Il mio teatro
(monologhi, dialoghi et alia)
Il mio teatro.
2 gen 2021
Ho sempre sentito il mio teatro come un’esperienza d’assenza. Una soglia d’accesso a corpi prossimi ad una consistenza provvisoria. Sarà il senso del sacro, quel rituale che condensa anime evocate fin dalla notte dei tempi. Sarà per questo che i dialoghi son solo superficie di altre densità nascoste, singulti spezzati sull’ abisso di un prossimo svanire. Chiedo sempre agli attori di negarsi, di produrre toni tra il sussurro e l’urlo spezzato…già nel reale c’è troppo parlare spento…in teatro il suono s’articola come un ché di deviato, deformato…quasi un’eco d’altrove. per questo forse spesso cerco di invadere per la scena luoghi desueti…territori di macerie e d’abbandono più che sfarzosi teatri e comode poltrone…sarà l’ossessione del viaggio, stanze di un poema sempre in cantiere dove ciò che si sente e si vede si sa che può in un istante svanire. Ombre, si, ombre…lemuri… Chi ha visto le cose che ho proposto in archivio un’idea può farsela…è come se invitassi l’astante a cercare tra le ombre il suo doppio…quasi un richiamo a farsi assorbire nello spazio/tempo prodotto dalle presenze e dai suoni (vedi “Il teatro sommerso” o ancora “Viaggio nelle viscere” o il notturno magico di “Un sogno bruscamente interrotto” o, da ultimo e recente l’esperienza di “Benevento città teatro” o, ancora “Il pozzo di sangue” che attraversò cortili di conventi e masserie dei luoghi sacri del Nolano). Il mio teatro cerca l’indistinzione tra l’attante e l’astante (vedi qui la categoria “Il cerchio di fuoco”) voglio che sia per tutti una porta per l’altrove in continua frizione con il mondo accanto, una metonimia del tempo/spazio, una chiave, un punto d’accesso. In questo la musica ha un ruolo non irrilevante, come da ultimo (vedi “Li farfalle de ghiaccio” o l’operina in cantiere “Anime anfibie”) la strutturazione in versi del parlato…un ritmo del dire che impedisce l’assuefazione al quotidiano fornendo all’attore e allo spettatore la via per “un altro da sé” un dire che tende al collettivo più che all’intimo di un personaggio immerso nella mimesi di una realtà possibile e simile alla nostra. Comincio a parlarne qui e vi tornerò in altri passaggi se da voi stimolato.
L’ultimo attore (per un monologo)
DICEMBRE 1, 2020
Dire a battito lento… m’ascoltate? Disperato è questo rompere il silenzio. il teatro è vuoto ed esalta questa voce e l’eco è oscura come questa fioca luce. (misura lo spazio quasi a far ritmo con lo scalpiccio dei passi) Quasi fantasma di me stesso regalo questo corpo al rito di una presenza prossima allo svanire già nell’attimo del dire…un dire che di sacro ha ormai solo questo senso del morire… il teatro è vuoto… agorà metafisica (sorride amaro) tra ombre fluttuanti…ultimo battito lento… magia compagna invadente di una sera oltre il sipario del niente… il niente…se non questa voce che permane insistente, resiliente, intermittente… esercizio di postura, ecco, arco di bellezza (tende il corpo ad arco in flessione per poi lanciarlo in un salto goffo)… oltre la quinta che m’opprime , forse, ci sarà ancora il mondo…no…i mondi… Oh li chiamerò danzando in questo nulla! Musica! Musica! Musica! (Batte le mani a ritmo e attacca una nenia che parte profonda dal ventre a bocca chiusa)…Dio, che vaghezza di inutile sogno…questo invocare divinità spente di un ecco, di un sogno che non è che un’ombra, un’ombra di un istante sfuggente di compresenza svanente di un piccolo io in corpo immanente. Actio, atto, attore, attante, il vizio osceno esposto di un corpo mutante (ride, fa smorfie si contorce) ...”la storia raccontata da un idiota, un piccolo attore che si muove per un’ora sulla scena e che non significa nulla”…(questa citazione dal Macbeth la dice quasi evocativa quasi ad afferrare con le mani ombre che gli sfuggono e che lo circondano…. poi, di improvviso tende le orecchie e pone le mani come in ascolto…sorpreso) Cos’è questo vento? Questo rumore che spacca il silenzio… fiume di gente andata… è in cammino… verso dove? No!!! NO!!! non è questa l’uscita! qui con me venite! In questa scena infinita…il teatro è vuoto! Non ve ne andate morti cari…Non abbiate paura. Questa non è tomba, è sacrario, spazio di mezzo, transizione… io sciamano ve ne farò ragione! No! Non rompete il cerchio di questo mio ultimo rituale…Svanite se così vi piace ultime presenze! Via! Via! Via! M’accascerò balordo , al centro della scena, mimando l’ultima assenza.
