GIORGIO COLLI: FILOSOFO DIONISIACO DELL’ESPRESSIONE
Roberto Terrosi
Questo breve saggio o articolo è stato scritto nel 2009 in occasione del trentennale della morte del filosofo. Esso voleva
richiamare l’attenzione non solo sulla sua nota attività di filologo e curatore delle Opere complete di Nietzsche, ma anche sulla
sua attività autenticamente filosofica, che ancora attende di essere adeguatamente considerata ed apprezzata per la sua profondità
di analisi e per l’originalità delle sue tesi. Con questo testo non volevo celebrare Colli come filosofo del passato, ma proporlo come
filosofo che, proprio perché “inattuale”, è adatto ad essere preso in considerazione anche nel pensiero contemporaneo.
1. Colli curatore delle opere complete di Nietzsche, ma non solo.
Questo articolo avrebbe potuto intitolarsi anche semplicemente “Giorgio Colli filosofo”, perché? Perché Colli
è noto soprattutto per essere stato un filologo e in particolare il curatore di un’opera ormai divenuta famosa
tra gli studiosi di Nietzsche di tutto il mondo. Stiamo parlando infatti dell’edizione integrale delle opere di
Friedrich Nietzsche, un’opera che è diventata un punto di riferimento obbligatorio per gli studiosi del filosofo
tedesco e che è stata pubblicata anche fuori dall’Italia, ad esempio qui in Giappone, in Francia e nella stessa
Germania. Perché però questa opera ha avuto tanto rilievo e ha portato una così grande stima e
considerazione a questo studioso italiano? Per rispondere a questa domanda occorre considerare alcuni aspetti
storici e biografici della questione. Nietzsche muore nel 1900, ma già dagli anni dell’internamento, tutti i suoi
scritti vengono gestiti dalla sorella che è legata ad ambienti della destra politica tedesca a partire dal marito che
già Nietzsche criticava nei suoi appunti per il fatto di essere un odioso antisemita.
Fu anche premura della sorella di ricostruire attraverso numerosi appunti lasciati dal fratello, l’ultimo testo
lasciato interrotto, che uscì così postumo con il titolo La volontà di potenza e che è l’unico libro che non
troviamo nelle opere complete curate da Colli. Il libro infatti è stato assemblato tendenziosamente con la
malcelata intenzione di accreditare una maggiore affinità delle idee del fratello a quelle della destra nazionalista
e razzista. Non a caso i nazional socialisti e Hitler stesso instaurarono ottimi rapporti con la curatrice nel
tentativo di appropriarsi politicamente della filosofia di Nietzsche e di farne addirittura una sorta base teorica
del nazismo. Infatti Hitler era un grande ammiratore e lettore di Nietzsche tanto che anche sul finire della
guerra consigliò a Mussolini la lettura del filosofo tedesco.
Colli era figlio dell’amministratore del giornale “La Stampa” il quale dovette dimettersi dopo il suo rifiuto di
aderire al fascismo e altre vicende a questo correlate. Colli stesso ancor giovanissimo, sebbene non fosse
vicino ad alcun partito o organizzazione politica, non nascose mai la sua avversione alla dittatura. Sviluppò la
passione per la filosofia fin dagli anni del liceo, ma il padre, preoccupato per l’avvenire professionale del
figlio, pretese che si iscrivesse alla facoltà di giurisprudenza. Qui però egli trovò il modo di riaccostarsi
comunque agli interessi filosofici laureandosi in filosofia del diritto con una tesi su Politicità ellenica e Platone.
