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Patricia Rubin
Poetico disegno: le illustrazioni
di Sandro Botticelli per la Commedia
«in questo miro e angelico templo»
(Paradiso XXVIII, 53)
Un dettaglio nell’angolo in basso a sinistra del disegno di Sandro Botticelli per il canto XXVIII del Paradiso rivela
la profonda identificazione dell’artista con la poetica visionaria della Commedia. Il quarto angelo nella fila in basso
della gloriosa schiera angelica tiene tra le mani una tavoletta o un libro con l’iscrizione «sandro/di ma/rian/o» rivolta
verso l’osservatore (fig. alle pp. 192-193). Lo sguardo dell’angelo, invece, è diretto verso la figura di Dante, che si
ripara gli occhi dalla luce accecante del Primo Mobile, mentre la sua mente è innalzata alle sommità abbacinanti
indicate dal braccio destro sollevato di Beatrice.
Nella moltitudine angelica disegnata da Botticelli, il fulcro visivo dell’angelo è eccezionale. Gli altri angeli sono
in gran parte assorti in contemplazione con lo sguardo rivolto verso l’alto, attratti da Dio, come li descrive Dante (v.
127: «Questi ordini di sù tutti s’ammirano»). Altrettanto eccezionale è il fatto che l’artista abbia inserito il suo nome nel
disegno. Si tratta infatti di uno dei due soli casi nella sua intera produzione artistica, insieme all’iscrizione in greco sul
bordo superiore del dipinto attualmente conservato presso la National Gallery di Londra e noto come Natività mistica.
In questo canto Dante è arrivato al Primo Mobile dove gli viene concessa la prima visione di Dio, un punto
luminoso al centro dell’universo (vv. 16-18). Nove cerchi fiammeggianti ruotano intorno al punto, a velocità decrescente con l’aumentare della loro distanza dalla luce primaria. I primi due terzi del canto sono dedicati a Beatrice che
dipana la matassa delle perplessità del poeta sul modello dell’universo che egli osserva, con il mutamento della sua
prospettiva dalle sfere terrene a quelle celesti. Nella parte conclusiva Beatrice illustra la gerarchia delle intelligenze
angeliche in movimento (vv. 97-139), ossia la gerarchia celeste.
Nel disegno di Botticelli, Beatrice e Dante sono posti al centro di una cupola formata da schiere di angeli
disposti a cerchio, dando forma concreta alla metafora di Dante dell’«angelico templo». Gli angeli hanno lo sguardo
rivolto verso la sommità, che è solo abbozzata nei tratti essenziali con una punta metallica, a malapena visibile e non
ancora fissata nell’inchiostro. Beatrice guarda davanti a sé con il braccio destro sollevato e gli occhi rivolti verso l’alto in
una posa che raffigura la sorgente e la natura della sua spiegazione e ne annuncia la continuazione. Con la mano sinistra
trattiene le vesti, un gesto del camminare caratteristico del linguaggio pittorico di Botticelli. Beatrice è in procinto di
compiere un passo in avanti. Il tessuto drappeggiato che ne avvolge le forme, la leggera increspatura delle gonne intorno alle caviglie e la discesa della manica lungo il braccio sollevato concorrono a suggerire la grazia della sua persona e la
sua stessa forza motrice. Dante, al suo fianco, è più piccolo della sua amata guida, «quella che ’mparadisa la mia mente»
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(v. 3). Con il braccio sinistro piegato a livello della spalla, la mano sinistra aperta con il palmo in avanti e la mano
destra posta sopra la testa, il poeta appare confuso e stupito al tempo stesso, e purtuttavia nell’atto di essere illuminato.
Botticelli raffigura la moltitudine angelica rappresentando le forme in cerchio descritte nel testo, manifestando così la «mirabil» armonia esistente tra ciascuna sfera e la sua intelligenza particolare che Beatrice invita Dante
a comprendere (vv. 73-78). Beatrice menziona Dionigi l’Areopagita come sua autorevole fonte (vv. 130-132), e nella
composizione del disegno Botticelli annota i nomi di ciascun ordine sul margine destro del foglio (ora parzialmente
tagliato) secondo lo schema di Dionigi. Qui la logica pittorica prevale sulla modalità di illustrazione letterale che
caratterizza ampiamente la lettura e la rappresentazione del poema da parte di Botticelli. Eppure, al tempo stesso,
questa variazione rivela il suo profondo rispetto per il significato del testo, permettendogli di differenziare la gerarchia e di raffigurare correttamente i suoi componenti a favore del lettore del poema che era anche l’osservatore del
disegno. In questo si potrebbe dire che l’artista si è ispirato alle parole con cui Beatrice riferisce come «Dïonisio con
tanto disio / a contemplar questi ordini si mise, / che li nomò e distinse com’io» (vv. 130-132), intendendo distinguerli per agevolare la contemplazione dell’osservatore.
La raffigurazione del Paradiso sotto forma di sfere angeliche era convenzionale, con precedenti nelle opere
di altri artisti, in particolare l’imponente Assunzione della Vergine dipinta da Francesco Botticini intorno al 1475 per
la cappella funeraria di Matteo Palmieri in San Pier Maggiore (oggi alla National Gallery di Londra), nella quale
compare una schiera celeste densamente popolata basata sul poema di Palmieri La città di vita, di ispirazione dantesca. Compare anche nelle opere dello stesso Botticelli, ad esempio l’Incoronazione della Vergine con i santi Giovanni
Evangelista, Agostino, Girolamo ed Eligio che l’artista dipinse fra il 1490 e il 1492 per l’altare dell’Arte degli Orafi
nella chiesa di San Marco (oggi alle Gallerie degli Uffizi, [fig. a p. 194]). Invece la precisione dell’artista in merito
alla gerarchia aveva pochi modelli, se non nessuno, e nessuno di questi recente o noto a Firenze (Angeli, 2010; Bruderer Eichberg 1998).
Pur adottando la convenzionale cupola per creare una prospettiva celeste, l’artista aggiunge lo studio personale e la potenza dell’immaginazione per adattare il disegno al testo. La sua raffigurazione del terzo ordine di angeli,
i Troni, con in mano degli specchi (invece delle più comuni mandorle) denota la sua attenzione alle sfumature del
poema. Questo attributo, infatti, richiama la metafora dello specchio che apre il canto XXVIII e anticipa le parole
di Beatrice sugli angeli come specchi alla fine del canto XXIX.
Questa attenzione rende ancora più straordinaria la direzione dello sguardo dell’angelo con la tavoletta,
nettamente in contrasto con i versi del canto XXIX sulla differenza fra memoria umana e angelica in cui si afferma
che gli angeli non distolgono mai la loro vista dal volto di Dio, con il risultato che: «non hanno vedere interciso /
da novo obietto, e però non bisogna / rememorar per concetto diviso» (vv. 79-81). Nell’illustrazione di quel canto
tutti gli angeli hanno il viso rivolto verso Dio. L’angelo rivolto verso Dante nel disegno del canto XXVIII è un chiaro
esempio del «vedere interciso» e del «concetto diviso» nella struttura dell’insieme.
Questa contemplazione ‘interrotta’ è in parte giustificata dal fatto che l’angelo è esattamente questo: un
angelo appartenente al rango più basso della gerarchia, l’ordine più vicino al genere umano e pertanto tradizionalmente ritenuto quello che includeva gli ‘spiriti’ o ‘angeli custodi’, i quali trasmettevano messaggi ed erano assegnati
ai singoli individui come guardiani (Thum 2014; Da Varazze 1995, pp. 14, 796-797).
L’angelo può essere considerato il guardiano di Sandro di Mariano e la tavoletta il libro delle azioni che gli
angeli custodivano per consegnarlo nel giorno del giudizio. In questo caso il libro delle azioni simboleggia l’arte di
Botticelli esplicitamente offerta sia a Dante pellegrino sia a Dante poeta attraverso la sua rappresentazione del poema.
