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Il fascista Pirandello contro l'arte fascista

2017, Il fascista Pirandello contro l'arte fascista

. Per più di mezzo secolo la critica pirandelliana ha sostenuto l’inconciliabilità tra la biografia e l’opera di Pirandello. Quasi che lo scrittore avesse una doppia identità: in pubblico fascista dichiarato e ben altro nel segreto della creazione artistica. L’articolo demolisce questa presunta contraddizione sulla base delle convinzioni artistiche dello stesso commediografo. Politica e arte furono per lui due cose ben distinte. Tanto da dichiararsi contrario a un’arte fascista, in aperto dissenso con Mussolini. Questa clamorosa difesa della libertà dell’arte, contenuta in una ignorata intervista del 1927, restituisce dignità al ritratto consegnato da Sciascia di un Pirandello debole e opportunista. In appendice all’articolo, uno scritto inedito di Pirandello sulla milizia fascista. / Pirandello’s criticism claimed the irreconcilability between the author’s life and his works, for more than half a century. It seems almost that he had a double life: he was an open fascist in public, while a complete different person emerges from his writing. The article destroys this alleged contradiction on the basis of Pirandello’s artistic beliefs. Despite Mussolini’s ideas, he was against a Fascist art. He, indeed, believed that art and politics were two different things. This clamours defence of art’s freedom, which is contained in an ignored interview in 1927, restores dignity to Sciascia’s portrait of Pirandello, who depicted him as a weak and opportunist man. In appendix to the article, there is an unpublished Pirandello’s work on the Fascist Militia.

P M Il fascista Pirandello contro l’arte fascista (con inediti di Pirandello) Un gesto teatrale, il suo. Non per niente si chiama Luigi Pirandello. Lui entra in scena proprio nel momento giusto, quando tutti pensano invece che quello fosse il momento sbagliato. È il 17 settembre del 1924. Il cadavere di Matteotti incombe sul governo; il Paese è inorridito. Mussolini è isolato; il fascismo perde pezzi e sembra irrimediabilmente sull’orlo della crisi, quando il cinquantasettenne scrittore siciliano irrompe nella mischia, platealmente, con un telegramma al Duce, pubblicato due giorni dopo sul quotidiano romano “L’Impero”: Eccellenza, sento che questo è il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita in silenzio. Se l’Eccellenza Vostra mi stima degno di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregierò come massimo onore tenervi il posto del più umile e obbediente gregario. Col peso della sua notorietà internazionale ecco che Pirandello offriva un aiuto insperato al regime, iscrivendosi al Partito fascista. L’effetto è incendiario. Giovanni Amendola reagisce in maniera convulsa e in un suo articolo sul “Mondo”, dal titolo Un uomo volgare, lo apostrofa «accattone»1. Quella pubblica prostrazione, per il deputato dell’opposizione, è il prezzo da pagare in cambio di una nomina a senatore, fallita ieri ma attesa per domani. Non era vero. Pirandello al contrario aveva subordinato l’adesione al Partito fascista alla condizione che il suo nome fosse escluso dalla lista dei senatori, proprio per evitare che il suo gesto potesse apparire interessato2. [G A], Un uomo volgare, “Il Mondo”, 25 settembre 1924. La natura disinteressata dell’iscrizione di Pirandello al Partito fascista sarà rivendicata da un gruppo di «liberi spiriti d’artisti e di studiosi» (Antonio Beltramelli, Massimo Bontempelli, Alfredo Casella, Silvio d’Amico, Cipriano Efisio Oppo) che in solidarietà allo 1 2 188 Otto/Novecento, 1/2017 Sbagliava dunque Amendola ad accusarlo di «farsi apostolo mussulmano