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I suffissi indo-ir. *-Vka- tra genealogia e variazione

2019, AION-L

The reconstruction of *-Vka- suffixes in Indo-Iranian has been widely debated. At the beginning of the twentieth century, many scholars, op- erating within the theoretical framework provided by the Neogrammar- ians, deny the presence of these suffixes in the Çgveda and, as a conse- quence, their reconstruction in Indo-Iranian, and even more so in Pro- to-Indo-European. Today we consider the linguistic change in the light of diachronic, dialectal, and sociolinguistic variability, and we benefit from a better knowledge of the Iranian languages. Therefore we argue that these suffixes are attested in Vedic and Avestan, witnessed by the parallel traditions for Old Persian, and that they are attributable to In- do-Iranian; their scarce attestation mainly depends on their low socio- linguistic character.

UNIOR Dipartimento di Studi Letterari Linguistici e Comparati  ANNALI sezione linguistica UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “L ’O R I E N TA L E ” ANNALI del Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Comparati Sezione linguistica AIΩN N.S. 8 2019  A I ΩN N.S. 8 I S S N 2281-6585 2019 ANNALI del Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Comparati Sezione linguistica AI ΩN N.S. 8 2019 Direttore/Editor-in-chief: Alberto Manco Comitato scientifico/Scientific committee: Ignasi-Xavier Adiego Lajara, Françoise Bader, Annalisa Baicchi, Philip Baldi, Giuliano Bernini, Carlo Consani, Pierluigi Cuzzolin, Paolo Di Giovine, Norbert Dittmar, Annarita Felici, Laura Gavioli, Nicola Grandi, Marco Mancini, Andrea Moro, Vincenzo Orioles, Paolo Poccetti, Diego Poli, Ignazio Putzu, Giovanna Rocca, Velizar Sadovski, Domenico Silvestri, Francisco Villar Comitato di redazione/Editorial board: Anna De Meo, Lucia di Pace, Alberto Manco, Johanna Monti, Rossella Pannain, Judith Papp Segreteria di redazione/Editorial assistant: Valeria Caruso e-mail: [email protected] Annali-Sezione Linguistica, c/o Alberto Manco, Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Comparati, Palazzo Santa Maria Porta Cœli, Via Duomo 219, 80138 Napoli – [email protected] ISSN 2281-6585 Registrazione presso il Tribunale di Napoli n. 2901 del 9-1-1980 Rivista fondata da Walter Belardi (1959 – 1970) e diretta da Domenico Silvestri (1979 – 2014) web: www.aionlinguistica.com e-mail: [email protected] © Tutti i diritti riservati. 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RIGOBIANCO, Appunti su una ipotesi di configurazione sintattica del genitivo singolare in o del celtiberico 17 ARTICOLI, NOTE, SAGGI Analisi linguistiche di testi arcaici, riflessioni su aspetti e problemi linguistici del mondo antico, linee e momenti di preistoria e protostoria linguistica C. A. CIANCAGLINI, I suffissi indo-ir. *vka tra genealogia e variazione 45 M. ZINZI, Ferdinand de Saussure e gli altri corsi: i quaderni sul verbo indoeuropeo di Charles Bally (BGe Ms. fr. 5128) 77 Ricerche e problemi linguistici di ambito teorico e applicato A. BARTOLOTTA, G. QUARTARARO, The asymmetric path-conflation pattern of go and come verbs in Aymara 105 F. COSTANTINI, N. GRANDI, Typological and areal tendencies in evaluative morphology: some preliminary results 137 M. MAFFIA, A. PONS, Le lingue di culto nelle chiese evangeliche: un’indagine nel nord-ovest e nel nord-est d’Italia 161 I. VALENTI, Settentrionalismi di epoca medievale del lessico siciliano e lavoro sommerso delle donne 181 BIBLIOGRAFIE, RECENSIONI, RASSEGNE GIUSEPPE ANTONELLI, L’italiano nella società della comunicazione 2.0, Bologna, Il Mulino, 2016. (O. Tordino) 203 EMILIANO BRUNER, La mente oltre il cranio. Prospettive di archeologia cognitiva, Roma, Carocci, 2018, pp. 130. (G. Costa) 208 MICHELE COMETA, Letteratura e darwinismo. Introduzione alla biopoetica, Roma, Carocci, 2018, pp. 262. (G. Costa) 215 ELISA CORINO, CARLA MARELLO, Italiano di stranieri. I Corpora Valico e Vinca, Perugia, Guerra, 2017, 284 pp. e Elisa Corino, Cristina Onesti (a cura di), Italiano di apprendenti. Studi a partire da Valico e Vinca, Perugia, Guerra, 2017, 160 pp. (G. Costa) 226 HARTMAN DOROTA, Emozioni nella Bibbia. Lessico e passaggi semantici fra Bibbia ebraica e LXX, Centro Di Studi Ebraici Università "L’orientale", Napoli, 2017. (F. Carbone) 236 MARK KAUNISTO , MIKKO HÖGLUND , PAUL RICKMAN (eds), Changing structures: studies in constructions and complementation, John Benjamins, 2018. (L. Busso) 240 ANDREA MORO, Le lingue impossibili, Milano, Raffaello Cortina, 2017, 140 pp. (Ed. it. a cura Di Nicola Del Maschio, titolo originale: Impossible languages, London Cambridge (ma), the Mit Press, 2016). (S. Menza) 249 CLAUDIA A. CIANCAGLINI* I SUFFISSI INDO-IR. *-VKATRA GENEALOGIA E VARIAZIONE Abstract La ricostruzione dei suffissi del tipo *-Vka- in indoiranico è stata molto discussa. All’inizio del XX sec. molti studiosi, che operavano nell’ambito teorico dei Neogrammatici, hanno sostenuto che tali suffissi non fossero rintracciabili nel Çgveda e che, quindi, non fossero ricostruibili nell’indoiranico e, a maggior ragione, nell’indoeuropeo ricostruito. Oggi consideriamo il mutamento linguistico in modo più complesso, tenendo conto anche della variazione dialettale e sociale, e inoltre abbiamo una conoscenza più ampia delle lingue iraniche. Di conseguenza, possiamo rivalutare le poche attestazioni di tali suffissi in vedico e in avestico, tenere conto delle loro attestazioni nelle tradizioni parallele per quanto concerne il persiano antico e attribuire la loro scarsa presenza nelle lingue indoiraniche più antiche al fatto che tali suffissi erano caratterizzati come bassi dal punto di vista diafasico e diastratico. Parole chiave: indoiranico, suffissi derivativi, Neogrammatici The reconstruction of *-Vka- suffixes in Indo-Iranian has been widely debated. At the beginning of the twentieth century, many scholars, operating within the theoretical framework provided by the Neogrammarians, deny the presence of these suffixes in the Çgveda and, as a consequence, their reconstruction in Indo-Iranian, and even more so in Proto-Indo-European. Today we consider the linguistic change in the light of diachronic, dialectal, and sociolinguistic variability, and we benefit from a better knowledge of the Iranian languages. Therefore we argue that these suffixes are attested in Vedic and Avestan, witnessed by the parallel traditions for Old Persian, and that they are attributable to Indo-Iranian; their scarce attestation mainly depends on their low sociolinguistic character. Keywords: Indo Iranian, derivative suffixes, Neogrammarians Claudia Ciancaglini, Sapienza Università di Roma, [email protected] AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.002 46 Claudia A. Ciancaglini 1. Premessa Il modello dell’albero genealogico proposto da Schleicher (1862), pur essendo ancora oggi uno strumento indispensabile per l’applicazione del metodo comparativo-ricostruttivo, non ha mai smesso di suscitare dibattiti tra i linguisti storici, a partire dalla teoria delle onde di Schmidt (1872) fino ai contributi critici e ai convegni ad esso dedicati negli ultimi decenni, grazie ai quali il modello è stato molto rivisto, soprattutto per quanto riguarda la natura delle unità intermedie e la metodologia per individuarle1. I Neogrammatici adottarono invece in modo rigido il modello ad albero, essendo questa, ai loro tempi, l’unica via percorribile per rendere scientifico e rigoroso il metodo comparativo-ricostruttivo, e considerarono il mutamento linguistico esclusivamente nella dimensione diacronica2. La rigidità con cui i Neogrammatici applicavano il modello ad albero non coincideva più con la concezione biologica degli organismi linguistici che era alla base del pensiero di Schleicher, bensì dipendeva da una visione storicistica che si fondava sulla ineccepibilità delle leggi fonetiche. Tale Ausnahmlosigkeit consentiva infatti di risalire all’indietro nel tempo in modo univoco e scientifico per ogni tratto esaminato, in modo tale che i nodi dell’albero si configuravano in base ai mutamenti oggettivi dei sistemi fonologici considerati. Tale fiducia nell’ineccepibilità delle leggi fonetiche era  Le abbreviazioni per i testi indiani usate in questo articolo sono: RV = Çgveda, AV = Atharvaveda, YV = Yajurveda, SV =Sāmaveda. Ringrazio i due revisori anonimi, che mi hanno generosamente offerto numerosi suggerimenti utili e il cui impegno è servito a migliorare il mio lavoro; resto ovviamente l’unica responsabile di eventuali errori. 1 Tra i molti contributi di rilievo, si vedano Porzig (1954); Hoenigswald (1960; 1966; 1987); Schlerath (1981); Ross – Durie (1996); Aikhenvald – Dixon (2001); François (2014). Un’utile rassegna storica sulla questione si può trovare in Ringe (2017). Riguardo al problema delle unità intermedie, si veda in particolare Lazzeroni (1968), a proposito dell’unità indoiranica. 