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Novità sulla diaspora dei vetrai valdelsani nel XV secolo

«Miscellanea Storica della Valdelsa», CXXVII (2021), 1 (340), pp. 141-164

Quattro bicchierai valdelsani – due gambassini e due montaionesi – nel corso del XV secolo emigrano a Cagli, nella contea di Urbino, e a Napoli

FRANCO CIAPPI, SILVANO MORI NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO ESTRATTO da MISCELLANEA STORICA DELLA VALDELSA Periodico semestrale della Società Storica della Valdelsa 2021/1 ~ a. 127 n. 340 Anno CXXVII 2021 • 1 (340) MISCELLANEA STORICA DELLA VALDELSA Periodico Semestrale della Società Storica della Valdelsa FIRENZE LEO S. OLSCHKI EDITORE 2021 SOCIETÀ STORICA DELLA VALDELSA Amministrazione: Società Storica della Valdelsa, Via Tilli 41, 50051 Castelfiorentino (FI), tel. 0571 686308 - fax: 0571 686388, e-mail: [email protected] Sito web della Società e della Rivista: http://www.storicavaldelsa.it Si diventa soci mediante domanda alla Presidenza o rivolgendosi ai fiduciari del proprio comune. La quota annua di € 20 dà diritto a ricevere la Rivista. Versamenti sul c/c postale 21876503 o bonifico bancario (iban: IT 49 G 03069 37791 000000008398) intestati a Società Storica della Valdelsa - Castelfiorentino. Dal 2013 la Rivista è pubblicata dall’editore Leo S. 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OLSCHKI EDITORE 2021 MISCELLANEA STORICA DELLA VALDELSA fondata nel 1893 Direttore: PAOLO CAMMAROSANO Comitato scientifico: MARIO ASCHERI, DUCCIO BALESTRACCI, MARIO CACIAGLI, FRANCO CARDINI, GIOVANNI CIPRIANI, ZEFFIRO CIUFFOLETTI, ANDREA GIUNTINI, ITALO MORETTI, STEFANO MOSCADELLI, ORETTA MUZZI, PAOLO NARDI, GIULIANO PINTO, MAURO RONZANI, FRANCESCO SALVESTRINI, SIMONETTA SOLDANI, LORENZO TANZINI Redazione: LEONARDO ANTOGNONI, GIACOMO BALDINI, ELISA BOLDRINI, FRANCESCO CORSI, FABIO DEI, BARBARA GELLI, SILVANO MORI, JACOPO PAGANELLI, GIOVANNI PARLAVECCHIA Segretario di redazione: FRANCO CIAPPI La rivista adotta per i saggi ricevuti il sistema di Peer review. La Redazione, dopo aver valutato la coerenza del saggio con l’impianto e la tradizione della rivista, lo invia in forma anonima a due studiosi, anch’essi anonimi, esperti della materia. 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SILVANO MORI – JACOPO PAGANELLI, San Girolamo di Castelfiorentino: un convento dimenticato e i suoi fondatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ENZO LINARI, Il Palazzo Pretorio di Certaldo, luogo del contemporaneo. Attività espositiva e politiche culturali a Certaldo (1967-1988) . . » 3 » 41 » 61 » 101 » 133 » 141 » 165 » 173 » 177 NOTE E DISCUSSIONI ELISA BOLDRINI, Fatti e personaggi della miniatura valdelsana in margine ad alcune recenti mostre e pubblicazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI, Novità sulla diaspora dei vetrai valdelsani nel XV secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . LUCA GIACOMELLI, Una crocifissione di Santi di Tito in Francia e la sua copia a Empoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO Recensioni Terre di confine tra Toscana, Romagna e Umbria. Dinamiche politiche, assetti amministrativi, società locali (secoli XII-XVI), a cura di P. Pirillo e L. Tanzini (Jacopo Paganelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . G. BORRONI, Storia del vetro preindustriale a Vigevano tra XVI ed inizi del XVII secolo. Le vicende imprenditoriali dei Pisani vetrai altaresi e dei vigevanesi Bosii nel XVI secolo, e dell’internazionale famiglia Dagna nella Vigevano del XVII secolo; S. CIAPPI, Tra vetro e vino. Una storia toscana dall’Archivio Nannelli (Elisa Boldrini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . VI SOMMARIO VITA DELLA SOCIETÀ Elenco dei soci al 31 dicembre 2020 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Periodici che si ricevono in cambio ......................................... » » 183 188 FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO* Ogni ricerca storica che si basi su fonti inedite, anche la più accurata, presenterà sempre delle lacune: per quanto ci sforzeremo di spaziare nei più diversi fondi archivistici, mai riusciremo a reperire tutta la documentazione relativa. Ci riferiamo a un nostro passato lavoro, apparso su questa stessa rivista, nel quale avevamo ricostruito le vicende familiari del bicchieraio gambassino Lancillotto di Marruccio, vissuto fra il 1431 e i primi anni ’70 del Quattrocento.1 Lo spunto ci era stato fornito dal rinvenimento fortuito di una pergamena contenente un contratto fra lo stesso bicchieraio e Battista Sforza, contessa di Urbino e moglie di Federico da Montefeltro, allo scopo di avviare una manifattura vetraria nella città di Cagli, con il monopolio sull’intera contea urbinate. Nel saggio, oltre ad aver ripercorso, come accennato, le vicende della famiglia del bicchieraio, sia precedenti che successive alla sua esistenza, avevamo per prima cosa analizzato il contratto, proponendone una datazione, considerato che una mutilazione della pergamena ne aveva reciso la parte inferiore che, verosimilmente, riportava la datazione topica e cronica dell’atto. In base ad alcune evidenze biografiche del bicchieraio,2 avevamo proposto il 1469 come anno della stipula del contratto, a differenza di quanto ritenuto da coloro che, regestando la pergamena, l’avevano assegnata al 1467. Ora la datazione da noi proposta è divenuta una certezza. Vediamo per quali novità. In chiusura del saggio, auspicavamo «che future ricerche negli archivi, nei quali sono confluiti i documenti urbinati, riescano ad approfondire l’attività vetraria del nostro bicchieraio a Cagli e nella contea di Urbi* Una bibliografia sulla diaspora dei bicchierai valdelsani è disponibile in F. CIAPPI, S. MORI, «Becuccio bicchieraio da Gambassi». Competenze professionali e mobilità sociale nella Firenze rinascimentale, Pisa, Pacini, 2020 (Biblioteca della «Miscellanea Storica della Valdelsa», 33), pp. 46-47 nota 6. 1 F. CIAPPI, S. MORI, Il bicchieraio Lancillotto di Marruccio da Gambassi e Battista Sforza contessa di Urbino, «Miscellanea Storica della Valdelsa», CXXIV (2018), 2 (335), pp. 89-110. 2 Ivi, p. 102. 142 FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI no».3 Questo auspicio ha prodotto un primo risultato:4 il ricercatore eugubino Fabrizio Cece – che sentitamente ringraziamo, oltre che per la scoperta, per averci fornito la foto del documento che trascriviamo nell’Appendice documentaria, 1 (vedi anche tav. 1) – ha individuato l’atto nel quale è registrata una lettera di Federico da Montefeltro che riguarda proprio il nostro bicchieraio.5 Nella lettera, inviata da Urbino il 24 aprile 1469, Federico da Montefeltro ordinava al proprio luogotenente in Gubbio di rendere pubblico («bandire») e di «registrare» negli atti deliberativi del Comune la concessione fatta a «maestro Lancilotto» di esercitare in esclusiva l’arte vetraria a Cagli, ma, sottintendendo, in tutta la contea di Urbino. Da notare che fu proprio Lancillotto, indicato come «latore» della lettera, a consegnare ai funzionari di Gubbio la missiva del conte. La registrazione nelle «riformanze» eugubine fu eseguita il 4 maggio successivo da parte di un certo Marchetto, considerato che il luogotenente si era assentato da Gubbio. Quindi, il contratto che Lancillotto aveva stipulato con Battista Sforza era stato rogato poco prima del 24 aprile 1469. Come notammo analizzando la pergamena mutila, le clausole contrattuali superstiti erano sette, non escludendone altre nella parte recisa,6 mentre nella presente lettera sono solo quattro, quelle che, evidentemente, avevano un contenuto di carattere generale, valido cioè per l’intera contea e non relative alle specifiche esigenze del bicchieraio.7 La prima, che corrisponde alla seconda del contratto, sancisce il monopolio dell’attività vetraria di Lancillotto su tutto il territorio della contea, stabilendo che nessun altro bicchieraio può esercitarvi questo mestiere, sotto pena di dieci fiorini; la seconda, corrispondente alla terza, impone, sotto pena di dieci ducati d’oro, che nessuno possa importare nella contea alcun tipo di oggetti di vetro, eccetto che quelli in cristallo;8 la terza, corrispondente alla quarta, vieta il 3 Ivi, p. 107. 4 L’auspicio si era propagato anche attraverso Facebook, il noto social network: è infatti grazie a un post pubblicato nel ‘gruppo’ della Società Storica della Valdelsa – nel quale si pubblicizzavano gli articoli presenti sul futuro fascicolo della «Miscellanea», tra cui quello sul bicchieraio Lancillotto – che è giunto a destinazione, soprattutto per l’interessamento dell’‘amica’ Momo Girifalco, che ringraziamo. 5 SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI GUBBIO, Comune di Gubbio, Riformanze, 28, c. 29r. 6 7 CIAPPI, MORI, Il bicchieraio Lancillotto, cit., p. 93. Come quelle contenute nella prima e nella sesta clausola del contratto (ibidem). 