della fede fascista» per puro mercimonio, giacché in Pirandello la fede fascista c’era già. E da tempo. Sin dall’indomani della marcia su Roma, come dimostra un’intervista di Pirandello a Benedetto Migliore del 16-17 dicembre 1922 sul “Giornale di Sicilia” recuperata e pubblicata da Ivan Pupo3. E non è la sola esternazione in favore del fascismo e di Mussolini. Ben altre ne farà ancora Pirandello e su diversi giornali, prima di iscriversi al Partito fascista4. Motivo questo sufficiente per far traballare l’accusa di opportunismo lanciata dalle opposizioni e in particolare dal quotidiano politico di Giovanni Amendola. scrittore siciliano si muovono per raccogliere quante più adesioni possibili a una lettera di protesta che vorrebbero pubblicare «entro un paio di giorni» e nella quale si legge tra l’altro: «L’adesione che Luigi Pirandello ha dato in questi giorni al Fascismo, seguendo convinzioni, sempre da lui manifestate, e notoriamente rifiutando ‘a priori’ qualunque onore potesse apparire come ricompensa al suo libero atto, ha dato occasione ad alcuni fogli politici di vilipendere la pura figura morale dell’uomo insigne, l’opera del quale sta raccogliendo intorno all’arte italiana l’interesse di tutto il mondo artistico». La lettera, datata 25 settembre 1924, verrà inviata ad Adriano Tilgher presso la redazione del quotidiano “Il Mondo”, con invito a sottoscriverla. Tilgher pubblicherà la lettera sul quotidiano “Il Mondo” il 28 settembre, spiegando il suo rifiuto ad aderirvi con queste parole: «Mentre qualunque iniziativa diretta ad onorare Luigi Pirandello artista mi ha, e mi avrà sempre, toto corde partecipe, sono obbligato ad astenermi dall’aderire alla vostra iniziativa, che, nella più favorevole delle ipotesi, non distingue abbastanza l’artista Pirandello da Pirandello uomo di parte, e di una parte che non è la mia». Non è tanto l’adesione al fascismo – afferma Tilgher – che ha attirato a Luigi Pirandello gli attacchi deplorati dai firmatari della lettera di protesta, quanto «l’attacco violento che egli ha sferrato contro l’Opposizione e, specificatamente, contro il capo dell’opposizione costituzionale, alle idee del quale il Mondo s’ispira» (A T, Per una protesta in favore di Pirandello, “Il Mondo”, 28 settembre 1924. L’articolo inizia con la pubblicazione della lettera dei cinque amici di Pirandello; segue la risposta di Tilgher anch’essa sotto forma di lettera datata 26 settembre; e, a chiudere, un commento anonimo, ovviamente di Amendola). 3 «Io non sono un uomo politico – dice Pirandello – e quindi esprimo un’impressione piuttosto che un giudizio. Attribuisco un grande valore psicologico al trionfo del Fascismo e, perciò stesso, al suo metodo d’azione» (AA.VV., Interviste a Pirandello. “Parole da dire, uomo, agli altri uomini”, a c. di I P, pref. di N B, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002, pp. 186-90). 4 Ricordiamo il giudizio su Mussolini espresso a Orio Vergani nell’intervista apparsa su “L’Idea Nazionale” del 23 ottobre 1923 («Io ho sempre avuta per lui grandissima ammirazione [...] e credo di essere come pochi in grado di comprendere la bellezza di questa continua creazione di realtà che Mussolini compie: una realtà italiana e fascista che non subisce la realtà altrui»); il corsivo La vita creata («Non può non essere benedetto Mussolini»), apparso su “L’Idea Nazionale” del 28 ottobre 1923; altro giudizio sul Duce nell’intervista a Giuseppe Villaroel sul “Giornale d’Italia” dell’8 maggio 1924 («Ho grandissima stima di lui; è datore di realtà perché ha potenza di sentimento e mirabile lucidità d’intelligenza»). Cfr. G G, Luigi Pirandello, Torino, UTET, 1963, pp. 418-23. M, Il fascista Pirandello contro l’arte fascista 189 