ANNA IUSO
QUINDICI DONNE NELLA STORIA. MEMORIA,
FUTURO E NOSTALGIA DELL'89 RUMENO A
TRENT’ANNI DALLA CADUTA DI CEAUSESCU
ESTRATTO
da
LARES
Quadrimestrale di studi demoetnoantropologici
2020/3 ~ a. 86
Anno LXXXV n. 3 – Settembre-Dicembre 2020
Rivista fondata nel 1912
diretta da
Fabio Dei
Leo S. Olschki
Firenze
Anno LXXXV n. 3
Settembre-Dicembre 2020
LARES
Rivista quadrimestrale di studi demoetnoantropologici
Fondata nel 1912 e diretta da L. Loria (1912), F. Novati (1913-1915),
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Miscellanea
Fabio Dei, Editoriale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Martino Rossi Monti, In the name of the virus. Intellectuals and the pandemic . . . .
Glauco Sanga, Morfologia della fiaba . . . . . . . . . . . . . . . . .
Marco Santoro, Il dono del don. Frammento di una teoria politico-culturale della mafia .
Chiara Scardozzi, Esperienze e rappresentazioni indigene dell’‘alterità’ nel Gran Chaco
argentino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dario Nardini, Un punto sullo sport. Antropologia del corpo-in-movimento . . . . .
Anna Iuso, Quindici donne nella storia. Memoria, futuro e nostalgia dell’89 rumeno a
trent’anni dalla caduta di Ceausescu . . . . . . . . . . . . . . . .
Gli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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ANNA IUSO
QUINDICI DONNE NELLA STORIA
MEMORIA, FUTURO E NOSTALGIA DELL’89 RUMENO
A TRENT’ANNI DALLA CADUTA DI CEAUSESCU
Quand on écrit il est très dur de distinguer à priori
ce qui est essentiel ou moins important.
Et il est probable que dans la correspondance
l’anecdote ait une importance de premier ordre:
l’anecdote avec tout ce que ça a de fragile, illusoire,incertain, aléatoire, hésitant
et tellement humain!1
Ritrovamenti quasi fortuiti: della vita e del metodo
Devo aver incontrato Amélie nel giugno del 1995. Più che un ricordo,
conservo di lei un’impressione: quella di una giovane donna bruna, dal sorriso aperto. Il che non significa una donna sempre sorridente. L’ho conosciuta durante la mia ricerca e sugli archivi autobiografici in Europa, che
mi aveva portata a Ambérieu en Bugey, a fare l’etnografia delle Journées
de l’Autobiographie, il raduno annuale dell’APA. Association pour l’autobiographie et le patrimoine autobiographique. Ci arrivai assieme a Daniel Fabre,
e ad aspettarci, nella piccola stazione, c’era Philippe Lejeune. Di lì a poco
avrei incontrato Saverio Tutino e sua moglie, Gloria Argelès, e quei giorni
segnarono buona parte del mio percorso di ricerca.
Ma non sapevo che avrei incontrato anche Amélie, membro dell’APA,
con cui stabilii da subito un contatto diretto, forse intimo. Le raccontai della mia etnografia sugli archivi autobiografici, di cui le nostre chiacchierate
erano un tassello, e qualcosa scattò in lei: ero la persona giusta cui affidare
le sue lettere con le corrispondenti rumene, «ne avrei fatto qualcosa». Mi
spiegò che negli ultimi cinque anni, cioè dalla caduta di Ceausescu, aveva
intessuto una fitta corrispondenza con diverse donne rumene. L’esperienza epistolare, umanamente ricca e intellettualmente densa, volgeva al suo
1
Amélie, lettera a Iosefina, 15 novembre 1993.
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ANNA IUSO
termine, e per Amélie io ero la giusta depositaria di quelle missive. Me le
inviò, effettivamente, nei mesi successivi, e avremmo fatto il punto della situazione un anno dopo quando, dopo diversi scambi epistolari, ci saremmo
riviste per le Journées de l’autobiographie che mi ero proposta di organizzare
presso il Garae di Carcassonne.
Nel frattempo, sempre alla ricerca di archivi autobiografici, ero andata
in Romania, dove per la mia inchiesta il quadro era piuttosto desolante:
nessun archivio, nessun fondo specifico. Trovai però molta disponibilità in
diversi interlocutori che mi spiegarono che la scrittura autobiografica in
Romania fino a Ceausescu era poco frequentata, per paura che la Securitate potesse metterci sopra le mani e incriminare gli autori anche per i
contenuti più anodini. «Non, ma chère Anna, tu ne trouveras rien de ce
genre ici. D’ailleurs…». A pronunciare questa frase era Irina Nicolau, brillante collaboratrice del Museul Taranului Roman, grazie alla quale per la
mia ricerca sul campo si aprirono molte porte, a partire dalla sua. Il d’ailleurs riguardava anche se stessa. Nello spiegarmi fino a che punto i rumeni,
sotto la dittatura de Conducador, fossero terrorizzati all’idea di mettere
per iscritto le proprie vicende personali, mi raccontò di una sua singolare quanto eccezionale iniziativa: sapendo che sotto il regime di Ceausescu
tutti avevano taciuto, soffrendo la fame, il freddo e la povertà, ma anche
l’impossibilità di rivendicare, di esprimere il proprio dissenso e il proprio
dolore, nelle ore immediatamente successive alla caduta del dittatore Irina
aveva accolto, e raccolto le testimonianze di chiunque volesse parlare, di
chiunque volesse sfogarsi. Aveva, letteralmente, aperto le porte di casa sua,
acceso un registratore nella sua cucina, e registrato il dolore e la rabbia di
decine di suoi concittadini, finalmente liberi di raccontare «la propria vita
sotto Ceausescu». Conservava quelle cassette come un bene prezioso, mais
d’ailleurs, come mi diceva, al momento non poteva farci nulla. Troppo vicine erano quelle vicende, troppo vivo era il ricordo, troppo in forse ancora
il futuro. E fu lì che cominciai a capire la portata delle lettere di Amélie,
che conservavo nel mio studio, che di tanto in tanto maneggiavo come un
vino d’annata, e che come un vino d’annata aprii quando ormai trent’anni
erano passati.2
2 Ho aperto ‘ufficialmente’ queste lettere nel 1989, trentennale della caduta del muro di
Berlino e di Ceausescu, costruendoci intorno un progetto di ricerca di cui questo contributo è
una presentazione. Il progetto ha vinto il bando dei Progetti d’Ateneo Sapienza, dove è stato
presentato col titolo: Quindici donne nella storia. Trent’anni dalla caduta di Ceausescu a partire da
un inedito carteggio franco-rumeno.
QUINDICI DONNE NELLA STORIA
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La densità storica e la cesura dell’89
Bisognava dunque aspettare che queste lettere si facessero memoria.