Subito dopo andò ad insegnare nei licei dove i suoi allievi rimasero colpiti per il vigore e la passione con cui
insegnava la filosofia, ma anche per la chiarezza con cui manifestava le proprie idee. Uno dei suoi allievi di
allora, Martino Montinari, divenne un convinto antifascista ed entrò addirittura nelle file del partito comunista
in quel momento illegale. Colli invece dovette presto riparare in Svizzera dove rimase fino all’arrivo della
guerra per evitare l’arresto in quanto dissidente politico. Egli, da cultore della filosofia antica, che studiava
seguendo un rigido approccio filologico, aveva ben studiato tutti gli studiosi del pensiero greco della scuola
filologica tedesca del secolo precedente e tra questi rimase però folgorato dagli studi di Nietzsche, in
particolar modo dalla Nascita della tragedia. Quindi Colli, senza badare a questioni di facili pregiudizi ideologici,
prese a studiare tutte le opere di Nietzsche da cui non emergeva la figura del presunto teorico del nazional
socialismo, ma quella di un filologo e di un filosofo lucido e geniale. Egli allora nel dopoguerra cominciò a
pensare alla possibilità di una nuova edizione delle opere di Nietzsche, basata su un’impostazione
rigorosamente filologica, che restituisse gli scritti del filosofo tedesco al lettore contemporaneo, ripulito delle
incrostazioni ideologiche delle edizioni naziste e fasciste. Tale edizione doveva riportare tutti gli scritti in
modo da avere una visione completa e imparziale di tutta la sua opera, per dare ai lettori la possibilità di
giudicarlo da quanto aveva effettivamente scritto, al di là di tutte le dicerie circolate sul suo conto. Questo
però comportava l’esigenza di fare una vera e propria edizione critica a partire dai manoscritti. L’operazione
era monumentale e molto impegnativa anche sul piano economico. Quindi, nonostante i buoni rapporti con
prestigiose case editrici, il progetto non riusciva a decollare. Finalmente una nuova casa editrice, la Adelfi, si
propose di appoggiare l’impresa. Ma i fondi ancora non erano sufficienti. Lo scoglio fu superato associando al
progetto la casa editrice francese Gallimard. A questo punto il progetto poteva finalmente partire. C’era però
ancora un altro ostacolo. Alla fine della guerra mondiale la Germania era stata divisa in due parti, appartenenti
a due diverse sfere d’influenza, e l’archivio degli scritti di Nietzsche si trovava nella Germania dell’Est, sotto
influenza dell’allora Unione Sovietica. Colli però aveva già da tempo affiancato a sé nel progetto il suo allievo
dei tempi del liceo, il comunista Mazzino Montinari. Quest’ultimo così si trovò a poter svolgere una funzione
unica e insostituibile ai fini dello svolgimento del progetto per due motivi: primo perché essendo iscritto al
Partito Comunista Italiano poteva ottenere facilmente le autorizzazioni da parte della Repubblica
Democratica Tedesca per accedere all’archivio, senza suscitare il sospetto che si trattasse di un propagandista
nostalgico del nazismo; secondo, Mazzino Montinari, non solo era un preparatissimo germanista, ma era
anche uno dei pochi che fosse in grado di decifrare l’incomprensibile calligrafia dei manoscritti nietzscheani.
Quando il progetto prese corpo e si poté constatare il valore dell’opera, allora anche la casa editrice tedesca
De Gruyter decise di associarsi al progetto e infine si aggiunse anche la casa editrice giapponese Hakusuisha,
ragion per cui l’edizione di Nietzsche che ancora oggi è possibile leggere in giapponese è basata sull’edizione
critica curata da Colli e Montinari.
L’accuratezza e l’imparzialità con cui è stato eseguito il lavoro di compilazione dell’opera, ha dato grande
notorietà ai curatori, ma ha anche contribuito in maniera significativa alla ripresa del pensiero di Nietzsche nel
dibattito filosofico a partire soprattutto dagli anni ’70 con la cosiddetta “Nietzsche Renaissance” verificatasi
soprattutto in Francia (si pensi ad autori come Klossowski, Deleuze, Foucault), ma anche in Italia (Vattimo,
Cacciari, Natoli, Perniola, Rella), basata nella maggior parte dei casi sulla lettura dei testi curati da Colli.
