« PER DESIDER IO DEL VERO E DELLE SUE CAUSE »
GA LILEO ASTRONOMO FILOSOFO 1
Stefano Gattei
This paper provides the framework for understanding Galileo’s request to the Grand Duke of Tuscany, in 1610, to be appointed in Florence as both Mathematician and Philosopher. By explicitly
choosing such a title, he wished to stress the fact that his own work aimed at contributing to the new
physical astronomy with which Copernicus inaugurated what is now called the Scientiic Revolution. As opposed to Ptolemy, who understood astronomy as a purely mathematical tool in order to
“save the phenomena” and allow for accurate predictions, Galileo – very much in line with Copernicus and Kepler, as well as Newton after him – supported the reality of the Copernican system not
only against Aristotle and Ptolemy, but also against Tycho Brahe. And, as it turned out after 1616,
against the Church itself, which, in full accord with Osiander’s unsigned preface to the De revolutionibus, refused to see in the Copernican theory anything more than a mere working hypothesis to
which astronomers were allowed to appeal only for computations.
[Apelle, i.e. Christoph Scheiner] va ritenendo
come veri e reali e realmente tra loro distinti e mobili quelli eccentrici totalmente o in parte, quei
deferenti, equanti, epicicli etc., posti da i puri astronomi per facilitar i lor calcoli, ma non già da ritenersi per tali da gli astronomi ilosoi, li quali, oltre
alla cura del salvar in qualunque modo l’apparenze,
cercano d’investigare, come problema massimo ed
ammirando, la vera costituzione dell’universo, poi
che tal costituzione è, ed è in un modo solo, vero,
reale ed impossibile ad esser altramente, e per la
sua grandezza e nobiltà degno d’esser anteposto ad
ogn’altra scibil questione da gl’ingegni specolativi.
Galileo Galilei
I
l 13 marzo del 1610 esce a Venezia il Sidereus Nuncius, l’asciutto resoconto delle
scoperte astronomiche compiute da Galileo con l’ausilio del cannocchiale tra
gli ultimi mesi del 1609 e i primi del 1610. Si tratta di grandi, sconvolgenti scoperte – « sia per l’eccellenza della materia stessa, sia per la novità mai udita nei secoli
precedenti, sia anche per lo strumento grazie al quale esse si sono rese manifeste
ai nostri organi di senso », come scrive lo stesso Galileo in apertura del libro : 2 il
1 Le parole del titolo sono tratte da Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti
(1613), in Le opere di Galileo Galilei. Edizione Nazionale, Edizione Nazionale a cura di Antonio Favaro
con la collaborazione di Isidoro Del Lungo, Firenze, Tipograia di G. Barbèra, 1890-1909, 20 voll.
(in seguito : Opere), v, p. 231 ; per l’esergo cfr. ivi, p. 102, corsivo mio. Il saggio è stato presentato
al Convegno di Studi Galileo scrittore. Parole per l’universo, svoltosi all’Università di Torino il 19-20
novembre 2009. Ringrazio Erminia Ardissino per l’invito al convegno e per le sue osservazioni su
una precedente versione di questo saggio.
2 « […] tum ob rei ipsius praestantiam, tum ob inauditam per aevum novitatem, tum etiam propter Or-
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carattere scabro e irregolare della supericie della Luna, l’immenso numero di
stelle che afollano i cieli, formando le nebulose e la Via Lattea, e la presenza, in
prossimità di Giove, di quattro pianeti in moto lungo orbite regolari.
L’opera è dedicata a Cosimo II de’ Medici, Granduca di Toscana. E alla casa
regnante Galileo consacra i quattro satelliti di Giove, battezzandoli appunto « Medicea sidera ». Come da lui stesso auspicato, la dedica gli vale il ritorno in patria, da
cui si era allontanato nel dicembre del 1592. Lascia quindi la cattedra all’Università
di Padova, sperando di ritrovare sulle rive dell’Arno il tempo e l’agio di potersi
dedicare alla ricerca e al completamento delle proprie opere, senza l’obbligo di
insegnare : « desidererei che la prima intenzione di S. A. S. fusse di darmi otio et
comodità di potere tirare a ine le mie opere, senza occuparmi in leggere », 1 come
scrive il 7 maggio 1610 in una celebre lettera a Belisario Vinta, Segretario di Stato
del Granduca. A conclusione di questa stessa lettera, Galileo precisa : « quanto al
titolo et pretesto del mio servizio, io desidererei, oltre al nome di Matematico,
che S. A. ci aggiugnesse quello di Filosofo, professando io di havere studiato più
anni in ilosoia, che mesi in matematica pura ». 2
L’indicazione è preziosa, anche perché se qui Galileo parla di sé stesso, cinque
anni più tardi si sarebbe espresso con termini analoghi a proposito di Copernico : 3
Quanto al primo particolare che ella mi tocca, che al più che potesse esser deliberato circa
il libro del Copernico, sarebbe il mettervi qualche postilla, che la sua dottrina fusse introdotta per salvar l’apparenze, nel modo ch’altri introdussero gli eccentrici e gli epicicli,
senza poi credere che veramente e’ sieno in natura, gli dico […] che quanto a salvar l’apparenze il medesimo Copernico aveva già per avanti fatta la fatica, e satisfatto alla parte de
gli astrologi secondo la consueta e ricevuta maniera di Tolomeo ; ma che poi, vestendosi
l’abito del ilosofo, e considerando se tal costituzione delle parti dell’universo poteva realmente sussistere in rerum natura, e veduto che no, e parendogli pure che il problema della
vera costituzione fusse degno d’esser ricercato, si mosse all’investigazione di tal costituzione, conoscendo che se una disposizione di parti inta e non vera poteva satisfar all’appaganum, cuius beneicio eadem sensui nostro obviam sese fecerunt » (Opere, iii, p. 59, questa traduzione,
come le successive dal latino, sono mie).
