P M
Il fascista Pirandello contro l’arte fascista (con inediti di Pirandello)
Un gesto teatrale, il suo. Non per niente si chiama Luigi Pirandello. Lui
entra in scena proprio nel momento giusto, quando tutti pensano invece
che quello fosse il momento sbagliato. È il 17 settembre del 1924. Il cadavere di Matteotti incombe sul governo; il Paese è inorridito. Mussolini
è isolato; il fascismo perde pezzi e sembra irrimediabilmente sull’orlo della
crisi, quando il cinquantasettenne scrittore siciliano irrompe nella mischia,
platealmente, con un telegramma al Duce, pubblicato due giorni dopo sul
quotidiano romano “L’Impero”:
Eccellenza, sento che questo è il momento più proprio di dichiarare una fede
nutrita e servita in silenzio. Se l’Eccellenza Vostra mi stima degno di entrare nel
Partito Nazionale Fascista, pregierò come massimo onore tenervi il posto del più
umile e obbediente gregario.
Col peso della sua notorietà internazionale ecco che Pirandello offriva un aiuto insperato al regime, iscrivendosi al Partito fascista. L’effetto è
incendiario. Giovanni Amendola reagisce in maniera convulsa e in un suo
articolo sul “Mondo”, dal titolo Un uomo volgare, lo apostrofa «accattone»1.
Quella pubblica prostrazione, per il deputato dell’opposizione, è il prezzo da
pagare in cambio di una nomina a senatore, fallita ieri ma attesa per domani.
Non era vero. Pirandello al contrario aveva subordinato l’adesione al
Partito fascista alla condizione che il suo nome fosse escluso dalla lista dei
senatori, proprio per evitare che il suo gesto potesse apparire interessato2.
[G A], Un uomo volgare, “Il Mondo”, 25 settembre 1924.
La natura disinteressata dell’iscrizione di Pirandello al Partito fascista sarà rivendicata da un gruppo di «liberi spiriti d’artisti e di studiosi» (Antonio Beltramelli, Massimo
Bontempelli, Alfredo Casella, Silvio d’Amico, Cipriano Efisio Oppo) che in solidarietà allo
1
2
188
Otto/Novecento, 1/2017
Sbagliava dunque Amendola ad accusarlo di «farsi apostolo mussulmano della fede fascista» per puro mercimonio, giacché in Pirandello la fede
fascista c’era già. E da tempo. Sin dall’indomani della marcia su Roma,
come dimostra un’intervista di Pirandello a Benedetto Migliore del 16-17
dicembre 1922 sul “Giornale di Sicilia” recuperata e pubblicata da Ivan
Pupo3. E non è la sola esternazione in favore del fascismo e di Mussolini.
Ben altre ne farà ancora Pirandello e su diversi giornali, prima di iscriversi
al Partito fascista4. Motivo questo sufficiente per far traballare l’accusa di
opportunismo lanciata dalle opposizioni e in particolare dal quotidiano
politico di Giovanni Amendola.
scrittore siciliano si muovono per raccogliere quante più adesioni possibili a una lettera di
protesta che vorrebbero pubblicare «entro un paio di giorni» e nella quale si legge tra l’altro:
«L’adesione che Luigi Pirandello ha dato in questi giorni al Fascismo, seguendo convinzioni,
sempre da lui manifestate, e notoriamente rifiutando ‘a priori’ qualunque onore potesse apparire
come ricompensa al suo libero atto, ha dato occasione ad alcuni fogli politici di vilipendere
la pura figura morale dell’uomo insigne, l’opera del quale sta raccogliendo intorno all’arte
italiana l’interesse di tutto il mondo artistico». La lettera, datata 25 settembre 1924, verrà
inviata ad Adriano Tilgher presso la redazione del quotidiano “Il Mondo”, con invito a
sottoscriverla. Tilgher pubblicherà la lettera sul quotidiano “Il Mondo” il 28 settembre,
spiegando il suo rifiuto ad aderirvi con queste parole: «Mentre qualunque iniziativa diretta
ad onorare Luigi Pirandello artista mi ha, e mi avrà sempre, toto corde partecipe, sono
obbligato ad astenermi dall’aderire alla vostra iniziativa, che, nella più favorevole delle
ipotesi, non distingue abbastanza l’artista Pirandello da Pirandello uomo di parte, e di
una parte che non è la mia». Non è tanto l’adesione al fascismo – afferma Tilgher – che ha
attirato a Luigi Pirandello gli attacchi deplorati dai firmatari della lettera di protesta, quanto
«l’attacco violento che egli ha sferrato contro l’Opposizione e, specificatamente, contro il
capo dell’opposizione costituzionale, alle idee del quale il Mondo s’ispira» (A T, Per una protesta in favore di Pirandello, “Il Mondo”, 28 settembre 1924. L’articolo
inizia con la pubblicazione della lettera dei cinque amici di Pirandello; segue la risposta di
Tilgher anch’essa sotto forma di lettera datata 26 settembre; e, a chiudere, un commento
anonimo, ovviamente di Amendola).
