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Le origini della città romana di Susa

2011, Segusium

SEGUSIUM - RIcERchE E StUdI - Anno xlvI - vol. 48 (2009) pagg. 11-46 Livio Dezzani - Luca Patria Dalla Segusio romana alla villa Secusie medioevale: forme urbane, strade e risorse ambientali Tra i molti approcci possibili alla ricostruzione delle vicende storiche di una città, ovvero di un centro paraurbano, il privilegio concesso alla lettura del territorio presenta indubbiamente un notevole interesse: in primo luogo, perché il territorio, seppur segnato da usi sempre nuovi e da una rinnovata velocità di trasformazione, con tenacia conserva tracce concrete e visibili del suo passato; in secondo luogo, perché nuovi sistemi elettronici di analisi, di calcolo e di disegno offrono possibilità conoscitive ino a ieri precluse; in terzo luogo, in quanto cresce la capacità e l’interesse a far interagire fonti documentarie ed analisi del territorio, in una sintesi spesso foriera di interessanti sviluppi. Nell’ormai lunga serie dei numeri di “Segusium”, sono molteplici le occasioni in cui lo studio del territorio è stato posto al centro dell’attenzione dei Collaboratori, con particolare riferimento alle vicende della città di Susa: sarà suficiente ricordare i contributi di Dario Vota sui numeri 39 e 46, di Mario Cavargna sui numeri 24, 40 e 43, oltre ai due numeri speciali della rivista, dedicati nel 1988 al centro storico di Susa e nel 1994 al bimillenario dell’Arco. Nell’ambito di questa pur ricca serie di articoli, non sono tuttavia numerosi i tentativi di pervenire ad una griglia di lettura che riguardi, nella sua globalità, la forma urbis della Segusio romana: la nota frammentarietà e limitatezza degli scavi in ambito cittadino agiscono senza dubbio quale deterrente, essendo ben presente il rischio di elaborare ipotesi basate su un numero troppo esiguo di informazioni. Il recente inittirsi di scavi e di loro pubblicazioni giustiica tuttavia, oggi, l’opportunità di muovere nuovi passi proprio nella direzione di osare una ricostruzione della forma urbis segusina, con tutti i rischi che un tentativo di tale tipo comporta, ma anche con la convinzione che – allo stato attuale delle cono- 11 scenze – si imponga la necessità di un quadro di sintesi, seppur provvisorio(1). È parso pertanto di particolare utilità riportare l’attenzione sugli studi che Mario Cavargna ha dedicato, nel corso degli anni, alla ricostruzione della forma urbana della Susa romana, con uno spettro di ipotesi e considerazioni che furono in parte ritenute verisimili da un buon conoscitore di Segusio quale il belga Jacques Debergh(2). Sullo stesso tema è recentemente tornato Federico Barello (Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte) con due contributi(3) basati sul diretto accesso alla documentazione degli scavi urbani, che nel nuovo secolo stanno inalmente interessando, con una certa sistematicità, l’area urbana di Susa. I citati contributi non giungono a proporre una qualche ricostruzione organica, oppure un qualche schema interpretativo dell’antica forma urbana di Susa, ma forniscono dati e rilessioni che – seppur con la limitazione di una resa graica molto sintetica – spingono, a loro volta, ad un ulteriore ciclo di rilessioni. Il dichiarato obiettivo del nostro intervento in questa sede è pertanto di integrare tali studi con altri approfondimenti di taglio territoriale e storico-documentaristico, apparsi nel corso degli anni, completandoli con nuove considerazioni ed approfondimenti: il tutto, nella speranza di pervenire ad un nuovo (1) Può essere pertinente la citazione di B. De FINeTTI, fatta da A. Carandini in Roma. Il primo giorno, Laterza, Roma-Bari, 2007, p. 7: “tutto è costruito su sabbie mobili, benché naturalmente si cerchi di poggiare i pilastri su punti relativamente meno pericolosi”. (2) A partire da: M. CavargNa La situazione dei monumenti storici di Susa, in “Segusium”, n. 24, 1988 (Atti del Convegno Susa. Centro storico. Studi sul passato. Prospettive di recupero. Sabato 28 novembre 1987), pp. 99 sg: “In un ambito urbano come quello di Susa, della cui struttura di epoca romana si conosce molto poco, è legittimo e stimolante proporre una interpretazione che capovolge quelle proposte sino ad ora. Non più una struttura irregolare “ab initio” strettamente derivata dal modellamento casuale dell’agglomerato celtico così come si è strutturata partendo dal punto focale di un ponte sulla Dora più o meno nella posizione attuale, ma una struttura perfettamente geometrica, disegnata dai “gromatici” romani a partire da un ponte in posizione del tutto diversa”. (…) “In nessun caso si devono precorrere i tempi: a farlo, soprattutto avendo a disposizione solo un rilievo fotogrammetrico 1:2.000 si rischierebbe di trasformarsi in “misuratori di piramidi” e di prendere per coincidenza quello che può essere semplicemente l’elasticità di un margine d’errore” (…) “Possiamo così supporre che il primo tratto di mura e la Porta Savoia seguisse la strada principale, il cardine massimo”: Cartograia (scala 1: 2.000) p. 104, con note a pag. 105 (si tratta della prima presentazione dello schema ricostruttivo della Segusio romana, poi ripreso da altri articoli dello stesso Autore). Per l’ulteriore sviluppo della tesi del Cavargna, sostanzialmente accettata ed in alcuni punti corretta, si veda J. DeBergh, Notarelle a proposito di Susa e del suo territorio, in “Ad Quintum”, 8, 1990, p. 49: “Secondo la visione canonica della città essa non fu una creazione romana sorta dal nulla (…). Questa ipotesi, che ho sempre considerata ovvia, è stata recentemente respinta da Mario Cavargna con argomenti degni di considerazione, che richiedono conferme da scavi e sondaggi. Il suo ragionamento presenta, in ogni modo, punti fermi e stimoli a proseguire nella strada così attraentemente aperta”. (3) F. Barello, Archeologia urbana a Segusio, in Forme e tempi dell’urbanizzazione nella Cisalpina (III secolo a.C. – I secolo d. C.), Atti del Convegno (Torino 2006) a cura di L. Brecciaroli Taborelli, Firenze, 2006, pp. 261-266. F. Barello, Segusio, nuovi dati archeologici sulla nascita di una capitale, in “Une voie à travers l’Europe”, 11/12 avril 2008, Fort de Bard, pp. 431-438. Di T. Barello si ricorda anche la conferenza tenuta in data 26 settembre u.s. al Museo d’Antichità di Torino, sul tema “Archeologia in Valle di Susa: nuovi rinvenimenti lungo la via delle Gallie”. 12 livello di sintesi, che possa costituire – a sua volta – il punto di partenza per rinnovati approfondimenti e veriiche. In questo contributo si cercherà pertanto di riprendere ed approfondire tali precedenti lavori, con l’ausilio di due ulteriori strumenti: una stretta integrazione tra letture del territorio e letture di documenti archivistici; una serie di rappresentazioni graiche realizzate con tecniche di computergraica, con una conseguente precisione e chiarezza impensabile ino a pochi anni orsono. Alla base del lavoro di Cavargna sta l’intuizione che la forma urbana del centro storico di Susa – apparentemente immutabile da sempre nella sua caratteristica forma a triangolo, con il suo vertice ad est su Porta Piemonte – nasconda in effetti una struttura ortogonale di chiara impronta romana, seppur adattata alla realtà dei luoghi. Cogliere “il quadrato sotto il triangolo” è, in effetti, un esercizio non facile, e che richiede un valido “occhio territoriale”, soprattutto se – ed è il caso di Susa – l’operazione intellettuale deve avvenire in assenza di vasti interventi di scavo, che darebbero subito conferme, smentite, nuovi suggerimenti. eppure, non mancano i casi documentati, in cui la forma regolare della fondazione romana riappare con certezza, al disotto di una successiva forma urbana, basata su canoni del tutto diversi. È, ad esempio e restando in Piemonte, il caso di Alba (CN), l’antica Alba Pompeia, la cui forma urbana, apparentemente radiocentrica, nasconde la rafinata pianta della città romana, con struttura perfettamente ortogonale, inserita in un circuito di mura ottagonali(4). Ne è un esempio parimenti illustre la stessa Milano, spesso considerata il trionfo dell’urbanistica medievale radiocentrica ed anch’essa contenente, invece, le chiare tracce del suo passato romano ed ortogonale(5). La lettura della forma urbana di Alba si inserisce in una tradizione di studi di storia del territorio che, per alcuni decenni tra anni ’50 ed anni ’80, ha trovato un suo punto di forza nell’Istituto di Architettura Tecnica della Facoltà d’Ingegneria del Politecnico di Torino, diretto dal 1963 al 1976 dal Prof. Augusto Cavallari Murat (1911-1989). l’opera più nota di tale “scuola” è indubbiamente la monumentale “Forma urbana ed architettonica nella Torino barocca (dalle premesse classiche alle conclusioni neoclassiche)”, che ha fornito – nel 1968 – una esaustiva lettura dello spazio urbano e territoriale di Torino, senza peraltro interessare la Valle di Susa(6). (4) Da: Istituto di Architettura Tecnica del Politecnico di Torino, “Tessuti urbani in Alba”, Città di Alba, 1975, Responsabile della Ricerca: Prof. Augusto Cavallari Murat. “L’aspetto apparentemente radiocentrico della planimetria congetturabile nell’Alto Medioevo, Alba non l’assunse che grazie al solito processo urbanistico di degradazione (per abbandono dell’area murata) e della successiva riconquista lungo itinerari d’attraversamento (faticosamente scavati entro le macerie ed entro i relitti di terreni feudali, demaniali, intangibili)”: p. 10, col. 2. “Il reticolo a maglia irregolarissima, apparentemente radiocentrico ma in realtà deformativo delle ortogonali maglie romane, è il supporto di tutte le geometrie succedutesi”: p. 12, col. 1. (5) Per Milano si vedano le pionieristiche osservazioni urbanistiche di g. FINeTTI in Milano, costruzione di una città, Hoepli, Milano, 2002 (saggi degli anni ’50). (6) Il pensiero di A. Cavallari Murat, per quanto attiene alla storia urbana ed ai rapporti tra 13 Caratteristica saliente della tecnica di indagine territoriale, messa a punto dal Prof. Cavallari Murat, era la raccolta e l’analisi di un vastissimo insieme di documenti archivistici (graici e testuali), che venivano letti ed utilizzati previa la loro riconduzione all’elemento uniicante di “carte” che – alle varie scale – avevano l’obiettivo di fare chiarezza, per il mezzo di una necessaria sintesi graica. Si tratta proprio del lavoro che le moderne tecniche di disegno elettronico hanno reso più chiaro e lessibile, sostituendo il faticoso, e spesso impreciso, lavoro di “sovrapposizione dei lucidi”. Nella realtà concreta di Susa possiamo inoltre disporre – tra le molteplici fonti informative, ogni anno fortunatamente più abbondanti – dei preziosi lavori di Natalino Bartolomasi (1927-1999) e di Ettore Patria (1917-1993), ricchissimi di spunti ancorati alle vicende della città e del suo territorio e sempre arricchiti da precise (e quasi sempre inedite) citazioni di documenti e di tradizioni antiquarie, veriicate sul campo. Per le inalità del presente contributo, ci si riferisce, in modo particolare, all’articolo “Ponte Alto, manufatto della viabilità romana. È possibile?”, apparso, in collaborazione con Livio Dezzani, nel maggio del 1983 su “La Valsusa” ed ancor oggi fecondo di linee di approfondimento, nonché dell’opera complessiva del canonico della cattedrale segusina, che elaborò una precisa ‘visione’ della Segusio antica e tardoantica, inserendosi in una robusta tradizione erudita di matrice ecclesiastica che da Cesare Sacchetti, nella seconda metà del Settecento, ai nostri giorni non è mai venuta meno(7). Una proposta di forma urbana per Susa romana Prende così corpo la inalità del presente contributo: partendo da altri studi ed integrandoli con nuove osservazioni ed analisi, mirare ad una loro riveriica ed aggiornamento, con l’obiettivo di deinire sul territorio una proposta di forma urbana per la Susa romana, con particolare attenzione al rapporto tra la città e la viabilità diretta verso lo spartiacque alpino. la sintesi di queste osservazioni è riportata nella Tavola 1, unitamente ad altre tavole di approfondimento: ad esse faremo pertanto riferimento nello svolgimento di questo ragionamento. Alla base sta la riconferma sull’origine “progettata” della Susa romana: non dunque “aggiustamento” romano di un qualche precedente nucleo urbano precittà e territorio, è leggibile soprattutto dai tre tomi di: Istituto di Architettura Tecnica del Politecnico di Torino, Forma urbana ed architettonica nella Torino barocca (dalle premesse classiche alle conclusioni neoclassiche), I: Metodo e testo critico, UTET, Torino, 1968, Responsabile della Ricerca: Prof. Augusto Cavallari Murat. (7) Sul problema aperto (e spesso eluso) di Ponte Alto cfr. “Bollettino storico-bibliograico subalpino” (d’ora in poi, BSBS), 81 (1983), pp. 790-792. Per il contributo del canonico Bartolomasi alla storia della città di Susa vogliamo ricordare in questa sede soprattutto la sua recensione al volume La Porta del Paradiso, apparsa in “Segusium” 34 (1995), n. s., Anno XXXII, pp. 87-94. 