Del dialogo con l’ombra di luce.
DICEMBRE 2, 2020
-Vuoi che resti un po’ accanto a te?
-Non so chi tu sia, non ti ho chiamato.
-Tu credi? Eri seduto lì, ai bordi del bosco, e mi hai pensato.
-osservavo giri di nuvole tra il fogliame, la mente sgombra, e godevo del brivido lieve del primo freddo… hai scavalcato il recinto? Non amo porre confini, ma questo è un mio rifugio…vorrei lo rispettassi…Chi sei?
-Bella domanda! Potrei dirti che son fatto della sostanza delle tue visioni.
-Allora tra breve dovresti svanire in un battere di ciglia…
-Lo farò non prima, però d’averti detto perché ho risposto al tuo richiamo.
-Io non ho chiamato nessuno…
-Eppure ogni tardo pomeriggio allo svanire del sole tu sei qui a sfidare questo confine, dovresti sapere che a quei bordi s’annidano presenze, non dirmi che non l’avverti. a volte mi chiami “bagliore”, altre “ultimo raggio”, altre ancora, quando ti vesti di coraggio “fantasma di luce”
-Ma io ti vedo , ora, corpo e sostanza, giovane indeciso con occhi di malizia, un intruso nella mia mestizia.
-Vuoi forse cha apra le ali e mi metta a danzarti intorno con un gran fruscio di vento e calore?
-ah! ora vuoi farmi credere d’essere un angelo.
-Potrei essere l’ombra sacra dei tuoi pensieri migliori, se a te suona meglio.
-Lasciami stare, non dovresti essere qui, allora, i miei pensieri, non senti? Sono cupi.
-Appunto. per questo mi hai chiamato. Del resto non è la prima volta che mi ti manifesto.
-Non è vero! O forse ne ho perso memoria.
-E quella brezza che muove le foglie che tu canti, allora? e quel cinguettio vivace che persiste all’imbrunire? non sono forse voci del mio venire? Ed ogni volta che tu ti immergi nella mia presenza io tendo a consistere e stasera non ho potuto far senza. Mi vedi no?
-Si ti vedo… e un po’ mi inquieti…hai l’aria di un ragazzo piuttosto malizioso…Quasi quasi mi convinci a chiederti il senso delle cose.
-Ah, ne rido, mio compagno, sul tuo crinale senile, dovresti sapere che io sono l’ombra della tua curiosità infinita, senza risposte. Ora lascia ch’io vada. Mi confonderò tra le gocce di pioggia di questa sera uggiosa… se il crepitio si farà più intenso, accoglilo come un saluto, il trillo acuto di un sorriso complice.
-Non andare via! Dai resta! Ormai sei qui! Perché taci? Non ti vedo! Vieni! Ti invoco ancora… andato… sei andato…oh, lo so, in quale anfratto sei nato. Nell’intermittenza del mio sguardo cieco, quando batto le ciglia e fermo il tempo in un guardare sbieco… e ti chiamerò angelo ribelle , senza ali, ombra che si annida tra le mie valli più belle… addio…arrivederci…addio tra i celesti giri di nuvola corrente ci rivedremo, ragazzo.
Nei dialoghi all’imbrunire.
DICEMBRE 3, 2020
-Portami nel tuo teatro se puoi.
-Ancora tu e sempre all’imbrunire.
-E’ il mio interstizio di consistenza, dovresti saperlo.
-Già. Ma sei mutato, anzi oscilli di forma e ti scorgo male. Mi fai venire le vertigini, non riesco a fermare la tua immagine.
-Sono un corpo che per te attraversa il tempo ed il mio mutare è nell’apparire, nel frattempo.
-C’è dell’ambiguità in quel che dici…un corpo nel frattempo…
-E’ per questo che devi portarmi nel tuo teatro, fermarmi in quel frattempo.
-Corri dei rischi, lo sai?
-E che mai può succedermi più di questo continuo svanire e apparire?-
-Potrei moltiplicarti in mille sfaccettature di corpo e cose, farti rumore o vento o una luce selvaggia, o solo una voce, potrei dare di te anche un’immagine cupa e atroce.
-Lo hai già fatto senza che io te lo chiedessi, tante volte.