1 Opere x, n. 307, p. 350 (per la risposta, cfr. ivi, n. 311, pp. 355-356).
2 Ivi, p. 353.
3 Galileo veste i panni di Copernico anche nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano (1632), e non soltanto attraverso le parole di Salviati (che allude anche esplicitamente alle opere e alle conversazioni con « il nostro comune amico Accademico Linceo » : cfr.
Opere vii, p. 44 e passim). Se infatti l’incisione con cui si apre l’opera ritrae Aristotele, Tolomeo
e Copernico, le cui posizioni sono dibattute nel testo, l’astronomo polacco non è rappresentato
secondo l’iconograia tradizionale, ma assomiglia in tutto e per tutto a Galileo stesso. E sebbene
il frontespizio non venga mai menzionato nel corso del processo del 1633, non appare un caso che,
per l’edizione latina dell’opera, stampata a Leida nel 1635, l’incisore abbia restituito a Copernico la
propria immagine storica. Cfr. William B. Ashworth, Divine Relections and Profane Refractions :
Images of a Scientiic Impasse in Seventeenth-Century Italy, in Gianlorenzo Bernini. New Aspects of his
Art and Thought, a cura di Irvin Lavin, University Park-London, The College Art Association of
America and The Pennsylvania State University Press, 1985, pp. 179-207. Cfr. anche Erwin Panofsky, Galileo as a Critic of the Arts, L’Aia, Martinus Nijhof, 1954, antiporta ; e Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, a cura di Ottavio Besomi e Mario
Helbing, vol. ii : Commento, Padova, Antenore, 1998, pp. 108-109.
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renze, molto più ciò si arebbe ottenuto dalla vera e reale, e nell’istesso tempo si sarebbe in
ilosoia guadagnato una cognizione tanto eccellente, qual è il sapere la vera disposizione
delle parti del mondo ; […] tal che il voler persuadere che il Copernico non stimasse vera
la mobilità della Terra, per mio credere, non potrebbe trovar assenso se non forse appresso
chi non l’avesse letto, essendo tutti 6 i suoi libri pieni di dottrina dependente dalla mobilità
della Terra, e quella esplicante e confermante. 1
Il riferimento è alla celebre prefazione che nel 1543 il teologo luterano Andreas
Osiander aveva aggiunto – in forma anonima e all’insaputa dell’autore (sebbene
probabilmente senza ini reconditi, ma solo per evitare di avere il proprio nome
associato a un libro dedicato a papa Paolo III) – al De revolutionibus di Copernico.
Osiander aveva presentato il sistema eliocentrico come una mera ipotesi matematica : non una vera descrizione del mondo, dunque, ma un semplice artiicio
matematico atto a « salvare i fenomeni », ovvero a dare conto delle osservazioni
senza pretendere, al contempo, di attingere alle « vere cause » di quanto veniva osservato. 2 Con le parole di Salviati, nella terza giornata del Dialogo (che riprendono
quelle di Galileo nella lettera a Pietro Dini, sopra citata) :
il principale scopo de i puri astronomi è il render solamente ragione delle apparenze ne i
corpi celesti ed ad esse ed a i movimenti delle stelle adattar tali strutture e composizioni
di cerchi, che i moti secondo quelle calcolati rispondano alle medesime apparenze, poco
curandosi di ammetter qualche esorbitanza che in fatto, per altri rispetti, avesse del diicile. 3
Lo stesso Copernico, continua Galileo per bocca dell’amico linceo Filippo Salviati, « ne’ primi suoi studii », si era cimentato nella restaurazione della scienza astronomica « sopra le medesime supposizioni di Tolomeo », ma
nel voler poi comporre insieme tutta la struttura delle fabbriche particolari, ne risultava
un mostro ed una chimera composta di membra tra di loro sproporzionatissime e del tutto incompatibili, sí che, quantunque si sodisfacesse alla parte dell’astronomo puro calcolatore, non però ci era la sodisfazione e quiete dell’astronomo ilosofo. 4
1 Galileo Galilei, Lettera a Piero Dini, 23 marzo 1615, in Opere v, n. 1100, pp. 297-298. Trent’anni prima, Giordano Bruno aveva usato parole analoghe : cfr. La cena de le ceneri (1584), in Giordano
Bruno, Oeuvres complètes, vol. ii : Le souper des cendres, a cura di Giovanni Aquilecchia, Paris, Les
Belles Lettres, 2004, pp. 39, 41, 43.
2 Cfr. Niccolò Copernico, De revolutionibus orbium coelestium, libri vi, Norimberga, Hans Peterlein, 1543, p. [iv] : « Neque enim necesse est, eas hypotheses esse veras, imo ne verisimiles quidem, sed
suicit hoc unum, si calculum observationis congruentem exhibeant [Non è infatti necessario che tali
ipotesi siano vere, anzi nemmeno verosimili, ma è suiciente che presentino un calcolo conforme
alle osservazioni] ». La tesi di Osiander venne in seguito fatta propria dal cardinale Roberto Bellarmino (1542-1621), uno dei maggiori teologi del tempo, consultore del Sant’Uizio coinvolto nel
processo contro Giordano Bruno, quale posizione uiciale della Chiesa di fronte al systema mundi
presentato da Copernico e difeso da Galileo come vera descrizione del mondo.