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La qualità specifica che unisce l’autore e l’artista o meglio che collega le aspirazioni di Botticelli all’ispirazione
di Dante è l’abilità immaginativa dell’artista, cioè la sua capacità di creare immagini memorabili e di dare forma visibile
anche all’invisibile, uno dei compiti più ardui per Dante e per il suo illustratore, soprattutto nel regno del Paradiso. La
qualità della consapevolezza artistica indicata dalla firma richiama anche le riflessioni ricorrenti di Dante poeta sulla
natura, sui limiti e sui risultati della sua scrittura. È l’espressione della speranza di una equivalenza fra forme di rappresentazione. La penetrazione acutamente autocosciente della e nella struttura del poema, che non solo traduce la parola
in immagine ma si ripercuote anche sul processo nel suo divenire, è una caratteristica unica dei disegni di Botticelli. Lo
stesso si può dire per la sua fedeltà alla progressione narrativa del viaggio visionario del pellegrino Dante.
Botticelli ha disegnato la Commedia in termini di tragedia umana, rendendola così concettualmente diversa
dalle versioni precedenti, in cui in genere mancava la portata narrativa delle illustrazioni dell’artista e che solitamente
erano più selettive ed episodiche, anche negli esemplari decorati in maniera più elaborata. In una versione della Commedia realizzata a Siena per Alfonso, re d’Aragona, di Napoli e di Sicilia a metà del XV secolo (oggi conservata presso
la British Library; si veda, in questo volume, il saggio di Luca Azzetta), ad esempio, sono presenti due miniature basde-page per il canto XXVIII. Nella prima Beatrice aleggia su Dante inginocchiato su un banco di nuvole di fronte alla
luce, un cerchio splendente con un viso di cherubino al centro (fig. a p. 195). Nella seconda (fig. a p. 195) Dante, a
sinistra dell’osservatore, contempla una schiera di angeli; Dionigi siede sulla destra con il libro della sua Gerarchia Celeste e lo sguardo rivolto alla visione della Trinità, che anche l’eterea Beatrice guarda con venerazione. Queste miniature,
pur cogliendo aspetti essenziali dei versi, non trasportano l’osservatore dentro l’esperienza che viene rievocata. L’esile
figura di Beatrice che fluttua sopra Dante richiama il suo ruolo, ma è distante dalla Beatrice simile a una ninfa posta al
centro della composizione di Botticelli, che si erge come un punto esclamativo. La Beatrice di Botticelli guarda in viso
l’osservatore, che può ricordarsi del «piacer divin» rivolgendo lo sguardo «al suo viso ridente» nella maniera descritta da
Dante nel canto XXVII (vv. 94-96), con la sua bellezza che attira gli occhi su una visione che va oltre la portata della
natura o dell’arte, e che tuttavia, paradossalmente, può essere richiamata e resa memorabile solo dall’arte.
«… cosa maravigliosa»
Il tempio degli angeli di Botticelli è uno dei 92 fogli di pergamena giunti fino a noi originariamente concepiti
per formare uno splendido manoscritto interamente miniato della Commedia, verosimilmente commissionato da
Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici intorno al 1490. Di questi, 85 fanno attualmente parte della collezione del
Kupferstichkabinett dei Musei Statali di Berlino. I restanti sette sono conservati nella Biblioteca Vaticana: la mappa
dell’Inferno col primo canto sul verso e i canti IX, X, XII, XIII, XV e XVI dell’Inferno (Horne 1908, pp. 189-191;
Sandro Botticelli. Pittore della Divina Commedia, 2000).
Sono andate perdute le illustrazioni di sette canti (Inferno II-VI, XI e XIV), mentre due fogli con i testi dei
canti XXXII e XXXIII del Paradiso, un tempo a Berlino, risultano oggi mancanti. I disegni misurano circa 30-32,5×40
cm ciascuno. A parte poche eccezioni, si sviluppano sul lato interno e liscio dei fogli, con il testo sul lato esterno. Le eccezioni sono la mappa dell’Inferno (la Voragine infernale), il disegno per Inferno I, la metà superiore del grande Satana
(Inferno XXXIV, 2) e l’illustrazione del primo canto del Purgatorio, che sono tutti sul lato esterno dei fogli.
Botticelli ha utilizzato una combinazione di tecniche a punta metallica per abbozzare le composizioni e
tracciare i contorni, poi ripassati a penna e inchiostro in forme agili ed eleganti. Ci sono variazioni nel colore degli
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inchiostri e nell’uso della punta metallica, che indicano il lento processo della composizione (Oltrogge, Fuchs,
Hahn 2000, pp. 334-341).
Fin dalla loro ricomparsa nel XIX secolo i disegni sono stati ritenuti (a ragion veduta) i capolavori del
Botticelli disegnatore, ma è più corretto considerare la serie come la prima fase di un manoscritto miniato che non
fu mai completato. Quattro dei disegni superstiti dell’Inferno sono stati interamente o parzialmente colorati: la Voragine infernale (fig. alle pp. 200-201) e quelli per i canti X, XV e XVIII (fig. a p. 196). È possibile che anche alcune
delle pagine mancanti dell’Inferno fossero dipinte, il che potrebbe spiegare il loro stralcio dalla serie.
Quel poco che è noto sulle origini del progetto è scritto su un semifoglio di carta inserito in una collezione
di appunti sulle vite e le opere di artisti toscani, raccolti intorno al 1540 da un appassionato osservatore d’arte. L’inserto aggiunge tre annotazioni alle informazioni su Botticelli, incluso il commento che l’artista «dipinse et storio un
Dante incartapecora al[oren]zo di p[ie]ro franc[ces]co de Medicj, il che fu cosa maravigliosa tenuto» (Migliorini
2015, p. 157; Il codice Magliabechiano, 1892, p. 105).
Mentre l’aggettivo «maraviglioso» si ripete negli appunti, la costruzione «fu... tenuto» compare solo una
volta, suggerendo con forza che il Dante fosse noto solo di fama. Il fatto che il compilatore aggiunga delle osservazioni sulla destinazione di altre opere inviate o giunte da Firenze avvalora la circostanza che egli non conoscesse
l’effettiva ubicazione del manoscritto. D’altro canto, specificando che era stata realizzata per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici (1463-1503), collega la fama dell’opera al suo mecenatismo, circostanza plausibile ma non dimostrata. Il codice non è fra quelli presenti con certezza nella sua biblioteca; si può ipotizzare che egli abbia dato
all’opera un valore tale da farla diventare, da preziosa proprietà, dono diplomatico, verosimilmente al re francese o
a un dignitario di alto rango della corte di Francia, un’ipotesi che si accorda con la sua politica filofrancese (Ebert
2016, pp. 227-228).
A favore dell’ipotesi che Lorenzo di Pierfrancesco abbia commissionato a Botticelli la sua partecipazione
a questo progetto ‘dantesco’ singolarmente ambizioso c’è la cospicua presenza di opere sacre e profane dell’artista
fra le proprietà inventariate nella sua residenza di città e nelle ville del Trebbio e Castello nel 1498. I dipinti che
oggi conosciamo come La Primavera e Pallade e il centauro (entrambi agli Uffizi) facevano parte delle decorazioni
del palazzo di Lorenzo. Fra le opere più originali dell’epoca, queste creazioni di grande formato corrispondevano
perfettamente alle ambizioni politiche e culturali di Lorenzo di Pierfrancesco, dando forma pittorica agli ideali di
bellezza poetica in linea con i suoi interessi di erudito e con quelli della sua cerchia di umanisti come Agnolo Poliziano e Marsilio Ficino. Uno dei suoi primi maestri e amici di lunga data, l’umanista Giorgio Antonio Vespucci, era
un conoscente di Botticelli. Altri membri di quella illustre famiglia ebbero a vario titolo rapporti di conoscenza sia
con Botticelli sia con Lorenzo di Pierfrancesco e il legame di amicizia potrebbe aver aiutato l’artista a diventare uno
dei favoriti di Lorenzo. Nei primi anni dopo il 1480 ebbe inizio un costante flusso di lavoro per Lorenzo, quando
(poco più che ventenne) egli si sposò e avviò la sua carriera d’affari; le commissioni continuarono almeno per tutto
l’autunno del 1495, quando Botticelli e i suoi aiutanti affrescarono una stanza nella villa del Trebbio. Il pittore era
abbastanza in confidenza con Lorenzo da fungere da messaggero di Michelangelo quando quest’ultimo scrisse a Lorenzo di Pierfrancesco per dargli conto dei suoi primi giorni a Roma nel luglio del 1496, inviando la lettera a cura
di «Sandro delbotticello in Firenze» (Il carteggio di Michelangelo, 1965, I, doc. I, p. 2).
