Academia.eduAcademia.edu

Editoria in ebraico a Venezia

1991

D urante la segregazione nel ghetto di Venezia, agli ebrei, tedeschi e italiani, fu imposto di svolgere solo attività di prestito nei banchi di pegno, di compravendita dell'usato e l'arte medica, proibendo quindi ogni altro mestiere. A differenza di quanto avveniva altrove, fu vietata anche la stampa dei libri, impedendo così un'attività che nel mondo ebraico era stata una vera e propria vocazione fin dalle origini della stampa per ragioni religiose, ma anche per motivi economici. Gli ebrei infatti avevano trovato nel libro il mezzo ideale per mantener viva la propria cultura e trasmettere il complesso sistema normativo su cui si fonda la loro vita religiosa, come pure la possibilità di accedere a un settore economico ancora consentito.

The Venice Internationl Foundation Editoria in ebraico a Venezia nel Cinquecento* to, ma significò anche un nuovo incentivo verso uno sviluppo culturale e scientifico: una delle risposte più valide e consapevoli allo stato di emarginazione subìto dall’esterno. Nel ghetto si concentrarono molti ingegni richiamati dal prestigio culturale dell’ambiente e dal forte interesse per l’ebraismo dimostrato da alcuni intellettuali cristiani. È qui che l’allora nascente editoria in ebraico trovò il terreno migliore per [00] Scuola Grande Tedesca, la produrre i suoi frutti più maturi, prima sinagoga costruita nel grazie alla presenza di esperti ebrei ghetto di Venezia. di grande valore per la preparazione dei testi e di importanti raccolte di manoscritti, come quella del cardinal Grimani, nonché di ingenti capitali e un mercato internazionale già ampiamente collaudato. La produzione libraria in ebraico del primo Cinquecento trovò in Daniel Bomberg, un cristiano di Anversa, il suo più illustre promotore. Lasciato il paese natale con il progetto di aprire un’azienda tipografica nella capitale del mercato librario internazionale, Bomberg riuscì a vincere la concorrenza di Gershòm Soncino e ad affermarsi, grazie anche ai forti capitali investiti, come l’unico editore di cose ebraiche operante in laguna. “L’Aldo dei libri ebrei”, come venne a ragione definito, stampò tra il 1516 e il 1548 circa duecento edizioni avvalendosi di collaboratori ebrei di alto prestigio. Sfruttando i migliori punzonisti del tempo, la sua produzione spaziò dai testi fondamentali dell’ebraismo a opere di carattere midrashico e qabbalistico, da grammatiche a libri di preghiera; ma la sua fama resta legata soprattutto all’edizione della Bibbia e del Talmùd. Dopo la pubblicazione nel 1517 della Bibbia rabbinica dedicata a papa Leone X, Bomberg realizzò l’edizione del 1524-25 in quattro volumi in folio, curata da Yaakòv ben Chayyìm, contenente il testo ebraico, la traduzione aramaica e i più importanti commenti che la resero per secoli un essenziale punto di riferimento. Del più grande monumento giuridico e normativo dell’ebraismo postbiblico apparvero invece, tra il 1520 e il 1523, i grossi volumi in folio del Talmùd babilonese, curati da Cornelio Adelkind e, fra il 1522 [00] Bibbia ebraica, Profeti anteriori, e il 1523, i quattro volumi di Venezia, Bomberg, 1525. quello palestinese. Furono edizioni memorabili non solo per l’accuratezza filologica e la bellezza dei caratteri, ma anche per l’impaginazione che poneva al centro il testo in ebraico “quadrato”, i commenti ai lati in corsivo rabbinico e l’indicazione delle pagine [a = recto, b = verso] secondo una numerazione ancor oggi utilizzata. L’attività del tedesco tuttavia cominciò a declinare verso la metà del secolo: difficoltà economiche, la polemica antiebraica di papa UMBERTO FORTIS D urante la segregazione nel ghetto di Venezia, agli ebrei, tedeschi e italiani, fu imposto di svolgere solo attività di prestito nei banchi di pegno, di compravendita dell’usato e l’arte medica, proibendo quindi ogni altro mestiere. A differenza di quanto avveniva altrove, fu vietata anche la stampa dei libri, impedendo così un’attività che nel mondo ebraico era stata una vera e propria vocazione fin dalle origini della stampa per ragioni religiose, ma anche per motivi economici. Gli ebrei [00] Dettaglio