8 Vedi ivi, pp. 93-94, le considerazioni a proposito degli oggetti di cristallo. NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO 143 commercio nella contea del vetro rotto, sotto pena di un fiorino; l’ultima, corrispondente in parte alla quinta e alla sesta, consente ai commercianti eugubini di poter vendere gli oggetti vitrei presenti al momento nelle loro botteghe, senza alcuna pena, e di far transitare Lancillotto senza fargli pagare pedaggi sulle masserizie a eccezione che sui vetri trasportati.9 Nella sottoscrizione della lettera Federico da Montefeltro si firma conte di Urbino e di Casteldurante (oggi Urbania), nonché capitano generale della Lega italica. Dalla lettera si desume che le clausole contenute nel contratto, nonostante la mutilazione della pergamena, non dovevano essere molte di più di quelle che si sono conservate. E non è neppure fuori luogo supporre che il conte avesse stilato lettere analoghe anche per gli altri grossi centri della contea di Urbino. *** Una notizia, che ci era sfuggita in fase di redazione del predetto saggio, vorremmo proporla in quest’occasione, visto che riguarda ancora un vetraio valdelsano presente a Cagli alla metà del Quattrocento. Un paio di decenni prima del bicchieraio gambassino Lancillotto di Marruccio, un bicchieraio montaionese aveva anch’egli impiantato un’officina vetraria a Cagli, città che sembrerebbe attestarsi come il principale centro di produzione vetraria dell’intera contea di Urbino. Come scriveva Guido Taddei nel suo prezioso e pionieristico lavoro sull’arte vetraria fiorentina: […] nel libro delle Accomandite della Mercanzia di Firenze è registrato il 7 febbraio 1459 un contratto di Società fra Marco d’Antonio di Marco da Montaione bicchieraio, e Messer Agnolo Galli da Urbino, nel quale si legge che il primo ha ricevuto da Messer Agnolo fiorini trecento «per quelli trafichare nella città di Chagli della Marcha in una fornace ovvero bottegha del suo mestiere di bichieraio»;10 e nell’Appendice trascriveva l’intero documento.11 Tuttavia, controllando l’originale ci siamo accorti che lo storico empolese aveva letto erroneamente la data dell’atto, che in realtà è il 7 febbraio 1449[50], come confermato anche dall’«indizione 13ª». Non solo, il Taddei non si era accorto – ma, forse, al9 Nel contratto la richiesta di esenzione da pedaggi sui materiali vitrei era stata infatti accolta da Battista solo in parte, mediante il pagamento della metà del dazio. 10 G. TADDEI, L’arte del vetro in Firenze e nel suo dominio, Firenze, Le Monnier, 1954, p. 13. 11 Ivi, pp. 95-96, che noi riproponiamo nell’Appendice documentaria, 2 (e alla tav. 2), dopo un riscontro sull’originale in ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE (da ora ASFI), Mercanzia, 10831, c. 15r, e alcune correzioni apportate al testo, considerato che il volume del Taddei non è di facile reperibilità. 144 FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI l’epoca non era in grado di farlo – dell’importanza e dello spessore politico e culturale rivestiti dal personaggio con il quale si lega in società il bicchieraio montaionese: si tratta infatti dell’umanista urbinate e cavaliere Angelo Galli.12 Il Galli oltre a essere stato «uno degli esponenti di rilievo della lirica volgare quattrocentesca»,13 fra gli anni ’30 e ’50, svolse innumerevoli incarichi diplomatici per i Montefeltro, da Guidantonio a Oddantonio, fino a Federico; morì a Urbino nel dicembre del 1459. Nel documento, il bicchieraio Marco d’Antonio di Marco da Montaione ammetteva di aver ricevuto in accomandita da messer Angelo Galli da Urbino 300 fiorini d’oro (di quaranta bolognini vecchi per fiorino) per esercitare il mestiere di bicchieraio in un’officina vetraria nella città di Cagli della Marca, per cinque anni, a partire dal 5 febbraio appena trascorso, come era stato stabilito in un contratto privato rogato da ser Matteo di ser Giuliano da Urbino «notaio publico». Dall’atto si desume che dovevano esserci state delle contestazioni da parte del bicchieraio montaionese che avevano suscitato la protesta del Galli, attraverso il suo procuratore Piero d’Arcangelo da Urbino, il quale ribadiva che si sarebbe attenuto solo a ciò che era stato pattuito «per la decta quantità accomandata et pel guadagno di quella et fra quel tempo che di sopra si dice et non più né altrimenti in alcun modo».14 Inoltre, a sostegno della sua protesta, il Galli si appellava alle leggi che regolavano la «presente materia». Quindi, per sancire l’accordo, le parti stilavano l’accomandita in oggetto, che veniva registrata dal notaio fiorentino ser Rigoglio di Bartolo di Rigoglio nel «libro» della Mercanzia. L’accomandita tra il bicchieraio Marco d’Antonio da Montaione e il suo finanziatore messer Angelo Galli da Urbino sembrerebbe a tutti gli effetti la costituzione di una società vetraria fra privati. Tuttavia il fatto che il cavalier Galli sia un importante diplomatico di Federico da Montefeltro, induce al sospetto che dietro tutta l’operazione vi sia sottesa una precisa volontà del conte, come di fatto sarebbe accaduto diciannove anni dopo con Lancillotto di Marruccio. Poiché i tempi non consentono un agevole accesso ai pubblici archivi, sulla base di notizie edite oppure già raccolte – alcune delle quali gentilmente forniteci da Anna Tamburini, che ringraziamo – qualcosa possiamo dire 12 Su di lui cfr. G. NONNI, Galli, Angelo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 51, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1998, <https://www.treccani.it/enciclopedia/angelo-galli_ (Dizionario-Biografico)/>. 13 Ibidem. 14 ASFI, Mercanzia, 10831, c. 15r. NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO 145 sul bicchieraio montaionese Marco d’Antonio di Marco e fornire un’ulteriore e inedita notizia sul suo probabile nipote Iacopo di Vivaldo, anch’egli un bicchieraio montaionese, emigrato a Napoli. Già alla fine del Trecento, sia il babbo Antonio che lo zio Nanni, figli di Marco, esercitavano il mestiere di bicchieraio. Sono, infatti, del 1394 due forniture di vetri effettuate al Comune di Montaione: il 12 marzo si stanziavano 2 lire e 19 soldi a favore Nanni di Marco per la fornitura di un numero imprecisato di bicchieri che lo stesso Comune donava a messer Luigi, vicario di San Miniato; il successivo 15 giugno, il Comune pagava, questa volta al fratello Antonio di Marco, lire 3 e soldi 12 per dodici fiaschi, a sei soldi l’uno, che donava a un non meglio precisato «amico Comunis».15 Le offerte di manufatti vitrei – concomitanti a elargizioni di generi alimentari vari –, da parte del Comune di Montaione, al momento dell’insediamento del nuovo vicario di San Miniato, sembra siano state una consuetudine, come attestano anche altre deliberazioni.16 Il 10 settembre 1397, i due fratelli bicchierai comparivano in un elenco di montaionesi atti alle armi: Nanni di Marco faceva parte della «decina» di Tevoliccio, mentre il fratello Antonio, con i figli Vivaldo e Iacopo, appartenevano alla «decina» delle Mura.17 E, il 6 novembre dello stesso anno, «Vi- 15 ARCHIVIO STORICO COMUNALE DI MONTAIONE (da ora ASCM), Comune di Montaione, Deliberazioni e partiti (da ora Deliberazioni), 24, cc. 42v, 51v, cfr. anche A. ANGELELLI, Memorie storiche di Montaione in Valdelsa, Firenze-Roma, Tip. Bencini, 1875 (rist. anast., Sala Bolognese, Forni, 1992), p. CCXXXIV e nota 2. 16 Il 3 febbraio 1395[6] si pagavano 36 soldi a quello che sembrerebbe un bicchieraio, Gerio di Giovanni, per vetro regalato e 6 soldi e 4 denari a Toso per il trasporto di vetro e legname a San Miniato (ASCM, Deliberazioni, 24, c. 113v); ancora il 25 marzo 1396 lo stesso Gerio veniva pagato con 13 lire e 10 soldi, per il vetro regalato nel mese precedente al vicario (ivi, c. 118r); di nuovo il 9 luglio 1396 a Gerio di Giovanni venivano pagate 4 lire per il vetro offerto nello stesso mese al vicario «pro onorando Comune» (ivi, c. 130r); mentre il 28 agosto 1397, si deliberava di regalare cento bicchieri e otto boccali, «quattuor de metadella et quattuor de meçetta», al «novo […] vicario Sancti Miniatis» e il 29 settembre, per questa stessa fornitura, si pagavano 2 lire e 6 denari a Frenetto di Montaione (ivi, cc. 154r, 157r, cfr. anche ANGELELLI, Memorie, cit., pp. LXX e CCXXXIV), che, viste altre forniture o servizi da lui svolti per il Comune, sembrerebbe più un commerciante che un bicchieraio. 