E mentre questo carteggio maturava la sua densità storica, sottraendosi
alle contingenze del presente, uscivano due volumi che avrebbero in buona
parte orientato il mio sguardo sulla contemporaneità che progressivamente, da quell’ormai lontano 1995 in poi, si mostrava, per l’appunto, sempre
più segnata dalla sua sete di memoria.3 Il tempo delineava il potenziale di
questo carteggio che nell’ampio quadro concettuale del rapporto fra storia
e memoria propone uno specifico angolo prospettico: lo sguardo femminile sulla caduta di Ceausescu – uno dei momenti più emblematici della fine
delle grandi ideologie – dietro il quale si staglia uno degli eventi più densi
della nostra contemporaneità, il crollo del muro di Berlino.4 Uno spiraglio
per addentrarsi nell’ancora inesplorato campo di studi delle memorie del
comunismo, poiché queste fonti consentono di analizzare le dinamiche
concrete che hanno accompagnato questo mutamento culturale e politico
attraverso quelle che ormai siamo abituati a chiamare living memories.5
I due libri che mi sembrò potessero aiutare a situare il caleidoscopio
rappresentato da queste lettere nell’ampio quadro concettuale del rapporto
fra storia e memoria erano i lavori di François Hartog e di Joel Candau, che
hanno visto nel 1989 una frattura epocale in cui le convinzioni politiche,
economiche, filosofiche e sociali della «civiltà europea», maturate dall’epoca dei Lumi in poi, si sono mostrate illusorie, proponendo delle interessanti chiavi di lettura storico-antropologica.6 Per Hartog, crollate le grandi
utopie trasformatrici, finite le convinzioni dell’andamento teleologico del
progresso tecnologico, in tutta Europa si è assistito al crollo della fiducia nel
3 J. Winter – E. Sivan (eds.), War and Remembrance in the Twentieth Century, Cambridge,
CUP, 2002.
4 Sugli intrecci fra storia, memoria e ricerca antropologica saranno fondamentali, in questa ricerca, le basi poste da Fabio Dei in F. Dei, Antropologia e memoria. Prospettive di un nuovo
rapporto con la storia, «Novecento», X, 2004, pp. 27-46; Id., Storia, memoria e ricerca antropologica,
in C. Gallini – G. Satta (a cura di), Incontri etnografici, Roma, Meltemi, 2007, pp. 40-67. Sulle
possibilità delle scritture dell’io per raccontare la storia, vedi J. Chiantaretto (ed.), L’écriture
de soi peut-elle dire l’histoire?, Paris, BPI, 2002; F. Cappelletto, Dall’autobiografia alla storia. Le
memorie delle atrocità di guerra in Toscana, Pisa, Pacini, 2010.
5 Il progetto prevede infatti una ricerca etnografica in Romania, dove rintracciare alcune
delle scriventi e comparare i mutamenti della memoria autobiografica a distanza di trent’anni,
e quindi comprendere come il ricordo dell’evento e della successiva fase di transizione si è
modificato nel tempo e si è trasmesso alle seconde generazioni. In questo senso, l’etnografia è
concepita come strumento essenziale per comprendere come la memoria individuale sia plasmata da più ampie cornici collettive. Alcune scriventi sono state contattate, ma il Covid-19 ha
evidentemente messo in crisi la fattibilità di questa parte del progetto.
6 F. Hartog, Régimes d’historicité, Paris, Seuil, 2003; J. Candau, La memoria e l’identità, Napoli, Ipermedium, 2002 (ed. or. 1999).
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futuro e all’esaltazione progressiva delle potenzialità del passato. In questo
senso gli eventi del 1989 sono letti come una «faglia nel tempo» che hanno
segnato, come causa e come sintomo, una variazione del rapporto al tempo
da parte delle società occidentali, con un conseguente cambiamento di «regime di storicità». In altri termini, se con l’Illuminismo le società occidentali erano entrate in un tempo positivo, ineluttabilmente teso verso un futuro
migliore, con il 1989 questa fase della storia dell’umanità, per Hartog, si è
chiusa. E questo fallimento delle grandi ideologie ha distolto lo sguardo dal
futuro per orientarlo verso il passato: alla fiducia nel futuro si è sostituita la
delusione e l’appiattimento dell’orizzonte di pensiero sul presente, dando
vita al nostro attuale regime di storicità, il presentismo. Negli stessi anni
l’antropologo Candau dimostrava, col suo volume del 1999, come il crollo
delle grandi utopie trasformatrici ha comportato l’implosione di memorie collettive di gruppi sociali che, posti di fronte al cambiamento epocale,
hanno dovuto concepire diversamente la propria percezione del passato.
Come si è svolto questo cambiamento di regime di storicità in Romania?
Come hanno reagito le persone comuni? Quali sono stati i realia di questo
mutamento? Questo carteggio, in quanto traccia etnografica e fonte storica
inconsapevole, consente di seguire per cinque anni i pensieri, le speranze
e le paure di un gruppo di donne rumene immerse in questo tsunami storico e culturale, e di vedere dall’interno come è cambiata la percezione del
mondo e della storia.
Corpus, corpora, corpi
Il corpus è costituito da 175 lettere autografe, scambiate fra il 1990 e il
1995 fra 33 rumeni e una francese. Assieme alle lettere, un cospicuo numero di cartoline della Romania e alcuni biglietti di auguri pasquali e natalizi.
I protagonisti di questa intensa vicenda epistolare hanno dei ruoli molto
differenziati che il carteggio, una volta letto nella sua integralità, restituisce
in maniera palpabile, quasi fosse una pièce teatrale. La protagonista principale è indubbiamente Amélie, che ‘resta sempre sul palco’ e interagisce con
tutti gli altri, che in alcuni casi, sempre grazie a lei, intessono dei rapporti
e delle corrispondenze anche fra di loro. Amélie mi ha dato le sue lettere
raccolte in buste divise per destinataria; troviamo così la busta delle lettere di
Sperantza, la busta delle lettere di Alexandra, di Florina, e così via. Per lei ciò
che contava, alla fine, erano le persone con cui aveva stabilito dei rapporti
più o meno forti, e le esperienze di viaggio che ne erano derivate. In una sua
lettera dell’ottobre 1995 mi scrive infatti: «Cara Anna […] il pacco delle lettere rumene partirà questa settimana per Roma. Ho cercato di mettere un
po’ d’ordine, mi sembrano così vecchie, così lontane. Oggi mi pare di non
avere più corrispondenti. Mi restano due amiche care: Iosefina e Mihaela».