3
«Io non sono un uomo politico – dice Pirandello – e quindi esprimo un’impressione
piuttosto che un giudizio. Attribuisco un grande valore psicologico al trionfo del Fascismo
e, perciò stesso, al suo metodo d’azione» (AA.VV., Interviste a Pirandello. “Parole da dire,
uomo, agli altri uomini”, a c. di I P, pref. di N B, Soveria Mannelli,
Rubbettino, 2002, pp. 186-90).
4
Ricordiamo il giudizio su Mussolini espresso a Orio Vergani nell’intervista apparsa
su “L’Idea Nazionale” del 23 ottobre 1923 («Io ho sempre avuta per lui grandissima ammirazione [...] e credo di essere come pochi in grado di comprendere la bellezza di questa
continua creazione di realtà che Mussolini compie: una realtà italiana e fascista che non subisce la realtà altrui»); il corsivo La vita creata («Non può non essere benedetto Mussolini»),
apparso su “L’Idea Nazionale” del 28 ottobre 1923; altro giudizio sul Duce nell’intervista
a Giuseppe Villaroel sul “Giornale d’Italia” dell’8 maggio 1924 («Ho grandissima stima di
lui; è datore di realtà perché ha potenza di sentimento e mirabile lucidità d’intelligenza»).
Cfr. G G, Luigi Pirandello, Torino, UTET, 1963, pp. 418-23.
M, Il fascista Pirandello contro l’arte fascista
189
Quanto poi fosse strumentale questa accusa avrebbe potuto testimoniarlo Corrado Alvaro, se non fosse stato anche lui uomo di parte e redattore d’un giornale di parte. Così che ha ragione Massimo Bontempelli a
chiamare «pastoncello» o «aggrovigliatuccia istoria»5 la versione sfuggente e
ambigua data da Alvaro nei suoi interventi sul “Mondo” sulla rinunzia del
laticlavio da parte di Pirandello. Alvaro sapeva bene com’erano andate le
cose e che non c’era stato alcun mercato tra la tessera fascista e il laticlavio.
Glielo aveva detto in tutta confidenza Bontempelli assai prima che si scatenasse il putiferio. Nondimeno sacrificherà la verità sull’altare della polemica politica. Del resto come poteva? Non era stato lui in un suo Sfottò6 sul
giornale satirico “Il Becco Giallo” del 23 marzo 1924 a insinuare per primo
che se Pirandello era andato a colloquio da Mussolini c’era da aspettarsi
quanto prima un Pirandello senatore? Una cosa però Alvaro si lascia involontariamente sfuggire. Una illuminante ammissione. Che lui e Tilgher
sapevano che «Pirandello non aveva mai nascosto la sua simpatia per il
fascismo». Ecco la verità. Salvo poi a riprendersi e aggiungere che: «tuttavia
l’atto da lui compiuto, alla vigilia della infornata senatoriale ci stupiva per
la sua inopportunità»7. Sarebbe tutta qui, nella «inopportunità», l’infamia
di Pirandello? Del resto che ci si può aspettare da Alvaro, da uno che si
rivelerà per qualche tempo il più acceso avversario di Pirandello? Suoi sono
gli affondi più irriverenti; sua la geniale deformazione di Pirandello in “P.