17 ASCM, Deliberazioni, 24, cc. 154v-155r. Sul contesto montaionese in cui venne redatto questo elenco di atti alle armi, cfr. ANGELELLI, Memorie, cit., pp. LXIX-LXX. Gli «atti alle armi», che generalmente comprendevano gli uomini di età compresa fra i 18 e i 70 anni, sono qui inquadrati militarmente in ripartizioni territoriali dette «decine»: la decina di Piazza comprendeva 44 uomini, 44 anche quella del Borgo di Sotto, 43 la decina di Tevoliccio, 43 anche quella delle Mura, 42 quella del Capitone e 44 quella di Pozzuolo, per un totale di 260 uomini. Se a questo numero applichiamo il classico coefficiente (popolazione/atti alle armi) di 3,5, 146 FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI valdus Antonii Marci» compariva in un’ulteriore «decina», stavolta relativa a una ripartizione militare interna al castello di Montaione, cioè tra i difensori della «torre del Lione».18 Qualche anno prima, all’età di 21 anni, Vivaldo era elencato tra coloro che giuravano per l’elezione a consigliere del Comune, per il 2º semestre e in carica a partire dal 1º ottobre 1393.19 Inoltre, nelle aggiunte del 1408 al nuovo statuto comunale del 1405, «Vivaldo d’Antonio di Marcho» compare tra gli «Officiali et Statutarii electi, deputati et chamati affare et di nuovo, comporre, ordinare, compillare, cassare et anullare et corregiere tucti et ciascheduni Statuti et Ordinamenti del decto Comune di Montaione».20 Sempre alla fine del menzionato statuto, molti componenti della famiglia – «Antonio di Marco | Marco d’Antonio | […] Vivaldo di Antonio Marchi | […] Nanni di Marco | Arrigo e Lionardo di Nanni Marchi»21 – sono elencati quali appartenenti alla «Compagnia di Sancto Vivaldo».22 Nell’estimo del 1383, Antonio e Nanni di Marco, che formavano un’unica famiglia,23 erano stati «allibrati con un imponibile abbastanza elevato di arriviamo a calcolare in circa 910 persone il totale della popolazione montaionese nel 1397. In altre aree dell’Italia centrale questo tipo ripartizioni militari venivano chiamate anche «venticinquine», su tali temi, cfr. A.I. PINI, Una fonte per la demografia storica medievale: le «venticinquine» bolognesi (1247-1404), in ID., Città medievali e demografia storica. Bologna, Romagna, Italia (secc. XIII-XV), Bologna, CLUEB, 1996, pp. 37-103, ed E. FIUMI, La demografia fiorentina nelle pagine di Giovanni Villani, «Archivio Storico Italiano», CVIII (1950), 396, pp. 78-158. 18 ASCM, Deliberazioni, 24, c. 163. Queste «decine» erano otto – formate da un capitano detto «decinario» e da dieci uomini, per un totale di 88 difensori – i loro nomi facevano riferimento a otto emergenze della cinta muraria: la porta Fiorentina, la torre del Merlo, la torre dell’Infrantoio, la torre del Lione, la porta Guelfa, la torre di Belvedere, la torre Nuova e la Parentella (cfr. anche ANGELELLI, Memorie, cit., pp. LXXIII-LXXIV). 19 ASCM, Deliberazioni, 24, c. 28r. 20 ANGELELLI, Memorie, cit., p. 31; compariva anche nelle successive aggiunte del 1411 (ivi, p. 48) e del 1412 (ivi, p. 64). Mentre «Nanni di Marcho» compariva tra i «providi et discreti huomini» che avevano compilato il nuovo statuto del 1405 (ivi, p. 1). 21 Ivi, p. 62. 22 Oltre alle predette ripartizioni militari, la società civile montaionese era ripartita in altrettante otto «Compagnie»: di San Vittore (formata da 23 uomini), di San Pietro (23 uomini), di San Giovanni (21 uomini), di San Bartolomeo (23 uomini), di San Paolo (24 uomini), di San Biagio (24 uomini), di San Vivaldo (22 uomini) e di San Regolo (20 uomini), per un totale di 180 montaionesi (ivi, pp. 60-63). Anche i priori erano otto (uno per compagnia), mentre i consiglieri erano sedici (due per compagnia). Tali compagnie non sono assimilabili alle confraternite religiose di tipo laicale, ma esprimevano un inquadramento territoriale della popolazione di tipo ‘civile’. 23 Nel 1383, i componenti della famiglia di Antonio (di 33 anni) erano il fratello Giovanni, la madre Nicolosa (di 50 anni), la moglie Mattea (di 28 anni) e i figli Vivaldo (di 8 anni) NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO 147 Marco q.1383 ∞ Nicolosa [n.1333],1383 Antonio [n.1350],1383-1412 ∞ Mattea [n.1355],1383 ∞ Maria [n.1362],1427 Vivaldo [n.1375],1383-q.1427 ∞ Bartolomea [n.1382] Iacopo Cecca [n.1400-1412] [n.1410],1412 Salvadore [n.1411],1427 Iacopo [n.1376],1383 Iacopo [n.1416],1430 Nanni 1383-1408 Marco [n.1390],1383-1472 ∞ Betta [n.1402],1427 Cecca [n.1427] Domenico 1472 Cilia 1472 Fig. 1. La famiglia dei bicchierai montaionesi Marco d’Antonio e del nipote Iacopo di Vivaldo. Abbreviazioni: q. = quondam; n. = nato; [ ] = anno dedotto. lire 240».24 Nel 1412, Antonio di Marco, che nel frattempo si era diviso dal fratello,25 deteneva già un non indifferente patrimonio immobiliare.26 Bee Iacopo (di 7 anni) (ASFI, Estimo, 243, c. 1378). Cfr. l’albero genealogico alla fig. 1, che segue solo il ramo di Antonio. 24 A. TAMBURINI, Vita economica e sociale del Comune di Montaione tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, «Miscellanea Storica della Valdelsa», LXXXIII (1977), 3 (218), p. 163 e nota 303. 25 Nel 1412, la famiglia di Antonio (75 anni) era composta dalla seconda moglie Maria (50 anni), dai figli Vivaldo (40 anni) e Marco (12 anni, ma che, per probabile errore di scrittura, erano 22), dalla moglie di Vivaldo, Bartolomea (30 anni) e dai loro figli Cecca (12 anni) e Iacopo (di un anno e che, probabilmente, morirà prematuramente, tantoché il suo nome verrà attribuito al quartogenito). Il fatto che il secondo figlio di Vivaldo si chiami Iacopo come lo zio, fa supporre che questi (il secondogenito di Antonio, assente in questo stato di famiglia) sia prematuramente scomparso (ASFI, Estimo, 249, c. 1180v). 26 «In prima uno peço di terra canpia e vignata posta loco detto a Colli, cui a .jº. via, a .ijº. e a .iijº. Nanni di Marcho. Estimo _ £ .ij. | Item à uno peço di terra canpia, vigniata e ulivata posta nel sopra scritto luogho, cui a .jº. via, a .ijº. Nanni di Marcho, a .iijº. Arrigo Mattei, a .iiijº. botro. Estimo _ £ .x. | Item à uno peço di terra canpia e olivata posta luogho detto alla Petruchia, cui a .jº. via, a .ijº. e a .iijº. Nanni di Nuto, a .iiijº. via di chomune. Estimo _ £ .x. | Item à uno peço di tera soda, posto luogho detto Alia, cui a .jº. via, a .ijº., a .iijº. e a .iiijº. ser [prete] Andrea Pieri da Samminiato, a .vº. fiume d’Alia [Aia]. Estimo _ £ .j. | Item à una chasa nel chastello di Montaione nella via Maestra, cui a .jº. via e a .ijº. via, a .iijº. ser Simone di Chieco, a .iiijº. Giuliano di Provinciale. Estimo _ £ .xl. | Item à una chasa posta nel chastello di Montaione de beni di Giuliano di Provinciale, cui a .jº. via, a .ijº. il detto Antonio, a .iijº. via di comune, a .iiijº. Meone 148 FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI ni che, nel Catasto del 1427,27 crebbero ulteriormente, rimpinguati dalle proprietà dei nipoti che, minorenni e orfani del padre Vivaldo, venivano dichiarati nella famiglia dello zio Marco di Antonio di Marco.28 Leggendo la portata catastale di Marco, redatta di suo pugno, si ha l’impressione che sia scritta con un’inflessione dialettale veneta.29 Se così fosse, ciò potrebbe palesare una provenienza familiare veneta oppure, più verosimilmente, che lo stesso Marco avesse in passato trascorso un periodo relativamente lungo a Murano per specializzarsi nell’arte vetraria – come non di rado accadeva ai vetrai valdelsani30 – tanto da aver conservato quelle specifiche cadenze dialettali. La già notata solidarietà tra chi esercitava lo stesso mestiere all’interno della comunità,31 sembra che si esplichi anche tra bicchierai di centri di produzione diversi e, apparentemente, in concorrenza, come possono sembrare Gambassi e Montaione. Infatti il 22 ottobre 1426, con atto notarile rogato a Gambassi, il bicchieraio gambassino Lorenzo di Antonio di di Netto. Estimo _ £ .xx. | [Sul margine sinistro] Comprò la detta terra nel .1407. Item à uno peço di terra de beni di monna Gentile di Franciescho Paparini, cui a .jº. via, a .ijº. e a .iijº. monna Giovanna di Iacopo ser Ciardi, a .iiijº. Chomuccio d’Antonio. Estimo _ £ .viij. | Item à ditto Antonio uno bue di stima di _ f .vj. (ibidem). Cfr. anche TAMBURINI, Vita economica, cit., p. 163. 27 ASFI, Catasto, 96, cc. 439r-441v; cfr. Appendice documentaria, 3. Nel 1427 il nucleo familiare era composto dal capofamiglia Marco (di 38 anni), la moglie Betta (di 25 anni), la figlia Cecca (di 2 mesi), i nipoti (figli del fratello Vivaldo) Salvadore (di 16 anni) e Iacopo (di 10 anni) e la «matrigna» Maria (di 67 anni) seconda moglie del padre Antonio. 28 I «beni» consistevano nell’abitazione posta nel castello di Montaione; in cinque pezzi di terra posti tutti a nord dell’abitato: alla Valle (su cui vi è una casetta da strame), ai Colli, in Alia, alla Volta di San Biagio e in Faeta, alcuni dei quali sono concessi a mezzadria; la quota di un terzo di un frantoio nel castello e infine la metà di un cavallo; ai quali beni i funzionari del catasto aggiungevano altri due pezzi di terra – che, evidentemente, Marco non aveva dichiarato – posti ambedue nelle «pendie» di Montaione, alla Valle e in Ciamberti, oltre a due buoi; per un imponibile totale di 133 fiorini, formato dalle due case, da circa 39 staiora di terreni e dal bestiame. Le 39 staiora (a seme) di terreno corrispondo a circa 8 ettari (E. CONTI, I catasti agrari della Repubblica fiorentina e il catasto particellare toscano (Secoli XIV-XIX), Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1966, p. 25 e nota 4). Cfr. anche TAMBURINI, Vita economica, cit., p. 163 e nota 304. 