speciico argomento. Non è un aspetto strettamente legato al “video storytelling” ma in modo indiretto ne fa capire le potenzialità. Voci di archeologi: storie di una professione Le storie da raccontare attraverso i video non sono solamente quelle di antichi siti, di scavi in corso o interessanti scoperte. Storie di archeologia sono anche quelle dei suoi professionisti, ad oggi ancora in attesa di veder concluso l’iter legislativo per il loro riconoscimento. Il video “500 no: per la buona occupazione nei beni culturali” (http://youtu.be/TLs2lc8tXsI) è stato girato per l’Associazione Nazionale Archeologi lo scorso 11 gennaio a Roma, in occasione della manifestazione dei professionisti dei beni culturali contro il bando “500 gioMapPapers - 17 vani per la cultura”. Storie di vita vissuta, aneddoti e progetti per il futuro che racchiudono le motivazioni dei 500 no. Il ilmato non è quindi un servizio giornalistico sulla manifestazione ma è nato con l’obiettivo speciico di far parlare i protagonisti, sentire dalle loro voci cosa signiica essere archeologi oggi, a partire da neolaureati ino ai ricercatori. Archaeologists love stories (?): la narrazione al servizio della conoscenza “The best archaeologists are invariably the most skillful storytellers” (The Archaeologist as Storyteller, Peter Young) Se nessun dubbio persiste sull’ainità tra video, storie e archeologia, occorre capire che rapporto dovrebbe avere l’archeologo con le sue storie. Nella maggiorparte dei casi, ino ad oggi l’archeologo ha pensato alle storie solo come un utile strumento di presentazione della sua ricerca, soprattutto ad un pubblico di bambini. Per portare gli archeologi a dedicarsi di più alla comunicazione tramite (video) storie, forse occorre convincersi che queste abbiano una loro utilità anche nell’interpretazione dello scavo. Infatti possiamo fare il percorso inverso e pensare che le storie rappresentino il culmine di quello che si è imparato e capito (Joyce 2002, 123-124). Riuscire a raccontare una storia sulle tracce archeologiche che sono state scavate è il segno del successo del lavoro compiuto. Una cornice e una forma narrativa non solo non pregiudicano la trasmissione dei contenuti al livello di approfondimento necessario per qualsiasi tipo di pubblico a Pag. 9 Bibliograia Fig.5: Snapshot da “Lo scavo e una sua storia” cui vogliamo rivolgerci ma, secondo studiosi dei sistemi cognitivi (su tutti Bruner 1991), aiutano anche ad arrivare alla costruzione della realtà. Un video che racconta una ricerca in forma narrativa non rimane solo un modo per comunicare all’esterno ma rilettendo su ciò che si è scavato con l’intento di deinire una storia, porta ad approcciarsi ai problemi in maniera diferente, a mettere a fuoco altri particolari, a porsi nuove domande. Anche inconsapevolmente, l’archeologo è portato a creare una storia, a usare la narrazione per dare a ciò che ha scavato un’ambientazione spazio-temporale. E allora forse all’archeologo raccontare le storie piace davvero e non gli resta altro che rimboccarsi le maniche e metterle in scena. MapPapers - 17 Bruner J., 1991, The Narrative Construction of Reality, in «Critical Inquiry», 18, p. 5. c anoVa G. 2009, Enciclopedia del cinema, Milano. clacK t., Brittain M. 2007, Archaeology and the Media, Walnut Creek. coSta S., riPanti F. 2013, Excava(c)tion in Vignale - Archaeology on the stage, archaeology on the Web, in «AP Journal», 3, pp. 97-109. (http://www.arqueologiapublica.es/descargas/1382781334.pdf) GiorGi e., z anini e. in corso di stampa, Dieci anni di ricerche archeologiche sulla mansio romana e tardoromana di Vignale: valutazioni, questioni aperte, prospettive, in «Rassegna di Archaeologia», 24B. Joyce r.a. 2002, The languages of archaeology: dialogue, narrative, and writing, Malden - Oxford. Piccini a. 2007, Faking it: Why the Truth is so Important for TV Archaeology, in «Archaeology and the Media», pp. 221-236. PiMenta S., PooVaiah r. 2010, On Deining Visual Narratives, in «Design Thoughts», 3, pp. 25-46. (http://www. idc.iitb.ac.in/resources/dt-aug-2010/On%20Defining%20Visual%20Narratives.pdf) PraetzelliS a. 1998, Why every archaeologist should tell stories once in a while, in «Historical Archaeology», 32, pp. 1-3. ShanKS M. 2007, Politics of Archaeological Leadership, in «Archaeology and the Media», pp. 273-289. yPunG P.a. 2003, The Archaeologist as Storyteller, in «The SAA Archaeological Record», 3, pp. 7-10. (http:// www.saa.org/Portals/0/SAA/Publications/thesaaarchrec/jan03.pdf) z anini e., riPanti F. 2012, Pubblicare uno scavo all’epoca di YouTube: comunicazione archeologica, narratività e video, in «Archeologia e Calcolatori», 23, p. 7-30. (http://soi.cnr.it/archcalc/indice/PDF23/01_Zanini_Ripanti.pdf) Pag. 10 Da archeoblogger a museumblogger: fare esperienza per creare una professionalità Marina Lo Blundo Abstract: In this paper I talk about my experience as archaeoblogger and museumblogger: what I learned from this work and what I want to develop in the future. Archaeoblog and museumblog are two diferent ways to blogging, because the archaeoblogger talks about his experience, his ideas, his work; the museumblogger gives his voice to a museum, so the museum communicates to the public through him. But, even if archaeoblogger and museumblogger are diferent, they have got the same aim: the cultural communication. It’s important to create a network between others cultural bloggers, museums and people through a correct use of social media. Blogger, archeoblogger, museumblogger Non ci si può inventare museumblogger. Ci vuole esperienza, maturata in anni di blogging e di blogging nella propria area di competenza – in questo caso, archeologia o settore del patrimonio culturale – e conoscenza del mondo del web 2.0, della sua storia, delle sue dinamiche, dei suoi comportamenti. Se si vuole diventare museumblogger, e prima ancora un archeoblogger consapevole, bisogna studiare, costruirsi un’esperienza, osservare la rete e gli altri blog attinenti il nostro ambito. Scrivo su blog, non solo di archeologia, dal 2006. Può sembrare dispersivo avere più blog dedicati a svariati argomenti, eppure proprio il fatto di scrivere di temi totalmente diferenti, dedicati ad un pubblico di volta in volta diverso e con problematiche di linguaggio e di visibilità speciiche caso per caso, mi ha permesso di comprendere dinamiche che, se avessi un singolo blog di settore, probabilmente non avrei colto. Il mio blog personale di archeologia, Generazione di Archeologi, esiste in dal 2008. Nato per caso, si è rivelato una palestra eccezionale per comprendere come e cosa scrivere. È stato un luogo di sperimentazione, dove di volta in volta recensivo convegni, incontri, mostre, sparavo a zero sulla fantarcheologia e su svariati scandali di archeologia, approfondivo temi di comunicazione archeologica, argomento di cui mi stavo occupando nell’ambito di un progetto unico all’epoca: “Comunicare l’archeologia” nato da un’idea di Matteo Sicios del Gruppo Ricerche di Genova, del quale gestivo il blog. Proprio l’esperienza di Comunicare l’Archeologia è stata fondamentale. Il blog in sé era una vetrina delle ricerche che stavamo conducendo all’epoca in materia di comunicazione su vari media, non solo internet, era il luogo deposiMapPapers -17 tario delle nostre rilessioni sul tema, era il primo ad afrontare l’argomento “comunicazione” a proposito dell’archeologia. Parallelamente a Comunicare l’archeologia1 cresceva uno speciico interesse per i blog di archeologia in genere. Ho così cominciato a studiare le dinamiche dei blog di archeologia, i contenuti, i linguaggi, gli autori2. La visibilità su Google è un fattore fondamentale, ma ciò che conta è soprattutto l’autorevolezza, che si costruisce sia producendo contenuti di qualità che, soprattutto, dichiarando l’autore. Costui dev’essere sempre espresso, in modo da poter avere un’autorità che possa rassicurare il pubblico nel mare magnum della rete. Anche un nickname va bene, purché ad esso corrisponda un proilo curato che faccia capire che l’autore è degno di fede. I lettori vanno innanzitutto saputi conquistare, e poi mantenuti. Questo lo si fa attraverso i propri contenuti e il proprio linguaggio, studiando il proprio pubblico o avendo ben chiaro quale fetta di pubblico si vuole conquistare. Ogni blog ha il pubblico che si merita e che si costruisce, pertanto i suoi contenuti dovranno seguire un determinato stile. Un blogger, e in generale chi vuole lavorare sul web, deve tenersi costantemente aggiornato su ciò che accade in rete e, al di fuori di essa, su ciò che ha rilesso nel web3. Esiste una sitograia piuttosto ampia che spazia su temi molteplici, dalla scrittura per il web ai modi per promuovere la propria attività sui social network, ai dibattiti sulla igura del blogger e sull’utilità del blogging, ai consigli sul corretto uso dei social media, ai rilessi dell’attualità sul web. È importante che un blogger, anche se di settore come l’archeoblogger, sappia cosa succede intorno a sé. Conoscere la rete e le sue potenzialità è fondamentale. Non tutti gli archeoblogger sono uguali. Ciascuno ha le sue competenze, i suoi interessi, le sue motivazioni. Ognuno dà al proprio blog il taglio che preferisce, perciò risulta diicile proporre delle classiicazioni, che risulterebbero quanto mai inutili. A grandi linee si possono distinguere blog di opinione, di informazione, di divulgazione e di ricerca. Queste categorie non vanno intese come compartimenti stagni, ma al contrario è molto facile che un blog che si occupa di informazione pubblichi anche post di divulgazione, 1. Il blog Comunicare l’Archeologia, che viveva su piattaforma Megablog, è andato perduto nel 2011 con la cancellazione della piattaforma Megablog. Alcuni post sono conluiti in “Generazione di Archeologi”, ma la gran parte dei contenuti non è più stata pubblicata altrove. 2. Questa ricerca è sfociata in un intervento su “Archeologia e blogosfera” al III Seminario di Archeologia Virtuale, Roma 20.06.2012 (gli atti del Seminario sono disponibili su https://www.academia.edu/2974634/Archeologia_Virtuale_ comunicare_in_digitale), e in un articolo su Archeomatica: “Archeologia e blogosfera. L’attività dei blog di archeologia in Italia” (Marzo 2013). 3. Cito solo pochissimi nomi noti per l’Italia: Riccardo Esposito di My social web (http://www.mysocialweb.it/), Vincenzo Cosenza di Vincos.it; Stefano Epifani e Mariangela Vaglio di Techeconomy (http://www.techeconomy.it/), Francesco Russo di InTime (http://www.franzrusso.it/) e Nicola Carmignani di Uno spreco di bit (http://www.nicolacarmignani. it/). Pag. 11 Fig.1: Screenshot del blog di Archeotoscana così come chi si occupa principalmente di opinione possa anche fare informazione. L’archeoblogger, se vuole diventare un professionista di cui il “mercato”, inteso come mercato culturale online, ha bisogno, deve uscire dal suo piccolo bozzo, guardarsi intorno, rendersi conto di cosa c’è bisogno, cosa manca, e proporlo, facendo rete con gli altri archeoblogger. Il principale scopo di ogni blogger che non voglia scrivere per se stesso è ampliare il pubblico. Perché un conto è avere un blog personale per puro diletto e passatempo (buona parte dei blogger inizia così), ma tutt’altro conto è voler diventare archeoblogger professionista, e scrivere per un pubblico. Un pubblico che non possono essere i 25 lettori dei Promessi Sposi di Manzoni, ma che vogliamo costituiscano una community, e soprattutto una community in costante crescita. Per far questo bisogna fare rete, e non tra pochi intimi, ma coinvolgendo, ampliando il raggio delle conoscenze. Non esistono solo blog di archeologia, ma anche blog culturali di più ampio respiro, o blog di musei, che sono in crescita e in aumento. Ogni blogger ha le sue speciicità e il suo stile, i suoi interessi e il suo pubblico di riferimento. Ma nella diversità di ciascuno, l’obiettivo di tutti deve, o dovrebbe, essere lo stesso: fornire una buona ed eicace comunicazione culturale. Nel frattempo, mentre mi formavo come blogger di archeologia e giungevo alle conclusioni di cui ho brevemente espresso sopra, la mia vita “reale” cambiava, ed io entravo a lavorare in un museo. Proprio col mio lavoro ho cominciato a capire che i musei hanno qualcosa da raccontare. Anzi, è proprio la mission di un museo quella di raccontare e comunicare i suoi contenuti, le sue mille storie, al pubblico. Anche, ormai sempre di più, attraverso il web. In più, ha una MapPapers - 17 voce molto più autorevole di quella che posso avere io come persona singola. Allora, provare a far parlare un museo attraverso la mia voce ha cominciato ad essere un’idea intrigante, da sviluppare. Serviva solo l’occasione. Nel 2012 nasceva il blog del Museo Archeologico Nazionale di Venezia4. Nel 2013, un anno fa di questi tempi, nasceva ArcheoToscana, il blog della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana5. Il primo nasce dal desiderio della sua direttrice di dare più visibilità al Museo. Il secondo nasce da una mia proposta, forte dell’esperienza di Venezia, che trova buona accoglienza presso il Soprintendente, il quale addirittura trasforma il progetto di un blog di museo, inizialmente limitato al Museo Archeologico Nazionale di Firenze, nel blog di tutta la Soprintendenza. Ai blog si sommano i social network: facebook e twitter per Venezia, anche Pinterest per Archeotoscana. Nei miei anni di blogging, dapprima come blogger generica, poi come archeoblogger, inine come museumblogger, mi sono formata, ho sperimentato, mi sono documentata, sono cresciuta, mi sono specializzata in un settore della comunicazione approfondendone le dinamiche. Non ho seguito corsi universitari perché non ne esistevano e non ne esistono, sono in qualche modo un’autodidatta, così come autodidatti sono tutti gli archeoblogger che conosco. Ma, se posso azzardare un’opinione, nessuno studia per diventare blogger, ma da blogger ciascuno dovrebbe studiare per sviluppare meglio il proprio lavoro. Nella mia attività di museumblogger, che si può dire essere il punto di arrivo del mio percorso, le altre due anime, dell’archeoblogger e della blogger generica, convivono e sono altrettanto importanti. Ognuna di esse è 4. http://museoarcheologicovenezia.wordpress.com/ 5. http://archeotoscana.wordpress.com/ Pag. 12 Fig. 2: Social media per la cultura (fonte: Generazione di Archeologi) necessaria, perché ognuna scaturisce dall’esperienza di quella precedente e non avrebbe forza né eicacia senza quella precedente. Progettualità di un blog (museale) In un blog niente è lasciato al caso, è necessaria l’impostazione di una linea editoriale in da subito. Se questo è vero per tutti i tipi di blog, nella scelta delle categorie e degli argomenti, nonché nello stile proprio di chi scrive, a maggior ragione ciò deve valere per i blog di musei, innanzitutto perché a meno che non siamo noi il direttore del museo, non dobbiamo esprimere la nostra opinione personale, ma prestiamo la nostra voce ad un organo uiciale o istituzionale di comunicazione. Il blog del museo