3 Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, in Opere vii, p. 369.
4 Ibidem, corsivi miei. Sulla categoria dell’« astronomo ilosofo », del tutto nuova nel panorama
della cultura medioevale e rinascimentale, cfr. Maurice Clavelin, Galilée astronome philosophe,
in Largo campo di ilosofare. Eurosymposium Galileo 2001, a cura di José Montesinos, Carlos Solís, La
Orotava, Fundación Orotava de Historia de la Ciencia, 2001, pp. 19-39.
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È cessando di ragionare come matematico puro e proclamandosi adatto quanto i
ilosoi a determinare la vera costituzione dell’universo che Copernico inaugura
l’astronomia moderna. Per questo motivo Galileo, nella sua lettera a Kepler del
4 agosto 1597, riconosce in Copernico il comune praeceptor della nuova ilosoia
della natura, 1 alla base della quale non sono soltanto le mathematicae rationes : 2
Copernico, al pari di Galileo, era ben consapevole che l’introduzione di un nuovo
sistema cosmologico richiedeva una nuova fondazione e una nuova teoria della
conoscenza. « [S]olo solide e fondate ragioni potevano autorizzare la sostituzione
della dottrina isica aristotelica con una nuova teoria in grado di stabilire dignità e
coerenza razionali all’assetto eliocentrico ». 3 È dunque proprio per questi aspetti
teorici, più che per quelli più strettamente astronomico-cosmologici, che Galileo
individua in Copernico il praeceptor della nuova ilosoia. Egli si sente in sintonia
con lo scienziato polacco proprio perché questi,
spoliatosi l’abito di puro astronomo e vestitosi quello di contemplatore della natura, si
pose a esaminare se questa già introdotta supposizione da gli astronomi, e che quanto a i
calcoli ed apparenze di moti a pianeta per pianeta competentemente satisfaceva, potesse
anco re vera sussistere nel mondo e nella natura ; e […] si pose, come dico, a contemplare
qual potesse realmente essere in natura il mondano sistema, non più per il solo commodo
del puro astronomo, a i calcoli del quale già aveva satisfatto, ma per venir in cognizione di
sì nobile problema naturale, sicuro oltre a ciò, che se alle semplici apparenze si era potuto
satisfare con ipotesi non vere, molto meglio ciò si averebbe dalla vera e natural costituzion
mondana. 4
Nel reclamare per sé il titolo di « ilosofo » Galileo vuole dunque sottolineare con
vigore il netto distacco del proprio approccio dalle sterili dispute quattro-cinquecentesche, inchiodate da secoli a problematiche ormai esaurite e incapaci di por1 Cfr. Opere x, n. 57, p. 68. Cfr. anche Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, in Opere vii, p. 82.
2 Di diversa opinione è Massimo Bucciantini, che osserva come « soltanto le ragioni matematiche – come ha mostrato sapientemente Copernico – sono le uniche e vere ragioni necessarie per
comprendere la costituzione reale dell’universo, oltre le quali non c’è nient’altro da cercare o
da indagare » : Massimo Bucciantini, Galileo e Keplero. Filosoia, cosmologia e teologia nell’Età della
Controriforma, Torino, Einaudi, 2003, p. 53. Cfr. Anna De Pace, Niccolò Copernico e la fondazione del
cosmo eliocentrico, Milano, Bruno Mondadori, 2009, pp. 69-71.
3 Anna De Pace, Niccolò Copernico e la fondazione del cosmo eliocentrico, cit., pp. 71-72.
4 Galileo Galilei, Considerazioni circa l’opinione copernicana (1615), in Opere v, p. 355. In modo
del tutto analogo, osserverà nel Dialogo : « E perché [Copernico] molto ben intendeva, che se con
assunti falsi in natura si potevan salvar le apparenze celesti, molto meglio ciò si sarebbe potuto
ottenere dalle vere supposizioni, si messe a ricercar diligentemente se alcuno tra gli antichi uomini segnalati avesse attribuita al mondo altra struttura che la comunemente ricevuta di Tolomeo ;
e trovando che alcuni Pitagorici avevano in particolare attribuito alla Terra la conversion diurna,
ed altri il movimento annuo ancora, cominciò a rincontrar con queste due nuove supposizioni le
apparenze e le particolarità de i moti de i pianeti, le quali tutte cose egli aveva prontamente alle
mani, e vedendo il tutto con mirabil facilità corrisponder con le sue parti, abbracciò questa nuova
costituzione ed in essa si quietò » (Opere vii, p. 369). Il testo delle Considerazioni (giunto a noi non
autografo, ma redatto da un copista) è contemporaneo alla stesura della lettera a Piero Dini del 23
marzo 1615, e con questa condivide l’intento e molte espressioni.