E perché allora ti ripresenti, ora, e me lo chiedi espressamente?
-Perché, credo, sia giunto il tempo che tu ti renda consapevole della mia presenza o, anche, se vuoi, della mia assenza.-
-Insomma ti vuoi intrufolare apertamente tra le mie carte, le mie visioni. Non ti sembra d’essere un po’ troppo invadente?
-Mi fai ridere quando difendi il tuo recinto. Vai rubando anime in giro e ti rifiuti d’accettare quella che più ti è prossima e che forse, da sempre t’accompagna…
-Vuoi farmi credere d’essere il mio Genio. Ora sei tu che mi fai ridere. E’ storia vecchia ed anche un po’ abusata.
-Che ego smisurato ti ritrovi! Parli di me come se fossi al tuo servizio, una parte di te in spirito folletto. Io sono quota di mondo, vecchio mio e se a te mi accosto, benevolo, è perché, tu voglia o non voglia a questo sei predisposto.
-Insomma sarei un medium, uno strumento.
-Se ti piace metterla così…Se poi non vuoi, chiudi tutte le finestre e prosciugati nel tuo deserto di solitudine.
-Ne sono tentato, sai? Bene. ormai sei qui e forse non per molto visto che l’ultima luce sta svanendo. Dovrò afferrarti con disperata energia prima che ancora una volta tu sfugga via…Chi o cosa vuoi essere, dimmi? Uomo, donna, bambino, animale da soma, un pellegrino all’ultima messa o uno smarrito viandante che canta all’aria tersa?
-Tu come mi vedi, ora?
-Non sei che un’ombra tra le ombre della sera, troppo sfuggente perché io possa fermarti in un corpo teatrale apparente…
-Quante ubbie ti fanno precaria la mente, fratello d’anima. Ecco, il tempo fugge e hai fatto venir su un vento di tempesta…vado via, come voce in bufera e, stasera, questo ti resta. Un ecco, un sogno, anzi del sogno un ombra…
-Le tue visite lampo stanno cominciando a darmi noia…dove sei? Cos’è questo ululare, sa di sberleffo! Passi , mi scuoti, poi mi lasci solo in questa scena vuota…adesso. Sai cosa faccio? Ti terrò prigioniero nei miei dialoghi all’imbrunire finché non ti deciderai a consistere per il tempo giusto in avvenire.
Dei dialoghi all’imbrunire 3
GENNAIO 11, 2021
(Come un vibrato di canto tra le foglie d’inverno)
-Ed eccoti ancora qui, traslucida presenza…
-Nel gelo grigio d’inverno, come senti mi son fatta vento.
-Se ti rendi sempre più ineffabile, come vuoi ch’io ti dia sostanza?
-Pensami musica tra le tue ombre…
-Così governerai ogni battito del mio dire!
–(un sorriso divertito) Quel che accade da sempre, mio poeta basito…
-E se io ti rinnegassi? S’io mi immergessi nella cruda luce del giorno, tra la gente, sfuggendo, così a questa penombra sottile dove t’annidi?
-Oh, certo! Puoi anche provarci… Ma non appena distogli lo sguardo dall’onesta folla e guardi oltre il mare all’orizzonte, lì mi ritroverai sull’increspatura delle onde…o se vuoi, nel battito di ciglia, negli interstizi del tuo sguardo assente…
-Mi vuoi dire che non ho modo di liberarmi di te?
-Puoi chiedere al tuo cuore di smettere di battere al tuo respiro di svanire in ultimo soffio, ma chi ti dice ch’io non t’accompagno anche oltre confine? Sei tu che hai fatto di questa mia nebbia consistenza nelle tue inesauste scritture.
-Ho inteso. Vuoi dire che persisterai anche nel mio senza?
-E’ la mia natura Umana troppo umana che mi garantisce sussistenza…immaterica tessitura di tutte le vite che hai pensato…me ne hai imbevuto ed ora io di te posso anche far senza…(fruscio in canto)…senti queste creature che con me s’annidano tra le foglie?…Grazie a me loro son parte del tuo canto…s’io volo con esse nel vento tu non ne proverai rimpianto.
-E sia! Ti chiamerò mia parte nel tutto… mia vaghezza di spirito in sostanza. Non posso che accettarti inquieta presenza…baluginio d’altrove nei miei momenti d’assenza.
(Svanisce in riso allegro e lieve il lieve fruscio di canto tra le foglie d’inverno)
Dialogo nella bruma di inverno.
