POLITICA & SOCIETÀ
1/2021, 3-16
ISSN 2240-7901
© Società editrice il Mulino
Responsabilità
in tempi di pandemia
Vittoria Franco
Responsibility in times of pandemic
In the first part of this essay, the author provides a theoretical framework on responsibility. The word appeared in the modern era, together with the emerging of a new
type of individual versus the traditional one. In the second part, she focuses on the
concept of responsibility, starting from the experience of coronavirus. During the
pandemic, it has been among the most used words and it appeared as a multiform
concept that includes respect, liberty, relationship, care, accountability, and as a basic
principle of democratic life. It includes especially a form of reciprocity in care and
respect. An interesting interweaving between legal obligation and moral responsibility
as self-persuasion eventually arises. Human vulnerability emerged together with the
necessity of responsibility as mutual concern and care of Earth. It comes out as a
peculiar concept, which represents a coincidence of opposites, as autonomy and limit,
freedom and bonds, rights and duties.
Keywords: Responsibility, Accountability, Respect, Civic Consciousness, Democracy,
Vulnerability.
1. Responsabilità. Un concetto della modernità
Il termine responsabilità è nato in epoca moderna. I maggiori dizionari registrano la presenza del lessema negli anni Settanta dell’Ottocento. In Italia fra i primi a utilizzare l’aggettivo risponsabile e il
sostantivo risponsabilità è stato Ferdinando Galiani nel suo De’ doveri
de’ principi neutrali verso i principi guerreggianti, e di questi verso i
neutrali (1782). Sono soprattutto le grandi rivoluzioni politiche che
fanno emergere con forza la parola “responsabilità” e con una valenza
politica nuova: esercitare un potere in proprio (ad esempio, quello dei
Vittoria Franco
ministri rispetto al re), rendere conto pubblicamente del proprio operato, ma anche: creare un antidoto all’arbitrio. Il Dictionnaire de l’Académie française del 1798, introducendo per la prima volta il termine “responsabilità” nel senso della responsabilità politica, la presenta
come una parola che la Rivoluzione aggiunge alla lingua e la definisce
come “l’obbligo legale di rispondere delle proprie azioni, di essere
garante di qualcosa”. Essa poi cresce e si diffonde nel quadro di un
costituzionalismo che veniva prendendo forma e doveva contribuire
a creare e alimentare una nuova etica pubblica. Se ci si volge indietro
per uno sguardo alla sua storia, si possono osservare le sue numerose
metamorfosi che hanno dato vita a una molteplicità di paradigmi, da
quello giuridico a quello politico, sociale, morale.
La ragione per cui il termine nasce in epoca moderna va cercata nel
fatto che il presupposto della responsabilità è il formarsi di un nuovo
soggetto, con uno statuto individuale del tutto inedito (Franco 2015).
Era necessario cioè che sorgesse un individuo capace di soppiantare
l’individuo “tradizionale”. Tradizionale è l’individuo che cammina su
binari predisposti, che segue regole e costumi preesistenti o il cui agire,
come in epoca antica, era frammisto alla volontà destinale degli dei.
