Maria Luigia Pagliani
Per l’esegesi del ciclo di Giasone
in
Bologna 1584. Gli esordi dei Carracci e gli affreschi di Palazzo Fava, a
cura di Andrea Emiliani, c. d. m., Pinacoteca nazionale,
Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1984, pp. 253-273
ESTRATTO DA
BOLOGNA 1584
Gli esordi dei Carracci
e gli affreschi di Palazzo Fava
Maria Luigia Pagliani
Per l'esegesi del ciclo di Giasone
Maria Luigia Pagliani
Per l'esegesi del ciclo di Giasone
l
1i
セ@
l
Le storie di Giasone affrescate in Palazzo Fava furono
descritte ed analizzate già da Carlo Cesare Malvasia che,
oltre a fornire, in particolare per le prime tte pareti, una
attenta descrizione, evidenziò la stretta relazione esistente
tra i 'termini' ed il contenuto delle scene che li affiancano;
egli, in linea con il clima culturale del suo tempo, ne propone una lettura allegorico-morale che vede in Giasone
l'eroe positivo che, con l'aiuto della ragione, perviene finalmente alla virtù:
così term-inando per lo ptù tutte le allegrezze mondane, i torti fotti al santo matnmonia! nodo, nè potendosi dagli sponsali fondati sull'impuro amore e
co 1 tradimenti, qualifuron quelli che usò Medea col
propno padre, per darsi in preda ad uno straniero
usurpatore di quel Regno, aspettare che tragzco il fine; che in sostanza parmi il succo di quella moralità,
che forse intesero di dedurne i Cmracci. Vollero più
partzcolarmente z morali poi che il Vello d'oro, che
altro allegonCamente non ci significa che la virtù
de!l'uom forte, che per Giasone figurato cz' venne,
aiutato dalla ragione, che per Medea ci si mostra, al
fin s'acquisti. Che z ton·-spirantifuoco dalle ョ。」コセ@
le
fiamme sùmo della fzbzdzne, che con pzè dzferro in
noisipiantano. Il dragone, la superbia, che umtli'arsi
che per quella sz'provano, ci disalle fotzche e 、ゥウ。ァコセ@
suade. E i dentz finalmente seminatz; i vzzti; che in
noi nati con l'educaztane, crescono e s'armano ad
zmpedzrci il conseguzmento della gloria, .re buttando
t! sasso della constderazione fra essz della nostra on'gine e corporale te77ena massa, non lasciam che fra loro stessi si confondano e s'estinguano.
Da questa data in poi il contenuto delle scene non viene
posto in discussione.
Nell960 I'Ostrow riprende il problema della struttura
iconografica degli affreschi inelicando alcune delle fonti
classiche utilizzate e sottolineando l'importanza, ai fmi
della stesura del programma, anche della tradizione mitografica cinquecentesca e eli un ciclo eli stampe che, alla
metà del XVI secolo illustrò la conquista del vello d'oro.
Dopo di ciò il problema viene di nuovo abbandonato, e
permangono, nella dottrina, talune contraddittorie interpretazioni, ad esempio la XVII scena, che, correttamente
letta dal Malvasia come il Ringiovanimento di Esone, viene quasi sempre inelicata come l'Uccisione di P elia. Quindi le numerose e talvolta contrastanti interpretazioni, la
complessità delle fonti classiche citate, in raluni casi mediate dalla volgarizzazione cinquecentesca, rendono inelispensabile una rilettura del fregio e, sulla base eli questa,
la raccolta delle fonti letterarie antiche e le successive eiaborazioni cinquecentesche che sono confluite nel programma del ciclo, suggerendo per ogni riquadro una possibile interpretazione, suscettibile peraltro eli ulteriori revisioni e discussioni sulla scorta eli nuovi dati che meglio
possano illuminare la complessa struttura iconografica e
iconologica dell'affresco.
Le vicende di Giasone e di Medea conoscono anche
nell'antichità numerose rafEgurazioni: compaiono scene
per la Conquista del vello d'oro su alcuni vasi italioti,
mentre un elipinto pompeiana ci presenta Giasone al cospetto eli Pelia; alcuni sarcofagi derivati tutti da un unico
prototipo ci mostrano invece la cattura del toro. Assai più
numerose, soprattutto sulla ceramica greca, sono le raffigurazioni di Medea, maga, insieme alle figlie eli Pelia nel
corso dei riti di ringiovanimento. Su una hydria, attual253
l
-'
GiuLio Bonasone, Giasone e Medea, Bologna, Pinacoteca Nazionale.
mente conservata a Londra, la maga riconduce all'età giovanile Giasone. Molto famoso in età romana rimane un
gruppo stamario, collocato ad Arles, in cui è rappresentata
Medea nell'atto di uccidere i bambini con una spada
mentre questi le si attaccano all'orlo della veste. In alcuni
sarcofagi di età antonina sono invece rappresentate le ultime scene della tragedia di Euripide: i doni mottali per
Creusa, l'uccisione dei figli e la fuga di Medea sul carro.
2)4
Ricordiamo tra questi, in particolare, il sarcofago attualmente custodito al Museo di Mantova, simile peraltro a
quelli di Berlino, del Louvre, del Museo di Napoli e del
Museo delle Terme a Roma, cbe ispirò la stampa del Bonasone. Creusa a destra nell'atto di ascoltare una vecchia
nutrice, Giasone al centro mentre assiste alla morte di
Creusa e, sull'altro lato, Medea cbe fugge trascinando i cadaveri dei figli sul carro tirato dai draghi.
Attorno alla metà del1300 ritroviamo scene della storia
eli Giasone e Medea nell'illustrazione del Roman de la
Troie, testo che risale al XII secolo. Vi sono raffigurati il
i
primo incontro fra Giasone e Medea; Medea che manda
un'ancella da Giasone, la consegna dei farmaci ed il giuramento d'amore dell'eroe ed infine la partenza dopo la
conquista del vello. Assai scarsi sono gli elementi classici
della composizione.
Il tema risulta molto più diffuso fra Quattrocento e
Cinquecento, grazie anche alla volgarizzazione eli una
delle fonti principali: Le Metamorfosi eli Ovidio. Alcune
taffigurazioni compaiono anche nelle illustrazioni della
Cronaca eli Maso Finiguerra, in un'opera di Piero di Cosimo e in alcuni arazzi fiamminghi della metà del Quattrocento. Un affresco illustrante l'intero ciclo di Giasone venne realizzato a Genova, in una galleria sul giardino di palazzo Doria, dal· Pordenone. L'affresco, già gravemente
danneggiato nel1674, è andato perduto. Un impanante
ciclo di stampe con la storia degli Argonauti venne pubblicato nel 1556 a Parigi da Renè Boyvin e fu con molta
probabilità utilizzato anche come fonte eli ispirazione negli affreschi di palazzo Fava. Si tratta di ventisei stampe
raccolte, con poche pagine di testo, a formare il volume
Llvre de la conquéste de !e Tolson d'or par le Pnnce }ason
de Tessalie. Il ciclo degli Argonauti viene utilizzato anche
per le decorazioni di un cassone ad opera eli Bartolomeo di
Giovanni. Molto più numerose diventano nel Cinquecento le rappresentazioni di Medea prevalentemente raffigurata mentre compie i riti eli ringiovanimento di Esone, da
un lato, o l'uccisione di Pelia dall'altro. I due remi colpiscono in modo particolare per gli aspetti magici e per il signilicato allegorico vita-morte che assumono agli occhi dei
letterati e dei pittori cinquecenteschi. Raffigurazioni del
ringiovanimento si hanno ad opera di Domenico Brusasarei, di Girolamo Marchetti nello srudiolo di Palazzo
Vecchio, del Caliari a Venezia e di Pellegrino Tibaldi a
Bologna, in un camino di Palazzo Marescalchi-Orlandini,
ave è rappresentata la maga intenta a versare la magica
pozione nella gola di Esone. L'affresco fu dipinto nel1565
ed, in quella stessa occasione, il Tibaldi realizzò una serie
di affreschi con soggetto mitologico nel distrutto Palazzo
Fava-Cupellini. Tuttavia l'estensore, o gli estel"lsori, del
programma per l'affresco non attingono tanto ai precedenti pittorici e scultorei, né direttamente ai monumenti
dell'antichità, quanto agli autori classici, direttamente letti e consultati, oppure riassunti ed interpretati nei commenti mitografìci cinquecenteschi
Tra le fonti letterarie allora note si può rammentare
Pindaro che, nella Ode Pitica N, racconta episodi della
giovinezza di Giasone e l'incontro con l' usurpatore P elia.
Le odi furono pubblicate per la prima volta in lingua latina a Venezia nel 1513. Cosl pure Le Argonautiche di
Apollonia Radio, che illustrano il favoloso viaggio degli
eroi, furono pubblicate per la prima volta in traduzione
latina sempre a Venezia nello stesso anno. Le aイァッョ。オエコセ@
che di Valerio Placco, invece, vennero date alle stampe per
la prima volta a Bologna nel 1474. Per le vicende di Giasone e Medea dopo il ritorno in patria, la fonte, probabilmente unica per l'affresco, è Ovidio, che ne tratta sia nel
VII libro delle Metamorfosi, già in traduzione italiana nel
1497 ed edite a Città di Castello, sia nella Eplstu!a Heroidum, indirizzata - secondo la finzione poetica ovidiana
- da Medea a Giasone. L'intera opera di Ovidio era già
diffusa in lingua originale fin dalla metà del XV secolo e
nel corso del Cinquecento si moltiplicarono le volgarizzazioni e le parafrasi; tra esse ricordiamo, a solo titolo di
esempio, la versione eli Ludovico Dolce, che così spiega,
nella prefazione del libretto Le trasformazioni tratte da
Ovidio (Venezia 1568), l'importanza della conoscenza
della mitologia antica:
. . . contenessi tutto il sugo della morale e Divina FZ-
!osofia conciò sz"a cosa che, per gli buomini trasformati in bestie, che altro que' soavi antz'chi volsero dimostrare, se non che talt erano da essere reputati co-
loro che dipartendosi dalla ragione, li lasciavano trasportare dalla lusinghevole sensualùà ad operationi
torte ...
Sempre il Dolce così interpreta la conquista del vello d'oro
da parte di Giasone:
.. . e così per lo acquisto fotto da Giasone del vello
d'oro (onde per avventura fu presa la gloriosa inse-
gna dei cavalien" del Tosone) che altro si può com255
prendere, fuorchè le trionfa/t' vittone che st" serbano
thologiae sive explicationum fobulorum !ibn· decem.
dai fati alla invitzssùna e foltàssima mano del Gran
Carlo?