Randello”, che troverà felice e compiuta espressione nella famosissima vignetta del “Becco Giallo” del 12 ottobre 1924, intitolata Luigi P. Randello
Fascista, dove accanto a un grande falò delle opere dello scrittore siciliano si
nota Pirandello in camicia nera e fez, il copricapo ufficiale degli squadristi
fascisti, mentre Mussolini gli porge un manganello, dicendogli: «Adesso,
giovanotto, smetti di scrivere fesserie e fatti onore!»8.
Molti non capirono allora; altri stentano ancora oggi e, chissà perché,
si rifiutano di accettare un Pirandello fascista, sul quale grava la partigianeria di un Leonardo Sciascia, che in nome del proprio antifascismo condanna la scelta politica del Pirandello come un gesto «non certo ispirato da
senso civile e da profonda moralità»9. Il fascismo, dicono altri ancora, sulla
C A, Scritti su Pirandello, a c. di A G, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013, pp. 72-3.
6
Ibidem, p. 79. «– Perché Pirandello è andato da Mussolini? – Perché così avremo
tra poco, finalmente, P. Randello senatore».
7
Ibidem, p. 68.
8
Ora in AA.VV., Il becco giallo, a c. di O B e L T,
Milano, Feltrinelli, 1972, p. 130.
9
L S, Pirandello e la Sicilia, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia
Editore, 1968, p. 83.
5
190
Otto/Novecento, 1/2017
scia dello scrittore di Racalmuto10, appartiene alla biografia di Pirandello,
non alla sua opera che, al contrario, depone contro il fascismo11. Insom«Che la cosiddetta ideologia pirandelliana non avesse niente a che fare con la cosiddetta ideologia fascista, Pirandello stesso certamente riconobbe negli anni che seguirono.
Ma fu un uomo troppo debole per rischiare qualcosa contro il regime» (S, Pirandello
e il pirandellismo, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1953, p. 47). Negli ultimi
anni tuttavia Sciascia ammetterà come in quel volumetto del ’53 «vi siano molte ingenuità
e qualche rozzezza» (S, Nero su nero, Torino, Einaudi, 1979, p. 240).
11
La novella che comproverebbe gli inconfessati rimorsi e la rivolta di Pirandello
contro il fascismo sarebbe per gran parte della critica C’è qualcuno che ride, apparsa sul
“Corriere della Sera” il 7 novembre 1934. «C’è qualcuno che ride» è la voce che serpeggia
in mezzo a una riunione molto seria, quasi un’adunata che ha l’apparenza di una festa da
ballo e anche l’aria di un intrattenimento cittadino in tempo di carnevale. Una riunione
molto strana, con orchestrina e ballerini che sembrano cadaveri dissotterrati, giocattoli vivi,
al comando di fotografi chiamati per l’occasione. Tutto finto, tutto artificiale, tranne i fiori,
veri, sulla squallida tavola dei rinfreschi. Nessuno degli invitati sa la ragione dell’invito.
Nessuno osa chiederne il perché, per paura di scoprire di essere soltanto lui a non saperlo.
Forse la riunione è stata indetta per prendere «una grave decisione». Ma quale? Nessuno
lo sa. Alcuni cercano con gli occhi quei due o tre che si presume siano in grado di saperlo,
ma non li trovano: saranno riuniti a consulto in qualche sala segreta. Nella costernazione
generale per questo mistero, l’inquietudine fa presto a propagarsi fino a diventare un incubo
insopportabile, perché certe risate «sono veramente scandalose in mezzo a tanta serietà».
Paure, apprensioni, sospetti, diffidenze traboccano «dalle coscienze che covano in segreto
il fuoco d’inconfessati rimorsi». Chi osa ridere apertamente? Perché ride e di chi ride? Pare
che non sia uno solo, ma una famiglia, che viene dalla campagna, composta dal padre e due
figli. Nessuno li conosce, «saranno capitati a questa finta festa da ballo per combinazione».