29 Cfr. Appendice documentaria, 3. 30 Cfr. CIAPPI, MORI, «Becuccio bicchieraio da Gambassi», cit., p. 35 e nota 55. 31 Cfr. O. MUZZI, La condizione sociale ed economica dei vetrai nel tardo Medioevo: l’esempio dei ‘bicchierai’ di Gambassi, in Archeologia e storia della produzione del vetro preindustriale, atti del Convegno internazionale (Colle di Val d’Elsa - Gambassi, 2-4 aprile 1990), a cura di M. Mendera, Firenze, All’Insegna del Giglio, 1991, p. 158; CIAPPI, MORI, «Becuccio bicchieraio da Gambassi», cit., p. 28 nota 25; p. 36 nota 61. NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO 149 Mannino elegge procuratore il bicchieraio Marco d’Antonio di Marco da Montaione.32 Dopo la parentesi marchigiana, Marco rientrava stabilmente in Toscana: il 25 novembre 1456, con atto notarile rogato a Firenze, in Santa Felicita, Marco d’Antonio di Marco, bicchieraio da Montaione, nomina procuratori ser Angelo di Pietro Tommasi e ser Monte di Giovanni di ser Monte, notai fiorentini;33 e il 28 novembre 1458 è testimone in un atto rogato a Gambassi, che riguarda la vendita di terre da parte del bicchieraio montaionese Francesco di Netto di Meone.34 Il 22 febbraio 1469[70] una sentenza dei Cinque del contado era a favore di Marco d’Antonio di Marco da Montaione.35 Fra il 1471 e il 1472 alcune sentenze civili del podestà di Montaione lo vedono imputato,36 la più interessante delle quali è quella che riguarda la dote della figlia: il 16 febbraio 1471[2], suo genero Giorgio di Clemente da Mandorli, nella podesteria di Montespertoli, citava il suocero Marco d’Antonio da Montaione, richiedendogli 28 fiorini come parte della dote per la figlia Cilia.37 *** 32 ASFI, Notarile Antecosimiano, 12026, c. 208v. Ma esempi di questo genere potremmo farne altri, come abbastanza frequenti erano i matrimoni tra figli e figlie di bicchierai gambassini e montaionesi: uno dei più noti fu quello del bicchieraio montaionese Antonio di Balduccio di Giovanni con Caterina, figlia del bicchieraio Bartolomeo di Nicolaio di Ghino dei Buonamici, la famosa famiglia di vetrai gambassini, insediatasi con successo a Firenze nella prima metà del XV secolo (cfr. TADDEI, L’arte del vetro, cit., doc. XVII, pp. 103-104; CIAPPI, MORI, «Becuccio bicchieraio da Gambassi», cit., pp. 45-46). 33 ASFI, Notarile Antecosimiano, 12028, cc. 112r-112v. 34 Ivi, cc. 129r-130v. Il 3 agosto 1459, compare un certo Santino di Marco da Montaione bicchieraio, quello che cioè potrebbe sembrare un figlio, anch’egli esercitante lo stesso mestiere, ARCHIVIO STORICO COMUNALE DI CASTELFIORENTINO (da ora ASCC), Podesteria di Gambassi e Montaione. Atti civili, 398, c. 25v. 35 M. CIONI, Atti della Potesteria di Montaione dal 21 dicembre 1471 al 20 maggio 1472, «Miscellanea Storica della Valdelsa», IV (1896), 2-3 (10-11), p. 168 nota 1. 36 ASCC, Podesteria di Gambassi e Montaione. Atti civili, 401, c. 9r (24 dicembre 1471); ivi, c. 31v (25 febbraio 1471[2]); ivi, c. 38r (6, 10, 13, 15 aprile 1472). Cfr. anche CIONI, Atti, cit., pp. 158, 163. 37 Il giorno seguente Marco, sostenendo di aver conti pendenti con Giorgio, otteneva una proroga di otto giorni per una verifica; ma il 13 aprile successivo, lo stesso Marco, riconoscendo il proprio debito, prometteva al notaio del podestà, Benedetto Biffolo, ricevente e accettante in luogo di Giorgio, assente, di pagare 20 lire entro il 15 maggio prossimo, come parte di detta somma, dando per mallevadore Iacopo di Bernardo tessitore montaionese e il proprio figlio Domenico, alla presenza del testimone Antonio Ciulli da Montaione (ASCC, Podesteria di Gambassi e Montaione. Atti civili, 401, c. 28v; cfr. anche CIONI, Atti, cit., p. 155). 150 FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI Su segnalazione dell’amico Jacopo Paganelli,38 abbiamo rinvenuto una pergamena – conservata presso l’Archivio di Stato di Firenze39 – che documenta l’emigrazione a Napoli di un bicchieraio montaionese: si tratta, probabilmente, di Iacopo di Vivaldo di Antonio, nipote di Marco di Antonio di Marco, di cui abbiamo appena trattato. Il 3 settembre 1430, a Napoli, davanti al giudice Lisolo di Samandaro e al notaio rogante Andrea di Afelatro, ambedue di Napoli – e alla presenza dei testimoni prete Marcillo di Ecarto di Napoli, Francesco Risio di Napoli e frate Domenico di Strina – fu stipulato un contratto di lavoro tra Iacopo di Vivaldo da Montaione «de ducato Florentie» vetraio, residente a Napoli, da una parte, e Iacopo di Recupido, detto Cacaconte con Antonello di Campulo entrambi di Napoli, dall’altra. Iacopo di Vivaldo dichiarava di mettere a disposizione il suo mestiere di vetrario stando a lavorare con i detti Iacopo e Antonello per la produzione di manufatti vitrei nella loro vetreria. La sua attività sarebbe iniziata all’accensione della nuova fornace, che all’epoca stavano realizzando nella loro officina, e sarebbe terminata solo con lo spegnimento della stessa, lavorando durante tutto il tempo, sia di giorno che di notte, come era consuetudine, senza abbandonare il lavoro per nessun motivo. Se ciò fosse avvenuto, il vetraio Michele di Matteo da Gambassi, presente all’atto, prometteva di risarcire personalmente Iacopo e Antonello di tutti i danni subiti. Questi ultimi si impegnavano a pagare Iacopo per questa attività con un salario mensile consistente in «unciam unam de carlenis argenti gillatis boni et iusti ponderis sexaginta per unciam», calcolati concordemente senza dilazione ed eccezione. Iacopo dichiarava inoltre di ricevere un prestito dagli stessi datori di lavoro, consistente in «unciam unam et trappesos quindecim de carlenis argenti gillatis boni et iusti ponderis sexaginta per unciam et duabus pro trappeso quolibet», da detrarre dal suo salario durante il tempo della sua attività, con la condizione che, se durante questo periodo non fosse stato in grado di scomputarli, lo stesso Michele si sarebbe impegnato a restituire completamente il prestito ricevuto, «sub pena et ad penam unciarum auri decem».40 38 Che ringraziamo anche per l’aiuto offertoci nelle trascrizioni in Appendice documentaria. 39 ASFI, Pelli Bencivenni pergamene, 13, 1430 settembre 3; cfr. infra, Appendice documentaria, 4 e la tav. 3. 40 Metà della pena doveva andare al tribunale del regno di Napoli o a quello in cui venisse fatto il reclamo o la querela. L’altra metà alla parte lesa o ai suoi eredi, pagata al notaio rogante Andrea, quale funzionario pubblico. NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO 151 Ma perché il montaionese Iacopo di Vivaldo doveva essere garantito dal bicchieraio gambassino e chi era Michele di Matteo? La risposta alla prima domanda è semplice: Iacopo, appena quattordicenne, aveva necessità della tutela da parte di un maggiorenne e, quindi, si affidava a Michele che, all’epoca, doveva trovarsi a Napoli a esercitarvi il mestiere. Inoltre avrà sicuramente giocato un ruolo importante la solidarietà che si istaurava tra lavoranti nello stesso mestiere, per di più valdelsani in terra straniera. Le famiglie dei due avevano avuto sicuri punti di contatto in Valdelsa: Agnola, la moglie di Michele, era figlia del montaionese Antonio di Rosso41 e, nel territorio di Montaione, deteneva terreni che confinavano con quelli di colui che parrebbe lo zio di Iacopo, il già citato bicchieraio montaionese Marco d’Antonio di Marco.42 È inoltre probabile che vi fossero anche legami parentali, al momento non documentabili. Una frase nella dichiarazione catastale di Michele del 1427 è rivelatrice del perché tre anni dopo, all’avanzata età di 61 anni, fosse costretto a emigrare a Napoli: «e sono lavorante di bi⟨c⟩hieri e sono ingumai po⟨c⟩ho ri⟨c⟩hiesto»;43 e la capitale partenopea era certamente una meta migratoria tenuta in considerazione dai vetrai valdelsani.44 Le prime tracce della famiglia di Michele di Matteo le troviamo nell’estimo gambassino del 1383, ma non sappiamo se il padre già esercitasse il mestiere di vetraio.45 Nell’estimo del 1401, vi è un accenno più preciso ai 41 Il 14 settembre 1417, a Gambassi, Agnola di Rosso da Montaione, moglie di Michele di Matteo, bicchieraio, all’atto di ricevere l’eredità della madre Ciosa, chiede in mondualdo il marito (ASFI, Notarile Antecosimiano, 7471, c. 67). 42 ASFI, Catasto, 96, c. 439r; cfr. infra, Appendice documentaria, 3. 