Quest'ultimo testo che, come vedr9"o meglio in seguito,
è stato con ogni probabilità consultato anche da chi ha redatto il programma per l'affresco di palazzo Fava, ebbe
un notevole successo e venne ristampato più volte, prima
nel1568, poi nel1596. Il Conti, come i suoi contemporanei, è un seguace della interpretazione allegorica del mito
classico, sotto le cui figurazioni i filosofi avrebbero celato
quei misteri della loro disciplina che non potevano essere
«palesati al volgo>>. Ciò che era difficile e complicato veniva spiegato attraverso la favola, che diviene, cosl, una sorta
di phzfosophiae domiczfium. Il mito acquista quindi un
valore didattico, ed attraverso di esso- conclude il mitografo - si possono impartire agli uomini insegnatnenti
morali e i primi esempi di virtù e rettitudine. Le antiche
favole quindi, in ragione del loro più recondito significato
morale sono, non solo utili, ma addirittura necessatie per
indirizzate l'umanità sulla strada della virtù, della probità, del coraggio e della fede e per allontanatla dalle コヲA・ァエセ@
timis vo!uptatibus. L'importanza della lettura dei miti e la
necessità di un facile orientatnento nel corpus enorme della mitologia antica induce probabilmente il Conti a organizzate il volume come un dizionatio di immediata ed
agile consultazione, rivolto ad un vasto pubblico di letterati, attisti, poeti ed eruditi. Viene infatti dotato di ben
quattro indici che ne facilitano la lettura: un indice alfabetico dei miti e delle favole raccolte ed illustrate, un secondo degli scrittori antichi utilizzati e citati nel testo, quindi
un terzo delle Rerum Notabzfium e, infine, un indice dei
nomi delle divinità con la spiegazione del significato della
denominazione. Per citare un esempio che ci riguatda,
Giasone significherebbe colui che conosce la scienza medica che cura e porta giovatnento, mentre Medea deriverebbe dal greco (medos) セ@ consilium. Ogni mito viene quindi minutatnente natrato, citando spesso gli autori antichi,
che peraltro sono ripresi da compendi precedenti e da raccolte di età medievale. Alla fine di ogni racconto, alcune
righe sono dedicate all'interpretazione in chiave morale
delle diverse figure. Ancora più sintetico dell'opera del
Conti è il dizionatietto - non può defmirsi diversatnente
- redatto da Matco Antonio Tritonio e statnpato a Bologna nel 1560 intitolato Mythologia. Il compendio è com-
Ben diverso è il giudizio che viene dato di Medea:
è t! ntratto della crudeltà a che possa essere in donna
humana, parte mossa da lascivo amore e parte da
odto.
Alle vicende natrate dai testi si aggiungono le notizie
raccolte nei trattati di mitologia del Quattrocento e Cinquecento. Nel corso di questi due secoli infatti, compaiono numerosi dizionati o manuali che raccolgono e ordinano il patrimonio mitografico classico, natrando le storie
delle divinità e degli eroi, illustrandone le genealogie, descrivendone l' abbigliatnento e gli attributi. Gli autori dei
testi attingono a piene mani, non solo dagli scrittori classici, ma anche dalla tradizione tatda del N-VI sec. d.C. e
dalle successive elaborazioni medievali. Numerose varianti
e tradizioni diverse vengono spesso giustapposte le une alle altre senza che si effettui alcun tipo di scelta e senza istituire rapporti tra loro; solo in alcuni casi è citata la fonte di
provenienza, ma il più delle volte ci si limita ad un genericissimo a/ii dicunt. La necessità della conoscenza dettagliata dei mito deriva dalla convinzione, nel pensiero medievale e rinascimentale, che dietro il velo dell'antica favola si
nasconda una verità profonda che è compito dell' interprete scoprire, rivelare e spiegate: non è difficile quindi recuperate, tra le pieghe della mitologia e con l'aiuto dell'interpretazione allegorica, la verità della morale cristiana.
Anche letterati di fatna si sono cimentati nella natrazione
degli antichi miti, nel 1472 - ad esempio- si da alle
statnpe il De genealogiis Deorum Genti!tum di Giovanni
Boccaccio. Proprio alla metà del Cinquecento, circa trenta
anni prima che i Catracci si accingessero ad affrescate le sale di Palazzo Fava, sono pubblicati quattro imporranti
trattati e dizionati di mitologia, opera di studiosi italiani.
Tre di questi sono in latino, uno è in lingua italiana. La
prima in ordine cronologico è l'opera di Giglio Gregorio
Giraldi, stampata a Basilea nel1548 con il titolo De deis
genttum, seguita nel1551 dall'opera di Natale Conti Mi256
.,
posto da una prefazione e da una disputa sulla favola dal
titolo De Fabula et Fabulan· sermone, Disputatio, che
svolge il consueto tema del valore didattico del mito ed il
rapporto tra mito e filosofia, secondo le linee già enunciate più sopra, a cui si aggiunge una breve nota su cosa intendessero gli antichi per mito e come includessero nella
categoria delle favole anche i testi teatrali. Segue quindi
un riassunto delle Metamorfosi di Ovidio, che è preceduto
da un elenco delle divinità e degli eroi presenti nell'opera
ordinati per categorie morali: Fortes, Audaces, Amantes,
aウエオセ@
Crude/es, tra questi è inserita Medea, Ingrati, tra i
quali è menzionato Giasone. La prima vi si trova a causa
dell'omicidio di Creusa; il secondo per l'abbandono di
Medea, dopo che costei gli aveva fornito aiuto per la conquista del vello. Si tratta quindi, come dichiara l'autore
stesso di
soggetti mitologici scelti e ordinati in un repertonO
di luoghi comuni ad uso e consumo dei poeti e per
ogni genere di composizzone.
Allo stesso tipo di pubblico si rivolge anche il volume di
Vincenzo Cartari che viene dato alle stampe a Venezia nel
1556 in lingua italiana con il titolo Le imagini degli dei
de/i antichi. Cosi scrive l'autore nella prefazione composta
10 terza persona:
... secondo che da degli auton· antichi ne ha potuto
fare n'tratto, sarà molto utzle ancora à chi piglia piacere di conoscere le antichità, ed è per giovare non
poco alli dゥーコョエッセ@
ed agli s」オャエッョセ@
dando loro argomento di mille belle inventtoni da potere decorare !e
loro stanze, e le dipinte tavole. E forse ancora che i
Poeti e i Dicitori di prose ne trarranno giovamento.
Lo scopo è quindi per la prima volta di fornire un repertorio, anche iconografico, ragionato, che narri non solo gli
avvenimenti, ma soprattutto descriva le divinità, ne tracci
il ritratto con le caratteristiche e gli attributi e ne elenchi le
possibili interpretazioni simboliche che nel corso dei secoli
precedenti si erano andate raccogliendo. Vi sono comprese
un gran numero di divinità olimpiche, orientali, «barbariche». Nel 1567 il volume viene ristampato ed arricchito
con le illustrazioni. Altre edizioni illustrate si susseguono
negli anni 1571, 1581 e nei primi anni del secolo successivo, 1608, 1625, 1647, con piccole varianti nell'apparato illustrativo. Per le illustrazioni si ricorre comunque prevalentemente alle fonti letterarie, più che al materiale archeologico, anche se il Cartari dichiara di essersi ispirato
anche alle documentazioni monetali. D'altra patte, pur
nel fervore delle scoperte archeologiche, in questi anni gli
inventari e le descrizioni di antichità sono privi di illustrazioni, come ad esempio Tutte le statue antiche che ùz Roma si veggono di Ulisse Aldrovandi, apparso in appendice
alle Antichztà di Lucio Mauro nel1558, e il cui apparato
grafico pare sia andato completamente perduto. Occorre
attendere qualche anno più tardi, per avere dei corretti
apparati illustrativi come nelle Imagines et elogia vzrorum
i!!ustrium et eruditorum ex antiquis lapidzbus et numismatzbus expressa cum annotationzbus ex bzb!totheca Fulvi Ursini, Romae 1570, e poi nelle Iflustrium Imagines ex
antiquis marmoribus, nomismatzbus et gemmis expressae
quae extant Romae, mazor pars apud F. Ursinus, Anrversiae 1606. Nel Seicento cominciano invece a moltiplicarsi
le incisioni di antichità, isolate o in album, ad illustrare
materiale di collezioni o rinvenimenti specifici. L'illustrazione archeologica conoscerà poi il suo apice nel XVIII secolo, quando da semplice oggetto di curiosità e di erudizione il pezzo archeologico diviene modello di studio nelle
Accademie e nelle manifatture ed il disegno assurge al
ruolo di documento scientifico per la più moderna disciplina archeologica. Il Cartari viene ampiamente ripreso
dai suoi contemporanei, come ad esempio nel libro VII
del volume di Gianpaolo Lomazzo Trattato dell'arte della
ptitura, edito a Milano nel 1584, ove sono presentate le
caratteristiche delle principali divinità in gran patte parafrasate dal Cartari. Secondo il Seznec:
questi trattati rappresentano mfottipropno gli strumentt' che l'epoca vuole e di cui ha bisogno, ... che
permettono a ognuno di njJrodurre senza erran· e
senza omissioni t segni esterni e gli attributi divini
(<Je forme» insomma); e insieme una mitologia esotica tratta da autori meno conosciuti e amàhita dagli apporti più strani, che ojfre all'artiSta l'opportunità di mettere in mostra ti suo sapere, e alpubblico
257
quello di esercztare la propria sottzgliezza di
giudizio.
A fonti classiche - e non - si sono dunque rivolti gli autori del programma per defluire il contenuto delle singole
scene per il fregio con storie di Giasone, dipinto nel1584
.
.
.
...
per il conte Filippo Fava.
L'affresco è scandito m dicrotto nquadrr, suddiv1S1 su
quattro pareti, con cinque scene sui lati lunghi e quattro
sui lati minori del perimetro. I temr der gruppr su crascuna
parete sono: la giov-inezza di Giasone, il Viaggio, la cッョセ@
quista del vello d'oro, il Ritorno m patria e gli Incantesuru
di Medea. L'ultima scena (XIX), dipinta sul camino e rafftgurante l'Uccisione di Creusa e dei propri ftgli da parte
di Medea è andata perduta. Così la descrive il Malvasia:
e finalmente nella facciata del camino, anch'essa da
Ludovico ritocca, vedesi l'incendiario don0 1 tradt-
mento anche a dz' nostn' usato mandato dall'ingelo1
stia ed appasstonata Medea per gli stessi suoi figli e
di Giasone, alla nuova dt lui consorte Creusa, che ne
n'mane uccisa e morta.