QUINDICI DONNE NELLA STORIA
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Ma per noi, che dietro i rapporti umani dovremmo scorgere altro, che
abbiamo bisogno di capire che cosa è successo, è più utile ‘rimischiare le
carte’, ridistribuire le lettere in ordine cronologico. E così vediamo entrare
in scena Amélie, che si presenta con una lettera quasi standard, progressivamente, ai suoi singoli interlocutori:
Cari amici, ho letto il vostro annuncio e sarei felice di corrispondere con voi per
conoscervi, scambiare delle idee e crescere! Sebbene più interessata alla letteratura e alla pedagogia che alla politica, seguo con mio marito e con molto interesse
gli eventi che si stanno verificando nel vostro Paese. Mi chiamo Amélie, ho 36 anni
[…]. Mio marito ne ha 38 […] e abbiamo tre figli […]. Abitiamo nel Sud della Francia […]. Parlateci di voi, delle vostre professioni, del vostro ambiente, della vostra
regione e di tutto ciò che più vi interessa raccontare.7
L’iniziativa, è importante precisare, non nasce da Amélie. Come apprendiamo dal carteggio, poco dopo la caduta di Ceausescu sono nate una
serie di iniziative di sostegno per il popolo rumeno. Fra queste, ci fu anche
l’idea di creare dei ponti diretti fra cittadini rumeni e cittadini di altre nazioni attivando un sistema che, per certi versi, ricorda quello delle madrine
di guerra8: attraverso alcuni quotidiani i rumeni davano il loro indirizzo
dicendosi aperti a cominciare un’esperienza di scambio epistolare con degli
stranieri. Ciò avvenne per certo in Germania, in Belgio e, per l’appunto, in
Francia, il che ci consente di ipotizzare che esistano altri corpora di questo
tipo, che questa ricerca potrebbe fare emergere.
Amélie accolse questa proposta rispondendo non ad uno, ma a ben
trentatré cittadini rumeni (alcuni dei quali scrivevano in coppia) che attraverso un loro giornale «locale» avevano fatto pervenire i propri indirizzi alla
testata francese «Libération».9 Non so quanto fosse deliberata, da parte di
Amélie, la scelta di scrivere essenzialmente a donne, che vivevano in luoghi
7 Questa lettera ci è stata trasmessa da Steliana, una delle corrispondenti rumene che
abbiamo contattato e incontrato in una prima fase di questa ricerca. È la prima che Amélie le
ha inviato, datata 1 giugno 1990, ma sicuramente Amélie ne aveva inviate altre, ad altri destinatari, nelle settimane precedenti. La lettera di risposta che apre il carteggio, infatti, è quella di
Luciana, datata 6 maggio 1990.
8 L’idea di indagare comparativamente l’analogia fra questo tipo di corrispondenza e
quello delle madrine di guerra è della storica Lidia Piccioni, membro dell’équipe che sta realizzando questa ricerca.
9 Questa è una delle dimensioni di questo fenomeno che la ricerca che qui presento dovrà
indagare: quanti furono i Paesi che aderirono, e quanti cittadini entrarono in contatto fra di loro
non è ancora chiaro. Tutto lascia però supporre che si sia attivata una rete molto ampia, la cui
portata potrebbe essere molto vasta, se consideriamo la densità degli scambi che questo epistolario lascia intravvedere. Al di là di Amélie, per esempio, scopriamo che una delle sue corrispondenti, Luciana, in seguito alla pubblicazione del suo indirizzo, ha ricevuto circa 100 lettere, ed
ha poi mantenuto una corrispondenza stabile con ben 15 persone, alcune delle quali tedesche.
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ANNA IUSO
molto diversi, ben distribuiti sul territorio nazionale,10 ma questa sua scelta
si rivelò particolarmente felice perché ci dà oggi uno spaccato dei mesi e
degli anni successivi alla rivoluzione rumena da diverse angolature: da una
Bucarest sede centrale degli eventi storici e destinazione principale di tutti
gli aiuti, a una marginale e periferica Turnu Magurele,11 queste donne parlano di tutto, dalla politica alla vita quotidiana, con tutti i preziosi spazi interstiziali e senza il filtro del tempo che solo essa può offrire. E parlano dei
loro corpi, delle malattie e degli acciacchi, del freddo, del lavoro che sfibra
e della voglia di aver cura di sé; ma il tempo che vivono non lo consente,
perché stanno attraversando una particolare congiuntura storica, che sanno descrivere e di cui si fanno carico. In questo senso questo carteggio consente di valutare da vicino il peso che questa cesura politica ha esercitato
nei vissuti di queste persone, e si apre agli studi, anch’essi poco numerosi,
sul rapporto fra scritture femminili e grandi eventi storici.
Solo cinque gli uomini, che si firmano assieme alla moglie, e con nessuno di loro la corrispondenza si svilupperà nel tempo; tutti e cinque sono
infatti nella busta catalogata come «corrispondenze senza seguito» perché
Amélie non voleva scambi epistolari superficiali, formali o, al contrario,
utilitaristici; chiedeva uno scambio reale di esperienze, e significativamente
questa proposta l’hanno accolta solo le donne, dando vita ad un originale
caso di corrispondenza asimmetrica.12 La scelta di definire gli elementi e gli
ambiti del discorso, poi, hanno involontariamente costruito un carteggio
in cui abbiamo una serie di informazioni costanti per tutti i corrispondenti,
conferendogli una uniformità che ne fa un corpus analizzabile.
Da questa scelta deriva anche la densità di questo carteggio e la scrematura che si è automaticamente operata nell’arco del primo anno. Quasi tutti
i corrispondenti entrano in scena fra maggio e luglio 1990;13 tutti scrivono
10 Su questo, e su altri dettagli di questa esperienza, non mi è stato possibile intervistare
a lungo Amélie, che purtroppo è venuta a mancare pochi mesi dopo avermi regalato le lettere.
11 Le città in cui vivono le corrispondenti di Amélie sono: Bacau, Baia Mare, Brosov, Bucarest, Cluj-Napoca, Craiova, Galati, Hateg, Iasi, Madgidia, Medias, Onesti, Piatra Neamt, Pitesti,
Ploiesti, Suceava, Turnu Magurele.
12 Sulle potenzialità della corrispondenza asimmetrica e femminile come fonte per uno
spaccato storico-culturale, vedi A. Iuso – Q. Antonelli (a cura di), Scrivere agli idoli, Trento, Museo Storico di Trento, 2007. Per i primi fondamenti epistemologici di un’analisi antropologica
delle scritture quotidiane di gente comune rimando invece a D. Fabre (ed.), Ecritures ordinaires,
Paris, POL, 1993; Id. (ed.), Par écrit. Ethnologie des écritures quotidiennes, Paris, MSH, 1997.