L’ossessiva serietà impedisce di pensare che magari quei tre «possano avere in sé invece una
innocente e magari sciocca ragione di ridere così di nulla». Ma i tre maggiorenti, quelli
riuniti a consulto, decidono di dare una solenne e memorabile punizione ai tre malcapitati.
E così, avanti a una folla che sembra una nera marea, coi cappucci del domino abbassati e
con le mani burlescamente ammanettate da un tovagliolo, i tre maggiorenti danno il via a
una oceanica risata sardonica nei confronti dei tre che avevano osato ridere. Questo in breve
il soggetto della novella, che molti, a cominciare da Sciascia, indicano come una violenta
satira del fascismo. Una lettura questa, immaginiamo, indotta e costruita su una parola
contenuta nel testo: «adunata». In realtà non cogliamo alcun riscontro che faccia pensare
ad una satira contro un’adunata fascista. Quale satira? Se quel «qualcuno che ride» non si
sa «perché ride e di chi ride»? Addirittura il narratore non esclude che quei tre che ridono
possano avere una innocente e «magari sciocca ragione di ridere così di nulla». Prova ne
sia che l’ignaro genitore, terrorizzato dalla folla che avanza minacciosa verso di lui, se ne
scappa «senza poter nulla capire», cioè senza avere l’idea di cosa abbia mai fatto di male.
Dov’è allora l’intento satirico? Crediamo piuttosto si tratti di una novella allegorica, surreale (non a caso Sciascia ha fatto il nome di Kafka) nella quale si rappresenta una società
ipocrita costruita su finti modelli di credere e sentire («Bisogna che in tanta incertezza e
sospensione d’animi si creda e si senta che la riunione di questa sera è molto seria») che
generano sospetto, diffidenza, inquietudine. Ciò che è innocente, spontaneo, come una
risata, produce scandalo perché minaccia di far crollare l’impianto sociale costruito appunto
sulla serietà, sulla maschera civile. Morale? Al di là della innocenza e della spontaneità c’è
10
M, Il fascista Pirandello contro l’arte fascista
191
ma un Pirandello uno e due. In realtà l’adesione di Pirandello al Partito
fascista fu esplicita e disinteressata12. Scaturì dalla sincera convinzione che
Mussolini fosse «un formidabile creatore di realtà contingenti, un superbo animatore, un artefice di vita». Il suo fu un atto di coraggio e di fede,
quando tutti vigliaccamente si defilavano. E al cronista, che gli chiede il
perché della richiesta della tessera, Pirandello risponde con una sola parola:
«Matteotti». Così scrisse Telesio Interlandi13 sul quotidiano “L’Impero” del
23 settembre del 1924. Stesse ragioni del suo atto di adesione al fascismo
riferirà Pirandello il 21 ottobre sempre di quell’anno a un redattore del
“Piccolo” di Trieste: «Vi dirò che è stato compiuto allo scopo di aiutare il
fascismo nella sua opera di rinnovamento e di ricostruzione»14.
Certo, non mancheranno momenti d’attrito, anche di critica e di
incomprensione con Mussolini, dall’una e dall’altra parte, e anche con i
gerarchi fascisti, tra i quali Pirandello contava molti nemici. Memorabile fu nel 1927 lo scontro assai vivace di Pirandello con il segretario del
Partito nazionale che lo aveva convocato per chiedergli conto di alcune
sue dichiarazioni rese in Brasile a un giornale stampato da alcuni italiani
fuorusciti.
Pirandello reagì in modo inatteso: cavò di tasca la tessera del partito, la lacerò
e la buttò sul tavolo sotto gli occhi del gerarca; si strappò il distintivo dall’occhiello e lo scaraventò in terra e uscì sdegnato. Dovettero corrergli dietro, calmarlo,
chiedergli scusa15.