del ghetto dalla pianta infatti avevano trovato nel libro di Venezia di Jacopo de Barbari del il mezzo ideale per mantener vi- 1500, Venezia, Museo Correr. va la propria cultura e trasmettere il complesso sistema normativo su cui si fonda la loro vita religiosa, come pure la possibilità di accedere a un settore economico ancora consentito. La seconda metà del Quattrocento aveva visto il fiorire, in alcune parti d’Italia, di una vasta produzione e di una discreta circolazione di opere. A Piove di Sacco il rabbino Meshullàm Cusì e i suoi figli avevano pubblicato nel 1475 il primo libro ebraico del Veneto: gli Arbà Turìm (I quattro ordini) di Yaakòv ben Ashèr, un compendio del Talmùd, mentre le edizioni curate dalla famiglia Soncino, attiva in area lombarda, avevano raggiunto vette di altissima qualità per correttezza filologica e bellezza tipografica. Venezia, che già agli inizi del XVI secolo costituiva il centro editoriale di maggior rilievo di tutta l’Europa per la perizia tecnica dei suoi stampatori e per le dimensioni del commercio librario, rappresentò per gli editori di libri ebraici una meta fortemente ambita. La città divenne sì il più importante centro editoriale ebraico – per volume, qualità e fornitura di materiale librario alle comunità occidentali e orientali – ma non attraverso stampatori ebrei, bensì cristiani, almeno ufficialmente. Agli ebrei, salvo rare eccezioni, era riservato il solo ruolo di curatori di testi, compositori, correttori di bozze. Se vani furono i tentativi di approdare a Venezia da parte di Gershòm Soncino, il più grande stampatore ebreo di tutti i tempi, maggior fortuna ebbe Felice da Prato, che ottenne nel 1515 il permesso di far stampare libri a Daniel Bomberg, usando come mano d’opera “4 hominij hebrei... ben docti... per componer le lettere et aiutar a corregere”. Era l’inizio di un fenomeno culturale di grande importanza per l’intera civiltà veneta e di fondamentale incidenza sulla storia della cultura ebraica. Il prestigio assunto dall’editoria ebraica nel XVI secolo è il risultato più cospicuo di una convergenza di eventi significativi. Nel 1516, quando Bomberg iniziò la sua attività, Venezia chiudeva gli ebrei nel ghetto. La coincidenza dei due avvenimenti, pur del tutto indipendenti, finì per rivelarsi un fattore determinante proprio per la presenza di una stabile comunità ricca di cultura e di tradizioni. La costruzione delle due sinagoghe “tedesche”, vero fulcro della vita del ghetto, non portò soltanto alla riattivazione del cul20 The Venice Internationl Foundation [00] Bibbia ebraica, Profeti posteriori, Venezia, Bomberg, 1547. [00] Mishné Torà (Norme sulla Torà) di, Maimonide, Venezia, Bragadin, 1574. l’allora nascente tipografia di Alvise Bragadin. Come immediata replica, Giustiniani realizzò un’edizione dello stesso testo con un commento ridotto, che provocò da parte delle autorità religiose la minaccia di scomunica per i lettori. Fu non solo la rovina per la tipografia di Rialto, ma anche l’inizio del “decennio nero” dell’editoria ebraica. I due editori si accusarono a vicenda e si appellarono a Roma, ma in un clima già fortemente ostile alla cultura ebraica – favorito dall’odio antiebraico del cardinal Carafa, allora guida dell’Inquisizione, e dalle calunnie di ebrei convertiti – la contesa finì per offrire nuovi pretesti per una rinnovata offensiva contro il Talmùd; la bolla di papa Giulio III del 1553 ne decretò la confisca e la distruzione: così migliaia di libri vennero pubblicamente bruciati. A nulla valse la decisione di molti rabbini italiani di sottoporre a censura preventiva e autorizzazione rabbinica ogni edizione: la stampa in ebraico rimase irrimediabilmente compromessa e, fino al 1563, a Venezia venne sospesa ogni attività tipografica con gravissimo danno per tutto il mercato librario e la vita religiosa delle comunità che rischiavano di perdere il loro secolare patrimonio culturale. Nella seconda metà del Cinquecento, nonostante i controlli e i divieti imposti dalla Serenissima, la stampa in ebraico riuscì lentamente a riprendere il suo ruolo guida, anche grazie ai buoni rapporti tra il ghetto e gli intellettuali veneziani, non