Tale familiarità e stima rafforzano l’eventualità che sia stato Lorenzo a commissionare il «maraviglioso»
Dante a Botticelli, o piuttosto che egli abbia coinvolto Botticelli nella realizzazione di un’opera concepita per essere
un Dante superbamente miniato in un formato innovativo che abbinasse il disegno al poema in un unicum formale.
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L’idea per un progetto che dava tanto rilievo alla rappresentazione per immagini della visione di Dante può tuttavia
essere stata in parte dovuta all’intervento dell’artista. Botticelli aveva prodotto i disegni per alcune incisioni che
dovevano illustrare la lussuosa edizione a stampa della Commedia con commento di Cristoforo Landino, pubblicata nel 1481. Le circostanze fecero sì che il completo set non venisse mai realizzato per il libro, cosa che può aver
stuzzicato il desiderio dell’artista di tornare al testo di Dante su di una scala ancora più grande. Nell’edizione del
1481 fu lasciato lo spazio per un’immagine di introduzione a ciascun canto, ma le incisioni furono realizzate solo
per i primi diciannove canti dell’Inferno. Nel migliore dei casi, le incisioni furono stampate sulla pagina come erano
state previste all’origine solo per i primi tre canti, mentre il resto, e non completamente, fu incollato dopo la stampa. Copie del libro con tutte le diciannove immagini sono molto rare. Si è pensato che Botticelli abbia realizzato i
disegni in un periodo molto lungo, tra il 1481 e il 1487. L’assenza dell’artista da Firenze dall’estate del 1481 fino
all’inizio dell’autunno del 1482, quando stava dipingendo nella Cappella Sistina, è stata usata come una delle spiegazioni degli spazi bianchi lasciati nel volume. Dalla Vita di Giorgio Vasari in poi le pretese abitudini di Botticelli a
dilazionare sono state usate per spiegare la parziale illustrazione dell’opera, facendo ricadere il biasimo sull’artista per
la sua natura scarsamente affidabile. In effetti, mentre il Comento sopra la Comedia di Cristoforo Landino divenne
un’opera di riferimento, grandemente stimata e di larga circolazione, il progetto del volume fu oggetto di contenzioso fra i diversi partecipanti (Landino, Bernardo d’Antonio di Riccardo degli Alberti e lo stampatore, Niccolò della
Magna, noto anche come Niccolò Tedesco; Böninger 2016). Il fatto che la distribuzione delle copie era divisa fra i
tre è un altro fattore che condiziona il numero delle incisioni inserite (o no). La finale bancarotta, nel 1485, di della
Magna, quando cessò ogni attività, pose un definitivo stop al progetto in ogni forma. È probabile che, tra le cause
che intervennero a determinare l’incompiutezza del progetto, debbano essere annoverati i tempi rapidi imposti per
la pubblicazione, piuttosto che la lentezza con la quale Botticelli fornì i disegni per le incisioni, e con la quale, in
seguito, queste furono eseguite ed, eventualmente, inserite nel libro. L’edizione venne stampata in otto mesi fra il
24 dicembre 1480 e l’agosto 1481, una stampa veloce che era prevista nel contratto, e che avrebbe dato all’artista
opportunità molto limitate di realizzare un intero set di disegni prima che il libro apparisse.
Pur non essendo stato completato, l’incarico diede a Botticelli l’opportunità di dedicarsi in prima persona
e con grande coinvolgimento alla Commedia. L’attenta lettura del poema da parte dell’artista è evidente in questa
prima serie di immagini in cui, anche negli spazi limitati a esse riservati, Botticelli ha come obiettivo la resa dell’azione e il tenore emotivo di ciascun canto. In questo si spinge ben oltre la scelta degli spunti o estratti visivi che
caratterizzavano la maggior parte delle precedenti illustrazioni del poema. Ad esempio, nel primo canto dell’Inferno,
la figura di Dante viene mostrata in tre stati d’animo in sequenza: scoraggiato, fiducioso e atterrito (fig. a p. 197).
Sul margine sinistro dell’incisione è raffigurato immerso nella «selva oscura» (v. 2), perso nei suoi pensieri così come
nella vita, con la testa inclinata e le braccia incrociate all’altezza della vita. Sulla destra emerge dal bosco sollevando
la veste con la mano destra, mentre cammina verso i piedi del colle «dove terminava quella valle» (v. 14), la mano
sinistra sollevata sul capo, momentaneamente rassicurato perché alzando lo sguardo ne vede la cima con le «spalle
/ vestite» dai raggi del sole (vv. 16-17). È ancora capace di speranza, malgrado il sopraggiungere della «lonza leggiera» a bloccargli la via (v. 32). I luminosi raggi del sole attraversano la parte superiore della stampa, da sinistra a
destra, ricoprendo la cima del colle in un triangolo di luce che è otticamente preciso secondo la scienza del tempo
e in geometrica contrapposizione rispetto al ripido pendio del colle. Nella terza figura di Dante dominano stupore
e spavento. Viste da dietro, le vesti gli svolazzano intorno mentre viene risospinto verso il basso dalla lupa famelica,
dopo aver fronteggiato il leone «con la testa alta e con rabbiosa fame» (v. 47). L’imponente figura di Virgilio appare
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appena spostata rispetto al centro dell’immagine, solenne e pensierosa. La posizione centrale fa presagire l’incontro
tra i due poeti così come il loro continuo passaggio lungo un arduo cammino. E questo cammino che scende e attraversa gli spazi soffocanti e spaventosi dell’oltretomba è tracciato con notevole precisione rispetto alle indicazioni
di direzione e alle descrizioni dei versi. I punti di vista sono molteplici e mutevoli: la prospettiva dell’osservatore è
allineata con quella del pellegrino Dante mentre gli orrori dell’Inferno gli si palesano davanti agli occhi. Le sponde
discendenti sul deserto di sabbia ardente nel canto XVI (fig. a p. 198), ad esempio, sono tratteggiate con ripide diagonali, con il fiume Flegetonte che scende a cascata verso il basso e il mostruoso Gerione che emerge nel margine
inferiore, raffigurando il suo arrivo al termine del canto.
Le stampe consentono all’osservatore di accompagnare i poeti osservandone le azioni, reazioni e conversazioni fra loro e con le ombre in singole scene e quadri sinottici. Le illustrazioni catturano la portata drammatica
del poema, senza tuttavia mancare di corrispondere alla sua struttura episodica. Le incisioni sono concepite con una
notevole coerenza, malgrado l’esecuzione disomogenea e a volte addirittura grezza. È importante comprendere che
i disegni non solo mediano fra linguaggio figurato verbale e visivo, ma sono a loro volta mediati attraverso il trasferimento da un mezzo, il disegno, a un altro, l’incisione, con Botticelli come progettista. Ci sono fondate ragioni
tecniche e stilistiche per attribuire la realizzazione a più di uno dei membri o degli eredi della bottega dell’orefice
Maso Finiguerra. È possibile immaginare che il legame con Finiguerra abbia coinvolto anche il tipo di disegni che
Botticelli fornì all’incisore, o agli incisori, e che per questi egli abbia adottato una modalità simile ai disegni di
Maso che furono successivamente incisi da Francesco Rosselli. I disegni della bottega di Finiguerra sono caratterizzati da contorni di penna chiaramente definiti e leggibili, da un modo fluente e sistematico di studiare le figure
e di registrare motivi in una tecnica adatta al lavoro dell’orafo, ma che potrebbe essere utile anche per altre forme
di composizione. Vi erano molte ragioni per cui Botticelli potesse avere dimestichezza con le tecniche di Maso: le
loro famiglie erano vicine di casa in Borgo Ognissanti, pare che avessero rapporti commerciali o finanziari, ed erano
uniti da matrimoni. È possibile che il fratello di Botticelli, Antonio, che era un battiloro, avesse imparato il mestiere
nella bottega di orefice del padre di Maso, Antonio. La reputazione di Maso come maestro di disegno potrebbe aver
spinto Botticelli ad aspirare a sua volta a tale titolo.