14 Tavola 1. Segusium in epoca romana (“Segusio 1”): ipotesi di ricostruzione della maglia urbana e dell’assetto territoriale (planimetria, scala 1/5.000) Ipotesi di maglia ortogonale per la Segusio romana Assi ideali per l’organizzazione del territorio Strada delle Gallie, a monte di Susa Tratto originale dell’acquedotto romano Angolo della maglia ortogonale (inclinazione verso est = 16°) Fonti e crediti: Rilievo areofotogrammetrico redatto dalla Città di Susa (1977) Realizzazione della tavola: Arch. Ph. D. Enrico Maggi 15 romano, ma consapevole fondazione di una “città nuova”, dalle caratteristiche squisitamente classiche. È infatti nota la sacralità che gli antichi romani ponevano nella fondazione delle loro città, a partire dalla primigenia fondazione di roma(8): sacralità che si accompagnava ad una rigida tipizzazione dei tracciati urbani e delle funzioni civiche(9), tipizzazione che non si vede perché debba essere assente da Segusio, città di certo non eccezionale nel vasto panorama urbano del nascente Impero. Forti di questo assunto – di cui è evidente, al momento attuale, il valore ipotetico – ci avventuriamo pertanto nel tentativo di far luce sulla forma urbis segusina. Ad immediato chiarimento, premettiamo che, nella ricostruzione che noi diamo, a parziale modiica di quanto proposto da Cavargna, l’elemento generatore del sistema urbano diviene l’Arco di Augusto: un manufatto troppo importante ed eccezionale, per non essere il punto isso di riferimento da cui far derivare tutta la costruzione (progettuale e realizzativa) della città romana. L’illustrazione che riproduciamo (opera del più rafinato ricostruttore graico delle realtà urbane di epoca romana, il francese Jean-Claude Golvin)(10) rende bene la dimensione dello sforzo edilizio necessario a realizzare un manufatto sul tipo e delle dimensioni del nostro Arco: un cantiere ancor oggi rilevante ed impegnativo; un cantiere totalmente “fuori scala”, rispetto alle modeste performances cui doveva essere abituata la protoedilizia di matrice celto-ligure (qualora, sul sito della futura Segusio, ne sia esistita una). La dimensione del cantiere per l’arco e la dificoltà di approvvigionamento dei materiali dànno inoltre una risposta anche ai quesiti di chi – come Jacques Debergh sul citato numero speciale di Segusium, nel 1994 – si domanda giustamente perché l’arco non sia sorto ancor più in alto, alla sommità ultima della rupe del Castello(11). La costruzione dell’Arco richiese indubbiamente uno sforzo tecnico e inan(8) Si veda a. CaraNDINI, Roma. Il primo giorno, cit., passim. (9) Si è utilizzato il ricco lavoro di analisi, anche numerica, contenuto in M. CoNveNTI, Città romane di fondazione, L’Erma di Bretschneider, Roma, 2004. (10) Da g. CouloN e JeaN-ClauDe golvIN, Voyage en Gaule Romaine, Actes Sud-Errance, Arles - Paris, 2002. Illustrazione a p. 133, riferita alla costruzione dell’Arco della Porta Nera, vicino al Teatro, a Besançon. (11) J. DeBergh, Nugae intorno all’arco di Susa, “Segusium”, numero speciale fuori serie, 1994, Susa. Bimillenario dell’Arco. Atti del Convegno (2-3 ottobre 1992); p. 197. “D’altra parte, i legami fra l’arco e il suo ambiente urbanistico nei tempi augustei sono ancora poco conosciuti, benché il loro ruolo nella faccenda non sia negabile”. l. MaNINo, Considerazioni grammaticali e stilistiche sul testo dell’epigrafe dell’Arco di Susa, in Segusium 34 (1995) p. 26. L’Autore parla di “motivi sacrali (…) che indussero i costruttori ad erigere il monumento proprio in una collocazione urbanistica (…) perlomeno inconsueta e si direbbe riduttiva, se non fosse (…) effetto di una scelta programmatica ben precisa”. l’autore riprende il suo precedente L’Arco di Susa... cit., p. 207 sgg. Le osservazioni da noi sviluppate non escludono i “motivi sacrali”: esse introducono tuttavia motivazioni di ordine tecnico, che paiono meritevoli di attenzione. 16 Figura 1. Il cantiere per la costruzione di un tipico “Arco” romano: si noti lo spazio occupato dal cantiere, con le dimensioni della gru, mossa dalla forza umana, tramite la caratteristica “ruota”. ziario del tutto inusuale per il regno di Cozio: un elemento che fa rilettere, in quanto viene naturale porsi domande in merito alla capacità economica del regno e della famiglia di Cozio(12), che seppe in pochi decenni inserirsi nell’ambiente, in origine del tutto estraneo, della potenza romana, con investimenti in (12) un approccio allo studio dell’antichità romana, che privilegi le letture di taglio tecnico ed urbanistico, non può che riiutare la visione “riduttivistica” dello sviluppo economico antico, quale appare dagli studi di M. I. FINley, L’economia degli antichi e dei moderni, Los Angeles 1973, Roma – Bari 1974, Milano 1995; più complessa e sfumata, ma comunque pessimista, la posizione di a. SChIavoNe, La storia spezzata. Roma antica e l’occidente moderno, roma, Bari 1996. Il ilone di studi che rivaluta le prestazioni dell’economia antica ha ora un punto di riferimento internazionale nella scuola dell’Università di Princeton/Stanford, con i suoi Working Papers in Classic (solo in edizione informatica), animati dal Prof. Walter Scheidel. In Italia, si ricordano i lavori del Prof. Elio Lo Cascio; dalla sua introduzione a Innovazione tecnica e progresso economico nel mondo romano, Atti degli incontri capresi di storia dell’economia antica, Capri 13-16 aprile 2003, Edipuglia, Bari, 2006, traiamo il seguente passo: “Non è illegittimo affermare che questa visione di una sostanziale stagnazione tecnica del mondo antico, e del mondo romano in particolare, corrispondente a un sostanziale immobilismo economico, sia entrata negli ultimi anni in crisi come sembrano entrati molti altri aspetti della “nuova ortodossia” inleyana” p. 7. Nel caso concreto della famiglia dei Cozi, il loro ruolo evergetico in Torino e la loro capacità di introduzione nella corte imperiale di roma sono messi in luce da g. CreSCI MarroNe, La Dinastia cozia e la colonia di Augusta Taurinorum”, in “Segusium”, 34 (1995), p. 7 sgg. 17 denaro e carriere che diedero frutti duraturi e considerati, anche nel ricordo e nell’ammirazione dei concittadini(13). Il campo è ancora da investigare, ed anche in questo caso la lettura del territorio può aiutare a fornire razionali risposte: per il regno di Cozio e per la sua famiglia, legata anche attraverso una riconoscenza politica all’intuizione ‘stradale’ di Marco Vipsanio Agrippa, sicuramente una ricca fonte di entrate doveva essere data dal trafico interalpino ed intralpino, non solo tramite la iscalità residuale trattenuta localmente, ma ancora tramite la gestione del trafico stesso, ad esempio attraverso il possesso o il controllo delle carovane di muli e di carretti dalle ruote di piccolo diametro(14), certamente base dei trasporti civili e militari; mentre non possiamo escludere che a ciò si aggiungessero altre fonti di buone entrate, come un’attività mineraria le cui tracce oggi leggiamo con dificoltà, ma che forse offrono una chiave di lettura territoriale dell’ambiguo manufatto di Ponte Alto, cui dedicheremo un apposito paragrafo conclusivo. una volta posizionato sul territorio l’arco – in un luogo che consentisse al contempo l’impianto del cantiere e, per chi la voglia vedere, una scenograica inquadratura della vetta del Rocciamelone – , esso può essere assunto, nel lavoro dei gromatici che tracciarono la città nuova di Segusio, come vertice del decumano, che – sposando la ricostruzione del Cavargna – riteniamo coincida con il tracciato attuale della Via Palazzo di Città. Tale percorso del decumano pare convincente, alla luce sia del rilievo conservato, nel tessuto urbano, da Via Palazzo di Città (tema di seguito sviluppato), sia dalla facilità con cui ne è leggibile il prolungamento verso est, oltre alla svolta a gomito che la via stessa compie, almeno dal IV secolo, per raggiungere la Porta Piemonte. Il tessuto urbano di Susa presenta infatti, ancor oggi, un “punto molle”, in quello che dovrebbe essere il naturale sbocco verso Torino del decumano, come illustrato nella igura che segue. Più complesso risulta individuare la direzione ortogonale (il “kardo”), il cui tracciato ed il cui ruolo urbano sono forse da collegare alla profonda trasformazione urbana subita da Segusio nel passaggio fra III e IV secolo. Con riferimento alla forma urbana quale oggi si presenta (la “città murata”), ci pare confermato che la direzione del kardo sia leggibile nell’andamento delle mura su Piazza Savoia: a nostro parere ed in contrasto con quanto ipotizzato dal Cavargna(15), (13) Il passo di Ammiano Marcellino (15,10,7), più volte citato con riferimento a Susa ed al buon ricordo ivi conservatosi di re Cozio, pare certamente frutto di un passaggio personale nella città, nel 355. In questa sede è letto anche e soprattutto per il suo signiicato di testimonianza urbana, in quanto da esso si deduce la contemporanea presenza di mura ed heroon di Cozio, in un contesto urbano che appare dunque già fortiicato, ma non (più o ancora?) devastato. (14) P. SCheuerMeIer, Il lavoro dei contadini, Milano, 1980, (ed. orig. 1956), II, p. 150: “Il carro agricolo a quattro ruote, chiamato dappertutto signiicatamente carro, caratterizza ancora una volta l’Italia settentrionale come parte di un contesto culturale continentale che continua al di là delle Alpi e che si trova in evidente contrasto con l’Italia peninsulare”. (15) Cfr. M. CavargNa BoNToSI, L’Arco e la forma urbana della città di Susa in “Segusium”, numero speciale fuori serie, 1994, Susa. Bimillenario, cit (v. nota 11): “Per il periodo ro- 18 Figura 2. Dettaglio della struttura urbana di Susa, nel punto in cui Via Palazzo di Città (il supposto decumano della Segusio romana) svolta verso nord, per raggiungere l’area di Porta Piemonte: si può cogliere abbastanza agevolmente il tratto di tessuto urbano che lascia intendere la possibilità di un originario proseguimento rettilineo della stessa Via, verso est. il ruolo di “cardine massimo” è piuttosto da attribuire all’asse sopravvissuto nell’attuale allineamento di Via Piave – Vicolo Rosaz, che costituisce l’unica traversa nord/sud conservatasi in tutta la maglia urbana di Susa. Altri elementi giocano a favore dell’individuazione di tale asse come “cardine massimo”: esso nasce dall’unica porta sul lato nord delle mura (la Porta Bovalis dei testi medioevali); il suo proseguimento porta direttamente al centro dell’arena: una scelta di simmetria territoriale certamente non casuale. A partire da cardine e decumano, nasce una maglia ortogonale che copre praticamente tutta la città storica di Susa, con una maglia di circa 64 x 67,5 metri (circa 4.300 mq), corrispondente a circa 215 x 230 piedi romani; tale maglia è ruotata di 16° ad est, rispetto all’allineamento nord-sud. mano è stata utilizzata un’interpretazione della struttura della città basata sulla ipotesi che i criteri dell’arte militare romana, in base a cui fu costruita la cinta muraria, consentano di individuare la struttura viaria allora esistente” (p. 51). “Il disegno urbano che risulta da questa ipotesi è regolare, con insulae quasi quadrate e con l’incrocio delle due vie che paiono principali, quella ancora esistente che corrisponde a via Palazzo di Città e quella che fu cancellata e ripercorsa dalle mura di piazza Savoia che si colloca esattamente a metà della distanza tra questo punto e la Dora. Un complesso di simmetrie che si può solo considerare preesistente al disegno irregolare della città medioevale”. (p. 52-53) M. Cavargna è tornato sul tema della pianta ortogonale di Susa romana in Escursioni tematiche sui primi mille anni di storia della Valle di Susa (in “Segusium”, 43, 2004), dando nuovo spazio all’ipotesi di Segusium quale “città nuova”, conseguente all’ingresso del regno di Cozio nell’orbita romana. 