Quanto poi fosse strumentale questa accusa avrebbe potuto testimoniarlo Corrado Alvaro, se non fosse stato anche lui uomo di parte e redattore d’un giornale di parte. Così che ha ragione Massimo Bontempelli a chiamare «pastoncello» o «aggrovigliatuccia istoria»5 la versione sfuggente e ambigua data da Alvaro nei suoi interventi sul “Mondo” sulla rinunzia del laticlavio da parte di Pirandello. Alvaro sapeva bene com’erano andate le cose e che non c’era stato alcun mercato tra la tessera fascista e il laticlavio. Glielo aveva detto in tutta confidenza Bontempelli assai prima che si scatenasse il putiferio. Nondimeno sacrificherà la verità sull’altare della polemica politica. Del resto come poteva? Non era stato lui in un suo Sfottò6 sul giornale satirico “Il Becco Giallo” del 23 marzo 1924 a insinuare per primo che se Pirandello era andato a colloquio da Mussolini c’era da aspettarsi quanto prima un Pirandello senatore? Una cosa però Alvaro si lascia involontariamente sfuggire. Una illuminante ammissione. Che lui e Tilgher sapevano che «Pirandello non aveva mai nascosto la sua simpatia per il fascismo». Ecco la verità. Salvo poi a riprendersi e aggiungere che: «tuttavia l’atto da lui compiuto, alla vigilia della infornata senatoriale ci stupiva per la sua inopportunità»7. Sarebbe tutta qui, nella «inopportunità», l’infamia di Pirandello? Del resto che ci si può aspettare da Alvaro, da uno che si rivelerà per qualche tempo il più acceso avversario di Pirandello? Suoi sono gli affondi più irriverenti; sua la geniale deformazione di Pirandello in “P. Randello”, che troverà felice e compiuta espressione nella famosissima vignetta del “Becco Giallo” del 12 ottobre 1924, intitolata Luigi P. Randello Fascista, dove accanto a un grande falò delle opere dello scrittore siciliano si nota Pirandello in camicia nera e fez, il copricapo ufficiale degli squadristi fascisti, mentre Mussolini gli porge un manganello, dicendogli: «Adesso, giovanotto, smetti di scrivere fesserie e fatti onore!»8. Molti non capirono allora; altri stentano ancora oggi e, chissà perché, si rifiutano di accettare un Pirandello fascista, sul quale grava la partigianeria di un Leonardo Sciascia, che in nome del proprio antifascismo condanna la scelta politica del Pirandello come un gesto «non certo ispirato da senso civile e da profonda moralità»9. Il fascismo, dicono altri ancora, sulla C A, Scritti su Pirandello, a c. di A G, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013, pp. 72-3. 6 Ibidem, p. 79. «– Perché Pirandello è andato da Mussolini? – Perché così avremo tra poco, finalmente, P. Randello senatore». 7 Ibidem, p. 68. 8 Ora in AA.VV., Il becco giallo, a c. di O  B e L T, Milano, Feltrinelli, 1972, p. 130. 9 L S, Pirandello e la Sicilia, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1968, p. 83. 5 190 Otto/Novecento, 1/2017 scia dello scrittore di Racalmuto10, appartiene alla biografia di Pirandello, non alla sua opera che, al contrario, depone contro il fascismo11. Insom«Che la cosiddetta ideologia pirandelliana non avesse niente a che fare con la cosiddetta ideologia fascista, Pirandello stesso certamente riconobbe negli anni che seguirono. Ma fu un uomo troppo debole per rischiare qualcosa contro il regime» (S, Pirandello e il pirandellismo, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1953, p. 47). Negli ultimi anni tuttavia Sciascia ammetterà come in quel volumetto del ’53 «vi siano molte ingenuità e qualche rozzezza» (S, Nero su nero, Torino, Einaudi, 1979, p. 240). 