deve contenere alcune informazioni essenziali, come i contatti, una presentazione istituzionale, un luogo di incontro e di compenetrazione con il sito web del museo o dell’ente all’interno del quale il museo è regolato. Il resto dei contenuti, quale indirizzo dare ai testi che si forniranno, il target di pubblico, sono tutte cose che vanno chiarite a priori. Quello che non deve fare un blog museale, però, è diventare una galleria di coMapPapers - 17 municati stampa: i comunicati stampa sono prodotti dall’uicio stampa del museo per essere pubblicati altrove, sui media di informazione tradizionali e online, mentre sul blog dovrebbe trovarsi lo spazio per approfondire questi temi. Il blog dovrebbe essere il posto in cui l’utente di internet che ha letto il comunicato su una qualunque agenzia di stampa, trova un approfondimento ad esso. Se si vuole dare l’annuncio di una mostra, non si pubblicherà semplicemente il mero comunicato stampa, ma si darà un’informazione più ampia, più circostanziata, più ricca di informazioni: siamo blogger e siamo archeologi, dunque siamo preparati, o abbiamo modo di procurarci informazioni più dettagliate, e siamo creativi, quindi possiamo trovare una chiave di lettura originale per la notizia. Certo, essere blogger museali tarpa le ali della libertà di pensiero: da museumblogger non posso parlare di un’opera esposta nel museo di cui scrivo e dire che secondo me è esposta male. Questo posso eventualmente farlo, in quanto archeoblogger, dal mio blog personale, ma non in un’ottica di critica ine a se stessa, quanto piuttosto per stimolare un dibattito. La Pag. 13 chiave sta nel tipo di pubblico al quale di volta in volta mi rivolgo: il pubblico cui è indirizzato il blog del museo dev’essere invogliato ad entrare e a visitarlo, ma non per una mera questione di numero di visitatori o perché il visitatore è inteso come “consumatore culturale” (deinizione orribile che però in molti usano), ma perché è lo scopo del museo far sì che il visitatore si senta a casa sua tra le sale, e che sia messo in condizioni di entrare in museo e di raccapezzarcisi. Il pubblico del blog museale è il pubblico dei potenziali visitatori, degli appassionati di archeologia, della gente che vuole conoscere il museo e le sue attività, e che cerca nel blog uno strumento di arricchimento culturale personale. Per questo, a mio parere, in un blog museale non può mancare una o più categorie o pagine dedicate alla divulgazione pura, con post sui singoli reperti, o sulle collezioni, o simili: perché il blog con i suoi post possa aiutare un futuro visitatore a preparare la sua visita. Il blogger museale non deve essere un mero esecutore, ma dev’essere regista del blog per cui scrive. Siamo ancora in una fase in cui il direttore di museo, o d’istituto, pensa che avere un blog per la propria struttura sia solo un modo in più per far circolare le informazioni. Ma attenzione! Il blog non è solo il luogo dove fare informazione, ma è anche e soprattutto il luogo dove far nascere un rapporto, dove avviare un’interazione. Per questo vanno privilegiati testi che raccontino non solo le attività, ma anche le collezioni, che vadano oltre il semplice fare informazione. Un aspetto che piace tanto al pubblico, ad esempio, è il backstage, ciò che avviene a museo chiuso o nel dietro le quinte, ma anche il resoconto di eventi cui non ha potuto partecipare. Allora è il museo che si racconta, che racconta ai suoi lettori cosa succede al di qua delle sue porte, che tiene aggiornato il suo pubblico su quanto avviene, sui materiali che vanno in prestito, su quelli che rientrano, su cosa bolle in pentola. Potenzialmente tutti i testi si prestano allo storytelling, basta trovare la chiave da cui far scaturire il racconto. In questo la creatività del blogger è fondamentale: conoscendo l’argomento a fondo, può trovare ininiti modi per raccontarlo, può trovare un tema di fondo, può inventare un incipit accattivante, può, e questo è un dono che mi piacerebbe tanto possedere, avere uno stile talmente curato da trasformare ogni post in un capolavoro capace di suscitare anche emozioni. Perché anche se il blog museale è un organo uiciale di comunicazione, tuttavia consente una maggiore libertà di linguaggio rispetto al sito web, che è ancora più uiciale. La creatività del blogger si esprime allora nello stile, nella creazione di contenuti di qualità in cui ad una buona penna si associa la corretta informazione archeologica. Da non sottovalutare, poi, l’uso delle immagini. Foto, vignette, graici, screenshot e altro, sono utili sia perché sono un ulteriore fattore di indicizzazione (sempre di più da quando c’è Pinterest), sia perché snelliscono la pagina rendendo più scorrevole la lettura. I rimandi interni poi, i link, sono fondamentali, e andrebbero aggiornati ogni volta, per consentire una lettura sempre più approfondita. Accanto alla homepage il blog può arricchirsi di paMapPapers - 17 gine di contenuti issi che completano l’oferta divulgativa 2.0 del museo. Archeotoscana per esempio ha un’area download in costante aggiornamento, nella quale di volta in volta vengono caricate schede e altro materiale didattico utile a preparare una visita nei musei toscani, ed ha una sezione, in via di implementazione, dedicata ai bambini. Accanto a queste, ha una pagina per ogni luogo dell’archeologia statale toscana, completa di scheda tecnica del museo/sito in questione e che funge da archivio per tutti i post dedicati a quel museo/sito. Non di solo blog vive l’archeoblogger (e il museumblogger) Oggi il blog da solo non si regge più, ha bisogno dei social network per far sentire la propria voce. Senza il passaggio sui social rischia invece di rimanere un’entità a se stante, tagliata fuori dalle conversazioni, dai dibattiti, in una parola dalla rete. Tutto deve essere messo in rete, e il blogger deve essere un vero social media strategist. La professionalità del blogger, archeoblogger o museumblogger che sia, deve andare ben oltre la pagina di Wordpress. Oggi un blog per vivere e per avere visibilità ha necessariamente bisogno di uno o più megafoni. Attenzione però, che lo scopo non è il blog, ma la totalità della comunicazione che si realizza. Se nel caso dell’archeoblogger lo scopo in efetti può essere la visibilità del blog, anche se io non sono d’accordo con questa visione, nel caso del museumblogger lo scopo non è il blog, ma tutto il sistema di comunicazione del museo attraverso la rete. I social network, che si tratti di facebook o di twitter, non devono solo pubblicare link al blog. Lo possono fare, ma non dev’essere l’attività preponderante. Allo stesso tempo i social network non sono soltanto luoghi in cui pubblicare brevi notizie sulle attività del museo: sono i luoghi in cui si stringono i rapporti, in cui si crea la rete. E come lo si fa? Innanzitutto conoscendo le caratteristiche di ciascuno dei social media che si intende attivare. Se l’archeoblogger può, anzi deve, permettersi il lusso di sperimentare i vari social network per capirne le caratteristiche, i linguaggi, per veriicare quali contenuti si adattano meglio, il museumblogger deve già aver acquisito queste competenze. Anche nella scelta e nell’utilizzo dei social network adeguati ci vuole una progettualità. E l’uso di un social network in modo sbagliato, o peggio ancora, abortito, da parte del museo è un biglietto da visita molto negativo. Se si guardano i social media si scopre che ognuno ha le sue caratteristiche, i suoi iscritti, e quindi si presta a determinati tipi di contenuti. Facebook è perfetto per le foto e per gli album fotograici, l’avviso e il racconto – fotograico o video - di eventi. Twitter è il luogo dell’informazione veloce, 140 caratteri in cui dev’essere espresso con chiarezza il messaggio che si intende difondere. È anche il posto dov’è più facile fare rete, soprattutto tra musei, e dove meglio si sviluppa la creatività. Facebook al contrario consente una maggiore partecipazione del pubblico a livello di organizzazione di eventi. Pinterest consente di creare gallerie di immagini che possono fungere sia Pag. 14 da visita virtuale della collezione del museo, che da approfondimento di determinati temi che, ancora da galleria di eventi; con Instagram si può decidere di creare un diario per immagini della vita del museo. Perché però abbia senso il lavoro di museumblogger occorre che il blog del museo e tutto il suo apparato social non rimangano elementi ini a se stessi racchiusi e isolati nel web. Perché questo lavoro abbia un’utilità è importante che non ci sia scollamento tra il museo reale e il museo in rete, ci sia collaborazione e coordinamento nelle attività: attività che possono anche nascere online e trovare compimento nelle sale del museo reale6. La mia attività come museumblogger ora sta virando in questa direzione, ovvero a cercare di trovare soluzioni di compenetrazione tra il museo reale e il museo “social”, cercando di realizzare una buona promozione e una buona comunicazione: perché il blog è un mezzo, non il ine; perché lo scopo del mio lavoro non è il blog, ma il museo. 6. Un esempio è il Martedì “Like” di Palazzo Madama Torino: iniziativa nata sulla pagina facebook del museo, consiste nel chiedere ai visitatori di farsi una foto con la manina del like di facebook; le foto vengono poi pubblicate sulla pagina del museo. Per quanto riguarda il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, per ora il museo ha aderito alla Giornata Nazionale delle Famiglie al Museo, promossa su internet, ed ha appena organizzato un’Invasione Digitale, evento che nasce e si sviluppa proprio sui social network. MapPapers -17 Pag. 15 Natural Data Fruition: an Interactive Bridge between Science and Humanities Niccolò Albertini, Daniele Licari, Andrea Brogni, Vincenzo Barone DreamsLab - Scuola Normale Superiore Piazza dei cavalieri, 7 - Pisa, Italy Abstract Scientiic data storage and manipulation are becoming more and more important, as well as the way researchers interact with them. Fruition, of course, is not only a visual act, especially when dealing with scientiic data, where the key point is letting the researcher understand and manipulate the data, test hypotheses and look for results. To this purpose, the interaction with the system becomes very important. DreamsLab is a Research Center of the Scuola Normale Superiore in Pisa, and it is a place where diferent research activities, in the ields of computational chemistry, bio-medicine and cultural heritage, are merged with the most innovative technologies for 3D visualizations and virtual reality applications. In this paper, we describe the results of some fruitful collaborations within the cultural heritage area, where the fruition of the scientiic data is made efective by natural interactions and immersive virtual environments. Introduzione Negli ultimi anni, la tecnologia si è sviluppata a velocità sempre maggiore, aumentando la sua difusione non soltanto in aree più abituate all’innovazione, ma anche nel nostro quotidiano. Dal punto di vista della ricerca, si sono aperte nuove possibilità per la gestione delle informazioni, aprendo a nuovi protocolli investigativi in diferenti campi. La produzione di sempre più complessi ed eterogenei dati scientiici ha reso necessario un ripensamento anche delle strategie di fruizione e manipolazione del dato stesso, cercando di ofrire al ricercatore nuovi strumenti non solo per visualizzare i dati, ma anche per accelerare il processo di comprensione, elaborazione e di attribuzione di signiicato ai dati osservati. Un esempio di innovazione è la visualizzazione 3D, che ha introdotto un nuovo elemento nel processo di osservazione, permettendo al ricercatore di percepire i dati in una maniera più naturale. L’ipotesi ricostruttiva di un sito archeologico o di un vaso, la struttura di una molecola o semplicemente una rappresentazione in tre dimensioni di una grandezza isica sono esempi di come una rappresentazione tridimensionale e graica possa aiutare nella comprensione del dato e nella comunicazione dello stesso al pubblico. MapPapers - 17 Chiaramente, la fruizione di un dato non è solo un atto visivo, specialmente quando trattiamo dati scientiici: il punto principale è sempre quello di permettere al ricercatore di capire e manipolare i dati, testando ipotesi e cercando risultati signiicativi: a questo scopo, il metodo di interazione diviene di fondamentale importanza. Negli ultimi anni, sono nati molti sistemi di interfacciamento uomo computer che, in modo eiciente, intuitivo e semplice, permettono un approccio verso i dati più naturale. La Realtà Virtuale è il campo applicativo che più di altri ha beneiciato di queste innovazioni, perché per sua stessa natura già prevede una visualizzazione tridimensionale e più naturale di un semplice monitor. Interazione naturale non signiica “interagire come fanno gli umani” o “imitare il mondo isico”, ma signiica progettare un tipo di interazione che sia invisibile ed eiciente per l’utente, nello speciico compito sul quale sta lavorando. Gesti e manipolazioni sono azioni che ogni giorno compiamo in modo spontaneo, e sono anche la migliore soluzione per alcuni tipi di interazione: trascinare un immagine su uno schermo touch, ruotare un oggetto 3D “aferrandolo” con le mani o “muoversi in una ambiente virtuale”. L’esperienza e l’abilità quotidiana nel compiere il medesimo gesto aiuterà sicuramente ad attuarlo in modo intuitivo ed eiciente anche in un ambiente virtuale. Il Centro DreamsLab Il Centro DreamsLab (Dedicated Research Environment for Advanced Modeling and Simulations) della Scuola Normale Superiore, in Pisa, è guidato dal Prof. Barone. Il centro ha due anime scientiiche, quella della chimica teorica e computazionale e quella della Realtà Virtuale, che insieme lavorano nella produzione e fruizione di contenuti scientiici e nella collaborazioni con ricercatori umanistici. L’attività di ricerca prevede lo sviluppo di sistemi general-purpose, che, nei diferenti campi di ricerca, possano essere utilizzati con mezzi di registrazione, immagazzinamento dati, analisi, conservazione e visualizzazione di dati dal contenuto più eterogeneo. La natura del dei dati e la loro origine determinano la struttura delle applicazioni di visualizzazione. Il centro dispone di sistemi immersivi quali Oculus Rift, una teca per ologrammi, tavoli touch, monitor 3D ed un CAVE, una stanza di 3x3x3 m3, retroproiettata sulla parete frontale, le due laterali ed il pavimento, che, con l’uso di sensori ed occhialini speciali, permette un immersione totale nella ambiente virtuale stereoscopico. Sistemi innovativi di motion capture garantiscono interazioni di tipo naturali. All’interno del gruppo vi sono competenze sia artistiche che tecniche, che coprono i vari aspetti di un applicazione di RV interattiva, quali la graica 3D, gestione database, modellazione, deinizione e progettazione di interfacce ed usabilità. I database e le simulazioni computazionali vengono sviluppate da un gruppo di High Performing Computing (HPC) del