L’episodio, molto significativo, smentisce da solo ogni ipotesi di debolezza o di acquiescenza di Pirandello nei confronti del regime fascista. Ed
è ridicola perciò la protervia di certa critica che tende a sminuire tra inutili
distinguo e forzature che ondeggiano tra un Pirandello impolitico16 e un
Pirandello ora ingenuo, ora opportunista, la portata della scelta politica e
il carattere antidemocratico del drammaturgo siciliano.
solo la presenza fisica della morte e la pazzia. Non a caso il povero genitore, scampato alla
folla minacciosa degli invitati, trarrà la convinzione «che tutti gli abitanti della città siano
improvvisamente impazziti».
12
«Pirandello si sentì attratto al fascismo, senza la provocazione di calcoli e di personali
tornaconti» (G, cit., p. 441).
13
T I, Perché Pirandello è fascista, in AA. VV., Interviste a Pirandello,
cit., pp. 265-7.
14
G, cit., p. 229.
15
A, Scritti su Pirandello, cit., p. 229.
16
Di Pirandello «impolitico»; di Pirandello «candido personaggio» nonché «vittima
spesso piuttosto della propria dabbenaggine»; di rapporti con il fascismo «deterioratisi rapidamente» e di «esilio» quadriennale di Pirandello in Germania e in Francia dal ’28 a tutto il
’32 si apprende in E P, Pirandello impolitico, Roma, Salerno Editrice, 2000.
192
Otto/Novecento, 1/2017
Sicché a quanti sostengono che Pirandello dal 1926 in poi, deluso,
cominciò a prendere le distanze dal regime fascista, segnaliamo un eccezionale documento pirandelliano, tuttora sconosciuto, che offre una inconfutabile conferma non solo di quella «grinta squadrista»17, come la definisce
Gaspare Giudice, insita nel carattere dell’antidemocratico Pirandello, ma
anche dell’immutata fede al regime fino agli ultimi anni della sua vita. Si
tratta di un enfatico articolo dell’accademico d’Italia contenuto nel numero speciale di “Milizia Fascista” del 1° febbraio 1933 in occasione del primo
decennale della Milizia. Il titolo è Vivono in luce, una sorta di apologia delle camicie nere e del suo creatore, Mussolini, definito «spirito armonioso»,
articolo che pubblichiamo integralmente, per la prima volta, in appendice.
Chissà come avrebbe giudicato Sciascia questo scritto pirandelliano.
Lo avrebbe ascritto alla biografia o all’opera di Pirandello?
La domanda provocatoria vuol puntare i riflettori sull’atteggiamento
“pirandelliano” della critica nel sostenere da cinquant’anni a questa parte
un Pirandello dalla doppia identità, quella d’artista da una parte e quella
di uomo dall’altra, ognuna per proprio conto. «È difficile, anzi impossibile,
conciliare gli atti di Pirandello col significato della sua opera», conferma
appunto Nino Borsellino18.
Il problema per la verità era stato avvertito dal biografo-principe, Gaspare Giudice, ma in una prospettiva diversa, in direzione cioè di una saldatura e non di contrapposizione tra biografia e opera. «Occorrerà, in un
secondo tempo, risolvere il problema dell’apparente dissociazione fra le singole parti della vita e dell’opera», scriveva nel 1963 Gaspare Giudice19. Purtroppo nella foga di alleggerire al Pirandello la patente di fascista, la critica
ha strabuzzato gli occhi nella ricerca affannosa nell’opera dello scrittore di
indizi, prove, allusioni, episodi che deponessero per il contrario. Lavoro che
non ha offerto risposte degne di nota. Né poteva offrirle. Per la semplice
ragione che Pirandello fu uno scrittore che aderì al fascismo ma non fu uno
scrittore fascista. Anzi. Fu contro, e apertamente, a un’«arte fascista». Nessuna contraddizione dunque tra la vita e l’opera di Pirandello. Politica e arte
sono due cose per lui estremamente diverse. Basta frugare tra gli scritti del
commediografo agrigentino per accertarsene; scritti che avrebbero dovuto
far drizzare le orecchie. E invece nessuno ha avuto occhi per vedere.
Uno di questi scritti risale al 6 novembre del 1924, due mesi dopo l’adesione di Pirandello al fascismo. È uno scritto breve, piccolo piccolo, ma
ha un immenso valore. Si intitola Le intenzioni in arte secondo Pirandello
e fu pubblicato sulla “Gazzetta del Popolo”. Si tratta di una intervista rilaG, cit., p. 431.