Oltre all’opportunità di prospettare la stretta correlazione fra l’opera del poeta e quella dell’artista, la natura
collaborativa del progetto, non andato a buon fine, di produrre disegni per l’edizione del 1481 diede a Botticelli una
forte motivazione a partecipare e promuovere il progetto ancor più prestigioso di un manoscritto riccamente miniato.
Ammettendo la possibilità che Lorenzo di Pierfrancesco abbia commissionato l’opera, la prima metà degli
anni Novanta del Quattrocento sarebbe stato per lui un momento propizio per investire in un lussuoso Dante ed è
stilisticamente una datazione possibile per i disegni di Botticelli. Il più giovane Lorenzo emerse sulla ribalta politica
dopo la morte di suo cugino ed ex tutore Lorenzo il Magnifico nel 1492. Lorenzo di Pierfrancesco non trascurò di
occuparsi d’arte, anche quando si ritrovò ampiamente coinvolto nelle vicende diplomatiche e fra fazioni dell’epoca.
Fra le altre iniziative, mise all’opera la bottega di Botticelli nella villa del Trebbio e avviò una manifattura di ceramiche in quella di Cafaggiolo (la cui produzione includeva manufatti con soggetti mitologici e patriottici basati su
disegni realizzati o ispirati da Botticelli). Questo periodo di supremazia politica e forte identificazione con l’orgoglio
civico di Firenze costituì inoltre un momento propizio per Lorenzo per celebrare Dante, ormai pienamente riabilitato come uno dei cittadini più famosi della città e fulgido esempio della sua eccellenza.
Quale che sia stato il corso degli eventi (è altamente probabile che fra l’artista e il suo mecenate ci sia stato un
confronto), la corrispondenza fra immagini e testo prevista per il manoscritto era una novità che non solo condizionò
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l’approccio di Botticelli ai disegni per ciascun canto, ma interessò anche la struttura del codice. Per coordinare la
lettura con la vista era necessario che il codice si aprisse orizzontalmente con un’illustrazione al di sopra dei versi di
ciascun canto, come un calendario. Non esistevano esemplari fiorentini precedenti con quella forma, che era però
stata impiegata in alcune sfarzose cronache realizzate per la corte di Borgogna. È probabile che queste proprietà
regali non fossero conosciute a Firenze, ma la loro esistenza dimostra che codici di questo genere venivano realizzati
e tenuti in gran conto. Guardando al contesto fiorentino, i libri corali forniscono un modello per l’ampiezza di apertura delle pagine, ma il loro utilizzo disposti su leggii appositamente costruiti li rende fisicamente e funzionalmente
differenti da quello che ci si aspettava avventurandosi nel viaggio visionario di Dante.
I popolari trattati cartografici di Tolomeo (Geographia) e di Francesco Berlinghieri (Septe giornate della
geographia) sono fonti più promettenti. Non solo è possibile che questi volumi fossero di dimensioni simili al codice dantesco una volta aperti, ma richiedevano anche lo stesso impatto visivo. Ci si aspettava che gli osservatori
restassero colpiti dalle dimensioni delle viste panoramiche e anche che guardassero con attenzione le carte al fine
di individuare e apprezzare i loro specifici dettagli. Il formato, il costo, il prestigio di questi grandi volumi e le loro
rilegature sofisticate indicano che la scelta di un Dante a doppia apertura non era una prospettiva scoraggiante e
suggeriscono anche un precedente per il modo sorprendente con cui Botticelli chiude l’Inferno: la ‘piega centrale’ o
raffigurazione pieghevole di Lucifero.
Berlinghieri chiama spesso le carte «disegni» e scrive di cartografia in termini pittorici, rendendo il suo Septe
giornate un prototipo particolarmente suggestivo per il codice dantesco. Il Septe giornate fu pubblicato per la prima
volta a Firenze intorno al 1482 da quello stesso Niccolò Tedesco che nel 1481 aveva pubblicato il Comento sopra la
Comedia. Ne abbiamo inoltre due splendide versioni manoscritte, una dedicata a Federico da Montefeltro duca di
Urbino (ora nella Biblioteca Apostolica Vaticana) e l’altra appartenente all’amico dell’autore, Lorenzo de’ Medici
(ora alla Biblioteca Braidense di Milano). La copia di Lorenzo era così famosa e così importante che nel novembre
1495 la Signoria decise che apparteneva alla città.
Le edizioni del Septe giornate combinano carte geografiche su larga scala con il racconto in versi di Berlinghieri di un viaggio di sette giorni intorno al mondo compiuto dal protagonista Berlinghieri e da un compagno
senza nome. Come nella Commedia la forma metrica è la terza rima e, in una chiara reminiscenza dell’incipit della
Commedia, un illustre personaggio dell’antichità appare con la funzione di guida: Tolomeo in persona discende dalle
nubi, suscitando la domanda se egli fosse «divin o huom», con la risposta «huom non sonio ne del superno regno».
L’opera poetica di Berlinghieri invita i lettori a osservare e partecipare a un viaggio formativo costellato di riferimenti a eventi famosi e personaggi illustri del passato e del presente. L’intreccio fra visivo e verbale e la correlazione fra
testo e immagini nel Septe giornate ricordano il progetto per il Dante illustrato da Botticelli, così come la costruzione
fisica del volume in grande formato. Lorenzo di Pierfrancesco indubbiamente conosceva la famosa copia del Septe
giornate di suo cugino il Magnifico, ed era lui stesso interessato alla cartografia, al punto da prendere in prestito da
lui un Tolomeo nel 1483. Infine, possedeva un esemplare miniato della Geographia di dimensioni paragonabili al
manoscritto dantesco. L’interesse verso la definizione dei confini del mondo conosciuto, evidente in questi volumi,
trova corrispondenza, nei disegni di Botticelli, nel rispetto per la topografia dell’oltretomba descritta con grande
meticolosità da Dante.
La geografia morale unisce la cosmografia dei testi geografici alla progressione cosmica della Commedia.
Botticelli dedicò la massima cura alla mappatura del viaggio epocale del testo di Dante, sia nei disegni relativi ai
singoli canti sia nei disegni che introducono le tre cantiche. In parallelo con le proiezioni globali che introducono
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le geografie, la primissima illustrazione è una cartina dell’Inferno, in cui vengono puntualmente mostrati i crudeli
castighi di ciascun cerchio (fig. alle pp. 200-201). La seconda cantica presenta un’introduzione simile: la montagna
del Purgatorio, circondata dalle sue sette cornici e con il Paradiso terrestre sulla sommità, è posta in alto al centro
del disegno relativo al primo canto (fig. a p. 199). Presenta tre parti ed è custodita da un angelo che brandisce una
spada esattamente come descritto nel canto IX quando Virgilio e Dante ne raggiungono l’ingresso (Purgatorio IX,
73-83), anticipando così l’effettivo arrivo dei viaggiatori alla porta. Nell’illustrazione al primo canto viene mostrato
all’osservatore tutto il Purgatorio, che però nella sua interezza non è ancora presente alle figure di Dante e Virgilio
né nel disegno né in maniera esplicita nel testo. Completato a inchiostro e perfettamente riconoscibile, la sua precisione colpisce ancora di più perché molte altre parti del disegno sono lasciate nella fase preparatoria, abbozzate
solo provvisoriamente a punta metallica.
Un diagramma tolemaico del cosmo nell’illustrazione del secondo canto del Paradiso fa presagire ancora
una volta all’osservatore ciò che deve venire (fig. a p. 202). Quell’ordine non è il tema del discorso di Beatrice nel
canto, che qui, come in tutto il Paradiso, può essere seguito solo leggendo i versi. La carta fornisce comunque una
sorta di mappa di navigazione ai lettori-osservatori avvisati dal poeta che stanno per solcare mari mai navigati prima
e che non devono perderlo di vista qualora decidano di avventurarsi oltre (Paradiso II, 1-15). È evidente che, quando Botticelli si è avventurato in quest’impresa, lo ha fatto acutamente consapevole della conformazione degli spazi
attraversati nel poema e con l’obiettivo di restituirli in maniera precisa.