19 Maglia che ben si inserisce nella vasta casistica dell’urbanistica romana, come emerge dalla tabella che segue(16): Città Torino Aosta Firenze Piacenza Verona libarna Susa (ipotesi) Dimensione isolato (in metri) 74 x 74 78 x 67 70 x 80 70 x 80 71 x 77 75 x 64 67,5 x 64 Va tuttavia chiarito che la forma regolare del “grande isolato” romano non poteva comportare una totale assenza di viuzze interne, anche dal percorso irregolare, necessarie per raggiungere le singole cellule abitative: è un fenomeno forse poco considerato, ma chiaro anche in Piemonte(17). Dalle considerazioni sopra sviluppate emerge una forma urbis segusina composta da 34 “quadrati potenziali” (gli isolati o insule), cui può essere applicata la seguente classiicazione, riassunta nella Figura 3: Classe N° di isolati Tipologia degli isolati a 5 Isolati prevalentemente interessati dal rilievo del Monte Morone, di conseguenza con ridotte o nulle potenzialità ediicatorie b 4 Isolati connessi al “centro di comando” sull’arce o rocca (in origine molto probabilmente connessi alla sede dei Cozi, poi alle funzioni civili e militari di comando) c 3 Isolati connessi alle attività pubbliche “ordinarie” (foro ed annessi) d 19 Isolati residenziali, commerciali e con servizi e 3 Isolati come sopra, ma tagliati “a triangolo” dal corso della Dora Da b ad e 29 Isolati urbani, per una supericie effettiva della città nell’ordine di 120.000 mq circa I dati di cui disponiamo hanno il vantaggio di consentire l’inserimento di (16) Forma urbana, cit. (v. nota 7), Vol I, p. 350; una serie di dati, ancor più ampia, è riscontrabile nelle “Schede di città”, presenti in M. CoNveNTI, Città romane di fondazione, cit. (v. nota 9). (17) Da Forma urbana, cit. (v. nota 7), p. 354, didascalie alle igure 23 e 24: “Vie interne agli isolati, intercapedini e percorsi tortuosi tra cellula e cellula non sono pertanto da ascrivere sistematicamente solo a riplasmazioni d’età medioevale”. 20 Figura 3. La forma urbis segusina, con la rappresentazione semplificata della tipologia di isolati, come emerge dalla tabella di cui sopra. Segusio nella ricca tipologia di casi urbani, raccolta ed organizzata da M. Conventi nell’opera già citata; se ne ottiene la casistica seguente: • La supericie urbana di Segusio (120.000 mq) si inserisce nella parte bassa della classiica redatta dalla studiosa, con un valore uguale a Saepinum (CB), prossimo a Tridentum (130.000 mq), ma lontano sia da Augusta Taurinorum (547.200 mq), sia da Augusta Praetoria (417.600 mq); • la dimensione dell’insula di Segusio (circa 4.300 mq) pare invece perfettamente in media con i 41 casi studiati da M. Conventi; • La dimensione del Foro (pari a 3 insule, cioè a circa 13.000 mq) è in sintonia con i dati citati, anche se la relativa incidenza percentuale sulla supericie urbana (pari all’11%) è nettamente superiore al valore medio (2,47%), forse anche per la piccolezza dell’area urbana complessiva. l’attenta lettura della carta di Susa rivela inoltre la sopravvivenza di altre tracce della maglia ortogonale: ne riportiamo un esempio, che ci pare di particolare rilievo, nella igura che segue. Si tratta indubbiamente di elementi non risolutivi, seppur riscontrabili sul 21 Figura 4. La sopravvivenza della maglia quadrata nell’attuale forma urbana di Susa: il blocco rettangolare dato dalle Vie Palazzo di Città/Francesco Rolando/Martiri della Libertà/Piave. Il blocco misura (sulla mezzeria delle vie perimetrali) circa 7.000 mq. L’asse del Vicolo della Pace riprende l’originaria suddivisione tra le due insule. La figura mostra come – ad est di Via Piave – l’asse di Via Rolando sia inclinato di circa 67°, per poter convergere su Porta Piemonte. Inoltre: 1 = Porta di Francia (Porta Pedis Castri), 2 = Porta Piemonte (Porta Merceriarum), 3 = Prolungamento verso nord del Kardo (attraverso la Porta Bovalis o Boata), 4 = Prolungamento verso sud del Kardo (verso S. Francesco), 5 = Prolungamento verso est del Decumano (verso il Borgo Inferiore, oggi Borgo dei Nobili), 6 = Prolungamento verso ovest del Decumano (verso il Monginevro). territorio, in quanto solo la precisa documentazione di effettivi percorsi viari potrebbe dare certezza documentale all’ipotesi proposta: ci pare tuttavia che siano elementi da valutare con attenzione, anche per lo spunto che possono fornire verso saggi di archeologia urbana “mirata”, forse l’unica razionalmente pensabile in Susa. Si potrà poi ancora prestare un minimo di attenzione allo stesso andamento del sistema fognario, isolatamente indagato per pochi manufatti, ma veriicabile su scala più vasta(18). (18) A. JaqueT, Mémoire sur la statistique de l’arrondissement de Suze, au Général Jourdan, Conseiller d’ État, Administrateur Général de la 27e Division Militaire par le citoyen Jaquet, Sous-Préfet du même arrondissement, Turin, an X [1801], Imprimerie Nationale, p. 67n: “une partie de ces acqueducs subsiste encore et traverse la ville en tous sense; ils servent a l’ecoulement des eaux dans la Doire ou le ruisseau de Gelasse et ont quatre pieds et demi d’hau- 22 Dalla città ortogonale alla città murata la situazione che abbiamo descritto rappresenta, nella nostra ricostruzione, il quadro di riferimento (e non di certo la regola assoluta e sempre osservata) per la città dei primi tre secoli, dalla fondazione alla crisi che accompagnò l’inizio dell’eclissi dell’impero romano. La stessa cartograia (si veda la Tav. 3) da noi proposta testimonia infatti che – anche nelle relativamente scarse testimonianze di scavo – non è possibile discernere un orientamento isso ed immutabile della maglia urbana: è il fenomeno di cui dà atto, nel suo articolo del 2008(19), Federico Barello quando parla di “principali allineamenti urbani”, compresi entro fasce angolari di non piccola ampiezza (tra i 4 ed i 7 gradi sessagesimali, corrispondenti, per 7°, a scarti di 12 metri sulla lunghezza di 100 metri). la città di Susa avrà quindi visto succedersi diverse fasi di costruzione e di fortuna economica: fortuna economica che pare però sempre più legata all’aspetto militare ed uficiale del trafico attraverso le Alpi Occidentali, piuttosto che ad una solida realtà commerciale e di scambio(20). Vedremo più avanti quanto siano stimolanti le analogie urbanistiche con gli insediamenti posti sulle strade di comunicazione delle Alpi Orientali, dirette verso i facili valichi dell’Est: ma nulla fa pensare, allo stato attuale dei ritrovamenti, ad un ruolo di Susa paragonabile – ad esempio – ad un centro alpino come Magdalensberg, in Carinzia, fortunata città-emporio situata all’impegnativa quota di 1058 metri slm(21). Tornando alla vicenda urbana segusina, la costruzione delle mura segna ovviamente un momento di svolta nella storia urbana di Susa, con la nascita di quel sistema “a triangolo” che ancor oggi condiziona il centro storico della città. l’abbandono della maglia ortogonale, estesa liberamente sul territorio, e la costruzione delle mura comportò infatti un vasto ridisegno della città: non solo il doloroso, ma necessario, abbandono delle parti urbane rimaste fuori dalle mura stesse, ma anche il tracciamento ex novo di almeno due terzi dell’attuale Via Rolando, per assicurare il collegamento diretto tra le due porte (si veda la precedente igura 4). Quando e perché un tale trauma urbano sia avvenuto non ci è dato di saperlo: teur sur quatre de largeur: les arcs des voûtes sont en grande partie construits avec une espèce de tuf taillé et uni avec beaucoup d’art”. Confronta anche, in precedenza, C. SaCCheTTI, Memorie della Chiesa di Susa all’illustrissimo e reverendissimo monsignore Giuseppe Francesco Ferraris di Genola, primo vescovo di essa, raccolte dall’avv. Cesare Sacchetti canonico penitenziere della Cattedrale e rettore del Seminario, Torino 1788, presso Giammichele Briolo stampatore e libraio delle RR. Accademia delle Scienze e Società Agraria, p. 2. (19) F. Barello, Segusio, nuovi dati archeologici sulla nascita di una capitale cit. (v. nota 3) (20) La nuova ed ampia collezione epigraica di e. CIMaroSTI, Testimonianze di età romana. Guida alla lettura delle epigrai della Valle di Susa, Segusium, Susa, 2008, riporta numerose testimonianze di personaggi impegnati nella vita militare e pubblica, ma nessun caso di “mercante”. (21) Per Magdalensberg vedi J. T. KoCh, Celtic Culture, ad vocem, ABC-CLIO Ltd, 2006, p. 1241. 23 certo è che il Panegirico X di Costantino usa, in un contesto retorico, il termine meramente evocativo di “Italiae claustrum”, riferito al 312; mentre Ammiano Marcellino nel 355 parla concretamente di “moenibus”(22). Viene quindi immediato pensare ad una costruzione sul inire del III secolo, come testimonia anche il ritrovamento, nel corpo delle mura, della lapide dell’imperatore Tacito (anno 275 circa)(23). la costruzione delle mura avvenne chiaramente in maniera progettata, seppur affrettata (visto il materiale di reimpiego): solo un potere centrale poté infatti avere la forza di comprimere tanti e tali interessi immobiliari ed economici, imponendo l’abbandono di tutta la sezione nord-ovest dell’abitato e – forse – anche ampie ricostruzioni all’interno della nuova cinta muraria. È bene infatti sottolineare che tale abbandono fu legato a chiare ed inevitabili scelte militari. era perfettamente inutile tentare una difesa di mura addossate al rilievo del Monte Morone nettamente dominante: bisognava quindi arretrare le mura (nella nostra ricostruzione: di 2 maglie urbane), creando davanti ad esse uno spazio libero, battibile dalle artiglierie (a dardi ed a palle) di cui le mura disponevano. la costruzione di uno spazio di manovra davanti alle mura, sopra le tracce della precedente ediicazione, è puntualmente documentato dagli scavi compiuti in Piazza Savoia ed in Piazza San Giusto (da noi riassunti nelle Tav. 3 e 4): la quota del basolato romano sotto la Porta (-1,07 m negli scavi del 1897) giustiica infatti la demolizione del gruppo di case ritrovate sotto Casa Ramella (1904), i cui muri sono tagliati a circa -1,70 m sotto il piano attuale. una rapida demolizione del quartiere nord-ovest, per fare posto alle mura, giustiica anche un fatto perlomeno strano: il ritrovamento (1904) della “Testa di Agrippa” e di pochi altri frammenti bronzei sulla strada basolata, alla quota (22) I testi dei Panegirici di Costantino sono letti in N. BarToloMaSI, Valsusa antica, II, Alzani, Pinerolo, 1985, p. 240 e passim. la ricerca (anche nelle fonti documentarie indirette) del “trauma” che spinse Segusio a riplasmarsi, chiudendosi nelle mura, costituisce un interessante tema di approfondimento, inora non suficientemente sviluppato. (23) Ibidem, p. 187: “Infatti, non tanto dovremmo domandarci quando le mura di Susa furono erette, quanto piuttosto a quale periodo risalgano i singoli tratti di mura che tuttora sussistono”. Sul tema della datazione delle mura sono interessanti altre osservazioni dello stesso Bartolomasi: i lavori di costruzioni murarie di Gallieno a Verona (Gallieno regnò dal 253 al 268); il collegamento tra la costruzione delle mura ed il seppellimento dei tesoretti di monete ritrovati a Susa e risalenti allo stesso scorcio del III secolo (pag. 153-155). Tutti questi dati fanno propendere per una realizzazione delle mura in concomitanza ed a partire dall’invasione di Franchi e Juthungi, appunto negli anni tra il 260 ed il 275. Un’altra fonte di forte turbolenza (con conseguente possibile decisione di chiudere la città) può essere ricollegata alla lunga avventura separatista dell’Impero Gallico (dal 260 al 274). Pare peraltro insensato immaginare una sorta di “autocostruzione” delle mura da parte dei Segusini. la loro realizzazione deve anzi essere inserita in un quadro certamente più complesso e pianiicato, indice tra l’altro di un massiccio impiego di risorse pubbliche nel settore delle fortiicazioni urbane: basterà ricordare i dati macroscopici delle Mura Aureliane di Roma (dal 270) e delle citate mura di Verona (attorno al 260): si tratta di un’ulteriore riprova della preferenza romana per i mezzi di difesa basati su opere di natura edilizia (mura, “valli”, strade), piuttosto che sullo sviluppo di armi individuali o collettive. 