DreamsLab, gestendo un centro di calcolo all’avanguardia composto da 115 nodi computazionali. Pag. 16 Realtà Virtuale e Beni Culturali La ricostruzione virtuale 3D dell’Agora di Segesta Realtà Virtuale (RV) e Beni Culturali (BC) sono due mondi che spesso si sono trovati in contatto negli ultimi anni, creando progetti molto utili ed interessanti, ma non sempre sfruttando al meglio i vantaggi di una collaborazione così creativa. L’abitudine alle tecnologie più avanzate, quali smartphone, tablet o cinema 3D, ha sviluppato un utenza abituata a vedere e manipolare informazioni graiche interattive nelle attività quotidiane, e quindi è stato naturale pensare ad un passaggio non solo in musei e mostre, ma anche tra chi la ricerca la pratica sul campo. Il livello di collaborazione tra RV e BC è aumentato in modo consistente, portando ad una completa e fruttuosa sinergia tra i due mondi. Le idee nascono da questa forte collaborazione, ed il dialogo interdisciplinare permette ha permesso lo sviluppo di applicativi sempre più innovativi ed eicienti. Da un lato gli esperti di BC mostrano i limiti delle attuali tecniche di ricerca, delimitandone i limiti e le necessità per un passo ulteriore, e dall’altro i ricercatori di RV possono ofrire soluzioni tecnologiche, che aiutano senza imporsi, e sono stimolati nello sviluppare nuove tecnologie efettivamente utili alle necessità richieste. In quest’ottica, il centro DreamsLab si pone come collettore di queste competenze, ofrendo le più avanzate soluzioni di visualizzazione e manipolazione di dati scientiici, non solo nella chimica e nella bio-medicina, ma anche nel campo dei BC, sempre in stretta collaborazione con la controparte umanistica. Di seguito, proponiamo una rivista di signiicative collaborazioni del gruppo, che hanno portato a sistemi innovativi ed esempliicativi della forte sinergia in atto con la componente umanistica. Nell’ambito della collaborazione con il Laboratorio di Scienze dell’Antichita’ (LSA) della Scuola Normale Superiore di Pisa e Università di Pisa, è stato sviluppato un ambiente virtuale immersivo dedicato allo studio delle ricostruzioni dell’Agorà di Segesta. L’applicazione sviluppata consente di immergersi all’interno dell’Agorà apprezzandone i vari dettagli, in modo da poterla ammirare così come si presentava in età Ellenistica. Il DreamsLab si è occupato inoltre della visualizzazione del modello e della sua fruizione sia su monitor 3D che all’interno del CAVE. Una volta ottenuto il modello dell’Agora si è provveduto a realizzare il contesto. Partendo da foto reali, si è riusciti ad ottenere 6 immagini che rappresentano il paesaggio circostante; queste immagini sono state usate per creare la “skybox” all’interno dell’ambiente virtuale. Un’ulteriore ricostruzione è stata fatta sul territorio collinare circostante, popolato di alberi e vegetazione; grazie all’impianto audio spazializzato è stato possibile riprodurre i suoni naturali dell’ambiente circostante. Ottenuti i dati della ricostruzione in maniera più fedele possibile si è passati all’importazione su Game Engine Unity 3D, creando un ambiente virtuale che si interfacciasse con strumenti molto diversi tra loro e visibile su vari dispositivi, quali il CAVE, la teca per ologrammi e Oculus Rift . In particolare per il CAVE si sono sviluppate delle metafore di interazione più naturali possibile. L’utente si muove all’interno del CAVE partendo dal centro e camminando verso i lati; questo movimento è trasposto nell’ambiente virtuale grazie ad un tracker ad ultrasuoni montato sugli occhialini 3D; in MapPapers - 17 Pag. 17 questo modo si ha una naturale interazione con l’Agorà, in cui è possibile camminare come se si fosse nell’età ellenistica. Con questo tipo di applicazione si può letteralmente navigare nello spazio e nel tempo, osservando l’Agorà in tutta la sua grandezza e attraverso le sue evoluzioni nel tempo. All’interno di uuna teca olograica è stata sviluppata un’applicazione di realtà aumentata dove sono stati messi a confronto il modellino stampato in 3D dell’agorà e le informazioni virtuali, che comprendono sia la ricostruzione 3D che l’acquisizione 3D fatta sul luogo dello scavo. Oltre che fare un confronto si può quindi interagire con i dati visualizzati, selezionando quelli che interessano di più. La visualizzazione non è quindi ine a se stessa, ma entra nel processo costruttivo e di veriica delle ipotesi scientiiche. System to Integrate Art and Science: database eterogeneo per Beni Culturali Le attività di studio e di salvaguardia del patrimonio culturale hanno una spiccata natura multidisciplinare ed interdisciplinare, nella quale conluiscono costantemente competenze ed informazioni eterogenee provenienti sia da settori scientiici che umanistici. Purtroppo l’integrazione di dati eterogenei e l’interazione tra le diferenti unità che lavorano alla manutenzione e prevenzione del patrimonio culturale non sono semplici e immediate. In questo contesto e’ stato sviluppato un nuovo strumento informatico lessibile di consultazione, gestione delle scelte conservative, analisi scientiiche ed interventi di restauro in grado di attuare meccanismi per la gestione collaborativa e la condivisione della conoscenza attraverso le più recenti tecnologie di realtà virtuale ed aumentata. Il sistema, chiamato SIAS (System to Integrate Art and Science), consente ricerche incrociate a più livelli sugli artisti, sulle opere, sui materiali, sulle scelte conservative, sulle analisi scientiiche, sulle strutture molecolari e sui pigmenti e permette una continua immissione di nuovi dati da parte dei restauratori, dei funzionari dei musei, storici, esperti e scienziati che studiano una particolare opera od uno speciico materiale. La piattaforma SIAS presenta un’interfaccia di facile accesso e comprensione per le varie categorie di utilizzatori, ofrendo la possibilità d’interazione diretta con le opere. Per sempliicare lo studio e l’analisi di dati scientiici, gli utenti di SIAS possono avvalersi di strumenti graici integrati che permettono la visualizzazione e manipolazione di dati spettroscopici e strutture molecolari. Il sistema consente di acquisire, visualizzare e manipolare modelli tridimensionali provenienti da scanner 3D o da software di modellazione. Grazie ad un avanzato software per la realtà virtuale (RV), sviluppato dai ricercatori del centro, le informazioni virtuali (modelli 3D) e reali (metadati e analisi su un’opera) possono essere visualizzate contemporaneamente e comparativamente in un ambiente virtuale interattivo. MapPapers - 17 Sistemi interattivi per la tutela e la diagnostica dei beni culturali Lo sviluppo di sistemi avanzati dedicati alla gestione, tutela e valorizzazione del Patrimonio Culturale è una delle attività principali del centro. Si sviluppano, in particolare, modelli di simulazione computazionale per interpretare i dati sperimentali relativi a sistemi chimici esistenti, predire proprietà di sistemi molecolari e progettare nuovi sistemi chimici con speciiche proprietà chimico-isiche. Tali sistemi sono estremamente funzionali alla progettazione razionale degli interventi di restauro e di conservazione, nella caratterizzazione analitica e nell’interpretazione dei dati strumentali (ad es. spettroscopici) relativi a materiali complessi. La diagnostica del patrimonio culturale si basa in buona parte su tecniche spettroscopiche. In tale contesto è stato sviluppato un vero e proprio laboratorio virtuale di spettroscopia, detto VMS (Virtual Multi-frequency Spectrometer), un sistema in grado di fornire all’utente un ambiente completo per l’analisi di diferenti tipi di spettroscopie computazionali e sperimentali facilmente accessibili anche ai non specialisti. Nei Beni Culturali, VMS è utilizzato per lo studio dei fattori ambientali responsabili dell’invecchiamento e dei cambiamenti cromatici di antichi pigmenti, nella pianiicazione di interventi di restauro e nell’interpretazione dei dati sperimentali mediante confronto con dati computazionali. Caverna dell’Antimateria DreamsLab ha partecipato al progetto CoPAC (Conservazione Preventiva dell’Arte Contemporanea), dedicato all’acquisizione di una visione globale degli aspetti materici della pittura contemporanea per quanto attiene sia la sua costituzione sia i fenomeni di degrado che solitamente la interessano, allo scopo di sviluppare conoscenze e strategie utili alla sua conservazione che risultino funzionali alla sua valorizzazione, con particolare attenzione alle realtà presenti in Toscana. Fra le opere studiate nell’ambito di tale progetto, la Caverna dell’Antimateria del pittore piemontese Pinot Gallizio (1902 - 1964) è stata selezionata per una ricostruzione virtuale. La Caverna è un’installazioneambiente di grandi dimensioni composta da dieci tele in tecnica mista. Esposta solo per brevi periodi, non ha un’installazione issa. La disposizione delle tele e la percezione originale dell’opera sono ancora oggetto di discussione. L’applicazione virtuale per il CAVE consente di fruire l’opera in maniera naturale e di valutare le ipotesi di allestimento e percezione, stando completamente immersi nella sua rappresentazione tridimensionale. L’utente entra dotato di un tablet che gli permette di cambiare dinamicamente la disposizione delle tele e delle luci, il tipo di materiale e il colore delle luci. L’interazione con l’ambiente virtuale avviene trasponendo fedelmente nello spazio simulato i movimenti naturali del corpo associati all’azione del camminare. Pag. 18 Ipotesi ricostruttive di manufatti e loro contestualizzazione Nell’ambito di una collaborazione con l’Università degli Studi di Firenze, sono state utilizzate innovative tecnologie digitali per presentare per la prima volta al pubblico una eccezionale collezione di ceramiche argentate Etrusche sita nei magazzini del Museo Archeologico Nazionale di Firenze. La collezione è composta da reperti di straordinario valore, ma che, a causa del precario stato di conservazione in cui versano a seguito dell’alluvione del 1966, non sono fruibili al pubblico e sui quali i tradizionali metodi di restauro non possono essere praticati senza incorrere in operazioni di alto rischio per il manufatto stesso. Sono state impiegate le nuove tecnologie virtuali per ricostruire virtualmente sia la geometria dei manufatti che il rivestimento argentato, determinato dalle analisi chimiche. Il restauro virtuale è stato eseguito partendo da frammenti di ogni singolo reperto ed i manufatti restaurati saranno presentati al pubblico attraverso applicazioni di realtà virtuale. Un’operazione simile è stata fatta per la ricostruzione e contestualizzazione storica di alcuni sigilli documentari di età Ellenistica, provenienti dal sito di HaMapPapers - 17 gia Triada. I sigilli, ricostruiti virtualmente, sono stati collocati in un’ambiente virtuale storico totalmente ricostruito, in modo da avere informazioni sui reperti in un contesto attinente. Tramite applicazioni interattive 3D che ricostruiscono il sito di Haghia Triada sotto diversi punti di vista (ambiente interno ed esterno, sigilli documentari), è possibile avere una panoramica completa della storia passata di questo scavo. In primo luogo sono state fatte una serie di scansioni con laser scanner 3D dei sigilli documentari conservati in due musei italiani (Museo Archeologico di Firenze, Museo Pigorini di Roma). Dopo la geometria si è passati alla fase di acquisizione del colore, acquisendo immagini dei manufatti, poi allineate con la geometria. Per la struttura delle stanze ci si è basati direttamente sulle piantine di scavo mentre per sofitti, inissi, porte, e tutte le parti che non erano più presenti si è fatto aidamento su reperti simili nel resto dell’ediicio. Attraverso il confronto fotograico con le foto reali di scavo è stato possibile deinire l’aspetto delle pareti e dei pavimenti. Oltre alla struttura, abbiamo ricostruito gli oggetti presenti all’interno delle stanze e la loro disposizione. Alcuni elementi, come le tavolette di argilla, sono stati Pag. 19 creati utilizzando foto di oggetti reali, per aumentare l’accuratezza della ricostruzione. Inoltre, per arricchire la comprensione del contesto, abbiamo ricreato il paesaggio che circonda l’esterno dell’ediicio. Una volta che i modelli 3D sono stati elaborati, si è proceduto a costruire l’applicazione interattiva. L’esplorazione dell’ediicio è dinamica: l’utente può navigare attraverso le stanze ricostruite e può interagire con gli oggetti semplicemente avvicinandosi, ottenendo informazioni aggiuntive ed immagini relative ai reperti reali. MapPapers - 17 Tavolo virtuale di lavoro La collaborazione con il Museo Nazionale di San Matteo di Pisa riguarda lo sviluppo di vari tipi di applicazioni interattive dedicate all’analisi delle opere e al supporto alle attività di restauro. L’applicazione dedicata al supporto, la cui interfaccia graica sarà progettata appositamente per essere impiegata su schermi multi-touch di grandi dimensioni, consentirà al restauratore di analizzare e confrontare fotograie relative alle diferenti fasi di restauro di un’opera d’arte. In particolare, il restauratore potrà maniPag. 