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tare avanti un’indagine nuova e rigorosa della natura. 1 Come ha osservato Eugenio Garin,
la rivendicazione costante, da parte di Galileo, del nome di ilosofo assume un valore preciso : non si tratta di una cattedra universitaria più importante – quella di ilosoia naturale
o di isica – di maggior rilievo nei confronti di quella di matematica e di astronomia. Si
tratta del netto riiuto dei procedimenti dei logici ; si tratta dell’afermazione che le nuove
dottrine cosmologiche sono reali e non ipotetiche ; si tratta della consapevolezza che la
visione dell’universo isico che si viene delineando attraverso esperienze e dimostrazioni
matematiche, è totale ed esauriente nel suo ambito, ossia nell’ambito di un sapere capace
di render ragione di sé, ed oltre il quale non v’ha posto che per la fede, che è altra cosa. 2
L’astronomia aveva occupato una posizione scomoda nel quadro delle scienze
in dall’antichità. Aristotele l’aveva classiicata come matematica nella Metaisica
e come più vicina alla isica nel De caelo e nella Fisica. Tale classiicazione era poi
ulteriormente complicata dalla natura immutabile dei cieli, che li rendeva oggetti
più metaisici che isici. L’arrivo sulla scena, nel secondo secolo, del modello tolemaico, fondamentalmente incompatibile con l’immagine dei moti celesti fornita
da Aristotele, ha forse diviso deinitivamente l’astronomia in una parte matematica e in una isica. 3 Lo stesso Tolomeo aveva comunque provato a riconciliare la
propria teoria con l’idea aristotelica delle sfere celesti, e dopo di lui tentativi molto elaborati vennero proposti nel Medioevo da alcuni astronomi arabi, la cui inluenza su Copernico è ormai stata accertata. 4 Il iorire della scolastica in Europa,
d’altro canto, aveva raforzato tale dicotomia, ed è soltanto all’inizio del diciassettesimo secolo che essa viene sgretolandosi. È merito di Galileo e di Kepler – con
opere quali Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze (1638) e
Astronomia nova aitiologhtos, seu physica coelestis (1609) 5 – se matematica e isica
si sono da allora deinitivamente unite, divenendo componenti imprescindibili
1 Come gli scrive Giovan Francesco Sagredo il 18 agosto 1612 : « Et se bene nelle mie lettere, che
le scrissi, ho distinto i ilosoi da i mattematici (di che ella mostra havere ricevuto qualche scandalo), vorrei pure ch’ella sapesse che mi sono valuto di questi due nomi conforme alla volgare
interpretatione del popolaccio, il quale chiama ilosoi quelli che, non intendendo niente delle
cose naturali (anzi essendo incapacissimi d’intenderle), fanno professione di essere segretarii della
natura, et con questa riputatione pretendono instupidire tutti i sensi degli huomini, et privarli
ancora dell’uso della ragione » (Opere xi, n. 745, p. 379).
2 Eugenio Garin, Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, Bari, Laterza,1965, 19722, pp.
153-154.
3 Rappresentante paradigmatico della cosiddetta astronomia icta, Tolomeo è spesso rappresentato come intento a fare calcoli, piuttosto che a compiere osservazioni : si veda, per esempio,
l’elaborata antiporta premessa da Kepler alle Tabulae Rudolphinae (1627).
4 Cfr. Noel M. Swerdlow, Otto Neugebauer, Mathematical Astronomy in Copernicus’ De
revolutionibus, New York, Springer, 1984, vol. 1, pp. 41-48.
5 Nel 2009, anno internazionale dell’astronomia, ricorreva il quattrocentesimo anniversario
non soltanto delle prime osservazioni telescopiche di Galileo (edite nel 1610), ma anche della
pubblicazione del magnum opus di Kepler, Astronomia nova, in cui l’autore presenta quelle che oggi
conosciamo come le prime due leggi sul moto dei pianeti. Nello stesso 2009 compiva cento anni
anche l’Edizione Nazionale delle opere di Galileo, stampate a Firenze a partire dal 1909, a cura di
Antonio Favaro e Isidoro Del Lungo.
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dell’indagine scientiica propriamente detta e costituendo un punto chiave della
Rivoluzione Scientiica culminata nel 1687 con Philosophiae naturalis principia mathematica di Isaac Newton.
Johannes Kepler (1571-1630) era stato il primo a identiicare pubblicamente
Osiander come l’autore della prefazione al De revolutionibus. Suo, inoltre, era stato
il primo testo dichiaratamente copernicano dal 1543, Mysterium cosmographicum
(1596). Pur non condividendo appieno i contenuti del libro – in cui il numero dei
pianeti, la distanza delle orbite, i moti dei singoli pianeti, il rapporto tra le distanze e i tempi di rivoluzione s’inserivano tutti in un tipo di spiegazione a priori
assolutamente inedita –, Galileo ne aveva apprezzato il coraggio e il progetto di
fondo, riconoscendo il suo autore come « in indaganda veritate socium » e « veritatis
amicum ». 1 Con queste parole Galileo intendeva esprimere il proprio apprezzamento per l’opera dell’astronomo tedesco, sottolineando al contempo ciò che
più gli stava a cuore, ovvero la natura isica – oltre che matematica – dell’ipotesi
copernicana.