11 La novella che comproverebbe gli inconfessati rimorsi e la rivolta di Pirandello contro il fascismo sarebbe per gran parte della critica C’è qualcuno che ride, apparsa sul “Corriere della Sera” il 7 novembre 1934. «C’è qualcuno che ride» è la voce che serpeggia in mezzo a una riunione molto seria, quasi un’adunata che ha l’apparenza di una festa da ballo e anche l’aria di un intrattenimento cittadino in tempo di carnevale. Una riunione molto strana, con orchestrina e ballerini che sembrano cadaveri dissotterrati, giocattoli vivi, al comando di fotografi chiamati per l’occasione. Tutto finto, tutto artificiale, tranne i fiori, veri, sulla squallida tavola dei rinfreschi. Nessuno degli invitati sa la ragione dell’invito. Nessuno osa chiederne il perché, per paura di scoprire di essere soltanto lui a non saperlo. Forse la riunione è stata indetta per prendere «una grave decisione». Ma quale? Nessuno lo sa. Alcuni cercano con gli occhi quei due o tre che si presume siano in grado di saperlo, ma non li trovano: saranno riuniti a consulto in qualche sala segreta. Nella costernazione generale per questo mistero, l’inquietudine fa presto a propagarsi fino a diventare un incubo insopportabile, perché certe risate «sono veramente scandalose in mezzo a tanta serietà». Paure, apprensioni, sospetti, diffidenze traboccano «dalle coscienze che covano in segreto il fuoco d’inconfessati rimorsi». Chi osa ridere apertamente? Perché ride e di chi ride? Pare che non sia uno solo, ma una famiglia, che viene dalla campagna, composta dal padre e due figli. Nessuno li conosce, «saranno capitati a questa finta festa da ballo per combinazione». L’ossessiva serietà impedisce di pensare che magari quei tre «possano avere in sé invece una innocente e magari sciocca ragione di ridere così di nulla». Ma i tre maggiorenti, quelli riuniti a consulto, decidono di dare una solenne e memorabile punizione ai tre malcapitati. E così, avanti a una folla che sembra una nera marea, coi cappucci del domino abbassati e con le mani burlescamente ammanettate da un tovagliolo, i tre maggiorenti danno il via a una oceanica risata sardonica nei confronti dei tre che avevano osato ridere. Questo in breve il soggetto della novella, che molti, a cominciare da Sciascia, indicano come una violenta satira del fascismo. Una lettura questa, immaginiamo, indotta e costruita su una parola contenuta nel testo: «adunata». In realtà non cogliamo alcun riscontro che faccia pensare ad una satira contro un’adunata fascista. Quale satira? Se quel «qualcuno che ride» non si sa «perché ride e di chi ride»? Addirittura il narratore non esclude che quei tre che ridono possano avere una innocente e «magari sciocca ragione di ridere così di nulla». Prova ne sia che l’ignaro genitore, terrorizzato dalla folla che avanza minacciosa verso di lui, se ne scappa «senza poter nulla capire», cioè senza avere l’idea di cosa abbia mai fatto di male. Dov’è allora l’intento satirico? Crediamo piuttosto si tratti di una novella allegorica, surreale (non a caso Sciascia ha fatto il nome di Kafka) nella quale si rappresenta una società ipocrita costruita su finti modelli di credere e sentire («Bisogna che in tanta incertezza e sospensione d’animi si creda e si senta che la riunione di questa sera è molto seria») che generano sospetto, diffidenza, inquietudine. Ciò che è innocente, spontaneo, come una risata, produce scandalo perché minaccia di far crollare l’impianto sociale costruito appunto sulla serietà, sulla maschera civile. Morale? Al di là della innocenza e della spontaneità c’è 10 M, Il fascista Pirandello contro l’arte fascista 191 ma un Pirandello uno e due. In realtà l’adesione di Pirandello al Partito fascista fu esplicita e disinteressata12. Scaturì dalla sincera convinzione che Mussolini fosse «un formidabile creatore di realtà contingenti, un superbo animatore, un artefice di vita». Il suo fu un atto di coraggio e di fede, quando