L’individuo che definiamo “moderno” è invece formalmente libero e
autonomo, può decidere del suo destino secondo infiniti possibili, non
è più imprigionato nel ceto di appartenenza, in un ethos chiuso. È in
grado di dare conto delle proprie azioni “in termini di ragioni che spiegano, giustificano e identificano l’azione come azione di quell’agente”
(Bagnoli 2019, 657). La filosofa ungherese Ágnes Heller lo definisce
“contingente” e “casuale” (Heller 1997, 23). Una rappresentazione
efficace viene fornita già da Tocqueville quando descrive il processo
di dissoluzione delle vecchie gerarchie: “L’aristocrazia, sostiene in La
democrazia in America, aveva fatto di tutti i cittadini una lunga catena,
che andava dal contadino al re; la democrazia spezza la catena e mette
ogni anello da parte” (Tocqueville 1998, 516). L’individuo moderno
è quell’anello che va per conto suo, che viene a trovarsi slegato dai
tradizionali ethos, dalle appartenenze che producono certezze o binari
di vita che non consentono scelte. Il salto rispetto all’individuo tradizionale è segnato da quella rottura che produce – ancora con le parole
di Tocqueville – la diminuzione costante del “valore della nascita” e
l’avvicinamento del nobile al plebeo. Un concetto che esprime anche
Marx quando coglie una delle funzioni dell’avvento della borghesia e
4
POLITICA & SOCIETÀ 1/2021
Responsabilità in tempi di pandemia
dell’industrialismo nel creare movimento nelle condizioni sociali dissolvendo le “arrugginite” posizioni precedenti: “Dove ha raggiunto il
dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali,
patriarcali, idilliache. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l’uomo al suo superiore naturale, e non ha
lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo pagamento in contanti” (Marx e Engels 1998, 9). E Derrida pone
anch’egli la rottura con l’ethos come condizione della conquista della
responsabilità individuale: “Niente responsabilità senza rottura dissidente e inventiva con la tradizione, l’autorità, l’ortodossia, la regola o
la dottrina” (Derrida 2008, 65).
Zygmunt Bauman aggiunge un’altra definizione che esprime bene l’essere contingenti degli individui moderni: essi sono “dotati di
identità non-ancora-attribuite, o attribuite in una forma solo abbozzata, facendo fronte così all’esigenza di ‘costruirli’, e di compiere delle
scelte nel corso di tale costruzione” (Bauman 1996, 10). La facoltà
di scegliere, di costruirsi e diventare decisores fa compiere il salto dall’individuo tradizionale all’individuo moderno, da un prodotto della
consuetudine a un individuo che crea il suo destino, che si costruisce
anche in relazione agli altri. L’altra faccia di questo nuovo statuto dell’individuo è però l’incertezza che deriva dal non avere appigli consolidati. L’individuo moderno agisce in un’opacità dovuta al venir meno
di qualsivoglia codice etico universalmente valido. Ci troviamo in una
condizione antinomica di “sapere e non sapere” (Derrida 2008, 62)
che è la situazione dell’indecidibile che determina il sopraggiungere
della responsabilità. L’agire responsabile si presenta come l’assunzione di un rischio.
Le nuove dimensioni che l’individuo acquisisce nella modernità
costituiscono infatti la premessa per la nascita di quello che possiamo definire “individuo responsabile”, che ha superato lo spaesamento che gli deriva dal ritrovarsi senza punti certi di riferimento ed è
consapevole dell’autonomia morale acquisita. È capace di rispondere
dei suoi atti, in senso retrospettivo e prospettico; di assumersi l’onere
di valutare, per quanto possibile, le conseguenze del suo agire su sé
stesso e sugli altri, ma anche di farsi carico di qualcosa o di qualcuno.
L’individuo responsabile è il nuovo soggetto agente della modernità.
È colui che dispone di una conquistata autonomia morale – può dire
“io voglio” – ma è anche consapevole delle relazioni. Non è sempliPOLITICA & SOCIETÀ 1/2021
5
Vittoria Franco
cemente “gettato” nelle relazioni o nella libertà, come pensavano gli
esistenzialisti.
2. Pluralità e limite
La dimensione della responsabilità che risulta subito evidente è
la sua intrinseca ambivalenza; essa contiene dentro di sé libertà e legame; autonomia e relazione; sovranità o potere decisionale e limite.
È difficile privilegiare uno dei due termini dei binomi escludendo
l’altro, se non si vuole ricadere nell’individualismo indifferente o in
una concezione religiosa della responsabilità come oblatività totale e
unidirezionale. In essa vive una coincidenza di opposti. Possiamo dire
che la libertà slega e la responsabilità lega; la libertà mette le ali e la
responsabilità mette il piombo alle ali, cioè pone dei limiti alla sovranità. Limite significa che la libertà non può essere assoluta, ma è necessariamente relativa. L’atteggiamento responsabile non contempla
la sovranità assoluta dell’individuo, avendo come dimensione intrinseca il riconoscimento di altri, di una pluralità di altri. Assumere la
pluralità in etica significa riconoscere l’altro con cui si con-vive, con
cui si entra in relazione, anche quando questa non indica prossimità o
contemporaneità e sincronicità. La responsabilità è pertanto uno dei
principi che presiedono alle relazioni umane e alla convivenza; essa
risulta indispensabile per il vivere civile.