A prescindere dalla sua origine e da ciò che ne ha ispirato il formato, la realizzazione del manoscritto non
fu casuale e deve aver seguito le procedure consolidate del mercato dei libri. Di norma un cartolaio si occupava di
fornire la pergamena, coordinando l’operato dello scrivano e dei miniaturisti e supervisionando il lavoro per conto
del mecenate. Pur essendo famoso, Botticelli era solo un membro di una squadra di specialisti. In questo caso la sua
specialità era il disegno, più precisamente quella di disegnare storie.
È dimostrato da evidenze tecniche che egli fu il primo ad avere la serie di fogli di pergamena, e che il progetto originale prevedeva che le illustrazioni fossero completate (quantomeno per la fase del disegno) prima di passare il progetto allo scrivano. Su numerosi fogli è possibile vedere legende scritte da Botticelli a numerazione dei canti,
a volte con la prima riga di ognuna. Le annotazioni avrebbero guidato lo scrivano nell’esecuzione del suo compito e
sarebbero state superflue se il testo fosse stato già copiato. Sembra però che il desiderio o l’esigenza di avere il manoscritto comportò che fu dato al copista e al miniaturista prima che Botticelli completasse la sua parte. A prescindere
da come si svolsero i fatti, è importante riconoscere che, una volta ultimato il testo, il mecenate (presumibilmente
Lorenzo di Pierfrancesco) ebbe il suo Dante. Non era infrequente che le miniature dei manoscritti fossero lasciate
incomplete e che anche così i volumi fossero considerati terminati e tenuti in grande considerazione. In quel caso i
disegni di Botticelli godevano di tale fama di per sé che un commentatore di Dante copiò i motivi dalla sua illustrazione all’allegoria della Chiesa nel canto XXII del Purgatorio, affidandosi all’autorità di Botticelli, per uno schizzo a
margine di Babilonia la Grande e della bestia a sette teste dell’Apocalisse sotto una glossa sul riferimento dantesco a
esse nel canto XIX dell’Inferno (vv. 106-111; Weaver 2014).
L’approfondita lettura che Botticelli fece dell’Inferno per il volume del 1481 gli conferì un certo vantaggio
nella composizione delle illustrazioni per la prima cantica. Tutti i disegni a colori sono nell’Inferno, e solo uno è
rimasto nella fase preliminare dello schizzo a punta metallica (canto XXX), con il corpo di Lucifero, l’ala sinistra e
qualche altro dettaglio anch’essi senza inchiostratura nel primo dei due disegni per il canto XXXIV. L’ottavo canto
del Purgatorio non presenta parti inchiostrate, mentre altri dodici rimangono in parte o in toto bozzetti a punta
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metallica (canti I, II, VI, VII, IX-XI, XXII, XXV, XXVIII, XXIX, XXXIII). Ci sono varianti di finitura simili nei
disegni per il Paradiso, con i fogli per i canti XXXI e XXXIII lasciati in bianco. Botticelli era sensibile all’esplicita
differenziazione stilistica di Dante dei regni nel suo poema ed è ragionevole presumere che di norma si concentrasse
sui disegni per ciascuno di essi separatamente, disegnando con modalità narrative e compositive differenti. Tuttavia,
i diversi livelli di finitura nei disegni per ciascuna sezione della Commedia indicano che l’artista non ha lavorato
seguendo rigorosamente la sequenza delle cantiche, nel corso di quello che fu probabilmente un processo di lavorazione prolungato e sicuramente interrotto dalle richieste di altri incarichi.
L’intensità del disegno preliminare e i numerosi cambiamenti apportati da Botticelli ai bozzetti e occasionalmente all’inchiostratura rivelano che il processo di composizione fu ponderato, e dimostrano la sua preoccupazione di arrivare a una narrazione pittorica che fosse fedele al testo e a una disposizione spaziale che raffigurasse in
maniera efficace e accurata il passaggio dei pellegrini dagli abissi dell’Inferno alle altezze trascendenti del Paradiso.
L’artista ha elaborato e rielaborato i suoi disegni per trovare un lessico figurale capace di esprimere sia le azioni sia le
emozioni dei versi. Questo ha comportato la creazione di lessici corporei e gestuali con un’eloquenza e varietà straordinarie, così come la traduzione in forma visiva delle relazioni fra il personaggio Dante e le sue guide, e di Dante
e dei personaggi da lui incontrati.
La mimesi ha un duplice ruolo nei disegni di Botticelli per la Commedia dantesca: quello di realizzare
raffigurazioni convincenti di stati d’animo complessi e quello di invitare l’osservatore a condividere il cammino del
personaggio Dante verso l’illuminazione spirituale. Nei disegni per l’Inferno e il Purgatorio questo si ottiene combinando scene panoramiche di castigo e penitenza con scene incentrate su Dante e Virgilio, adottando e ampliando la
strategia narrativa ideata per le incisioni del 1481. E così, ad esempio, l’illustrazione del canto XVI dell’Inferno mostra la ripida discesa della distesa del deserto di sabbia ardente in un’elaborazione della composizione dell’incisione
(figg. alle pp. 203, 198). Sia qui sia in tutto l’Inferno, il suo «aere grosso e scuro» (Inferno XVI, 130) è suggerito dalla
densità del disegno, in cui anche il minimo spazio è escluso. Nella metà superiore del foglio le ombre dei sodomiti
si dimenano contorcendosi a causa delle fiamme nella loro inarrestabile corsa attraverso la sabbia. Al di sotto sono
rannicchiate le anime avvilite degli usurai, che Dante ancora non vede, ma che incontrerà nella tappa successiva del
suo viaggio, nel canto XVII. Anteprime come questa compaiono in tutta la serie, con Botticelli che sfrutta la simultaneità della raffigurazione pittorica per enfatizzare la continuità e l’impulso narrativo del poema.
Il canto si apre con il pellegrino che ricorda «[...] ’l rimbombo / de l’acqua che cadea ne l’altro giro» (Inferno XVI, 1-2) e una cascata di linee ondeggianti e arricciate attraversa diagonalmente il primo terzo del disegno.
Dante e la sua guida sono raffigurati mentre camminano pericolosamente lungo l’argine a strapiombo del terzo
girone fra il fragore delle acque e le sabbie ustionanti. La coppia appare tre volte in successione lungo il foglio,
corrispondenti a tre episodi o sezioni successive del canto. La resa visiva dei versi di Botticelli segue il cammino del
pellegrino e delle sue guide, per vedere ciò che il personaggio Dante vede e rispondere all’insistenza del poeta sulla
potenza emotiva della vista.
Il primo episodio si trova nella parte superiore del foglio, dove Dante si imbatte in tre ombre in fiamme
che si sono staccate dagli altri sodomiti ustionati e feriti. Mentre parlano girano in tondo, con il viso sempre rivolto
verso il suo (Inferno XVI, 25-27), e Dante li paragona a lottatori nudi e ricoperti d’olio (Inferno XVI, 22-24). Qui
il loro movimento sembra una versione grottesca delle tre grazie: sono uniti mentre ruotano nella loro vergogna. La
postura di Dante è colloquiale e dimostra comprensione, le mani sollevate con i palmi in avanti. La posa esprime la
cortesia del suo coinvolgimento con le sofferenze delle anime che si identificano come suoi concittadini fiorentini.
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La conoscenza della loro identità, della loro situazione e dei dettagli della conversazione è legata al ricordare o all’aver letto il testo. Tale relazione di dipendenza vale per tutte le illustrazioni, ma non rende accessorie le immagini, che
presentano una visione complementare dell’esperienza del viaggio trasformativo di Dante. Dando forma visibile alle
immagini memorabili del poema, hanno la funzione di imprimerle nella memoria dell’osservatore in un parallelo
pittorico deliberatamente concepito con la dinamica dei ricordi che struttura quel viaggio.
La seconda e terza comparsa dei viaggiatori nel disegno del canto XVI mostrano Dante mentre rimuove
la corda legata intorno alla vita come gli ha ordinato Virgilio, che poi si gira e la lancia nel profondo burrone che
si apre davanti a loro. Dante pensa a ragione che si tratti di un nuovo segno anticipatore. Virgilio indovina i suoi
pensieri confermandoli; tali pensieri sono ulteriormente confermati dalla vista, terribile e stupefacente, dell’arrivo di
Gerione, la «sozza imagine di froda» (Inferno XVII, 7). Il volto barbuto e le zampe pelose di Gerione si levano nella
parte inferiore sinistra del disegno. La mostruosa creatura ritorna nei due canti successivi ed è raffigurata seguendo
minuziosamente la descrizione del poeta nel canto XVII.