sempre compromessi dallo spirito controriformistico. Dal 1563 la produzione riavviò, pur con inevitabili cautele, il suo felice sviluppo. Nobili famiglie veneziane, quali i Bragadin o i di Gara, spinti da intenti commerciali più che da spirito umanistico, sfruttando alcuni esperienze già avviate e altri correttori e compositori di provata capacità, ripresero un’attività che riportò l’editoria veneziana a competere a livello europeo. Alvise Bragadin, la cui stamperia aveva iniziato a produrre già dal 1550 e fu protagonista della nefasta disputa con Giustiniani, ricominciò dopo il “decennio nero” a stampare scritti [00] Yaakòv ben Ashèr, I quattro biblici, commentari e a ristampare il ordini, con commento di Yosèf suo Maimonide fino al 1574, con la Karo, Venezia, Bragadin, 1574. valente collaborazione di Meìr Parenzo. Il suo prestigio resta però legato all’edizione dello Shulchàn arùkh (Tavola apparecchiata) di Yosèf Karo, uno dei più noti codici ritualistici che, con le successive aggiunte del 1578 dell’ashkenazita Moshé Isserles, diverrà uno dei testi più importanti della cultura ebraica. Senza raggiungere esiti di alto spessore, ma con molta dignità, Bragadin chiuse il suo operato nel 1575, lasciando la ditta al figlio Giovanni, che l’avrebbe retta con pari impegno per vari anni. La scarsa attività di Giovanni – una quindicina di volumi – limitata alla ristampa di opere già note o alla ripresa di testi illustri con nuo- Paolo III, il controllo sempre più severo dei Riformatori dello Studio, lo costrinsero ad abbandonare la laguna, lasciando l’editoria nelle mani di alcuni patrizi veneziani che si contesero – con interessi da allora esclusivamente economici – il primato del settore. Fu una svolta significativa perché, da quel momento, lo sviluppo delle stamperie in ebraico fu condizionato dalle misure restrittive e repressive imposte dalla Dominante nel 1544-45, tanto che l’attività di Marco Antonio Giustiniani – il più immediato concorrente e successore di Bomberg – non fu né facile, né di ampia durata, benché quantitativamente consistente. In sette anni di attività (1545-1552) uscirono dalla sua tipografia di Rialto una novantina di edizioni tutte di alta qualità, perché il nobile veneziano si giovò dei collaboratori di Bomberg e dei caratteri incisi dal più celebre punzonista del tempo, il francese Guillaume Le Bé, approdato a Venezia proprio nel 1545. Malgrado l’impronta puramente commerciale, la sua attività non fu priva né di rischi né di controversie, in anni in cui si stavano facendo più acuti gli attacchi ecclesiastici al Talmùd, sospettato di esprimere posizioni contrarie al cristianesimo. [00-00] Interpretazione sui cinque Rotoli, Venezia, Giustiniani, 1545. A sinistra, set di caratteri realizzato da Guillaume Le Bé. Negli anni in cui Giustiniani stampava una contrastata edizione del grande corpus talmudico (15461551), iniziò la sua attività Meìr Parenzo, l’unico ebreo ad aver avuto tra il 1545 e il 1549 la possibilità di stampare in proprio. Sfruttando i caratteri di Le Bé e avvalendosi della sua esperienza di correttore di bozze, Parenzo pubblicò volumi di salmi, di ritualistica, testi scientifico-geografici, letterari e anche un’impor- [00] Mishnà, Ordine dei danni, tante edizione della Mishnà com- Venezia, Parenzo, 1549. mentata da Ovadyàh da Bertinoro. Una disputa generata da banali motivi economici e concorrenziali negli anni cinquanta del Cinquecento portò a risvolti drammatici. Il rabbino di Padova Meìr Katzenellenbogen, dopo un mancato accordo con Marco Antonio Giustiniani, fece pubblicare nel 1550 il Mishné Torà di Maimonide con il proprio commento al21 The Venice Internationl Foundation La stampa in greco vi apparati, è il segno delle difficili condizioni in cui operava la stampa a fine secolo. Va comunque ammirato il suo coraggio di raccogliere la difficile eredità paterna in anni in cui un nuovo divieto, nel 1571, proibiva agli ebrei non solo di stampar libri, ma anche di fare i compositori o di servirsi di prestanome cristiani; la confisca e relativa distruzione, nel 1568, di circa ottomila libri dell’Università ebraica, sospettata di aperture verso il nemico