13 Non sarà forse inutile ricordare che alla caduta di Ceausescu la Romania era un Paese
stremato dalle scelte autarchiche volute dal leader comunista, provato dalla ossessiva presenza
della Securitate che controllava capillarmente la vita sociale impedendo la nascita di movimenti
organizzati, e segnato dalle politiche nazionaliste che avevano colpito le minoranze interne. La
speranza che la transizione verso un’economia di mercato potesse sanare i problemi del Paese si
sarebbe rivelata ben presto infondata. In assenza di una opposizione reale, fu la nomenklatura a
cercare di assumere il potere, raggruppandosi nel Fronte di Salvezza Nazionale e allontanando
QUINDICI DONNE NELLA STORIA
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in francese, seppur con diversi livelli di padronanza linguistica, e quasi tutti
appartengono a una fascia sociale media, nella fattispecie a quella che definiscono «la classe intellettuale». Si tratta di insegnanti di scuole superiori,
maestre di scuole elementari, bibliotecarie, un’avvocatessa, una chimica,
diversi ingegneri, una psicologa infantile, un capostazione, un elettricista.
Tutti disposti a raggiera intorno a Amélie, e cominciano a raccontare le
loro storie.
Chi sono, cosa fanno?
L’avvio di una conoscenza ha qualcosa di stereotipato, anche perché
qui segue le regole dettate da Amélie: ci si presenta dando il proprio nome,
l’età, la professione, la descrizione del proprio nucleo familiare. Più di una
di queste donne è divorziata, forse perché, come spiega Olga, divorziata e
figlia di divorziati, «noi rumeni siamo ortodossi, e da noi il divorzio è più
facile, il Patriarca lo permette».14 Si illustrano i pregi e i difetti della città
in cui si vive, e prima o poi, nella prima lettera, si dice se si è proprietari o
meno del proprio appartamento, e se si possiede un’auto. Essere proprietari della propria casa è chiaramente fonte di orgoglio, indice di una stabilità
più sperata che reale, poiché l’instabilità e l’insicurezza è la cifra primaria di
tutte queste vite. La perdita della casa è una tragedia assoluta perché, al di
là della privazione in sé, è marchio di infamia, sintomo di una persecuzione
che destabilizza tutto il quotidiano. Ne sa qualcosa Olga, ancora lei: nata a
Bucarest in una famiglia dell’alta borghesia, che contava fra i suoi membri
numerosi giuristi, artisti e scrittori, con l’avvento del regime comunista si
è vista espellere dalla Facoltà di Giurisprudenza, dove frequentava già il
secondo anno, per andare, letteralmente, a zappare la terra. Solo dopo anni
è riuscita a vincere il concorso come segretaria, e poi bibliotecaria, dell’Istituto d’Arte Drammatica di Bucarest. Nel 1949 la sua casa di famiglia è stata
«nazionalizzata», ed è stata quindi costretta a pagare un affitto per restarvi
come inquilina, assieme a molte altre persone che l’hanno però sistematicamente maltrattata in quanto «figlia di proprietari». Per 35 anni le è stato
impedito l’accesso alla cucina; preparava le sue pietanze in una postazione
improvvisata sulle scale finché uno dei coinquilini non ha cominciato a pici dissidenti. I primi anni post-Ceausescu videro il convulso passaggio del potere tra i diversi
partiti nati dalle ceneri del Partito Comunista Rumeno. Qualche tentativo di cambiamento verso l’economia di mercato fu presto soffocato da manifestazioni di piazza, di cui queste lettere
danno la cronaca. Pur tra molte difficoltà il pluralismo politico riuscì tuttavia ad affermarsi,
ma non a risanare il Paese. Il prezzo più alto sarebbe stato pagato da anziani, bambini e donne
che avrebbero sempre più numerosi preso la via dell’emigrazione. Cfr. A. Biagini, Storia della
Romania contemporanea, Milano, Bompiani, 2007; F. Guida, Romania, Milano, Unicopli, 2009.
14 Luciana, 3 luglio 1990.
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chiarla. A quel punto è andata via, e nel momento in cui scrive è ormai in
pensione e abita, nostalgicamente sola, in un appartamentino di due stanze
che paga 600 lei al mese.
Come tutti, anche Luciana ha esordito ringraziando Amélie per aver accolto il suo «appello», si è scusata per eventuali errori nel suo francese, e si è
dichiarata felice di poter finalmente, dopo 45 anni di dittatura, avere contatti
col «mondo esterno», con altri Paesi. Ma tutti hanno paura di cose diverse,
eppur sempre le stesse: che il cambiamento sia troppo lento, che forse non è
stato un vero cambiamento, e che comunque lo stanno pagando caro:
È vero che in 45 anni di dittatura il nostro popolo ha avuto una vita molto dura,
piena di privazioni materiali e spirituali. Quegli anni ci hanno semplicemente
schiacciati, hanno annientato il nostro spirito, hanno intorpidito le nostre coscienze. Ed ecco che la rivoluzione è arrivata. Ci ha permesso di alzare la testa, di riconquistare la nostra dignità. E però ci sono problemi di ogni tipo, soprattutto
materiali; gli aiuti non sono arrivati in tutte le case e la nostra economia è ancora
deficitaria… Ma conserviamo le nostre speranze e aspettiamo le elezioni di maggio e i cambiamenti che dovranno portare.15
Queste speranze di Luciana al 6 maggio del 1990 si assopiscono di fronte alle difficoltà e ai sussulti socio-politici. Nella lettera del 15 giugno 1990
descrive come una montatura le manifestazioni dei giorni immediatamente precedenti:
Da tre giorni sono in uno stato d’animo confuso, a causa delle manifestazioni di
violenza che ci sono state di nuovo a Bucarest.16 Alcuni gruppi di esaltati, a quanto
pare manipolati da alcune forze di orientamento estremista, hanno preso d’assalto
la TV rumena e altre istituzioni dello Stato provocando danni materiali e anche
delle vittime. Questi hooligans facevano parte dei manifestanti di Piazza dell’Università che chiedevano le dimissioni di Iliescu e del governo, accusati di aver
“rubato” la rivoluzione. Questi sono individui che, dopo la rivoluzione, invece di
lavorare, sono diventati ‘manifestanti’ di professione.
Nella lettera del 22 settembre accusa gli stessi manifestanti di guadagnare 600 dollari al giorno per queste miserabili messe in scena. Nelle manifestazioni dei minatori, per Luciana si tratta di controfigure, uomini «travestiti
da minatori». Insomma, tutto ciò è difficile da accettare. E così si succedono,
nelle sue lettere e in quelle di tanti altri, le impressioni dei giorni, le riflessioni, e le informazioni sulla «vita spicciola» quotidiana. Fra i temi più frequenti, soprattutto fra il 1990 e il 1992, c’è l’aumento dei prezzi di qualsiasi tipo
di derrata. Olga deve fare attenzione, con la sua modesta pensione: «Da noi
i prezzi sono diventati esorbitanti. Un panino costava 25 centesimi, poi 1 lei,
15
16
Si riferisce qui alle elezioni che hanno portato al potere Iliescu.