La figura ibrida di Gerione è una «imagine perversa», come il raccapricciante «serpente con sei piè» che si
attorciglia e si fonde con uno dei truffatori nel canto XXV (Inferno XXV, 77, 50, fig. a p. 204). La penna di Botticelli delinea moltissime di queste immagini malvagie, la macabra popolazione dell’Inferno evocata da Dante. Alcune
sono leggendarie e di antica tradizione come i centauri nei canti XII e XXV, e il traghettatore Flegiàs, le Furie e
Medusa nel canto IX (fig. a p. 205). Altre, note o anonime, sono della tribù malvagia e in una certa misura stolta
(perché irrazionale) di demoni ideata da Botticelli per evocare gli aguzzini dei versi di Dante, alcuni che volgono
lo sguardo malevolo direttamente verso l’osservatore, come il diavolo che ghigna mentre marcia verso il centro del
disegno al canto XXII (fig. alle pp. 206 -207).
Oltre alla rappresentazione dei diavoli, dare forma alle immagini dell’Inferno e in seguito del Purgatorio
implicava dare un corpo alle ombre dei puniti e dei penitenti, il cui peccato è palesato dalla loro nudità. Non esisteva
alcun modello per i numerosi nudi disegnati né per le innumerevoli pose elaborate da Botticelli per gli spiriti che
infestano quelle cantiche. Data la straordinaria abilità manifestata da Botticelli nella rappresentazione della forma
umana, non sorprende che il giovane Michelangelo fosse suo amico.
Nell’Inferno i dannati sono calvi e spesso deformi, raffigurati mentre gridano, si contorcono, si rannicchiano, strisciano e si piegano avanti e indietro in agonia con una fisicità convincente e straziante. Per contro, gli
atteggiamenti delle anime del Purgatorio dimostrano la loro umiltà, speranza e celebrazione dell’amore divino. La
differenza fra la nudità dell’Inferno e quella del Purgatorio è evidente fin dalla prima illustrazione del Purgatorio in
cui Botticelli anticipa il rapido sbarco di una schiera di spiriti, che avviene nel canto successivo (fig. a p. 199). Con
le braccia sollevate e le teste levate verso l’alto, le anime sono raffigurate mentre cantano, uno dei molti cori festosi
che seguiranno. Mentre l’Inferno è il luogo delle urla e dei gemiti, il Purgatorio è il luogo del canto, in cui Dante
combina la sua poesia con i versi sacri (in questo caso l’incipit del salmo 113 [114], In exitu Isräel de Aegypto; Purgatorio II, 43-47), che era tradizionalmente cantato quando i corpi erano portati alla sepoltura, anticipando il transito
dell’anima verso la Gerusalemme celeste.
L’anticipazione e la sovrapposizione fra canti, frequenti nei disegni, sono particolarmente adatte al Purgatorio, dove creano un ritmo pittorico accelerato che coincide con l’andatura sempre più veloce dei viaggiatori.
L’illustrazione del primo canto, inoltre, introduce lo slancio che caratterizza gli spiriti del Purgatorio, raffigurati il
più delle volte mentre corrono in avanti o verso qualcosa, diversamente dalle ombre dell’Inferno che si muovono
per fuggire via. A questi nudi viene assegnata una presenza fisica più consistente rispetto alla maggior parte di quelli
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dell’Inferno. La muscolatura è più definita, anche nelle posizioni che richiamano quelle dei condannati. Diversamente dagli usurai agonizzanti del canto XVI dell’Inferno, ad esempio, le anime degli accidiosi sparpagliate lungo
la parete del dirupo nel disegno relativo al canto V del Purgatorio (fig. alle pp. 208-209) hanno pose tranquille, con
espressione e postura differenziate per ciascun individuo.
Anche la gestualità accentuata dell’ombra seduta dietro Dante, che si rivolge a lui «drizzando ’l dito» (v.
3), riconoscendo che proviene dal mondo dei vivi, è tipica del lessico corporeo del Purgatorio. Non per la prima
né unica volta nei disegni, Botticelli ha letteralmente prefigurato, o forse influenzato, la successiva generazione di
artisti: un disegno di Michelangelo associato alla commissione per l’affresco della Battaglia di Cascina ideato per la
Sala del Consiglio di Palazzo Vecchio presenta la stessa posa per richiamare l’attenzione (British Museum, 1887,
0502, 117r). Nel canto Virgilio rimprovera Dante per aver rallentato il passo in risposta alla chiamata e, mortificato,
il poeta obbedisce e prosegue dietro la sua guida. L’ammonimento di Virgilio e la successiva interruzione della loro
ascesa sono rappresentati in scene contigue. Il loro cammino è attraversato da «genti [...] cantando Miserere». Anche
queste anime si rendono conto che Dante proietta un’ombra e modificano il loro canto «in un “oh!” lungo e roco»,
mentre due di loro gli corrono incontro per saperne di più (vv. 22-30). Botticelli ha modellato l’«oh» di meraviglia
della figura in primo piano su un celebre bronzo antico allora chiamato Ignudo della paura. Il suo compagno può
benissimo essere basato su uno studio dal vero. Botticelli non era un artista anatomico, ma il suo lavoro si fondava
su una profonda conoscenza del rapporto fra espressione emotiva e movimento fisico, che poteva essere del tutto naturale o assolutamente astratto, oppure una via di mezzo. È questa sofisticata consapevolezza della forma che allinea
la sua pratica alla poetica del tempo, ponendola in perfetta sintonia con la poesia di Dante.
Non sorprende, perciò, che Botticelli faccia corrispondere lo stile più elevato espresso da Dante nel Purgatorio non solo alle forme ma anche alla struttura delle composizioni. L’ambiente cambia e da soffocante che era
si apre. La calca urlante dell’Inferno è sostituita da spazi più ordinati. In molti casi gli episodi sono distribuiti sulla
superficie del foglio con un andamento simile a una elegante girandola – soave e dolce – piacevole all’occhio come i
suoni più dolci dei versi. Sono presenti linee ampie e motivi delicati, come il drappeggio che si increspa e l’arco delle
ali della «creatura bella», l’angelo custode che accoglie Dante presso la scala della terza cornice nel canto XII (fig. a p.
210). L’amore che pervade lo spirito del Purgatorio è raffigurato nel delicato abbraccio di quell’angelo che lo avvolge
con le ali per rimuovere una delle lettere penitenziali dalla sua fronte (vv. 88-97).
La complessità visiva è padroneggiata attraverso la grazia e una logica compositiva studiata, come è ampiamente dimostrato nei quattro canti (XXIX-XXXII) dedicati al trionfo della Chiesa e all’arrivo di Beatrice su «la
divina basterna» (Purgatorio XXX, 16). Il poeta Dante implora l’aiuto delle Muse per trovare i versi per le «forti
cose a pensar» (Purgatorio XXIX, 42) che costituivano la processione allegorica, le quali devono essere state anche ‘forti cose a disegnar’, come sembra suggerire lo stato ancora semi-abbozzato del disegno per il canto XXIX.
Botticelli tuttavia supera questa difficoltà ordinando la processione lungo una traiettoria a cerchio (fig. a p. 211).
Nella parte superiore di ciascun disegno le sette strisce di fumo sono attraversate dalle ali del grifone in un elegante
insieme di linee slanciate e leggermente ondulate che segnalano la progressione della processione e stabilizzano la
composizione. Il risultato è una superficie riccamente disegnata che l’osservatore, come il «buon Virgilio», potrebbe guardare «con vista carca di stupor» (Purgatorio XXIX, 56-57), ma i cui singoli elementi possono anche essere
ammirati e identificati per vedere ciò che il poeta Dante descrive, per guardare ciò che il personaggio Dante vede e
per osservare ciò che gli succede.