tutti vigliaccamente si defilavano. E al cronista, che gli chiede il perché della richiesta della tessera, Pirandello risponde con una sola parola: «Matteotti». Così scrisse Telesio Interlandi13 sul quotidiano “L’Impero” del 23 settembre del 1924. Stesse ragioni del suo atto di adesione al fascismo riferirà Pirandello il 21 ottobre sempre di quell’anno a un redattore del “Piccolo” di Trieste: «Vi dirò che è stato compiuto allo scopo di aiutare il fascismo nella sua opera di rinnovamento e di ricostruzione»14. Certo, non mancheranno momenti d’attrito, anche di critica e di incomprensione con Mussolini, dall’una e dall’altra parte, e anche con i gerarchi fascisti, tra i quali Pirandello contava molti nemici. Memorabile fu nel 1927 lo scontro assai vivace di Pirandello con il segretario del Partito nazionale che lo aveva convocato per chiedergli conto di alcune sue dichiarazioni rese in Brasile a un giornale stampato da alcuni italiani fuorusciti. Pirandello reagì in modo inatteso: cavò di tasca la tessera del partito, la lacerò e la buttò sul tavolo sotto gli occhi del gerarca; si strappò il distintivo dall’occhiello e lo scaraventò in terra e uscì sdegnato. Dovettero corrergli dietro, calmarlo, chiedergli scusa15. L’episodio, molto significativo, smentisce da solo ogni ipotesi di debolezza o di acquiescenza di Pirandello nei confronti del regime fascista. Ed è ridicola perciò la protervia di certa critica che tende a sminuire tra inutili distinguo e forzature che ondeggiano tra un Pirandello impolitico16 e un Pirandello ora ingenuo, ora opportunista, la portata della scelta politica e il carattere antidemocratico del drammaturgo siciliano. solo la presenza fisica della morte e la pazzia. Non a caso il povero genitore, scampato alla folla minacciosa degli invitati, trarrà la convinzione «che tutti gli abitanti della città siano improvvisamente impazziti». 12 «Pirandello si sentì attratto al fascismo, senza la provocazione di calcoli e di personali tornaconti» (G, cit., p. 441). 13 T I, Perché Pirandello è fascista, in AA. VV., Interviste a Pirandello, cit., pp. 265-7. 14 G, cit., p. 229. 15 A, Scritti su Pirandello, cit., p. 229. 16 Di Pirandello «impolitico»; di Pirandello «candido personaggio» nonché «vittima spesso piuttosto della propria dabbenaggine»; di rapporti con il fascismo «deterioratisi rapidamente» e di «esilio» quadriennale di Pirandello in Germania e in Francia dal ’28 a tutto il ’32 si apprende in E P, Pirandello impolitico, Roma, Salerno Editrice, 2000. 192 Otto/Novecento, 1/2017 Sicché a quanti sostengono che Pirandello dal 1926 in poi, deluso, cominciò a prendere le distanze dal regime fascista, segnaliamo un eccezionale documento pirandelliano, tuttora sconosciuto, che offre una inconfutabile conferma non solo di quella «grinta squadrista»17, come la definisce Gaspare Giudice, insita nel carattere dell’antidemocratico Pirandello, ma anche dell’immutata fede al regime fino agli ultimi anni della sua vita. Si tratta di un enfatico articolo dell’accademico d’Italia contenuto nel numero speciale di “Milizia Fascista” del 1° febbraio 1933 in occasione del primo decennale della Milizia. Il titolo è Vivono in luce, una sorta di apologia delle camicie nere e del suo creatore, Mussolini, definito «spirito armonioso», articolo che pubblichiamo integralmente, per la prima volta, in appendice. Chissà come avrebbe giudicato Sciascia questo scritto pirandelliano. Lo avrebbe ascritto alla biografia o all’opera di Pirandello? La domanda provocatoria vuol puntare i riflettori sull’atteggiamento “pirandelliano” della critica nel sostenere da cinquant’anni a questa parte un Pirandello dalla doppia identità, quella d’artista da una parte e quella di uomo