24 di -3,35 m; solo una veloce demolizione di case e monumenti giustiica un tale comportamento, seguito subito dopo dalla creazione di un piazzale in ghiaia, forse tagliato da un fossato parallelo alle mura stesse. Resta ancora un fatto da spiegare: come mai si salvò da tale opera di demolizione il “sepulchrum reguli” che A. Marcellino vide “moenibus proximus” nel 355? È indubbio che la pietas dei Segusini abbia contribuito a tale conservazione, ma gioca anche un elemento puramente localizzativo: il luogo del sepolcro (ovviamente sposandone l’individuazione fattane da l. Brecciaroli Taborelli in “Segusium”, 1994) si trova infatti ad una quota superiore di circa 2,5 metri al piano della città fortiicata (il citato livello -1,07 m), e quindi poteva “sporgere” interamente da tale livello; le sue piccole dimensioni e la vicinanza con il rilievo naturale ne rendevano inoltre irrilevante il valore militare, e quindi ne consentivano la conservazione. Conservazione cui – è interessante ricordarlo – contribuì, per ovvi motivi cronologici, anche lo stesso Costantino, nel 312(24). Le rilessioni – sviluppate prima sulla forma ortogonale della “città aperta”, poi sulle nuove caratteristiche assunte dalla “città murata” – invitano a tentare una più complessa ed articolata visione della vicenda urbana segusina. Non solo, quindi, passaggio evolutivo da una città “quadrata” ad una città “triangolare”, ma anche vera e propria sovrapposizione, nel tempo e nello spazio, di due città. Per prima, la “Segusio 1”, senza mura, costruita sui principi gromatici della maglia regolare, cui spetterebbe il livello -3,35 m, scavato nel 1904 in Piazza Savoia. Per seconda, la “Segusio 2”, corrispondente alla città triangolare, dotata di mura, cui spetterebbe il livello -1,07 m, scavato nel 1897. Livello che può corrispondere anche agli usi del medioevo centrale, visto che il pavimento di San Giusto (secondo quarto secolo XI) è a circa - 0,70 m dal livello attuale della Piazza. Per quanto attiene al livello attuale della piazza, esso può essere anche relativamente recente, ricordando la nota vicenda dei cimiteri che continuarono a sorgervi ino al 1750(25). una rappresentazione di tali livelli, estesa sul fronte ovest delle mura (dallo spigolo ovest sulla Dora a Santa Maria Maggiore) si ha nella Tavola 4, mentre la igura 5, riprodotta di seguito, ne riporta uno stralcio di sintesi. l’idea dei “due livelli”, e delle conseguenti “due città”, resta naturalmente, per ora, nel campo delle ipotesi di lavoro: il primo elemento da ricostruire (purtroppo le fonti scritte non ci sono di diretto aiuto) consisterebbe nell’individuare l’evento traumatico che colpì Segusio e spinse le autorità romane ad una sostanziale rico(24) Ci si permette di lanciare un appello afinché la Città di Susa voglia apporre, nel muro di cinta della ex Casa Ramella, un ricordo marmoreo che – magari riprendendo il citato passo di Ammiano Marcellino – rinnovi il ricordo dell’Heroon di Cozio, fondatore della città. Nel ricostituendo museo la sua probabile urna cineraria (per l’individuazione dell’urna cineraria si veda l. BreCCIarolI TaBorellI, Un passo di Ammiano Marcellino e il probabile Heroon di Cozio, in “Segusium”, n. speciale, 1994, pp 105-114) potrebbe avere il giusto rilievo, anche presentando una ricostruzione dell’heroon e dell’area contigua, da aggiornare con il proseguimento di scavi e studi. (25) e. PaTrIa, Un problema di viabilità urbana nella Susa del secolo XVIII, “Il Geometra”, n° 3, 1978. 25 Figura 5. Le quote della “Segusio 1” e della “Segusio 2” riferita alla zona di Porta Savoia. Appare evidente come difficilmente i due livelli abbiano potuto essere contemporanei: dalla soglia della porta, per giungere al livello scavato nel 1904, dovrebbe esserci stata una brusca discesa, priva di un senso urbano e non riscontrata negli scavi che si sono succeduti. struzione della città, trasformata in città murata e spostata nettamente verso est. ricostruzione che avvenne “sopra” i livelli edilizi precedenti, generando i livelli che si incontrano a solo 1 metro di profondità, sotto i piani attuali. La igura che segue tenta di dare un’indicazione graica del fenomeno sopraccennato: pur restando all’interno sostanziale della maglia gromatica tracciata all’inizio del I secolo, la città murata del III secolo avanza verso est, inglobando spazi prima destinati ad usi periferici e trasformandoli nella struttura urbana che – completamente rivisitata, nei suoi esiti edilizi, dalle esperienze medievali – ancor oggi vediamo(26). (26) Una preziosa indicazione, in merito agli usi originari (“Segusio 1”) degli spazi urbani ad est, proviene da a. CroSeTTo - C. DoNzellI - g. WaTaghIN, Per una carta archeologica della Valle di Susa, in BSBS, 79 (1981), p. 399, n°71:48 “Teatro comunale. 1869. Tomba ad incinerazione con corredo: primi del II secolo d. C. (Susa, Museo Civico)”. A tale citazione, tipica di spazi posti 26 Figura 6. Da “Segusio 1” a “Segusio 2”: dalla città quadrata aperta alla città triangolare murata. La figura fornisce una possibile interpretazione di questa fondamentale fase evolutiva nella storia di Segusio: la città (in un momento situato verso il 280 d C) abbandona i suoi isolati ad ovest (indifendibili in quanto troppo prossimi al Monte Morone), occupa spazi periferici ad est e si chiude nella cinta muraria. Pur nella carenza di fonti e di confronti, può essere tuttavia interessante costruire una tabella (pagina seguente), in cui sono raccolte le evidenze di molti scavi oggi conosciuti (nella zona urbana gravitante su Porta Savoia), con i loro dati di profondità e la loro conseguente attribuzione ai citati “due livelli”. È immediato veriicare che i livelli esterni a Porta Savoia ci riportano a “Segusio 1”, mentre i sondaggi interni alle mura ci riportano a “Segusio 2”: i punti conosciuti sono ovviamente troppo pochi per avere conferma della nostra ipotesi, ma qualche concordanza comincia a delinearsi. È anche signiicativo che gli allineamenti più regolari (secondo l’ipotizzata “maglia ortogonale”) si riscontrino nel livello Segusio 1, oppure nel livello Segusio 2 che però segue da vicino le mura (condotto idrico ritrovato in Cattedrale). Superluo dire che un sondaggio sull’asse est-ovest di Piazza Savoia, dalla Porta all’inizio della salita per l’Arco, chiarirebbe molte cose su questo delicato ai margini della città, potrebbe contrapporsi la localizzazione delle “Terme Graziane”, che paiono sovrapporsi – nello stesso ambito urbano – a secolo IV inoltrato (“Segusio 2”): si veda, nell’opera sopra citata, il n° 71:47 “Nei pressi del teatro comunale. 1869. Resti di ambiente con vasche e mosaici (ediicio termale?): età romana (?)”; per quanto attiene alla epigrafe delle Terme Graziane, si veda N. BarToloMaSI, cit. (v. nota 22), pp. 393 - 415 ed anche come sopra, n° 71:62 e CIL, 7250. 27 e confuso momento nella storia di Susa, riconsegnandoci forse elementi decisivi in merito al raccordo tra il (nuovo) piano interno alle mura ed il (vecchio) piano ad esse esterno. Scavo Autore Anno livello principale Casa ramella G. Couvert 1904 - 3,35 Fondazioni liceo (distrutti) 1959 Camera romana “Scuole Medie” Sopr. Arch TO Porta Savoia C. Bertea (basolato) Condotto in San S. Savi Giusto Scavi occasionali N. in San Giusto Bartolomasi Piazza san Giusto C. Bertea (trincea) Via Rolando (Pal. Benit) Palazzo Provincia Sopr. Arch TO Porticato cortile Seminario Attribuzione al livello SEGUSIO 1 SEGUSIO 2 Fonte 2002 - 2,00 rel. 1897 - 1,07 1963 1978 - 1,50 (voltino) - 1,00 circa PdP, p. 48/49 PdP, p. 68/73 B 1985, ig.172/176 Archivio Sop. Ar. TO PdP, p 42 e 47 PdP, p. 147/155 S 1964 p. 27 B 1985 Fig. 150 1890 - 1,10 circa PdP, p. 46 1986 - 2,60 (voltino) BT 1990 p. 79 Tav. LVI B 2007 2002/3 - 0,40 ? ? PdP, p. 299 “Tempio”: soglia sup. scala accesso Sopr. Arch TO Da 2005 - 0,40 ? ? B 2007 e seguenti Sopr. Arch TO Da 2005 - 3.00 ? ? B 2007 e seguenti “Tempio”: base fondazioni Sopr. Arch TO Note alla tabella: - Per ogni scavo, si è tentato di riferire le quote del livello principale di scavo ad uno “zero relativo”, posto al centro dell’arco della Porta Savoia (livello attuale dell’asfalto); tale quota corrisponde, in valore assoluto, a + 500,60 m slm.; - “PdP” = “La Porta del Paradiso”, op. cit.; - “B 2007” = F. Barello, “Appunti di topograia segusina”, op. cit.; - “S 1964” = S. Savi in “Segusium” n° 1, op. cit.; - “B 1985” = N. Bartolomasi “Valsusa Antica”, vol. II, op. cit. - “BT 1990” = L. Brecciaroli Taborelli in QSAP 1990, op. cit. - “Archivio Sop. Ar. To.”: per gentile concessione del Dott. F. Barello Nella tabella, i punti interrogativi, posti in corrispondenza ai tre interventi che sono attribuibili al “Tempio” emerso nel 2005, danno atto della dificoltà di inserire tali reperti in un organico quadro della città antica, come sarà meglio illustrato di seguito. Nel passaggio da “Segusio 1” a “Segusio 2” non tutto il passato urbano fu ovviamente cancellato. 28 la nostra Tavola 2 dà atto di tale processo di continuità – pur nel drastico cambiamento di cui parlammo – analizzando i singoli tratti di mura. leggiamo infatti, nel circuito delle mura, due tipologie ben diverse: - i tratti in giallo rappresentano infatti i percorsi delle mura ben inseriti nella maglia ortogonale romana; - i tratti in rosso rappresentano invece le innovazioni, ognuna delle quali risulta avere una precisa motivazione. Concentrando pertanto la nostra attenzione sui tre tratti “in giallo”, vediamo che per ognuno di essi le possibili motivazioni di scostamento, rispetto all’ipotizzata maglia ortogonale, sono logiche: - a sud-est, il nuovo posizionamento di Porta Piemonte sostituisce la (ipotetica) maglia ortogonale (ed il conseguente potenziale tratto rettilineo di mura) con una forma ”a punta”, ben più facilmente difendibile e meglio protetta dal pericoloso corso del Gelassa; - a sud-ovest, l’inglobamento dell’arce (o rocca) in un “castrum” obbligò ad una riconsiderazione generale di tutte le costruzioni poste nella parte alta della città: è indubbiamente credibile la possibilità che l’ipotizzato decumano giungesse, in origine, in all’interno dell’attuale Castello, superando con una rampa il dislivello tra “città bassa” e “città alta”(27). la volontà di fortiicare la parte alta della città costrinse ovviamente ad interrompere tale collegamento diretto, sostituendolo con un sistema di rampe, protetto ed inserito nella fortiicazione; - a nord-ovest, l’irrisolto spigolo delle mura, in corrispondenza della “spinta” della Dora verso sud-est, testimonia la dificoltà di gestire costruzioni lineari (come strade e mura) in parallelo ai corsi d’acqua. l’attenzione riportata sulle mura obbliga, a questo punto, ad un duplice approfondimento, relativo appunto all’esigenza sia di una maggiore conoscenza del circuito murario, sia – a scala più generale – di una presa d’atto di cosa e quanto fosse rimasto, nella memoria collettiva della Susa medievale, del passato romano e tardoantico, che oggi con tanta dificoltà cerchiamo di ricostruire. Quanto del lascito urbanistico e monumentale di Segusio romana sia giunto alla villa Secusie tardomedievale è dificile dirlo. Apparentemente i Segusini non avevano una conoscenza puntuale del retaggio materiale dell’età antica e tardoantica, con riferimenti espliciti alle stagioni più risalenti di quella comunità montanara, assestatasi ormai con troppi scarti nel corso del lungo medioevo. È vero che l’Arco monumentale si presta a un recupero ideologico forte da parte del cronista della Novalesa – che insinua nel cuore stesso del potere valligiano degli odiati marchesi arduinici il ricordo scritto e durevole dei conferimenti patrimoniali abboniani, spacciando l’iscrizione come un elenco degli allodi mo(27) M. CavargNa, L’area del Castello di Susa. Le vicende storiche e costruttive, in “Segusium”, 40 (2001) da p. 25: “Ipotesi dell’aspetto di Susa romana nel III secolo d. C. dopo la costruzione delle mura” (che riprende la carta pubblicata in “Segusium” 28 (1988) e didascalia, pp. 37-39. 