Una divinità dipinta in chiaroscuro intervalla un riquadro
dall'altro. I gruppi su ciascuna parete sono sempre aperti e
chiusi da divinità femminili: Venere, Persefone-Cerete,
Diana, Giunone, Spes, Vittoria, proprio quelle divinità
che più spesso nei racconti degli scrittori antichi intervengono nelle vicende dei nostri protagonisti. Sono ad esempio Giunone e Minerva che, nel III libro di Apollonia, dopo essersi consultate chiedono a Venere di intercedere perché suo figlio Cupido agisca in favore degli argonauti, e
così Cupido accende la passione fra Medea e il giovane
eroe. Le divinità sono disposte prevalentemente in posizione frontale e sovente rivolte verso il riquadro successivo,
seguendo quindi sempre il senso della narrazione. Tali
posizioni non ritornano però simmetricamente all'interno
della composizione e sono forse da porre in relazione con
un particolare riferimento della divinità al contenuto della
scena rappresentata. Aspetto già chiaramente suggerito
anche da Malvasia: «V'aggiunse lateralmente ad ogni quadro due deità contraffacenti e simboliche al soggetto
2)8
ch'entro rappresentasi>>. Esse costituiscono peraltro - a
tratti- anche una sorta di commento morale delle storie.
Ad esempio, nel primo settore, le divinità sembrano tendere a defmire la personalità e le caratteristiche dall'eroe;
mentre nella seconda parte paiono alludere alle qualità
necessarie all'eroe durante il viaggio. Il terzo gruppo di divinità potrebbe riferirsi al superamento delle difficoltà
delle prove e alla vittoria sui mostri, mentre i termini
dell'ultima parete, relativa alle vicende di Medea al suo
arrivo in Ellade, starebbero a significare lo scontro violento
e passionale e lo scatenarsi delle arti magiche di Medea. Le
divinità avrebbero quindi lo scopo di ricordare allo spettatore le caratteristiche morali e le forze in campo, rivelando
ulteriori implicazioni psicologiche ed additandone un possibile signiftcato. I 'termini' laterali trascendono quindi la
funzione di semplici etichette allegoriche per divenire una
sorta di 'universali' che amplificano e sottolineano quanto
nel fregio è analiticamente raccontato. Per la rappresentazione delle divinità è stato seguito in molti punti, con
grande aderenza, il Cartari - certamente assai in voga in
quegli anni - sia per quanto riguarda gli aspetti iconograftci sia per alcuni suggerimenti interpretativi ed il signiftcato allegorico.
Apre il ciclo Venere, che reca in capo la corona di rose.
Venere è la dea della libidine e della lascivia e le rose in
particolare, secondo il Cartari, stanno ad indicare la soavità del piacere amoroso, che porta però con se la puntura
delle spiue, cioè la coscienza tormentata degli errori e delle <<azioni libidinose>> commesse. La dea sembra alludere
qui allo sviluppo complessivo della vicenda, ed alla tragedia in cui sfocia il matrimonio fra Giasone e la ftglia di Eete, la quale in preda al desiderio di vendetta, giunge ad
uccidere i propri ftgli.
Nel primo riquadro si assiste al ftnto seppellimento di
Giasone architettato dai genitori, che volevano sottrarlo
all' usurpatore Pelia. Così il bambino viene condotto in
cassa, ftngendo un rito funebre, presso l'antro di Chitone,
noto anche per aver allevato il giovane Achille. Infatti, secondo il racconto di Pindaro, a Pelia che gli chiedeva quale fosse la sua stirpe Giasone rispose:
lo recherò ti dico, quel che insegna Chz"rone
1
1
vengo dall'antro suo} da Ciindo e Filira, dove
m 'hanno allevato le figlie
caste del Centauro.
La divinità successiva è un Bacco giovane, posto frontalmente, che nella sinistra levata trattiene una coppa, mentre nella destra regge la caratteristica asta avvolta dalle foglie di edera. Secondo il Cartari questo particolare attributo della divinità stà a simboleggiare
dovere gli huomini con i lacci della pazienza leiare
l'ire, ed t furori, onde sono tanto facili a fare male alエイオセ@
perchè questa j!i"anta emerge e lega ovunque
nasce.
Allude probabilmente alle caratteristiche morali di Giasone che in ragione della forza, della pazienza e della tenaeia riesce nell'impresa. Anche Pindaro, peraltro, lo caratterizza in questo senso:
vent'anni
zvi ho compiuto} nè mai parola nè gesto impudente
ho loro scagliato
e, più oltre, in un successivo incontro con Pelia:
. . . stillando con voce soave
miti parole, Giasone
gettò fondamenta di saggi dùcorsi:
l'eroe propose infatti- secondo il poeta- a Pelia di accettare tutte le ricchezze del padre e di lasciare a lui, erede
legittimo, il trono.
Nella seconda scena assistiamo a due episodi della giovinezza di Giasone. Il riquadro infatti è articolato su tre
piani: una scena di banchetto sul fondo; sull'estrema destra l'incontro di Giasone con i parenti: il padre Esone, i
due fratelli Fere e Amitaòne e i cugini Admeto e Melampo; al centro Chirone che cura gli animali. Si tratta di un
riferimento agli insegnamenti impartiti dal Centauro, che
allevò tra l'altro anche Asclepio, al fanciullo Giasone.
l'episodio è peraltro bene attestato anche presso i mitografi ed in particolare presso il Conti:
ChiTone fu in parte uomo e Ùt parte cavallo} ed estese il beneficio della medicina non solo agli uomini
ma anche agli altri ammali.
Viene anticipato, rispetto alla narrazione delle fonti letterarie, la scena d eli' incontro con i parenti ed il conseguente
banchetto che, secondo il testo di Pindaro, avvengono dopo il primo riconoscimento da parte di Pelia:
e lo n·conoscevano venire glz occhi del padre
e dalle palpebre antiche pullularono lacnme,
chè l'amma tutta godeva vedendo
fra r mortali il bellùsùno fig!ro
e li accoglre
con dolct parole Giasone
a parte del banchetto,
doni osprtali apprestando,
e dispiegava ogni letizt"a
mzàendo per cinque giorni e notti
zl sacro fiore di vita serena.
l'episodio può essere stato anticipato sia per aumentare la
tensione drammatica del successivo incontro fra Giasone e
Pelia - come suggerisce e' ,Ostrow - ma anche per ragioni di equilibrio compositivo di questa prima parte, non
particolarmente ricca di episodi salienti .
Segue la raffigurazione di Cupido, bendato, con arco e
frecce: secondo il Cartari la divinità ha il potere di scacciare
ogni <<bruttezza dagli animi umani>>, fa diventare miti i
superbi e rallegra gli afflitti. la saetta rappresenterebbe
invece i rimorsi della coscienza che ci tormentano dopo
aver commesso un peccato od una azione disonorevole e
fanno riconoscere all'uomo di avere male operato. Possiamo qui cogliere un duplice significato: da un lato si allude
all'intima coscienza dell'eroe, in grado di capire e discernere tra bene e male, tta azioni onorevoli e disonorevoli e
la sua aspirazione a seguire la via della virtù, dall'altro ci si
riferisce forse a Pelia ed alle azioni malvage da lui commesse nei confronti di Esone e dei suoi figli, alla sua tormentata coscienza mentre si appresta a ricevere dall' oracolo la _predizione della sua morte ad opera del monosanda!os. E documentato infatti in tutta la mitologia che l' ap259
parizionedi un uomo con un solo calzare è ritenuta di catuvo ausp1e1o.
N el terzo riquadro si apre il coneo per il sacrificio: sulla
sinistra viene condotto il toro; sulla destra avanza il re Pelia, affiancato dal sacerdote. Il sacrificio è dedicato a Nettuno, padre di Pelia, chiamato anche <<figlio di Poseidone
Petreo». L'episodio del sacrificio è appena accennato nelle
fonti antiche, mentre uno spazio maggiore gli dedica il
Conti, che racconta come Pelia istitul delle cerimonie religiose in onore di Nettuno e vi chiamò tuna la sua gente.
Fiancheggia il dipintp la figura di Vulcano che tiene
nella destra il martello ':.. riferimento alla sua attività di
fabbro divino - e nella sinistra la nube e il fulmine, che
richiamano la storia di Giunone, la quale vedendo il figlio
cosl brutto lo gettò dal cielo
zl che viene a dire - .interpreta il Cartari - come
che il fulmine, quale non è
l'espongono i ョ。エオイャゥセ@
altro che vapore mfuocato, diScende dalla parte di
sotto de/l'aere, che è la più grossa, più densa e
caliginosa.
Vulcano rappresenta quindi il fuoco, il calore e l'energia
indispensabile per fare tutte le cose, cui pe[Ò si deve aggiungere l'abilità della mano dell'uomo. E quindi una
sona di simbolo della capacità dell'uomo di servirsi e utilizzare le forze e gli elementi della natura, nell' interagire
fra corpo e ragione. Anche questa appare come una delle
caratteristiche dell'eroe, che fonda la riuscita della sua impresa sulla capacità di governare gli eventi con la propria
previsione ed il proprio ingegno ed ha piena coscienza che
non tutto è possibile alla ragione di fronte a forze di natura magica e sovrumana, quali le prove che ha in serbo per
lui Bete.
Segue quindi lo sgozzamento del toro sull'altare fumante, mentre Giasone avanza sulla destra, raccogliendo
su di sè gli sguardi degli astanti. L'eroe è privo di un calzare e reca sulle spalle una vecchia: si tratta di Giunone che,
tramutatasi in donna anziana, è stata aiutata da Giasone
ad attraversare l' Anauro in piena. Questo momento segna
la costante protezione dell'eroe da parte di Giunone. Il
260
particolare dell'arrivo di Giunone può essere stato tratto o
da Apollonia Rodio o da Valerio Fiacco.
Penultima divinità della parete è - secondo il Malvasia
- Nettuno, potrebbe trattarsi anche della raffigurazione
di Eolo, re dei venti, nella destra uno scettro, ai piedi una
testa di fanciullo con le gote rigonfie a rappresentare, appunto, 1 venu.