2 Non è inutile ricordare che già Ascoli aveva espresso perplessità riguardo alla rigidità del modello genealogico adottato da Brugmann e Osthoff (1878) e nella sua Prima lettera glottologica del 1881 (cf. Ascoli 1882) aveva chiamato in causa le “riazioni etniche” che avrebbero esercitato, ad esempio, gli “idiomi aborigeni dell’India” sull’indoario. AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 I suffissi indo-ir. * -Vka- tra genealogia e variazione 47 particolarmente ben riposta nel caso di lingue a segno internamente articolato, come le lingue indoeuropee antiche e le semitiche, le quali non a caso hanno un maggiore rendimento ricostruttivo rispetto alle lingue a segno fisso3. Ciò vale anche per i morfemi grammaticali, ma in questo caso la questione è più complessa. Il presente contributo si concentra proprio su un problema di comparazione-ricostruzione connesso a morfemi derivativi e la loro attribuzione o meno all’indoiranico e all’indoeuropeo ricostruito. In questo caso, a mio parere, la rigidità del metodo dei Neogrammatici dipende non tanto dalla teoria dell’ineccepibilità delle leggi fonetiche, quanto dal presupposto che le lingue fossero entità monolitiche e non diasistemi, presupposto che i Neogrammatici erano indotti a dedurre in modo abbastanza inevitabile dalle lingue antiche delle quali si occupavano, che erano prevalentemente lingue antiche attestate da corpora finiti di testi. Tale concezione neogrammatica delle lingue antiche come entità esenti da variazione in senso diatopico, diafasico e diastratico è stata modificata nel corso del tempo, grazie al progredire degli studi linguistici, che ha consentito di armonizzare e arricchire la visione dei Neogrammatici con nuove prospettive metodologiche e, di conseguenza, oggi siamo consapevoli che, per comprendere il mutamento linguistico, è indispensabile tenere conto non solo della dimensione diacronica, ma anche della dimensione geografica e di quella sociale4. Ciò presenta una particolare forza euristica in molti casi nei quali l’applicazione troppo rigida del modello ad albero e il considerare solo la diacronia sembrano condurre il metodo comparativo-ricostruttivo a risultati insoddisfacenti. L’argomento delle “isoglosse ribelli” dell’albero genealogico è stato trattato da Lazzeroni in un importante lavoro teorico e storico (1987) relativo alla figura di Meillet indoeuropeista. Uno dei principali aspetti problematici analizzato da Lazzeroni in quella sede riguardava i 3 Sulle differenze tra lingue a segno internamente articolato e a segno fisso, nonché alla relativa disputa tra sostenitori e detrattori della regolarità delle leggi fonetiche, cf. Belardi (1990) e (1993). 4 Sull’argomento la bibliografia è estesissima, quindi ci limitiamo a rimandare alla sintesi di Lazzeroni (1997) sulle dimensioni del mutamento. AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 48 Claudia A. Ciancaglini presupposti che consentivano o meno di ricondurre a un nodo di livello superiore un certo tratto linguistico: nella prospettiva dell’applicazione rigida del modello dell’albero genealogico, ad esempio, la presenza dell’aumento verbale in greco e in indoiranico non consentirebbe di attribuire tale tratto all’indoeuropeo ricostruito, poiché dell’aumento non vi sono tracce in altre lingue del nodo intermedio chiamato da Schleicher “ariogrecoitaloceltico”: dato che in celtico, latino e italico non vi è traccia di aumento e dato che l’ario o, come diciamo oggi, l’indoiranico e il greco non formano un nodo intermedio autonomo (mentre l’indoiranico da solo e il grecoitaloceltico formano due nodi intermedi a sé stanti), l’applicazione rigida del modello dell’albero genealogico costringerebbe ad ammettere che l’aumento sia un’innovazione autonoma e indipendente nell’indoiranico e nel greco, e non un tratto attribuibile all’indoeuropeo ricostruito. In questa sede vorrei concentrarmi su un caso particolare connesso a questo genere di problemi, la cui analisi, a mio avviso, dimostra come il tener conto delle tre dimensioni del mutamento linguistico e della natura non monolitica delle unità intermedie consenta di risolvere apparenti aporie del modello dell’albero genealogico e possa ampliare la comprensione riguardo alle modalità di propagazione dei mutamenti linguistici. Il caso in questione consiste nell’attribuzione all’indoiranico (e all’indoeuropeo ricostruito) di alcuni suffissi formati da una vocale seguita dal suffisso aggettivale indo-ir. *-ka- (< ie. *-ko-), vocale originariamente appartenente alla base nominale o verbale del derivato e successivamente rianalizzata come parte del suffisso per segmentazione erronea, ossia indo-ir. *-ika-, *-uka-, *-aka-. La rianalisi di sequenze del tipo *-V-ko- come *-Vko- è dovuta alla progressiva opacizzazione dei confini di morfema, che fa parte della tendenza generale delle lingue indoeuropee antiche ad evolvere da lingue a segno internamente articolato verso lingue a segno fisso 5. Inoltre, in ogni singola lingua indoeuropea essa è stata favorita da 5 Su questi concetti e sulla tipologia del segno lessicale in indoeuropeo vd. Belardi (1990: 158 ss.); Belardi (1993). AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 I suffissi indo-ir. * -Vka- tra genealogia e variazione 49 ulteriori condizioni specifiche, come la perdita o l’assenza della base del derivato (per es., lat. formīca)6, oppure ancora dalla presenza di forme derivate dalla stessa base secondo procedimenti di affissazione diversi. Per esempio, in latino il derivato antico mancus ‘mutilato, monco’ coesiste con la formazione più recente di femminile manica, forme entrambe derivate da manus, la prima per mezzo del suffisso *-ko- (*man-cos), la seconda dal tema in vocale sul quale ha agito la cosiddetta apofonia latina (*manu-cos > mani-cos); in sincronia, però, lat. manica sembra contenere il femminile del suffisso *-iko-. In alcune lingue, la rianalisi è stata favorita dalla cristallizzazione di mutamenti fonologici sintagmatici, che hanno prodotto nuovi suffissi e relative funzioni: un esempio è l’origine, nello slavo antico, dei suffissi -ĭcĭ < *-iko- e -ica < *-īkā (es. starĭcĭ ‘uomo vecchio’ < starŭ ‘vecchio’, femm. starica) tramite la cosiddetta “terza palatalizzazione”, un fenomeno sintagmatico che ha trasformato la maggior parte (ma non tutte) le occlusive velari di tali suffissi indoeuropei in sl. ant. -c- [ts], se precedute da una vocale avanzata7. Infine, un altro fenomeno che ha favorito l’oscuramento dei confini di morfema e, quindi, i fenomeni di rianalisi, consiste nell’oscillazione quantitativa delle vocali presuffissali, soprattutto delle vocali alte /i/ e /u/. Tali oscillazioni quantitative sono attestate in molte lingue indoeuropee 8: si veda, ad es., lat. cīvī-lis < cīvis; mātūrus < *mātu-; gr. πολ¢æ -της < πόλῐς; πρεσβῡæ-της < πρέσβυς e, per quanto riguarda il suffisso *-ko-, ind. ant. ekākin- ‘solitario’ < éka- ‘uno’; úlūka- ‘gufo’ (e úrū-ka-), voce 6 Lat. formīca è confrontabile con ind. ant. valmī́ka- ‘formicaio’ < vamrīæ- f. ‘formica’. Cf. EWA 2, 507; Ernout – Meillet (41959: 247). 7 Cf. Meillet (1934: 360–364); Vaillant (1950: 53–55). La situazione di tali suffissi nello slavo antico è piuttosto complessa: da un lato, molto si è discusso sulla terza palatalizzazione (cf. la monografia di Lunt 1981, le considerazioni di Kortlandt 1984 e la replica di Lunt 1987), dall’altro, l’analisi sincronica degli allomorfi dei suffissi in velare condotta in Polivanova (2013: 442 ss.) sembra suggerire che le vocali precedenti l’esito slavo del suffisso in velare non siano riconducibili in modo regolare a prototipi indoeuropei e che gli allomorfi con e senza terza palatalizzazione presentino una distribuzione basata su altri parametri, come il genere grammaticale (ad esempio, nella maggior parte dei casi, -ik- compare in maschili come vel-ik-ŭ ‘grande’, mentre -ic- in femminili come pŭt-ic-a ‘uccello’). 8 Cf. Brugmann (1906: 357 s.; 367 s.); Leumann (19775: 261); Schwyzer (1939: 482); Debrunner (1954: 856 s.; 862 s.); Kuryłowicz (1956: 125 s.); Szemerényi (1964: 307 s.). AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 50 Claudia A. Ciancaglini onomatopeica confrontabile con lat. ulŭcus, ulŭla; madhūka- ‘color del miele’, anche n. pr. < mádhu- ‘miele’. I suffissi in velare presentano funzioni grammaticali e valori semantici differenti nelle varie lingue storiche: ad esempio, in latino il suffisso *-ko- non mostra il valore diminutivo tanto spesso attestato nei derivati indoiranici, valore che si riscontra invece in suffisso che contiene *-ko- ed è costituito da un antico cumulo suffissale con rideterminazione *-ko-lo-, ossia lat. -culus (ad es. articulus ‘articolazione, dito’ < artūs, uum pl. ‘membri’; nāvicula ‘piccola nave’ < nāvis ‘nave’)9. D’altra parte, il lat. mancus sopra citato appartiene a un gruppo di forme latine che designano malattie o difetti fisici, come caecus (la cui base è discussa), raucus (< *ravi-co-s), siccus < *sit(i)-co-s, cf. sitis, cascus (cf. cānus < ie. *k´as-no-, si veda EWA 2, 62) etc. Una funzione molto simile si riscontra in avestico, dove i derivati in -kasono spesso termini devici indicanti malattie, peccati o simili 10: tale accenno ha solo lo scopo di anticipare un aspetto tipico dei suffissi in velare, ossia il loro carattere sociolinguisticamente basso, peculiarità che ne spiega anche la scarsa attestazione in testi letterariamente alti come gli inni vedici. Soprattutto i suffissi del tipo *-Vko- sono molto rari non solo nel vedico, ma anche nelle altre lingue indoeuropee antiche, come il greco omerico11; ma l’analisi delle rare occorrenze e le tradizioni parallele ci inducono oggi a ritenere che ciò sia indizio del loro carattere non letterario e non necessariamente della loro origine recenziore. L’attribuzione all’indoiranico e, di conseguenza, all’indoeuropeo ricostruito dei suffissi del tipo *-Vko- era particolarmente problematica per i Neogrammatici per diverse ragioni: la prima è la scarsa o nulla attestazione di tali suffissi nelle lingue più antiche del gruppo indoiranico; la seconda è la conoscenza imperfetta che si aveva all’epoca delle lingue iraniche antiche; la terza è la procedura seguita per identificare una certa sequenza fonica come uno di tali suffissi. Fino alla Cf. Leumann (19775: 309). Cf. Ciancaglini (2012). 