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«Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso»
(Paradiso I, 142)
Il fulcro esperienziale è intensificato nei disegni per il Paradiso in cui le figure di Beatrice e Dante sono più o meno al
centro di ciascuna illustrazione. Quella di Dante è grande poco meno del doppio rispetto a prima, quella di Beatrice
ancora di più. La visione celeste sostituisce le prospettive erranti e le scene episodiche che delineano il percorso attraverso
l’Inferno e il Purgatorio, con Dante e Beatrice che diventano i punti focali. Viene mantenuto il senso del luogo, ma il
paesaggio terrestre cede il passo alla vista del cielo (figg. alle pp. 202, 212). Botticelli riprende lo schema dei cieli del poeta
Dante. Le sfere planetarie, di conseguenza, circondano Beatrice e Dante e i cerchi dei fulgidi «splendori», le anime dei beati che per prime gli appaiono nel quinto canto quando Beatrice spiega la loro radiosità «piena di letizia» (vv. 103-108).
Quando Dante e la sua amata guida giungono al cielo delle Stelle fisse nei canti XXIII-XXVII, si ritrovano all’interno di
una cupola di cerchi concentrici composta da quelle fiammelle gioiose con la visio Dei all’apice (fig. a p. 213). Nel Primo
Mobile (canti XXVII-XXIX) sono al centro di una volta angelica (fig. alle pp. 192-193). Le intenzioni di Botticelli per
l’Empireo rimangono per buona parte in bianco e risultano parzialmente cancellate a eccezione delle minuscole figure
di Cristo, Maria e un angelo al centro verso la parte superiore del foglio destinato al canto XXXII, enigmatiche non solo
per le loro dimensioni ma anche per la loro funzione in relazione alla candida rosa che costituisce l’argomento del canto.
A parte la gerarchia angelica raffigurata nel canto XXVIII, Botticelli non ha tentato in alcun modo di illustrare le spiegazioni teologiche, dottrinali e politiche del Paradiso, che costituiscono le fasi finali del viaggio formativo del pellegrino Dante verso l’illuminazione spirituale. L’artista ha invece raffigurato le risposte piene di fervore di
Dante all’amorevole guida di Beatrice, alle sue spiegazioni e a coloro che ella presenta. Nel disegno relativo al canto
VI, ad esempio (fig. a p. 212), sono posizionati come se stessero camminando con passo leggero l’uno verso l’altra,
con le vesti che fluttuano dolcemente. Le fiammelle luminose creano un ritmo visivo che abbaglia e acceca. Dante ha
lo sguardo rivolto verso Beatrice, rapito dalla sua bellezza, con le mani aperte e sollevate in una sorta di rispetto estatico. Beatrice ha lo sguardo e l’indice rivolti verso l’alto, a indicare la fonte della sapienza che Dante sta ricevendo.
Ascoltano la voce dell’imperatore Giustiniano, il narratore dell’intero canto, il quale racconta la storia dell’Impero
romano come storia provvidenziale, in un racconto giuridico e politico che riconduce all’epoca di Dante.
Ancor più marcatamente che in precedenza, nel Paradiso l’identità e le parole dell’oratore devono essere intese come rivelazione. Le pose assunte da Beatrice e Dante hanno la funzione di dimostrare il processo di rivelazione:
Dante di volta in volta è confuso, illuminato, rapito, sopraffatto, oppure, come nel canto XXVI, accecato proprio
da quelle luci che poi lo illumineranno (fig. a p. 213). La sua amorevole guida, Beatrice, è raffigurata in termini di
garbata sollecitudine sia quando risponde direttamente allo sguardo riverente di Dante sia quando il suo sguardo è
costantemente rivolto verso l’alto. Sempre e comunque, Botticelli impone visivamente agli osservatori di guardare
le figure di Beatrice e Dante con la stessa meraviglia e ardore che consentono al pellegrino Dante di arrivare «al ciel
ch’è pura luce: / luce intellettüal, piena d’amore» (Paradiso XXX, 39-40).
L’amore pervade tutte le immagini che Botticelli realizza del Paradiso, proprio come avviene nel testo, e di
fatto caratterizza il suo approccio all’intera Commedia. Botticelli ha colto la struttura dialettica del poema, e cioè la
natura dialogica del processo di conversione di Dante dalla visione materiale a quella contemplativa. La deferenza
del pellegrino Dante nei confronti di Virgilio e l’affettuosa guida di Virgilio – uno dei motivi conduttori del loro
itinerario attraverso i mondi ultraterreni dell’Inferno e del Purgatorio – sono espresse negli sguardi che si scambiano
e in innumerevoli atteggiamenti corporei affettuosi e significativi.
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Botticelli ha concepito una Commedia che fosse un parallelo pittorico del testo, sia nelle forme sia nei
concetti. La struttura del manoscritto ha posto versi e disegni su un piano di parità o piuttosto di complementarità: le illustrazioni compendiano la storia del pellegrino Dante a mano a mano che procede verso l’illuminazione.
Il loro fulcro è costituito dal passaggio del protagonista dall’oscurità alla luce, dalla confusione alla comprensione
dell’amore divino. La versione di Botticelli della Commedia richiede un osservatore che sia anche un lettore, che
segua la storia visivamente ma anche che ne legga (o ricordi) i versi per sentirne la voce – o meglio le voci di ciascun
interlocutore, di ciascuna conversazione – per farsi stupire dal clamore che è insieme visivo e verbale dell’Inferno,
per seguire i suoni fortemente suggestivi del Purgatorio e cogliere la sublime musica del Paradiso. Tali ritmi sono incorporati e trascritti dal tratto sicuro della penna di Botticelli quando fissa le forme e le costruzioni spaziali, studiate
con grande cura, che l’artista aveva già abbozzato con la punta metallica.
Nella sua vita dell’artista, Vasari afferma che Botticelli, «per essere persona sofistica, comentò una parte
di Dante et figurò lo Inferno et lo mise in stampa; dietro al quale consumò di molto tempo: per il che, non lavorando, fu cagione di infiniti disordini alla vita sua». L’affermazione di Vasari è stata, a ragion veduta, collegata alle
incisioni per l’edizione del 1481. Spregiativo nell’uso di Vasari, Botticelli era «sofistico», ma non nel significato
negativo di essere incline a una sottigliezza eccessiva o maniacale, quanto piuttosto in quello di lettore grande estimatore dell’opera di Dante (che molto probabilmente l’artista conosceva in gran parte a memoria, come molti suoi
contemporanei). La verità dell’affermazione di Vasari sta nella profondissima conoscenza di Botticelli dello spirito
e della lettera del testo, ma è necessario comunque chiarirla: il commento era di Landino e i «disordini» erano fra
i soci dell’impresa. Botticelli non può essere incluso fra i commentatori del poema. Né i disegni per le incisioni né
quelli per il manoscritto esprimono o cercano di spiegare i significati allegorici dell’opera, compito che era invece
dei commentatori eruditi del poema come Landino. La modalità interpretativa di Botticelli è ‘letterale’, secondo le
consuetudini interpretative del tempo (e quelle sostenute da Dante nel Convivio). Botticelli ha ampiamente ignorato
le raffinate metafore dantesche e il suo simbolismo più azzardato. Detto questo, le sue ‘immagini parlanti’ incarnano splendidamente il concetto del «visibile parlare» (Purgatorio X, 95), non solo illustrando i bassorilievi di fattura
eccelsa del decimo canto (fig. alle pp. 214-215), ma più in generale trovando registri figurativi in sintonia con le
voci del poema. Imperiose, tragiche, toccanti, appassionate e a volte comiche (Vasari ricorda anche che «fu Sandro
persona molto piacevole e fece molte burle ai suoi discepoli et amici»), le illustrazioni abbracciano l’intera gamma
delle emozioni della Commedia.
C’è ancora molto da scoprire sul progetto per l’edizione a stampa del 1481 e sulle origini, destinazione e
destino del manoscritto prima che le sue parti riapparissero in alcune collezioni nell’Italia del XVII secolo e nell’Inghilterra del XIX secolo. E tuttavia, per ritornare alla firma supplicatoria di Botticelli nel disegno per il canto XXVIII
del Paradiso, ciò che si può dire delle due iniziative è ciò che si può vedere, cioè che Botticelli ha incorporato la sua
memoria in quella della Commedia dantesca. Ispirato e influenzato da Dante, l’artista ha dimostrato il suo talento
disegnando invenzioni di grande impatto e verità poetica.