Luciana vive a Bacau.
QUINDICI DONNE NELLA STORIA
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e adesso 4 lei (pesa pochi grammi). La carne costava 90 lei, adesso 370».17 Il
17.12.91 le cose vanno ancora peggio: «I prezzi sono diventati astronomici,
un giornale che prima costava 1 lei ne costa 10, l’aereo costa 30 volte più
di prima, la carne 500 lei». All’aumento dei prezzi si aggiunge, ancora più
esasperante, la penuria generalizzata: non si trova nulla, e anche il cibo scarseggia: «Lei non può immaginare cosa significhi lavorare in cucina 3-4 ore al
giorno; fare la fila per le uova, per il burro, che è raro. La razione di zucchero
non è stata data da luglio (1 chilo a persona)».18
Un quadro che fa rabbia e preoccupa. Ma soprattutto si insinua il sospetto che qualcosa non quadri, che qualcosa non stia funzionando: è stata davvero una rivoluzione? O sono sempre gli stessi che sono tornati al potere? È
davvero solo un periodo di transizione? E quanto durerà? Troppe cose sono
come prima: le file davanti ai negozi, interminabili, un’ora per comprare il
pane, un’ora per qualsiasi cosa, ammesso che la si trovi. Queste file sono
una specie di topos narrativo: se ne parla spesso descrivendo la stanchezza,
il freddo, l’avvilimento che provocano; da esse si evade a volte sognando,
mentre si aspetta, di essere altrove. E poi il freddo: una costante assoluta,
prima e dopo la caduta della dittatura. Fra questi rumeni che amano la loro
campagna e osservano l’alternarsi delle stagioni, i colori dell’autunno sono
forieri della grande prova ciclica: resistere al freddo invernale. È un tema
particolarmente diffuso: nelle case la temperatura d’inverno è intorno ai 15
gradi; i riscaldamenti centralizzati non funzionano per la crisi energetica,
i vestiti per coprirsi scarseggiano e bisogna riciclare tutto; certuni sperano
che il forno possa smorzare il gelo… anche in questo nulla è cambiato, e
per alcuni il freddo diventa una cifra esistenziale: «Da noi fa freddo fuori e
dentro le nostre anime».19
Si scorge bene, nel passaggio fra il ’90 e il ’91, l’affievolirsi delle speranze e il diffondersi della rabbia. Tutto si muove, nelle direzioni più disparate, ma sembra prendere la strada sbagliata. L’arrivo di investitori stranieri
fa sperare in meglio, e invece arriva la disoccupazione; la privatizzazione
fa aprire nuovi negozi, che sono però vuoti o impraticabili per i prezzi.
Anche ciò che prima era accessibile diventa proibitivo: salgono alle stelle
i costi dei trasporti, i servizi postali. Il 20 ottobre 1991 Eliza va alle poste
per spedire un pacco a Amélie, ma torna indietro perché i prezzi sono talmente aumentati che l’invio del pacco le sarebbe costato oltre la metà del
suo stipendio.
Le domande si moltiplicano: ma allora cosa sta succedendo, chi siamo
e chi eravamo? L’autocritica diventa feroce: forse non eravamo comunisti,
ma non abbiamo capito cos’è la democrazia; aspettiamo ancora passivi che
17
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Olga, 15 luglio 1991.
Camila, senza data, seconda metà del 1991.
Sanziana, 5 febbraio 1991.
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le cose cambino, affetti ancora dall’«inerzia comunista».20 Ma coloro che
si muovono lo fanno senza leggi né regole: «Da noi le cose vanno di male
in peggio. Siamo sopraffatti dai numerosi problemi materiali e finanziari.
La vita è diventata una vera e propria battaglia e solo i più forti vincono.
Anche da noi comincia a regnare la legge della giungla».21 Questi scriventi
rappresentano una fascia della popolazione piuttosto sfavorita: il loro tenore di vita dipende dai loro stipendi, non hanno un margine di manovra
per un’attività indipendente, e lo Stato non ha la forza di sostenerli. Non a
caso, fra tutti, l’unico che non ha problemi economici è l’elettricista. Non
si capisce in che direzione si va, non si intravvede il futuro. E allora sì che,
da una lettera all’altra, nella loro modesta fattualità, vediamo il crollo delle
grandi memorie organizzatrici e l’installarsi del presentismo. Non è solo un
periodo di transizione, ma è stato un salto nel vuoto, verso un futuro totalmente ignoto; e di fronte a una classe politica che non ha alcuna visione,
l’unica via d’uscita è far fronte al presente, lo stesso su cui tutti i discorsi
politici sono schiacciati.22 Un presente rispetto al quale ci si organizza in
tutti i modi, in parte anche attraverso questa corrispondenza. E così coloro
che non entrano appieno in questo meccanismo escono di scena, e nel novembre del 1991 di corrispondenti a Amélie ne restano 22, che ben presto
diventeranno 14.
Le persone e le cose
Cosa hanno fatto di diverso coloro che sono rimasti? Rispetto ai primi,
che è però lecito pensare che abbiano investito in altri scambi epistolari e
non, questi 22 hanno ‘accettato’ le regole di una corrispondenza densa, in
cui ci si arrischiava ad esporre le proprie opinioni e a raccontare i dettagli
della propria vita. Ciò che faceva anche Amélie, ma con ben altre implicazioni e senza alcuna difficoltà. Nei mesi successivi resteranno soltanto le
nostre irriducibili 14 donne, che non a caso sin dall’inizio avevano intessuto con Amélie anche scambi che vedono come protagonisti indiscussi gli
oggetti.23
Iosefina, primavera 1992.
Clea, 2 settembre 1991.
22 Interessanti anche le riflessioni, spietate, sulla classe politica emergente, e sull’uso della
TV per cercare di instaurare un sentimento di partecipazione alle sorti del Paese. Sui macro
processi dell’identità collettiva in questo contesti si veda A. Montanari – G. Ammassari Pirzo
– M. D’Amato, Nazionalismo e identità collettive. I percorsi della transizione in Romania e nella Repubblica di Moldova, Napoli, Liguori, 2000.