Nelle relazioni con gli altri si trova perciò non soltanto il terreno di
realizzazione del dare “risposte a qualcuno”, ma il luogo concettuale
del costituirsi stesso dell’io morale in quanto soggetto che si assume
l’onere delle scelte divenendo soggetto responsabile. È nelle relazioni
che si costruiscono le modalità della responsabilità, le forme del suo
esercizio, gli oggetti possibili di cui rispondere e avere cura. Nel riconoscimento della pluralità, inoltre, viene a formarsi il limite individuale, come aveva visto Hannah Arendt (Arendt 1991, 7). La responsabilità si misura infatti proprio sul filo del limite. Se in essa è insopprimibile la dimensione della libertà e dell’autonomia individuale, la
risposta, il “farsi carico di” subentra nel momento in cui si lasciano
avvenire e sviluppare la libertà e le capacità degli altri.
I due termini della libertà e del legame con gli altri sono d’altronde
già insiti nel concetto stesso di responsabilità, che ha la sua etimologia
6
POLITICA & SOCIETÀ 1/2021
Responsabilità in tempi di pandemia
nei verbi latini respondeo e sponso, rispondo, prometto, garantisco.
Rispondo o prometto ad altri, garantisco per loro; mi impegno e mi
faccio carico di una cura, di un dovere. Posso farlo se dispongo della
necessaria autonomia e libertà, però devo al contempo riconoscere un
altro, altri, e la loro aspirazione a godere della stessa libertà e autonomia. Più libertà individuali vengono messe a confronto e richiedono
di essere riconosciute. Possiamo dire in sintesi che la responsabilità
implica il venire a giorno dell’individuo sovrano, ma poi occorre superare questo stadio individualistico per fare spazio alla relazione con
l’altro pur senza obliterazione del sé.
È evidente che ci troviamo di fronte a un’accezione positiva della
nozione di limite, che va assunta come possibilità di consentire, fino
a promuoverle, autonomia, libertà, sviluppo delle capacità e diritti
anche per altri. Esso implica il riconoscere che gli altri hanno eguale
dignità. Siamo dunque fuori dall’accezione liberale di libertà e limite
come “non interferenza”, non invasione del campo altrui. Nella responsabilità finiscono per entrare in gioco più libertà, quella dell’io
e quella di altri, che devono trovare la misura del con-vivere da pari.
Responsabilità intesa come coesistenza di libertà e limite può così diventare inclusione, consentire ad altri l’esercizio di libertà e diritti e
– possiamo aggiungere – la soddisfazione di bisogni. Se si assume la
responsabilità come principio guida della convivenza, la libertà che si
conquista viene legata immediatamente all’altro, e talvolta anche alla
“cura dell’altro” (Domenach 1994, 11). Occorre ribadirlo: responsabilità è sapersi liberi individualmente, ma anche consapevoli di essere
immersi in una rete di relazioni insopprimibili. Essa rientra in un tessuto di relazionalità che comprende anche la solidarietà. Che cos’è la
solidarietà se non il riconoscimento dei bisogni di altri e andare in loro
soccorso? È il caso di richiamare una delle definizioni della responsabilità che dà Levinas: “Prendere su di sé (anche, aggiungo io) il destino
dell’altro” (Levinas 1998, 137). Non bisogna dimenticare che nel trittico della Rivoluzione francese, liberté égalité fraternité, quest’ultima
smette di essere solo atteggiamento caritatevole e “si correla a prassi
di giustizia sociale; il che esige la presa in carico dei più vulnerabili da parte dello Stato” (D’Antuono 2020, 83-84). È una solidarietà
che mantiene il senso dell’appartenenza a una comunità senza esserne
schiacciati in una dimensione totalizzante. Si deve parlare piuttosto di
“individuo relazionale” (Loretoni 2018, 6-8) oppure di “articolazione
POLITICA & SOCIETÀ 1/2021
7
Vittoria Franco
di una concezione dell’autonomia nei termini di una teoria di mutuo
riconoscimento” (Honneth 2011, 108).