Nella scena seguente si illustra la costruzione della nave, cui assistono Giasone ed Ercole. Secondo la tradizione
più antica la nave Argo viene costruita a Pegase di Magnesia e, su consiglio di Pallade, si utilizzano anche i rami
della quercia parlante di Dodona. La nave, infatti, per superare tutte le difficoltà del viaggio doveva presentare particolari caratteristiche, ed era pensata per cinquanta rematori. Sullo sfondo del dipinto - infatti - si scorgono alcuni uomini che tagliano i rami di quercia. Al centro della
scena una figura maschile, coronata, porge dei chiodi agli·
eroi. Secondo una tradizione molto tarda, riponata dal
Conti, Pelia aveva dato ordine che per la costruzione fossero utilizzati chiodi fragili e di scadente qualità affinché
gli eroi perissero nel viaggio. L'architetto costruttore, Argos, non obbedl all'ordine del re e utilizzò invece chiodi
grandi e robusti. Secondo la critica più recente, la figura
centrale con corona sarebbe dunque Pelia che porge i cattivi chiodi per la fabbricazione della nave. Secondo Malvasia si tratterebbe invece del costruttore e cosl sarebbe spiegata la presenza della corona:
di rea! manto eruditamente vestito, con atto maestoso va somministrando què chiodi che non deboli
conforme l'orcit"ne regio, ma forti e sicun' vuoi vi si
adoprino, ... che qui in pn"ma veduta, un di que'
foutori con gambero a cavar s'affatica un di quelli,
che エッイウコセ@
non ben stn'ngea...
Farebbe propendere per quest'ultima interpretazione anche il senso complessivo dell'episodio. La corona potrebbe
indicare la caratteristica di artefice 'divino' che agisce direttamente su consiglio di Pallade Athena e la cui opera
viene poi assunta in cielo come costellazione.
Chiude il primo gruppo di riquadri Cerere, raffigurata
con la corona di spighe in capo e un mazzetta di spighe e
papaveri nella mano destra. Ai suoi piedi un piccolo drago, animale destinato a trainare il suo carro. Ella rappresenta la fertilità e le diverse fasi della natura, cosl come,
anche per l'eroe, si apre col viaggio una nuova fase della
VIta.
Il secondo gruppo di riquadri è aperto da Diana che
tiene una freccia nella destra e nella sinistra l'arco mentre
sul capo reca la mezzaluna. A Diana, dea della caccia, sono raccomandate le selve ed i boschi. Sempre secondo il
Cartari:
sotto z! nome di costei, fu adorata la luna, pozchè la
Luna devia dal dzntto sentù:ro dell'ellittica che tùm
sempre il sole, non altrimenti che vadano i cacciatori
sovente per le devie strade seguendo le fiere.
Appare chiara l'allusione alle difficoltà del viaggio, ai tortuosi percorsi, alle prove che attendono gli Atgonauti.
Gli eroi si imbarcano alla Baia di Pegase. Giasone è circondato da Orfeo, raffigurato con il violino ed Ercole sulla
destra. Il corteo degli eroi che si avviano alla nave è chiuso
da Zete e Calais, figli di Borea, facilmente riconoscibili per
le grandi ali purpuree. Se- come è probabile -la fonte
per il catalogo degli eroi è l'ode di Pindaro, che ne enumera solo undici, le altre figure in primo piano potrebbero identificarsi con altri due figli di Zeus (il primo è
Ercole), Castore e Polluce, i due eroi dalle alte chiome,
quindi Eufemo e Perichmeno, quindi Echione ed Erito,
figli di Ermes.
A destra nel riquadro è raffigurato Nettuno, rivolto verso la scena successiva; sul capo reca la corona di re del mare, nella destra regge un tridente e nella sinistra trattiene
un delfino. Appare ancora una volta evidente la dipendenza dalle raffigurazioni del Cartari:
... furono cari i delfini più di tutti gli altn· pesci a
Nettuno: onde Higino scn've, che a tutte le statue ne
mettevano uno in mano, ovvero sotto un piede ...
Il tridente rappresenta invece i tre golfi del Mediterraneo e
la natura delle tre acque di fonte, di mare e di lago. Sim-
boleggia inoltre il lungo viaggio per mare che gli eroi dovevano comprere.
Il settimo riquadro raffigura episodi relativi al viaggio:
sul fondo il trasporto della nave a spalle attraverso il deserto della Libia, in primo piano una scena di caccia alle fiere
e sulla destra la lotta con le Arpie. L'episodio dell'attraversru:nento del deserto è collocato da Apollonia e da Valeria
Fiacco durante il viaggio di ritorno in Ellade, dopo la conquista del vello, ma qui probabilmente si segue il racconto
del Conti, che nel sintetizzare il lungo viaggio, colloca il
trasporto dell'imbarcazione dopo la sosta a Lemno e la visita a Cizico re dei Dolioni. Il tema della caccia alle fiere
non trova invece riscontro neppure nella tradizione cinquecentesca e vi si può quindi leggere - come suggerisce
Boschloo - una connotazione del territorio Lbico definito in Apollonia la casa delle bestie foraci. La lotta con le
Arpie è invece menzionata in questa precisa successione
anche dal Conti. Non si può escludere che si tratti degli
uccelli stinfalidi, che aggredirebbero peraltro gli eroi sulla
nave. È da notare comunque come anche questo episodio,
probabilmente derivato dal mitografo, non risponda completamente alla tradizione letteraria, che voleva comunque le Arpie affrontate in volo dai due alati figli di Borea.
Alla destra del riquardo è posto Mercurio, stante frontalmente, nella destra il caduceo, nella sinistra una tromba, che indossa il caratteristico copricapo alato. Cosllo descrive il Cartari:
un giovane senza barba, con due alette sopra le orecchie, tutto nudo, se non che dagli omerigfipendeva
di dzetro un panno non troppo grande.
Protettore dei viaggiatori e ambasciatore degli dei, Mercurio è anche protettore della musica, della geometria e dei
giochi: qui la presenza del dio allude sia ai giochi che si celebrano nel riquadro successivo, sia rappresenta l' occasione, non nel senso di un dato indeterminato e fisso ma come processo di scelta di cui Mercurio è principio e fine: si
uatta, in sostanza dell'essenza stessa del viaggio.
La scena successiva svolge il tema del sacrificio e dei giochi, momento di ringraziamento per aver superato le difficoltà del viaggio. Fra gli eroi facilmente riconoscibili Er261
me l'incontro tra Giasone giunto finalmente nel Calcol'attuale Caucaso - ed Eete. Nelle fonti letterarie l'incontro awiene con modalità diverse. Secondo Apollonia
Radio gli eroi sono scortati dai figli di Frisso alla reggia di
Eete; secondo Valeria Fiacco, invece, Giasone entra in città awolto in una nube, ed una volta giunto al cospetto del
re offre doni e chiede in cambio il vello. Il Conti invece indugia a raccontare come secondo alcuni l'accoglienza di
Eete sarebbe stata benigna, secondo altri, esplicitamente
ostile. La Degrazia, sulla base di una dotta analisi del Butterfield, ha recentemente avanzato l'ipotesi che si tratti
dell'incontro con il re dei Dolioni Cizico, awenuto, secondo il racconto di Valeria Fiacco sulla spiaggia:
del ricco tenitonO Cizico è il re. Questi non appena
vede le nuove insegne della nave Emonia, spanta- .
neamente cotTe a/lido lambito dalle onde, guarda
con lieta meravz"glia gli eroi, e tra gli abbracci e le
strette di mano ...
Raffigurazione di Mercun-o da V. Can:an, Le immagini degli dei de li antichi, Vene[ia 1579, Bologna, B1blioreca Universiraria.
cole e i due figli di Borea.
La divinità che segue è Plutone, signore degli Inferi,
rappresentato come un vecchio barbuto con ai piedi Cerbero, il cane dalle tre teste. Egli è dio dell'oltretomba e
delle tenebre, allusione probabile alle sciagure e alle morti
che costellano il lungo viaggio.
Di seguito gli argonauti vengono accolti da un personaggio regale. La scena è tradizionalmente interpretata co262
Inoltre la presenza di Ercole, che avrebbe abbandonato
poco dopo la spedizione, sarebbe un'ulteriore conferma
della nuova lettura. L'autrice esclude inoltre, a differenza
dell'Ostrow, che qui siano state utilizzate, come fonte di
ispirazione le stampe del Boyvin, senza contare che l' episodio meglio si adatterebbe a questo gruppo di affreschi
rutti dedicati al tema del viaggio.
Non appare chiaro, peraltro, accogliendo l'interpretazione sopra proposta, perché l'episodio che cronologicamente precede lo scontro con le arpie, anche nella mitografia cinquecentesca, venga posticipato. Neppure la presenza di Ercole risulta probante, in quanto l'eroe è sempre
presente anche nelle raffigurazioni successive, persino alla
consegna del vello a Pelia. Il particolare quindi dell'abbandono degli Argonauti da parte dell'eroe armato di clava pare essere stato del tutto trascurato nell'affresco di Palazzo Fava. Sembra pertanto di non poter scartare del rutto l'interpretazione tradizionale dell'Incontro tra Giasone
ed Eete avanzata già dal Malvasia.
Effettivamente però la scena in questo caso non rispecchierebbe il racconto delle fonti classiche, infatti secondo
Apollonia Radio l'incontro awiene nel Palazzo di Eete,
'
'
dove Giasone si è introdotto con pochi compagni, secondo
Valeria Fiacco il figlio di Esone si introduce in città avvolto
in una nube. Sulla sinistra del riquadro è raffigurato un
personaggio di profilo con caratteri somatici negroidi, che
alludeva forse a terre favolose e lontane quale doveva apparire il mitico territorio di Calco.
Chiude il gruppo di affreschi Giunone, con le mani
giunte ed il pavone ai piedi. La protettrice di Giasone allude senza dubbio alla fme positiva del viaggio, ma poiché rappresenta anche i ricchi, la ricchezza e la superbia,
come racconta il Cartari:
I nCchi e i potenti quasi in ogni loro affare rassomigliano al pavone, come che parlino superbamente,
siano arroganti e vogliano sempre stare sopra agli alIn·, piace loro di essere laudati benchè falsamente.
non si può escludere che la dea lanci una raccomandazione all'eroe, fiero dei suoi successi, a non lasciarsi travolgere
dalla superbia.
Apre il terzo gruppo di affreschi una Spes - tanto diffusa sulle monete antiche - nella caratteristica positura,
in atto di incedere con ghirlanda di fiori nella sinistra ed
un lembo dell'abito nella destra.
Nel decimo riquadro, sulla sinistra, è rappresentato il
banchetto ave Giasone ed Eete presentano i rispettivi eroi
e dal quale, secondo il testo delle Epistulae Heroidum:
tuttt' costernati vi alzaste
e l'alta mensa viene scostata dai divani nCoperti di
porpora
Forse a questo alludono gli eroi in piedi sullo sfondo.