2. Colli filosofo
Colli quindi ha avuto dei meriti indubbi come filologo, curatore e anche come animatore della scena culturale,
ma non va dimenticato che egli fu a sua volta filosofo e che, pur non essendo mai stato in quanto filosofo al
centro di grandi dibattiti o querelle internazionali, è stato un pensatore di indubbia importanza nel panorama
del pensiero italiano della seconda metà del Novecento. Questa mancanza di clamore è dovuta soprattutto a
due motivi: primo Colli era una persona molto schiva e riservata, che non ha mai pensato di usare la sua
notorietà di curatore per imporsi come pensatore; secondo, Colli non si è mai preoccupato di seguire il
dibattito filosofico per “aggiornare” il proprio lavoro filosofico né di ribattere con il proprio punto di vista
alle posizioni correnti. Quindi non è entrato mai in polemiche filosofiche e non ha mai parteggiato in querelle
culturali. Lui ha sempre preferito tenere un atteggiamento defilato, rimanendo appartato nei suoi studi, ma
soprattutto seguendo il suo progetto filosofico in maniera indipendente da tutto e da tutti, in modo che
potremmo definirlo, con un termine nietzscheano, un pensatore “inattuale”. Per questo motivo Colli è stato
sempre un pensatore altamente rispettato in tutto l’ambiente filosofico italiano, ma relativamente poco citato
per quanto riguarda i contenuti della sua filosofia.
Eppure, sebbene i suoi testi non risentissero della preoccupazione di essere alla moda, non trattava di fatti
totalmente estranei agli interessi filosofici degli anni in cui operava, casomai ha avuto la sfortuna di precorrere
di una decina d’anni le correnti culturali soprattutto degli anni ’80, anni in cui molti dei temi da lui trattati
vennero ripresi senza chiamarlo però direttamente in causa. A trent’anni esatti dalla sua scomparsa oggi Colli
è ritenuto in Italia un autore di culto, poco conosciuto, ma con una schiera ristretta di estimatori del suo
pensiero che lo considerano un grande filosofo.
3. La filosofia di Colli
Vediamo allora brevemente alcuni aspetti del suo percorso filosofico. In questa sede infatti non possiamo
proporre una sintesi adeguata del pensiero di Colli, anche perché il nostro scopo non è di supplire alla
conoscenza diretta dei suoi testi con una sintesi da manuale, ma piuttosto di porre l’accento su alcuni aspetti
del suo pensiero per presentare l’autore ai lettori ed indurli così ad approfondire l’argomento. Possiamo dire
che in generale gli interessi filosofici di Colli hanno insistito su tre punti. Il primo di essi, è l’interesse per la
nascita della filosofia greca, e quindi per la transizione dalla figura del sapiente a quella del filosofo. Si tratta
del suo interesse per certi versi prioritario o comunque di quello che trattato più ampiamente e che ritorna a
più riprese nella vita di Colli dalla giovinezza alle sue ultime ore di vita (tanto che morì improvvisamente
mentre lavorava su un frammento di Eraclito). Ad esso dedica la maggior parte dei suoi libri a partire dalla
tesi di laurea nel 1939, discussa alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale, su Politicità ellenica e
Platone (la cui prima parte è pubblicata con il titolo di Filosofi sovrumani nel 1988 e la seconda col titolo Platone
Politico nel 2007), a La natura ama nascondersi (PKP 1988), il libro che scrisse nel 1948 nell’immediato
dopoguerra, come una sorta di tesi di abilitazione prima di prendere la cattedra a Pisa, e infine alle sue ultime
opere: il breve scritto La nascita della filosofia (NdF 1975) e l’opera in più volumi La sapienza greca, lasciata
incompiuta (SG1 1977, SG2 1978, SG3 1980 postuma).
Il secondo punto tematico è costituito dal riferimento a Nietzsche. Colli non solo cura la traduzione dei testi
di Nietzsche, ma scrive anche tutte le introduzioni ad essi (poi raccolte in un unico libro) e scrive in più anche
un testo di riflessione critica sul lascito filosofico di Nietzsche intitolato Dopo Nietzsche (DP 1974) che può
essere considerato il testo di Colli che ha avuto maggiore fortuna all’epoca della Nietzsche Renaissance.