29 nastici mortiicati largamente, sempre secondo la propaganda interessatamente squilibrata del monaco-scriba, dall’ingordigia marchionale – ma l’Arco in questione era di per sé inserito nell’area pubblica dei nuovi titolari del palatium segusino. Al contrario, quando le fonti tardomedievali registrano la forma toponimica ad Arcum non ci si riferisce mai all’arco augusteo, bensì a una struttura materiale sulla sinistra del iume, tra lo sbocco di via Roma in corso Inghilterra e la strada delle Combe (attuale Via Brunetta), che individuava la periferica Porta dell’Arco (porta Arcus), per la quale non è parso inverosimile che si potesse trattare di un monumento funerario antico reimpiegato in età medievale(28). Diversamente da quanto credeva Ferdinando Gabotto, non si era poi conservata nelle carte medievali memoria dello “stadio” romano di Susa, negli anni in cui (1916) vi erano già stati i primi sondaggi nel sito della vecchia arena extra mœnia e di cui lo studioso ebbe certo notizia tramite la stampa subalpina o tramite i suoi corrispondenti valligiani(29). Ciò non di meno, il reimpiego intenzionale e a piena vista del materiale epigraico antico nelle chiese, nei porticati delle case e, in un caso che vedremo(30), in una porta urbica, attesta ancora la consapevolezza di ‘reinterpretare’ un genio municipale che non poteva andare oltre il generico riferimento a un’antichità consolidata, isicamente stratiicata ma irrimediabilmente perduta. L’‘assemblaggio’ urbano che si consolida tra età tardo antica e pieno medioevo deve fare i conti con le poche risorse disponibili e con lo scivolamento selettivo e semantico che la civitas segusina conobbe nell’impossibilità a esibire una dignità episcopale, mentre l’importanza militare e logistica del sito permane (28) E. PaTrIa, Archeologia urbana a Susa. A proposito di un recente convegno, in “Il Geometra”, gen-feb-mar 1989, pag. 6. Quella struttura monumentale non era poca cosa, trattandosi di “quemdam archum lapideum ad modum unius porte civitatis vel op[p]idi lapidibus scissis fabricatum, in inibus Secuxie loco dicto ad Portam Archus scitum” e quando il cardinale d’Estouteville, nel 1464, ne chiese il risarcimento a favore dell’abbazia da parte dei Roero che l’avevano improvvidamente demolito non chiese una cifra simbolica, ma 1.900 iorini di buon conio (ASTo, Corte, Materie ecclesiastiche, abbazie, S. Giusto di Susa, m. 8, docc. 8 e 9) che neppure i ricchi usurai astigiani poterono pagare considerandola una spesa di poco conto, e contro cui cercarono pertanto, quanto inutilmente, di resistere in giudizio. (29) F. gaBoTTo et alii, (a cura di), Carte varie a supplemento e complemento dei volumi II, III, XI, XII, XIII, XIV, XV, XXII, XXXVI, XLIV, LXV, LXVII, LVIII della Biblioteca della Società Storica Subalpina, Pinerolo 1916 (= BSSS, 86), p. XV. Il riferimento è alla località Stadio (Staj) sui conini con Venaus in Val Cenischia, fermo restando che riuscirebbe di qualche utilità comprendere quale struttura materiale portasse nel tardo medioevo a identiicare un punto nodale del territorio periurbano “a Grossis Lapidibus Stadei” all’imbocco della strada del Moncenisio [Cfr. r. CoMBa, (a cura di), Miniere, fucine e metallurgia nel Piemonte medievale e moderno, Cuneo 1999, p. 57: 1297, novembre 20]. (30) È suficiente il rinvio a SaCCheTTI, Memorie della Chiesa di Susa, cit. (v. nota 18), pp. 2-32; specialmente per Porta Boata si veda p. 26. Si veda in generale F. DeIChMaNN, Die Spolien in der Spätantiken Architektur, München 1975, pp. 34 sgg. e l. De laCheNal, Spolia. Uso e reimpiego dell’antico dal III al XIV secolo, Longanesi, Milano, 1995. 30 come unico punto di forza (o di minor debolezza) del nuovo insediamento(31). Quando Susa passa sotto il controllo eminente dei Savoia, il punto di obbligato radicamento isico del potere non può che essere il castrum o palatium (le due forme convivono nell’indicare l’attuale castello), in un segno di continuità che andrà indagato nei suoi aspetti materiali attraverso una documentazione tardomedievale ricchissima(32). la porzione più consistente dell’ipotizzato foro antico è invece sede dell’area ecclesiale che si sviluppa tra la chiesa di S. Maria Maggiore e il complesso monastico di S. Giusto (nuovo conferimento patrimoniale dei marchesi, valutato in due iugeri), dove si concentrano gli spazi pubblici e semipubblici della rinnovata comunità locale: oltre alla pieve e alla chiesa abbaziale, si segnala la chiesa di S. Paolo onerata dalla cura animarum, per la quale i benedettini non erano disposti a fare sconti alla sempre più diminuita primazia plebana dei canonici ulcensi, cui ben presto verrà sottratta anche la chiesa periurbana di S. evasio. Ma il dato più interessante – nonché passato inosservato nella sua simultaneità – è che, a cavaliere tra il primo e il secondo quarto del secolo XII, due prossimi e quasi contrapposti cantieri aumentano la volumetria degli ediici ecclesiali urbani. Si tratta del prolungamento di S. Giusto, a ridosso delle mura(33), e dell’impianto ex novo, a sud-ovest di S. Maria Maggiore, della chiesa canonicale di S. Pietro(34), con cui i canonici segusini, fagocitati dal clero maurianese, intesero (31) C. la roCCa, Fuit civitas prisco in tempore. Trasformazione dei municipia abbandonati dell’Italia occidentale nel secolo XI, in La contessa Adelaide e la società del secolo XI (Atti del Convegno di Susa, 14-16 novembre 1991, = “Segusium” 32 - 1992), p. 134 sg.; F. MarazzI, “Cadavera urbium”, nuove capitali e “Roma æterna”: l’identità urbana in Italia tra crisi, rinascita e propaganda (secoli III e V), in Die Stadt in der Spätantiken - Niedergang oder Wandel?, hrsg. Jens-Uwe Krause e Christian Witschel, Stuttgart 2006, pp. 33-66. (32) g. CollINo (a cura di), Le carte della prevostura d’Oulx raccolte e riordinate cronologicamente ino al 1300, Pinerolo 1908 (= BSSS, 45), p. 59, doc. 47: “Post obitum Adalaide comitisse quando dominus ubertus ingressus est langobardiam (…) hoc autem fecit (…) in Secusiensi castro”. (33) Per S. Giusto cfr. infra nota 45 e, per gli esiti tardo medievali, le osservazioni di G. DoNaTo, Medioevo policromo: l’edilizia civile in Piemonte, in Il colore delle facciate: Siena e l’Europa nel Medioevo, a cura di Francesca Tolaini (Quaderni del CERR, 2), Pisa 2005, p. 164 n. (34) Per la chiesa di S. Pietro Le carte della prevostura d’Oulx raccolte cit. (v. nota 32), p. 107, doc. 106: “aliam iuxta ecclesiam erexistis in qua divina oficia celebratis (…) alioquin vos ex tunc et in illa beati Petri ecclesia divina prorsus celebrari oficia prohibemus et vos ab ecclesiarum omnium introitu donec satisfeceritis sequestramus”; l’importanza dell’atto non era sfuggita al notaio che redasse il cartulario ulcense nel primo quarto del XIII secolo o poco dopo: a margine annotò “nota de ecclesia Sancti Petri, lege usque in inem”. La chiesa di S. Pietro è oggi inglobata nelle abitazioni di edilizia popolare che insistono sul settore meridionale del complesso canonicale. la sua menzione non è irrilevante per la stessa datazione del falso originale della bolla cunibertina del 1065, i cui tituli contengono evidentemente delle interpolazioni che ne giustiicarono la confezione. La documentazione fotograica sulla chiesa di S. Pietro ci è stata gentilmente offerta e messa a disposizione dall’arch. Michele Rufino che, nel 1993, curò il piano di edilizia residenziale pubblica nella vecchia manica del complesso canonicale di S. Maria Maggiore. Nel corso del XII secolo per trovare menzione di un nuovo cantiere bisogna quindi scendere all’ulti- 31 rispondere, con una certa arditezza ma senza iningimenti, “neglecto domini pape mandato” all’ordine perentorio di Callisto II di restituire la pieve segusina agli ulcensi, pieve in cui il papa aveva interdetto al clero maurianese e segusino qualsiasi funzione religiosa e atto che avesse rilevanza esterna, qualora non vi fosse stato un adeguamento alla volontà del ponteice. Solo con il concilio di Cremona, nel 1147, e con la morte di Amedeo III, l’anno successivo, verranno meno i motivi più aspri del conlitto, mentre si accentueranno le forme di concorrenza tra canonici e monaci nell’intero distretto ecclesiastico segusino. Sono quelli gli anni in cui la comunità locale si afida deinitivamente a un ceto dirigente sabaudo-borgognone, che la farà da padrone ino all’esordio dell’età avignonese(35). Ancora sui vecchi sedimi della città romana si impianta la domus helemosinaria (porzione nord dell’attuale Palazzo della Provincia), conferita da umberto III nel 1170 ai dirimpettai canonici di S. Maria(36): se vi aggiungiamo l’ospedale retto dai benedettini di S. Paolo (di dificile datazione e comunque del tutto complementare nel sistema degli hospitalia della città vecchia), vediamo come l’intero segmento occidentale dell’insediamento, a ridosso del castrum, nel suo sviluppo settentrionale verso il iume, cumuli le primarie funzioni pubbliche e di servizio di cui l’insediamento medievale necessitava e diventi anche il luogo in cui s’impianta il mercato ebdomadario del martedì. Nel settore della porta Pedis Castri (poi porta di Francia, demolita nel 1819) e verso l’attuale piazzetta rana sopravvive il punto di raccordo non solo tra due importanti direttrici ortogonali della città romana, ma soprattutto l’innesto sulle residue direttrici romane degli acquedotti preesistenti, da parte del sistema dell’approvvigionamento idrico dell’insediamento medievale intra mœnia, sistema idrico ridotto a poca cosa rispetto all’epoca romana(37). Perché dunque i Segusini inirono in età medievale con l’indicare solo il quadrante meridionale della città vecchia quale Carterium civitatis o Ruata civitatis (area indicata con “A” nella igura che segue)? A ben vedere, perché quella era la porzione della città antica che si era sviluppata sull’asse Castello - rettiilo del decumano - burgus inferior. Burgus inferior, o Borgo dei Nobili (area indicata con “B” nella igura che segue), che costituiva l’unico nucleo insediativo medievale di pregio, extra mœnia, pronto mo quarto dello stesso, quando l’abate ubold deve provvedere a restaurare la clausura monastica in S. Giusto (cfr. M. BoSCo, Le più antiche carte del monastero di S. Giusto di Susa (1029-1212), in “Bollettino storico bibliograico subalpino”, 73 (1975), p. 589, doc. 18). (35) Per quei conlitti cfr. aa. Vv., San Bernardo al Laietto. Chiese cappelle e oratori frescati nella Valle di Susa tardogotica, Susa 1992, p. 14 sg. e p. 35, nota 17. Sui falsi che ne derivarono cfr. e. Cau, Carte genuine e false nella documentazione arduinica della prima metà del secolo XI, in La Contessa Adelaide cit. (v. nota 31), pp. 183-214. (36) Per la domus helemosinaria vedi Le carte della prevostura