23 Quella della cultura materiale si prospetta come una pista specifica di questa ricerca,
da seguire a partire da questi oggetti, e quindi dal campo di indagine aperto da Appadurai e
Kopytoff (A. Appadurai (ed.), The Social Life of Things: Commodities in Cultural Perspective, Cam20
21
QUINDICI DONNE NELLA STORIA
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Cibo per il corpo e cibo per la mente: ciò che tutti chiedono, e a cui
una corrispondente si limita temendo di sembrare un’approfittatrice, sono
i medicinali. Scarseggiano, sono di bassa qualità. Così ognuno descrive i
propri acciacchi, le proprie malattie; in capo a qualche mese il ritmo è stabile e i riferimenti precisi: si chiedono specifici medicinali per specifiche
malattie o indisposizioni. Ma ancor prima si chiede il cibo per la mente: fra
le prime cose chieste e inviate ci sono le riviste, «per sapere cosa succede nel
mondo». Le testate più richieste e più inviate sono «Paris Match» e «Elle», e
vengono lette e rilette, prestate ad altre amiche… Ciò che disturba Amélie,
la pubblicità, è invece quasi fonte di piacere per Iosefina: «A proposito, dimenticavo di ringraziarti per le riviste. Per quanto io sappia che non diano
la felicità, non posso impedirmi di ammirare quest’abbondanza di cose che
la pubblicità presenta».24 Ma non ci si ferma certo lì: ci si scambiano articoli
di giornali e libri di autori francesi,25 così introvabili soprattutto negli ultimi quindici anni di dittatura. E poi Amélie invia qualche cassetta, e vestiti,
cioccolato, caramelle, sigarette, biancheria intima, collants, creme e, top
del piacere femminile, profumi: «Sono stata molto contenta dei medicinali
che mi hai inviato, e ho già cominciato la cura. Mamma ti ringrazia per lo
shampoo colorante e Daria [la figlia] per il cioccolato. Grazie anche per il
bel libro della Yourcenar e per i campioncini di profumo. Purtroppo nel
pacco non ho trovato il mio profumo preferito, ‘Kenzo’; forse ti è caduto
quando hai preparato il pacco».26 La discreta allusione al profumo ‘caduto’
è ovviamente una chiara denuncia del fatto che i pacchi vengono aperti, e
gli oggetti più redditizi da vendere sull’onnipresente mercato nero vengono
rubati: «Ti avevo scritto di non inviarmi delle cassette perché non ho ancora
fiducia nelle poste rumene, ma come vedi poco a poco le cose cambiano…
eppure, il piccolo flacone di profumo è sparito (hanno lasciato solo la scatola); le poste rumene amano il profumo francese».27 Questi oggetti vivono
una seconda, e anche una terza vita: quando le misure dei vestiti non sono
giuste vengono dati ad altre donne – amiche, parenti – spesso in cambio
di altri oggetti. Una dimensione vistosa, infatti, è quella dello scambio. Il
denaro sembra abolito: il più delle volte ci si propone di ricambiare con
oggetti dell’artigianato popolare, piccoli ricami o lavori a maglia, libri che
possano aiutare a imparare il rumeno, e si offre la propria ospitalità in caso
bridge, Cambridge University Press, 1986; I. Kopytoff, The cultural biography of things: commoditization as process, in A. Appadurai (ed.), The Social Life of Things, cit., pp. 64-91).
24 Iosefina, 12 ottobre 1990.
25 Un altro tema molto frequente che resta fra quelli che qui non possono trovare spazio
è l’amore per la Francia, e le riflessioni sui rapporti intellettuali fra i due Paesi. Per una rapida illustrazione del tema della cosiddetta amitié franco-roumaine, qui mi limito a rimandare a
C. Durandin, Perspectives franco-roumaines, «Revue historique des armées», 244, 2006, pp. 3-10.
26 Luciana, 5 ottobre 1990.
27 Mihaela, 3 febbraio 1992.
566
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di viaggio in Romania; questa dimensione dello scambio domina la vita di
queste donne per almeno tre anni, e assieme agli oggetti è senza dubbio un
fattore da analizzare.
L’inaffidabilità delle poste fa sì che ben presto la maggior parte dei
pacchi vengano trasportati da «corrieri», persone che, sin dalle prime settimane di questa corrispondenza, si lanciano in lunghi e farraginosi viaggi
transfrontalieri. Farraginosi perché per andare all’estero è necessario essere
«invitati» da qualcuno che garantisce per te e mette a disposizione il proprio
indirizzo in quanto destinazione e luogo di soggiorno. Senza questi «inviti»
non si esce, e di questi inviti Amélie se ne vede chiedere parecchi, e di solito
li accorda. Lì comincia un andirivieni che davvero ha un che di teatrale:
per viaggiare bisogna innanzitutto avere il visto, e doppio o triplo perché ci
vuole anche il visto per attraversare alcune frontiere come quella tedesca
e quella austriaca. E ci vogliono soldi, che però si recuperano facendo appunto da corrieri, portando oggetti da vendere, e tornando con aiuti di ogni
sorta. Li chiamano «convogli umanitari» quando tornano, zeppi di ogni ben
di Dio. Ma bisogna sapere chi parte, e l’informazione passa solo per lettera
o per telefono fisso. È stupefacente infatti leggere di questo quotidiano così
vicino nel tempo, ma precedente internet e i telefoni cellulari:28 è tutto uno
scrivere, lasciare messaggi sulle segreterie telefoniche o a terze persone,
prepararsi con settimane di anticipo, dare gli indirizzi di sconosciuti che
però intercetteranno il corriere e rispediranno il pacco ad un ulteriore indirizzo presso il quale sarà possibile andare a recuperarlo… una frenesia.
E poi si cerca di «deviare» i convogli umanitari: nell’autunno del ’90, dopo
aver ricevuto per diversi giorni il marito di Iosefina e Vasile – un suo amico
che vive in Francia – Amélie decide di organizzare un convoglio umanitario per la Romania che realizzerà assieme a Vasile nei giorni di Pasqua del
1991; inutile dire che le sue corrispondenti cercano di accaparrarsi la sua
visita, distogliendola dall’idea di andare a Bucarest – «ormai ingozzata di
aiuti» – per andare verso mete più periferiche e più trascurate.29 Gli oggetti,
lentamente cercati, prodotti, accumulati, si spostano con le persone, che
ne dovrebbero garantire l’arrivo e l’incolumità, anche se purtroppo non
sempre è così. C’è chi si muove sperando di aprire un’attività commerciale.
Il marito di Iosefina, ad esempio, si illude di poter vendere tappeti rumeni, ma la coppia capisce a sue spese che se il commercio è la via d’uscita
28 È sorprendente la distanza che ci separa da loro, da questi noi di trent’anni fa, anche
nel vedere il tipo di informazioni che si scambiano. Si chiede, per esempio, come funzionano i
rispettivi sistemi scolastici, come funzionano le festività calendariali, si richiedono delle cartoline par fare le lezioni di geografia, e si chiede abbastanza spesso cosa dice la stampa straniera
di ciò che accade in Romania. Insomma, tutte informazioni a cui oggi accediamo in un click
grazie a Internet.