11 Nel greco omerico sono rari sia -κος che -ικος: cf. Risch (1974: 112 ss.). 9 10 AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 I suffissi indo-ir. * -Vka- tra genealogia e variazione 51 rivoluzione introdotta da Saussure e rafforzata dai funzionalisti riguardo al concetto di sistema linguistico, i linguisti storici, e i Neogrammatici in particolare, riconoscevano in una data sequenza fonica l’attestazione di un certo suffisso sulla base della funzione svolta o della sua semantica e, nel nostro caso, erano spesso eccessivamente influenzati dalla dottrina dei grammatici indiani antichi, i quali avevano descritto in modo analitico e dettagliato le funzioni che tali suffissi avevano in sanscrito, funzioni che però non sono necessariamente le stesse riscontrabili nelle fasi più antiche dell’indiano. Per esempio, la sequenza finale -aka- di un derivato vedico poteva essere interpretata come un’occorrenza del suffisso primario -aka- aggiunto a un tema verbale oppure come un caso di -ka- aggiunto a un tema nominale in -a-12. La scelta tra le due opzioni era operata dai Neogrammatici sulla base di motivazioni “atomistiche”, come la semantica del derivato così come comprovabile dalla sola ricognizione testuale, la riconducibilità della funzione svolta dal derivato medesimo rispetto a quella degli analoghi derivati nel sanscrito classico, la rispondenza alle condizioni accentuative e apofoniche che tali derivati presentavano usualmente sempre nel sanscrito classico e così via. Dato che le poche attestazioni vediche, oltre ad avere funzioni e semantica differente da quelle attese, spesso si presentavano in condizioni accentuative e apofoniche diverse da quelle usuali in sanscrito, i Neogrammatici tendevano a negare che in esse fossero individuabili suffissi del tipo *-Vko-. 2. Il suffisso ie. *-ikoOggi nessuno sembra dubitare che l’ie. *-iko- sia ricostruibile sulla base dei suoi esiti nelle lingue storiche, ossia indo-ir. *-ika-, gr. -ικος, lat. -icus, osc. -iks (ad es. túvtíks ‘pubblico’ < toutā- ‘città’), sl. ant. -ĭcĭ, celt. -ico-13 e probabilmente anche toc. B -ike, toc. A -ik (che forma Per esempio, in ind. ant. vádhaka- agg. ‘che uccide, distruttivo’ è possibile individuare un’occorrenza del suffisso secondario -ka- aggiunto a vadhá- m. ‘uno che uccide, distrugge’, oppure di -aka- primario aggiunto al tema verbale vadh- ‘distruggere, uccidere’; cf. oltre, § 4. 13 Cf. Debrunner (1954: 312 s.). 12 AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 52 Claudia A. Ciancaglini aggettivi sostantivati, ad es. toc. B kamartīke, A kākmärtik ‘comandante’)14. Dal punto di vista morfologico, la principale funzione di ie. *-iko- è la derivazione di aggettivi e nomi di origine aggettivale, per esempio: ind. ant. v4ścika- ‘scorpione’, forse < vraśc‘tagliare, fare a pezzi (?)’15; gr. ἱππικός < ἵππος; lat. bellicus < bellum; germ. *guđ-ig| a - ‘posseduto da un dio’ etc.16 Si ritiene che ie. *-iko- derivi dalla rianalisi di derivati in cui il suffisso *-ko- è aggiunto a temi in *-i-, come ind. ant. nābhi-ká‘cavità simile all’ombelico’ < nāæbhi- ‘cavità’, gr. φυσι-κός ‘naturale’ < φύσις ‘natura’, lat. cīvicus ‘civile’ < cīvis ‘cittadino’. Oltre ai temi in *-i- dotati di semantica aggettivale (es. ie. *ǵhelh 3i- ‘oro, colore dorato’ > ind. ant. hári-, avest. zāiri-) e soprattutto la *-i- del cosiddetto sistema di Caland (che alterna sincronicamente con suffissi aggettivali come *-ro-, *-mo-, *-no-, *-lo- etc., in composizione o in altre occorrenze lessicalizzate, es. gr. κῡδρός ‘glorioso’ vs. κῡδι-άνειρα ‘che dà gloria agli uomini’ 17; av. dǝrǝzi-raϑa- ‘che ha un forte carro’ vs. dǝrǝzra- ‘forte’), tale *-irianalizzata come parte del suffisso *-iko- può avere anche altre origini nelle singole lingue storiche: nelle lingue indoiraniche, ad esempio, può essere esito di una laringale (in questo caso è spesso coinvolto il suffisso *-h2-, che forma nomi femminili e astratti ed è probabilmente identificabile con il suffisso collettivo *-h 2-, cf. ind. ant. jáni- ‘donna’ < *gwen-h 2-)18, in latino può essere l’esito seriore della cosiddetta apofonia latina, come in manica < manus (cf. sopra). Nell’indiano antico, -ika- (< ie. *-iko-) è frequentissimo nella formazione di aggettivi indicanti relazione o appartenenza rispetto al 14 Cf. Van Windekens (1944: 127), ma Schwartz (1974: 411) e Pinault (2002: 262 ss.) ipotizzano una possibile origine iranica di questo termine: Adams (2013: 149). 15 Il nesso etimologico tra v4ścika - and vraśc-, tuttavia, è problematico: cf. Debrunner (1954: 308; 311); EWA 2, 596. 16 Cf. Fortson (2004: 121); Meillet (1937: 269); Debrunner (1954: 309–319). 17 Cf. anche gr. κῡæδιμος etc.: sul ruolo della -i- di Caland nei suffissi greci del tipo -ινο- / -ιμο- (e -υμο- / -υνο-), cf. Probert (2006: 267 ss.). 18 Cf. Fortson (2004: 118 s.); Widmer (2004: 43–44); Harđarson (1987a); Harđarson (1987b); Hamp (1979). AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 I suffissi indo-ir. * -Vka- tra genealogia e variazione 53 concetto espresso dalla base, tanto da essere classificato dai grammatici indiani come un suffisso autonomo, insieme ad -aka-19; tale suffisso diventa particolarmente frequente nell’indiano classico, soprattutto nella forma -ikā-, che si generalizza come suffisso nominale di femminili (es. AV kaniṣṭhikāææ- ‘il dito più piccolo’ < kaniṣṭhá- ‘il più piccolo’), per rianalisi di derivati in cui -ka- è aggiunto a temi in -i- e -ī- (es. RV avi-kāæ ‘pecora, agnello’ < ávi- ‘pecora’)20. Il suffisso si diffonde ulteriormente nelle fasi più recenti dell’indiano antico, specie nei registri popolari, dove è talora usato al posto di -aka- (es. aur™ika- ‘di lana’ per aur™aka-); quest’uso diventa molto frequente nel medio indiano, dove -ika- è attestato anche come forma ipercorretta di -iya-, dopo che in medio indiano era avvenuta la confluenza, per motivi fonetici, di -ika- e -iya-21. Dal punto di vista formale, i derivati in -ika- in sanscrito presentano il grado v3ddhi del tema e l’accento sulla prima sillaba, ma ciò avviene solo talvolta nel vedico (es. AV vāæsantika- ‘primaverile’ < vasantá- ‘primavera’): per i Neogrammatici, la mancanza di questi tratti formali in una parte dei derivati vedici rappresentava un ostacolo all’individuazione del suffisso -ika- nelle poche occorrenze vediche, che si aggiungeva al fatto che alcune di esse sono in effetti di etimo oscuro e, quindi, risulta dubbio se presentino il suffisso -ikaoppure siano casi di -ka- aggiunto a temi in -i-. Per questi e altri motivi che vedremo, nonostante l’opinione autorevole di Brugmann (1906: 488), alcuni studiosi di scuola neogrammatica, tra cui soprattutto Edgerton (1911: 310), autore della 19 Cf. Whitney (51924: 468); Debrunner (1954: 311) attribuisce all’indiano antico l’indiano antico -ika- la funzione principale di esprimere appartenenza rispetto al concetto espresso dalla base del derivato. 20 Tale uso è definito popolare da Debrunner (1954: 314 ss.), con bibl.; cf. Burrow (1955: 197); Edgerton (1911: 95 s.); MacDonell (1916: 262). I paralleli indoeuropei più rilevanti di ind. ant. -ikā- sono gr. παρϑενική (< παρϑένος), lat. flaminica (< flamen), sl. ant. myšĭca ‘muscolo (del braccio)’ (corrispondente nella formazione a ind. ant. mūṣ-ikāf. ‘ratto, topo’); ant. alto ted. fulihha ‘puledra’ (< folo ‘puledro’), il suff. lituano -ìkė, femm. di–ùkas (es. Naujoìkė ‘figlia di Naujõks’), e lettone -ika (es. Añnika, dim. di Añna): Debrunner (1954: 317–318); Brugmann (1906: 249; 490 s.). 