La decisa opzione realista di Kepler – condivisa appunto da Galileo e opposta a
quella convenzionalista, come diremmo oggi, espressa da Osiander – divenne ancora più esplicita nel verso del frontespizio di Astronomia nova, la sua opera astronomica maggiore : qui Kepler fa riferimento alla dichiarazione di manifesta assurdità del copernicanesimo fatta da Pietro Ramo, professore di ilosoia e retorica
a Parigi a metà del sedicesimo secolo, e alla sua oferta della propria cattedra a
chiunque fosse stato in grado di costruire un’« astronomia senza ipotesi » (astrologia sine hypothesibus). 2 Nella sua risposta alla sida di Ramo Kepler aferma di poter legittimamente reclamare il premio, portando come prova proprio Astronomia
nova. A una condizione : che non si escludesse dall’astronomia il supporto della isica, cui non si può in alcun modo rinunciare (« ne quaeso excluseris adiumenta physica, quibus illa carere nequaquam potest »). 3 E aggiunge che non soltanto accogliere la
isica all’interno dell’astronomia non comporta alcuna assurdità, ma che lo stesso
Copernico considerava reali, non puramente matematiche, le proprie tesi :
Si tratta di una cosa del tutto assurda, lo ammetto, fornire una spiegazione dei fenomeni
naturali facendo appello a cause false. Ma non è questo il caso di Copernico. Anch’egli,
infatti, ha ritenuto vere le ipotesi da cui muoveva, non meno di quanto coloro che tu citi
avevano considerato vere le loro vecchie ipotesi. Non si è limitato però a considerarle vere : le ha dimostrate tali. A testimonianza di ciò io porto questo lavoro. 4
Grazie a un’iscrizione di Hieronymus Schreiber sulla propria copia del libro (ora
conservata nella biblioteca dell’Università di Lipsia) Kepler identiica dunque
Osiander quale autore della prefazione anonima al De revolutionibus. E conclude :
1 Galileo Galilei, Lettera a Kepler del 4 agosto 1597, in Opere x, n. 57, p. 68.
2 Johannes Kepler, Astronomia nova aitiolo ghtos, seu physica coelestis (1609), in Johannes Kepler gesammelte Werke, vol. iii : Astronomia nova, a cura di Max Caspar, Monaco, C. H. Beck, 1937,
19902, p. 6.
3 Ibidem.
4 « Fabula est absurdissima, fateor, naturalia per falsas demonstrare causas : sed fabula haec non est in
Copernico : quippe qui veras et ipse arbitratus est hypotheses suas, non minus, quam illi tui veteres suas :
neque tantum est arbitratus, sed et demonstrat veras ; testem de hoc opus » : ibidem.
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« Non igitur muqologe î Copernicus, sed serio paradoxologe î, hoc est, filosofe î »
(« Copernico, quindi, non costruisce un mito, ma ofre in modo rigoroso delle tesi
contrarie all’opinione comune ; in altre parole, egli fa ilosoia – che è ciò che ci si
aspetterebbe da un astronomo »). 1
Fin dalle prime pagine di Astronomia nova Kepler sminuisce gli aspetti squisitamente matematici dell’opera, insistendo sui suoi contenuti isici. Già negli anni
giovanili, a Tubinga, la sua attenzione era stata completamente assorbita dalla
cosmologia di Copernico. In particolare, egli era interessato al modo in cui il sistema eliocentrico potesse essere inteso come manifestazione del disegno provvidenziale di Dio. E proprio a causa di questo fondamentale stimolo religioso tale
sistema risultava rilevante soltanto se costituiva una rappresentazione isica della
vera struttura dell’universo. 2 Tutte le opere di Kepler, dal Mysterium cosmographicum (1596) alle Tabulae Rudolphinae (1627), sono tese a dimostrare la verità isica
dell’eliocentrismo. 3 Per lui, come per Galileo, il libro della natura è un libro di
ilosoia, che possiamo comprendere soltanto integrando matematica e isica. 4
1 Ibidem.
2 Al di fuori di un quadro eliocentrico l’intera cosmologia di Kepler, sviluppata dal Mysterium
cosmographicum (1596 e 16212) all’Harmonices mundi libri v (1619), dall’Astronomia nova (1609) alle
Tabulae Rudolphinae (1627), avrebbe perso ogni signiicato (cfr. Astronomia nova, cit., p. 20). Solo in
quel caso, infatti, il Sole avrebbe potuto costituire la fonte della forza centrale che consentiva il
moto dei pianeti. Se per Copernico il Sole era semplicemente un punto, il centro geometrico delle
orbite, per Kepler esso costituiva il luogo isico sede della vis, dell’anima motrice dell’universo.
Per Kepler, in altre parole, la distribuzione dei pianeti attorno al Sole secondo la teoria copernicana ofriva la possibilità concreta di una isica celeste : sono i primi passi verso la formulazione di
quella dinamica dei cieli che più tardi sarebbe stata ridisegnata e riformulata da Newton.
3 Lo stesso Kepler lo indica con forza nel titolo della sua opera più importante, Astronomia
nova (1609 : cfr. supra, nota 20), in cui viene sottolineata la necessità di una nuova isica celeste basata sulle cause, che superi la vecchia astronomia matematica tesa solo a salvare i fenomeni. Cfr.
Bruce Stephenson, Kepler’s Physical Astronomy, Berlino-New York, Springer, 1987, e Robert S.
Westman, Kepler’s Theory of Hypothesis and the « Realist Dilemma », « Studies in History and Philosophy of Science », iii, 1972, pp. 233-264.