Il terzo punto, quello meno popolare, è invece quello che concerne gli interessi teoretici e metafisici di Colli,
che, dal punto di vista filologico, si concretizzano nella traduzione di opere fondamentali della storia del
pensiero occidentale quali l’Organon di Aristotele e La critica della ragion pura di Kant, ma che dal punto di vista
più strettamente filosofico si concentrano tutti in un’opera, la più sistematica da lui scritta, che si intitola La
filosofia dell’espressione (FdE 1969), opera di grande spessore, lasciata ai margini del dibattito filosofico proprio
perché considerata distante dalle mode del momento (anche se in realtà manifestava preoccupazioni
filosofiche attualissime) e considerata troppo complessa e difficile. In realtà proprio a quest’opera Colli affida
il nocciolo delle sue riflessioni filosofiche, sviluppate in un faticoso confronto con i grandi come Aristotele,
Kant, Schopenhauer e Nietzsche. L’alibi della difficoltà non può essere tirato in ballo in filosofia, anche
perché proprio in quello stesso periodo buona parte della comunità filosofica italiana non lesinava sforzi per
decifrare anche i passi più ermetici dei testi di Heidegger. Il problema era forse che Colli aveva proprio
deliberatamente ignorato Heidegger e aveva sottostimato la svolta linguistica. Quindi le sue questioni
filosofiche legate alla gnoseologia e non all’esistenzialismo o al marxismo in voga in quegli anni già lo
ponevano fuori dal mainstream e, se poi si considera che il suo approccio alla gnoseologia evitava la
fenomenologia husserliana, si può capire facilmente come il pensiero di Colli dovesse sembrare a taluni una
riflessione dovuta alla mera elaborazione di interessi prettamente personali. In realtà non era così, e credo che
non sia così neanche oggi, trattandosi di un testo denso di stimoli anche riguardo alle questioni della filosofia
contemporanea. Veniamo allora alla disamina di alcuni nodi sollevati da Colli.
4. Gli dèi
Colli critica Nietzsche in due occasioni riguardo agli dèi. La prima è a riguardo della famosa affermazione
“dio è morto” secondo cui sarebbero stati gli uomini con il loro razionalismo ad ucciderlo. Colli non è di
questo avviso. Gli dèi non sono morti, ammonisce ricordando Eraclito, gli dèi vivono “una lunga vita” ( DN
1974: 99). Nietzsche pensava che prima il cristianesimo avesse affossato il politeismo e che poi la ragione
umana avesse esautorato quell’unico dio consegnandoci il mondo dell’ultimo uomo. Ma dal momento che
viene pensato l’oltre-uomo e che la sua filosofia prende a colpi di martello la filosofia stessa, in quanto frutto
di una coltre di mistificazioni, cosa rimane? A questo punto allora è proprio la crisi della filosofia che riapre la
strada alla sapienza ed è quindi proprio la crisi dell’umano che riapre la strada alla parola degli dèi.
Un secondo caso è invece quando contesta la teoria espressa nella Nascita della tragedia che contrappone un
Apollo tutto ordine, superficie, razionalità e chiarezza a un Dioniso, misterico, irrazionale, istintuale,
sovvertitore del principium individuationis. Tale contrapposizione a parere di Colli non è giustificata e risente
semplicemente dell’influsso della concezione neoclassica formulata da Winckelmann. Apollo come Dioniso è
un dio della mania, non è un compositore effeminato ma uno spietato arciere. Colli a questo riguardo ricorda
le parole di Omero scritte all’inizio dell’Iliade: “si levò tremendo lo strepito dell’arco d’argento” ( DN 1974:
40). Il suo nome significa infatti letteralmente “lo sterminatore” o “l’annientatore”. Questo punto è
fondamentale per Colli perché ciò significa che alla base della nascita del logos e quindi della filosofia non si
pone una polarità di opposti ma due diverse espressioni della cultura del misticismo greco, di cui Dioniso
costituisce l’aspetto orgiastico e Apollo quello divinatorio, aspetti che parimenti alludono a una realtà terrifica
e dissolutrice o sovrastante il principium individuationis.
5. L’enigma
Apollo è perciò il dio dell’enigma per eccellenza e sotto questo punto di vista si può dire che Colli sia stato il
pensatore che ha sollevato la questione filosofica dell’enigma, in relazione alla sua funzione nella definizione
della sapienza greca e della nascita del pensiero filosofico. L’enigma viene presentato da Colli nella sua
ricostruzione della nascita della filosofia in tre forme: una forma spaziale attraverso l’immagine del labirinto;
una forma temporale traverso la pratica della divinazione; e una forma conflittuale o agonistica attraverso
l’uso dell’enigma come sfida mortale.