21 Cf. Debrunner (1954: 310), con bibl. AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 54 Claudia A. Ciancaglini più importante monografia sui suffissi in velare nell’indiano antico, ritenevano che tale suffisso non potesse essere attribuito all’indoiranico, né all’indoeuropeo ricostruito. In particolare, Edgerton riteneva che le scarse attestazioni del suffisso nel RV fossero tutte da escludere per un motivo o per l’altro (vedremo qualche esempio tra poco) e ne concludeva quindi che nel RV “none of the derivative suffixes ika, aka, uka, ūka, are found” (1911: 305). L’applicazione rigida del modello ad albero e l’operare soltanto nella prospettiva diacronica inducevano gli studiosi dell’inizio del ‘900 a ritenere che il RV fosse solo la fase più antica dell’indiano, mentre oggi è noto che le parti più antiche del RV si differenziano da quelle più recenti e dall’AV anche sul piano diatopico e sociolinguistico. Nel caso di lingue attestate soltanto da corpora finiti di testi, è noto che le considerazioni sociolinguistiche sono inevitabilmente più complesse che quelle che si possono avanzare riguardo alle lingue vive, e devono tenere conto della quantità e qualità di testi conservati; tuttavia, molto è stato fatto negli ultimi decenni nell’ambito della cosiddetta sociolinguistica storica, sia a livello teorico, sia riguardo a lingue antiche specifiche22. Non è questa la sede per ripercorrere tutte le tappe della storia degli studi di sociolinguistica applicati alle lingue antiche, né di evidenziare le questioni tuttora aperte. Ciò che ci preme sottolineare, invece, è che nel caso delle lingue indoiraniche antiche intendiamo con “tratti sociolinguistici” più o meno connotati dei tratti che non sono talmente bassi da non comparire a livello scritto. Nel caso dell’indiano antico, inoltre, a livello di macroanalisi, sia il RV che l’AV sono composti da inni religiosi tramandati per iscritto e non ci informano quindi sulle varietà orali veramente basse. Nonostante ciò, si può utilizzare anche in questo caso il concetto di “sociolinguistica” facendo riferimento in modo specifico alle varietà diafasiche e diastratiche che i testi scritti, espressione di varietà linguistiche e generi letterari diversi, ci permettono di individuare. Il RV più antico, infatti, rappresenta una varietà nordoccidentale che condivide numerose isoglosse con l’iranico 22 Cf., ad es., Romaine (1982) e il volume edito da Hernandez-Campoy e CondeSilvestre (2012). AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 I suffissi indo-ir. * -Vka- tra genealogia e variazione 55 per contiguità geografica e per una comunanza culturale di epoca prezoroastriana, mentre le parti più recenti del RV e l’AV testimoniano una varietà centrale non-occidentale, dalla quale deriva anche il sanscrito classico; gli inni celebrativi e rituali del RV antico sono l’espressione della cultura brahmanica, mentre quelli dell’AV hanno carattere “semiprofano” e trattano argomenti cosmologici, magici, esorcistici etc.23 I tratti linguistici che contraddistinguono il RV più antico rispetto al RV più recente e all’AV non sono però necessariamente più antichi, ma anzi sono spesso innovazioni (come ad esempio l’estensione della desinenza dello strum. pl. -ebhis ai temi in -a- a discapito della desinenza più antica -ais, che è invece comune nelle parti più recenti del RV, nell’AV e nel sanscrito classico, o ancora il mutamento l > r)24. Invece, agli inizi del ‘900 Edgerton, come la quasi totalità dei Neogrammatici, presupponeva che i tratti linguistici del RV fossero necessariamente più antichi di quelli attestati nel RV più recente, nell’AV e nel sanscrito classico e che l’assenza di un certo tratto nel RV più antico (e nell’avestico) escludesse la possibilità di attribuire tale tratto all’unità indoiranica. Di conseguenza, era costretto a escludere dall’indoiranico tutti i suffissi del tipo *-Vka-: Although argument for negation has its dangers, it is hardly likely that uses of any frequently occurring suffix which are found in later Skr., but not in the RV., nor in the Av. [Avestan], could have belonged to the prehistoric Ind.-Iran. On that hypothesis, we must rule out the derived suffixes ika, aka (Verbal), uka and ūka, all of which are practically lacking in RV. and Av. We therefore cannot accept Brugmann's statement (Gr. II.2: 1 p. 488) that the adjectival suffix -iqo- (= Skt. ika) is found ‘throughout the entire IE territory.’ In the oldest strata of Aryan it cannot be proved to have existed, unless by one or two sporadic and doubtful examples; and its extensive growth in Skr. is certainly a late development (Edgerton 1911: 310). Cf. Renou (1956: 31); Thieme (1957); Lazzeroni (2007); Lazzeroni (1968). Per l’analisi approfondita di tali tratti si veda Lazzeroni (1968); Lazzeroni (2007); per un elenco dei tratti indiani “occidentali” che caratterizzano il RV più antico e che possono considerarsi innovazioni cf. Arnold (1904). 23 24 AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 56 Claudia A. Ciancaglini 3. Vedico -ika-: Neogrammatici esempi di occorrenze esaminate dai Il suffisso -ika- è in effetti poco attestato in vedico: nel RV troviamo, ad es., usriká- m. ‘giovenco, piccolo bue’ < usrá- agg. ‘rossastro’, m. ‘bue, toro’, f. ‘vacca’25 e śa™ḍika- ‘nome di una famiglia o tribù’ < śa™ḍa-; v4ścika- ‘scorpione’, forse < vraśc- ‘tagliare, fare a pezzi (?)’ (etimo discusso, cf. sopra); nell’AV troviamo tú™ḍika- ‘che ha una zanna o un dente’ < tu™ḍa-. A queste occorrenze si possono aggiungere alcuni casi di -ikā- nel RV26, come i femm. iyattikāæ- < iyattaká- ‘molto sottile’, vártikā- ‘quaglia’ < vartaka- (cf. gr. ὄρτυξ, -υγος, raramente -υκος ‘id.’); śakuntikāæ‘uccellino’ < śakuntaká- ‘id.’ (cf. AV śakúnta- ‘uccello’) e su-lābhikā-, termine offensivo e osceno attestato un’unica volta al vocativo sulābhike e tradotto “you easy little lay” da Jamison (2008: 158), studiosa che ha molto approfondito la valenza sociolinguistica della presenza dei derivati con suffissi in velare nel linguaggio femminile (ossia forme che compaiono in discorsi fatti da donne o che riguardano le donne e che hanno spesso una connotazione sessuale offensiva e denigratoria) all’interno del vedico. Dal punto di vista formale, secondo Debrunner (1954: 317), sulābhikā- presenterebbe un allungamento metrico e sarebbe formato su *sulabhakā-, diminutivo del scr. class. sulabha- ‘facile da ottenere o da effettuare’. Nel RV compaiono anche alcuni casi di -īka-27, suffisso che successivamente si specializza nella formazione di nomi verbali, per esempio m3ḍīká- nt. (?) ‘grazia, pietà, favore’ (anche mārḍīká-, sempre nel RV) < m3ḍ- ‘essere misericordioso, gentile’, confrontabile con av. ant. mǝrǝždika- nt., av. rec. *marždīka- nt. 25 Monier-Williams (1899: 220); Debrunner (1954: 313); Edgerton (1911: 109); cf. EWA 1, 239; Debrunner (1954: 313) ritiene che questa forma derivi dal f. *usrikāæ-, a sua volta derivato di usrāæ- f. ‘vacca’. 26 Cf. Debrunner (1954: 316 s.). 27 I paralleli indoeuropei di ind. ant. -īka- sono il lat. -īca (es. formīca) e lo sl. ant. -ica (< *-īkā; e.g. starica ‘vecchia’). AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 I suffissi indo-ir. * -Vka- tra genealogia e variazione 57 ‘misericordia, grazia’ 28; - 3jīka- ‘scintillante, raggiante’ (in composti) < 3j- ‘brillare’; d 3śīka- nt. ‘apparenza’, agg. ‘splendido’ < d3ś‘guardare’; d3bhīka- nome di un demone < d3bh- ‘raggruppare, raccogliere’; v3dhīká- nome di Indra < v3dh- ‘crescere’; kaśīkāæ ‘donnola, mangusta’ < káśa- ‘id.’ o un animale simile. In queste occorrenze è effettivamente spesso difficile decidere se si ha a che fare con -īka- primario oppure con il suffisso -ka- aggiunto a un tema in -ī- non attestato oppure un tema in -in- o in -i- con allungamento della vocale presuffissale 29. Per gli studiosi che consideravano soltanto la dimensione diacronica, la scarsità e la problematicità delle attestazioni erano motivi validi per screditare le poche attestazioni vediche. Infatti, Whitney (19245: 450 § 1186c) sostiene che tutte le occorrenze in cui i suffissi -ika- e -īka- sembrano aggiunti direttamente alla radice sarebbero in realtà casi di -ka- secondario, pur non esplicitando i motivi della sua affermazione e pur dando l’impressione di ammettere, alcune pagine dopo (468 § 1222j), l’esistenza di -ika- come suffisso indipendente. Edgerton (1911: 109), dal canto suo, influenzato dai grammatici indiani e basandosi su argomenti semantici, ritiene che la forma vedica RV usriká- m., la cui derivazione formale da usrásembra accertata, non possa tuttavia essere considerata come un’occorrenza del suffisso primario -ika- poiché -ika- non presenterebbe mai altrove il valore di un diminutivo spregiativo; dato che, in effetti, la forma più frequente è usríya- e usriká- è un hapax tardo-vedico, ne conclude che -i- in usriká- sarebbe dovuto ad analogia con la forma più frequente: “In usriká […] the i is due to analogy from usríya. It would be impossible to regard the suffix as -ika, since the word is obviously a contemptuous dim., and ika is never used in that sense, at least in the Veda”. Per quanto riguarda v4ścika-, Edgerton lo La forma dell’av. rec. *marždīka- è attestata come marždika-, con /i/ breve, ma Debrunner (1954: 427) ritiene che debba essere emendata in *marždīka-, per l’accostamento alla forma ind. ant. m3ḍīká-, mārḍīká-; cf. Edgerton (1911: 309; 107); EWA 2, 326 s. 29 Debrunner (1954: 429); Edgerton (1911: 107). 