GENNAIO 15, 2021
-Quante voci in questo gelo di lame d’acqua sottili. Tremori di luce e schizzi…quasi musica scherzosa e invadente…un inverno che dice “puoi scrivere di noi dal niente”…
-Ehi passeggero nell’acqua e nel cemento…se ti fai attento puoi ascoltare la mia voce cristallina…stavolta mi nascondo tra la pioggia e il vento…
-Sai dirmi tu, forse, perché quest’acqua mi sgombra lo scontento?
-Certo! Sono memorie d’umido felice…trasparenze lievi di vetri appannati, quando di contro al gelo si è cari e avvolti, al caldo rintanati…dici di ascoltare molte voci…e se fossimo quelle dei tuoi tempi andati?
-Come se questa bruma di inverno, dici, fosse odore di un tempo trasversale d’anima ed anime da me tra gli schizzi percepite…
-Si, perché no? Non sono forse io voce di vibrata nebbiolina…no, non voltarti! pensami per quel che sono: grumo nella bruma di una memoria un po’ bambina…
-Non sarai mica una voce da “Cime tempestose”?
-Avverti forse l’eco di struggenti perdite amorose?
-No! Solo la lieta malia d’un odore caro indistinto, un frizzare d’inatteso brio, come ti dissi, che mi spolvera lo scontento.
-Ed è bene così! Non inseguirmi tra le tappe di un tempo preciso…ecco ascolta il mio scalpiccio in girotondo…quale bimba in allegria dispettosa d’ogni tuo mondo….lo vedi? Tra i miei schizzi d’acqua il tuo sorriso s’è fatto giocondo…ed io lo so che quando tornerai tra le tue mura, appiccicherai il tuo naso al vetro e con la tua nebbia di fiato farai pergamena, per poi tracciare, col tuo dito smarrito, di mille indietro, la tua traccia di infinito…
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ENCORE PIERROT
Lo sento che mi guardi…eppur non ti vedo…sento addosso il fruscio del tuo sguardo, da un balcone di luna o da un riflettore di fortuna…oh, così mi metti addosso una sottile voglia d’amore…mi fingo, in questa solitudine, una notte e uno sguardo…uno sguardo che m’accarezza gentile, un soffio di vento che profuma d’aprile. Ne ridi giocosa lo sento, folletto o ninfa di fuoco e d’argento…sai cosa faccio? Ora mi stendo e guardo il cielo…su su …su magari ti scorgo tra le stelle… li su tra le luccicanti fiammelle…vediamo… sarai la decima da sinistra…le conto …e una e due…e tre… no così ti perdo…meglio chiudere gli occhi e vederti…così sarai una non mille…oh, saprei riconoscerti ora…vestita di bianco pronta al mutare di una rifrazione in colore…sai questa che ti recito, cara è una scena d’amore. Quando ti avverto il mio pallore si innerva di uno strano bagliore….Ci sei? Ma si! ma si! Ci sei! Alzo le braccia e danzo in vortice felice…Musica! Musica! S’infinga il trucco di magica bellezza…nessuno chiuda il sipario che non mi si uccida questa ebrezza!
LEI A PIERROT
Nella luce del tuo teatro notturno m’hai chiamato, quale falena di luce amorosa nei tuoi occhi, mio amato. Ah in questo arcano gioco d’assenze non m’è dato toccarti che ben altro segno avrei voluto darti. Io son femmina sai? E di farmi ombra più non sopporto, né più mi basta sfiorarti del mio fiato col colore. Oh sfiniti infingimenti d’amore, specchi rifratti di dolorose distanze…ora che la scena è mia tu sei svanito e di dedalo s’è fatto il mio cammino…l’eco di tua voce non m’è più vicina… (si china come avesse trovato un segno, in qualcosa) che vedo qui? Umido è di tua lacrima il terreno lascia ch’io vi bagni le palme e l’assaggi, caro liquido d’umore….anzi ecco v’aggiungo il mio che si mescoli quale liquida carnale sostanza oh…si potesse far fiume d’antichi amplessi giungendo i nostri corpi fin nei più intimi recessi. Oh Pierrot vorrei smettessi di cantare alla Luna e alle stelle, si son nostre compagne quelle fiammelle, ma qui sul mio seno, le troverai, nel mio ansimare più calde, più belle. Ma tu canti evocando la mia presenza in assenza sulla scena vuota del tuo notturno segreto… e si fa bieco e malvagio questo alternarsi nel comparire…traslucida sequenza di un teatro d’amore sulla soglia dello svanire. Oh, non si chiuda il sipario su questo mio pianto che cadrebbe nel suono sordo del mio schianto.
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