43 Ibidem. Anche il quarantenne bicchieraio gambassino Mariano di Niccolò di Nome, più o meno nella stessa epoca, si trovava a Napoli: «il detto Mariano è a lavorare a Napoli per potere soperire alle spese bisogniano a detta sua famiglia» (ASFI, Catasto, 101, c. 90r). Cfr. anche MUZZI, La condizione sociale, cit., p. 150. La Napoli angioina, prima, e aragonese, poi, era sempre stata una meta privilegiata dei mercanti-banchieri fiorentini, cfr. a tale proposito S. TOGNETTI, La rappresaglia a Firenze nel secondo Trecento. Due vicende di uomini d’affari in Romagna e a Napoli, in «Mercatura è arte». Uomini d’affari toscani in Europa e nel Mediterraneo tardomedievale, a cura di L. Tanzini e S. Tognetti Viella, Roma, 2012, pp. 249-270; ID., L’economia del Regno di Napoli tra Quattro e Cinquecento. Riflessioni su una recente rilettura, «Archivio Storico Italiano», CLXX (2012), 4 (634), pp. 757-768; ID., Il Mezzogiorno angioino nello spazio economico fiorentino tra XIII e XIV secolo, in Spazi economici e circuiti commerciali nel Mediterraneo del Trecento, a cura di B. Figliuolo, G. Petralia e P.F. Simbula, Amalfi, Centro di Cultura e Storia Amalfitana, 2017, pp. 147-170. 45 ASFI, Estimo, 241, c. 290r. All’epoca la famiglia è composta dal capofamiglia Matteo di Boncio (di 40 anni), dalla moglie Giana (di 36 anni) e dai figli Caio (di 8 anni), Michele (di 7 an44 152 FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI beni posseduti: «Una casa posta in Gambassi […] vale £ .50.» e «Uno pezzo di terra posta a Meletta, staiora 8 […] £ .25.».46 Ma è in quello del 1412, nella quale il quarantenne Michele appare come capofamiglia,47 che i dati sui beni posseduti sono un po’ più abbondanti e ammontano a un valore totale di circa 21 fiorini.48 Tra il 1414 e il 144249 Michele di Matteo, detto Ciola – soprannome che fu attribuito anche a figli e nipoti – compariva spesso tra i testimoni dei rogiti notarili che avevano quasi sempre come attori e testimoni altrettanti bicchierai, pratica solidaristica già notata in precedenza.50 In un atto del 1417 veniva, per la prima volta, definito «bicchieraio».51 La portata catastale del 1427,52 scritta di sua «propria mana», registra le proprietà detenute: una casa posta nel castello di Gambassi del valore di 40 fiorini; un pezzo di terra «ulivato e vignato e a⟨r⟩borato» nel luogo detto Meletta, del valore di 40 fiorini, che gli rendeva all’anno 7 staia di grano, 6 barili di vino e mezzo orcio d’olio; un pezzo di terra «ulivato, vignato e alborato» nel comune di Montaione, nel luogo detto la Valle, di proprietà della moglie, del valore di 10 fiorini, che gli rendeva all’anno 3 staia di grano, 4 barili di vino e una «panata» d’olio; per un valore immobiliare totale di 90 fiorini. Ha tuttavia ni), Antonio (di 6 anni), Menico (di 5 anni) e Berto (di 4 anni). Quanto al patrimonio posseduto, vi è solo l’accenno alla Lira che vi si applicava: «Valent eius bona libras quindecim». 46 ASFI, Catasto, 733 (che contiene rilegato l’Estimo gambassino del 1401), c. 188v. 47 Gli altri componenti sono la moglie Agnola (di 28 anni), i figli Antonia (di 6 anni), Piera (di 4 anni), Matteo (di 2 anni) e la madre Giana (di 60 anni) (ASFI, Estimo, 249, c. 828v). 48 «Una casa in Gambassi a .j. via, a .ij. Iacopo di Petro Bindi, a .iij. Bartolo Pieri, a .iiij. Matteo di Tonto; vale lire trentacinque _ £ .35. | Item uno pezo di terra posto in Melleta, staiora otto a .j. via, a .ij. Antonio d’Alberto, a .iij. botro; vale lire trenta _ £ .30. | Item uno pezo di terra posto nel comune di Montaione staiora due, a .j. via; fu d’Antonio di Rosso; vale lire venti _ .20. | Tenuti i detti beni già è anni venti a ancha salue questa ultima partita di questo pezzo della terra venne di questa di Montaione già è anni quatro» (ibidem). 49 ASFI, Notarile Antecosimiano, 12026, cc. 49r-50r (28 agosto 1414); ivi, 12026, c. 97r (14 agosto 1419); ivi, 20821, cc. sciolte a fine volume (1 gennaio 1419[20]); ivi, 12028, cc. 42r- 43v (14 maggio 1442). 50 Cfr. supra, pp. 8-9 e note 31-32. 51 Il 29 agosto 1417, Nanni e Lorenzo, fratelli, figli di Antonio di Mannino, entrambi bicchierai, Michele di Matteo, bicchieraio, Stefano di Bartolo, beccaio, Lorenzo di Santi, bicchieraio, eleggevano procuratore Antonio di Iacopo, bicchieraio, per reperire un prestito di 25 fiorini (ASFI, Notarile Antecosimiano, 7471, cc. 66v-67r). In un ulteriore atto del 1421, era implicato con altri nella vendita di una casa nel castello di Gambassi (ivi, 20831, c. 5). 52 ASFI, Catasto, 101, c. 249r, e ivi, 169, cc. 413v-414r. La famiglia, oltre che da Michele (58 anni), è composta dalla moglie Agnola (40 anni) e dai figli Giovanni (14 anni), Bartolomeo (8 anni), Iacopo (4 anni) e Andrea (2 anni). NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO 153 Boncio q.1383 Matteo [n.1343],1383,[q.1412] ∞ Giana [n.1347],1383-1412 Caio [n.1375],1383 Michele [n.1376],1383-1442, q.1444 ∞ Agnola d'Antonio di Rosso [n.1384],1412-1460,[q.1469] Piera Matteo Antonia Giovanni [n.1406],1412 [n.1408],1412 [n.1410],1412 [n.1413],1427-1480, q.1487 ∞ Caterina [n.1418],1427-1480 Antonio [n.1377],1383 Bartolomeo [n.1419],1427 Menico [n.1378],1383 Iacopo [n.1423],1427 Berto [n.1379],1383 Andrea [n.1425],1427-1450, q.1458 ∞ Bice di Ciuccio di Friano 1450-1469 Piera Bilia Lena Antonio Michele Bartolomeo [n.1440],1444-1480, q.1487 [n.1450],1460-1469 [n.1452],1460 [n.1454],1460-1469 [n.1451],1460 [n.1455],1460 ∞ Vaggia d'Antonio di Filippo [n.1453],1466-1487 Andrea [n.1472],1480-1504 Caterina [n.1474],1480-1487 Antonia [n.1476],1480-1487 Lisabetta [n.1478],1480-1504 ∞ Iacopo di Martino [n.1472],1504 Fig. 2. La famiglia del bicchieraio gambassino Michele di Matteo. un indebitamento di oltre 22 fiorini che gli riduce l’imponibile a circa 67 fiorini. Tra i creditori compare anche Marco d’Antonio da Montaione, il presunto zio di Vivaldo, il minore che, di lì a poco, avrebbe garantito a Napoli. Dopo la trasferta ‘napoletana’, ritroviamo Michele, tra i testimoni di un atto stipulato a Gambassi il 14 maggio 1442,53 ma dopo appena due anni risulta defunto, all’approssimativa età di 70 anni. Oretta Muzzi descrivendo, sulla base del catasto del 1427, le condizioni economiche dei bicchierai gambassini del gruppo dei «mediani»,54 sostiene che: La varietà di condizioni economiche del gruppo dei «mediani» è, infine, rappresentata dalle famiglie con un imponibile che si avvicinava alla cifra più bassa della loro classe di reddito. Per questo motivo le tre famiglie di Michele di Matteo, Giovanni di Matteo e Meo di Chelino erano più simili come status ai «poveri» che ai più fortunati tra i «mediani». Intanto, al contrario di quest’ultimi, non sembrano poter cambiare la condizione di «lavoranti a soldo» mentre comincia a farsi evidente il carico dei debiti, superiori in ogni caso ai crediti.55 Come indicato, anche Michele rientra fra coloro che erano e rimarranno «lavoranti a soldo», indebitati e che, per sostenere la famiglia, avevano l’esi- 53 Cfr. supra, nota 49. Quelli cioè compresi nella classe di imponibile tra 51 e 200 fiorini (MUZZI, La condizione sociale, cit., p. 144). 55 Ivi, p. 148. 54 154 FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI genza di integrare i proventi derivanti dall’attività vetraria con quelli provenienti della coltivazione diretta dei pochi terreni di proprietà. Le vicende familiari successive non fanno che confermare il mantenimento, da parte dei figli, del medesimo status sociale, più vicino ai «poveri» che ai «mediani», se non denotano, addirittura, un peggioramento delle condizioni economiche. Nel 1444, Agnola, rimasta vedova di Michele, dichiara le stesse proprietà gambassine, ma non più quelle montaionesi, per un imponibile totale di soli 45 fiorini.56 Il figlio Giovanni, anch’egli detto «Ciola» – ma probabilmente anche Andrea – proseguiva il mestiere paterno, nel 1455 era, infatti, definito «bicchieraio».57 Nel 1450, Andrea si sposava con Bice di Ciuccio di Friano,58 il cui fratello Domenico, ancora nel 1487, all’età di 55 anni, veniva definito «lavorante di bichieri».59 Solo sette anni dopo, Andrea moriva, cosicché la madre Agnola, per appianare le controversie con la nuora,60 che riguardavano anche la restituzione della dote, nel giugno del 1458 era costretta a vendere la propria abitazione,61 i cui proventi servi- 56 ASFI, Catasto, 632, c. 619r. Al tempo la famiglia era composta dalla vedova (65 anni) e dai figli Giovanni (35 anni) e Andrea (20 anni), dalla moglie di Giovanni, Caterina (26 anni), e dal loro figlio Bartolomeo (4 anni). 57 ASFI, Notarile Antecosimiano, 15077, c. 260r. Come il padre, anche i figli presenziarono in qualità di testimoni in vari rogiti notarili con vetrai gambassini come attori e testimoni: Giovanni, ibidem (13 aprile 1455); ivi, 785, c. 77r (16 ottobre 1446); ivi, 12028, c. 53r (29 giugno 1447); ivi, c. 58r (23 novembre 1448); ivi, c. 98 (22 aprile 1455); Andrea, ivi, c. 70v (20 settembre 1450). 