Il labirinto è infatti per Colli una delle espressioni del logos nascente, una concatenazione di vincoli e di
regole che però diviene una trappola, in quanto non se ne trova la via d’uscita, esattamente come a una
questione a cui non si riesce a dare risposta. Il labirinto è pur sempre legato, secondo Colli, alla dualità
apollineo-dionisiaca in quanto Dedalo è connesso al culto delfico, mentre la figura del minotauro potrebbe
essere invece relativa in qualche modo a Dioniso. Infatti nelle processioni dionisiache compare spesso
l’associazione Dioniso-toro attraverso forme di mascheramento rituale e comunque egli compare
inequivocabilmente alla fine del mito del minotauro irrompendo sulle spiagge di Nasso dove Teseo aveva
abbandonato colei che gli aveva dato un prezioso aiuto, Arianna. La divinazione invece è quasi tutta interna al
culto apollineo e pone l’accento sulla differenza di piani tra mondo degli dèi e quello degli uomini. Ciò che
per gli dèi è chiaro per gli uomini è confuso e misterioso. Quindi il futuro in quanto accesso alla sfera divina si
esprime sempre in forma enigmatica. Colli ricorda in più occasioni una frase di Eraclito, “la Sibilla con bocca
folle dice, attraverso il dio, cose senza riso, né ornamento né unguento” (DN 1974: 40). La follia qui non
indica una psicopatologia che fa dire cose insensate, ma uno stato di possessione divina, connotato dalla
mania, attraverso la quale il dio manifesta la sua alterità verso il tempo storico e verso la ragione umana. Se
parlasse chiaramente questa differenza sarebbe di colpo annullata e ci troveremmo a che fare con una
previsione scientifica. Ancora Eraclito sentenzia “Il signore, cui appartiene l’oracolo che sta a Delfi, non dice
né nasconde, ma accenna” (DN 1974: 41). In questo senso il discorso della sapienza ha come riferimento la
verità divina e quindi la verità oracolare. Ecco allora che a fondamento del logos sta la mania. “La ragione
nasce dall’estasi” (DN 1974: 42), titola un paragrafo di un suo libro.
Infine l’enigma si pone come duello intellettuale la cui posta in gioco è altissima, in quanto c’è in gioco
l’esistenza stessa. Se Edipo non avesse indovinato la soluzione sarebbe stato divorato dalla sfinge, ma
avendola indovinata è lui a far precipitare la sfinge nell’abisso. Secondo una leggenda Omero, grande sapiente,
un giorno incontrò sulla costa di un’isola dei miseri pescatori pulciosi che gli posero questo enigma: “ciò che
abbiamo preso lo abbiamo lasciato ciò che non riuscimmo a prendere lo tenemmo” ed egli non riuscendo a
risolverlo ne morì. Risposta al quesito era umile come chi l’aveva posto, si trattava infatti delle pulci. Ma egli
ne morì perché nell’enigma posto anche da un pezzente, o forse a maggior ragione per questo, ne va di tutta
la reputazione del sapiente. L’enigma quindi mette in luce due aspetti della sapienza: uno è quello di parlare
con riferimenti oscuri, che appiano insensati, al fine però di manifestare indirettamente un senso più alto che
non può essere trasmesso in parole comuni e l’altro è quello di introdurre allo stesso tempo la questione della
sfida per la sapienza, che è alla base della disputa dialettica. Attraverso questo agone la sapienza si muta in una
dimensione diversa che è quella della filosofia, in cui si perde il richiamo alla giustificazione di una dimensione
superiore e invece si mette al centro la razionalità come strumento solutore delle controversie. Si deve allora
alla dialettica e all’agonismo su cui essa si regge, se i competitori divengono preda della ragione che decide
delle loro sorti, che assegna vittorie e sconfitte. In questo modo si capisce bene come il logos divenga cruciale
e il piano però si sposti sempre di più verso una competizione umana che si svolge entro una dimensione
umana e che pian piano dimentica quel baratro che la separava dalla verità esplicitamente indicibile degli dèi.