Eete ha infatti posto le condizioni per la conquista del vello d'oro. Sulla destra, davanti alla starua di Ecate triforme,
e nella selva a lei cara, avviene l'incontro tra Giasone e
Medea, mentre Cupido, che ha deposto a terra arco e frecce - simbolo in questo caso dell'amore e dei suoi tormenti - stringe le mani dei due amanti. La maga porge
all'eroe gli unguenti e le erbe che gli servirarmo per superare le terribili prove e sconfiggere il drago. Ecate, identificata anche con Proserpina è rappresentata con tre teste:
Raffigurazione di Fan da V. Cartan, Le immagini degli dei de li antichi,
Venetia 1579, Bologna, Biblioteca Universi[ana.
una è di cavallo, una di cane e la terza umana. Essa è dea
degli Inferi, collegata con i cicli narurali ed il passaggio
vita-matte. Presso gli antichi era ritenuta inoltre madre di
Medea e di Circe. La testa di cavallo simboleggia il suo
correre veloce sulla terra, il cane sta invece ad indicare che
la sua dimora, quando si nasconde agli umani, è l' inferno.
Il termine successivo raffigura P an, che cosl il Cartari ci
263
l
l
descrive:
sono le orecchze qual di capra lunghe, et hzrte,
!'ùpida barba scende sopra i! petto
sempre una verga pastorale in mano
macu!osa !a pelle, i! petto, zl dosso
Pan raffigura la vo!uptas, espressione dell'amore eterno, e
allude alla passione di Medea per Giasone. N ella mano
tiene la fistula dalle sette canne. Il Cartari non dimentica
di riportare anche l'interpretazione data di Pan dal pensiero platonico, che vede nella coesistenza della forma
umana e bestiale le due forme di ragionamento:
e la parte di sopra mostra zl vero, t! quale è accompagnato dalla ragione, ... e quella di sotto t! falso che è
tutto bestiale duro et aspero,
interpretando la figura del dio come espressione della !orta
fra l'istinto animale e le ardenti ispirazioni della ragione.
Inizia quindi la raffigurazione delle prove di Giasone.
Il ciclo si apre con l'aggiogamento dei tori dagli zoccoli di
bronzo che sbuffano <<dalle adamantine froge vapore di
fuoco». In primo piano l'ampolla contenente gli unguenti
di Medea che hanno consentito il superamento della prova. Sulla destra l'eroe semina i denti di drago che Pallade
Athena aveva trattenuto dalla semina di Cadmo e consegnato a Eete. Ne nascono uomini adulti e armati. Sullo
sfondo la cotte di Eete assiste alle prove.
la divinità successiva è probabilmente una rappresentazione del Fato, che tiene nella destra una fiaccola. la raffigurazione, che esce dagli schemi del Cartari, allude alla
ineluttabilità degli eventi che si stanno compiendo e si
compuanno.
Nella scena successiva, Giasone riesce a far combattere i
nati dalla terra fra di loro gettandovi in mezzo un masso.
Alla destra del riquadro è raffigurato Vertumno, dio
dei campi, che può essere variamente rappresentato, ma
che prevalentemente viene dipinto con la corona di spighe, i prodotti della terra in grembo e la selvaggina in uni'
mano, quale riferimento alla sua capacità di uccellatore. E
264
La battaglia degli uomini in armi nati dai denti di drago, da P. Ovidio,
MetamorphoJeon, Venetiis 1553, Bologna, Biblroteca Comunale dell'Archigtrmasio.
quindi la divinità della terra coltivata, seminata e fruttifera.
Giasone affronta quindi il drago, lo addormenta con le
erbe di Medea e gli strappa il vello. La corte di Eete assiste
e appare evidente la preoccupazione di Medea, ben descritta anche in Ovidio:
zmpallzdf e si sedé, senza sangue, col gelo nel seno;
e paventando che l'erbe giovassero poco all'effitto,
mormorò un carme d'aiuto invocando l'occulta
magra.
Sulla destra, Giasone raggiunge con il vello i compagni.
la raffigurazione del drago potrebbe rimandare alle illustrazioni di un'opera famosa di Ulisse Aldrovandi, Serpentum et Draconum Historia.
Il termine successivo raffigura Apollo, stante frontalmente. Nella sinistra tiene il violino, nella destra un archetto; ai suoi piedi sta l'arco. Il dio solare simboleggia la
conoscenza di rutti gli eventi e l'armonia con cui si muovono i cieli. Mentre gli strali stanno ad indicare come i suoi
raggi penetrino con forza nelle viscere della terra, poiché i
benefici del sole ovunque si fanno sentire. Segna quindi la
sconfitta delle forze mostruose e malvage ed il trionfo delle divinità olimpiche sulle forze ctonie.
La parete si chiude con il ritorno degli argonauti, inseguiti da Eete. Il racconto di Apollonia Rodio è qui più
complesso: Eete avrebbe invitato gli eroi ad un banchetto
con l'intento di eliminarli, ma essi sarebbero riusciti a fuggire. N ella nostra scena è raffigurata con chiarezza Medea
mentre sulla nave sgozza il fratello Apsitto condotto seco
nella fuga e ne disperde le membra in mare per rallentare
l'inseguimento del padre, il quale a sua volta si trattiene
pietosamente a ricomporre il corpo del figlio. Sempre secondo Apollonia Radio, Apsitto sarebbe stato ucciso da
Giasone in un'isola. Ma l'episodio è ampiamente trattato
dal Conti e la scena si ispira, senza alcun dubbio, ad una
stampa del Boyvin.
Ultima divinità della parete è la Fama, che reca nella sinistra una tromba. La divinità è rappresentata più comunemente - secondo il Cartari - in abiti succinti, con
molti occhi e bocche disegnate sull'abito, a significare la
propagazione degli avvenimenti e delle notizie.
Il gruppo di affreschi sulla parete del lato nord si apre
con Minerva, dea della prudenza e della sapienza, inventrice di tutte le arti, detta anche Tritonia, secondo il Cantari, poiché tre sono le parti della sapienza: conoscere le
cose presenti, prevedere quelle che sono a venire, e ricordarsi delle passate. Essa sta ad indicare che compito
dell'uomo giusto è consigliare bene, giudicare rettamente,
operare con giustizia e leggere la verità delle cose. L'asta
che la dea regge nella destra simboleggia la forza e la capacità di penerrazione della prudenza. Le divinità di questo
gruppo sembrano ricordare la complessità psicologica e
l'articolato gioco dei sentimenti di Medea dopo il suo arrivo in Ellade. Prudenza, forza e violenza (Marte), arti magiche, amore e odio si fondono insieme. Ella opererà prima in favore di Giasone, ringiovanendo il padre di lui ed
eliminando Pelia; quindi, dopo l'arrivo a Corinto, la maga tradira scatenerà le proprie arti verso gli stessi suoi figli
(XIX scena).
Il primo riquadro mostra la riconsegna del vello d'oro a
Pelia da parte di Giasone, Medea ed Ercole.
Il termine di destra è Marte, con corazza, ehno, lancia e
scudo «risplendente di luce sanguinosa». Secondo Ovidio,
Esone, ormai alle soglie della morte, non aveva potuto
prendere parte ai festeggiamenti per il ritorno in patria del
figlio. Giasone chiede allora a Medea di rendergli la giovinezza perduta. La maga acconsente e la sedicesima scena è
dedicata alla prima parte del rito magico del ringiovanimento che ripropone in tutti i dettagli il racconto di Ovidio. Cosl narra il poeta latino:
Perchè la luna giungesse le corna e compisse l'intero
giro mancavan tre notti, allorquando nfulse nel cielo
tonda e guardò con l'intera figura la terra di sotto.
coi pzedi
Uscì di casa Medea succinta le カ・ウエセ@
nudi e con nude le chiome disciolte su gli amen·, e a mezza
notte vagò per i cupi szlenzi senz 'altre compagne:
l'alta quzete sopiva la gente, gli uccelli e le fiere,
non sussutravan le siepi, tacevan immote le fronde,
l'umzdo cielo taceva e bnllavano solo le stelle.
Ella tendendo nel czelo le braccia tre vòlte si gira
sopra se stessa e tre vòlte si spruzza le chiome con acqua.
Per nove giorni girando e per notti altrettante sul canv
tratto dai serpz volanti, ella aveva veduto ogni campo,
quanto tornò; e i ウ・イーョエコセ@
che sol eran stati toccati
da quell'odore, mutarono tutte le squame dz pnma.
Come fu giunta, sostò su la soglia del tetto regale
restò fuori all'aperto sfuggendo il contatto degli altn·;
e due altari costrusse dipiote, per Beate l'uno,
quello dz. destra e per la Gtovùtezza quell'altro a sùnstra.
Poù:h 'ebbe cinto gli altan· di fronde siivestn· e verbene,
poco distante scavata la te17a con duplice fossa,
fo il sacrificio e, sgozzando due agnelle di nero mantello,
sparse di sangue le fosse spaziose. Vi versa poi sopra
tazze di vino e di tiepido latte, pronuncia parole,
chiama gli deì" di sotte77a, Plutone srgnore dell'ombre
e la regale consorte Proserpina da lui rapita,
perché non pn"vino tosto dz" spùto le membra del vecchzo.
Dopo che li propiziò col sussurro di lunghe preghzere,
fece portare alla luce la debole salma d'Esone,
poi l'assopì con l'incanto nel sonno profondo e lo stese ...
come Baccante, Medea va intorno agli altari fumantz·,
trnge le torce multifide dentro la fossa di sangue
e così intnSe le accende su l'are e va intorno tre vòlte
a lui con fiamme, tre vòlte con acqua e tre vòlte con zolfo.
Tra le due scene di sacrificio è posto Giove che sormon265
ta l'aquila mentre tiene il fulmine nella destra e la lancia
nella sinistra. Egli è il signore di tutte le cose, dispone, come Medea in questo rito, della vita e della morte, del passato e del funuo.
Il ringiovanimento di Esone termina nella scena successiva: mentre nelle bete bollono i filtri e rinverdisce il ramo
d'ulivo, Medea taglia la gola ad Esone per consentire il deflusso del sangue malato e l'ingresso della nuova linfa vitale. Sul fondo Giasone ed altri che sono stati allontanati
dalla scena del tito. Appare evidente, ancora una volta, la
perfetta corrispondenza con la descrizione ovidiana:
Quindi comanda che vadano !ungi Giasone e i ministri
e li ammonisce che gli occhi profani si torcan dal n"to
mzstenOso. Al comando obbediscon.