20 polare in maniera naturale un insieme di fotograie, aiancarle con precisione e sovrapporle in trasparenza. Avanzate modalità di manipolazione consentiranno inoltre di allineare con precisione i vari contenuti, bloccare la cornice esterna dell’opera in modo da poterne ingrandire liberamente il contenuto, sul quale potranno essere facilmente aggiunte annotazioni graiche e testuali. Sia le opere che le relative annotazioni verranno memorizzate in una apposita base di dati, in modo da mantenere uno storico dell’attività di restauro e da poter reperire e modiicare tali dati anche da altre applicazioni, correlando dati di natura diversa. L’impiego di uno schermo multi-touch di grandi dimensioni e di una innovativa interfaccia graica appositamente progettata, consentiranno a più utenti di interagire contemporaneamente con il sistema, in maniera naturale ed intuitiva. Conclusioni Tecnologie innovative e beni Culturali sono ormai compagni di lavoro in moltissime delle fasi di ricerca, dalla deinizione delle campagne di scavo e la ricostruzione dei siti archeologici, alle analisi ed il restauro di dipinti e manufatti, ino alla gestione dei dati raccolti ed alla loro visualizzazione. DreamsLab si pone come soggetto fortemente attivo in questo processo, ofrendo competenze trasversali che ben MapPapers - 17 si coniugano con le componenti umanistiche nelle varie collaborazioni e progetti. L’idea di base di questo articolo è stata quella di mostrare, tramite la descrizione di fattive e fruttuose collaborazioni, mostrare come sia possibile unire questi due mondi, progettando soluzioni applicative che si pongono all’avanguardia nel panorama della ricerca. La Realtà Virtuale e la visualizzazione 3D permette una fruizione dei dati completamente nuova rispetto al passato, ed, unita alle indicazioni ed alle necessità degli esperti umanistici, sta rivoluzionando il modo di difondere i risultati della ricerca, sia tra chi lavora nel settore che tra il pubblico, sempre più incline ed abituato all’uso di nuove ed interattive tecnologie. Bibliograia alBertini n., Barone V., leGnaioli S., licari d., taccola e., BroGni a. 2013, The Agora of Segesta in immersive virtual environments, 6th International Congress “Science and Technology for the Safeguard of Cultural Heritage in the Mediterranean Basin“, Athens alBertini n., JaSinK a.M., Montecchi B. 2013, Digital acquisition and modeling of the Minoan seals and sealings kept in two Italian Museums, CHNT 18, Vienna licari d., dioniSio G. 2013, Silvered ceramics in the National Archaeological Museum of Florence: virtual technologies in analysis and restoration, CHNT 18, Vienna Pag. 21 “Il marinaio spiegò le vele al vento, ma il vento non capì”. Riportare la divulgazione scientiica in Università. Claudio Benedetti Laboratorio di Cultura Digitale università di Pisa Abstract: The mediatic power of technology has lead to a wide diffusion of scientiic divulgation. However, over the last 20 years, academic research has lost its leadership in divulgation, as it has been substituted by the press and the television. This led to the realization of enjoyable and easily accessible products which often privilege the impact of the history and the images rather than the contents, in order to be proitable. Innovative channels and editorial possibilities now available allow the research centres, with the aid of multimedia experts, to create effective and independent communication systems. A possible work-low for the creation of an autonomous system of scientiic divulgation, developed by the Laboratorio di Cultura Digitale of the Università di Pisa, will be illustrated. The presented project is adaptable to every single research experience; it starts with a public presentation, followed by the collection of multimedia data with the creation of an archive. All the collected material may be used for divulgation, for peer reviewed scientiic communication and may have a commercial application, e.g. in the tourism sector, allowing to attract potential sponsors. La forza mediatica della tecnologia e la necessità di soddisfare ogni possibile interesse umano, contemporaneamente alla quasi scomparsa della televisione generalista, hanno portato alla necessità di trasformare anche la divulgazione scientiica in un prodotto vendibile. Questo ha però comportato un evidente crollo della qualità dei contenuti. La Ricerca ha gradualmente perso autorità nel settore, trovandosi a confrontarsi alla pari con programmi televisivi, fatti sulla base del sensazionalismo. Partendo dalle prime grandi Esposizioni Universali, nate sull’ottica dell’esaltazione del potere della scienza, passando per Jules Verne e arrivando a Peter Kolosimo, si può osservare come la scienza e il mercato della letteratura fanta-divulgativa si sono sempre incontrati. Ma è solo da quando le masse hanno iniziato ad avere la possibilità di accedere a grandi quantità di informazioni, determinando al contempo la creazione di un importante mercato, che si è asMapPapers - 17 sistito ad una produzione industriale di prodotti di divulgazione scientiica. Si può afermare che, sebbene la divulgazione commerciale sia sempre esistita, in precedenza abbia goduto di una difusione assai minore di oggi. Tuttavia, la ricerca ha perso il primato di divulgatore. Questo è avvenuto principalmente per l’impossibilità di reggere il divario dei mezzi e il know how a disposizione, ma anche per non aver rivendicato il posto che le spetta nella divulgazione. Infatti, negli ultimi vent’anni, la ricerca universitaria ha delegato la divulgazione a strutture esterne come riviste e televisioni. Questa scelta ha portato alla realizzazione di ottimi prodotti di divulgazione, anche se per quanto riguarda la televisione, va precisato che in Europa la qualità è più elevata nei prodotti delle televisioni pubbliche, piuttosto che in quelle gestite da privati. La gestione imprenditoriale aggressiva dei produttori privati ha puntato sopratutto su prodotti facilmente commerciabili che si propongono più come interpreti della fonte primaria che non come agglomerato di fonti, privilegiando l’impatto della storia e delle immagini che la raccontano piuttosto che il valore contenutistico. Il risultato è, ovviamente, un prodotto piacevole per un grande pubblico, godibile e di facile consumo per chi ne usufruisce, ma specialmente è un prodotto riproducibile in serie e conseguentemente redditizio per chi lo produce. Demandare l’aspetto della divulgazione è ha fatto sia che questa sia stata sottoposta alle esigenze commerciali, come i tempi televisivi o le restrizioni tecniche dell’editoria privata. Ma non solo, ha completamente estromesso la ricerca dai ricavi del mercato della divulgazione, lasciando però gli oneri dei costi di ricerca. Nel 2014 abbiamo a disposizione canali di informazione e possibilità editoriali impensabili anche solo 5 anni fa. Le Università e i centri di ricerca possono ora creare dei sistemi comunicativi autonomi e realmente eicaci, indipendenti dalle necessità del mercato e quindi gestibili seconde le reali esigenze della ricerca. Non è necessario, e in alcuni casi, a seconda dell’argomento trattato e del target, nemmeno utile, inserire tutte le ricerche in un sistema autonomo di divulgazione. Ma chi fosse interessato, ha le condizioni per poter creare un proprio sistema. L’esperienza accumulata dal Laboratorio di Cultura Digitale dell’Università di Pisa, ha permesso di sviluppare un possibile work-low di lavoro per la creazione di un sistema autonomo di divulgazione scientiica. L’‘idea che si possa divulgare più o meno autonomamente il proprio lavoro non è esente da costi e investimenti e non va intesa come un metodo a costo zero per aumentare la propria visibilità o i propri proitti. È infatti necessario integrare o aiancare una igura speciica alla ricerca, una igura professionale che sappia tradurre la ricerca in un linguaggio comprensibile dagli utenti. Aiancato da un comparto di produzioni multimediali, il gruppo di ricerca può tradurre il proprio lavoro in un prodotto dall’immagine concorrenziale ma con il rispetto dei proprio contenuti, riafermando la propria autorità in questo settore. Pag. 22 È interessante notare che diverse università e istituzioni stanno creando canali autonomi di comunicazione, sfruttando piattaforme dedicate7. Il problema principale è la creazione di format godibili dal pubblico che possano essere difusi su canali ampiamente frequentati. I primi esperimenti sono stati eseguiti o da singoli pionieri8 o da collaborazioni tra sponsor tecnici e università9; attualmente un certo grado di autonomia nella divulgazione e la capacità di divulgare iniziano ad essere richieste come capacità lavorativa ed inserite nelle voci del curriculm vitae. La ricerca sulla comunicazione scientiica del Laboratori di Cultura Digitale, ha avuto come focus principale una divulgazione legata alle materie umanistiche, pertanto questa presentazione sarà improntata su questo settore. Il video che viene presentato narra un progetto ideale, poiché non si basa sulla speciicità della ricerca ma sull’applicazione di metodologie di lavoro. La prima fase di questo procedimento nasce insieme alla ricerca e inizia dall’individuazione di un pubblico a cui presentarsi, spiegando di cosa tratta la ricerca mediante la realizzazione di video introduttivi, poster, infograiche o testi facilmente comprensibili, mostrando sin da subito un’apertura nei confronti del pubblico. Successivamente sarà necessario raccogliere materiali nel corso del progetto e difonderli adeguatamente, ovviamente senza rivelare dati sensibili per la ricerca (es. metodologia di lavoro, anche con funzione didattica, presentazioni a convegni...). La raccolta funziona da archivio che però deve essere già pensata in funzione divulgativa. Alla ine del processo tutto il materiale raccolto potrà essere usato sia per la divulgazione che per la comunicazione scientiica peer reviewed tra gruppi di ricerca Inoltre i prodotti divulgativi possono avere un facile risvolto commerciale nel turismo, potendo anche così attrarre potenziali sponsor. Va però sottolineato la fondamentale importanza di adattare questo processo e la sua relativa divulgazione a ogni singola esperienza di ricerca. 7. https://itunes.apple.com/it/institution/oxford-university/ id381699182; http://www.ted.com/ 8. http://www.historycast.org/ 9 https://www.youtube.com/watch?v=jbkSRLYSojo MapPapers - 17 Pag. 23 Racconti dalla terra. L’archeologia fra linguaggi, creatività e tecnologie. Giuliano De Felice Abstract: Archaeological storytelling is a complex operation because there are many diferent ways to do archaeology and many possible languages that can be used to describe them. Nowadays, in archaeological communication the connection with the deep roots of the discipline (the process from analysis to synthesis and from interpretation to reconstruction) often remains unexpressed. New elements such as a conscious use of technology, the accuracy of the contents and the involvement of the public are strongly needed to achieve new forms of archaeological storytelling and trigger new opportunities of development for the entire sector of cultural heritage. But above all it is mandatory for archaeologists to recuperate their right to tell their own stories. «rendere semplice ciò che è complesso, continuo ciò che è lacunoso, completo ciò che è parziale … questo è il modo di invogliare il pubblico … ad avventurarsi nel mondo antico… » (c arandini a. 2012: 25). 1. Raccontare l’archeologia è un’operazione complessa: esistono infatti tanti modi diversi di fare archeologia, e tanti sono i linguaggi possibili per descriverli. Anche nelle scienze umanistiche, proprio come avviene nel momento in cui si tenta di comunicare i temi di una qualsiasi disciplina scientiica, la principale diicoltà risiede nella necessità di declinare i contenuti secondo modalità che risultino tanto corrette scientiicamente quanto accattivanti per un pubblico eterogeneo, quasi sempre distante culturalmente dalle speciicità del dominio di conoscenza. Nel caso speciico dell’archeologia, questa necessità signiica istituire un legame fra la componente scientiica e quella pubblica disegnato sulla disciplina stessa, inalizzato cioè a valorizzare verso il futuro la matrice profonda di quel processo di analisi-sintesiinterpretazione-ricostruzione che è la ragion d’essere dell’archeologia da sempre. Se è vero che il narratore prende ciò che narra dalla sua esperienza e lo trasforma in esperienza di quanti lo ascoltano, riuscire a trasformare i contenuti scientiici nei protagonisti di una narrazione costituisce una vera e propria sida, cui è possibile rispondere eicacemente non solo mettendo in campo tecnologie di comunicazione che propongano forme di interazione innovative e dense (dalla visualizzazione alla socializzazione), MapPapers - 17 ma soprattutto rendendo protagonista un’idea e i suoi possibili sviluppi, ragionando cioè su soggetto, sceneggiatura, temi e contenuti. Solo così è possibile valorizzare adeguatamente, all’altezza delle attese difuse nel sociale, l’enorme potenziale espressivo di una disciplina scientiica moderna come l’archeologia: svincolandola dai canoni attualmente dominanti, che preferiscono utilizzare gli stilemi del mistero o della contemplazione; l’idea ‘mitica’ dell’antichità che pervade la comunicazione e la divulgazione dei beni culturali, dalle didascalie dei musei alle produzioni televisive, ripropone infatti un’idea antiquata del passato, che sembra suggerire come principale forma di interazione ancora e solo la contemplazione. Negli anni recenti l’avvento e la deinitiva consacrazione delle tecnologie digitali come punto di riferimento indiscusso in tutto ciò che riguarda la comunicazione dei beni culturali ha in molti casi paradossalmente approfondito queste problematiche, proponendo spesso una sorta di ‘neoclassicismo virtuale’ (de Felice G. 2012), in cui ad esempio la valorizzazione del patrimonio archeologico è identiicata tout-court con la sua spettacolarizzazione, che spesso altro non è che una versione tecnicamente evoluta del solito meccanismo di contemplazione, in cui all’ammirazione per le ricostruzioni del passato si è facilmente sommata quella per le potenzialità visive delle tecnologie digitali, considerata la perfezione formale che oggi la visualizzazione digitale è in grado di realizzare. La non completa interazione fra tecnologie e dominio anche nel campo della comunicazione è una delle conseguenze della lunga stagione ‘positivista’ dell’interazione fra archeologia e informatica. L’approccio sostanzialmente ‘technology driven’ (de Felice G. 2012) da un lato ha imposto una vertiginosa crescita metodologica, ma dall’altro non ha saputo integrare e far dialogare le ICT con la radice profonda dell’archeologia (de Felice G. 2008; de Felice G., VolPe G., SiBilano M. G. 2008; Valenti M.2009). 