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tecnologie sempre più evolute abbiano mutato e ampliato l’accesso al ruolo di produttori
di libri, anziché restringerlo (p. 121-123).
Nel futuro del libro sta anche il futuro della disciplina che ne studia la storia, in cui la
parola chiave è la globalizzazione del mercato librario, che implica interventi di comparazione e di allargamento degli ambiti di studio, nell’ottica di una radicale revisione del
campo d’azione che tenga anche conto della sovrapposizione di nuove modalità di comunicazione (p. 136).
Corredano il volume un breve ma curato glossario di alcuni termini, riconducibili per
lo più all’ambito contemporaneo, e la già citata ampia bibliografia, nella quale il debito
alla matrice culturale anglosassone è evidente.
Come già detto sopra, la lettura di questo lavoro dà i migliori frutti, per coloro che
non hanno una discreta padronanza della storia del libro, come testo complementare di
altre letture: in quest’ottica esso rappresenta un ottimo strumento per muoversi in ambiti di discussione scientifica non sempre noti e facili da raggiungere, e consente di abbracciare, con una sola occhiata, tutti i possibili orientamenti e sviluppi di uno studio complesso e affascinante.
Cristina Moro
Università di Pisa
Paolo Traniello. Biblioteche e società. Bologna: il Mulino, 2005. (Saggi; 642). 186 p. ISBN
88-15-10802-5. € 16,00.
Dopo l’eccellente sintesi della Storia delle biblioteche in Italia (Bologna: il Mulino, 2002),
che è venuta a colmare un vuoto storiografico da tempo segnalato dagli addetti ai lavori,
il nuovo volume che Paolo Traniello dedica all’istituto della biblioteca pubblica, pur collocandosi in una linea di continuità con le riflessioni scientifiche proposte dall’Autore
negli ultimi decenni, apre una prospettiva, di riflessione e di ricerca, assolutamente originale. Propone cioè un punto di vista del tutto nuovo attraverso cui affrontare il nesso
biblioteche-società.
La prima osservazione che emerge dalla lettura (ma basta scorrere l’indice del volume per rendersene conto), è che il rapporto tra biblioteche e società non è affrontato in
modo banale o come dato di fatto scontato. Come afferma Traniello: «Una considerazione corretta della biblioteca sul terreno sociale deve partire non già da definizioni
strutturali o funzionali stabilite a priori, ma dall’esame concreto, storicamente inquadrato, del tipo di attività che si pongono in essere per la sua istituzione e il suo funzionamento, attività che riguardano evidentemente una pluralità di soggetti e di gruppi:
dai possessori di biblioteche private che abbiano deciso, in qualche momento della storia, di destinarle a istituzioni pubbliche, ai detentori del potere, politico o ecclesiastico,
che ne abbiano determinata l’istituzione; dagli studiosi, e poi dagli impiegati, che ne
hanno assunto la responsabilità gestionale, ai cultori delle discipline biblioteconomiche che hanno formulato valutazioni e proposte critiche su aspetti istituzionali o tecnici, fino alla larghissima schiera dei lettori che si sono rivolti alle biblioteche, lungo la
storia, suddividendosi per gruppi di appartenenza, per interessi, per età e sulla base di
altri criteri ancora» (p. 8).
Il rapporto biblioteca-società è così profondo e strutturale che l’A. avverte il bisogno
di cimentarsi con le scienze sociali, anzi con i classici della sociologia, tanto che tutto il
volume potrebbe essere visto come il tentativo di guardare alle discipline del libro, e all’istituzione principe di esse qual è la biblioteca appunto, attraverso il prisma delle scienze
sociali, l’apporto dell’analisi sociologica.
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Punto di partenza classico è Max Weber e la teoria dell’azione sociale, nella sua varietà.
Adoperando il metodo tipologico, non senza aver riconosciuto e precisato che i modelli o
tipi ideali weberiani «quanto più si avvicinano a una purezza concettuale [...] tanto maggiormente si staccano dalla realtà empirica» (p. 9), che è poi quanto di più corretto e onesto lo studioso possa fare, Traniello distingue quindi, e applica al tema d’indagine, i quattro tipi di agire sociale weberiani: agire tradizionale, fondato su «stimoli abitudinari»,
quotidiani; agire «dotato di senso affettivo»; agire razionale rispetto ai valori, di qualsiasi
natura essi siano; agire razionale rispetto allo scopo, che – come noto – comporta e presuppone il calcolo del rapporto tra mezzi e fini.
Giustamente, come già anticipato, ed è qui lo storico che si fa sentire, Traniello avverte che tali categorie non devono essere considerate «come ambiti di rigida discriminazione, ma […] adoperate in maniera flessibile tenendo presente tutte le loro possibili intersezioni» (p. 10). Un esempio, noto e molto interessante, di intersezione, intreccio tra
tipologie diverse di agire sociale è quello della reciproca antipatia che ha visto contrapporsi nella Londra della prima metà dell’Ottocento Thomas Carlyle e Antonio Panizzi.