4 Filosofo nel senso più pieno del termine – diversamente da quelli che egli stesso indicava
sprezzantemente come « ilosoi in libris » (Galileo Galilei, Lettera a Giuliano de’ Medici, 1°
gennaio 1611, in Opere xi, n. 451, p. 12) – Galileo contrappone il « libro della natura » e i suoi lettori
a quanti riiutano di appellarsi alla ragione critica e preferiscono farsi condurre, nelle loro « ricerche », dai testi aristotelici : « Intorno alle quali posizioni [della popolar ilosoia] io ho grandissimi
dubbi : e parmi di veder […] che vano resti ogni sforzo che venga fatto […] per accomodar più la
natura e ’l mondo alla peripatetica dottrina ; ma che sia forza di inalmente adattare la ilosoia
al mondo ed alla natura. […] Ma gl’ingegni vulgari timidi e servili, che altrettanto conidano, e
bene spesso senza saper perché, sopra l’autorità d’un altro, quanto vilmente diidan del proprio
discorso, pensano potersi di quella fare scudo, né più oltre credon che si estenda l’obligo loro,
che a interpretare, essendo uomini, i detti di un altr’uomo, rivolgendo notte e giorno gli occhi
intorno ad un mondo dipinto sopra certe carte, senza mai sollevargli a quello vero e reale, che,
fabbricato dalle proprie mani di Dio, ci sta, per nostro insegnamento, sempre aperto innanzi »
(Galileo Galilei, Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti comprese in tre
lettere scritte a Marco Velseri, in Opere v, p. 96) ; cfr. anche la lunga lettera in risposta a Francesco
Ingoli (settembre 1624), in Opere vi, n. 1668, in particolare p. 538. Alle parole di Galileo fanno eco
le parole dell’amico e matematico linceo Luca Valerio (1553-1618), che in una lettera del 23 agosto
1612 scrive : « qualunque si sia la verità, in somma mi piace molto, al mio solito, il ilosofar libero, et
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stefano gattei
Con una celebre immagine, Galileo intende sostituire alla lettura dei testi di
Aristotele, il Filosofo per eccellenza della tradizione medioevale, quanto si legge
« nell’aperto libro del cielo », 1 rivendicando per sé stesso il titolo di « ilosofo » :
La ilosoia è scritta in questo grandissimo libro 2 che continuamente ci sta aperto innanzi
a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender
la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i
caratteri son triangoli, cerchi, ed altre igure geometriche, senza i quali mezi è impossibile
a intenderne umanamente parola ; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro
laberinto. 3
Questo è, per Galileo, l’unico libro che merita di essere letto, un libro aperto a
tutti e che tutti possono leggere a condizione di apprenderne lo speciale alfabeto. Non è però un libro di matematica, ma di ilosoia. È anzi, come per Kepler,
il libro di ilosoia. 4 Per imparare qualcosa sulla natura reale del mondo occorre
non come per regole d’una certa grammatica ilosoica, o ilosoia grammaticale, se però ilosoia
se dee chiamare quella che per lo più hoggi dì s’usa per tedio di starsi a roder l’unghie in contemplando con vero disidero di saper la verità, et non per acquistar cicalando apparenza d’huomo
dotto » (Opere xi, n. 746, p. 381).
1 Galileo Galilei, Lettera a Madama Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana (1615), in Opere
v, p. 329.
2 Di origine medioevale, il simbolo del liber naturae – già utilizzato, per esempio, da Gian Francesco Pico della Mirandola (1469-1533) e da Tommaso Campanella (1568-1639) – ricorre spesso in
Galileo. Lo stesso Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano si apre con
questa immagine : « Chi mira più alto, si diferenzia più altamente ; e ’l volgersi al gran libro della
natura, che è ’l proprio oggetto della ilosoia, è il modo per alzar gli occhi » (cfr. Opere vii, p. 27).
La metafora si ritrova anche nelle lettere a Piero Dini del 21 maggio 1611 (in Opere xi, n. 532, p. 113)
e a Fortunio Liceti del gennaio 1641 (in Opere xviii, n. 4106, p. 295). L’immagine si ritrova pure in
Tycho Brahe (cfr. in Astronomiae instauratae progymnasmata [1602], pars iii, in Tychonis Brahe Dani
Opera Omnia, vol. iii, a cura di John L. E. Dreyer e Johann Raeder, Copenhagen, Gyldendal, 1916,
pp. 141-142) e, con un signiicato molto vicino a quello galileiano, in Johannes Kepler (Epitome
astronomiae Copernicanae [1618-1621], in Johannes Kepler gesammelte Werke, vol. vii, p. 25). Cfr. anche
Eugenio Garin, Le livre comme symbole à la Renaissance, « Le débat », xxii, 1982, pp. 99-117.
3 Galileo Galilei, Il sagiatore (1623), in Opere vi, p. 232. Come osserva Eugenio Garin, « il ilo
del laberinto è la razionalità più rigorosa, il discorso umano più scarno e formalmente coerente. Lo
sforzo dell’uomo non è volto a risalire dal segno al senso sacro, teologico morale ; è un tentativo di
chiarire e ordinare in termini logici un dato sensibile. Il libro della Natura non è un’introduzione
corposa ed estrinseca agli invisibilia Dei, alle radici intime e spirituali, un ritorno alla fonte misteriosa e nascosta ; è, al contrario, il punto di partenza per un discorso sempre più semplice, evidente ed accessibile – sempre meno visivo, allusivo, emotivo, e sempre più razionale » (Eugenio Garin,
La cultura ilosoica del Rinascimento italiano, Firenze, Sansoni, 1961, p. 457 ; cfr. anche ibidem, cap. ix,
in particolare pp. 457-464, dove si confronta l’immagine utilizzata da Galileo (e da Leonardo) con
quella, molto diversa, di Bacone).