Si può dunque definire il campo della responsabilità come un
dominio che comprende il sé e l’altro. E quando si parla di “etica
della responsabilità” non si indica niente di acquisito per quel che
riguarda la pratica morale, se non l’idea di una soggettività immersa
nelle relazioni, chiamata a governare l’”essere con” dopo la rottura
con la tradizione e con la normatività generale e imperativa. Entra in
campo quella forma di responsabilità che Hannah Arendt definisce
“facoltà di giudizio” (Arendt 1986, 271).
3. L’esperienza dell’esercizio della responsabilità durante la
pandemia
La vicenda drammatica della pandemia prodotta dal coronavirus
ci ha costretti a fare esperienza e pratica di responsabilità. Nei momenti più drammatici siamo stati richiamati all’esercizio di responsabilità
dalle autorità pubbliche e sanitarie, da opinionisti e influencers. Ci
siamo trovati nella condizione di dover praticare una responsabilità
all’ennesima potenza. Gesti semplici della quotidianità come lavarsi
le mani, attenzione all’igiene personale e dell’ambiente, sono divenuti
oggetto di maggiorata “responsabilità”. In una condizione sicuramente inedita per la natura altamente contagiosa del virus e per la sua
estensione globale, anche i comportamenti pubblici e privati sono stati
sconvolti e la “normalità” quotidiana stravolta. Si sono posti problemi
nel rapporto fra cittadini e istituzioni. Avendo ricevuto prescrizioni
dettagliate su molti aspetti dei comportamenti individuali, non pochi
fra opinionisti e politici hanno denunciato una restrizione illegittima
delle libertà personali, mentre altri richiamavano il rispetto del valore
in quel momento preminente, la salvaguardia del bene primario: la
vita e la salute delle cittadine e dei cittadini, un bene costituzionale
e un dovere per lo Stato in tutte le sue articolazioni, considerato di
interesse superiore anche rispetto ai problemi economici che ne sarebbero derivati.
In tale drammatico frangente, soprattutto nella fase di confinamento rigoroso, si è potuta osservare una nuova esplosione di signi8
POLITICA & SOCIETÀ 1/2021
Responsabilità in tempi di pandemia
ficati e di sfumature del termine responsabilità, anche se si è venuto
a creare un paradosso. Il richiamo ad aderire, responsabilmente, alle
prescrizioni emanate dalle autorità ha creato al contempo uno stato di
“irresponsabilità” o, quanto meno, di alleggerimento della responsabilità personale su altri versanti di attività, come il lavoro, l’istruzione,
e così via. Altri ci dicono cosa fare; a noi tocca ubbidire. Si è creata
una sorta di responsabilità che potremmo definire ossimorica: un’irresponsabilità responsabile. Dovevamo seguire le prescrizioni e dunque
eravamo esonerati dal prendere decisioni in totale autonomia. La responsabilità consisteva nell’assecondare le regole e le prescrizioni che
venivano fornite per il bene comune.
4. Responsabilità. Un concetto polivalente
Una riflessione sulle ulteriori stratificazioni che il termine ha esibito nel periodo pandemico può essere utile ad arricchirne la polivalenza
e la molteplicità di dimensioni che la connotano. Mi limiterò a citarne
alcune, quelle che a me sembrano le più evidenti.