d’Oulx raccolte cit. (v. nota 32), p. 162, doc. 157. Per la sua collocazione cfr. l. PaTrIa e P. TaMBurrINo (a cura di), Esperienze monastiche nella val di Susa medievale, Susa 1989, p. 201, ill. 1. (37) Per questi aspetti cfr. “Segusium”, 24, (1987), p. 30 sg. 32 a ricalcare la viabilità antica sulla destra del iume e a ricollegarsi con le viae compendiariae meridionali verso lo spartiacque Dora-Chisone (colle delle Finestre): il raccordo inale giunge almeno ino a Bussoleno in una ricercata e consapevole continuità gromatica. Ma, attenzione, non con la Bussoleno attuale nel suo impianto medievale a cavallo del iume, bensì con l’insediamento abbandonato di ad Boçelenum vetus, sulla destra della Dora ed a ridosso della dorsale valliva pedemontana. Sul fronte nord-occidentale di Segusio invece la forte riplasmazione funzionale dell’intero insediamento murato, intasato dalle aree ecclesiali e dall’ingombrante settore del complesso monastico di S. Giusto (area indicata con “C” nella igura che segue), unitamente all’accanita parcellizzazione dei sedimi del mercato, facilita la percezione di un nuovo assetto funzionale che si rilette nell’innovativa toponomastica urbana di quel segmento intra mœnia dove le novità d’uso, oltre alle chiese, vedono nella destinazione mercatale della ruata fori o ruata mercati (ma altresì, Carterium Mercati: area indicata con “D” nella igura che segue) l’elemento più connotante di quella porzione di città vecchia, per cui il richiamo all’antico perde qualsiasi suggestione e valenza evocativa, cedendo alla soluzione di menzionare ciò che concretamente c’è, piuttosto che ciò che a suo tempo ci sarebbe stato e non risultava più avvertibile(38). la stessa dimensione spaziale del decumano – ancor oggi ben percepibile nel calibro stradale di Via Palazzo di Città e dei suoi portici sul lato nord – do- Figura 7. Particolare di un arco nell’area di collegamento tra la pieve di S. Maria Maggiore e la chiesa di San Pietro, sopravvissuto nella ristrutturazione dell’ex complesso canonicale, ora trasformato in residenza (foto L.Dezzani). (38) Su quella documentazione cfr. r. CoMBa (a cura di), Vigne e vini nel Piemonte medievale, (Medievalia, 2), Cuneo 1990, p. 199 sg. Per i raduni dell’universitas locale presso l’abbazia, in mancanza di una valida alternativa, ASTo, III, Camerale, Art. 706, § 16, reg. 2. 33 Figura 8. Le articolazioni funzionali e toponomastiche nella Susa tardomedievale (XIII-XIV secolo). A = Carterium civitatis o Ruata civitatis; B = Burgus Inferior (Borgo dei Nobili); C = Zona dei complessi ecclesiali; D = Ruata fori o Ruata mercati; E = Ruata foris portam, F = Castrum; G = Palacium abbacie. veva essere di una eccezionalità tale, da contrapporsi con tutta evidenza alla più angusta parcellizzazione settentrionale, ino a ridosso di porta delle Mercerie. Approfondimenti e verifiche: il caso di Piazza Savoia Come detto, Piazza Savoia costituisce l’unica parte della città in cui i lavori archeologici, diseguali nell’epoca e nella restituzione ma fortunatamente quasi tutti editi, forniscano una serie di elementi che, collegabili fra di loro in maniera razionale, possono fornire una seppur parziale conferma di quanto sopra sostenuto: aprendo al contempo, nella loro problematicità, altri ed interessanti campi di approfondimento e di veriica(39). (39) Le Tavole 3 e 4 tentano di ricomporre, in un unico quadro sinottico, rilievi e materiali di scavo molto diversi per tempo, scala, accuratezza del disegno, riferimenti topograici ed orientamento: si tratta di un lavoro già eseguito in passato, ma ora reso più preciso dalle tecniche di disegno elettronico. Sono tuttavia inevitabili le imperfezioni e le scelte personali, che ci auguriamo non tolgano interesse a questa nuova visione d’insieme. Si ricorda che, con riferimento 34 Per le inalità di questo contributo, è parso opportuno coordinare l’insieme delle informazioni relative a Piazza Savoia e dedotte da varie fonti graiche e documentali, in due rappresentazioni graiche (che costituiscono le Tavole 3 e 4, in allegato), organizzate l’una in pianta, l’altra in sezione. Alla documentazione graica delle citate Tavole si unisce una serie di approfondimenti documentari, basati sulla documentazione tardomedievale disponibile, con una avvertenza: non si dispone per Susa di una documentazione apprezzabilmente seriale, se non a partire dal XIII secolo. Per dirla tutta: tra la fondazione di S. Giusto (1029) e l’ultimo quarto del secolo XII, la documentazione sul funzionamento della comunità segusina e il suo rapporto con l’area urbana (ma altresì con il contermine territorio rurale) si riduce a pochi frustoli documentari (alcuni persino in fama di falso) e non appare casuale che le cose migliori ci siano pervenute esclusivamente attraverso il cartulario dugentesco dei canonici di Oulx, che non si conservava in città, né all’interno della contea sabauda. Un dato sembra certo: ai Segusini ilosabaudi di documentare come abbia funzionato la loro comunità fra XI e XII secolo inoltrato non interessava minimamente, conidando invece sui nuovi rapporti con i conti oltralpini e con i vertici abbaziali di S. Giusto, ormai, a partire dall’abbaziato di Gautier d’Aix (1152), destinati ad evolversi in chiave ilosabauda e borgognona, congedandosi in tal modo dal passato arduinico da cui non avevano più da trarre alcun beneicio, né d’appoggiarvi qualche utile rivendicazione. la rinnovata comunità locale è più una ville de franchise sul modello savoiardo(40), che non un comune di matrice subalpina, modello sul quale si svilupperanno esperienze urbane quali Torino, Chieri, Moncalieri e Pinerolo. I Segusini, quando cercano un luogo pubblico per radunarsi, devono farlo necessariamente presso l’abbazia locale, senza disporre di un luogo o di un ediicio alternativi che si ricolleghino alla loro ambizione di civitas, giuridicamente inattuale. Per trovare una spiegazione a tutto ciò riuscirebbe poi inutile il frusto richiamo postrisorgimentale ai presunti danni causati pochi anni prima dal ‘tedesco’ e odiato Barbarossa, giacché se anche la memoria scritta avesse allora subito qualche drammatica perdita, nulla avrebbe impedito di ‘ricostruire’ tale memoria, così venuta meno, attraverso un procedimento di dichiarazioni di scienza che rinnovava quanto si fosse voluto rinnovare, oltretutto con un malizioso margine d’innovazione: così fecero ripetutamente per la documentazione (perduta negli originali, ma che a loro interessava) di Amedeo III e di soprattutto al delicato problema delle quote in verticale (e quindi alla congruenza tra diversi disegni in sezione, di epoche e fonti diverse) è stato eseguito un apposito rilievo altimetrico, che ha interessato 19 punti nell’area intorno a Porta Savoia, punti quotati rispetto ad una quota 0,00 posta sullo spigolo N-O della stessa Piazza Savoia. Si ringrazia lo Studio Tecnico del Geom. Aldo Bergero, di Susa, per la preziosa collaborazione e per l’esecuzione di tali rilievi. (40) r. MarIoTTe-löBer, Les chartes de franchises des Comtes de Savoie, Annecy – Gèneve, 1973, pp. 14 e 93. 35 umberto III(41). Dall’analisi della Tavola 3 e del citato insieme documentale, emergono una serie di tematiche che, seppur interrelate fra di loro, sono trattate in maniera monograica nei due paragrai che seguono. Le direttrici nord-sud nella maglia ortogonale della Susa romana: i riscontri nell’area di Piazza Savoia Con sano realismo, bisogna ammettere che – dell’ipotizzata rete viaria ortogonale su cui si sarebbe basata la Susa romana – l’unico tratto di strada effettivamente scoperto, misurato e studiato per una qualche lunghezza è il famoso tratto in direzione nord – sud, sotto Casa ramella, documentato dai rilievi dell’Ing. Cesare Bertea nel 1904(42). Conviene pertanto dedicare ad esso la massima attenzione, peraltro in una lettura strettamente congiunta agli altri elementi che, come abbiamo visto, compongono le Tavola 3 e 4; la Tavola 4 riprende, ad una scala di maggior dettaglio, molti elementi della Fig. 2 dell’articolo di F. Barello (2008). Si tratta, è doveroso sottolinearlo, di elementi che, nella loro attuale frammentarietà, non consentono di ipotizzare una forma urbana per questa porzione di Susa romana. Qualcosa comunque inizia a comparire, grazie anche alla composizione unitaria offerta dalla Tavola 3: ad esempio, si legge con chiarezza la volontà di “inquadrare” l’Heroon di Cozio nell’arco della Porta; non compare peraltro nessun altro indizio di monumentalità, ed anche lo stesso heroon pare un ediicio modesto, seppur nella sua sacralità. Anche i resti di abitazioni, ritrovati a più riprese nell’area dei complessi scolastici, paiono lontani dalla monumentalità, pur indicando corrette soluzioni costruttive. Gli elementi di attenzione, relativi all’area di Piazza Savoia ed alle costruzioni su di essa gravitanti, sono pertanto i seguenti: - Il rilievo Bertea 1904, pur essendo di pregevole resa graica e ricco di misure, non è purtroppo ancorato a punti issi della scena urbana di Susa (spigoli di ediici o simili). La direzione del nord geograico è approssimativa; il riferimento (tratteggiato) all’impronta di Casa ramella ha solo valore indicativo; sorge pertanto il grave problema di collocare nello spazio tale rilievo: problema da noi risolto, dopo molti tentativi, cercando di mediare (41) Sono dati facilmente derivabili dalla documentazione da noi utilizzata sia in questa rivista [“Segusium”, 24 (1987), pp. 17-38], sia nel nostro intervento (saggio e appendice documentaria) nella Porta del Paradiso, cit. (v. nota successiva), dedicato nuovamente ai mœnia vetera e alla loro trasformazione in chiave diacronica. (42) I rilievi dello scavo 1904, realizzati dal Bertea, sono tratti da l. MerCaNDo (a cura di), La Porta del Paradiso. Un restauro a Susa, Stamperia Artistica Nazionale, Torino, 1993 (nei disegni citati con la sigla “PdP”). 36 - - - - logicamente tra le varie posizioni possibili(43). Sempre idandosi sui rilievi del 1904, il parallelismo tra la strada sotto Casa Ramella ed il tratto delle mura che chiude Piazza Savoia ad est è solo apparente: tra le due linee, aventi il medesimo orientamento, esiste infatti un angolo di circa 3 gradi. Il dato è interessante, ma non risolutivo, anche perché pare improbabile, alla luce di quanto prima esposto, una vita contemporanea di tali manufatti. Si tratta del fenomeno degli “allineamenti”, ben messo in evidenza dal Barello nel citato articolo del 2008. Se si considera per valido l’interasse tra i cardini di 64 metri (215 piedi romani), il kardo 2 ovest verrebbe a cadere nella posizione ad esso assegnata nella Tavola 3. Tale posizione è molto stimolante: la strada appare infatti congruente con il percorso delle mura e ne costituirebbe, anzi, la via di servizio tecnico ed il “pomerio”. Troverebbe allora un spiegazione logica il posizionamento delle mura: esse risultano costruite subito al di fuori di tale asse stradale, che sarebbe stato appunto utilizzato per la costruzione e per l’esercizio delle mura stesse. Troverebbe anche collocazione logica il tratto di cunicolo di scolo delle acque, scoperto dal Savi nel 1964 e ripreso nel 1992. Ha sempre suscitato rimpianto la perdita degli ediici sotto Casa Ramella (seppur documentati graicamente) e soprattutto degli ediici ritrovati nel 1959 durante i lavori per il Liceo, purtroppo documentati solo da una serie di fotograie imperfette(44): merita pertanto maggior rilievo il ritrovamento di vasti ambienti a nord dell’ediicio delle Scuole Medie, ancor oggi in parte visibili a cielo aperto. Tali vani, come nota F. Barello nel suo articolo del 2007 (punto n° 3 nella Fig. 1), svolgono, a nostro parere, alcune importanti funzioni: presentano un orientamento che appare congruente con il sistema ortogonale ipotizzato; testimoniano che l’occupazione della città romana si spinse (nella fase da noi deinita “Segusio 1”) ino al limite occidentale dello spazio pianeggiante disponibile; forniscono