28 AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 58 Claudia A. Ciancaglini classifica inizialmente tra i diminutivi dispregiativi formati con il suffisso -ka-, ma alcune pagine dopo ammette che potrebbe trattarsi di un caso di suffisso primario (cioè di -ika-), ponendosi soprattutto il problema della semantica: “The word [scil. v4ścika-] may be a primary derivative; if its suffix is dim. at all, it is probably rather imprecatory than contemptuous”(1911: 144). Come si è visto, l’etimo è discusso; Debrunner (1954: 311), dal canto suo, ritiene che la derivazione di v4ścika- da vraśc- sarebbe “semasiologisch bedenklich”, seguito però in questo caso dall’autorevole parere di Mayrhofer, il quale considera dubbio il nesso etimologico tra queste due forme (EWA 2, 596). Un’altra soluzione adottata dagli studiosi di un tempo per trattare i casi di -ika- che non rientrano nella descrizione grammaticale tradizionale fornita dai grammatici indiani è quella di ipotizzare una -i- “connettiva”, un’idea antica, già avanzata da Bopp (cf. Debrunner 1954: 313): ad esempio, le forme AV vāæsantika- ‘primaverile’ e v4ścika‘scorpione’ sono interpretate da MacDonell (1916: 262) come casi del suffisso -ka- preceduto da un “connecting -i-”30. Un’ulteriore opzione per non riconoscere le poche occorrenze di -ikain vedico è quella di dubitare della fonte che le attesta: per esempio, Edgerton (1911: 305) dubita che śa™ḍika- contenga il suffisso -ikasostenendo che è considerato un patronimico formato su śa™ḍa- “on no other authority than Sāya™a, who explains the word as ‘descendant of Śa™ḍa’, an Asura priest (śa™ḍa- as common noun means ‘curds’)”. Infine, Edgerton (ibid.) nega in blocco la rilevanza dell’esiguo gruppo di derivati in -īka-, sostenendo che esso sia “not very clear and may be neglected”. 4. Il suffisso indo-ir. *-akaIl suffisso ind. ant. -aka- deve la sua frequenza all’alto numero di temi in -a-, che favorisce la rianalisi di -a-ka- come -aka-, e alla sua qualità di utile allomorfo di -ka- per “normalizzare” temi in consonante, ad es. śúnaka- ‘piccolo cane’ (usato anche come nome 30 Cf. Debrunner (1954: 308). AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 I suffissi indo-ir. * -Vka- tra genealogia e variazione 59 proprio) < śún- ‘cane’31. Nel sanscrito classico -aka- assume la funzione di derivare nomi d’agente da temi verbali, per esempio kāær-aka‘facitore, autore’ < k3- ‘fare’, bandh-aka- ‘catturatore’ < bandh- ‘legare’; in tale funzione, l’unica riconosciuta dai grammatici indiani antichi, il suffisso compare di solito in derivati che presentano la radice accentata e al grado allungato32. Nel RV, però, le attestazioni sono rare e incerte e, come accade anche in avestico, non è sempre chiaro se i derivati in questione contengano -aka- oppure -ka- aggiunto a un tema -a-, attestato o meno. In particolare, nel RV troviamo solo sāæy-aka- m., nt. ‘missile, freccia’, la cui semantica letterale secondo Edgerton (1911: 101) sarebbe quella di un gerundivo-aggettivo ‘che deve essere lanciato’, ma secondo Mayrhofer (EWA 2, 725) non si tratterebbe di un aggettivo. Varie opinioni sono state proposte riguardo all’etimo di tale derivato, ma Mayrhofer sostiene che, insieme a prásiti- f. ‘attacco, assalto’, potrebbe essere connesso a una radice indoiranica altrimenti inattestata significante ‘gettare, lanciare’ 33. Inoltre, nel RV, si ipotizza l’esistenza del derivato *sú-lābhaka- sulla base del femminile attestato sú-lābhikā-, di cui si è detto sopra. Nell’AV troviamo pīæyaka- m. ‘colui che abusa’ (< pīy- ‘abusare’) e vádhakaagg. ‘che uccide, distruttivo’ (< vadh- ‘distruggere, uccidere’, che però potrebbe anche derivare da vadhá- m. ‘uno che uccide, distrugge’, con -á- < ie. *-ó-); nello YV abhikróśaka- m. ‘oltraggiatore’ 31 Sull’utilità di -aka- per “normalizzare” temi in consonante cf. Debrunner (1954: 143) e, per tale suffisso in generale, Debrunner (1954: 145 ss.); Whitney (51924: 446); Edgerton (1911: 101 s.). 32 Lo sviluppo di tale funzione si deve probabilmente al processo di erronea segmentazione di nomi verbali uscenti in -a- (< indo-ir. *-á-) e ampliati con il suffisso -ka-. Secondo alcuni studiosi, indo-ir. *-á- (< ie. *-ó-) sarebbe un suffisso autonomo, e non soltanto la vocale tematica accentata, che aggiunto a temi nominali atematici e tematici deriverebbe aggettivi con valore possessivo, come ad esempio ie. *gwyeh2- ‘corda di arco’ (ind. ant. jyāæ- f. ‘id.’) > gwyh2-ó- ‘che ha, o si riferisce, a una corda d’arco’ (gr. βιός ‘arco’); secondo altri formerebbe nomi d’agente e aggettivi con valore participiale, specie quando aggiunto a temi verbali: cf. Widmer (2004: 33); Whitney (51924: 423); Debrunner (1954: 59 ss.; 149); Edgerton (1911: 104 f.). Riguardo a ie. -ó-, cf. Meillet (1937: 257). 33 Altri studiosi connettono questo derivato a ie. *seh1- ‘seminare’ (Debrunner 1954: 147) o a *seh2- ‘legare’: cf. EWA 2, 725; 186. AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 60 Claudia A. Ciancaglini < abhikróś- ‘oltraggiare’ (confrontabile con av. rec. apa.xraosaka- agg. ‘oltraggiante’, per cui si veda oltre, § 6). Altri casi vedici di -aka- sono ugualmente dubbi, per esempio RV *hlādaka- ‘rinfrescante’ (desunto dal f. hlādikā-): per Debrunner (1954: 146) si tratterebbe di un caso di -aka- primario, formato direttamente dalla radice verbale hlād- ‘essere rinfrescato’, mentre per Edgerton (1911: 104) si tratterebbe di un caso di -ka- aggiunto al nome verbale hlāda- m. ‘ciò che rinfresca’. Così come indo-ir. *-ika-, anche il suffisso *-aka- sembra ricostruibile per l’indoiranico (si veda § 6 per le forme iraniche), ma a differenza di questo è improbabile che possa essere ricondotto all’ie. ricostruito, dove dovrebbe presentarsi come **-oko- oppure **-eko-. Oltre ai rari paralleli nelle altre lingue ie. 34, la difficoltà formale consiste nel fatto che in genere l’elemento che precede un suffisso secondario iniziante per consonante (nel nostro caso ie. *-ko-) ha vocalismo zero35. Quindi la generalizzazione di suffissi del tipo *-Vkonei quali la vocale iniziale è in origine la vocale tematica deve essersi verificata in modo indipendente nelle varie lingue storiche, come conseguenza della generale tendenza alla rianalisi causata dall’opacizzazione dei confini morfematici. Come per *-ika-, alcuni studiosi dell’inizio del ‘900 tendono a negare la presenza di indo-ir. *-aka- nei derivati indoiranici più antichi, basandosi sulle differenze formali e semantiche che essi presentano rispetto ai derivati in -aka- del sanscrito classico. Edgerton, per esempio, sostiene che le forme vediche sāæy-aka- e *sú-lābhaka- siano “uncertain and in any case not belonging in meaning to the later suffix aka” (1911: 101 s.). Anche il derivato madhvaka- m. ‘ape’ (in SV) < mádhu- nt. ‘miele’ (cf. anche madhūka- ‘ape’, e madhuka34 Cf. got. broþrahans ‘fratelli’ (< agg. *brōþr-aha-? Cf. Debrunner 1954: 145); germ. *vitaga-, *vītaga- ‘saggio’ (cf. ingl. ant. wītig), probabilmente da ie. *weyd- ‘conoscere, sapere’ + *-oko-; lat. mordicus (cf. ind. ant. mardaka- ‘schiacciante, martellante’), medicus, ūnicus, etc., nei quali -i- di -icus sembra dipendere dall’apofonia latina. Cf. Debrunner (1954: 149); Leumann (19775: 337); alcuni esempi tocari piuttosto dubbi sono citati da Van Windekens (1944: 126 s.). 35 Cf. Meillet (1937: 276). AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 I suffissi indo-ir. * -Vka- tra genealogia e variazione 61 ‘color del miele, dolce’, usato anche come nome proprio: EWA 2, 302 s.) per Edgerton non conterrebbe il suffisso primario -aka-: “[madhv-aka‘bee’] is probably an instance of some sort of adaptation, whose nature cannot be decided. At first sight it looks like a suffixal -aka added to mádhu; but this is most unlikely”. A suo avviso, si tratterebbe anche in questo caso del suffisso -ka-, nella funzione di formare aggettivi di appartenenza o relazione, aggiunto a madhu- in qualche modo che Edgerton trova strano e non riesce a spiegare. Un altro derivato attestato nell’AV, ossia p3ṣāætaka- m., nt. ‘una miscela di burro, latte etc.’ < p4ṣa(n)t- agg. ‘screziato, maculato’ (cf. EWA 2, 164), anch’esso non rispondente ai tratti semantici e formali individuati dai grammatici indiani sulla base del sanscrito classico, non è considerato dallo studioso un caso di -aka-: anzi, Edgerton (1911: 101) ipotizza che madhvaka- e p3ṣāætaka- presentino il suffisso -ka- aggiunto rispettivamente a due basi non altrimenti attestate, ossia *madhva- e *p3ṣata- (o *p3ṣāta-); dal punto di vista semantico, però, tali derivati non sono inseribili in nessuna delle quattro classi individuate da Edgerton36, per cui sono incluse nel gruppo dei derivati “inclassificabili” (1911: 124). Oltre ai problemi semantici, Edgerton (1911: 101 n. 1) osserva che questi due derivati sarebbero sospetti perché non presentano il grado v3ddhi. Quest’ultimo argomento è piuttosto curioso, perché poche pagine prima (1911: 98 f.) Edgerton stesso aveva criticato Whitney (19245: 466 ff. § 1222) per la sua eccessiva fiducia nei grammatici indiani e in particolare per l’aver assunto, basandosi esclusivamente sulla loro autorità, l’esistenza di un suffisso -aka- che genererebbe v3ddhi37: secondo Edgerton, tutte le Edgerton (1911: 96 ss.) suddivide i derivati in -ka- in quattro classi, sulla base del significato che tali derivati presentano rispetto alle loro rispettive basi: 1) nomi o aggettivi che indicano somiglianza rispetto alle loro basi o sfumature diminutive, dispregiative, vezzeggiative etc.; 2) aggettivi di appartenenza o relazione, 3) aggettivi o nomi possessivi; 4) aggettivi o nomi in cui il suffisso sembra aggiungere un valore verbale attivo. 