Fervono nella ca!daza !e radiche svelte nei piani
della Tessag!ia coi flan coi semi coi sughi funesti:
bollono pùtre raccolte nell'ultimo Oriente e !e sabbie
inumtdite dal flusso e nf!usso del mare: v'aggiunse
anche !e brine raccolte di notte con piena la luna.
Ali infamate di strige mzschiò con le cami e i budelli
anche di lupo mannaro che suole mutare l'aspetto,
d'uomo prendendo !a fanna. Né pure mancar nel miscug!t'o
squame sottt!i di libico serpe, e di cervo longevo
fegato, e d'una cornacchia vissuta per novecent'anni
anche v'aggiunse la testa col becco. Poiché di codestt'
ingredienti e mtll'altn', che punto non so nominare,
ebbe composto !a barbara il dono promesso a! veg!iardo,
n'mescolò con un ramo già secco d'ukvo maturo
tutto voltando sossopra. Ne! vaso di bronzo bollente
ecco quel!'ando ramo gzrato diventa da pn'ma
verde, poi dopo non molto si copre di fronde novelle
e d'improvviso si can'ca tutto dz' gravzde ulive.
Dove iJ bollar fa cadere le spume da! vaso di bronzo,
dove !e fervrde gocce ricadono sopra !a terra,
tutto fion'sce, e germog/z'ano ifion' e le tenere erbette.
Come czò vide Medea, brandzta !a spada, la gola
squarcia del vecchio e lasciando che fuori ne venga il senile
sangue n'empie le vene di succhi. Pot'ché per la bocca o
per /a gola !i bevve i/ veg!iardo, /a barba e i 」。ー・Aイセ@
non pz'ù canuti, divennero neri: spad d'improvviso
!a macifenza, spari !o squallore, spari della pelle
!'avvizzzmento, s'empiron le ru7.he di carne e le membra
266
lussureggiarono. Esone n'mane stupito e n'corda
d'essere stato così nel passato quarant'annipn·ma.
Quest'ultima scena è stata variamente interpretata dalla
critica più recente: vi si è riconosciuta l'uccisione di Pelia
da parte di Medea, scorgendovi anche un'anticipazione rispetto alla successiva scena dell'agnello. Peraltro il soggetto nel riquadro era già stato correttamente spiegato dal
Malvasia e la perfetta corrispondenza con i versi di Ovidio
non lascia dubbi sull'identificazione.
Il termine successivo è Saturno, raffigurato come un
vecchio che tiene sulle spalle un fanciullo che allude al fatto che egli divorò i suoi stessi figli, dai quali sarebbe stato
spodestato, ftnché Rea gliene sottrasse alcuni dandogli da
ingoiare delle pietre. Appare evidente il tema dell'usurpazione che segna tutta la vita di Giasone - quasi il marchio della stirpe di Esone- che rappresenta l'origine prima delle avventure e della vendetta che si consuma, nel
successivo riquadro, sull'usurpatore. Ai piedi probabilmente si scorge una parte della falce che sempre lo accompagna.
Nell'ultima scena del fregio rimastaci il rito magico del
ringiovanimento viene ripetuto per le figlie di Pelia ed un
anziano montone viene trasformato in tenero agnello. Le
figlie chiedono che del miracolo possa giovarsi anche il padre, e proprio perché esse sono animate da questa speranza, Medea le induce ad assassinare il vecchio, e fugge poi
sul carro rrainato dai draghi. Secondo la tradizione, le figlie di Pelia sarebbero due: Asteropea e Antinoe, ma nel
racconto di Ovidio paiono essere più di due:
gndò !a bugiarda, «Brandite !e spade,
fuori traeteg!i iJ sangue senile, perché gli riempra
di giovanzle vigore le arterie vuotate: la vita
e l'età fresca del padre dtpendon da voi. Se l'amate,
se non inani speranze nutnte, gli offnte !'officio
vostro pz'etoso; con l'armi cacciategli via la vecchiezza,
lo trafiggete col ferro e traetene il sangue colTOtto».
So//ecrtata 」ッウセ@
per la pnma diventa spietata
la pii/. pz'etosa di tutte, che per evitare un delitto
or lo commette. Non possono l'altre guardare i suoi colpi,
volgono indietro lo sguardo e, voltate 」ッウセ@
con le crude
mani feriscono zl padre né vedono i colpi che danno.
L'incontro di Giamne ed Bete, da]. Moregard, Livre de la Conqueste de la Toison d'or, Paris 1563, disegno di L. Thiry, mcisione diR Boyvin, Pangt, Biblioreca Nazionale.
E in numero di tre sono infatti rappresentate sulla destra
del dipinto nell'atto di colpire il padre.
Chiude il ciclo una Vittoria che trattiene nella sinistra
un ramo di ulivo o di palma e nella destra l'elmo, a sottolineare la vittoria di Medea su Pelia ed il definitivo trionfo
di Giasone sul suo persecutore. La dea volge lo sguardo
nella sala verso sinistra rimandando forse all'ultima scena
posta sul camino ed oggi scomparsa.
Appare evidente da questa sintetica lettura del fregio
che la composizione attinge prevalentemente alle fonti
letterarie antiche creando un tessuto fittamente intrecciato
di autentiche citazioni classiche e di elaborazioni successi267
CAUCASO
•
TURCHIA
Vello d·oro
Carta schematrca del viaggio degli Argonauti dalla baia di Pegase alia Colchide (A. Santucci).
268
ve. In particolare nei primi due gruppi di scene per riassumere le vicende del viaggio e per arricchire i primi riquadri
dedicati alla giovinezza di Giasone e ai preparativi per la
partenza, sono state consultate anche le Mytho!ogiae di
Natale Conti. Secondo il racconto del Malvasia sarebbero
stati i giovani Carracci stessi a proporre al conte Filippo Fava, proprietario del Palazzo di via Manzoni, le avventure
di Giasone quale soggetto per l'affresco che era stato loro
Medea come colei che opera la trasformazione tra vita e
morte, in un ciclo naturale continuo, ave nulla va perduto, evoca- forse- i fermenti di un pensiero scientifico
sempre più volto a cogliere, della natura, le infmite tra-
commissionato
I! Mzto degli Argonauti
a bassissimo prezzo ... come soggetto copioso e ferace
per isbi'zzam"rsi nei vari pensieri.
Così prosegue il Malva.sia:
zl n'trovo fu di Agostùw, che non contento dz tante
van"età... v'aggiunge lateralmente ad ogni quadro
due deità confaccenti e simbofzche al soggetto eh 'entro rappresentasz;
'
suggerendo quindi la grande importanza di Agostino nella progettazione del contenuto delle scene, o almeno
nell'organizzazione iconografica. Questi, era infatti in
stretto rappotto con studiosi ed eruditi in un clima culturale teso ad assorbire stimoli e sollecitazioni da un passato,
la cui presenza era sempre più forte, o a legare insieme religione, allegoria, mitologia classica, storia e filosofia, attingendo a motivi e temi tipici della letteratura greca e latina. Peraltro il fregio sembra distaccarsi da quella cultura
emblematica, simbolica ed erudita cosl tipica dei circoli
colti bolognesi e, in generale, dell'Italia settentrionale della metà del Cinquecento. Se le divinità in chiaroscuro ancora in parte legate ad una simbologia in chiave morale e
tutto il fregio possono essere lette come una grande allegoria della vittoria dell'uomo sulle avarizie, la lussuria, l'ambizione, attraverso la pratica delle virtù, della costanza,
della tenacia, della pazienza, in una irumagine di Giasone
eroe positivo - forse di buon auspicio per qualche giovane della casata dei Fava - pure non è solo questo tema
che traspare dalla narrazione. Compare anche il fascino
per il tema del viaggio avventuroso in terre lontane che
evoca l'ammirazione per le recenti scopette geografiche
proprio in quegli anni narrate attraverso diari e resoconti
di viaggi. L'attenzione dedicata, nell'economia complessiva del fregio, al tema della magia, del ringiovanimento, a
sformazioni e mutazioni.
Per comodità di lettura, si ripotta qui un riassunto del
mito degli Argomenti; per le fonti utilizzate si veda la nota bibliografica.
Giasone, come Frisso che fu portato dall'ariete dal vello
d'oro in Colchide, nel Caucaso, discende da Eolo. Narrano che Tiro partorl a Poseidone due gemelli: N eleo e Pelia
ed altri figli allo zio Creteo: Esone, Fere ed Arnitaòne. Pelia regnava a Ioleo, città posta vicino al golfo di Pegase oggi chiamato di Volo. Da Esone nacque Giasone, da Fere
Admeto, e da Amitaònel' indovino Melampo. Giasone, il
cui trono sarebbe stato usurpato da Pelia, venne allevato
segretamente dal centauro Chirone. Un giorno, ormai
adulto, andando a caccia incontrò Giunone, che aveva assunto l'aspetto di una vecchia, presso l' Anauro, fiume
della Tessaglia. Fresala sulle spalle, l'Eroe le fece attraversare il fiume in piena, e durante il guado perse un calzare.
Egli si presentò cosl a Pelia che stava facendo sacrifici al padre Nettuno. Pelia aveva ricevuto la profezia che sarebbe
morto per mano di un uomo con un solo sandalo. Alla vista del giovane, secondo una delle tante versioni del mito,
il Re gli chiese chi fosse e da dove venisse. Questi gli risponde di venire dalle grotte del Centauro, dove abitava
con la moglie di questi Carida e la madre Filira. Ignorando l'identità del re, gli spiega come Pelia avrebbe usurpato i beni e la signoria della famiglia di Esane. Quindi
l'eroe riabbraccia i parenti, il padre, gli zii e i cugini, Fere
ed Admeto, Arnitaòne e Melampo. Giasone chiede poi a
Pelia la restituzione del regno, in cambio avrebbe lasciato i
campi e le mandrie del padre. Pelia risponde che Giasone
avrebbe potuto divenire re quando fosse stata soddisfatta
la richiesta che Frisso gli aveva avanzato in sogno: che il
269
vello d'oro custodito presso un feroce drago presso Eete, re
della Colchide, sulle sponde del Fasi, il fiume che scorreva
dal Caucaso al Mar Nero, fosse recuperato. L'impresarichiedeva una nave molto rapida; venne costruita così Argo
e il suo costruttore fu Argos; per lo scafo vennero utilizzati
i pini del monte Pelia e le quercie di Dodona. Alla spedizione presero parte i Minii, i figli di Zeus: Ercole, Castore
e Polluce, i figli di Poseidone: Eufemo di Tenaro e Periclimeno di Pila, poi Nauplio, i gemelli Idas e Linceo. Dalla
famiglia di Apollo vengono Orfeo e Filarnmone; poi
Echione ed Erito figli di Ermes; Antalide; Calais e Zete figli di Borea. A costoro si aggiungono i due indovini !cimone e Mopso, quindi Peleo e Talamone figli di Eaco, irrfme
il cugino di Giasone Admeto e Acasto figlio di Pelia. Non
mancano neppure Meleagro, Atalanta, Teseo e Piritoo.