6. Lo specchio di Dioniso
Il rapporto tra la dimensione divina e sapienziale da una parte e quella umana e razionale dall’altra viene
ripreso da Colli anche attraverso il ricorrente riferimento al mito misterico dello specchio di Dioniso. Dioniso
fanciullo trova tra i suoi balocchi lo specchio, vi si guarda ma non vi vede il proprio volto, bensì il mondo
nella sua molteplicità. Questo mito serve a Colli per fare alcune considerazioni. La prima è che la realtà umana
dunque non è altro che una realtà illusoria, un’immagine riflessa della realtà vera e che si pone a un livello
superiore, dato che la realtà vera è la faccia del dio. Gli uomini allora scambiano questo riflesso per la realtà
stessa. Questa tematica, che si ritrova nella teoria platonica del mondo iperuranio e nel mito della caverna non
sarebbe allora che una forma “profanata” del misticismo orfico. Un’altra considerazione è che i balocchi
accennerebbero ai due principi che regolano il rapporto logos/sapienza e cioè il gioco e la violenza. La
violenza si ritrova nell’aspetto coercitivo del vincolo, mentre il gioco allude a un carattere gratuito e aleatorio
che si ritrova nella convenzionalità del linguaggio e nell’apparente insensatezza dei riferimenti simbolici
utilizzati in primo luogo dal discorso sapienziale. In un altro senso poi Colli offre un’interpretazione di questo
mito alla luce della teoria gnoseologica. Se il mondo umano è un mondo di illusione fenomenica che sta su
uno specchio, allora ciò che lo specchio specchia in realtà ovvero il dio, che è il punto di origine della
rappresentazione ma non rappresentazione in quanto tale, è qualcosa che essendo non-rappresentazione è
irrappresentabile. Dioniso è dunque quell’alterità indicibile a cui la rappresentazione come espressione di una
realtà extra-fenomenica rimanda, ma a cui non può accedere essenzialmente. In questo senso Dioniso
rappresenta anche quella verità a cui allude con parole apparentemente sconnesse l’enigmatico parlare del
sapiente; è quell’alterità che può essere solo indicata e non detta in quanto tale. Un qualcosa di affine a questo
punto insondabile, che Colli considera come punto del contatto con la realtà e che in questo caso avviene
sulla superficie dello specchio, è indicato da Colli come l’archè dei presocratici. L’archè infatti si pone all’origine
della catena delle rappresentazioni o sarebbe meglio dire delle espressioni, in quanto l’ archè incarna il principio
generatore delle cose.
7. Rappresentazione/espressione
Colli, lo scrupoloso filologo, a un certo punto, nella sua opera di traduzione dell’Organon di Aristotele, che è
stato fino a tutta la filosofia scolastica il classico dei classici, esce dalla sua tradizionale pacatezza, e fa un atto
sorprendente, cambia il titolo di uno dei libri di Aristotele, sovvertendo una tradizione millenaria. Il libro è il
Peri hermenias, che è sempre stato tradotto in latino come De interpretatione, lasciando pochi imbarazzi ai
traduttori moderni che di norma lo rendono con Dell’interpretazione o termini affini. Colli invece lo intitola
Dell’espressione. Come si giustifica una tale arditezza? Ma soprattutto cosa significa “espressione” per Colli?
Colli non intende l’espressione nel senso dell’estetica idealista e tardo romantica, che finisce per pensare l’arte
come espressione dell’interiorità dell’individuo, che in tal modo esprime a sua volta l’interiorità della cultura di
un’epoca. Non c’è nell’uso che lui fa di questo termine un riferimento a un soggetto che si esprime. A suo
modo di vedere era soprattutto il termine “rappresentazione” ad essere stato invece irrimediabilmente
compromesso dall’idealismo e dalle correnti moderne che lo avevano preceduto. La rappresentazione, infatti,
in questa tradizione è ciò che offre il fantasma delle cose sentite attraverso i sensi al soggetto, il quale finisce
con l’essere inevitabilmente un soggetto individuale. Quindi il problema dell’uso del termine
“rappresentazione” fatto da Schopenhauer sarebbe quello di rivolgersi sempre implicitamente a un soggetto.
Secondo Colli invece il termine espressione è maggiormente orientato verso l’oggetto ovvero verso la
funzione di manifestazione dell’oggetto. In questo senso rappresentazione ed espressione si riferiscono allo
stessa realtà fantasmatica considerata però in due prospettive diverse: una tendente verso il percettore e una
tendente verso il percepito, una rivolta al soggetto, l’altra all’oggetto.