Se si condivide la premessa della salvaguardia del bene considerato
primario, la vita e la salute, osservare responsabilmente le regole indicate dalle autorità competenti è da considerare non solo come un’obbedienza dovuta, ma soprattutto come segno di rispetto per gli altri,
oltre che per se stessi. Anche osservare la distanza di sicurezza rientra
nella medesima categoria: è uno “spazio di rispetto”, che significa “mi
prendo cura anche di te”. Nel termine “cura” si condensano il farsi
carico, il prestare attenzione, l’essere attivi nella ricerca di risposte alle
pretese avanzate dai diversi soggetti, vista l’interdipendenza che connota il vivere in società. Si tratta di una forma di responsabilità individuale che richiede la reciprocità; è la stessa condizione di pandemia,
con gli altissimi rischi di propagazione del contagio, e la ri-scoperta
della vulnerabilità costitutiva degli esseri umani, che richiedono un
reciproco “riconoscimento di responsabilità”; che esigono cioè reciprocità nella responsabilità dei singoli: siamo chiamati a proteggerci
reciprocamente, essendo tutti – l’io e gli altri – anche possibile fonte
di contagio. Il rispetto è un valore etico che in questo caso viene praticato attraverso la responsabilità intesa nel senso in cui Max Weber
POLITICA & SOCIETÀ 1/2021
9
Vittoria Franco
parlava di Verantwortungsethik: valutare le conseguenze del proprio
agire sugli altri e sulle circostanze (Weber 1982, 540-541).
Ma è emerso con forza anche un altro aspetto della responsabilità. La situazione inedita che abbiamo vissuto, e stiamo vivendo, ha
reso più tangibile di quanto già non fosse l’interconnessione che in
una democrazia avanzata si viene a creare fra dettami giuridici e ubbidienza come adesione personale e autonoma ad essi. La parola che
tiene congiunti i due termini è proprio responsabilità. In questo caso, responsabilità significa libera adesione di ciascuno a decisioni prese dalle autorità competenti per difendere e garantire il bene comune;
farsi carico individualmente delle conseguenze sugli altri del proprio
agire. Le restrizioni contenute nei vari provvedimenti urgenti della
Presidenza del Consiglio hanno creato obblighi giuridici il cui rispetto e la cui efficacia sono tuttavia affidati principalmente all’esercizio
della responsabilità individuale. Ciò comporta il fatto che sui cittadini ricade una quota importante di responsabilità nel raggiungimento
dello scopo. Lo dice bene Gustavo Zagrebelsky: “In una società libera e di fronte a problemi dove il bene dei singoli e il bene di tutti
si implicano strettamente, la legge incontra limiti di efficacia se non
può contare sulla partecipazione responsabile di ciascuno e di tutti”
(Zagrebelsky 2020, 29). Pur permanendo la distinzione kantiana fra
obbligazioni giuridiche e obbligazioni etiche, si crea un caso di necessaria convergenza per ottenere lo scopo. Piano giuridico e piano
etico si intrecciano e si produce una particolare forma di ubbidienza fondata sull’autonoma assunzione di responsabilità. In questo contesto responsabilità viene perciò a essere una forma di dovere morale che si determina attraverso l’autoconvincimento, l’autopersuasione
circa la bontà della decisione a cui si è chiamati ad aderire. Anche
se resta valido ciò che sostiene Bauman, secondo il quale “i doveri
tendono a rendere gli uomini simili; la responsabilità è ciò che li trasforma in individui” (Bauman 1996, 59), è vero anche che, pur nella differenza di statuto, viene a crearsi un legame necessario fra doveri o obblighi giuridici – che sono universali perché rivolti a tutti
– e responsabilità morale che esiste solo in quanto assunta dall’individuo.
La stessa parola in questo caso contiene diritti e doveri: la pretesa del diritto alla salute, alla protezione, alla libertà e il dovere del
rispetto delle regole per garantirlo per tutti. Si tratta però di un dovere
10
POLITICA & SOCIETÀ 1/2021
Responsabilità in tempi di pandemia
non soltanto di natura giuridica, ma che ha dentro di sé un di più di
responsabilità etica verso gli altri in nome – uso di nuovo le parole di
Zagrebelsky – “della libertà propria e degli altri, in nome cioè della
solidarietà” (Zagrebelsky 2020, 29).