dall’altra, ognuna per proprio conto. «È difficile, anzi impossibile, conciliare gli atti di Pirandello col significato della sua opera», conferma appunto Nino Borsellino18. Il problema per la verità era stato avvertito dal biografo-principe, Gaspare Giudice, ma in una prospettiva diversa, in direzione cioè di una saldatura e non di contrapposizione tra biografia e opera. «Occorrerà, in un secondo tempo, risolvere il problema dell’apparente dissociazione fra le singole parti della vita e dell’opera», scriveva nel 1963 Gaspare Giudice19. Purtroppo nella foga di alleggerire al Pirandello la patente di fascista, la critica ha strabuzzato gli occhi nella ricerca affannosa nell’opera dello scrittore di indizi, prove, allusioni, episodi che deponessero per il contrario. Lavoro che non ha offerto risposte degne di nota. Né poteva offrirle. Per la semplice ragione che Pirandello fu uno scrittore che aderì al fascismo ma non fu uno scrittore fascista. Anzi. Fu contro, e apertamente, a un’«arte fascista». Nessuna contraddizione dunque tra la vita e l’opera di Pirandello. Politica e arte sono due cose per lui estremamente diverse. Basta frugare tra gli scritti del commediografo agrigentino per accertarsene; scritti che avrebbero dovuto far drizzare le orecchie. E invece nessuno ha avuto occhi per vedere. Uno di questi scritti risale al 6 novembre del 1924, due mesi dopo l’adesione di Pirandello al fascismo. È uno scritto breve, piccolo piccolo, ma ha un immenso valore. Si intitola Le intenzioni in arte secondo Pirandello e fu pubblicato sulla “Gazzetta del Popolo”. Si tratta di una intervista rilaG, cit., p. 431. B, Il dio di Pirandello, Palermo, Sellerio, 2004, p. 154. 19 G, cit., p. 417. 17 18 M, Il fascista Pirandello contro l’arte fascista 193 sciata a un giornalista viennese, nella quale Pirandello dice che in materia d’arte non riconosce né leggi né intenzioni. E lo spiega così: «Ogni intenzione, per quanto nobile e grande, racchiude in sé qualcosa di antiartistico». Ammette che un artista possa essere ispirato a fare un’opera d’arte da sentimenti patriottici, da indignazione per certi abusi sociali; però il motivo non si potrà mai tradurre in arte se durante il processo di creazione esso non sparirà completamente. Il motivo può formare oggetto di articoli di giornali, di scritti polemici, giammai dell’arte20. Sulle intenzioni in arte tornerà poi in un articolo sul primo numero di “Quadrivio” nel 1933, laddove sosterrà che ogni intenzione è contro la schietta spontaneità dell’arte. Non si può essere originali – scrive – soltanto per fare colpo, così come fanno i futuristi, che al massimo possono dirsi stravaganti ma non originali: «Originali si è o non si è». Né si può e si deve scrivere con l’orecchio teso alle voci di fuori per apparir moderno, ma ascoltare la voce «solamente quella, se c’è, che parla dentro, nativa, l’unica che possa essere veramente moderna, perché nuova»21. Idee queste sull’arte che si pongono in aperto contrasto con le direttive di regime e con quanto lo stesso Mussolini ebbe a dichiarare nel suo discorso all’Accademia di Perugia, il 5 ottobre del 1926, nel corso del quale propugnò «un’arte nuova, un’arte dei nostri tempi, un’arte fascista». Idee che Pirandello ribadirà con forza nel suo discorso di apertura al Convegno «Volta» sul teatro drammatico, l’8 ottobre del 1934, di fronte a un pubblico eletto e a personalità internazionali dell’arte e dello spettacolo. Nel suo intervento escluderà la possibilità di “un’arte dei nostri tempi” come voleva Mussolini. È vero – dice Pirandello – che la vita o si vive o si scrive e che, quando la si vive, difficilmente nello stesso tempo, cioè in mezzo all’azione e alla passione, ci si può mettere in quelle condizioni