In questo contrasto vi era certamente una componente affettiva ma anche una diversa
concezione del ruolo culturale della biblioteca, così come una diversa collocazione dei
protagonisti nella scala sociale: il contendere è conosciuto, mentre Carlyle pretendeva
l’assegnazione di uno spazio privato per condurre i propri studi all’interno del British
Museum, il «principe dei bibliotecari», il nostro Panizzi, opponeva un netto rifiuto proprio sulla base del carattere pubblico della biblioteca (come noto Carlyle venne spinto
anche da ciò alla creazione della London Library, biblioteca aperta solo ai soci e quindi a
una élite intellettuale).
Il confronto con i classici della sociologia prosegue poi attraverso la teoria strutturalfunzionalista di Talcott Parsons e quella sistemica, quasi una prosecuzione e approfondimento della prima, di Niklas Luhmann.
Con la teoria struttural-funzionalista, l’attenzione e il metodo sistemico (o sistematico), ampiamente noto e utilizzato nel mondo delle biblioteche come schema di classificazione e ordinamento del sapere, si sposta, come avverte Traniello, «dall’interno dell’organizzazione bibliotecaria verso l’esterno, vale a dire nell’ambito dei rapporti tra questa
specifica organizzazione, intesa come aspetto funzionale di una struttura amministrativa, e l’organizzazione della società nel cui contesto essa si trova a esistere e ad operare»
(p. 101). Questa tesi, scontata nella cultura anglosassone, può essere intesa in modi differenti, dal più semplice che cioè «lo studio delle biblioteche pubbliche riguarda strutture e processi di tipo sociale» a quello più impegnativo e complesso secondo cui, è sempre Traniello che parla: «Se si volesse intendere l’affermazione [“modern librarianship is
a social science”] in un senso più specifico, ma anche più interessante, vale a dire come
attribuzione della moderna biblioteconomia al campo disciplinare delle scienze sociali
propriamente intese, occorrerebbe allora subito precisare che un tale riferimento, almeno per quanto riguarda gli aspetti più propriamente teorici, non è stato un riflesso esclusivo e immediato del nuovo modo di porsi dell’istituto biblioteca nel contesto della società
industriale […] ma ha richiesto un processo di maturazione culturale e critica che ha
abbracciato un arco cronologico di notevole durata e che richiede, di conseguenza, alcune precisazioni preliminari di carattere storico e storiografico» (p. 101).
Questa lunga citazione, che serve anche a chiarire ulteriormente l’originalità del volume che si recensisce, ci conduce a quello che è il tema centrale di interesse dell’A., e non
solo in questo volume, vale a dire la public library così come si è venuta storicamente organizzando nel mondo anglosassone.
Il modello della public library illustra molto bene il rapporto biblioteca-società in una
fase storica determinata che è quella della moderna società industriale (e democratica). La
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biblioteca pubblica ha svolto, in questa epoca storica e più efficacemente nel mondo anglosassone, un ruolo fondamentale che è consistito essenzialmente nell’integrazione culturale e sociale di classi e gruppi sociali in precedenza esclusi o emarginati dall’accesso all’informazione e al sapere. Anche se, paradossalmente, invece dell’integrazione della working
class essa si è dimostrata molto efficace nella costruzione dell’egemonia della middle class.
Proprio tale legame tra biblioteca e democrazia, o la fede nelle funzioni democratiche dell’istituto, è venuto meno, secondo Traniello, nella società post-industriale; e di
ciò si rintracciano gli elementi nella critica dell’ideologia della biblioteca pubblica, sul
versante politico (anche se, paradossalmente, nel momento in cui si sviluppava la critica alla società capitalistica, in Europa veniva contemporaneamente adottato il modello
della biblioteca pubblica di stampo anglosassone), socio-economico e funzionale. Gli elementi di criticità che si riscontrano nel presente rispetto al modello o all’ideologia della
biblioteca pubblica, spingono l’A. a formulare una prima conclusione forte sul presente
e sul futuro della biblioteca come istituto di conservazione e di comunicazione: «anche
dal punto di vista funzionale e gestionale, la biblioteca pubblica di oggi si trova di fronte
a una crisi che non può essere risolta mediante il richiamo a un modello prestabilito, ma
deve invece con ogni probabilità cercare strade diverse a seconda delle situazioni concrete, rinunciando addirittura a concepire se stessa come istituzione definibile in maniera univoca e compatta» (p. 140-141).
Due ultimi punti mi sembrano particolarmente importanti e sono centrali nella riflessione di Traniello.