L'avventuroso viaggio fu irto di pericoli. Dopo una sosta a
Lemno, gli Argonauti vengono accolti da Cizico re dei
Dolioni, quindi Calais e Zete liberano Fineo dal tormento
delle Arpie. Fineo a sua volta dà loro i suggerimenti per il
viaggio di ritorno, in particolare per superare le Simplegadi, le mitiche rupi che cozzano le une contro le altre.
All'isola di Aies gli Argonauti sono attaccati dagli uccelli
del lago Stirrfalo. La nave imbocca finalmente il Fasi. Secondo Apollonia Radio sono i figli di FriS50 ad accogliere
gli eroi ed a condurli nella reggia di Eete. Giasone viene
quindi sottoposto a tre prove che egli supera con l'aiuto di
Medea, la figlia del re esperta nelle arti magiche e perdutamente innamorata dell'eroe. La prima è una gara di aratura con due tori emananti fuoco e con gli zoccoli ed il
muso di bronzo. Nella seconda l'eroe semina denti di drago da cui nascono uomini armati. I denti sono gli stessi
della semina di Cadmo, che Pallade Athena ha dato ad
Eete. Giasone imitando Cadmo, getta tra di loro un mas-
270
so e costoro si uccidono a vicenda. Quindi, una volta addormentato il drago con i flltri donatigli da Medea, il figlio di Esone si impossessa del vello. Gli Argonauti, con
Medea che segue Giasone per unirsi a lui in matrimonio,
ripartono. La figlia di Eete per facilitare la fuga uccide il
fratello Apsirto, che aveva condotto seco. Le membra del
fanciullo vengono gettate secondo alcuni ai piedi degli inseguitori, secondo altri nel Fasi. Secondo un'altra versione
Apsirto avrebbe seguito i fuggiaschi, li avrebbe affrontati
in un'isola e sarebbe stato ucciso da Giasone. Quindi una
tempesta getta la nave Argo in Libia, nel pericoloso e poco
profondo golfo delle Sirti. Dovendo attraversàre il deserto
gli Argonauti si caricano la nave sulle spalle e la trasportano per dodici giorni e dodici notti. Rientrano fmalmente
nel golfo di Pegase, festeggiati dalla popolazione. Il padre
di Giasone, però, molto anziano, non può accogliere il figlio, l'eroe chiede dunque a Medea di ringiovanire il padre ed ella lo accontenta. La maga fmge poi di voler ringiovanire anche Pelia ed induce così le figlie, che secondo
una tradizione sono due (Asteropea e Antinoe) secondo
altre, cinque, ad ucciderlo. Consumata la vendetta
sull'usurpatore, Giasone e Medea fuggono a Corinto. Qui
l'eroe decide di ripudiare la figlia di Eete e di sposare
Creusa figlia del re. La maga in preda al desiderio di vendetta, invia a Creusa i suoi due figli Mermero e Fere con
una tunica ed una corona avvelenata che provocano la
morte della giovane e del padre di lei. Quindi Medea assassina i suoi figli perché anche Giasone venga punito e
fugge sul carro trainato dai draghi. Ella vivrà, essendo immortale, come sposa di Egeo, ad Atene; mentre Giasone
morirà all'ombra della nave Argo, colpito al capo da una
trave staccatasi da questa.
Bibliografia
Per Un approfondimento dei temi relativi
alla brevissima, e non esaustiva rassegna di
alcune tra le precedenti raffigurazioni del
mito di Giasone e di Medea si possono
consultare: per l'età classica: v. Giasone,
Enc. Arre Antica, III, Roma 1960, pp.
887-888; v. Medea, Enc. Arte Antica, IV,
Roma 1961, pp. 950-956; C. Robert, Dze
antiken Sorkophag-Reliefi, Il, 1890, Berlin, pp. 199-204; A. Levi, Sculture greche
e romane del Palazzo Ducale dt Mantova,
Roma 1931, tav. CII, pp. 90-91.
Per l'età medievale e rinascimentale: R.
Van Mede, lconographie de l'art profane
au moyen-Jge età la Renaissance et la décoration des demeurs, Gravenhagen 193132; A. Pigler, Barockthemen, Budapest
1956, part. pp. 123-127, pp. 160-161; F.
Saxl, La stona delle zmmagini, London
1957, trad. it. Bari 1982, part. pp. 43-44,
il!. 60-62, 64-65.
Per le decorazioni sui cassoni: P. Schrubing, Cassonz, Leipzig 1923, pp. 311-312.
Per l'affresco perduto del Pordenone: F. di
Maniago, Storia delle belle arti fn'ulane,
1823, p. 209; G. Fiocco, Giovanni Antonio Pordenone, Udine 1939, p. 147.
Per un esame dettagliato delle stampe del
Boyvin ed un elenco completo delle immagini relative al mito degli Argonauti:
Ap.F. Robert-Dumesnil, Le peintreGraveur Français, VIII, Paris 1980, pp. 1188; e per il loro utihzzo da parte dei Cartacei: S. Ostrow, Note sugli affieschz con
Storie di Giasone in Palazzo Fava, «Atte
Antica e Moderna», 9, 1960, pp. 68-75,
part. p. 71 et infra.
Per l'opera di Giulio Bonasone ed in particolare per la staffipa relativa al mito di Medea da ultimo: Giulio Bonasone, c.d.m. a
cura di Stefania Massari, Roma 1983, part.
pp. 9-17 e p. 113; per Pellegrino Tibaldi:
C. Malvasia, Felsina Pittrice, Bologna
1678, ed. cons. Bologna 1841, p. 154; E.
Bodmer, Nuove attnbuzioni a Pellegn1to
Tibaldi, «Rivrsta d'arte», 2, IX, 1937, pp.
15-29, part. 22-24; G. Briganti, Il manierisma e Pe!legnno Tzbaldi, Roma 1945; E.
Sambo, Tzbaldi e Nosade!la, «Paragone»,
XXXII, 1981, pp. 3-25.
Per quanto riguarda i brevi cenni alla tradizione mitografica cinquecentesca fondamentale rimane l'analisi condotta da J.
Seznec, La. sopravvivenza deg!t antichi dei,
Paris 1940, trad. it. Torino 1981, part. pp.
268-347; inoltre dello stesso autore: Erudzts et graveurs au XVI siede, «Melanges
d'Archeologie et Histoire», XLCVII, 1930,
pp. 18-137, part. pp. 126-127; in generale
anche G. Tiraboschi, Stoni della letteratura italiana, Modena 1792, vol. VII p. III,
pp. 849-85 7; per una sintetica informazione biografica su Natale Conti: v. Conti
Natale, Enciclopedia Italmna, XI, Roma
1949, p. 234.
Per le opere dei mitografi si vedano le indicazioni contenute nel testo.
Per l'analisi e l'interpretazione delle singole scene dd fregio e dei 'termini' si indicano dapprima le fonti classiche utilizzate,
le relative traduzioni citate e le abbreviazioni usate, quindi le interpretazioni critiche; da ultimo vengono dati i riferimenti
puntuali secondo l'ordine delle scene.
Fonti letterarie: Pindaro, Odi Pitiche, ed.
Les Belles Lettres, Paris 1922, part. Pttica
N, pp. 61-85 (trad. it. Pindaro, Le odi,
Firenze 1956 pp. 157-172); Abb.:
Pi.P.IV; Apollonia Rodio, Argonautzcon,
ed. Loeb Class.ical Library, London 1912,
an. 1960; Abb.Ap.Rb.; Gaio ValerioFlacco, Argonauticon, Ed. Loeb Classica! Li-
brary, London 1934, an. 1958 (trad. it.,
G. Valeria Fiacco, Argonautiche, acura dr
L. Carelli, ed. UTET, Torino 1954); Abb.:
V.FL; Publio Ovidio Nasone, Metamoifoseon, ed. Zanichelli, Bologna 1983 e relativa traduzione; Abb.: Ov.Met.; Publio
Ovidio Nasone, Eptstulae Heroidum, ed.
UTET, Torino 1982, e relativa traduzione;
Ab b.: Ov.Ep.
Le interpretazioni critiche: C. Malvasia,
Felszna Pzttrice, Bologna 1671, ed. cons.
Bologna 1841, parr. pp. 271-273; L. Sighinolfi, I Palazzi Fava di via Manzoni, Bologna 1912; A. Foratti, I Carracci nella teoria
e nella pratiCa, Città di Castello 1913; S.
Ostrow, Note sugli affreschi con 'Stone di
Giasone' in Palazzo Fava, «Arte Antica e
Moderna>, 9, 1960, pp. 68-75; A. Ortani,
Gli affreschi dei Carracci in Palazzo Fava,
Bologna 1960, part. 41-59 con uno schema
dell'affresco, per l'identificazione delle
scene riporta il contenuto dell'articolo di
Ostrow; A.W.A. Boschloo, Anmbale Carracci in Bologna. Vistble Reality in the Art
after the Council of Trent, Groningen
1974, I vol. pp. 25-28, Il vol. pp. 191-194,
per la funzione dei termini si veda v. II, p.
191 n. 6.
Per un esame dettagliato del mito nelle
sue numerose varianti: W.H. Roscher,
AusfUhrlicher Lexzcon der gn"echischen
und ROmischen Mythologt"e, Leipzig 18901894, an. 1965, voi, Il, l, v.Jason, coli.
63-88; v. Medeia, Realencyclopiidie der
Classischen Altertum Swissenschaft, XV,
l, 1931, Stuttgart, col!. 29-65; v. jason,
ibidem IX, l, 1914, coli. 759-782; K. Kerenyi, Gli dei e gli eroi della Grecza, Milano, ed. ir. 1964, pp. 241-265.
Le singole scene: I termine (Venere): Cartari, pp. 529-556, part. pp. 529-536,
271
l
NATALISCOMITIS
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PJtiVILEGI-0,
M D LXVII f.
Frontespizio del volume Mythologiae di N arale
Comi, Bologna, Biblioreca Comunale deH' Archiginnasio.
Ostrow, p. 69
I scena (J funerali di Giasone): Pi. P .IV;
vv. 198-205; Conti, p. 178 r.; Malvas.ia, p.