che sono proprie dell’arte: partirsi dal momento, superarlo per contemplarlo e dargli senso universale e valore eterno. Quindi «invalorar» la vita del proprio tempo è estremamente difficile. Certo – aggiunge Pirandello –, tutto può essere materia d’arte e l’artista non può non riflettere nella sua opera la vita del suo tempo, ma farlo di proposito, anche per fini nobilissimi ma estranei all’arte, «sarà far politica e non arte». L’arte infatti è «il regno del sentimento disinteressato»22. Questi precisi riferimenti, che si rifanno peraltro a convinzioni artistiche già presenti nel volumetto Arte e Scienza del 1908, laddove si dice che AA.VV., Interviste a Pirandello, cit., p. 287. L P [= P], Si dovrebbe intendere, “Quadrivio”, 6 agosto 1933. 22 P, Saggi e interventi, a c. di F T, Milano, Mondadori, 2006, pp. 1436-43. 20 21 194 Otto/Novecento, 1/2017 «l’arte ha bisogno imprescindibile di libertà»23, potrebbero bastare. Ma a spazzare via definitivamente e in maniera esplicita ogni dubbio sulla presa di posizione di Pirandello contro “l’arte fascista” interviene una ignorata dichiarazione dello scrittore che abbiamo scovato nel numero di marzo 1927 della rivista palermitana “L’Arte Fascista”. Si tratta d’un pezzo di intervista che il commediografo agrigentino rilasciò al giornalista Umberto Gentili dell’“Impero” e riprodotta dalla rivista siciliana nell’ambito di una inchiesta dal titolo Idee e opinioni sull’arte fascista raccolte da vari giornali. Ecco l’opinione di Pirandello, accanto a quelle di Arnaldo Mussolini, Corrado Pavolini e Franco Ciarlantini: L’arte non può avere un fine che in se stessa, dargliene un altro significa ucciderla, distruggerla. Non si può, per intenzione, fare dell’arte fascista; facendolo, si fa della polemica e nient’altro. È ovvio però che un fascista esprimerà «un’arte fascista», ma non intenzionalmente, bensì come facoltà espressiva, spontanea24. Nessuna inconciliabilità dunque tra la biografia e l’opera di Pirandello. Non esistono due Pirandello. Ed è lui stesso – come abbiamo visto – a mettere in guardia che nessuna traccia del suo fascismo si troverà nella sua produzione artistica, se non in articoli di giornali o in scritti polemici. Si chiude così una querelle durata più di mezzo secolo, rovesciando il ritratto che ha consegnato Sciascia di un Pirandello debole e incapace di reagire al regime fascista. Il tempo, si sa, è galantuomo. Pirandello s’è ripreso l’altra sua metà. P, Arte e Scienza, intr. di S C, Milano, Mondadori, 1994, p. 110. AA.VV., Idee e opinioni sull’arte fascista, “L’Arte Fascista”, marzo 1927, p. 109. In calce all’opinione di Pirandello si legge: «Da un’intervista concessa a Umberto Gentili de “L’Impero”». L’intervista manca a Ivan Pupo. E non è la sola. Ne segnaliamo un’altra, dal titolo Interviste brevi sull’eloquenza, da noi ritrovata sulla rivista di Titta Madia “Gli Oratori del Giorno”, fasc. 7, novembre 1927; poi da noi ripubblicata col titolo Pirandello: «Io oratore mai!» sul quotidiano “La Sicilia”, 18 ottobre 2012. 23 24 195 M, Il fascista Pirandello contro l’arte fascista APPENDICE LUIGI PIRANDELLO, Vivono in luce, “Milizia Fascista”, 1° Decennale della Milizia, n. speciale, febbraio 1933 Bisogna che passi il tempo perché un creatore possa essere sicuro della vita della sua opera. Anche se egli, nell’atto di volontà creativa con cui l’ha formata, ne abbia sentito pienamente la necessità (quasi un presentimento che il mondo, senza quella opera, in quel momento non sarebbe stato perfetto), e col massimo scrupolo abbia adempiuto a dar forma a tutte le esigenze vitali di essa, tuttavia solo il tempo e il giudizio degli altri uomini potranno provargli che quella sua sintesi di elementi spirituali possiede