58 Ivi, 12028, c. 66r (4 giugno 1450). Il giorno successivo al matrimonio, Bice, vedova di Antonio di Francesco di Domenico, dopo aver nominato per mondualdo il nuovo marito, otteneva dall’ex cognato, Piero di Francesco di Domenico, la restituzione dell’ultima quota sulla sua dote di 50 fiorini (ibidem). 59 ASFI, Catasto, 1098, c. 760r. 60 Il 27 giugno 1458, alla presenza del testimoni Bartolomeo di Niccolò di Ghino [dei Buonamici], Baldassarre di Matteo di Iacopo, Matteo di Barone [tutti bicchierai], Agnola vedova di Michele di Matteo di Boncio detto Ciola nominava mundualdo Francesco di Niccolò di Bartolomeo da Catignano. Mentre Bice vedova di Andrea di Michele di Matteo di Boncio nominava mundualdo Goro di Piero di Tommeo alias Galletto [bicchieraio]. Infine la detta Agnola con il figlio Giovanni e la detta Bice compromettevano le loro vertenze in Carlo di Niccolò de’ Carducci di Firenze (ASFI, Notarile Antecosimiano, 12027, cc. 239r-240v; e ivi, 12028, cc. 125r-125v). 61 Agnola, in quel fatidico giugno del 1458, il giorno 7, nominava mundualdo il bicchieraio Giorgio di Nanni di Giorgio (su di lui, nonno materno di Becuccio bicchieraio, vedi CIAPPI, MORI, «Becuccio bicchieraio da Gambassi», cit., pp. 32-41) e poi nominava suo procuratore Benedetto di Domenico di Giusto (ASFI, Notarile Antecosimiano, 12028, cc. 123r-123v); il seguente 18 giugno, vendeva a Vivaldo di Nanni di Paolo da Montaione, ma abitante a Gambassi, la casa nel castello di Gambassi con terreno, palchi, stalla, situata nella Via di NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO 155 rono soprattutto per il sostentamento dei nipoti orfani, come viene specificato nella portata catastale di Agnola del 1460,62 i quali, evidentemente, non avevano seguito la madre, ma erano rimasti accasati con la nonna. Sempre in questa portata, Agnola dichiarava ancora il possesso del terreno a Meletta, ma anche di aver ancora da restituire alla nuora Bice 30 fiorini di dote. Nel frattempo il figlio Giovanni aveva formato una propria famiglia e, come si desume dallo stesso catasto del 1460,63 aveva acquistato una casa nel castello di Gambassi dal noto bicchieraio gambassino Giorgio di Nanni, per 30 fiorini.64 Tra il ’60 e il ’69 perdeva la vita anche la madre Agnola, tantoché nel 1469 troviamo alcuni dei nipoti, figli di Andrea, accasati con lo zio Giovanni.65 Questi possedeva la casa e, ora, anche il terreno a Meletta, ma, al pari della madre, aveva sempre da restituire i 30 fiorini della dote alla cognata Bice. Nella sua dichiarazione fiscale del 1480,66 Giovanni veniva così descritto: «Non exercita la persona sua perché è decrepito e cieco e truovasi debito più di lire cento a più persone». È plausibile pensare che la cecità dichiarata sia una malattia professionale, contratta cioè stando a stretto contatto visivo con il calore della fornace e l’incandescenza della massa vitrea.67 La condizione di indebitamento aumentava, tantoché, come dichiarato, tutte le figlie di Bartolomeo erano prive della dote. Anch’egli, soprannominato Mezzo, per 52 fiorini d’oro (ivi, c. 123r). Vedi anche ASFI, Catasto, 854, c. 658r, per l’acquisto della casa dichiarato da Vivaldo di Nanni di Paolo nel 1460. 62 «[…] e detti denari si sono logati in grano, pane, vino, charne, […] per fare le spese a figluoli che rimasono di detto Andrea» (ivi, c. 484). Al tempo la famiglia era composta da Agnola (70 anni) e dai nipoti, figli di Andrea, Piera (10 anni), Antonio (9 anni), Bilia (8 anni), Lena (6 anni), Michele (5 anni). 63 Ivi, c. 554r. Il nucleo familiare era composto dallo stesso Giovanni (42 anni), dalla moglie Caterina (34 anni) e dal figlio Bartolomeo (14 anni). 64 Casa che aveva acquistato anche grazie a un prestito di 15 fiorini, ottenuto da certo «Nichola di Pino Chaponi» (ibidem). Come già detto, Giorgio di Nanni era il nonno materno di Becuccio bicchieraio. 65 ASFI, Catasto, 937, c. 599r. La famiglia era composta da Giovanni (60 anni), dalla moglie Caterina (40 anni), dal figlio Bartolomeo (30 anni), dalla di lui moglie Vaggia (16 anni) e dalle nipoti Piera (20 anni) e Lena (16 anni). 66 Ivi, 1033, c. 144r e 1039, c. 133r. La famiglia era composta da Giovanni (70 anni), la moglie Caterina (50 anni), il figlio Bartolomeo (40 anni), sua moglie Vaggia (26 anni) e i ,nipoti figli di Bartolomeo, Andrea (8 anni), Caterina (6 anni), Antonia (4 anni) e Lisabetta (2 anni). Se nelle varie dichiarazioni fiscali si confrontano le età dei maggiorenni, queste risultano tutte assai approssimative. 67 Cfr. MUZZI, La condizione sociale, cit., p. 153. 156 FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI «Ciola», nel 1471 veniva indicato come «bichieraio».68 Il 23 agosto 1466 si era sposato con Vaggia di Antonio, figlio del notaio gambassino ser Filippo di Andrea.69 Tra l’80 e ’87, non solo moriva Giovanni, ma anche il figlio Bartolomeo, per cui la dichiarazione fiscale del 1487 fu intestata ad Andrea di Bartolomeo che, pur dichiarandosi di 12 anni, in realtà doveva averne 15.70 La dichiarazione fiscale del 150471 non fa che confermare la parabola discendente della famiglia: l’unico componente era Andrea di 32 anni che, come dichiarato, «non fa nulla». Possedeva solo metà della casa di abitazione e il pezzo di terra a Meletta era stato costretto a venderlo per costituire la dote di 50 fiorini (di suggello) dell’ultima sorella Isabetta, che si era sposata con un certo «Iacopo di Martino Fontani da Turino di Savoia, scharpellino in Ghanbassi», dove vi si era trasferito due anni prima.72 La notizia è interessante perché proprio in questo periodo iniziavano i lavori di rifacimento e ristrutturazione della pieve di Santa Maria a Chianni, per cui la presenza a Gambassi di uno scalpellino straniero può essere correlata all’avvio di questo importante cantiere.73 Nel terminare questo lavoro, vorremo far notare come anche tra i bicchierai gambassini si registrino inevitabilmente sia ascese che discese sociali: mentre Lancillotto di Marruccio, definito «maestro», era il titolare di un’officina vetraria e i suoi figli non fecero che incrementare le proprietà di famiglia, Michele di Matteo, il figlio e il nipote permanevano nella condizione iniziale di «lavoranti di bicchieri», finché il pronipote Andrea finì per erodere anche le pur modeste proprietà familiari. 68 ASFI, Notarile Antecosimiano, 786, c. 65v (8 gennaio 1470[71]). Anche per Bartolomeo vale quanto detto per il padre e il nonno: era spesso presente come testimone in atti notarili quasi sempre di e tra bicchierai: ibidem; ivi, 12027, cc. 253r-257v (3 gennaio 1461[62]); ivi, 12028, c. 175v (5 aprile 1467); ivi, c. 176v (19 luglio 1467); ivi, 786, cc. 65v-66r (9 gennaio 1471[72]). 69 Ivi, 12028, c. 171v. 70 ASFI, Catasto, 1098, c. 711r. Oltre ad Andrea, i componenti familiari erano la madre Vaggia (34 anni) e le «sirocchie» Caterina (13 anni), Antonia (10 anni), Isabetta (8 anni). Le proprietà immobiliari rimanevano le stesse. 71 ASFI, Decima Repubblicana, 274, c. 565r. 72 Ivi, 677r. Iacopo aveva 32 anni e la moglie Isabetta 26 anni. La casa l’aveva comprata nel 1502 dal bicchieraio gambassino Biagio di Corso, per 30 fiorini (di suggello), con rogito di ser Benedetto Tempi. 73 Cfr. S. MORI, Antonio Zeno, i Soderini ed il restauro della pieve di Santa Maria di Chianni, «Rassegna Volterrana», LXXI-LXXII (1994-1995), pp. 15-33. NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO 157 APPENDICE DOCUMENTARIA 1 Gubbio, 4 maggio 1469 Lettera del 24 aprile 1469, con la quale Federico da Montefeltro conte di Urbino ordina al suo luogotenente di Gubbio di far rispettare il contratto stipulato con maestro Lancillotto circa il monopolio dell’attività vetraria nella contea di Urbino. SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI GUBBIO, Comune di Gubbio, Riformanze, 28, c. 29r. [Sul margine sinistro] Littere illustris domini nostri cum capitulis quibus dominatio sua conduxit magistrum Lancillottum ad laborandum Callii de vitriis. Spectabilis dilectissime noster. Per altra ve scriviamo de la continenza de questa, commo havemo conducto maestro Lancilotto, presente latore, a lavorare a Cagli de vetro et con lui havemo capitoli; perfinché lavorare farli boni questi capitoli et cusì li obsirvarite, fateli bandire e fateli registrare. Et prima che non sia lecito a niuna persona fintanto che lui farà dicto mistero che possa fare ne far fare nel nostro tereno el dicto mistero, né exercitii de vetri se non lui, sotto pena de d⟨i⟩ece fiorini per omne volta se contrafata da applicarse ala camera sua.74 Item che non possa né sia lecito ad alcuno condurre né fare condurre nel nostro tereno alcuna quantità de vetri sotto pena de diece ducati d’oro da applicare a la nostra camera. La quale pena se possa rescotere quante volte fosse contrafatto, excepto vetrii cristallinii, che questi possa condurre chi vuole pagando li debiti pasaggi. Item che non sia lecito ad alcuno cavare né far cavare de for del nostro tereno alcuna quantità de vetrii rotti, sotto pena d’uno fiorino per volta da applicarse a la nostra camera. Item che sia lecito a ciascuni vendere tucto el vetrio che se retrova al presente in le loro butighe senza pena alcuna. Et volemo che el dicto maestro Lancillotto per questa volta lasciate passare liberamente cum le sue robbe e massaritie excepto vetrii senza pasaggio e pagamento alcuno. 