271; Ostrow, p. 69.
II termine (Bacco): Cartari, pp. 412-457,
part. 428-429; Malvasia, p. 271; Ostrow,
p. 70.
II scena (La giovmezza di Giasone e l'incontro con i parentt): Pi.P.IV 180-184;
Conti, p. 128 v.; Malvasia, p. 271;
Ostrow, p. 69; Boschloo, II, pp. 190-191,
n. 6.
Ill termine (Cupido): Cartari, pp. 494529, part. pp. 494-435 e p. 515; Malvasia,
272
p. 277; Ostrow, p. 70.
III scena (Il re Pelia st reca al sacnficio):
AP. Rh., l, 8-17; Conti, p. 178 r.; Malvasia, p. 271; Ostrow, p. 70.
IV termine (Vulcano): Cartari, pp. 387392, part. pp. 391-392; Malvasia, p. 278;
Ostrow, p. 70.
IV scena (L 'incontro tra Gt."a.sone e Pelia
durante ti sacrificw): Pi.P. IV, 138-150;
Ap.Rh., l, 8-17; Ill, 65-73; V.Fl., l, 8186; Conti, p. 178 v.; Malvasia, p. 271;
Ostrow, p. 70.
V termine (Eolo?): Malvasia, p. 271;
Ostrow, p. 70.
V scena (La costruzione della nave Argo):
Ap.Rh., l, 110-113, l, 721-727; V.Fl., l,
120-129; Comi, p. 178 v. e pp. 181-182,
part. p. 181 v.; Malvasia, p. 272; Ostrow,
p. 70.
VI termine ( Cerere): Cartari, pp. 222-232,
part. pp. 223-225; Ostrow, p. 70.
VII termine (Diana): Cartari, pp. 100111; Malvasia, p. 272; Ostrow, p. 70.
VI scena (La partenza degli Argonautz):
Pi.P.IV, 302-327; Ap.Rh., l, 23-233; v.
Fl., I, 184-187; Conti, p. 178 v.; Malvasia,
p. 272; Ostrow, p. 70.
VIII termine (nettuno): Cartari, pp. 240250, part. pp. 240-241 e pp. 251-255;
Malvasia, p. 272; Ostrow, p. 70.
VII scena (Il vzaggio; t! trasporto della nave
nel deserto libico e la lotta con le arpze):
Pi.P.IV, 44-47; Ap.Rh., 178-300 (Arpie);
IV, 1384-1387 (la nave); IV, 1561 (le
fiere); Ov. Met. VII, 5-6; V.Fl., IV, 523532 (arpie); Conu, p. 179 r.; Malvasia, p.
272; Ostrow, p. 71 e p. 74 n. 28; Boschloo, II, p. 190 n. 5.
IX termine (Mercurw): Cartari, pp. 310339, part. pp. 313-315; Malvasia, p. 172;
Ostrow, p. 71.
VIII scena (Il sacnficzo del toro nero e t gzochi di n"ngraziamento): Pi.P.IV, 383-366;
AP.Rh., II. 648-719; Conti, p. 178 v.;
Malvasia, p. 272; Ostrow, p. 71.
X termine (Plutone): Canari, pp. 273283, part. pp. 277-280; Malvasia, p. 272;
Ostrow, p. 71.
IX scena (L 'incontro tra Giasone e Bete):
Ap.Rh., I, 910-988, Ill, 210-438, V.Fl.,
II, 635-639, V, 455-523; Conti, p. 178 v.;
Malvasia, p. 272; Ostrow, p. 71; D. De
Grazia, Correggio e t! suo lascito. Disegni
del Cinquecento Emlzano, Parma 6 Giugno- 15 Luglio c.d.m., I ed. Waschington, Parma 1984, n. 125 pp. 394-396.
XI termine (Gt..unone): Cartari, pp. 172183; part. pp. 172-173 e p. 176; Malvasia,
p. 272; Ostrow, p. 71.
XII termine (Spes): Malvasia, p. 272;
Ostrow, p. 71.
X scena (L 'incontro tra Giasone e Medea):
AP.Rh., III, 744-1162; Ov. Ep. XII, 5354, 69-72; Ov. Met., VII, 94-98; V.Fl.,
VII, 437-460; Conti, p. 179 v.; Malvasia,
p. 272; Ostrow p. 71.
XIII termine (Pan): Cartari, pp. 132-142,
Pan. pp. 135-136 e pp. 138-139; Malvasia, p. 272; Ostrow, p. 72; per le varianti
nella successione delle prove: Kerenyi, pp.
251-252.
XI scena (Giasone aggioga i ton· e semzna i
dentr dr drago): Pi.P.IV, 398-406;
Ap.Rh., III, 1225-1274; Ov. Met. VII,
100-120; V.Fl. VII, 545-606, 607-617;
Conti, p. 179 r.; Malvasia, p. 272;
Ostrow, p. 71.
XIV termine (Fato?): Cartari, p. 305-307;
Malvasia, p. 272.
XII scena (Il combattzmento degli uomzni
in armi nati dai denti di drago): Ap.Rh.,
III 1275-1407; Ov. Met., VII, 129-145;.
•'
r
V. Fl., VII, 617-634; Conti, p. 179 r.;
Malvasia, p. 272; Ostrow, p. 71.
XV termine (Vertumno): Cartari, pp. 268272; Malvasia p. 272; Ostrow, p. 71.
XIII scena (la conquista del vello d'oro):
Pi.P.IV, 434-438; AP.Rh., IV, 92-211;
Ov. Met. VII, 149-158; V.Fl., VIII, 81115; Conti, p. 179 r.; Malvasia, p. 272;
Ostrow, p. 71; per la figura del drago: U.
Aldrovandi, Serpentum et Draconum Historia, Bononiae 1649, part. p. 420.
XVI termine (Apollo): Cartari, pp. 56-96,
part. 59 e p. 62; Malvasia, p. 272; Ostrow
p. 72.
XIV scena (La fuga degli Argonautt):
Ap.Rh., IV, 294-551; Ov. Met., VII, 551552; V. Fl. VIII, 175-317; Conti, p. 175 r.;
Malvasia, p. 272; Ostrow, p. 71, ill. 26b.
XVII termine (Fama): Cartari, pp. 395396; Malvasia, p. 273; Ostrow, p. 72.
XVIII termine (Minerva): Cartari, pp.
356-386; Malvasia, p. 273; Ostrow p. 72.
XV scena (La consegna del vello d'oro a
Pelia): Ov. Met., VII, 156-170; Conti, p.
179 v.; Malvasia, p. 273; Ostrow, p. 72.
XIX termine (Marte): Cartari, pp. 356396, part. pp. 384-395; Malvasia, p. 73;
Ostrow, p. 72.
XVI scena (Gli incanti di Medea): Ov.
Met. VII, 164-254; Conti, p. 176 v.; Malvasia, p. 273; Ostrow, p. 72.
XX termine (Giove): Cartari, pp. 125171, part. pp. 156-157; Malvasia, p. 273;
Ostrow, p. 72.
XVII scena (Il ringiovanimento di Esone
ad opera di Medea): Ov. Met., VII, 255293; Conti, p. 176 v.; Malvasia, p. 273;
Ostrow, p. 72; Foratt.i, p. 61; Ottani, p.
47; Boschloo, l, p. 26.
XX termine (Saturno): Malvasia, p. 273
(Saturno); Ostrow, p. 72.
XVIII scena (l 'mganno delle figlie di Pelia
e l'ucciswne del Re): Ov. Met., VII, 305349; Malvasia, p. 273; Ostrow, p. 72.
XXII termine (Vittoria): Cartari, p. 404;
Ostrow, p. 72.
Per quanto riguarda l'approfondimento
dei temi - solo sfiorau in testo - relativi
al clima culturale bolognese nella seconda
metà del Cinquecento, al ruolo della famiglia Fava presso lo studium, alla vita delle
accademie ed agli studenti: Boschloo, I,
part. pp. 101-116. A. Lugli, le ,symbo!t'
cae Quaestiones» di Achtlle Bacchi e la cultura dell'emblema in Emt!ta, «Atti
CIHA,, 4, Bologna 1982, pp. 87-96 e bib.
lVl citata.
Per le mdicaz.ion.i sulla famiglia Fava: G.
Guidicini, Case notabtli della Città di Bologna, Bologna 1869, II, p. 186; L. Sighinolfi, I Palazzi Fava di via Manzoni, Bolognba 1912, part. p. 7; Malvasia, p. 154
che a proposito degli affreschi del Tibaldi
scrive: «... della casa degli antichi favi, ave
già per tanto tempo tenne perpetuo luogo
e sede la filosofia e la medicina».
Sulla figura di Agostino: G.P. Bellori, Le
vite de' pzttori, scultori et architetti moderni, Roma 1672, pp 103-105; Ostrow,
p. 73 n. 9; D.S. Pepper, Augustin Carra-
che, Maztre et dissenateur, «Revue de
l'Art», 14, 1971, pp. 39-44, part. p. 39. In
generale per i problemi di iconologia nel
Carracci: J.R. Martin, Immagini della virtù: The Paintmgs of the Camenno Farnese, <Art Bullerin>, XXXVIII, 2, 1956, pp.
91-182 in particolare .per il rapporto con
Fulvio Orsin.i; L Spezzaferro, I Carracci
tra naturalismo e classicismo, «Atti
CIHA>, 4, Bologna 1982, pp. 203-228,
part. pp. 209-215.
Per i problemi relativi alle rappresentazioni allegoriche ed alla ripresa dei temi classici in età rinascimentale: G. Tervarent,
Les enigmes de l'art. L'héntage antique, I
ed. 1938, Paris 1947; H. Gombrich, Icones Symbo!icae. The visua/ Image in neop/atonie Thought, «]ournal of the Warburg and Courtauld Institutes», IX, 1948,
pp. 163-192; F. Saxl-Maier, Veneichnis
astrologischer und mt"thologischen illustnrte. Haudschnften des Latinùchen Mtttelalters, London, 1953; E. Wind, Pagan
Misten.es in the Renazssance, London
1958, trad. it., 1971, Milano; D.C. Allen,
The renaissance antiquan{m and allegon'cal interpretation, «Medieval and Renaissance studies» 1968, N, pp. 3-20; Id. Misten·ously Meant. The Redùcovery of Pagan simbo!tsm and Allegorica! Interpretatwn Ùl the Renaissance, BaltimoreLondon 1970; D.]. Gordon, The Renaissance lmagination, London 1975; E. Gandolfo, Il dolce tempo, Mùtica ermettsmo e
sogno nel Cinquecento, Roma 1978.
273