2. Un uso più consapevole delle tecnologie è solo uno di una serie di elementi da tenere in considerazione nella ricerca di una metodologia per lo storytelling archeologico, elementi riguardanti lo statuto scientiico della disciplina, il coinvolgimento del pubblico (e non solo), ma soprattutto la capacità di proporre un racconto (VolPe G., de Felice G. 2014). Ogniqualvolta si intraprende la realizzazione di un progetto di comunicazione in archeologia la prima domanda da porsi dovrebbe essere “che cosa possiamo raccontare?” In questa maniera, da archeologi, possiamo cominciare a riappropriarci delle peculiarità del nostro dominio di conoscenza, e a fare nostra quella sida di rappresentazione e ricostruzione del grande viaggio dell’archeologia nel tempo e nello spazio che costituisce il ine ultimo del nostro lavoro, ma che troppo spesso tendiamo a racchiudere nella sola sfera della ricerca, sottraendolo al resto del mondo. E’ da questo punto di vista che abbiamo iniziato le attività del Laboratorio di Archeologia Digitale ormai quasi 10 anni fa. Erano gli anni in cui dilagavano il 3D Pag. 24 e la ricerca del realismo, e di conseguenza l’attenzione era concentrata sulla tecnologia, sulla tecnica, sul virtuosismo graico che sembrava una risposta eicace e suiciente a descrivere il tema della ricostruzione del passato e della sua visualizzazione (Barcelò J.a. 2001). Da subito infatti le tecnologie digitali sono state impiegate per le loro capacità evocative, trascurando spesso di accordare i linguaggi e l’espressività dei modelli ricostruttivi con le radici dell’archeologia, le sue istanze metodologiche, i suoi linguaggi, le sue inalità (Barcelò J.a. 2009). Di conseguenza proprio a causa di questo nesso mancante, il soggetto di ogni ‘ricostruzione virtuale’ è stato spesso identiicato nella visualizzazione del dualismo monumento/ricostruzione. Un dualismo che, da archeologi, ciascuno sa non esistere, dal momento che all’unicità dello ‘stato di conservazione attuale’ (di un sito, non di un monumento) corrispondono, secondo un’alternanza al tempo stesso logica ed astratta, numerose fasi di vita e molteplici possibili anastilosi. La nostra decisione allora fu di provare a raccontare questa complessità mettendo in evidenza le side dell’archeologia, usando come sperimentazione una delle tante archeologie possibili, quella del ‘metodo della stratigraia’ (Manacorda d.2008), cercando di rendere visibili e coinvolgenti le sue diverse componenti: • l’esistenza di una documentazione parziale (lacunosità): nell’archeologia stratigraica esiste una forte cesura fra le tracce residue degli oggetti ed il loro aspetto e funzione originari. Nessun elemento è utilizzabile attraverso un semplice rilievo del suo stato di conservazione, ma richiede un’elaborazione ricostruttiva mediata fra attendibilità e istanze di comunicazione che ne restituisca un’immagine comprensibile. • la possibilità di giungere solo ad ipotesi (astrazione), considerato che la lacunosità della base di conoscenza implica l’impossibilità di giungere a risultati certi e di proporli per la fruizione. • i molteplici rapporti fra fonti e interpretazione (complessità); diversi tipi di oggetti (stratigraie di accumulo, negative e murarie, reperti, ecc.) richiedono metodi e tecniche di elaborazione diferenti, che rispettino da un lato il valore scientiico e dall’altro ne permettano la fruibilità. • il tempo come un elemento fortemente caratterizzante (diacronia): la sovrapposizione topograica non è di per sé sinonimo di identità di forma e funzione e la dimensione temporale richiede l’elaborazione di una strategia di comunicazione in grado di esprimerla in modo adeguato. • procedure di indagine composte da metodi vecchi e nuovi (metodologia di dominio): la quantità e la qualità degli elementi che strutturano il sistema di conoscenza è espressione diretta delle metodologie e delle tecniche impiegate durante le fasi di analisi ed elaborazione, che costituiscono un elemento del sistema stesso. MapPapers -17 Quando abbiamo realizzato il nostro primo progetto, la TimeMachine (de Felice G. 2012), l’intento era esattamente quello di provare a non accettare il dualismo monumento/ricostruzione come scopo del nostro lavoro, e di costruire invece un racconto che rendesse protagonista la natura stessa del lavoro dell’archeologo, convinti che in questo modo si potesse interessare il pubblico e trasmettere messaggi corretti e accattivanti. La stessa scelta di utilizzare la tecnologia della realtime animation (che probabilmente oggi non rifaremmo) è stata la risposta alla ricerca del linguaggio più adatto a consentire la fruizione in prima persona di dimensioni fortemente virtuali e immaginarie: le ricostruzioni ovviamente, ma anche lo spazio della documentazione delle piante di strato e di fase, oggetti appartenenti ad una dimensione surreale che non è fruibile se non in uno spazio virtuale (Manacorda d. 2007: 102). In questo modo la tecnologia si riduce ad un veicolo, utile perché in grado di trasportare adeguatamente un messaggio scelto dagli esperti, ma reso comprensibile al pubblico vasto. Nella TimeMachine non c’è un’operazione di storytelling vera e propria, ma piuttosto un matching fra linguaggi espressivi e tecnologie, inalizzati alla trasmissione di un’idea narrativa: la complessità del lavoro dell’archeologo sul campo. Una possibile declinazione dell’incontro fra tecnologie (di produzione ed erogazione) di linguaggi (espressivi e di dominio) e di creatività. Questa stessa idea-guida è stata alla base di progetti portati avanti negli anni successivi: progetti completamente diversi di comunicazione archeologica ma sempre elaborati con una metodologia partecipata. Una vera co-creazione di contenuti fra i diversi tecnicismi, ovvero una forma di interazione densa e potente fra saperi e competenze, in grado di produrre un lusso di lavoro eiciente ma soprattutto condiviso, da intendersi come il superamento della logica multidisciplinare che spesso prende la forma banale della giustapposizione di saperi. Questa metodologia di co-creazione ci ha portato in anni più recenti a raccontare il diicile museo di Palazzo Branciforte a Palermo (VolPe G., SPataFora F. 2012), pieno di reperti apparentemente muti, operando delle scelte coraggiose in termini di stile, di immediatezza d’uso, di linguaggi semplici e a volte ironici (de Felice G. 2013a). Recentemente questa metodologia ha trovato la sua sistematizzazione conluendo nella realizzazione del progetto Living Heritage, primo LivingLab per le ICT applicate alla narrazione dei Beni Culturali (de Felice G. 2013b; de Felice G., SantaceSaria V. 2013), inanziato con un recente bando promosso dalla Regione Puglia (www.livinglabs.regione.puglia.it) in cui stiamo collaborando con una rete di imprese per la realizzazione di un progetto pilota, il cui ine ultimo è la realizzazione di una NewCo. che possa ereditare le competenze di quanti hanno lavorato con il Laboratorio e trasformarle in un’idea di business. Ci ha stupito non poco vedere che quanto avevamo creato, un laboratorio in cui l’energia creativa fosse generata da un continuo lusso di creatività e da diverse competenze, somigliava ad una metodologia già applicata da anni ad ampi settori del design industriale. Pag. 25 3. Se le attività sviluppate in questi anni in Laboratorio ci hanno portato a sviluppare alcuni dei temi possibili che ruotano intorno alla questione centrale del nostro discorso (come fare storytelling in archeologia?) alla ine di questo ragionamento rimane però ancora aperto un interrogativo importante: perché lo storytelling in archeologia? Introdurre i concetti di conoscenza, linguaggi e creatività nel campo della valorizzazione dell’archeologia costituisce un imperativo di estrema importanza per una svariata serie di motivi. Innanzitutto rinnovare la comunicazione dando importanza alle storie vuol dire contribuire a rinnovare in toto il modo di fare archeologia che oggi è tutto orientato alla ricerca e collegare le vigenti teorie di complessità e globalità con la funzione sociale verso il grande pubblico. Perché dovrebbe essere considerato un problema non secondario che se da un lato il dibattito scientiico-metodologico oscilla fra diverse prospettive per la deinizione dell’archeologia del futuro fra ‘globale’ (Mannoni t. 1997, Manacorda d. 2004 e 2008), ‘globale dei paesaggi’ (VolPe G. 2008), ‘della complessità’ (BroGiolo G. P. 2007), quello che arriva al grande pubblico è ancora sostanzialmente un messaggio di tipo antiquario che segue approcci superati a dir poco da decenni nell’ambito della MapPapers - 17 ricerca. L’archeologia ha imparato molto dalle hard sciences e dalle scienze naturali. Ma uno dei tasselli mancanti per la deinizione di archeologia come disciplina pienamente scientiica rimane una moderna componente divulgativa che la porti al livello di altre discipline (altrettanto e forse più complesse) in cui la tradizione della comunicazione con il vasto pubblico è impostata su basi molto più moderne e mature. Immaginare una nuova modalità di valorizzazione dei beni culturali attraverso il racconto signiica necessariamente anche rinnovare la formazione universitaria, secondo criteri diversi dalla proliferazione di corsi e presunte specializzazioni, ma inserendo la comunicazione e le sue tecniche (e non le tecnologie come si fa ora) nei corsi di laurea e specializzazione come parte integrante di percorsi di formazione che siano da subito profondamente professionalizzanti. Non è più il caso di farsi illudere dalla possibilità di creare igure di archeoinformatici o altre igure tecniche di cui ormai è provata l’inutilità sul mercato del lavoro. Costruire nuove modalità di valorizzazione vuol dire inine anche e soprattutto poter utilizzare diverse professionalità già esistenti e realizzare nuove possibilità immediate di sviluppo ed occupazione. Non Pag. 26 possiamo infatti certo aspettare una nuova riforma che ci porterebbe a dover aspettare altri dieci anni per vedere i primi efetti: di questo passo fra dieci anni l’archeologia italiana sarà sparita, e non parlo di muri crollati e afreschi rubati, ma del dissolvimento di una intera generazione di archeologi. Io sono personalmente convinto che, al di là di un legittimo riconoscimento professionale, il settore della comunicazione possa ofrire agli archeologi la possibilità di impiegare le proprie competenze, ad esempio mettendoli nella condizione di partecipare attivamente alla co-creazione e della co-progettazione dei prodotti di comunicazione superando il ruolo di cercatori di fonti e di dati, o di redattori di contenuti. Basterebbe potenziare il ruolo degli archeologi nei bandi di valorizzazione per trasformare tanti professionisti sottoimpiegati in ingranaggi strategici di un meccanismo inedito che sappia immaginare forme di interazione fra patrimonio e pubblico che non “anche se”, ma piuttosto “proprio perché” consapevoli e rispettose della dimensione scientiica, risultino dinamiche, coinvolgenti e moderne. Bibliograia Barcelò J.a. 2001, Virtual reality for archaeological explanation. Beyond “picturesque reconstruction” in Archeologia e Calcolatori 12, 2001, pp. 221-244. Barcelò J.a. 2009, Computational Intelligence in Archaeology, Hershey. BroGiolo G.P. 2007, Dall’Archeologia dell’architettura all’Archeologia della complessità, in Pyrenae 38, 1, pp. 7-38. c arandini a. 2012, Il nuovo dell’Italia è nel passato, Roma-Bari. de Felice G. 2008, Il progetto Itinera. Ricerca e comunicazione attraverso nuovi metodi di documentazione archeologica, in atti del workshop “digitalizzare la pesantezza - l’informatica e il metodo della stratigraia” (Foggia 2008), Bari, pp. 13-24. de Felice G. 2012, Una macchina del tempo per l’archeologia. Metodologie e tecnologie per la ricerca e la fruizione virtuale del sito di Faragola, Bari. de Felice G. 2013a, Il nuovo allestimento della collezione archeologica della fondazione Sicilia fra tecnologie e creatività, in Archeologia e Calcolatori 24, 2013, pp. 249-264. de Felice G. 2013b, Living Heritage – A living lab for digital content production focused on cultural heritage, in DigitalHeritage 2013. Proceedings of the 1st International Congress on Digital Heritage (Marseille, France, 28 Oct. – 1 Nov. 2013), pp. 391-394. de Felice G., SantaceSaria V. 2013, A living lab for digital content production focused on cultural heritage, in Marchegiani L. (ed.), Proceedings of the International MapPapers -17 Conference on Sustainable Cultural Heritage Management, Societies, Institutions and Networks, Roma, pp. 299-306. de Felice G., VolPe G., SiBilano M.G.2008, Ripensare la documentazione archeologica: nuovi percorsi per la ricerca e la comunicazione, in Archeologia e calcolatori 19, 2008, pp. 271-291. Manacorda d. 2004, Prima lezione di archeologia, Roma-Bari. Manacorda d. 2007, Il sito archeologico: fra ricerca e valorizzazione, Roma. Manacorda d. 2008, Lezioni di archeologia, Roma-Bari. Mannoni t. 1997, Archeologia globale e archeologia postmedievale, in Archeologia Postmedievale 1, pp. 21-25. Valenti M. 2009, Una via archeologica all’informatica (non una via informatica all’archeologia), in Fronza V., nardini a., Valenti M. (eds.), Informatica e archeologia medievale. L’esperienza senese, Firenze, pp. 7-28. VolPe G. 2008, Per una ‘archeologia globale dei paesaggi’ della Daunia. Tra archeologia, metodologia e politica dei beni culturali, in VolPe G., Strazzulla M.J., leone d. (eds), Storia e archeologia della Daunia, in ricordo di Marina Mazzei, Atti delle giornate di studio (Foggia 2005), Bari, pp. 447-462. VolPe G., SPataFora F. (eds.) 2012, La collezione archeologica della Fondazione Banco di Sicilia a Palazzo Branciforte, Milano. VolPe G., de Felice G. 2014, Comunicazione e progetto culturale, archeologia e società, in European Journal of Post-Classical Archaeologies 4, 2014, pp. 405-424. Pag. 27 Wiki Loves Monuments e Archeowiki, due modi diversi per raccontare e fare conoscere il nostro patrimonio culturale Emma Tracanella Abstract: In 2008 the American Alliance of Museums has identiied a process known as “Creative Renaissance” activated by technological tools and other online tools for the promotion of cultural contents that are reshaping the centrality of the human in the process of education and narrative. According to a longitudinal analysis conducted by Wikimedia Italy, among the immense resources that Wikipedia provides, there is a lack of content about archeology. This is due both to technical diiculties and to the lack of information on the topic. In addition, we have seen how the presence of pictures and photographs is a valuable stimulus for better utilization of assets. In this context, Wikimedia Italy has promoted two projects: Wiki Loves Monuments, a photo contest dedicated to the monuments that invites all citizens to document their cultural heritage throught their photos, in full respect of copyright and Italian law and Archeowiki, a project to promote the lesser-known archeological heritage. Introduzione Per avvicinare le persone alla cultura oggi si possono e si devono utilizzare tutti i mezzi più avanzati e di largo utilizzo, quali Wikipedia e i social network. Internet infatti costituisce il più potente ed economico mezzo di comunicazione e divulgazione a disposizione delle Istituzioni culturali per presentare al pubblico le proprie attività e Wikipedia è forse il progetto che meglio incarna la libertà d’informazione e di libera circolazione di contenuti culturali. Nonostante alcune opinione contrarie (Lovink, Metitieri, Lanier), che afermano che l’accesso libero porti ad un distaccamento dall’opera d’arte, nel 2008 l’America Alliance of Museums ha identiicato un processo noto come “Rinascimento Creativo” attivato dagli strumenti tecnologici ed altri strumenti online per la promozione dei contenuti culturali che stanno ridisegnando la centralità umana nei processi di istruzione e narrativi. Secondo un’analisi longitudinale condotta da Wikimedia Italia, tra le immense risorse che Wikipedia mette a disposizione vi è una carenza di contenuti riguardanti l’archeologia, dovuta sia al limitato nuMapPapers - 17 mero di addetti ai lavori che siano informaticamente preparati ad arricchire il sito, sia alla diicoltà di trovare informazioni sull’argomento, specie se si tratta di realtà meno conosciute. Inoltre si è visto come la presenza di immagini e di fotograie sia un valido stimolo per una migliore valorizzazione dei beni. Certamente l’archeologia è una forma d’arte meno presente e meno frequentata perché è soggetta ad un processo di fruizione e interpretazione più complesso rispetto ad altre forme e dimensioni artistiche più immediate. L’archeologia infatti richiede un certo bagaglio di nozioni e conoscenza per essere contestualizzata ed apprezzata. In questo contesto Wikimedia Italia si è fatta promotrice di due progetti: Wiki Loves Monuments, un concorso fotograico dedicato ai monumenti che invita tutti i cittadini a documentare la propria eredità culturale realizzando fotograie con licenza libera, nel pieno rispetto del diritto d’autore e della legislazione italiana e Archeowiki, un progetto per raccontare e fare conoscere il patrimonio archeologico meno noto. Perché Wikipedia? Wikipedia è un mezzo molto utilizzato da tutti, è infatti il sesto sito più visitato al mondo, e è popolare specialmente tra i ragazzi e i giovani in cerca di informazioni. Come dimostrato da diverse statistiche la fascia d’età ino a 34 anni è sovrarappresentata rispetto alla media dei siti internet così come le pagine viste da computer situati a scuola: infatti il 25% degli utenti di Wikipedia ha meno di 18 anni, percentuali che salgono rispettivamente al 50% e 75% per le fasce d’età ino a 22 anni e ino a 30 anni [1]. I progetti che riescono a sfruttare al meglio le potenzialità oferte dalla più grande enciclopedia si possono quindi rivelare vincenti per fare avvicinare il grande pubblico e i giovani al nostro patrimonio culturale. Proprio per questo motivo, Wikimedia Italia l’associazione di promozione sociale inalizzata alla difusione della conoscenza libera che è attiva dal 2005 nell’ambito dell’Open Culture in qualità di corrispondente italiana uiciale di Wikimedia Foundation, e che persegue esclusivamente obiettivi di solidarietà sociale nel campo della promozione culturale, si è preissa come scopo principale quello di contribuire attivamente alla difusione, al miglioramento e all’avanzamento del sapere e della cultura attraverso la produzione, la raccolta e la divulgazione gratuita di contenuti che incentivino le possibilità di accesso alla conoscenza e alla formazione. L’associazione sostiene nel nostro Paese sia Wikipedia sia i progetti Wikimedia, tra i quali si annovera questo contest dedicato ai monumenti che invita tutti i cittadini a documentare la propria eredità culturale realizzando fotograie con licenza libera, nel pieno rispetto del diritto d’autore e della legislazione italiana in merito. Wiki Loves Monuments Wiki Love Monuments (www.wikilovesmonuments.it) è un concorso fotograico internazionale per docuPag. 