37 Whitney (51924: 468): “Two suffixes made up of ka and a preceding vowel – namely, aka and ika – are given by the grammarians as independent secondary suffixes, requiring initial vṛddhi-strengthening of the primitive. Both of them are doubtless made by addition of ka to a final i or a, though coming to be used independently”. 36 AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 62 Claudia A. Ciancaglini occorrenze del presunto suffisso -aka- che provoca v3ddhi sarebbero casi di temi in vocale ampliati con il suffisso -ka-: The supposed secondary Vriddhi-causing suffix aka is largely or wholly a grammatical fiction; in the Veda at least, it never existed at all. Instead we must recognize this secondary Vriddhi-causing use of the suffix ka added both to a-stems and to others (Edgerton 1911: 99 s.). Analogamente, Debrunner (1954: 144), pur citando p3ṣāætaka- come un derivato in -aka- < p4ṣa(n)t- ‘screziato, maculato’, avanza dubbi circa l’accento e qualifica il derivato come “singolare”, lo stesso aggettivo che usa anche per il derivato madhvaka-. Tuttavia, tutte le occorrenze preclassiche dei suffissi del tipo *-Vko-, come anche di *-ko-, nelle lingue indoeuropee antiche non presentano v3ddhi, né sono riconducibili ad alcuna precisa regola accentuativa. Le regole individuate dai grammatici indiani descrivono uno sviluppo successivo interno all’indiano. Tralasciando ora il fatto che la derivazione interna di matrice indoeuropea, ossia i mutamenti di grado apofonico e accento utilizzati a scopi morfologici, era in origine applicata esclusivamente alle forme atematiche e solo secondariamente è stata estesa alle tematiche38, è noto che nell’indoiranico, a differenza delle altre lingue indoeuropee, si è molto diffusa la cosiddetta derivazione tramite v3ddhi, ossia la modificazione del grado apofonico da zero a pieno, o da pieno ad allungato. Alcuni esempi sono ind. ant. mānasá- ‘relativo allo spirito’ < mánas- ‘mente, spirito’; scr. śvāśura- (cf. ant. alto ted. swāgur ‘figlio del suocero = cognato’) < śváśura- ‘suocero’;39 avest. vārǝϑraγni- ‘vittorioso’ < vǝrǝϑraγna- ‘vittoria’; pers. ant. Mārgava- ‘abitante di Margu-’40. In ogni caso, il suffisso indo-ir. *-ka- non implica alcuna alterazione apofonica della base, essendo prevalentemente un suffisso secondario 38 Ad es. ind. ant. bráhman- nt. ‘preghiera’ < ie. *bhléǵh-mn ̥ vs. brahmán- m. ‘prete’ < ie. *bhléǵh-mō(n). Cf. Meillet (1937: 256 ss.); Fortson (2004: 78; 110); Burrow (1955: 124 ss.); Widmer (2004: 62 ss.; 66 ss.). 39 Meillet (1937: 259); Fortson (2004: 116 s.); etc. 40 Sims-Williams (1993: 175). AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 I suffissi indo-ir. * -Vka- tra genealogia e variazione 63 aggiunto a basi tematiche. Per quanto riguarda l’ind. ant. -ka-, gli stessi Debrunner (1954: 530) e Whitney (1924 5: 467 f. § 1222) sottolineano che le più antiche attestazioni dei derivati contenenti tale suffisso non presentano v3ddhi, con l’eccezione di ind. ant. māmaká(ma anche mámaka-) < máma ‘mio, di me’ e lo stesso vale per le più antiche attestazioni nelle lingue iraniche e nelle altre lingue indoeuropee (cf. Kuryłowicz 1968: 52). Per quanto riguarda la posizione dell’accento, Whitney (1924 5: 467 § 1222b) osserva: “The accent of derivatives in ka varies – apparently without rule, save that the words most plainly of diminutive character have the tone usually on the suffix”; analogamente Debrunner (1954: 533): “Der Akzent der ka-Bildungen ist nicht auf eine Formel zu bringen”. Anche Kuryłowicz (1968: 52) afferma che le condizioni accentuali dei derivati senza v3ddhi contenenti i suffissi -a-, -ya-, e -kasono poco chiare e richiederebbero ulteriori indagini: in generale, in vedico i derivati in -ka- con valore diminutivo sono ossitoni (es. kumāra-ká- ‘ragazzino’, putra-ká- ‘figlioletto’), ma molti derivati ossitoni non sono diminutivi. Kuryłowicz (ibid.) ne conclude quindi: “die Ratio der Betonung anderer Bildungen auf -ka- ist jedoch vorläufig unbekannt”. 5. Il suffisso ie. *-ukoMentre per la ricostruzione di ie. *-iko- sono state espresse opinioni discordanti, la tradizione neogrammatica è concorde nel non ammettere che *-uko- sia ricostruibile per l’indoeuropeo, benché, al pari di -i-, anche -u- sia un suffisso del cosiddetto sistema di Caland, benché molti temi in -u- abbiano semantica aggettivale (es. ie. *gw3Hu‘pesante’ > ind. ant. gurú-, gr. βαρύς)41 e nonostante che la presenza, 41 Il fatto che alcuni derivati indiani antichi in -uka- non rimandino a temi in -ú-, ma in -u-, mentre solo ie. *-ú- è realmente aggettivale, non costituisce un grave ostacolo: gli aggettivi protero- e amficinetici in -ú- hanno origine tramite derivazione interna da temi nominali astratti in -u-, ad es. *kró/étu- ‘forza, acume, intelligenza’ (ind. ant. krátu-, av. xratu-) > *k3tú- ‘forte’ (gr. κρατύς): cf. Widmer (2004: 96 ss.; 128); Fortson (2004: 110). Inoltre, molti di questi nomi astratti in -u- hanno semantica aggettivale (ad es. *h2rǵu- AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 64 Claudia A. Ciancaglini nelle lingue indoeuropee storiche, di molti temi in -u- ampliati con il suffisso *-ko- possa aver favorito fenomeni di rianalisi (es. ind. ant. babhru-ká- ‘brunastro’ < babhrú- ‘bruno’; av. ant. pasuka- ‘animale, (capo di) bestiame’ < pasu- ‘(capo di) bestiame, animale addomesticato’, riferito a quadrupedi come vacche, capre, pecore, in opposizione agli animali selvatici). La formazione di suffissi primari formati per erronea segmentazione da -u- e *-ko- è generalmente ammessa solo come uno sviluppo indipendente all’interno delle singole lingue storiche, sebbene gli indianisti riconoscano che ind. ant. -uka- è attestato prima di -aka- (cf. Whitney 19245: 446 § 1181). Oltre all’ind. ant. -uka- (e al greco -υξ, che rappresenta la versione atematica dello stesso tipo di rianalisi), il suffisso ie. *-uk(o)- sembra continuato anche dallo sl. ant. -ŭkŭ, originato da un ampliamento in *-ko- di aggettivi uscenti in -u, la cui declinazione è precocemente scomparsa42. Tuttavia, Debrunner sostiene che la parentela genealogica tra sl. ant. -ŭkŭ, da un lato, e ind. ant. -uka- e gr. -υξ, dall’altro, non sarebbe dimostrata: “Da die verwandten Sprachen keine Entsprechungen haben, ist -uka- als ai. Erweiterung aus -u- zu erklären” (1954: 483). Per gli studiosi di tradizione neogrammatica un ostacolo all’attribuzione di *-uk(o)- all’ie. ricostruito consisteva sicuramente nel fatto che, nelle lingue storiche, gli esiti di questo suffisso sviluppano funzioni morfologiche e valori semantici molto diversi: ad esempio, l’ind. ant. -uka- forma aggettivi verbali con significato participiale, di solito con la radice accentata e al grado allungato (ad es. bhāævuka- ‘che è, diventa’ < bhū- ‘essere, diventare’) 43; il gr. -υξ forma nomi per lo più indicanti rumore44, lo sl. ant. -ŭkŭ forma aggettivi qualitativi. Al giorno d’oggi tale ostacolo non appare più tale, poiché si è ‘bianco’ in ind ant. árju-na-, gr. ἄργυ-ρος) e sincronicamente -u-finale alterna o è cumulata con altri suffissi aggettivali, allo stesso modo della di -i- del cosiddetto sistema di Caland (cf., ad es., l’alternanza -u-/-ro- in lat. acus < *h2ak´ u- vs. gr. ἀκ-ρός < *h2a k´ -ro-): cf. Widmer (2004: 91; 129). 42 Cf. Meillet (1934: 347); Vaillant (1931); de Lamberterie (1990: 29). 43 Cf. Edgerton (1911: 104–107); Debrunner (1954: 480–483 and 498 s.); Whitney (51924: 445 f.). 