dati di profondità, consentendo un collegamento agli altri livelli di scavo, pur considerando l’inevitabile innalzarsi dei livelli, andando verso ovest ed i rilievi montuosi. Sempre con riferimento alle analisi che prendono le mosse dagli studi del Savi, ma spostandoci diacronicamente all’epoca medioevale, merita senz’altro una nuova attenzione il problema del rapporto tra facciata di San Giusto e mura, da leggere, a nostro parere, con rinnovata attenzione alla complessa (43) La confusione di orientamento è ben documentata dalle igure tratte da “La Porta del Paradiso”, cit. (v. nota 7), pp. 48-49, nessuna delle quali fornisce un orientamento certo per i reperti di scavo. un aiuto all’orientamento viene dai disegni messi gentilmente a disposizione dal Dott. Barello della Soprintendenza Archeologica per il Piemonte e Valle d’Aosta, relativi allo scavo effettuato nella posizione dell’ex locale pubblico, all’interno del Parco Archeologico (salita all’Arco). (44) Per le fotograie si veda N. BarToloMaSI, Valsusa antica, II, Alzani, Pinerolo, 1985, fotograie 172 - 176 37 stratigraia delle murature, sia in pianta, sia in alzato(45). In sintesi conclusiva, dai pochi elementi letti con chiarezza in merito alla forma urbana della Segusio romana, paiono emergere punti a favore (o almeno non ostativi), rispetto all’ipotesi di “ricostruzione ortogonale” qui suggerita. resta invece ancora aperto l’interrogativo (per molti versi centrale) sul “rilievo urbano” della città romana: solo la deinitiva individuazione di un ediicio monumentale, con il suo apparato costruttivo e decorativo, potrebbe sciogliere tale dubbio strutturale. Da questo insieme di ragionamenti, emerge anche – quale stimolante derivato – la possibilità di individuare pochi punti di possibili interventi di “archeologia urbana”, che ci permettiamo di suggerire alla rinnovata attenzione dei competenti, avendo ben presente la necessità di ostacolare il meno possibile l’attuale vita economica e civile in Susa. Tali punti sono: - Il lato sud-ovest di Piazza Savoia: l’obiettivo consiste nel trovare conferme (45) Per quanto attiene alla costruzione della chiesa di San Giusto, ed in particolare della sua facciata ovest, occorre fare riferimento agli studi di mons. S. Savi (in “Segusium”, 1, 1964, ed in La cattedrale di San Giusto e le chiese romaniche della Diocesi di Susa, Alzani, Pinerolo, 1992); tutta la materia è stata poi ripresa ed aggiornata, con ampio corredo graico, in AA. VV., La Basilica di San Giusto, Atti del Convegno 21 ottobre 2000, a cura: Centro Culturale Diocesano – Museo Archivio Biblioteca – Susa, 2002, in particolare nel contributo di l.PeJraNI BarICCo, Lettura stratigraica delle strutture della chiesa abbaziale di san Giusto. la questione pare tuttavia ancora bisognosa di approfondimenti, con rilievi più accurati nella complessa zona dell’ingresso di San Giusto su Piazza Savoia, del coro, della scala di accesso al coro, della parte in elevazione della facciata ovest. I problemi aperti paiono infatti ancora numerosi. Il disegno di p. 53 (ig. 20) del volume di Atti del Convegno sopra citato (2002), riprendendo con chiarezza la situazione oggi osservabile, illustra la continuità tra il muro più esterno della cinta muraria “a sacco” e la sopraelevazione per la facciata di San Giusto: dunque, la facciata dell’ampliamento non può essere la sopraelevazione della facciata scoperta nel 1964 dal Savi, che invece era il muro più interno della struttura a sacco, come già osservato dal Savi, 1992. La facciata scoperta nel 1964 potrebbe pertanto appartenere ad un altro ediicio, questo sì utilizzato per costruire il muro a sacco. Da sottolineare che il Savi, nel suo articolo del 1964, parla (con riferimento a questo muro “interno”) di “particolari architettonici che (…) rilevano uno stile che si potrebbe deinire preromanico, quale era in uso nei secoli IX e X” (Segusium 1, p. 28): una datazione quindi anteriore alla nuova facciata “avanzata” di San Giusto, risalente al 1120-1130. Queste considerazioni porterebbero, se accolte, a tratteggiare una vicenda architettonica molto più complessa, che potrebbe basarsi su concetti del tipo seguente: il tratto di mura, sulla sinistra guardando dall’esterno la porta, non sarebbe più “romano”, ma ben più tardo: restano pertanto da studiare le condizioni di immorsamento reciproco mura/torre sx; ci sarebbe pertanto stato un momento in cui Susa sarebbe stata solo parzialmente fortiicata, con il complesso della Porta in piedi, ma senza il muro ad essa adiacente (almeno sul lato sinistro); esisteva un ediicio (religioso) in posizione avanzata più ad ovest, sacriicato ed utilizzato come muro interno per la costruzione (ricostruzione) delle mura a sacco (X secolo?); la prima fabbrica di San Giusto sarebbe pertanto sorta all’interno della fascia muraria di nuova e recente costruzione, forse riprendendo per la fondazione della sua facciata resti romani appartenente al 2° ordine di isolati, verso ovest, della maglia ortogonale ipotizzata; nel 1120-1130 la nuova facciata di San Giusto riconquista la vecchia posizione ad ovest, ma si pone in continuità del lato esterno delle mura, e non della vecchia facciata dell’ediicio precedente (ormai scomparso da oltre un secolo), che costituiva ormai il lato interno delle mura stesse. 38 - - - al rapporto tra la viabilità per l’Arco, la viabilità nord/sud e la viabilità sotto Porta Savoia; forse emergerebbero anche indizi (sempre ipotizzati, ma mai ritrovati) in merito ad una “Piazza del Foro” sotto Piazza Savoia. Gli spazi retrostanti l’ediicio scolastico privato in Piazza Savoia: in un terreno che pare libero e mai usato in epoca moderna per costruzioni, dovrebbe riemergere il prolungamento della strada ritrovata sotto Casa ramella: sarebbe una scoperta di notevole interesse anche perché permetterebbe di dare certezza geometrica all’andamento di tale strada, con utili rilessi su tutta la topograia della città romana. la rimessa in luce del tratto di strada romana per l’arco, già individuata negli anni passati (punto n° 2 nell’articolo di F. Barello 2007), che ben si inserirebbe, quale reperto, nell’organizzazione del Parco Archeologico. la rimessa in luce del livello originale della strada sotto l’arco: un intervento modesto che però darebbe un nuovo senso all’importante monumento, che sarebbe così restituito alle sue proporzioni originarie. Un tratto centrale di Via Palazzo di Città, meglio se sotto i portici (che sono già ad una quota più bassa dell’asse stradale): potrebbero emergere conferme in merito al supposto decumano massimo ed all’edilizia “maggiore” che ad esso dovrebbe accompagnarsi. Piazzetta Rana, dove già in passato (1891) emersero resti interessanti(46). L’area del piccolo campo sportivo sul fronte ovest di Santa Maria Maggiore, posto ad una quota che pare corrispondere, ancora oggi, al livello deinito “Segusio 2” e liberamente scavabile su una vasta supericie; il modesto saggio di scavo dei primi anni ’90 ha solo fornito dati molto parziali(47). Il lato nord di Piazza Savoia e le strutture ad esso sottostanti; il problema della difesa dell’angolo nord-ovest delle mura la recente polemica giornalistica, in merito alle scoperte seguite agli scavi nella parte nord di Piazza Savoia, ci convince dell’opportunità di leggere alcuni elementi, emersi nella stesura di questo lavoro, nell’ottica speciica del signiicato e della datazione dei resti recuperati, ed ora lasciati in vista(48). (46) Lo scavo in Piazzetta Rana è ricordato da N. BarToloMaSI, Valsusa Antica, II, cit. (v. nota 44), p. 401. (47) Lo scavo nell’area del campetto sportivo, lungo le mura, è documentato in La Porta del Paradiso, cit. (v. nota 7), pp. 302-304. Il nostro rilievo altimetrico pone il suolo attuale, in corrispondenza alla “svolta” delle mura, ad una quota praticamente uguale (-6 cm), rispetto al suolo attuale sotto la Porta Savoia. (48) Tra le numerose uscite giornalistiche, si veda soprattutto M. Cavargna, “Ma sono resti romani?”, in “Luna Nuova”, n° 7 del 30.01.2009, p. 37, con il confronto ricostruttivo tra le ipotesi 39 Possiamo quindi spingerci, per chiarezza del dibattito e per informazione del lettore, a comporre una sintetica lista degli elementi a favore e contro l’individuazione di tali resti come parte del lungamente ricercato “foro tripartito” di Susa romana(49). Ci paiono elementi “a favore” di tale individuazione i seguenti: - la forma in pianta dei resti ritrovati, molto simile ad analoghi ritrovamenti che sono risultati certamente associati alle strutture di un tempio: ricordiamo gli esempi di Iulium Carnicum (50) e di lione(51); - la collocazione dei resti a nord di quella che tradizionalmente è ritenuta la piazza del foro, nella posizione urbanisticamente corretta; - La collocazione di tali resti in tangenza alla “strada delle Gallie”, se essa è confermata nel tratto scoperto nel 1904 e soprattutto se si suppone l’esistenza, sul suo prolungamento ad ovest, di uno scomparso ponte sulla Dora; si riproporrebbe, anche in questo caso, una situazione comune nelle città romane; - la documentata presenza di frammenti ceramici romani nei livelli di scavo. Ci paiono elementi “contro” tale individuazione questi altri: - La nota esistenza della fortiicazione tardo medioevale sullo spigolo nordovest della cinta muraria, ampiamente documentata in pianta ed in prospettiva. I resti potrebbero essere pertanto le fondazioni di tale fortilizio: un elemento di rilievo, ma non pertinente alla città romana; - Si potrebbe anche presupporre una perfetta coincidenza tra le fondazioni del tempio ed il successivo fortilizio, ediicato esattamente in loro continuità: ma la spiegazione pare piuttosto ardita e priva di conferme nelle strutture murarie sopravvissute; - Sussistono inoltre signiicativi problemi di raccordo tra i vari resti, problemi evidenti soprattutto ragionando sulle sezioni aventi andamento nord-sud (secondo l’asse maggiore di Piazza Savoia): tali sezioni sono evidenziate dalla nostra Tav. 4. Il resto del “portico triplice”, individuato nei sondaggi “tempio” e “forte”. (49) Sul concetto di “foro tripartito” si cita l. laNza, Questiones Veleiates. Aree sacre e capitolium, da “Ager veleias”, 3.04, (2008); dal sito: www.veleia.it, sito del Prof. N. Criniti, Università di Parma): “La straordinaria sperimentazione del “foro tripartito”, costituito dalla progressiva creazione di un unico modulo architettonico contraddistinto dalla giustapposizione di tre elementi urbanistici capaci di raccogliere in sé ed esprimere appieno l’intrinseca natura socio-politica romana: basilica, capitolium, forum. (…) Il modulo tripartito sembra rappresentare l’imprescindibile segno distintivo del concetto di urbs romana”. (50) Per Iulium Carnicum (oggi Zuglio, UD), oltre all’ampia documentazione fotograica presente sul web, si veda: S. De MarIa, Iscrizioni e monumenti nei fori della cisalpina romana: Brixia, Aquileia, Veleia, Iulium Carnicum”, in MEFRA, n° 100, Roma 1988. (51) Per Lione si veda: Découverte d’un sanctuaire municipal du cult impérial à Lyon, par M. Jacques Lasfargues et M. Marcel Le Glay, in “Comptes-rendus des sèances de l’Acadèmie des Inscriptions et Belles-Lettres”, Paris, 124/2 (1980), pp. 394-414. 40 del 1994 e non più riscontrato sugli altri ipotetici lati, avrebbero infatti un “piano d’uso” posto a soli 0,40 m sotto il livello attuale(52): un uso compatibile con la funzione di “fortilizio”, ma dificilmente raccordabile al livello della “Segusio 1”, cui certamente apparterrebbero il foro ed il tempio (livello, lo ricordiamo, riscontrato nel 1904 a – 3,35 m); - Stupisce l’assoluta mancanza, tra i resti, di elementi decorativi o di rivestimento del possibile tempio: anche nel caso di lione, pur in presenza di un sistematico spoglio, qualche elemento è sopravvissuto, come è anche statisticamente probabile; - Sussiste inine un dubbio legato alla tipologia strutturale del possibile tempio: se siamo in presenza di muri di fondazione, in origine non in vista (cosa che spiegherebbe l’assenza di rivestimenti), allora il piano di calpestio del tempio sarebbe molto elevato (ponendosi appunto a quel -0,40 m del citato portico): ma allora tutta la piazza antica (il “foro triplice”) dovrebbe essere Figura 9. Le figure 9 e 10, mostrano (in alto, fig. 9) la Ricostruzione del foro di Lutezia (Parigi) con i portici sopraelevati all’altezza del pavimento del tempio centrale, tratta dalla citata opera grafica di J-C Golvin (pag. 48). (52) Per il livello a -0,40 m si veda: La Porta del Paradiso, cit. (v. nota 7), pp. 299-304. 