28 mentare, valorizzare e proteggere il patrimonio culturale italiano. Con il termine monumento s’intende, adottando la deinizione dell’UNESCO, un insieme molto ampio di opere: ediici, sculture, siti archeologici, strutture architettoniche, siti naturali e interventi dell’uomo sulla natura che hanno grande valore dal punto di vista artistico, storico, estetico, etnograico e scientiico. Gli obiettivi di Wiki Loves Monuments sono: 1. valorizzare e documentare l’immenso patrimonio culturale del Belpaese sul Web, promuovendo la sua ricchezza artistico-culturale presso una vasta platea internazionale, 2. invitare tutti i cittadini a documentare la propria eredità culturale, realizzando fotograie con licenza libera, nel pieno rispetto del diritto d’autore e della legislazione italiana, 3. aumentare la consapevolezza della necessità di tutela dei monumenti, preservandone la memoria. L’edizione italiana del concorso Wiki Loves Monuments deve attenersi a un vincolo importante dettato dal “Codice Urbani” (ovvero il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio stilato da Giuliano Urbani, Ministro per i Beni e le Attività Culturali dal 21 giugno 2001 al 23 aprile 2005), secondo il quale per poter fotografare un qualsiasi monumento italiano e pubblicarne l’immagine, occorre ottenere l’autorizzazioMapPapers - 17 ne da parte del “legittimo proprietario”, sia esso ente statale o meno, qualora lo scopo dello scatto non sia personale o di studio [2]. E quindi per pubblicare le foto dei monumenti italiani su una qualsiasi delle 280 edizioni di Wikipedia e rilasciarle con una licenza Creative Commons, CC-BYSA 3.0, e farle partecipare al nostro concorso è stato necessario contattatare 8100 comuni, 20 regioni, 110 province, oltre a privati e enti. Il primo concorso italiano, che ha avuto come main partner Eni, si è svolto nel 2012: la lista dei monumenti fotografabili era composta da 936 beni, sono state caricate quasi 7.700 fotograie da 803 partecipanti. L’Italia si è classiicata al 13° posto per numero di immagini caricate. Due delle foto vincitrici del concorso italiano si sono anche ottimamente classiicate nel concorso internazionale, giungendo al 5° e al 15° posto. Il nostro sito è stato visitato nel 2012 da quasi mezzo milione di visitatori unici e abbiamo raccolto più di 450 articoli o citazioni di blogger. Wiki Love Monuments 2012 è stato proclamato il concorso fotograico più grande dal Guinnes dei Primati. La quarta edizione del concorso internazionale e la seconda edizione del concorso italiano si sono svolte nel 2013 e hanno avuto una vastissima eco internazionale: hanno partecipato 52 nazioni, le immagini sono state quasi 370.000, caricate da 11.943 persone. Pag. 29 Per quel che riguarda il concorso italiano, i partecipanti sono stati 527 e hanno caricato 8.082 fotograie per illustrare i 2.137 monumenti he hanno partecipato all’edizione 2013. C’è stata anche una grande partecipazione da parte delle istituzioni: oltre a 15 patrocini, abbiamo avuto 6 partner di progetto e 222 adesioni da parte di enti pubblici, istituzioni e privati. Archeowiki10 Archeowiki (http://www.archeowiki.it) è un progetto nato per stimolare la partecipazione delle persone comuni alla costruzione della cultura e per aumentare il numero di visitatori nei musei. In base ai bisogni rilevati nel contesto d’azione, il progetto si pone quindi i seguenti macro obiettivi: 1. Avvicinare alla cultura e alle realtà museali legate al mondo dell’archeologia nuove fasce di pubblico con particolare riferimento agli studenti delle scuole medie inferiori e superiori, agli anziani e ai disabili. 10. Questa sezione è derivata da una presentazione realizzata da Anna Antonini e Sara Chiesa alla conferenza “Museums and the Web” 2014 (http://mwf2014.museumsandtheweb.com/program/) a Firenze il 19 febbraio 2014. Un articolo dal titolo “Archeowiki: when open source strategies incentive visitors presence in museum. A project for the enhancement of archaeological heritage in Lombardia.” è in preparazione da parte di Anna Antonini, Dante Bartoli, Sara Chiesa, Cristian Consonni, Rossella Di Marco, Sara Franco e Carolina Orsini. MapPapers - 17 2. Promuovere l’aluenza di nuovo pubblico alle istituzioni culturali pubbliche e private del territorio Lombardo. 3. Moltiplicare le informazioni relative al patrimonio e il numero di utenti raggiunti mediante la condivisione dei saperi tra gli utenti di Wikipedia. 4. Pubblicazione su Wikipedia delle risorse archeologiche relative alle collezioni degli enti beneiciari del progetto. 5. Formare personale volontario in grado di implementare le voci e i materiali di Wikipedia in ambito archeologico. 6. Sperimentare, dimostrare e comunicare la facilità con cui si possono difondere e condividere i contenuti culturali attraverso Wikipedia. In particolare, Archeowiki coinvolge sei istituzioni museali della Lombardia ed organizzato da Wikimedia Italia in collaborazione con altre associazioni attive in campo archeologico, culturale e sociale. I partner di progetto sono: • Wikimedia Italia • Associazione “MiMondo – Associazione per la promozione delle culture materiali e immateriali del mondo” • Gruppo Archeologico Ambrosiano (G.A.Am.) • Raccolte Extraeuropee del Castello Sforzesco • Fondazione Passaré Pag. 30 Il progetto è stato reso posisibile grazie ad un co-inanziamento di Fondazione Cariplo. Le sei istituzioni beneiciare delle azioni di Archeowiki sono le seguenti: Raccolte Extraeuropee del Castello Sforzesco di Milano; • Civico Museo Archeologico di Varese; • Fondazione Passaré di Milano; • Civico Museo “Gofredo Bellini” di Asola; • Museo Archeologico G. Rambotti di Desenzano; • Civico Museo Archeologico di Castelleone Il progetto ha permesso la digitalizzazione di circa 1000 immagini e documenti appartenenti alle istituzioni museali beneiciarie, che sono state condivise con una licenza libera su Wikimedia Commons, il repository digitale dei progetti Wikimedia, e utilizzate su Wikipedia. Una delle azioni del progetto è la realizzazione di “Wikigite” (http://wlm.wikimedia.it/wiki/WikiGite) che consistono di tour guidati attraverso le collezioni archeologiche dei musei beneiciari, in particolare esistono due forme rivolte a pubblici speciici: • “Wikigita va scuola”: si rivolge a studenti delle scuole secondarie Lombarde, ai quali viene offerta una attività che consta di tre momenti: un corso iniziale (2 h) di formazione sulle collezioni archeologiche che saranno visitate durante la gita da parte di un esperto ed una introduzione a Wikipedia da parte di un contributore esperto di Wikipedia, in un secondo momento viene svolta la visita di istruzione presso il museo selezionato (5 h) e inine gli studenti, facendo uso del laboratorio informatico, possono partecipare alla scrittura di Wikipedia (2 h). • “Wikigita viene a te”: Wikigita viene a te è una modalità di Wikigita che si rivolge a un pubblico debole (persone cieche ed ipovendenti, anziani) per cui gli esperti archeologi e Wikipediano fanno lezione sul posto portando anche materiali (copie delle opere realizzate tramite scansioni tridimensionali). Le attività di archoewiki hanno ricevuto il supporto della Soprintendenza Archeologica della Lombardia. Gamiication in Archeologia - Attrarre ed ingaggiare i visitatori Fabio Viola Le trasformazioni sociali, demograiche e tecnologiche intervenute nell’ultimo decennio hanno radicalmente rivoluzionato il modo di attrarre, ingaggiare e idelizzare il “consumatore”. I nati dopo il 1980 (Generazione Y) , presentano forti distacchi nei modi e comportamenti rispetto ai padri ed i nonni e si aspettano nella vita reale quell’interazione che provano quotidianamente all’interno dei videogiochi. L’industria video-ludica, in soli 40 anni di vita è riuscita a diventare la forma primaria di intrattenimento superando, per fatturato e tempo medio speso, colossi storici come editoria, musica e cinema. La domanda cruciale è “perchè i giochi riescono a essere così straordinariamente divertenti ed instaurare un dialogo laddove altri media falliscono”? La risposta che cercheremo di dare si baserà sul modo attraverso il quale i giochi vengono disegnati, essi sono prodotti scientiicamente studiati per generare stati d’animo e comportamenti facendo leva su set di meccaniche e dinamiche. Su questo grande patrimonio di tecniche di engagement si basa il concetto di Gamiication, disciplina sempre più utilizzata da aziende ed enti pubblici per raggiungere obiettivi concreti ed entrare in sintonia col bacino tecnologicamente più avanzato della propria utenza. Attraverso alcuni esempi capiremo come è possibile estendere al mondo dell’archeologia questo nuovo paradigma. Riferimenti [1] Infograica preparata dal “Children Museum di Indianapolis” - http://upload.wikimedia.org/wikipedia/ commons/4/48/GLAM-Wiki_Infographic.PNG [2] Brioschi F. “Chi mi aiuta a liberare i monumenti italiani per fare una foto wiki?” http://www.chefuturo.it/2012/06/chi-mi-aiuta-a-liberare-i-monumentiitaliani-per-una-foto-wiki/ MapPapers -17 Pag. 31 Voci Narranti di OP14 (in ordine di apparizione) Maria Letizia Gualandi Gabriele Gattiglia Francesca Anichini Augusto Palombini Francesco Ripanti Marina Lo Blundo Fabio Viola Niccolò Albertini Claudio Benedetti Giuliano De Felice Emma Tracanella Astrid D’Eredità Cinzia Del Maso Emmanuele Curti Lorenzo Garzella Vincenzo Napolano Andrea M. Steiner Barbara Gioli MapPapers - 17 Pag. 32 Maria Letizia Gualandi Gabriele Gattiglia Laureata in Archeologia romana all’Università di Pisa con Salvatore Settis, è professore associato nella stessa Università, dove insegna Metodologie della ricerca archeologica e Archeologia della produ-zione; è membro della Scuola di Dottorato in Antichistica e della Scuola di specializzazione in Archeologia dell’Università di Pisa. Ha conseguito l’Abilitazione a professore ordinario. Dopo numerose esperienze di scavo a Sibari (con P.G. Guzzo), a Setteinestre e Roma-Palatino (con A. Carandini), dal 1991 al 2004 è stata responsabile del gruppo di ricerca dell’Università di Pisa nello scavo di Nora (CA) e dal 1998 al 2012 in quello dell’acropoli di Populonia (LI). Dal 1998 è responsabile del Laboratorio di Archeologia classica del Dipartimento di Civiltà e forme del sapere dell’Università di Pisa, dove svolge attività didattica e di ricerca sui reperti mobili provenienti dalle indagini sul campo. Ha curato l’allestimento del Museo della Villa romana dei Venuleii a Massaciuccoli (LU) e attualmente collabora alla realizzazione della sezione romana del Museo archeologico di Pietrasanta (LU). Dal 2011 è responsabile del Laboratorio MAPPA Metodologie digitali APPlicate all’Archeologia, del Dipartimento di Civiltà e forme del sapere. Nel biennio 2011-2013 è stata responsabile scientiico del progetto di ricerca MAPPA - Metodologie Applicate alla Predittività del potenziale Archeologico - La carta dell’area urbana di Pisa, inanziato dalla Regione Toscana (www.mapparoject.org). E’ stata inoltre responsabile per l’Università di Pisa di numerosi progetti PRIN dal 1995 al 2006 inerenti i monumenti romani del Palatino, Velia ed Esquilino (coordinatore A.Carandini) e i risultati degli scavi delle città di Nora e Populonia (coordinatori D.Manacorda, G.Bartoloni). Per la bibliograia recente, https://pisa.academia. edu/MariaLetiziaGualandi Archeologo, lavora presso il laboratorio MAPPA dell’Università di Pisa. Si è formato nell’area della metodologia archeologica e dell’archeologia medievale e postmedievale. Divide il suo lavoro tra attività professionale, ricerca e la sua famiglia. Ha scritto molti articoli, due libri su Pisa medievale ed è Direttore Scientiico del progetto di ricerca ‘Versilia Medievale’. Negli ultimi anni, traviato dall’incontro con il matematico Nevio Dubbini, si è occupato di applicazioni matematiche all’archeologia, in particolare di modelli predittivi. Crede fermamente che la condivisione dei dati archeologici siano un passo necessario per lo sviluppo della disciplina e per farle perdere la sua marginalità sociale, per questo è uno dei creatori e curatori del repository open data italiano MOD, fa parte del Editorial Board del Journal of Open Archaeological Data, collabora con il progetto Open Pompei e bazzica gli ambienti del civil hacking. È socio dello Studio Associato InArcheo, che ha fondato con sua moglie Francesca (partirono in 4 e restarono in 2). Considera gli archeologi professionisti l’avanguardia dell’archeologia italiana e sostiene attivamente l’Associazione Nazionale Archeologi, di cui fa parte come membro del Comitato Tecnico Scientiico. Lo trovate spesso sui social network (soprattutto twitter) dove dà agio al suo egocentrismo. Negli ultimi mesi ha inalmente capito che ci sono cose più importanti dell’archeologia e hanno un nome: Agata e Francesca (rigorosamente in ordine alfabetico). MapPapers -17 Pag. 33 Francesca Anichini Augusto Palombini Francesca Anichini vive a Viareggio e da anni lavora come archeologa libera professionista. Si occupa di progettazione archeologica, delle problematiche relative all’archeologia preventiva e alla deinizione del potenziale archeologico. Negli anni ha progettato e diretto numerose indagini archeologiche. Nel 2005 ha sviluppato il primo GIS archeologico urbano su Pisa e dallo stesso anno è socia dello Studio Associato InArcheo. Nel biennio 2008-2009 è stata direttrice scientiica dell’area archeologica Massaciuccoli romana e direttrice dello scavo di ricerca nella stessa area dal 2006 al 2012 (pubblicata interamente in modalità open su http://www.massaciuccoliromana. it/wordpress/documentazione/). E’ convinta che il patrimonio archeologico sia un “bene comune” (come l’acqua) di tutti (ma proprio tutti) e trova profondamente ingiusto, incivile, antistorico e un danno per la collettività che la conoscenza relativa a quel patrimonio rimanga chiusa nei cassetti (di qualcuno o di tutti). Crede profondamente che la raccolta e la difusione libera e aperta dei dati archeograici sia il futuro dell’archeologia (e un tassello per lo sviluppo dell’Italia). Dal 2011 fa parte del gruppo di ricerca del Laboratorio MAPPA (Metodologie digitali APPlicate all’Archeologia) presso l’Università di Pisa ed è tra i creatori del MOD (MAPPA archaeological Open Data archive), il primo repository italiano di dati archeologici open. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni e partecipazioni a convegni. Nella “vita reale” – fuori dall’archeologia – è mamma di Agata (minuscola creatura di 9 mesi), cuce, fa massaggi olistici, dipinge miniature astratte e prepara dolci… Da buona toscana è stata educata (e ormai è abituata) a dire sempre ciò che pensa e questo, a volte, le ha creato qualche problema... Archeologo, ricercatore presso l’Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali del CNR. Nato a Roma e laureato presso l’Università “La Sapienza”, ha conseguito il dottorato di ricerca presso l’Orientale di Napoli. Ha operato in missioni archeologiche in Italia e Africa (in particolare nel Sahara centrale). Autore di lavori scientiici, divulgativi e di romanzi storici, è stato segretario nazionale dell’Associazione dottorandi e Dottori di ricerca Italiani e socio fondatore della Confederazione Italiana Archeologi. Svolge ricerche nell’ambito della ricostruzione del paesaggio antico, dei musei virtuali, delle dinamiche di mutamento sociale e paleo-ambientale in fasi storiche e preistoriche. Vasta esperienza nell’uso dei Sistemi Informativi Geograici, con competenze di analisi, didattica e programmazione; dell’informatica applicata al Patrimonio Culturale e all’analisi topograica avanzata, in particolare nell’ambito del software Open Source. Si occupa inoltre di tecniche narrative per la divulgazione storica e di digital storytelling. È attualmente coinvolto in 3 progetti EU nell’ambito del VII Programma Quadro. MapPapers - 17 Pag. 34 Francesco Ripanti Marina Lo Blundo C’era una volta Francesco Ripanti, studente che voleva diventare archeologo classicista. Svolge il canonico percorso di studi all’Università di Siena ino a quando, quasi per caso, nel 2008, inizia a produrre video che raccontano le storie dello scavo di Vignale (LI)(http://www.youtube.com/user/UominieCoseaVignale). Da quel momento i suoi interessi cambiano radicalmente e inizia ad occuparsi di comunicazione dell’archeologia, con particolare attenzione alle potenzialità oferte da Internet nel raccontare uno scavo archeologico in corso (video, blog, social media). La tesi con cui si laurea nel 2011, intitolata “Archeologia, video e narratività: pubblicare Vignale all’epoca di YouTube”, è frutto di una rilessione sui video girati a Vignale negli anni precedenti. Nel 2013 decide di dedicarsi anche ai musei e diventa blogger e curatore della comunicazione online del Museo Archeologico Nazionale delle Marche (http://museoarcheologicomarche.wordpress.com), grazie ad un tirocinio per la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici di Trieste, Udine, Venezia, a cui nel frattempo si è iscritto. In attesa di sapere come proseguirà la sua storia, le sue rilessioni su archeologia e video dal 2011 sono online su “Archeovideo” (http://archeovideo.wordpress. com). Archeologa, laureata in Conservazione dei Beni Culturali (Vecchio Ordinamento) a Genova e specializzata in Archeologia Classica a Genova, attualmente dottoranda in Storia e Conservazione dell’Oggetto d’Arte e d’Architettura presso l’Università di Roma Tre. Dal 2006 al 2009 ha collaborato con l’Istituto Internazionale di Studi Liguri (Bordighera, IM) nel settore degli scavi archeologici e dei musei. Dal 2010 è Assistente alla Vigilanza presso il Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Blogger dal 2006, si occupa di comunicazione archeologica nel web e in particolare nel web 2.0 in dal 2007 col progetto “Comunicare l’Archeologia”. Come blogger di archeologia è intervenuta al III Seminario di Archeologia Virtuale (2012) e alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum nel 2013. Dall’estate 2012 è museumblogger per il Museo Archeologico Nazionale di Venezia e dalla primavera 2013 è blogger per la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana. Dal 2013 è online content media curator per Nostoi – Histoires de retours et d’exhodes, progetto europeo nel quadro del programma di prossimità IEPV (Instrument Européen de Partenariat et de Voisinage). MapPapers -17 Pag. 35 Fabio Viola Niccolò Albertini Fabio Viola è un imprenditore seriale, docente e autore di libri. Ha contribuito alla nascita di alcune start up, ed attualmente siede nella Board di Mobile Idea s.r.l. e DigitalFun s.r.l., società incubata da Ericsson dopo aver vinto il premio EGO come migliore start up tecnologica dell’anno nel 2008. Con DigitalFun ha disegnato e lanciato decine di videogiochi ed applicazioni basate sul paradigma della gamiication, strutture e meccaniche gaming applicate in contesti non gaming. In quest’ottica le collaborazioni con Luxottica, Telecom Italia, Ericsson, MediaWorld. Fabio Viola sin dal 2002 ha focalizzato la sua attenzione sul Digital Entertainment rivestendo un ruolo di pioniere nelle nuove forme di creazione, distribuzione e fruizione dei contenuti digitali. Ha avuto modo di vivere direttamente la nascita del mercato dei java game nel 2002 e del fenomeno social gaming nel 2007 lavorando a stretto contatto con il quartier generale europeo di numerosi leader di mercato. Negli ultimi 10 anni ha lavorato con i quartier generali di alcune delle più grandi aziende di gaming digitale: Electronic Arts, Vivendi Games Mobile, Kojobo, Namco, Digital Chocolate gestendo alcuni dei brand che han segnato il tempo libero (ed il portafoglio) di milioni di individui come Tetris, Fifa, Pac-Man, Crash Bandicoot e Monopoly. In campo editoriale ha contribuito alla nascita del punto di riferimento italiano nell’editoria video ludica, Multiplayer.it, ed ha fondato la prima rivista cartacea specializzata nel mobile Entertainment, Giocare con il Cellulare. E’ inoltre co-autore del “Almanacco dei Videogiochi” edito da Panini e autore del libro “Gamiication – I Videogiochi nella Vita Quotidiana”. Negli anni ha inoltre collezionato articoli e interviste sulle principali testate italiane: Corriere Economia, Wired, La Stampa ed Il Sole 24 Ore. Numerose le sue presenze in veste di speaker e chairman ad importanti manifestazioni italiane ed internazionali: Mobile Games Forum di Londra, Mobile Games Summit di Malta, IVDC, Game Convention di Lipsia, Social Media Week, Tosm di Torino. Ha collaborato con diverse istituzioni accademiche come l’ Università IULM di Milano, Master Comunicazione e Marketing “Il Sole 24 Ore” ed il CNR. Niccolò Albertini nasce a Viareggio nel 1988; si laurea in Informatica Umanistica presso l’Università Di Pisa nel 2010, completando il percorso magistrale con la specializzazione in Ambienti Virtuali nel 2012. Le tesi di entrambi i percorsi di studio, “Ricostruzione del castello della Brina in epoca alto-medievale mediante Game engine” e “Sviluppo di un sistema di interactive story telling per ricostruzioni storiche e sua applicazione alla ricostruzione della Domus degli afreschi di Luni” sono dedicate alle ricostruzioni virtuali di ambito storico / archeologico. Attualmente è assegnista di ricerca presso il DreamsLab alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Il suo lavoro si concentra maggiormente nello sviluppo di applicazioni di Realtà Virtuale e Realtà Aumentata su piattaforme avanzate come C.A.V.E., display olograici, caschetti immersivi e interfacce naturali. Gli altri campi di lavoro sono l’acquisizione 3D, la modellazione 3D, lo storytelling su piattaforma virtuale, la prototipazione per stampa 3D. MapPapers - 17 Pag. 36 Claudio Benedetti Giuliano De Felice Come Site Manager di iTunes U Università di Pisa, riconosciuto da Apple “Success and Lighthouse”, si occupa sia della promozione video dell’Ateneo che della cura degli aspetti di multimediali legati alla didattica. Capace di curare sia la parte tecnico artistica che gli aspetti logistici, grazie ad una decennale passione lavorativa nel campo video. Si occupa di formazione legata al video e all’editoria digitale a livello europeo, sia come docente che come relatore ad eventi. Con la collaborazione dell’ateneo pisano cura documentari per la promozione del territorio. Lavora come videomaker freelance nel campo della moda e della pubblicità. Ha partecipato a numerose ricerche e pubblicazioni nel campo della storia, della geograia e degli studi umanistici. Giuliano De Felice (Bari 3 giugno 1971) è ricercatore di Archeologia cristiana e medievale presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Foggia, dove insegna Applicazioni informatiche ai Beni Culturali e Archeologia Digitale e coordina le attività del LAD (Laboratorio di Archeologia Digitale). Ha preso parte a numerosi scavi archeologici e progetti di conservazione in Italia e all’estero e partecipato come relatore a numerosi convegni nazionali ed internazionali. Al suo attivo ha oltre 50 pubblicazioni (monograie, articoli su riviste nazionali ed internazionali, atti di convegni) e la partecipazione a diversi progetti di ricerca riguardanti le interazioni fra ICT e beni culturali. I suoi principali temi di ricerca sono le metodologie di acquisizione, gestione e divulgazione della conoscenza archeologica. È redattore di un blog su archeologia, tecnologie e comunicazione (www. passatoefuturo.com). MapPapers -17 Pag. 37 Emma Tracanella Astrid D’Eredità Ingegnere libera professionista è coordinatrice italiana di Wiki Loves Monuments, un progetto per la valorizzazione del patrimonio culturale italiano su Wikipedia organizzato e promosso da Wikimedia Italia. E’ docente presso lo IED del corso “Progettazione della professionalità: start-up” e fa parte della redazione di Girl Geek Life, il magazine per le appassionate di tecnologia. Efettua consulenze in ambito ICT, dedicandosi principalmente ad attività di project management, analisi e design di applicazioni per il web e progettazione di sistemi multimediali. Nata a Taranto nel 1979, vive a Roma con un biglietto aereo per l’Europa sempre in tasca (benché, come dice Enrico Zanini, abbia seri problemi ad attraversare l’Urbe in tempi decenti). Nell’ultimo anno è stata Research fellow presso Associazione Civita per un progetto sull’utilizzo dei social media per i musei e le imprese culturali, che conluirà nel X Rapporto Civita. Qualche tempo fa ha conseguito un PhD in Archeologia presso l’Università degli Studi ‘Federico II’ di Napoli e una specializzazione in Museologia e Museograia presso l’Università degli Studi ‘Aldo Moro’ di Bari, il cui saggio inale sulla musealizzazione delle stazioni delle metropolitane in Europa e nel mondo si è aggiudicato nel 2011 il V Premio Forma Urbis. Da quando ha lasciato le trincee di scavo per la Rete ha lavorato a lungo in progetti di comunicazione per Enel SpA attraverso Brand Portal e le webagency romane Manafactory e Multimedia. Proprio nella crew di Manafactory ha raccontato nel 2013 il Festival Hai Paura del Buio prodotto dagli Afterhours, mentre ora segue, fotografa, ascolta e racconta l’Orchestra di Piazza Vittorio, il più grande ensemble multietnico europeo composto da 18 musicisti provenienti da 10 paesi e 4 continenti. Non ha dimenticato l’archeologia e ancora oggi si occupa di comunicazione e nuovi media per l’Associazione Nazionale Archeologi (ANA), in seno alla quale ha fondato il comitato di genere ‘Archeologhe che (r)esistono’, e collabora alla stesura del primo e-book dell’entusiasmante progetto #svegliamuseo, nato per “svegliare” i musei italiani online sfruttando il potere del Web per creare un efetto rete. E sposerà Paul McCartney, prima o poi. In rete: http://about.me/astridrome MapPapers - 17 Pag. 38 Cinzia Dal Maso Emmanuele Curti Veneziana, una laurea in Storia delle religioni a Padova, un master a Chicago, è da tempo giornalista e scrittrice. Viaggia tra le parole, i luoghi, la gente, in cerca di storie che intrecciano passato e presente. Indaga l’antico per capire il presente. Scrive di archeologia, comunicazione dei beni culturali, attualità del passato, turismo culturale per i quotidiani La Repubblica e Il Sole 24 ore, e per diverse riviste italiane e straniere. Tiene lezioni e seminari presso università e istituzioni sulla comunicazione della storia presso il grande pubblico. È autrice dei volumi "Pompei. L’arte di amare" (Milano, 2012) e "Pompei. Nel segno di Iside" (Milano, 2013). Cura il blog Filelleni (http:// ilelleni.wordpress.com/): incursioni più o meno irriverenti, denunce e rilessioni sull’uso del passato nel mondo contemporaneo. Emmanuele Curti, archeologo, lavora all’Università della Basilicata. Formatosi a Perugia, è poi approdato a Londra, dove ha insegnato agli University and Birkbeck College, dal 1992 al 2003. Si è occupato per anni di processi di acculturazione nell’antichità fra mondo greco, romano ed indigeno, ed ha portato avanti progetti di ricerca a Pompei e in Giordania. Negli ultimi anni la sua attenzione si è concentrata sui cambiamenti dei paradigmi delle discipline umanistiche legate ai beni culturali e al necessario sviluppo di un nuovo approccio alla dimensione socio/economica della cultura. Coordina un corso magistrale di Scienze del Turismo e dei Patrimoni Culturali, ed è impegnato nella costruzione di reti di imprese culturali e creative. MapPapers -17 Pag. 39 Lorenzo Garzella Vincenzo Napolano Nato e cresciuto a Pisa, dove si è laureato in Storia e Critica del Cinema, ha frequentato nel 1996-97, a Torino, la Scuola Video di Documentazione Sociale “I Cammelli” di Daniele Segre. Nel 2001 ha fondato con Filippo Macelloni, la società di produzione indipendente NANOF (Roma), con cui ha realizzato la produzione esecutiva del documentario Silvio Forever di Filippo Macelloni e Roberto Faenza (2011) ed ha collaborato con diverse società di produzione e autori cinematograici italiani e internazionali, fra cui il documentarista Jem Cohen e Roberto Benigni. Ha realizzato videoinstallazioni, documentari, cortometraggi (Rai, Mediaset, Sky) ottenendo