turco, causò poi un disastro economico sia agli ebrei che agli operatori commerciali. Altri tentarono in quegli anni la difficile via aperta da Bomberg: gli Zanetti, il Cavalli, il Grifo. Editori minori, facilmente esposti agli umori delle autorità, ma che costituirono una presenza significativa in un settore sempre più rischioso a causa della nuova bolla papale del 1593 contro il Talmùd e del famoso Séfer ha Ziqqùq (Il libro della purificazione) del 1594, una sorta di codice dei luoghi e dei passi censurabili nei libri ebraici. Ciò nonostante, a cavallo tra i due secoli, i fratelli Zanetti riuscirono a stampare MARINO ZORZI I caratteri greci appaiono a stampa in Germania nel De officiis di Cicerone, stampato nel 1465 da Fust e Schoeffer a Magonza: si tratta di poche righe, composte da tipografi evidentemente ignari del greco, che copiano meccanicamente le lettere, stampandole talvolta a rovescio. Ben altra eleganza e precisione mostrano i caratteri greci usati, per la prima volta in Italia, da Sweynheym e Pannartz nel loro Lattanzio, stampato in quello stesso 1465 a Subiaco. Ma ciò si spiega col fatto che chi li guida, e li finanzia, è il cardinale greco Bessarione, inter graecos latinissimus, inter latinos graecissimus, come scrive Lorenzo Valla. [00-00] Volumi del 1465 con le prime lettere greche: il De officiis di Cicerone stampato a Magonza e, a destra, il De divinis institutionibus adversus gentes di Lattanzio, edito a Subiaco. A Venezia il greco appare per la prima volta nel 1471: Vindelino lo usa per le molte citazioni greche nel De finibus di Cicerone, Jenson per il trattato di ortografia del Tortelli. Adam di Ambergau usa caratteri greci per la sua edizione degli Erotemata del Crisolora, una grammatica greca a domanda e risposta in cui il greco ha larga parte, anche se le spiegazioni grammaticali sono in latino. Nel 1472 Jenson stampa un Aulo Gellio, con molti passi in greco. Ma a Brescia, non a Venezia, esce il primo libro a stampa interamente greco, nel 1474: una Batrachomyomachia. A [00-00] Moshé Akfalas, Omelie, Venezia, Zanetti, 1597. A destra, Yaakòv ben Ashèr, I quattro ordini, con commento di Yosèf Karo, Venezia, Grifo, 1566. quasi una trentina di volumi, anche se non di alta qualità; Giorgio Cavalli ne realizzò una quindicina, mentre Giovanni Grifo ne pubblicò almeno dieci. Il più interessante editore di fine secolo resta tuttavia Giovanni di Gara. Pur tra notevoli difficoltà, tra cui un procedimento del Sant’Uffizio del 1592 per un’opera di Abrabanel, egli riuscì a pubblicare tra il 1564 e il 1609, dapprima in concorrenza con Alvise Bragadin e poi in accordo col figlio Giovanni, un centinaio di opere di buona qualità. Le ragioni del suo successo si devono, in gran parte, all’uso dei caratteri di Bomberg, alla collaborazione di curatori di alto prestigio, alla pubblicazione di autori molto noti. La sua fama rimane legata alla stampa, nel 1599 e nel 1609, dei primi testi illustrati dell’editoria ebraica veneziana, come la celebre haggadà – la narrazione che si legge durante la cena pasquale – le cui figure, incise su legno, furono riprese in tutte le più famose haggadòth veneziane. [00] Bibbia ebraica, Agiografi, Venezia, di Gara, 1568. [00] Erotemata di Emanuele Crisolora del 1484. Milano e a Vicenza escono grammatiche e lessici. Solo nel 1486 esce a Venezia un libro tutto in greco, ancora la Batra chomyomachia, cui se- [00] Batrachomyomachia del 1486 stampata da gue uno Psalterion, Laonikos e Alexandrou: il primo libro in greco entrambi opera di realizzato a Venezia. due cretesi, Laonikos e Alexandrou. Poi un lungo periodo di silenzio, fino a quando giunge, a vivificare la stampa in greco, l’entusiasmo di Aldo Manuzio. Nel 1495, dopo l’esperimento degli Erotemata, esce il primo volume del suo Aristotele. Seguiranno altri quattro: in tutto ben 3800 pagine in folio. Poi verranno Aristofane, Tucidide, Erodoto, Demostene, Plutarco e molti altri antichi autori: tutte edizioni principes. Dopo la morte di Aldo il suocero Andrea Torresani ne continuerà * parzialmente tratto da Umberto For tis, Editoria in Ebraico a Venezia, ca talogo della mostra, Venezia, Arsenale Editrice, 1991. 22