8. Il soggetto apparente
A questo riguardo Colli sostiene che non si può accettare il presupposto della rappresentazione rivolta
implicitamente al soggetto individuale, perché anche questo non è che un costrutto di rappresentazioni. Colli
a questo riguardo sostiene che il soggetto è comunque sempre convertibile in oggetto se visto dalla
prospettiva di un altro soggetto. Quindi esso non può essere posto come un fondamento metafisico della
conoscenza come ha voluto fare Cartesio e dopo di lui tutta la filosofia moderna. Si potrebbe ribattere che
però l’obiezione della convertibilità del soggetto in oggetto presume pur sempre un altro soggetto che guarda.
In ogni caso a sorreggere la tesi dell’illusorietà del soggetto (in quanto composto di rappresentazioni o in
quanto oggetto di espressione) non serve questo carattere di reciprocità. Basterebbe infatti la semplice
premessa dei cartesiani, degli empiristi e degli idealisti che a fondamento di tutto pongono sempre un pensare
qualcosa, e che sempre secondo tutti costoro ogni pensare è un rappresentare. Quindi qualsiasi io e qualsiasi
funzione di soggettività non potendo essere data che come un pensato finisce con l’essere un oggetto di una
rappresentazione essendo impossibile che sia dato prima di essa, in quanto prima del pensare non si può
porre alcunché. Perciò l’io cartesiano sarebbe stato introdotto surrettiziamente come se fosse un’autoevidenza
originaria pur non essendolo in quanto esso è di fatto un oggetto del pensiero e quindi una rappresentazione.
A questo proposito, se filosofi come Gentile avevano fatto il possibile per depurare il soggetto da questa
condizione e ritrovarlo come soggetto trascendentale puro di un atto puro, in opposizione e spregio al
soggetto empirico, Colli, invece, credendo che a questo punto non si possa fare altro che rovesciare tutta la
prospettiva tornando verso l’oggetto, ritiene credibile solo il soggetto empirico, autentico oggetto di
espressione allo stesso modo dei fatti della realtà. Secondo Colli, infatti, il soggetto trascendentale dunque non
esiste, ma esiste solo un soggetto psicologico e qualsiasi gnoseologia fondata sul soggetto è perciò destinata a
rivelarsi una psicologia. Questo aspetto tra l’altro è abbastanza interessante anche relativamente all’annosa
querelle tra fenomenologi e analitici rispetto allo psicologismo, dove la soluzione viene cercata non nel grado
di formalizzazione delle funzioni cognitive, ma in una questione che sta alla radice stessa del problema.
9. La rete delle espressioni
Quindi bisogna pensare solo al mondo come a una rete di espressioni che sono riferite a delle cose, ovvero a
degli oggetti e non a soggetti. Un eventuale soggetto può essere pensato solo come oggetto di un’espressione.
Le rappresentazioni quindi si congiungono in una rete di implicazioni reciproche che per alcuni versi può
essere descritta come rizomatica (volendo usare un termine deleuziano). Questo pensiero di una rete che
prescinde da un soggetto trascendentale è un aspetto che ne mostra l’affinità di sensibilità e di pensiero con
Deleuze e con Foucault. Si pensi ad esempio a Deleuze quando parla del piano di immanenza in cui affiorano
le haecceitas, alla rizomatica e al modello della rete che si oppone a quello verticistico del trascendentalismo.
Allo stesso modo si pensi alle superfici discorsive composte di enunciati teorizzate da Foucault, che si
tengono tra loro attraverso rapporti di vario tipo. In questa distesa di enunciati secondo Foucault non
importa chi ha parlato, qualcuno ha parlato e qualcosa è stato detto. Colli parla però ancora di una rete di
impressioni fenomeniche elaborate sulla superficie della memoria, e non su quella più generale del sapere. In
questo però Colli riscatta la posizione della filosofia greca che non aveva mai pensato a qualcosa di simile al
soggetto trascendentale, e che pensava invece a una sfera ontologicamente autonoma delle idee secondo
Platone, o a un sistema di oggetti che è poi il sistema delle sostanze secondo Aristotele. Il tessuto del logos
così per i greci è il luogo in cui si gioca la partita della conoscenza, in quanto fa riferimento alla rete delle
espressioni e delle rappresentazioni senza dove presumere un soggetto di riferimento. I greci quindi non
avrebbero agito in questo modo per ingenuità o per incapacità, ma per il fatto di essere più prossimi
all’intuizione del carattere rigorosamente fenomenico della realtà percepita, che è quello che sta alla base
anche della sapienza e che è appunto simbolizzato dal mito dello specchio di Dioniso.