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2007; F. Caglioti, Fifteenth-century reliefs of ancient emperors and empresses in Florence, in Collecting Sculpture in
Early Modern Europe, a cura di N. Penny, E. Schmidt, Washington DC 2008, pp. 67-109; Angeli. Volti dell’invisibile,
a cura di S. Lastri, catalogo della mostra (Illegio), Torino 2010; Fra Angelico to Leonardo: Italian Renaissance
Drawings, a cura di H. Chapman, M. Faietti, catalogo della mostra (London-Firenze), London 2010; M. Gill,
Angels and the Order of Heaven in Medieval and Renaissance Italy, Cambridge 2014; A. Thum, Schutzengel: 1200 Jahre
Bildgeschichte zwischen Devotion und Didaktik, Regensburg 2014; E.B. Weaver, Postille di un anonimo lettore di
Dante nella Firenze del tardo Quattrocento, in Per civile conversazione. Con Amedeo Quondam, a cura di B. Alfonzetti,
G. Baldassarri, E. Bellini, S. Costa, M. Santagata, II, Roma 2014, pp. 1301-1308; M. Ficino, On Dionysius
the Areopagite, I, 1, The Mystical Theology and the Divine Names, a cura di M.J. Allen, Cambridge (Mass.) 2015;
F. Migliorini, Botticelli’s illustrations for Dante’s ‘Comedy’. Some considerations on form and function, in Sandro
Botticelli (1445-1510): Artist and Entrepreneur in Renaissance Florence, a cura di G.J. van der Sman, I. Mariani,
Firenze 2015, pp. 156-166; L. Böninger, Il contratto per la stampa e gli inizi del commercio del ‘Comento sopra la
Comedia’, in Per Cristoforo Landino lettore di Dante: il contesto civile e culturale, la storia tipografica e la fortuna del
Comento sopra la Comedia, Atti del Convegno internazionale (Firenze 7-8 novembre 2014), a cura di L. Böninger,
P. Procaccioli, Firenze 2016, pp. 97-118; Botticelli and Treasures from the Hamilton Collection, a cura di S. Buck,
catalogo della mostra (London-Berlin), London 2016; S. Buck, Botticelli’s ‘Dante on vellum’: Unfinished by Works
of Art in Their own Right, in Botticelli and Treasures from the Hamilton Collection, a cura di S. Buck, catalogo della
mostra (London-Berlin), London 2016, pp. 24-34; S. Ebert, Botticelli – Signorelli – Michelangelo: Zur Kunstpolitik
des Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, «Italienische Forschungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz – MaxPlanck-Institut», IV s., X, 2016; S. Roberts, Printing in a Mediterranean World: Florence, Cosmography, and the
Renaissance of Geography, Cambridge (Mass.)-London 2017; K. Schlebusch, Giorgio Antonio Vespucci 1434-1514.
Maestro, canonico, domenicano, Firenze 2017; D. Gasparotto, The Renaissance Nude and the Study of the Antique, in
The Renaissance Nude, a cura di T. Kren, catalogo della mostra (Los Angeles-London), Los Angeles 2018, pp. 247-255.
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Nona sfera (Primo Mobile): Dante vede Dio come
un punto luminosissimo. Beatrice spiega la gerarchia celeste
illustrazione per il canto XXVIII del Paradiso
disegno a punta metallica, penna e inchiostro; 1490 - 1495 circa
Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz,
Kupferstichkabinett, Hamilton 201
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Incoronazione della Vergine con i santi Giovanni Evangelista,
Agostino, Girolamo ed Eligio
tempera su tavola; 1490 - 1492
Firenze, Gallerie degli Uffizi
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Giovanni di Paolo (Siena inizio del XV secolo - ivi 1482)
Primo Mobile: Beatrice e Dante davanti alla Luce
illustrazione per il canto XXVIII del Paradiso, c. 179r
miniatura; 1450
Dante contempla gli ordini degli angeli; Dionigi siede sulla destra
con il libro della sua Gerarchia Celeste e lo sguardo rivolto
alla visione della Trinità, venerata anche da Beatrice,
illustrazione per il canto XXVIII del Paradiso, c. 180r
miniatura; 1450
Londra, British Library, Yates Thompson 36
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Ottavo cerchio, Malebolge, prima e seconda bolgia:
punizione dei ruffiani, dei seduttori, degli adulatori e delle meretrici
illustrazione per il canto XVIII dell’Inferno
disegno a punta metallica, penna, inchiostro e pigmento; 1490 - 1495 circa
Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz,
Kupferstichkabinett, Hamilton 201
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Canto I dell’Inferno, in Comento di Christophoro Landino fiorentino
sopra la comedia di Danthe Alighieri poeta fiorentino,
impresso in Firenze: per Nicholo di Lorenzo della Magna, 1481
incisione da un disegno di Sandro Botticelli
Londra, British Library, IC 27094
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Settimo cerchio, terzo girone, i violenti
contro l’ordine divino nel sabbione infuocato
illustrazione per il canto XVI dell’Inferno
incisione da un disegno di Sandro Botticelli, 1481 - 1485 circa
Londra, British Library
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Dante e Virgilio sulla spiaggia dell’isola e la montagna del Purgatorio
illustrazione per il canto I del Purgatorio
disegno a punta metallica, penna e inchiostro; 1490 - 1495 circa
Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz,
Kupferstichkabinett, Hamilton 201
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Voragine infernale
disegno a punta metallica, penna, inchiostro e pigmento; 1481 - 1487
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,
Reg. lat. 1896, c. 101r
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Dante e Beatrice nella prima sfera dei pianeti (cielo della Luna)
illustrazione per il canto II del Paradiso
disegno a punta metallica, penna e inchiostro; 1490 - 1495 circa
Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz,
Kupferstichkabinett, Hamilton 201
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Settimo cerchio, terzo girone: i violenti contro l’ordine divino nel sabbione infuocato
illustrazione per il canto XVI dell’Inferno, c. 98v
disegno a punta metallica, penna e inchiostro; 1490 - 1495 circa
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. lat. 1896
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Punizione e metamorfosi dei ladri
illustrazione per il canto XXV dell’Inferno
disegno a punta metallica, penna e inchiostro; 1490 - 1495 circa
Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz,
Kupferstichkabinett, Hamilton 201
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Le Furie sulla torre e il traghettatore Flegiàs
illustrazione per il canto IX dell’Inferno, c. 97v, particolare
disegno a punta metallica, penna e inchiostro; 1490 - 1495 circa
Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,
Reg. lat. 1896
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Ottavo cerchio (Malebolge), quinta bolgia: punizione dei barattieri
illustrazione per il canto XXII dell’Inferno
disegno a punta metallica, penna e inchiostro; 1490 - 1495 circa
Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz,
Kupferstichkabinett, Hamilton 201
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Antipurgatorio: anime dei morti di morte violenta
illustrazione per il canto V del Purgatorio
disegno a punta metallica, penna e inchiostro; 1490 - 1495 circa
Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz,
Kupferstichkabinett, Hamilton 201
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Prima cornice: penitenza dei superbi; l’angelo davanti alla scala
che conduce alla seconda cornice
illustrazione per il canto XII del Purgatorio
disegno a punta metallica, penna e inchiostro; 1490 - 1495 circa
Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz,
Kupferstichkabinett, Hamilton 201
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Paradiso terrestre: apparizione di Beatrice sul carro trionfale
illustrazione per il canto XXX del Purgatorio
disegno a punta metallica, penna e inchiostro; 1490 - 1495 circa
Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz,
Kupferstichkabinett, Hamilton 201
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Dante e Beatrice nel cielo di Mercurio
illustrazione per il canto VI del Paradiso
disegno a punta metallica, penna e inchiostro; 1490 - 1495 circa
Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz,
Kupferstichkabinett, Hamilton 201
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Ottava sfera, cielo delle Stelle fisse; Dante e Beatrice
illustrazione per il canto XXVI del Paradiso
disegno a punta metallica, penna e inchiostro; 1490 - 1495 circa
Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz,
Kupferstichkabinett, Hamilton 201
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Sandro Botticelli (Firenze 1444 o 1445 - ivi 1510)
Prima cornice: i bassorilievi marmorei, penitenza dei superbi
illustrazione per il canto X del Purgatorio
disegno a punta metallica, penna e inchiostro; 1490 - 1495 circa
Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz,
Kupferstichkabinett, Hamilton 201
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