29 Complessivamente, fra il 1991 e il 1993 Amélie farà tre viaggi in Romania, dove conoscerà di persona buona parte delle sue 14 corrispondenti.
QUINDICI DONNE NELLA STORIA
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da questa impasse, bisogna puntare sull’importazione, poiché all’estero per
l’artigianato rumeno non c’è mercato, mentre in Romania manca tutto. E
anche se si commercia poca roba, i margini di guadagno sono così esorbitanti che ne vale la pena.
Nostalgia del futuro e futuro della nostalgia
Fra i grandi desideri di queste persone un posto di rilievo è riservato al
viaggio, alla scoperta di nuovi Paesi e nuovi modi di vivere. Nel descriversi, tutti dichiarano di amare la natura e di fare volentieri delle escursioni
nella campagna rumena, in qualche località di montagna o sulle coste del
Mar Nero. Ma nulla è equiparabile al viaggio. Chi può, quindi, approfitta
dell’apertura verso la Turchia, viaggio «autorizzato» perché non chiede il
visto; qualcuno va in URSS, ma tutti vogliono andare verso l’Occidente. La
Francia, per forza di cose, è una delle mete più ambite da queste donne e
dalle loro famiglie. Il primo ostacolo è il costo del viaggio: ci si assicura che
Amélie o altri possano ospitarli, poi si risparmia, o si vende qualcosa. Ma
resta la burocrazia, avvilente. Nel giugno del ‘91, per esempio, per tentare
il suo viaggio in Francia, Luciana deve andare più volte da Suceava a Bucarest, ed è tutto costoso e complicato. Prende per ben due volte i permessi
da scuola, e poi:
La prima volta non sono riuscita ad avere i miei documenti, la seconda volta ci
sono riuscita, finalmente, dopo 5 giorni d’attesa davanti alle porte dall’Ambasciata. Non avrei mai pensato che potesse ancora esistere una burocrazia simile. Avevo proprio voglia di piangere, perché non sapevo effettivamente cosa fare, a chi
rivolgermi. Le formalità per il mio prossimo viaggio durano ancora. Appena avrò
il visto per la partenza dovrò tornare di nuovo a Bucarest per i visti di transito.30
E a queste lentezze si aggiunge la cosa più esasperante, la corruzione, che
Luciana denuncia come un cancro onnipresente anche in date più tardive:
Vivere oggi in Romania è una brutta avventura. Una nuova ondata di prezzi per
i prodotti alimentari minaccia la nostra vita quotidiana. […] Dove andare? Cosa
fare? Lavorare come una bestia per chi, perchè? Per quelli che affrontano la legge
e mi passano sotto il naso in lussuose limousines? Da noi c’è qualcosa che non va.
In tutti i paesi sottosviluppati c’è una grande corruzione, ma da noi comincia dal
negozio. Per avere del buon pane (fresco) bisogna conoscere la commessa o lasciale qualche lei. Per ottenere un documento che attesta che sono Iosefina, se ne ho
bisogno per l’autoscuola (per esempio) devo andarci munita di un salmone, ecc.
gli esempi potrebbero continuare, ma a cosa servirebbe?31
30
31
Luciana, 19 giugno 1991.
Iosefina, 17 febbraio 1994.
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ANNA IUSO
Sembra non avere paura della censura, Iosefina, paura che invece ha
bloccato altri, che esplicitamente rimandavano alcuni temi a quando «si
sarebbero visti di persona», e che per questo sono usciti di scena nel frattempo. Ma tutte pensano che ci sia chi legge, chi controlla; dopo l’entusiasmo delle prime settimane, molte cose tornano come prima «del resto, non
sono più così sicura che la mia lettera sia letta solo da voi», scrive Olga già
il 3 luglio 1990.
Olga è fra coloro che vendono degli oggetti pur di poter vedere Parigi:
è anziana, non ha figli né famiglia, e le poche cose che possiede non vuole
certo lasciarle allo Stato. Così si organizza con un nutrito gruppo di colleghi e il 6 settembre arriva a Parigi. Scrive bene Olga, la sua ironia è sottile:
L’hotel era di fronte al Marché Saint Quentin, e per descrivervi lo stato delle cose,
vi dirò che appena lasciate le valigie, tutti sono andati a comprare una banana e
a vedere un ananas! Nessuno ha saputo dire come si mangia un ananas, e questo
dopo aver dibattuto su Platone e Aristotele… perché erano tutti degli universitari.
[…] Siamo rimasti tutti colpiti dal vostro tenore di vita, e abbiamo anche pianto
davanti alle vetrine.32
È il pianto della privazione senza scopo, di ciò che avrebbe potuto essere.
Ma forse in quest’autunno del 1990 è già anche il pianto del dubbio. In molti
dichiarano apertamente di capire che si tratta di un periodo di transizione,
dal comunismo alla privatizzazione e al libero mercato, dalla dittatura alla
democrazia; ma la transizione non riguarda solo la Romania, è un fenomeno più generalizzato, un movimento epocale che lascia spaesati e insicuri:
«Gli eventi precipitano e siamo dominati da un sentimento di incertezza, di
inquietudine, non solo a causa dei risultati un po’ scoraggianti della riforma
di transizione, ma a causa di questa esplosione di violenza intorno a noi.
Come vedi, fra le nostre due ultime lettere l’URSS non esiste più!».33
I sentimenti contrastanti che dominano le lettere di questi anni si agglutinano in una parola eloquente: è uno choc. Un turbamento che riguarda
il cambiamento, che interroga il futuro ma guarda già al passato. Il cambiamento è l’Occidente, travolgente nella sua differenza, nella sua varietà,
nella sua quasi inaccettabile opulenza. Di ritorno da Parigi Camila racconta
tutto ai suoi allievi34 e «mi guardano con attenzione e hanno l’impressione
che gli parli di un altro mondo, e in effetti è un altro mondo»;35 parole simili
le scrive Olga: «Dopo il viaggio mi sono resa conto che viviamo su due pianeti diversi. Bisogna essere molto saggi per accettarlo».36 Chi parla di choc
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Olga, 5 novembre 1990.
Mihaela, 17 dicembre 1991.
Camila è professoressa di francese a Piatra Neamt.
Camila, gennaio 1991.
Olga, 30 settembre 1990.
QUINDICI DONNE NELLA STORIA
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invece è Iosefina, nella primavera del ’91: «Lo choc per noi dell’est Europa
non è ‘lo choc del futuro’, ma l’Occidente».