74 Forse sua corretta su precedente parola, sovrapposizione che ne rende incerta la lettura. 158 FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI Urbinii, .xxiiij. aprilis .1469. Federicus Montisferetri Urbinii Durantisque comes ac serenissime Lige capitaneus generalis et cetera. Attergo: Spectabili dilettissimo Locumtenenti nostro Eugubii. Die .iiij. mai registratum da mandato spectabili Marchetti propter absentiam domini Locumtenenti. 2 Firenze, 7 febbraio 1449[50] (indizione 13ª), Costituzione presso la città di Cagli della società vetraria fra il bicchieraio Marco d’Antonio di Marco da Montaione e messer Angelo Galli da Urbino. ASFI, Mercanzia, 10831, c. 15r. Ed.: G. TADDEI, L’arte del vetro in Firenze e nel suo dominio, Firenze, Le Monnier, 1954, pp. 95-96. .Mccccxlviiij., indictione .xiijª., die .vij. februarii. Marcho per adrieto d’Antonio di Marcho, bichieraio da Montaione, fu confesso et riconobbe oggi questo dì soprascripto avere avuto et ricevuto in accomanda et a lui essere suti accomandati et messi nelle mani dalo spectabile cavaliere messere Agnolo de Galli da Urbino la quantità di fiorini trecento d’oro a ragione di quaranta bolognini vechi per fiorino, per quelli traficare nella città di Chagli della Marcha in una fornace overo bottegha del suo mestiere cioè bichieraio, per tempo et termine d’anni cinque incominciati a dì cinque del presente mese di febraio. Et con pacti modi et condictioni che il detto Marcho da una parte et Piero d’Arcangelo da Urbino, come procuratore et procuratorio nomine del decto messere Agnolo, come disse apparire carta per mano di ser Matheo di ser Giuliano da Urbino, notaro publico, dal altre, dissono contenersi per una scripta privata fatta decto dì cinque tralle decte parti, detti modi e nomi, alla quale si riferirono. Et disse et protestò il decto Piero, decto nome et pro et a vice et nome del decto messere Angnolo, che per alcuno contracto obligho o acto che si facesse per detto Marcho per cagione di decta accomanda o sue dipendentie, esso messere Agnolo non intende né vuole in alcuno modo essere tenuto né obligato se non solamente per la decta quantità accomandata et pel guadagno di quella et fra quel tempo che di sopra si dice et non per più né altrimenti in alcuno modo. Et in tucto et per tucto disse protestò e fece il decto Piero, in detti modi et nomi, come et quanto dire protestare et fare era tenuto et dovea secondo il bisogno della leggie et riformatione che parla della presente materia. NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO 159 Et vollono le decte parti che di decta accomanda si facesse scriptura nel presente libro per me Rigogl⟨i⟩o di Bartolo di Rigogl⟨i⟩o, cittadino et notaro fiorentino, coadiutore et come coadiutore del prudente huomo ser Paolo Cini, Cancelliere della Marcatantia et Università de’ mercatanti della ciptà di Firenze al presente absente, et così feci. Facte furono le predecte cose nel palagio et corte di decta Università, apresso al bancho della Cancelleria di decta Università, anno indictione et dì soprascripti, presenti testimoni alle predecte cose avuti et chiamati ser Francescho di Piero di Iacopo Pimpi, cittadino et notaro fiorentino, et Antonio di Signorino di Manno et Boninsegna di ser Niccolò Actavanti, guardiani degli acti di decta Università, et Giovanni d’Alleprandi. 3 Montaione, 5 agosto 1427 Dichiarazione fiscale del bicchieraio Marco di Antonio di Marco da Montaione. ASFI, Catasto, 96, cc. 439r-441v. [c. 439r] Chomune di Montaione a .v. d’agosto .mccccxxvij. [Dinan]çi a voy signory ufitialy eletty per lo populo e comune di Firençe sopra al catasto yvy da piè diescriverò tuty e miey beny mobily e inmboly. [Ch]uesti sono i beny e mobily e inmobily di Marcho d’Antonyo di Marcho da Montaione e di Salvadore suo nypote del chomune di Montaione, podestarya di Barbialla, chuartiery di Santo Ispiryto, piviery di Frabicha; à d’estimo s .27. Item una chasa posta in nello chastello di Montaione chonfinata chon chuesti chonfiny: da prymo via, da sychondo Crystofano di Checho del deto luogo, dal terço Antonyo di Gerardo da Santa Marya Inpruneta abitante in Montaione, dal chuarto prete Piero chapellano della chapella della vergine Marya di Montaione, la chuale chassa aoperyamo per nostro usso con certe mye masaryçe cho my bisongna perlla chasa, valale fiorini _ .25. Uno peço di tera a luogo deto alla Valle, di staiora chuatordicy en cercha fra lagorativa e v⟨y⟩ngnata e soda e bosschata e machie con ulyvy, chon chuesti chonfiny: da prymo via, da sychondo monn⟨a⟩ Angnola donna di Mychele di Mateo da Ganbassy, dal terço e chuarto mona Lysa donna che fue di Donato di mona Cecha da Chastello fior⟨en⟩tino, da chuynto fossato da ly a in suso la deta terra e à una chaseta da tenere istrame, òne di rendita l’anno istaia sei di grano, baryly tre di vyno, e uno meço orço d’olyo, di stima fioryny ventidue _ f .22. Uno peço di terra posto a luogo deto a Cholly, di staiora dodisy, lagorativa e vyngnata e soda e machie e bosschata la maçore parte, chon chuesti chonfiny: da 160 FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI prymo via, da sychondo Domenycho di Donato, da terço Leonardo di Nanny di Marcho e fratelly, da chuarto Gyrolamo di Nanny, da chuynto forssato d’Alya, òne di rendita l’anno istaia due di grano, baryly due di vyno, e uno chuarto orçio d’olyo, istimata fioryny otto _ f .8. Uno peço di terra posto a luogo deto inn Alya, d’uno istaioro tuto è machia, chon chuesti chonfiny: da prymo via, da sichondo e terço prete Andrea da Volterre abitante a Samynyato, da chuarto fossato d’Alya, istimato soldi diese _ s .10. || [c. 439v] Item uno peço di terra posto a luogho deto alla Volta a San Biaso di staiora tre lagorativa e vyngnyata e ulyvata chon chuesti chonfiny fa prymo via, da sychondo mona Chateryna donna che fue di Gamyno da Montaione, da terço e chuarto l’erede di mona Giovanna donna che fue di Iachopo ser Ciardi òne di rendita l’anno istaia due di grano, baryly cinchue di vyno, olyo uno chuarto orço; istimata fyoryny chuatordisy _ f .14. Uno peço di terra posta a luogo detto Faeta istaioro uno tuto machia chon chuesti chonfiny da prymo via da sychondo fossato da d’Alya, da trerço prete Andrea dal Volterre abitante a Samynyato istimato soldi diese _ s .10. Uno terço fatioio posto in nello chastello di Montaione per non divyso chon chuesti chonfiny da prymo via, da sychondo l’erede d’Abramo d’Andrea e Neto(?) di Meone dal terço muro del chastello di Montaione dal chuarto Papo di Guyntino abitante Areço, di rendita uno meço orço d’olio istimato fioryny sey _ f .6. Uno meço chavallo per non divyso tra me e Chomacio d’Antonio Baldi da Montaione e chuale chavallo tiene el deto Chomacio istimo da parte mia lyre diese _ £ .10. | [c. 440r] Capo Marcho d’Antonyo di Marcho sono d’atà d’anny _ .38. Beta mya donna d’atà d’anny _ .25. Checha mya filglyola d’atà mesy _ .2. Salvadore myo nypote d’atà d’anny _ .16. Iachomo myo nipote d’atà d’anny _ .10. mona Marya mia matryngna d’atà d’anny _ .67. Tute chueste boche istanno a mie spesse di me Marcho | [c. 440v] Marcho d’Antonyo di Marcho [Scrittura dei funzionari del catasto] Adì 6 d’aghosto, quartiere di Santo Spirito, piviere di Fabricha, comune di Montaione. Marcho d’Antonio à d’estimo soldi .27. Messo a libro c. .438. | [c. 441r] [Quartier]e Santo Spirito, pivieri di Fabricha podestaria di Barbiala. Dinanzi noi signori oficiali eletti sopra il catasto per parte di Marcho d’Antonio di Marcho, Salvadore di Vivaldo da Montaione. Agiunghano sopra a la loro iscritta data questi beni: Item uno peçço di terra posta nelle pendie di Montaione e luogho detto a la Valle istaiora quatro, primo via, .2. Meio di Piero, .3. ser Ciucio di Bartolo- NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO 161 meo, .4. il detto Meio, .5. e .6. monna Lisa donna che fue di Donato, di stima di fiorini sette, denari _ f .7., d –. Item uno peçço di terra soda e boscata posta nelle pendie di Montaione e luogho detto Ciamberti, staiora quatro, primo via, .2. ser Agnolo di ser Franciesco, .3. la pieve di Montaione, .4. Matteio di Crisperansano, di stima fiorini uno, denari _ f .1., d –; sono di rendita l’anno, per di meçço: barili due di vino, staia due di grano. Item à di mobile uno paio di bueielli vechi di stima di fiorini dieci, denari – tiene Pavolo di Bartolo da Montaione, i quali denari mi prestò perché io li comperassi Crisperansano di Filippo da Castelfalfi a ragione di .10. per cento _ f .10., d –. | [c. 441v]75 | [c. 442r] Marcho d’Antonio di Marcho da Montaione agiugane alla sua portata in tutti suoi beni f dieci, d. E per lui gli agiunse Agnolo di Righo suo prochuratore _ f .10., d –. | [c. 442v] Quartiere Santo Spirito, piviere di Fabricha, comune di Montaione. Agiunta di Marcho d’Antonio di Marcho. A libro a c. .438. 