5. Responsabilità. Parola chiave della democrazia
In una società libera e democratica responsabilità si rivela pertanto
parola chiave, insostituibile e irrinunciabile, perché fa degli individui
dei cittadini attivi e consapevoli della loro relazionalità. La pandemia
da Covid-19 ci ha messi nelle condizioni di dover sperimentare il fatto
che la democrazia implica la responsabilità diffusa, la co-responsabilizzazione dei cittadini, la cooperazione per il bene comune. Essa è
possibilità di iniziativa personale e partecipazione attiva anche a vantaggio degli altri. In questo caso, responsabilità si rivela come pratica
di un dovere civico, al quale si aderisce in autonomia.
Anche il civismo viene a far parte, infatti, della stessa famiglia di
dimensioni della responsabilità. Esso rivela una particolare sensibilità
per le esigenze della comunità in cui si vive; è consapevolezza dei propri doveri di cittadino e coscienza del fatto che talvolta si deve sacrificare il benessere proprio per il bene comune. Tocqueville lo chiamava
“interesse ben inteso”, sapienza nel collegare l’interesse individuale
e quello pubblico promuovendo la cooperazione sociale. Il civismo
esprime una forma di impegno individuale nell’arena pubblica, politica
e sociale; la consapevolezza di una comune partecipazione. Sull’impegno resta ancora valida la definizione che ne dava Paul-Louis Landberg negli anni Trenta, a fascismo e nazismo imperanti. Esso consiste
nel “fatto di assumere concretamente la responsabilità di realizzare
qualcosa nell’avvenire, di definire una direzione nello sforzo verso la
formazione dell’essere umano” (Landberg 1937, 179). Se si vuole una
venatura meno personalistica, si può anche sostenere che l’impegno
consiste nel prendere parte attiva alla storia in cooperazione con altri
per il bene comune.
Un’altra dimensione che si è rivelata nella complessità del concetto di responsabilità è la fiducia. Rende bene l’idea il termine inglese
accountability, il poter contare su comportamenti responsabili degli
individui e dei cittadini in presenza o in assenza di prescrizioni giuPOLITICA & SOCIETÀ 1/2021
11
Vittoria Franco
ridiche. Implica cioè la capacità di rispondere anche in assenza di
prescrizioni e sanzioni. L’accountability fa parte integrante del tessuto
democratico in cui vigono libertà e responsabilità individuali. La fiducia “rappresenta un ingente capitale, proprio come le finanze dello
Stato” (Sjöberg 2020). Facciamo ciò che ci viene detto di fare non
perché dobbiamo, ma perché vogliamo. Vi è quella libera adesione
di cui ho parlato sopra, che consiste nella responsabilità. La fiducia è
sicuramente necessaria per creare comportamenti consoni, ed è vero
che rappresenta un’importante risorsa per la tenuta del tessuto democratico, anche se da sola evidentemente non è sufficiente. Voglio dire
che quando è in gioco il bene supremo della vita, non è uno scandalo
se essa viene accompagnata con norme più stringenti, sia pure auspicabilmente temporanee. Nadia Urbinati coglie efficacemente il punto
quando invita a distinguere fra “obbedire da liberi e obbedire da sudditi” (Urbinati 2020). L’obbedienza da liberi si fonda su un margine
di adesione presa in autonomia, che costituisce la relazione di fiducia
reciproca fra cittadini e fra questi e lo Stato. Obbedire da sudditi vuol
dire invece che è venuta meno la capacità responsiva, che si è stati
de-responsabilizzati, nel senso di essere stati privati della possibilità
di esercitare la responsabilità, che è qualcosa di diverso da quella irresponsabilità di cui parlavo all’inizio. Vuol dire cioè che il tessuto
democratico non esiste o si è lacerato e che la fiducia non ha più un
contesto in cui esprimersi.