41 Figura 10. La ricostruzione del foro di Nîmes, con i portici “a raso” della piazza del Foro, tratta dalla citata opera grafica di J-C Golvin (pag. 48). “alta”, praticamente al livello attuale. Cosa impossibile, visto l’esistenza del livello “Segusio 1” a -3,35 m e del livello “Segusio 2” a – 1,07 m; - Se invece i resti fossero parte di muri a vista del podium, stupirebbe la mancanza, sulla loro faccia esterna, di un qualche rivestimento decorativo o sua traccia. In età medievale la porzione nord-occidentale fuori le mura, a ridosso del iume, si organizzò in quella che nella documentazione locale assunse la denominazione toponimica di Ruata o Contrata Foris Portam (vedere lettera e nella precedente ig. 8): un insediamento di modeste dimensioni, ma importante proprio per la sua funzione di raccordo con l’itinerario del Moncenisio e l’area urbana intramuranea. Con la chiusura notturna delle porte, il piccolo quartiere divenne l’unico luogo in cui erano presenti delle elementari strutture per l’accoglienza dei viaggiatori e dei mercanti: la domus helemosinaria di S. Giusto vi è attestata nel 1230(53), nel 1256 la potente famiglia dei de Iallono permise all’elemosinario radulfo di costruirvi un tinello riscaldato o stufa (sul modello nordico della “stube”), tra i primi in questo settore delle Alpi occidentali(54). In età assai più tarda, vi è attestata la locanda della Cerva, presso l’omonima torre-porta che controllava l’accesso al ponte di S. Marcellino, inendo per costituire il limite occidentale della contrada stessa. Qui comprensibilmente, a ridosso delle mura, gli abati di S. Giusto elevarono il loro palazzo abbaziale, in (53) Cfr. “Segusium” 47 (2008), p. 116, doc. 10. (54) Cfr. r. CoMBa e I. NaSo (a cura di), Uomini, boschi, castagne. Incontri nella storia del Piemonte, Cuneo 2000, p. 55 n. 42 una posizione di controllo intermedio sull’intero insediamento murato e i suoi principali raccordi con la viabilità settentrionale: viabilità esterna alle mura (lungo il percorso dell’attuale Corso Trieste), nel suo sviluppo periluviale tra il ponte di Dora (con l’ospedale del ponte, intitolato a sant’Agata) e l’attraversamento del iume alle gorge di Dora (ad Gorgias). Il palazzo, detto anche di Sant’Andrea, per la cappella abbaziale destinata al servizio liturgico privato dell’abate, coincide perfettamente con il sito recentemente scavato e oggetto di difformi valutazioni, che ancor oggi non ne rendono agevole l’identiicazione d’uso. Compromesso nella sua statica dall’assedio di Susa del 1592 da parte dell’ugonotto Lesdiguières e dalle alluvioni del 1610 e del 1685(55), conobbe un veloce degrado nel corso del restante ancien régime: i suoi resti erano tuttavia ancora ben visibili e parzialmente afioranti ai tempi del d’Andrade(56). Come si può vedere, l’individuazione dei resti, ritrovati in Piazza Savoia, quale tempio appartenente al foro triplice dell’antica Susa romana, presenta molti elementi di suggestione, ma incontra anche molte dificoltà: da ciò discende l’invito ad un approfondimento di tutte le conoscenze sull’area (con o senza nuovi scavi), dedicando particolare attenzione al succedersi, in sezione, dei livelli urbani. Allargando la scala di lettura: la viabilità a monte di Susa e “Ponte Alto” Seguendo la buona regola di integrare ogni analisi urbana in un’opportuna lettura territoriale(57), questo contributo si conclude con un’analisi del percorso viario a monte di Susa. Il tema era già stato oggetto di ampia trattazione nel citato articolo di E. Patria e L. Dezzani nel 1983, cui continuiamo a fare rinvio. Rispetto ad allora, disponiamo di strumenti di veriica e di disegno più perfezionati, che consentono – a nostro parere – di riconfermare la giustezza delle considerazioni cui Patria e Dezzani giunsero nel 1983. Nel dettaglio, evidenziamo che la Tavola 1 ha scelto come base cartograica un rilievo aerofotogrammetrico fatto eseguire dalla Città di Susa nel 1977: la graia è particolarmente chiara, soprattutto per quanto attiene al tracciamento delle (55) Si vedrà, tra le molteplici citazioni possibili, il materiale raccolto nel volume alFreDo gIlIBerT (a cura di), Vista da lontano. La comba di Susa e il Moncenisio nelle stampe d’epoca, Borgone di Susa 1995, passim. (56) Tutta la documentazione sul palazzo abbaziale relativo al periodo degli abbaziati di Jacques des echelles, Bornon de rochefort ed enrico Barralis si trova in rINalDo CoMBa (a cura di), Caseforti, torri e motte in Piemonte, secoli XII-XVI, Cuneo 2005, pp 64-69. (57) Da “Forma urbana ….”, cit. (v. nota 7): “E perciò, metodologicamente, se ne trae la direttiva che lo studio d’una città dev’essere sempre condotto introducendosi nella zona urbana dopo avere perlustrato totalmente l’intorno territoriale sulle sue latenti geometrie e costituzionali normative”, p. 32, col. 3 43 44 curve di livello e consente di sviluppare con evidenza il presente ragionamento. Il rilievo non comprende purtroppo il limitrofo territorio di Gravere: si fa pertanto ricorso alla Tavola 5 per seguire l’ipotizzato percorso viario ino oltre la borgata dell’Arnodera (frazione dell’attuale Comune di Gravere). ricordiamo inoltre che la Tavola 6 presenta un’inedita ricostruzione della Conca di Susa in tre dimensioni (3D), con la conseguente possibilità di rendere plasticamente, sul territorio, sia l’ipotizzato percorso della viabilità romana, sia la modesta dimensione isica della Segusio romana, inserita nel suo contesto territoriale. Dalla lettura di tali tavole ci pare emerga confermata la ragionevolezza dell’ipotesi di tracciato, proposta da Patria e Dezzani nel 1983. l’ipotetica strada romana si muoverebbe infatti con tracciato e pendenze ottimali, avendo il suo punto di riferimento obbligato proprio su Ponte Alto: il percorso Arco - Arnodera misurerebbe circa 2.260 metri ed il dislivello (pari a 225 metri) verrebbe assorbito con la contenuta pendenza dell’ 8,46%. la strada romana si muoverebbe anche in stretto parallelismo al percorso dell’acquedotto, dando così pienamente ragione al passo del “Chronicon Novalicense” (II, 18), che non si comprende perché non debba essere ritenuto degno di fede. la strada corrisponderebbe dunque bene a criteri di buona progettualità, tipici dell’epoca romana, documentati dal proilo altimetrico riportato nella nostra Tav. 2. La strada, nel suo percorso verso l’Arnodera, avrebbe inoltre anche una possibile funzione di servizio alla cava del rouget, un vasto impianto per l’estrazione di minerale di piombo argentifero, ancora poco studiato ma di dimensioni rilevanti(58). (58) Interessanti notizie sulla Cava del Rouget si trovano sul sito del Comune di Gravere: http://www.comune.gravere.to.it/cava.htm. l’impianto minerario è stato oggetto di un primo quanto parziale sondaggio da parte di Marie Cristine Bailly-Maitre (Université de Provence). Sulla crescita dell’attività mineraria in epoca romana, a inalità prevalentemente monetarie, si cita W. SCheIDel, Stanford University, “Economy and quality of life in the Roman world”, Version 1.0 - January 2009”; (dal web; vedere nota 12); il passo è riferito proprio alla presenza di tracce di piombo (“lead”): “Monetization provides a more straightforward measure of economic development. (…) This expansion was paralleled by a striking increase in air pollution in the northern hemisphere: lead deposits in ice cores from Greenland and in peat bogs or lake sediments from various parts of Europe are suggestive of massive lead smelting and cupellation to extract silver and copper in the last few centuries BC and the irst few centuries AD”. Sulle attività minerarie a cavallo della presenza romana, si veda C. DeMergue, La miniera d’oro della Bessa nella storia delle miniere antiche in l. MerCaNDo, (a cura di), Archeologia in Piemonte. L’età romana, Allemandi, Torino, 1998, pp. 207-222. Un’ampia raccolta bibliograica sulle miniere antiche si trova, sul web, in “Oxford Roman Economy Project Bibliographies: Mining”. La possibile attività estrattiva al rouget, in epoca romana, getta nuova luce anche su un ritrovamento inusuale: la cassa mortuaria in piombo, rinvenuta nel 1967 al bivio SS 24/strada per Meana e databile al II – IV sec d. C. (“Per una carta ….”, cit. (v. nota 26), n° 69), forse collegabile proprio all’abbondanza di tale minerale nell’area di Segusio. Sui sarcofagi in piombo si veda anche g. zaMPIerI, La tomba di San Luca Evangelista. La cassa di piombo e l’area funeraria della Basilica di Santa Giustina in Padova, p. 344 sg., L’Erma di Bretschneider, Roma, 2003. Il noto passo di A. 45 L’orientamento di Ponte Alto, nel suo pilone superstite, è coerente con il percorso viario, da noi tracciato in mappa, con orientamento sud-ovest, e non con una immediata risalita lungo la forra dell’attuale Gelassa: si ripropone pertanto la necessità di indagare gli interventi umani che hanno modiicato e condizionato il corso naturale del Gelassa ed al tempo stesso la necessità di dedicare nuova attenzione all’assetto territoriale di Gravere, fortemente condizionato (da epoca per ora imprecisata) dall’opera di sbarramento idraulico nota come “La Mura”. Il percorso viario, ipotizzato a monte di Ponte Alto, si porterebbe pertanto in quota, avvicinandosi alla Cava del rouget, probabilmente conosciuta ancora in età altomedievale con il toponimo Petra Cava, che compare nel testamento del rector Abbone del 739(59). Da non sottovalutarne, inine, l’aspetto scenograico, con la vista ottimale (per il viaggiatore in discesa dalle Gallie) sulla città, sull’arce, sull’Arco (chiaramente visibile)(60), sull’Arena. Susa romana si sarebbe dunque offerta al viaggiatore con una vista ottimale, nella sua veste di prima città romana (seppur nei suoi limiti dimensionali) sul versante orientale delle Alpi Cozie. Concludiamo queste note con un rinnovato appello allo studio ed alla salvaguardia del pilone di Ponte Alto: la sua vetustà ed il suo probabile signiicato storico ne giustiicano appieno gli (urgenti) lavori di salvaguardia e recupero, in un contesto paesaggistico di alta suggestione. Marcellino sulla realizzazione della strada da parte di Cozio (15, 10, 2), usando l’espressione “ad vicem memorabilis muneris” per indicare il lavoro stradale, pare conservare l’eco della ricchezza (e sagacità) del re alpino. l’articolo di a. BerToNe, Il caso Donnus ai margini dei contrafforti alpini. Considerazioni numismatiche, in “Segusium” 40, 2001 ricorda l’assenza di ritrovamenti di monete preromane in Val di Susa, ma non entra nel merito dell’origine del minerale usato per le coniazioni “lateniane” in area alpina. (59) P.J. geary, Aristocracy in Provence. The Rhône Basin at the Dawn of the Carolinge Age, Stuttgart, 1985, pp. 41-44. (60) L’Arco è ben visibile dal punto in cui inizia l’ultimo tratto di strada antica, in discesa verso di esso, nonostante le successive arcate dell’acquedotto. Dalle immagini prese dai rilievi sopra Susa, così come da una semplice passeggiata nell’area di Piazza Savoia, emerge la mole incombente degli alberi, che senza un progetto preciso, hanno invaso molti spazi del “Parco Archeologico”: sarebbe opportuno sfoltire tali alberature, sostituendole con vegetazione bassa (“topie” o simili), così restituendo la possibilità di viste integrate ed integrali delle antichità segusine, sia dal basso (Piazza Savoia), sia dall’alto (strada del Monginevro). 46