4 Napoli, 3 settembre 1430 Iacopo di Vivaldo da Montaione, vetraio a Napoli, stipula un contratto di lavoro con Iacopo di Cacaconte detto Recupido e Antonello di Campolo proprietari di una vetreria, garantito dal vetraio Michele di Matteo da Gambassi. ASFI, Pelli Bencivenni pergamene, 13. Yhesus. In nomine Domini nostri Ihesu Cristi, amen. Anno a nativitate eiusdem millesimo quadringentesimo tricesimo. Regnante serenessima domina nostra Iohanna secunda, Dei gratia Hungarie, Ierusalem et Sicilie, Dalmatie, Croatie, Rame, Servie, Galitie, Lodomerie, Comanie Bulgarieque regina provintie et Forcalquerii ac Pedemontis comitissa regnorum, vero eius anno decimoseptimo feliciter amen. Die tertio mensis septembris, none indictione, Neapolis. Nos Lisulus de Samandarus de Neapolis ad cunctractus iudex, Andreas de Afelatro de dicta civitate Neapolis publicus ubilibet per totum regnum Sicilie 75 Carta in bianco. 162 FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI reginali auctoritate notarius et testes subscripti ad hoc specialiter vocati et rogati, presenti scripto publico declaramus et notum faciamus et testamur quod, predicto die, in nostri presentia constitutis Iacobo de Vivaldo de Monte Ayonis de ducato Florentie vitrario Neapolis commorante, ut dixit agente pro se eiusque heredibus et successoribus, ex una parte, conscensiente prius in nos prefatos iudicem et notarium ut in suos, contractus est per cautelam cum sciret nos suos in hanc parte non esse et nostram iurisditionem et officium voluntarie prerogando, et Iacobo, Cachaconte dicto, de Recupido et Antonello de Campulo de Neapolis, agentibus similiter pro se ipsis et quolibet ipsorum eorumque et cuibuslibet ipsorum heredibus et successoribus, ex parte altera. Prefatus vero Iacobus de Vivaldo sponte, coram nobis, locavit opera et servitia sue persone et se firmavit ad standum et laborandum cum dictis Iacobo et Antonello, ibidem presentibus et conducentibus ac recipientibus et stipulantibus pro se ipsis et eorumque heredibus et successoribus in arte seu ministerio faciendi vitrum in vitreria ipsorum Iacobi et Antonelli, incipiendo a die quo ipsi Iacobus et Antonellus incipient poni facere ignem in fornace nova per eos primo fienda in vitreria predicta et usque in diem quo elevabitur ignis a fornace predicta. Cum pactis et declarationibus infrascriptis habitis et expressis firmatis inter partes predictas, videlicet: quod prefatus Iacobus de Vivaldo teneatur et debeat, et sic coram nobis sponte promisit eisdem Iacobo et Antonello et cuilibet ipsorum, ibidem presentibus recipientibus et stipulantibus ut supra, incipere ad laborandum in vitreria predicta ad omnem ipsorum Iacobi et Antonelli, vel alterius ipsorum, requisitionem et voluntatem simplicem vel solemnem, ibique sollicite et fideliter laborare durante tempore supradicto, die noctuque, ut consuetum est, et non recedere a labore predicto durante dicto tempore aliqua ratione vel causa. Et ubi et in casu quo dictus Iacobus non laboraret in dicta vitreria durante dicto tempore, seu infra tempus predictum recederet a labore predicto, in ipso casu Michael Matthei de Gambassi de comitatu Florentie vitrarius, ut dixit ibidem tunc presens, promisit et convenit eisdem Iacobo et Antonello et cuilibet ipsorum presentibus et recipientibus et stipulantibus, ut supra, restituere resarcire et emendare eisdem Iacopo et Antonello et cuilibet ipsorum omnem dapnum quod ipsi Iacobus et Antonellus occasione predicta subirent et et substinerent ad omnem ipsorum Iacobi et Antonelli vel alterius requisitionem et voluntatem simplicem vel solemnem. Et converso prefati Iacobus et Antonellus et quilibet ipsorum in solidum promiserunt et convenerunt, sollemni stipulatione legitima interveniente, eidem Iacobo de Vivaldo, presenti et stipulanti pro se et eiusque heredibus et succesoribus, dare, solvere et assignare eidem Iacopo, vel alteri sui parte, mense quolibet durante dicto tempore pro laboris et fatigiis suis unciam unam de carlenis argenti gillatis boni et iusti ponderis sexaginta per unciam, computatis in pace et sine dilatione et exceptione quacumque. Et nichilominus prefatus Iacobus de Vivaldo, sponte coram nobis, confexus fuit et in NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO 163 veritatis testimonio legitimo recognovit ad interogationem sollemniter et legitime sibi factam per dictum Iacobum et Antonellum ibidem presentes et eumdem Iacobum ex inde interrogantes se presentialiter et manualiter recepisse et habuisse mutuo ac nomine et ex causa veri et puri mutui, gratis gratia et amore a dictis Iacobo et Antonello sibi dantibus, solventibus et numerantibus et mutui nomine assignantibus de propria eorum comuni pecunia, ut dixit, unciam unam et trappesos quindecim de carlenis argenti gillatis boni et iusti ponderis sexaginta per unciam et duobus pro trappeso quolibet, computatis per eumdem Iacobum de Vivaldo excomputandum et excomputandos in dicto suo salario durante tempore supradicto. Cum hac declaratione quod ubi et in caso quo dictus Iacobus de Vivaldo durante dicto tempore non excomputasset dictam unciam unam et prefatos trappesos quindecim de prefatis carlenis argenti in dicto suo salario, quod tunc in ipso casu prefatus Michael teneatur et promisit eisdem Iacobo et Antonello et cuilibet ipsorum presentibus et recipientibus et stipulantibus ut supra, dare, solvere, restituere et assignare de suo proprio eisdem Iacobo et Antonello vel alteri ipsorum aut eorum vel alterius ipsorum heredibus et successoribus seu procuratori legitimo dictam unciam unam et prefatos trappesos quindecim de prefatis carlenis argenti et computati ut supra statim elapso termino supradicto in pace et sine dilatione, exceptione et excusatione quacumque qua sit inter eos coram nobis actum extitit et espresse conventum pro quibus omnibus et eorum singulis fecerunt per ambas partes ipsas et quamlibet ipsarum ac per prefatum Michelem in solidum actendendis, adimplendis et inviolabiliter observandis et contra non veniendo, dicendo, allegando seu opponendo prout ad unamquamque ipsarum partium spectat et pertinet. Ambe partes ipse et quelibet ipsarum sponte obbligaverunt se ipsas et quamlibet ipsarum ac earum et cuiuslibet ipsarum heredes et successores et bona earum et cuiuslibet ipsarum omnia mobilia et stabilia presentia et futura seseque moventia, habita et habenda, ubicumque sita et posita et in quibuscumque consistentia licita et illicita, iura, actiones, mercantias, mercimonia, debita debitoris namque et nomina debitorum, et alia cuiuscumque vocabuli appellationis distinta et etiam ea que sine speciali pacto obligari non possunt una pars videlicet alteri et altera alteri presenti et recipienti et stipulanti ut supra sub pena et ad penam unciarum auri decem, medietatem videlicet ipsius pene, si eam commicti contigat, reginali curie applicandam, aut alteri cuicumque curie ubi fuerit ex inde facta reclamatio seu querela; et reliquam eiusdem pene medietatem parti lese et predicta observanti aut eius heredibus et successoribus integre persolvendam a me predicto notario publico tamquam persona publica per partem dicte curie et dictis partibus pro se ipsis et qualibet ipsarum 164 FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI ac earum et cuiuslibet ipsarum heredibus et successoribus, una pars videlicet ab altera et altera ab altera penam stipulantibus antedictam […].76 Quod scripsi ego prefatus Andreas publicus ut supra notarius qui premissis omnibus et rogatus interfui ipsumque meo consueto signo signavi. (SN)77 " Ego Lisulus de Smandaro de Napolis qui supra Iudex ad contractus subscripsi. " Ego presbiter Marcillus de Ecarto de Neapolis testis subscripsi. " Ego Franciscus de Risio de Neapolis testis subscripsi. [Sul fondo della pergamena] Presentibus iudice Lisulo de Smandaro ad contractus, fratre Domenico Strina, presbitero Marcillo de Ecarto et Francisco de Risio. 76 Segue il consueto formulario dei contratti. 77 Il notaio Andrea di Afelatro appone solo il segno notarile. NOVITÀ SULLA DIASPORA DEI VETRAI VALDELSANI NEL XV SECOLO 1 2 Tav. 1. SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI GUBBIO, Comune di Gubbio, Riformanze, 28, c. 29r. • Tav. 2. ASFI, Mercanzia, 10831, c. 15r. FRANCO CIAPPI – SILVANO MORI Tav. 3. ASFI, Pelli Bencivenni pergamene, 13, 1430 settembre 3. FINITO DI STAMPARE PER CONTO DI LEO S. OLSCHKI EDITORE PRESSO ABC TIPOGRAFIA • CALENZANO (FI) NEL MESE DI LUGLIO 2021 ISSN 0026-5888 ISBN 978 88 222 6796 2