Durante la fase acuta della pandemia è apparso chiaro anche il
fatto che i molteplici richiami alla responsabilità condivisa tendevano
a creare un più forte ethos pubblico basato sulla condivisione. Il senso
di responsabilità come rispetto degli altri e riconoscimento reciproco a
un certo punto è sembrato accrescere il senso di comunità, di condivisione, che era anche rispetto condiviso delle regole. Terminata quella
fase di massima emergenza, il senso di responsabilità si è però ridotto
in nome di un esercizio di libertà individualistica o corporativa, di
una libertà senza responsabilità. Inoltre, un forte ethos pubblico, per
essere efficace e ridurre al minimo i contagi, avrebbe dovuto riguardare non solo i cittadini di uno Stato o di poche aree geografiche, ma
– in un mondo interconnesso – la comunità globale. L’essere interconnessi, l’essere interdipendenti è uno stato di fatto che definisce la
globalizzazione e che non riguarda solo le relazioni economiche e gli
scambi commerciali, ma anche risposte comuni in situazioni dramma12
POLITICA & SOCIETÀ 1/2021
Responsabilità in tempi di pandemia
tiche, impreviste o imprevedibili come quella pandemica che abbiamo
vissuto. A queste si può solo reagire in maniera coordinata e globale.
6. Cura del mondo comune
Nella vicenda pandemica è emersa con forza anche l’idea di responsabilità come “cura del mondo comune”, per usare la celebre
espressione di Hannah Arendt, non soltanto nel senso del mondo che
abbiamo in comune perché abbiamo contribuito a costruirlo con le
nostre opere umane, ma anche come cura dell’ambiente, del pianeta, dell’equilibrio ambientale, dell’ecosistema (sul complesso di questi
temi, sono illuminanti le riflessioni di Pulcini 2009). È emerso cioè
un concetto di responsabilità che non è solo rispondere di, rendere
conto, ma anche responsabilità prospettica, rivolta al futuro, ai cambiamenti necessari, come rivedere i canoni della normalità e gli stili di
vita, rimediare con maggiore urgenza alle diseguaglianze, ripensare i
modelli di produzione e distribuzione della ricchezza. La responsabilità verso il mondo comune ha una dimensione necessariamente cooperativa, che riguarda i singoli individui, però attivi nel mondo che
condividono; implica cioè un impegno del singolo, ma correlato con
le attività degli altri abitanti dello stesso mondo. È una responsabilità
comune degli uomini verso il mondo che hanno in comune perché ne
sono co-fondatori, co-costruttori per mezzo di attività che condividono idealmente con gli uomini e le donne del passato e, sperabilmente,
con quelli futuri.
Due sentimenti sono emersi con forza durante il periodo di massima diffusione del virus: la paura e il senso di vulnerabilità della specie umana, che può facilmente soccombere a una microscopica proteina che aggredisce le vie respiratorie con esiti troppo spesso letali.
Il pensiero torna a quell’espressione ossimorica del titolo inglese di Il
principio responsabilità di Hans Jonas, l’“imperativo della responsabilità”, giustificato in base all’“ermeneutica della paura” (Jonas 1993,
XXVII). Sicuramente la paura ha avuto un ruolo nell’ubbidienza alle
regole e nei comportamenti responsabili assunti da gran parte della
cittadinanza. Non era a rischio la sopravvivenza del pianeta per effetto
della bomba atomica (come negli anni Settanta, quando Jonas concepiva il suo Il principio responsabilità), ma la specie umana certamente
POLITICA & SOCIETÀ 1/2021
13
Vittoria Franco
sì. Tema comune di riflessione fra le due epoche e le due situazioni
resta il rapporto degli uomini con la natura, che non è una risorsa
infinita. Qualcuno ha parlato di violenza o di violazione dell’equilibrio
ambientale come equivalente distruttivo della bomba atomica. Vi sono
sufficienti evidenze del fatto che il salto del virus dal mondo animale
agli umani – la zoonosi o spillover – nasce dall’alterazione dell’ecosistema e dalla crescente antropizzazione di habitat di specie selvatiche
che si riducono progressivamente avvicinando fisicamente i due mondi e mettendo a contatto più stretto specie animali diverse alterandone
gli ambienti o riducendo la biodiversità, vitale anche per l’uomo come
specie. Ha ragione chi attribuisce agli umani la responsabilità – questa
volta nel senso di colpa – di atteggiamenti predatori, colonizzatori nei
confronti della natura. Hanno ragione le ragazze e i ragazzi di Fridays
for future a battersi per un cambiamento radicale di mentalità, di cultura, di comportamenti: il loro futuro passa anche per una cura più
attenta del pianeta Terra come habitat della specie umana, come ecosistema ed equilibrio ambientale. Hanno capito il valore del richiamo
alla “responsabilità verso le generazioni future” che Jonas lanciava più
di quarant’anni fa, anche se “il nemico” è diverso.