10. Mnemosyne
Un altro punto fondamentale del pensiero Colli, ricordato in più parti è quello riguardante la memoria. Di
contro all’interpretazione della fenomenologia che esalta l’incontro diretto con le cose tramite l’esperienza
immediata, Colli sostiene che non c’è niente per noi che possa venire prima di quanto sia stato già ricordato.
Non c’è vissuto improvviso che non passi per una precedente registrazione da parte della memoria e una sua
traduzione in espressione. Quel prima della memoria può essere solo il contatto in cui necessariamente i
confini tra percettore e percepito si perdono, perché per esserci dovrebbero esservi rappresentati. Quindi
questo momento magmatico è appunto quello oscuro dell’archè, quello che appunto “ama nascondersi”.
Tutto quindi passa per la memoria che è anche la custode del contatto indicibile e primario. Tale memoria ha
due funzioni quella di conservare il ricordo e quella di restituirlo (mnemos e anamnesis) essa quindi non è un
semplice archivio di nozioni o di impressioni, ma una parte attiva all’interno della conoscenza. Ecco perché
per i sapienti e per la cultura del misticismo greco essa è così importante e perché per la divinazione, in un
certo senso, il futuro si confonde con l’eterno passato della tradizione e dell’aion. Allora mi sembra
significativo in questo trentennio dalla scomparsa di Colli volerne non tanto celebrare la memoria, ma farlo
vivere nella memoria poiché anche se essa riguarda il passato essa riguarda anche la vita dal momento che
tutto ciò che è vita è memoria.
Bibliografia
Testi
Giorgio Colli
FdE
Filosofia dell’espressione, Adelphi, Milano, 1969
DN
Dopo Nietzsche, Adelphi, Milano, 1974
NdF
La nascita della filosofia, Adelphi, Milano, 1975
SG1
La sapienza greca I: Dioniso, Apollo, Eleusi, Orfeo, Museo, Iperborei, Enigma, Adelphi, Milano, 1977
SG2
La sapienza greca II: Epimenide, Ferecide, Talete, Anassimandro, Anassimene, Onomacrito, Adelphi, Milano,
1978
SG3
La sapienza greca III: Eraclito, Adelphi, Milano, 1980
SsN
Scritti su Nietzsche, Adelphi, Milano, 1980
RE
La ragione errabonda, Quaderni postumi. Adelphi, Milano, 1982
EAC
Per una enciclopedia di autori classici, Adelphi, Milano, 1983
PKP
La Natura ama nascondersi: Physis kryptesthai philei, Adelphi, Milano, 1988
ZE
Zenone di Elea, Adelphi, Milano, 1998
GP
Gorgia e Parmenide, Adelphi, Milano, 2003
PP
Platone politico, Adelphi, Milano, 2007
FS
Filosofi sovrumani, Adelphi, Milano, 2009
Traduzioni e curatele
1964-1986 Friedrich Nietzsche, Opere Complete, 8 voll., ed. critica e tr. It. a cura G. Colli e M. Montinari,
Milano, Adelphi
1955 Aristotele, Organon, tr. It. a cura di G. Colli, Torino, Einaudi
1957 Immanuel Kant, Critica della ragion pura, tr. It. a cura di G. Colli, Torino, Einaudi
(a cura di)
Letteratura secondaria
Montevecchi F.
2004 Giorgio Colli: biografia intellettuale, Torino, Bollati Boringhieri
Anzalone L. – Minichiello G.
1984 Lo Specchio di Dioniso: saggi su Giorgio Colli, Bari, Edizioni Dedalo
Rossi M.
1984 Colli come educatore, Castelfranco Veneto, Cartostampa