44 Cf. Dettori (2006). AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 I suffissi indo-ir. * -Vka- tra genealogia e variazione 65 consapevoli del fatto che i valori semantici e le funzioni morfologiche di un suffisso si sviluppano pienamente solo all’interno di un singolo sistema e, quindi, quello che dal punto di vista formale e diacronico è lo “stesso” suffisso può comparire con funzioni diverse nei sistemi morfologici delle singole lingue storiche. D’altra parte, nel caso delle lingue antiche si deve tener conto anche dell’ulteriore difficoltà costituita dalla necessità di generalizzare dei valori paradigmatici desumendoli dai valori sintagmatici osservabili nelle attestazioni storiche, le quali sono necessariamente in numero finito e spesso, come nel caso dei suffissi del tipo *-Vka- nelle lingue indoiraniche più antiche, sono decisamente rare, come si è visto. Dato il basso numero di occorrenze di tali suffissi, ciascuna delle quali presenta un suo peculiare valore sintagmatico, l’individuazione di un valore paradigmatico generale non può non comportare un certo grado di arbitrarietà. Inoltre, per tornare a *-uko-, le sue continuazioni nelle attestazioni più antiche delle lingue indoiraniche sono più difficili da individuare che quelle degli altri suffissi del tipo *-Vko-. In vedico ci sono alcune forme che sembrano presentare il suffisso -uka-, ma sono di etimo oscuro, come ad esempio peruká- nome proprio (EWA 2, 186: ma forse da péru-, perú-, a sua volta di origine ignota), kā™uká-, di significato ed etimo dubbi (EWA 1, 336) e chúbuka- nt. ‘guancia’ (EWA 1, 560), e quindi Debrunner ragionevolmente non le considera occorrenze di tale suffisso. Un altro caso che compare nel RV è sānuká- ‘bramoso di preda’, un hapax usato come attributo del lupo: il significato di ‘bramoso di preda’ dipende dalla connessione etimologica con il tema verbale san- ‘guadagnare, vincere’, ma in tal caso, osserva Debrunner (1954: 481), la posizione dell’accento sarebbe inattesa. A suo avviso è più probabile che si tratti di un derivato in -ka- dal termine sāænu- nt., m. ‘schiena, dorso’ e che il significato sia approssimativamente ‘che attacca alle spalle’. Anche secondo Edgerton (1911: 305) si tratta di un derivato in -ka-, formato però sul tema verbale sanu-. La questione è dubbia e, infatti, Mayrhofer (EWA 2, 724) non accoglie nessuno di questi tentativi etimologici e qualifica la formazione come non chiara. Nell’AV si trovano tre attestazioni di -uka-: ghāætuka- ‘che uccide’ < hanAIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 66 Claudia A. Ciancaglini ‘colpire, uccidere’; a-pramāæyuka- ‘che non perisce’ < pra- + mī‘danneggiare’ (ma cf. pramāæyu- ‘che perisce’); -kasuka-, attestato nel composto víkasuka- ‘che scoppia’ < vi + kas- ‘scoppiare, divenire scisso o diviso’ e in sáṁkasuka- ‘collassante’ < sam + kas-, epiteti di Agni45. Il suffisso -uka- sembra recessivo nell’epica e nel sanscrito classico, ma, come tipico dei tratti linguistici connotati come volgari e non letterari, deve aver mantenuto una discreta vitalità nel parlato, poiché è frequente nei Brāhma™a e nelle Saṃhitā, dove è talora usato a discapito di -ika- (e.g. dhārmuka- for dhārmika- ‘giusto’), uso molto comune nel medio indiano46. Citiamo qui brevemente anche il suffisso -ūka-, di solito aggiunto a temi verbali raddoppiati o intensivi per formare aggettivi verbali; la sua origine è considerata oscura e la connotazione sociolinguistica bassa è sottolineata dagli studiosi soprattutto per tale suffisso. Tuttavia, se ne trova un’attestazione sicura nel RV, ossia jāgarūæka- ‘vigile, sveglio’, dal tema raddoppiato di g3- ‘svegliare’, cosa che sorprende Edgerton: lo studioso ritiene che -ūka- si sia formato per una sorta di proporzione analogica su -uka-, ma si stupisce del fatto che -ūka- “makes its appearance curiously early, one instance being found in RV., and that too from a root which is not addicted to u-formations: jāgarūæka- ‘wakeful’, RV. 3. 54.7” (1911: 106 s.). Debrunner (1954: 498) ritiene che l’origine del suffisso sia ignota, pur ammettendo che possa derivare da un ampliamento in -u- dei temi verbali raddoppiati. Tuttavia, nega che -ūæka-, con /u/ lungo e accentato, possa derivare da -uka-. D’altra parte, come si è già accennato (§ 1), le vocali presuffissali alte /i/ e /u/ presentano spesso oscillazioni quantitative. Per quanto riguarda in particolare -ūka-, in indiano 45 Debrunner (1954: 483) sottolinea che l’etimo di -kasuka- è ignoto e che sia il grado apofonico che l’accento del derivato divergono dai “normali” derivati in -uka-. Mayrhofer (EWA 1, 332) ritiene invece che, sebbene l’etimo della radice kas- sia poco chiara, questi due epiteti dell’ignis fatuus siano sicuramente derivati da tale radice verbale tramite il suffisso -uka-. 46 Cf. Debrunner (1954: 480; 482), con bibl.; Edgerton (1911: 104) cita anche YV hlādukā- per hlādikā- ‘che rinfresca’ come prova della percezione dei parlanti della funzione verbale del suffisso. AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 I suffissi indo-ir. * -Vka- tra genealogia e variazione 67 antico sono attestati vari casi di derivati che presentano allotropi con la vocale breve e la lunga prima del suffisso, per esempio jatūka- ‘pipistrello’ e jatuka- ‘lacca, gomma’47, madhūka- ‘ape’ e madhuka- ‘color del miele’ (anche n. pr.) < madhu- ‘miele’48. 6. I suffissi indo-ir. *-Vka- in iranico Un’altra delle difficoltà che i Neogrammatici incontravano nell’attribuire i suffissi del tipo *-Vka- all’indoiranico e, di conseguenza, all’indoeuropeo ricostruito era la loro scarsa attestazione o totale assenza in avestico; questi studiosi, che consideravano soltanto la dimensione diacronica, ritenevano che l’avestico fosse solo la forma più antica di iranico, allo stesso modo in cui il RV era considerato la forma più antica di indiano, benché l’avestico si differenzi dal persiano antico anche per varietà linguistica: a differenza dell’avestico, il persiano antico è una varietà sudoccidentale. In effetti, le attestazioni di questi suffissi nelle lingue iraniche antiche non sono molte: nell’avestico antico -ka- compare solo una volta (pasuka- m. ‘animale domestico’ < pasu- ‘id.’; cf. ind. ant. pāśukaagg. ‘relativo al bestiame’, e anche -paśukā- f. ‘ogni animale piccolo’, < páśu- nt. o paśú- m. ‘bestiame, animale domestico’), -ika- solo due volte, in daitika- m. ‘bestia selvatica’ < *dat-a-, lett. ‘provvisto di denti’, grado zero della forma tematizzata di indo-ir. *dant- ‘dente’49 (ma per Edgerton 1911: 307; 310 n. 1 si tratterebbe di un caso di -ka- aggiunto a un “merely euphonic -i-”) e in mǝrǝždika- nt. ‘misericordia’, attestato anche in avestico recente come marždika- (ma Debrunner 1954: 427 ritiene che questa forma sia da emendare in *marždīka-). Nel persiano antico non vi è alcuna occorrenza certa di -ika-, mentre il suffisso -īkapuò essere ipotizzato nel derivato pers. ant. arīka- ‘ostile, infido, 47 Mayrhofer (EWA 1, 565; 566) avanza dubbi sulla connessione etimologica tra jatunt. ‘lacca, gomma’ e jatū́- f. ‘pipistrello’ e considera la seconda forma come non chiara. 48 Cf. Debrunner (1954: 498). 49 Riguardo a questi derivati iranici antichi che contengono sicuramente il suffisso -ika- mi permetto di rimandare a Ciancaglini (2012). AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 68 Claudia A. Ciancaglini inaffidabile’, ma l’etimo e la formazione di questo derivato sono discussi50. Il suffisso indo-ir. *-aka- compare in un piccolo gruppo di aggettivi avestici con connotazioni semantiche deviche, la cui interpretazione è dubbia sia riguardo al suffisso che contengono (-aka- o -ka-), sia riguardo al significato. Tra essi citiamo apa.xraosaka- ‘oltraggiante’, apa.skaraka- ‘sprezzante’, niuuaiiaka- ‘terrificante’ e nipašnaka‘invidioso’, considerati da Debrunner (1954: 149) come casi di -akaaffisso al tema verbale, ma da Edgerton (1911: 306 f.) e Duchesne-Guillemin (1936: 36) come casi di -ka- aggiunto ai corrispondenti (e inattestati) temi nominali in -a-. Allo stesso modo, av. rec. rapaka- agg. ‘che sostiene, si schiera con’ è analizzabile come rap- + -aka- per Debrunner (1954: 149), ma come *rapa- + -ka- per Edgerton (1911: 308); av. rec. zinaka- agg. verb. ‘che distrugge’ sarebbe un caso di -ka- aggiunto al tema del presente zinā- per Edgerton (1911: 309), ma un caso di -aka- primario per Debrunner (1954: 149). Lo stesso dicasi per il pers. ant. *gaušaka- m. ‘informatore, spia’, derivato attestato indirettamente dall’aramaico ufficiale gwšk ‘id.’51, la cui base può essere pers. ant. gauša- ‘orecchio’, ma per Debrunner (1954: 149) sarebbe un ulteriore caso di -aka- aggiunto direttamente al tema verbale (cf. av. gaoš- ‘to hear’, ind. ant. ghoṣ- ‘udire’) 52. La differenza di opinioni è dovuta, anche in questo a caso, a motivi semantici: poiché in indiano, e soprattutto nel sanscrito classico, -aka- forma nomi d’agente da temi verbali, e il significato di questi derivati avestici può essere assimilato a quello di nomi d’agente, Debrunner ritiene preferibile ipotizzare che in essi compaia -aka- aggiunto alla radice La lettura di ‹a-r-i-k-› come arīka- è suggerita da Mayrhofer (EWA 1, 128) e Schmitt (2014: 136); per Edgerton (1911: 309, 310 n.) si tratta di un caso di -ka- aggiunto a un tema *ari- = scr. arí-; Debrunner (1954: 428) ritiene che arīka- sia un caso di -ka- primario; Bartholomae (AirWb 186) e Kent (1953: 170) ritengono che la forma derivi da indo-ir. *asra-, av. aŋra-; cf. anche Kent (1953: 13 s.); Mayrhofer ammette la possibilità che la forma derivi da *h2eli-h3kw-o- ‘volto verso un altro lato’: in tal caso, non avremmo a che fare con un suffisso in velare, ma con un altro suffissoide. 51 Cf. Hinz (1975: 105); Henning (1939–1942: 95 n. 1) ricostruisce anche mediopers. *gōšag ‘spia’, che potrebbe essere comprovato dall’armeno gušak ‘informatore’. 52 Cf. EWA 1, 518 s.; Schmitt (2014: 183). 