Anche in questo caso, come per il potenziale distruttivo della bomba atomica, il richiamo è al senso del limite. E anche su questo la riflessione di Jonas sulla responsabilità come dovere morale del limite è
ancora attuale. Limite al potere distruttivo dell’uomo, autocontrollo di
quel potere che va insieme con il fatto che “l’uomo stesso […] diventa l’oggetto primo del dover essere” (Jonas 1993, 161). L’uomo deve
farsi carico di un sì all’essere: è questa, sostiene Jonas, la sua prima
responsabilità, il suo dovere primario. Ma prima di questo dovere di
dire sì all’essere, deve mettersi in moto il senso del limite. Solo l’etica
della responsabilità, che contiene dentro di sé il limite, solo il potere
dell’etica può dunque mettere ordine nelle azioni e porre un argine
alle enormi capacità tecniche o comunque distruttive che gli umani
hanno acquisito.
Vittoria Franco
Scuola Normale Superiore di Pisa
[email protected]
14
POLITICA & SOCIETÀ 1/2021
Responsabilità in tempi di pandemia
Riferimenti bibliografici
Arendt, Hannah
1986 La vita della mente, Bologna: Il Mulino.
1991 Vita activa. La condizione umana, Milano: Bompiani.
Bagnoli, Carla
2019 Teoria della responsabilità, Bologna: Il Mulino.
Bauman, Zygmunt
1996 Le sfide dell’etica, Milano: Feltrinelli.
D’Antuono, Emilia
2020 Solidarietà, in V. Franco (a cura di), Parole della convivenza, Roma:
Castelvecchi, pp. 71-91.
Derrida, Jacques
2008 Donare la morte, Milano: Jaca Book.
Domenach, Jean-Marie
1994 La Responsabilité. Essai sur le fondement du civisme, Paris: Hatier.
Franco, Vittoria
2015 Responsabilità. Figure e metamorfosi di un concetto, Roma: Donzelli.
Heller, Ágnes
1997 Filosofia morale, Bologna: Il Mulino
Honneth, Axel e Anderson, Joel
2011 Autonomia, vulnerabilità, riconoscimento e giustizia, in A. Carnevale
e I. Strazzeri (a cura di), Lotte, riconoscimento, diritti, Perugia: Morlacchi, pp. 107-142.
Jonas, Hans
1993 Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino:
Einaudi.
Landsberg, Paul-Louis
1937 “Réflexions sur l’engagement personnel”, Esprit 62: 179-187.
Levinas, Emmanuel
1998 Tra noi. Saggio sul pensare all’altro, Milano: Jaca Book.
Loretoni, Anna
2018 “Etica della cura e vulnerabilità degli individui”, La società degli individui 63: 77-90.
POLITICA & SOCIETÀ 1/2021
15
Vittoria Franco
Marx, Karl e Engels, Friedrich
1998 Manifesto del Partito Comunista, Einaudi: Torino.
Pulcini, Elena
2009 “La cura del mondo. Paura e responsabilità nell’età globale, Bollati
Boringhieri, Torino 2009.
Sjöberg, Fredrik
2020 “Perché la Svezia ha scelto di lasciare tutto aperto”, Repubblica.it, 1
aprile.
Tocqueville, Alexis de
1998 La democrazia in America, Milano: Rizzoli.
Urbinati, Nadia
2020 Politica, Enciclopedia Treccani.
Weber, Max
1982 Sociologia della religione, Milano: Comunità.
Zagrebelsky, Gustavo
2020 “L’obbedienza e la responsabilità”, Repubblica.it, 30 aprile.
16
POLITICA & SOCIETÀ 1/2021