Il primo punto riguarda le diverse funzioni che storicamente la biblioteca ha svolto
e continua a svolgere sia pure in condizioni notevolmente mutate. Non c’è dubbio che
la biblioteca ha svolto una funzione cumulativa del sapere; essa si è caratterizzata anzitutto come centro di conservazione, di raccolta e accumulo delle conoscenze, di memoria collettiva. Ma nel suo sviluppo storico essa, grazie allo sviluppo della professione bibliotecaria, ha operato anche nel campo della selezione del sapere diventando sempre più
centro di documentazione e supporto alla ricerca scientifica. Viene in mente la nota provocazione di d’Alembert quando nella voce Bibliomanie dell’Encyclopédie, nel contesto
della critica illuminista, dichiara di preferire una biblioteca personale smilza, fatta di
pochi fogli, magari strappati ad opere ben più corpose, ma anche inutili.
Ma oltre a questa finalità, e certamente più importante nella prospettiva del volume qui
recensito, vi è quello della fruizione del libro o del documento, più in generale dell’informazione culturale. Queste due funzioni essenziali della biblioteca, deposito del sapere e centro di fruizione e circolazione dello stesso, sono diversamente messe in crisi dallo sviluppo
accelerato delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Vorrei cioè dire che le
diverse tipologie bibliotecarie rispondono differentemente (e risentono anche in modo
diverso) alla sfida delle tecnologie dell’informazione.
Sullo sviluppo imponente di tali tecnologie, Traniello si sofferma lungo tutto il volume. A tale proposito, segnala una discussione stimolante svoltasi tra Giuseppe Vitiello e
Alberto Petrucciani che può aiutare ad affrontare il problema in modo non banale. Nell'ambito di un gruppo di discussione, il primo esaltava, raccontando come attraverso
Google fosse giunto a ritrovare la fonte di un testo semplicemente immettendo nel motore di ricerca alcune parole dello stesso e a scoprire che il testo stesso compariva proprio
nel sito dell'istituto presso cui operava, le potenzialità del mezzo; il secondo, invece, affermava che il ricorso a strumenti informativi di varia natura non era certo una novità nella
prassi del bibliotecario, e che esso è comunque sempre assicurato dal possesso di strumenti culturali di mediazione.
Su questo punto l'opinione di Traniello è più pessimistica rispetto ad entrambe le tesi
esposte, che sinteticamente potremmo così riassumere: le magnifiche sorti e progressive
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delle tecnologie informatiche vs il ruolo di mediazione culturale che l'individuo o il professionista continuerà ad esercitare. Essa parte dalla constatazione, sotto gli occhi di tutti,
che la biblioteca non è più il centro, l'istituzione centrale dell'universo comunicativo
nella società attuale; e giunge ad affermare che: «Se vi è stato quindi, come certamente vi
è stato, uno scambio di apporti tra le biblioteche contemporanee e i sistemi tecnologici
per l'informazione, si è trattato fondamentalmente, quanto al risultato sul piano delle
strutture, di uno “scambio ineguale”, dato il peso non comparabile delle due realtà [...]
nella società di oggi. Da questo punto di vista, l'ipotesi di contrapporre all'universo tecnologico dell'informazione una sorta di universo bibliotecario costruibile o ricostruibile su basi etiche o ideologiche, magari ai fini di attuare un controllo “democratico”, è
semplicemente illusoria e impraticabile» (p. 89).
Quanta distanza corre tra queste parole e la tesi di Jesse Shera secondo cui «non sarebbe [...] eccessivo affermare che i mass-media sono fondamentalmente autoritari, mentre
la biblioteca è essenzialmente democratica» (p. 106).
Il navigatore della rete che consulta da casa propria il catalogo della biblioteca del
Congresso americano e che può leggere dalla sua postazione i classici del pensiero politico occidentale o della letteratura russa, cosa ha in comune con il tradizionale utente
che ha popolato le sale di lettura delle nostre piccole e grandi biblioteche? Queste ultime
sono ancora un'«organizzazione spazio-temporale»? Hanno ancora quel rapporto così
intenso e vitale, di cui hanno dato ampiamente prova in passato, con il proprio contesto
territoriale e più spesso urbano?
Sono queste alcune delle domande di fondo che circolano lungo le pagine di questo
volume e alle quali l'autore cerca di rispondere senza celare un certo pessimismo di fondo.
Non a caso il volume si chiude con l'affermazione che, di fronte «a un'asettica e solitaria
navigazione sul computer, la biblioteca come istituzione culturale finisce inevitabilmente
per perdere la propria rilevanza per essere attratta in maniera sostanzialmente indifferenziata entro il vasto complesso delle moderne tecnologie dell'informazione». Non è
sul terreno delle tecnologie dell'informazione, strumento di una nascosta e invadente
tecnocrazia, come si può desumere dalle pensose pagine di Traniello, che la biblioteca
può aspirare a recuperare un proprio e significativo ruolo nelle società contemporanee.
Anche se con queste tecnologie essa deve comunque fare i conti.
Luigi Blanco
Università di Trento