4 Maurizio Torrini ha osservato come Giovanni Ciampoli (1590-1643), amico di Galileo e suo
strenuo sostenitore presso la Curia romana (tanto da perdere, in seguito al processo del 1633, la
propria alta posizione di ‘Segretario dei brevi segreti a Principi’, per terminare poi la propria vita
in esilio nelle Marche) abbia a sua volta ripreso la metafora del libro per ampliarla e svilupparla
in modo afatto originale. Ciampoli si spinge infatti oltre le intenzioni stesse di Galileo, afermando che « in questo convito perpetuo, che dalla natura s’apparecchia all’ingegno, soprabbondano
sempre vivande intatte, per pasteggiare la curiosità. Chi non vede, che questa congerie di corpi
è una libraria di tanti volumi, che mai inirà di studiarsi ? » (Giovanni Battista Ciampoli, Dei
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abbandonare la lettura di Aristotele e impegnarsi in una rielaborazione personale
frutto della sintesi fra « sensate esperienze » e « dimostrazioni necessarie » : 1
Sig. Sagredo, […] voi vi maravigliate che così pochi siano seguaci della opinione de’ Pitagorici ; ed io stupisco come si sia mai sin qui trovato alcuno che l’abbia abbracciata e seguita, né posso a bastanza ammirare l’eminenza dell’ingegno di quelli che l’hanno ricevuta e
stimata vera, ed hanno con la vivacità dell’intelletto loro fatto forza tale a i proprii sensi,
che abbiano possuto antepor quello che il discorso gli dettava, a quello che le sensate esperienze gli mostravano apertissimamente in contrario. Che le ragioni contro alla vertigine
diurna della Terra, già esaminate da voi, abbiano grandissima apparenza, già l’abbiamo
veduto, e l’averle ricevute per concludentissime i Tolemaici, gli Aristotelici e tutti i lor
seguaci, è ben grandissimo argomento della loro eicacia ; ma quelle esperienze che apertamente contrariano al movimento annuo, son ben di tanto più apparente repugnanza,
che (lo torno a dire) non posso trovar termine all’ammirazion mia, come abbia possuto in
Aristarco e nel Copernico far la ragion tanta violenza al senso, che contro a questo ella si
sia fatta padrona della loro credulità. 2
È una delle pagine più belle e più potenti del Dialogo sopra i due massimi sistemi del
mondo tolemaico e copernicano (1632). Proprio sulla concezione del complesso rapporto tra ragione ed esperienza, d’altra parte, ruota la novità epistemologica della
proposta dell’astronomo ilosofo Galileo, promotore di una nuova cosmologia
intrinsecamente legata a una nuova ilosoia della natura. Come leggiamo in un
altro celebre passo del Dialogo :
Meglio è dunque che, deposta l’apparenza, nella quale tutti convenghiamo, facciamo forza
co ’l discorso, o per confermare la realtà di quella, o per iscoprir la sua fallacia. 3
Galileo invita a deporre l’« apparenza, nella quale tutti convenghiamo », perché
i sensi possono ingannare. 4 Essi non sono un punto di riferimento sicuro, non
fragmenti dell’opere postume, Venezia, Giunti, 1655, p. 2 ; più avanti, all’immagine del mondo come
« libraria » Ciampoli accosta quella di « gran secretaria della natura » : ivi, p. 78). Assistiamo così a
un ampliamento della metafora e a uno spostamento signiicativo del suo signiicato : se per Galileo la matematica è l’alfabeto della natura, per Ciampoli essa è semplicemente un linguaggio,
uno fra tanti – « triangoli, cerchi, ed altre igure geometriche » sono i caratteri con cui è scritto un
capitolo o, al più, un volume della « libraria ». Scrive ancora il Segretario di Urbano VIII, meditando dall’esilio sulla sconitta della proposta galileiana : « Il mondo istesso dev’essere il testo della
vera ilosoia. Per le dimostrazioni naturali non si stampa altro codice autentico che questo. Ogni
oggetto è un capitolo, e le sperienze sono i caratteri, nei quali si possono leggere gli editti della
Deità, gli ossequi della materia. I Platoni, gli Aristoteli, gli Euclidi, gli Archimedi, non possono
aspirar in questa universalità a magistero più sublime, che di far repertorii in questo volume troppo vasto. Gli scritti loro non sono altro che Indici […]. Ogni Indice deve collationare col suo originale, quando si trovi discordante, può risolutamente negligersi » (ivi, pp. 16-17). Cfr. Maurizio
Torrini, Giovanni Ciampoli ilosofo, in Novità celesti e crisi del sapere. Atti del convegno internazionale
di studi galileiani, a cura di Paolo Galluzzi, Firenze, Istituto e Museo di Storia della Scienza, 1983,
pp. 267-275, in particolare pp. 274-275.
1 Cfr., per esempio, Galileo Galilei, Lettera a Madama Cristina di Lorena, Granduchessa di Toscana, in Opere v, p. 316.
2 Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, in Opere
vii, p. 355.
3 Ivi, p. 281.
4 Galileo aggiunge però anche un caveat : « meglio si ilosoferà prestando l’assenso alle conclu-
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stefano gattei
costituiscono le solide fondamenta su cui possiamo costruire uno stabile ediicio
teorico. Certo, occorre partire dall’esperienza, ma non dobbiamo mai fermarci
acriticamente all’immediatezza dei sensi. Dobbiamo, al contrario, forzarli « co ’l
discorso », ovvero correggere l’esperienza alla luce del ragionamento razionale.
Quella di Galileo è così un’apparenza sensata, non più immediata – un’esperienza,
cioè, strutturata e formata alla luce di una particolare teoria o di uno speciico
intervento pratico, costruita secondo procedure in grado di produrre risultati afidabili.