riconoscimenti in Italia e all’estero. Insieme a Filippo Macelloni ha scritto e diretto il suo primo lungometraggio Il Mundial dimenticato (90′, 2011), mockumentary ispirato a un racconto dello scrittore Osvaldo Soriano. Il ilm, co-produzione italo-argentina, è stato presentato in anteprima al Festival di Venezia 2011 e in numerosi festival internazionali ricevendo svariati premi, è stato distribuito nelle sale cinematograiche italiane a giugno 2012. Ha diretto documentari di argomento storico e sociale: Eccehomini – ricordi di una strage, 1999, 60′ sull’eccidio nazi-fascista del padule di Fucecchio; Pinocchio in Siam, 2000, 30′, sulle carceri minorili di Bangkok; Scarcerarci Football Club, 50′, 2002, su una squadra di detenuti e le condizioni carcerarie in Italia, presentato al Festival di Torino; Occhi su Roma, 2008, 60′, sul rapporto fra videosorveglianza e città. Ha dedicato particolare attenzione alla narrazione sportiva, realizzando “La mia squadra – Marcello Lippi racconta i Mondiali 2006″, 2010, 60′ Rai Uno; Rimet – L’incredibile storia della Coppa del Mondo, 50′, 2010, co-regia con F.Macelloni e C.Meneghetti, presentato al Festival di Taormina 2010; Germany 2006, 90′, 2010, ilm di montaggio sui mondiali tedeschi prodotto da TP&associates in collaborazione con FIFA, per la distribuzione mondiale Home Video, 52 paesi. Dal 2002 al 2009 e dal 2011 al 2014 Lorenzo Garzella è stato docente esterno di Montaggio Video all'Università di Pisa. Vincenzo Napolano, di formazione isico, è comunicatore scientiico presso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). Si è occupato di comunicazione istituzionale presso il Cnr e ha collaborato come free lance con diverse testate giornalistiche (stampa, radio e web). Ha curato installazioni multimediali e mostre a carattere scientiico, con una particolare attenzione alla sperimentazione di nuove tecnologie per la comunicazione. E’ stato curatore - tra le altre - delle mostre: Balle di Scienza a Palazzo Blu di Pisa, 2014, L’Energia del Vuoto a Palazzo Re Enzo, Bologna, 2013, Il dono della massa, Modena, Festival della Filosoia, 2012, Astri e Particelle. Le Parole dell’Universo a Palazzo delle Esposizioni, Roma, 2010. E’ autore di video e cartoon di divulgazione scientiica. MapPapers - 17 Pag. 40 Antonella Gioli Antonella Gioli (Bolzano 1962) ha studiato a Firenze e Milano, laureandosi in Lettere moderne – indirizzo storico-artistico presso Università degli Studi di Milano; ha conseguito la Specializzazione e il Dottorato di ricerca in Storia dell’arte presso l’Università di Pisa. Ha lavorato a lungo alla Fondazione La Triennale di Milano occupandosi di documentazione e attività espositiva; ha collaborato con enti pubblici per progetti di valorizzazione territoriale e di sviluppo di tecnologie digitali per la cultura. Dal 2006 è Ricercatore universitario Settore Scientiico Disciplinare L-ART/04 Museologia, Storia della critica e del restauro presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa, dove insegna Storia del collezionismo e del museo e Museologia e museograia. Tiene seminari e partecipa a convegni dedicati all’educazione al patrimonio, alla comunicazione e al pubblico museale. E’membro del Comitato scientiico di “Le voci del museo. Collana di Museologia e Museograia” della casa editrice Ediir di Firenze. Dal marzo 2014 è Coordinatore scientiico del Progetto di ricerca di Rilevante Interesse Nazionale- PRIN La vita delle opere: dalle fonti al digitale. Progetto pilota per la ricerca e la comunicazione nei musei della storia conservativa delle opere d’arte. Suoi principali ambiti di ricerca, attività e pubblicazione sono: la storia delle istituzioni e politiche culturali dal XVIII secolo a oggi; la dimensione culturale, sociopolitica e comunicativa del museo contemporaneo. MapPapers -17 Pag. 41 II° Video Contest [1] #500NO Associazione Nazionale Archeologi [2] Motel of the Mysteries (Mis) understanding Archaeology Associazione VOLO Il video che presentiamo racconta un evento assai singolare, quasi un unicum storico: la manifestazione di tutti i professionisti dei Beni Culturali tenutasi sabato 11 gennaio 2014 a Roma, nella piazza del Pantheon. Per la prima volta, infatti, l’universo frastagliato dei professionisti del patrimonio è stato capace di formare un’ampia coalizione e di scendere in piazza per reclamare i propri diritti. Il casus belli è stato il varo nell’agosto 2013 del decreto Valore Cultura (col quale l’allora Presidente del Consiglio Enrico Letta aveva annunciato con grande enfasi la volontà del Governo di creare nuovi posti di lavoro in ambito culturale) cui fece seguito nel dicembre successivo il bando “500 giovani per la Cultura”, promulgato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Tale bando prevedeva l’istituzione di uno stage formativo di 12 mesi presso istituti, siti e musei statali per 500 laureati under 35 e con un compenso lordo annuo di € 5000, misura ritenuta iniqua dai professionisti. A seguito delle prime proteste il bando venne in parte modiicato per eliminare alcuni proili di più chiara illegittimità, tuttavia la sua stessa impostazione, paternalista e assistenzialista, rischia di penalizzare la tutela del nostro patrimonio e l'occupazione nel settore: ai professionisti appare tuttora irragionevole la scelta di impiegare due milioni e mezzo di euro per promuovere un'iniziativa di formazione anziché stimolare buona occupazione presso tutti i soggetti pubblici e privati detentori di beni culturali. Perché non può esserci piena tutela se non si valorizzano le competenze e la professionalità degli specialisti. Abbiamo cercato di raccontare non tanto l’archeologia quanto gli archeologi in lotta assieme a restauratori, storici dell’arte, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, conservatori scientiici. Un’unione nata attraverso la rete ed i social network e approdata in piazza, una nuova dimensione nei rapporti tra i professionisti della cultura inora separati. MapPapers - 17 Il presente video trae spunto dal romanzo Motel of the Mysteries, pubblicato nel 1979 da David Macaulay. La storia prende avvio da un gruppo di archeologi che in un lontano futuro si trovano a riscoprire e scavare i resti di un motel del XX secolo, giungendo poi a sorprendenti conclusioni su ipotetici rituali cerimoniali praticati in quest’antica struttura. La satira di Macaulay ofre, dunque, l’opportunità di esplorare le side e i limiti della ricerca archeologica. La scelta di trasporre sullo schermo quest’opera, di per sé di grande impatto, è dettata dall’intento di raccontare l’archeologia come un processo di scoperta e ricostruzione della realtà attraverso l’interpretazione di dati. Motel of the Mysteries, utilizzato nella didattica e nei programmi di outreach anglosassone già da parecchio tempo per spiegare e raccontare il mestiere dell’archeologo, ofre una versione umoristica, a tratti dissacrante, dell’interpretazione archeologica. In tal senso si è cercato di problematizzare la questione dell’interpretazione di un contesto archeologico, non sempre chiaro o di immediata comprensione; i dati che si ricavano dall’indagine e dall’attività di scavo non sempre consentono una ricostruzione fedele di ciò che era reale e all’archeologo non rimane che immaginare i possibili contesti originari, giungendo spesso a conclusioni errate o fuorvianti. Lo scopo dell’archeologo è di interpretare i dati ed i contesti e solo attraverso la condivisione di tutte le informazioni in un sistema libero e aperto si può arrivare ad un’interpretazione il più possibile realistica, evitando errori spesso dettati dall’ingenuità, dalla complicata presentazione dei contesti e dalla parziale disponibilità dei dati. Gli oggetti e i dati rischiano di raccontare solo una minima parte della storia se interpretati al di fuori del proprio contesto, come mostrato nel inale del nostro video. Per delinearne la trama e a volte intuirne il inale occorre ascoltare tutti i protagonisti: oggetti, contesti, dati e condividere le informazioni. “Symbols do not “relect” but they play an active part in forming and giving meaning to social behaviour” (hodder i.1982, Symbols in Action. Ethnoarchaeological Studies of material Culture, Boston.). Pag. 42 [3] La Valle dei Piccoli: [4] Le relazioni Archeologia ad Akragas pericolose Laura Danile, Maria Concetta Parello, Maria Serena Rizzo Giuliano De Felice, Francesco Ripanti Il video illustra i punti salienti del progetto La Valle dei templi dei Piccoli, nato al Parco Archeologico Valle dei Templi di Agrigento nel 2013, con lo scopo di coinvolgere i bambini in attività ludico-culturali. Attraverso le immagini scelte abbiamo voluto raccontare il lavoro dell’archeologo, faticoso ma afascinante, che permette di portare in luce tracce di civiltà ormai sepolte e di viaggiare nel tempo alla scoperta di un passato lontano. Il nostro viaggio ci riporta a 2500 anni fa, quando Akragas era così ricca e potente da poter essere deinita la più bella città dei mortali. L’immaginazione, unita alle testimonianze archeologiche e letterarie, permette di ricostruire l’aspetto della colonia greca ornata da numerosi templi policromi. Il più grande era dedicato a Zeus, padre di tutti gli dei, e ornato da statue colossali di giganti che si potevano ammirare allineate lungo il perimetro dell’ediicio. I giganti di pietra ricordavano la vittoria di Zeus sui telamoni che avevano osato sidarlo e celebravano la vittoria degli Akragantini ad Himera contro un nemico considerato invincibile: i cartaginesi. In città erano molto venerate anche Demetra e Kore; al loro altare circolare le donne portavano numerose oferte, come maialini e prodotti dei campi, per ingraziarsi le dee che regolavano il ciclo delle stagioni e i raccolti. Gli akragantini indossavano abiti molto diversi dai nostri, come mostrano le immagini sui vasi igurati che tornano in luce nel corso degli scavi. Se l’archeologo è in grado di decifrare gli indizi nella maniera corretta, i rinvenimenti diventano oggetti parlanti, che raccontano storie sulla vita quotidiana dell’epoca, i riti, gli dei e ci aiutano a conoscere meglio la storia greca. Questi vasi di terracotta, creati nei laboratori degli infaticabili ceramisti e decorati da abilissimi ceramograi, ancora oggi sono degli autentici capolavori. Akragas era circondata da possenti mura, costruite per difendere la città dagli attacchi dei nemici. Tuttavia, quando nel 406 i Cartaginesi riuscirono a entrare, nonostante lo sforzo dei valorosi guerrieri, della città rimase soltanto un cumulo di rovine. Akragas non tornerà mai più al suo antico splendore. Oggi, grazie al lavoro degli archeologi, tornano in luce le testimonianze della storia della città che abbiamo voluto raccontarvi. Il video, tratto dall'omonimo blog post su “Passato e Futuro” (http://www.passatoefuturo.com/2013/03/ le-relazioni-pericolose.html), racconta in modo autoironico come sia facile per gli archeologi arrivare ad interpretazioni fuorvianti. In questo caso due archeologi, procedendo alla pulizia di un muro maldestramente, portano la responsabile di scavo sulla strada sbagliata. Di solito le parole di un'archeologa esperta non si mettono in discussione e, alla ine, anche loro sembrano essere convinti della sua spiegazione. O almeno così preferiscono pensare. MapPapers -17 Pag. 43 [5] Tourdion In Vino Veritas Musici [6] A Roma con i Bentvueghels The Walking media Eʼ quasi il vespero del due di gennaio di un freddo inverno. Nei giorni scorsi è caduta molta neve e giù da me ho inito tutto quello che avevo da mangiare. Ho camminato da stamattina attraverso le colline del sole senza incontrare anima viva. Sono molto stanco e infreddolito e mi si torcono le budelle dalla fame. Sento che la ine è vicina. Ecco il castello Malaspina, forse qui trovo qualcuno o qualcosa di caldo da desinare. Mah...che diavolo è questo frastuono, questo rumore? Viene da giù, dietro quella porta, mi avvicino, nessuna sentinella. TOC.. non mi sentono dannazione. TOC! TOC! Aprite là dentro mi sentite? Per Dio! Aprite! Chi é? Sono un povero pellegrino, per favore datemi qualcosa da mangiare. Sto per morire. SKREK! NO! PILADE? SEI PROPRIO TU? Allora non sei morto nelle Bretagne! Ma cosa ci fai allo castello del Fosdinovo? E chi son codesti iguri che spernacchiano? Son amici tui? Ah caro messere! Fatti abbracciare! Sapessi sapessi qual viaggi ho compiuto e quali prodigi ho visto con questi occhi! ma vieni! Vieni allo desco prendi della salama. Hai sentito? Dico hai sentito che note celestiali? Questa caro è la MUSICA! Questi maestri son di codeste parti, della Lunigiana, si fan chiamare In Vino Veritas, vanno di corte in corte, di paese in borgo, di vicolo in piazza per allietare li animi e ristorare gli spiriti con le loro dolci note. Bevi un gotto, siedi caro amico. Essi sono in codesti giorni al castello e lʼonnipotente ha voluto che io tornassi proprio iersera dalli miei viaggi a settentrione e li trovassi già qui a sonar e far baldoria. Che spasso! Unisciti, unisciti a noi a cantare e sonare PER BACCO! MapPapers - 17 Il lavoro che vi presentiamo nasce come prodotto di gruppo per il corso di Mediologia all’Università La Sapienza di Roma. Lo scopo era dare vita ad un progetto di promozione turistica di un’area di Roma meno visitata rispetto al celebre Municipio I, che racchiude le maggiori attrazioni. La prima fase del lavoro, a seguito della decisione di dedicarci all’area del secondo municipio, è stata la selezione di sette PoI (Points of Interest), che sarebbero dovuti essere illustrati brevemente e collegati da una storyline accattivante. Vi era completa libertà sulla scelta del tema e la nostra è ricaduta sull’ambientazione storica della Roma seicentesca, nella quale un gruppo di artisti ci avrebbe fatto da guida: i Bentvueghels. La scoperta del gruppo è avvenuta mentre raccoglievamo informazioni riguardo la Chiesa di S. Costanza, nella quale gli artisti che ne facevano parte erano soliti tenere riti di iniziazione per i nuovi membri a base di vino e usanze bacchiche. Lo spettatore ha il ruolo di un’aspirante membro del gruppo che viene accolto da Michelangelo Cerquozzi, il quale lo guiderà per diversi luoghi celebri dell’area del Municipio II (in questa versione solo tre), alla conoscenza di Roma e di altri membri dell’organizzazione, ino a giungere alla famosa chiesa, dove si concluderà il tour e avrà luogo l’iniziazione. La narrazione avviene grazie all’uso di dipinti degli stessi autori alternati a immagini moderne, mentre i personaggi, che appaiono come sagome agli angoli dello schermo, illustrano i luoghi in questione. Inine la voce del narratore integra la storia dei monumenti con gli eventi che li hanno riguardati dal 1700 al presente. Il video, montato con Sony Vegas, è stato riassunto in tre minuti cercando di mantenere il più possibile intatta parte della storyline originale. Partecipanti: Riccardo Sonnino, Davide Spinogatti, Esmeralda Grispigni, Alice Maniscalco, Silvia Austini, Michela Mariani, Hane Hajavi, Farideh Ghorbani Pag. 44