Occidente e futuro si sovrappongono, mentre il passato sembra già tornare: «Era bello, magnifico in dicembre-gennaio con tutto quell’entusiasmo e quella speranza; un momento eroico che è svanito»,37 e il 27 maggio
dell’anno successivo già denuncia il ritorno del passato: «Confermo che
siamo l’unica categoria che non ha il diritto di riprendersi i suoi 10 ettari di
terra; la lotta di classe continua». E non solo. Si avverte anche, con straordinaria precocità, una strana «curvatura» del tempo:
Chi ha vinto sono i potentati, e alcuni uomini d’affari che hanno saputo approfittare della congiuntura. E gli altri? Tutti noi? Noi abbiamo la televisione, i libri e
l’occasione di viaggiare, perlomeno nei Paesi dell’Est. E chiaramente si possono
esprimere liberamente le proprie opinioni. Nei Paesi vicini: l’Ungheria, la Bulgaria,
la Bielorussia, ecc. le elezioni le hanno vinte i comunisti. Sarà così anche in Romania, e allora, credi che torneremo al comunismo? La verità è che ci sono sempre più
persone che rimpiangono Ceausescu. L’oblio fa parte della natura umana e quando
non si ha un lavoro, del denaro, ci si fa una leggenda, quella dei vecchi tempi.38
Sembra di leggere Zygmunt Bauman quando afferma che l’idealizzazione del passato proprio delle retrotopie è possibile solo a condizione di
una sua rappresentazione parziale, distopica: quando lo si è perso e lo si è
visto andare in rovina.39 Resta da capire se fosse il passato che stava tornando o il senso del passato che stava cambiando. O forse entrambi? Alcuni
corrispondenti in queste lettere inviano già cartoline del cimitero dei caduti della rivoluzione; oggi sappiamo che invece i luoghi del comunismo,
quelli degli eventi più traumatici della caduta di Ceausescu, sono divenuti
oggetti di una memoria che, seppur dura, è valorizzata e patrimonializzata: il cortile in cui è stato fucilato Ceausescu, ad esempio, è diventato una
meta turistica. Più in generale, ci sembra che anche questo passato sia considerato un ‘patrimonio’ cui attingere per future risorse economiche. Ci
troviamo di fronte ad un altro caso di ‘patrimonializzazione della storia’?40
Resta da vedere. Come resta da capire questo ‘doppio strato di nostalgia’
che si intravede in questo carteggio.41 Alcuni raccontano di come rimpiangono i tempi andati, prima della dittatura, mentre altri hanno già nostalgia
del comunismo: negli stessi anni si percepisce una nostalgia schiacciata su
due tempi storici. Ma mi sembra che siano due nostalgie diverse: la prima
Olga, 5 novembre 1990.
Iosefina, 19 dicembre 1994.
39 Z. Baumann, Retrotopia, Bari, Laterza, 2017.
40 A. Iuso (a cura di), Il senso della storia, Roma, Cisu, 2018.
41 Così come si intravedono le strategie di memoria collettiva individuate da Connerton
in P. Connerton, How Societies Remember, Cambridge, CUP, 1989.
37
38
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ANNA IUSO
è quella definita «nostalgia del futuro», cioè il rimpianto del tempo perduto
legato all’angoscia del tempo da venire; la seconda invece è quella definita da Svetlana Boym «il futuro della nostalgia»,42 cioè un meccanismo di
difesa che si innesca in periodi di sconvolgimenti storici, e che traduce un
desiderio di continuità in un mondo frammentato e incerto così come si è
definito, per l’appunto, dal cambiamento di regime di storicità rappresentato dagli eventi del 1989. Eppure gli anni di cui leggiamo in queste lettere
sono quelli in cui, crollato il socialismo reale, il capitalismo si imponeva
ancora come «orizzonte insuperabile» delle nostre società. In fondo, un’utopia c’era ancora, o perlomeno un’illusione di futuro. Leggendoli oggi
invece, dopo la crisi finanziaria globale del 2008, e la globale crisi sociale che
ha innescato, sappiamo che pur riconoscendo che il neoliberismo non è la
soluzione, nessun’altra utopia, nessun’altra vera proposta di futuro è stata
avanzata. Parafrasando Enzo Traverso, che tenta di cogliere alcune qualità
intrinseche di questa «seconda disillusione» che è il presentismo, potremmo
dire che questo carteggio ci consente di osservare il momento in cui si è innescato questo mutamento, questa transizione «dall’utopia alla memoria»
che caratterizza la nostra società oggi.43
Riassunto – Summary
La caduta del muro di Berlino è stata un’epocale frattura storica che ha trascinato con sé, fra l’altro, la dittatura di Ceausescu. Crollato anch’egli nel 1989,
ha lasciato dietro di sé un Paese stremato che in pochi anni ha dovuto gestire la
transizione dalla dittatura alla democrazia, dal comunismo al neoliberismo. Ma
il 1989 è stato anche l’anno che simbolicamente e concretamente ha sancito la
fine delle utopie, il cambiamento del nostro regime di storicità, il crollo di grandi
memorie organizzatrici. Come si è fatta, nel concreto, e negli interstizi del quotidiano, questa transizione? Quest’articolo presenta una ricerca in corso, basata su
uno scambio epistolare che si è dipanato fra 15 donne, una francese e 14 rumene,
fra il 1990 e il 1995. Dalle settimane successive alla Rivoluzione fino all’acquietarsi
della transizione, queste lettere sono un prezioso spaccato sulla realtà rumena
post-rivoluzionaria e restituiscono, nel concreto farsi dei giorni, la fine delle utopie
e l’ingresso nella nostalgia del futuro.
The fall of the Berlin wall was an epochal historical fracture that dragged with
it, among other things, the dictatorship of Ceausescu. Also collapsed in 1989, he
left behind an exhausted country that in a few years had to manage the transition
from dictatorship to democracy, from communism to neoliberalism. But 1989
was also the year that symbolically and concretely sanctioned the end of utopias,
42
43
S. Boym, The future of nostalgia, New York, Basic Books, 2001.
E. Traverso, Malinconia di sinistra. Una tradizione nascosta, Milano, Feltrinelli, 2016.
QUINDICI DONNE NELLA STORIA
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the change in our historic regime, the collapse of great organizing memories.
How was this transition made, in practice, and in the interstices of everyday life?
This article presents an ongoing research, based on an exchange of letters that
took place between 15 women, one French and 14 Rumanians, between 1990 and
1995. From the weeks following the Revolution to the quieting of the transition,
these letters give a precious insight into the Romanian post-revolutionary reality
and return, in the concrete becoming of the days, the end of utopias and the entrance into nostalgia of the future.
Direttore Responsabile
Prof. Fabio Dei
Università degli Studi di Pisa
Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere
Registrazione del Tribunale di Firenze n. 140 del 17-11-1949
ISSN 0023-8503
FINITO DI STAMPARE
PER CONTO DI LEO S. OLSCHKI EDITORE
PRESSO ABC TIPOGRAFIA • CALENZANO (FI)
NEL MESE DI OTTOBRE 2020
ISSN 0023-8503