Se i peripatetici ritenevano che l’esperienza coincidesse con ciò che appare
all’immediatezza dei sensi, Galileo è invece consapevole che il piano empirico deve essere sempre integrato da quello teorico, razionale, eventualmente supportato dalla tecnica (il telescopio). 1 Senza « discorso », potremmo quasi dire – evitando
però di cadere nell’estremismo provocatorio di Paul K. Feyerabend 2 –, non esiste neppure la possibilità di un’autentica esperienza. Vale però anche il viceversa :
senza un diretto riferimento all’esperienza non potremmo neppure avere teorie
dotate di un autentico valore conoscitivo. Ci rivolgiamo alla realtà guidati dalle
nostre aspettative teoriche, ma è poi la realtà stessa a selezionare tali aspettative e
a porre dei limiti precisi alle nostre speculazioni.
A diferenza dei peripatetici, Galileo è consapevole che l’esperienza immediata
non è in grado di fornirci da sola un’informazione corretta sulla vera costituzione
isica del mondo. Al contrario : il ilosofo è una sorta di giudice che possiede la
capacità critica di indagare la natura incalzandola con domande puntuali, costringendola di volta in volta a fornire risposte precise in merito a una determinata
questione.
In più di un’occasione, dopo il 1610, appare spesso, tra i corrispondenti di Galileo, il parallelo fra i « nuovi cieli » descritti nel Sidereus Nuncius e le « nuove terre » scoperte da Cristoforo Colombo. 3 In un caso e nell’altro il mondo si amplia
improvvisamente e, con esso, anche il sapere deve ampliarsi : non è più possibile
afrontare la ‘nuova’ realtà isica con gli sterili strumenti della logica aristotelica.
A ragione Kepler, nella Dissertatio cum Nuncio Sidereo (1610), scriveva che Galileo,
lo dichiarasse o meno, aveva alle spalle Cusano e Bruno, e tutta una concezione
dell’universo che, mentre si richiamava a Pitagora e a Melisso, a Democrito e a
sioni dependenti da manifeste osservazioni, che persistendo in opinioni al senso stesso repugnanti, e solo confermate con probabili o apparenti ragioni » (Galileo Galilei, Istoria e dimostrazioni
intorno alle macchie solari e loro accidenti comprese in tre lettere scritte a Marco Velseri, in Opere v, p. 139).
1 « […] che se senso superiore e più eccellente de i comuni e naturali non si accompagnava
con la ragione, dubito grandemente che io ancora sarei stato assai più ritroso contro al sistema
Copernicano, di quello che stato non sono doppo che più chiara lampada che la consueta mi ha
fatto lume » : Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano,
in Opere vii, pp. 355-356.
2 Cfr., per esempio, Paul K. Feyerabend, Science without Experience, « The Journal of Philosophy », lxvi, 1969, pp. 791-794.
3 Cfr. la lettera di Giovan Battista Manso a Galileo del 18 marzo 1610, in Opere x, n. 275, p. 296 ;
cfr. anche Andrea Battistini, « Cedat Columbus » e « Vicisti, Galilaee ! » : due esploratori a confronto
nell’immaginario barocco, « Annali d’italianistica », x, 1992, pp. 116-132.
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Platone, 1 costituiva una rivoluzione del modo di pensare il rapporto fra l’uomo
e il mondo, imponendo un atteggiamento completamente nuovo, un nuovo modo di andare alle cose. 2 Il copernicanesimo inteso come concezione del tutto, e
non come semplice ipotesi matematica, era una visione rivoluzionaria in cui si
concludevano gli sforzi teorici del primo Rinascimento. Galileo non ne possedeva
la dimostrazione, ma aveva trovato nella teoria copernicana un nuovo punto di
partenza, un’altra via per concepire il mondo, sganciata dall’equivoco aristotelico.
Così facendo, egli ha aperto la strada alla scienza moderna, fondando una nuova
ilosoia.
simplicio : Questo modo di ilosofare tende alla sovversion di tutta la ilosoia naturale, ed
al disordinare e mettere in conquasso il cielo e la Terra e tutto l’universo. […]
salviati : Non vi pigliate già pensiero del cielo né della Terra, né temiate la lor sovversione, come né anco della ilosoia ; perché, quanto al cielo, in vano è che voi temiate di
quello che voi medesimo reputate inalterabile e impassibile ; quanto alla Terra, noi cerchiamo di nobilitarla e perfezionarla, mentre proccuriamo di farla simile a i corpi celesti e
in certo modo metterla quasi in cielo, di dove i vostri ilosoi l’hanno bandita. La ilosoia
medesima non può se non ricever beneizio dalle nostre dispute, perché se i nostri pensieri
saranno veri, nuovi acquisti si saranno fatti, se falsi, col ributtargli, maggiormente verranno confermate le prime dottrine. Pigliatevi più tosto pensiero di alcuni ilosoi, e vedete di
aiutargli e sostenergli, ché quanto alla scienza stessa, ella non può se non avanzarsi. 3
1 Cfr. Johannes Kepler, Dissertatio cum Nuncio Sidereo nuper ad mortales misso a Galilaeo Galilaeo, mathematico patavino (1610), in Johannes Kepler gesammelte Werke, vol. iv : Kleinere Schriften
1602/1611. Dioptrice, a cura di Max Caspar e Franz Hammer, Monaco, C. H. Beck, 1941, p. 289. Né
nella Dissertatio né nella successiva Narratio Kepler riconoscerà a Galileo il titolo di philosophus,
ma solo quello di mathematicus.
2 Cfr. Garin, Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, cit., pp. 152-158.
3 Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, in Opere
vii, p. 62.
c o mposto in car atter e dan te mon ot y p e d al l a
fabr izio serr a editor e, p i s a · r oma .
stamp ato e rilegato n e l l a
tipo grafia di agn an o, agn an o p i s an o ( p i s a ) .
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Febbraio 2011
(cz 2 · fg 3)