50 AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 I suffissi indo-ir. * -Vka- tra genealogia e variazione 69 verbale, pur ammettendo che formalmente potrebbero essere tutti derivati da nomi in -a- non attestati53. Analogo è il problema di interpretazione della formazione del pers. ant. k3nuvaka- ‘scalpellino’: a mio avviso, è molto probabile che sia formato da *k3nuv- + -aka-, ossia il tema del pres. indo-ir. *k3nau-/k3nu- del vb. kar- ‘fare’ + -aka-, ma secondo Mayrhofer (EWA 1, 293), seguito da Schmitt (2014: 204), sarebbe formato invece da *k3nvá- (cioè *k3nv-á- ) + -ka-; Kent (1953: 180) pensa a un’occorrenza di -aka-, ma aggiunta al tema del pres. del vb. kart- ‘tagliare’ (cf. tema pres. avest. kǝrǝnauu-/kǝrǝnu-; ind. ant. k3t-, gr. κείρω < ie. *ker-t-). Per quanto riguarda -uka-, infine, non vi è alcuna attestazione diretta di questo suffisso, né in avestico, né in persiano antico. Come si può notare, rispetto all’indiano antico, le attestazioni dei suffissi del tipo *-Vka- nelle lingue iraniche antiche sono in numero nettamente inferiore, anche tenuto conto della diversa estensione dei rispettivi corpora e, all’interno delle lingue iraniche, tali suffissi sono meno attestati in persiano antico che in avestico. Ciò dipende da due fattori connessi alle altre due dimensioni del mutamento linguistico, quella sociale e quella geografica. Dal punto di vista della variazione sociolinguistica, i suffissi *-Vka- sono confinati a registri bassi, come si evince dal fatto che compaiono in avestico per lo più in espressioni deviche e imprecatorie, soprattutto per quanto riguarda i casi di -aka-. Un’analoga connotazione bassa, sebbene non in senso devico, è rilevabile in pers. ant. arīka- ‘ostile, infido, inaffidabile’, k3nuvaka‘scalpellino’ e *gaušaka- ‘informatore, spia’. Di particolare interesse è la forma pers. ant. k3nuvaka-, che Mayrhofer (EWA 1, 293) cita in quanto formazione parallela a ind. ant. Ká™va-, nome proprio, da indoar. *k3™vá- < tema pres. k3™ó-/ *k3-™v-á- < kar- ‘fare’. Sia in ind. ant. Ká™vache in pers. ant. k3nuvaka- la forma del presente è lievemente diversa da quella attesa: per l’ind. ant., Mayrhofer allude a una pronuncia popolare; invece Schmitt (2014: 204), a proposito di k3nuvaka-, afferma Debrunner (1954: 149): “Diese Bildungen (wie viele ai.) können formell von der Wurzel (z.B. aw. gū̆š-, ai. ghoṣ-) oder vom Verbalsubst. (z.B. ap. gauša- aw. gaoša- ‘Ohr’) abgeleitet werden; doch ist im Iran. wie im Ai. die Beziehung zum Vb. offensichtlich näher”. 53 AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 70 Claudia A. Ciancaglini solo che la divergenza rispetto al tema del presente (che sarebbe pers. ant. kunau-, cf. imperf. akunavam ‘io facevo’) non giustifica l’ipotesi di un prestito da un altro dialetto iranico, come il medo. La caratterizzazione bassa dei suffissi *-Vka- rende conto della scarsità delle attestazioni nelle lingue iraniche antiche, ma non della diversa frequenza di tali suffissi in avestico e in persiano antico. Quest’ultima, a mio avviso, è invece spiegabile tenendo conto della distribuzione geografica. Benché si tratti di suffissi ereditari, nelle lingue indoiraniche essi emergono a livello scritto e perdono progressivamente il loro carattere marcato in senso diastratico o diafasico basso dapprima in indiano antico, poi nell’avestico recente e nelle varietà iraniche non sudoccidentali (avestico e, successivamente, partico, sogdiano, cotanese etc.), per apparire da ultimo a livello scritto nelle lingue iraniche sudoccidentali (persiano antico e, successivamente, mediopersiano). Per quanto concerne le lingue iraniche antiche, quindi, il quadro è conforme a quello del suffisso *-ka-, anch’esso relativamente più frequente in avestico, dove è spesso attestato in derivati devici indicanti infermità e peccati, rispetto al persiano antico, in cui compare prevalentemente in nomi comuni ed etnonimi presi in prestito da varietà iraniche non sudoccidentali, come gli esiti fonologici talora indicano con chiarezza 54. Se ne può dedurre, a mio avviso, che la distribuzione dei suffissi in velare sorda nelle lingue iraniche antiche, sia del tipo *-Vka- che *-ka-, è stratificata secondo le dimensioni diacronica, diatopica e diastratica. Ciò non significa certo che nel persiano antico tali suffissi siano un prestito morfologico da altre varietà iraniche, ma solo che erano impiegati in registri linguistici bassi che non hanno lasciato traccia, o 54 Per es., si vedano i toponimi ed etnonimi pers. ant. Saka- agg. e sost. ‘scitico, scita’, Zranka- ‘Drangiana’; nei nomi, alcuni esempi di aggiunta del suffisso a temi la cui facies fonologica è chiaramente non sud-occidentale, cf. pers. ant. vazraka- ‘grande’ < ie. *weĝ-ro- e kāsaka- ‘pietra semipreziosa’, sicuramente non sudoccidentale, confrontabile con av. kas- ‘essere visibile, apparire’ e ind. ant. kāś- ‘id.’, ma di etimo discusso (cf. Hinz 1975: 150; Schmitt 2014: 202). Sulla questione del suffisso *-ka- nelle lingue iraniche antiche si veda anche Ciancaglini (2012). AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 I suffissi indo-ir. * -Vka- tra genealogia e variazione 71 ne hanno lasciate molto poche, a livello scritto. Una importante prova di ciò è offerta dalle tradizioni parallele, soprattutto dalle tavolette elamite di Persepoli55, che gli studiosi dell’inizio del ‘900 non potevano conoscere: questi documenti attestano in modo inequivocabile la presenza in persiano antico dei suffissi -ika- e -uka-, molto frequenti in nomi propri abbreviati. Per pers. ant. -ika-, si veda, ad esempio, elam. Ratukka (*Raϑ-ika- < Raϑa-) e Hartikka (Arϑ-ika- < Arϑa-)56; per -uka-, che sembra ancora più frequente di -ika- nei nomi propri (cf. Schmitt in Mayrhofer 1973: 287–298), un esempio è Ziššuka (*Čiç-uka-)57; il suffisso -uka-, inoltre, è attestato indirettamente anche da nomi propri attestati in greco, come ad esempio Ἀρτύκας, Ἀρτούχας (*3t-uka-)58. 7. Considerazioni conclusive Il considerare il mutamento linguistico tenendo conto delle tre dimensioni, diacronica, geografica e sociale, non è in contraddizione con l’applicazione del modello ad albero, ma consente anzi di integrarlo e renderlo più efficace. La continuità genealogica, la cui ricerca è lo scopo principale del modello genealogico, viene resa più certa grazie alla considerazione congiunta di modelli integrativi basati sulla variazione geografica e sociolinguistica, che consentono di valorizzare la documentazione disponibile. Nel caso che abbiamo brevemente esaminato in questo lavoro, gli studiosi dell’inizio del ‘900 di impronta neogrammatica, che operavano con la sola dimensione diacronica e applicavano rigidamente il modello ad albero e le sue unità intermedie, erano portati a escludere l’attribuzione dei suffissi primari *-ika-, *-uka-, *-aka- all’indoiranico e, di conseguenza, all’indoeuropeo ricostruito, soprattutto per la scarsità di attestazione di tali suffissi in vedico e in avestico, oltre che per la considerazione 55 È merito di Jamison (2009) l’aver sottolineato la rilevanza di tali documenti riguardo all’esistenza dei suffissi in velare. 56 Cf. Mayrhofer (1973: 8.1424; 8.484). 57 Cf. Mayrhofer (1973: 8.1879). 58 Cf. Schmitt in Mayrhofer (1973: 297 s.). AIΩN-Linguistica n.8/2019 n.s. DOI: 10.4410/AIONL.8.2019.003 72 Claudia A. Ciancaglini atomistica dei singoli casi attestati, l’ancora insufficiente conoscenza delle lingue iraniche e il peso della tradizione dei grammatici indiani antichi riguardo alle condizioni apofoniche e accentuative, alle funzioni grammaticali e ai valori semantici che tali suffissi presentano nel sanscrito classico. Tutti questi fattori inducevano gli studiosi a negarne la presenza anche nelle poche attestazioni esistenti. Si è visto, invece, che le attestazioni, dirette e indirette, seppure scarse, sono significative e ci permettono di concludere che i tre suffissi primari, *-ika-, *-uka- e *-aka-, sono tutti attribuibili all’indoiranico, ma solo i primi due risalgono all’indoeuropeo ricostruito, rispettivamente nelle forme *-iko- e *-uko-. La scarsità di attestazioni in vedico e in avestico dipende direttamente dal carattere non letterario e diafasicamente o diastraticamente marcato come basso di tali suffissi, che iniziano a emergere nei testi, per quanto riguarda le lingue indoiraniche, a partire da oriente verso occidente: prima nell’indiano antico, poi nell’iranico non occidentale e infine nel persiano antico e medio. La distribuzione dei suffissi indoiranici in velare, sia *-ka- che del tipo *-Vka-, costituisce quindi un tratto linguistico peculiare dell’unità indoiranica, ma il modo in cui affiora nella tradizione scritta è conforme a quanto afferma Lazzeroni (1968: 159) a proposito delle isoglosse unitarie dell’unità indoiranica, ossia che esse “non si presentano come caratteri uniformi e definitivamente acquisiti, ma irradiano da uno o più punti del territorio ario”. Riferimenti bibliografici Adams, Douglas Q., 22013, A Dictionary of Tocharian B, 2nd revised edition, Amsterdam – New York. 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