un vero nucleo di vita, che li tiene assieme saldamente, impedendone la disgregazione, e comunica loro la sua luce, il suo calore, la sua potenza di movimento, serbandoli vivi. Lo sa ogni artista che sia arrivato a esprimere per sempre un’immagine, fra le tante caduche su cui s’esercitò invano il suo spirito. Oggi, a dieci anni di distanza dalla fondazione, il Duce può avere questa soddisfazione di creatore della sua M.V.S.N. La Milizia è necessaria; è bella: è perfetta: è viva. Basta pensarla «da dentro» il Regime per sentirla necessaria: necessaria al Regime deve apparire egualmente a chi la consideri con animo ostile al Fascismo. Prova e riprova con esito positivo. Ma basta parlare coi militi per accorgersi che la loro vita, per umile e dura che sia, è per essi piena di fascino. Vivono in luce. E non dico già dei capi, ma dei semplici gregarii, tutti. Evidentemente l’organismo, di cui sono elementi, li tiene assieme con una forza ideale, capace d’irradiare nei loro cuori il sentimento che la funzione esercitata possiede altissime e piene giustificazioni spirituali ed è radicata nella realtà. Perciò per decine e decine di migliaia di giovani la Milizia è bella: è «vita». Questa è la prova più vera. Se poi pensiamo che la M.V.S.N. non è stata finora altro che una parte del nostro popolo attrezzata per poter giovare a tutto il nostro popolo, e che potrebbe non esser mai altro che questo, la vita stessa ci dà il modo di giudicarla un’opera perfetta, perché la vediamo in atto, viva e operante, sempre, in ogni occasione, anche se non si producono, anche se non si debbano mai produrre, gli eventi per cui è stata sostanzialmente creata. E questa potrebbe essere davvero la riprova definitiva, come accade per l’opera d’arte perfetta, la cui vita nel tempo sembrava affidata oggi a certi e domani a certi altri suoi aspetti; poiché il creatore, pure avendone di mira uno solo, preciso, sostanziale, non poté nel suo spirito armonioso trascurarne nessuno. L P Accademico d’Italia * 196 Otto/Novecento, 1/2017 R / ABSTRACT. Per più di mezzo secolo la critica pirandelliana ha sostenuto l’inconciliabilità tra la biografia e l’opera di Pirandello. Quasi che lo scrittore avesse una doppia identità: in pubblico fascista dichiarato e ben altro nel segreto della creazione artistica. L’articolo demolisce questa presunta contraddizione sulla base delle convinzioni artistiche dello stesso commediografo. Politica e arte furono per lui due cose ben distinte. Tanto da dichiararsi contrario a un’arte fascista, in aperto dissenso con Mussolini. Questa clamorosa difesa della libertà dell’arte, contenuta in una ignorata intervista del 1927, restituisce dignità al ritratto consegnato da Sciascia di un Pirandello debole e opportunista. In appendice all’articolo, uno scritto inedito di Pirandello sulla milizia fascista. / Pirandello’s criticism claimed the irreconcilability between the author’s life and his works, for more than half a century. It seems almost that he had a double life: he was an open fascist in public, while a complete different person emerges from his writing. The article destroys this alleged contradiction on the basis of Pirandello’s artistic beliefs. Despite Mussolini’s ideas, he was against a Fascist art. He, indeed, believed that art and politics were two different things. This clamours defence of art’s freedom, which is contained in an ignored interview in 1927, restores dignity to Sciascia’s portrait of Pirandello, who depicted him as a weak and opportunist man. In appendix to the article, there is an unpublished Pirandello’s work on the Fascist Militia. P- / KEY-WORDS. Fascismo, Pirandello, Alvaro, Sciascia, Mussolini / Fascism, Pirandello, Alvaro, Sciascia, Mussolini.