B, Il dio di Pirandello, Palermo, Sellerio, 2004, p. 154.
19
G, cit., p. 417.
17
18
M, Il fascista Pirandello contro l’arte fascista
193
sciata a un giornalista viennese, nella quale Pirandello dice che in materia
d’arte non riconosce né leggi né intenzioni. E lo spiega così: «Ogni intenzione, per quanto nobile e grande, racchiude in sé qualcosa di antiartistico». Ammette che un artista possa essere
ispirato a fare un’opera d’arte da sentimenti patriottici, da indignazione per certi
abusi sociali; però il motivo non si potrà mai tradurre in arte se durante il processo
di creazione esso non sparirà completamente. Il motivo può formare oggetto di
articoli di giornali, di scritti polemici, giammai dell’arte20.
Sulle intenzioni in arte tornerà poi in un articolo sul primo numero
di “Quadrivio” nel 1933, laddove sosterrà che ogni intenzione è contro la
schietta spontaneità dell’arte. Non si può essere originali – scrive – soltanto
per fare colpo, così come fanno i futuristi, che al massimo possono dirsi
stravaganti ma non originali: «Originali si è o non si è». Né si può e si
deve scrivere con l’orecchio teso alle voci di fuori per apparir moderno, ma
ascoltare la voce «solamente quella, se c’è, che parla dentro, nativa, l’unica
che possa essere veramente moderna, perché nuova»21.
Idee queste sull’arte che si pongono in aperto contrasto con le direttive di regime e con quanto lo stesso Mussolini ebbe a dichiarare nel suo
discorso all’Accademia di Perugia, il 5 ottobre del 1926, nel corso del quale
propugnò «un’arte nuova, un’arte dei nostri tempi, un’arte fascista». Idee
che Pirandello ribadirà con forza nel suo discorso di apertura al Convegno
«Volta» sul teatro drammatico, l’8 ottobre del 1934, di fronte a un pubblico eletto e a personalità internazionali dell’arte e dello spettacolo.
Nel suo intervento escluderà la possibilità di “un’arte dei nostri tempi”
come voleva Mussolini.
È vero – dice Pirandello – che la vita o si vive o si scrive e che, quando la si
vive, difficilmente nello stesso tempo, cioè in mezzo all’azione e alla passione, ci si
può mettere in quelle condizioni che sono proprie dell’arte: partirsi dal momento,
superarlo per contemplarlo e dargli senso universale e valore eterno.
Quindi «invalorar» la vita del proprio tempo è estremamente difficile.
Certo – aggiunge Pirandello –, tutto può essere materia d’arte e l’artista
non può non riflettere nella sua opera la vita del suo tempo, ma farlo di
proposito, anche per fini nobilissimi ma estranei all’arte, «sarà far politica e
non arte». L’arte infatti è «il regno del sentimento disinteressato»22.
Questi precisi riferimenti, che si rifanno peraltro a convinzioni artistiche già presenti nel volumetto Arte e Scienza del 1908, laddove si dice che
AA.VV., Interviste a Pirandello, cit., p. 287.
L P [= P], Si dovrebbe intendere, “Quadrivio”, 6 agosto 1933.
22
P, Saggi e interventi, a c. di F T, Milano, Mondadori, 2006, pp. 1436-43.
20
21
194
Otto/Novecento, 1/2017
«l’arte ha bisogno imprescindibile di libertà»23, potrebbero bastare. Ma a
spazzare via definitivamente e in maniera esplicita ogni dubbio sulla presa
di posizione di Pirandello contro “l’arte fascista” interviene una ignorata
dichiarazione dello scrittore che abbiamo scovato nel numero di marzo
1927 della rivista palermitana “L’Arte Fascista”. Si tratta d’un pezzo di intervista che il commediografo agrigentino rilasciò al giornalista Umberto
Gentili dell’“Impero” e riprodotta dalla rivista siciliana nell’ambito di una
inchiesta dal titolo Idee e opinioni sull’arte fascista raccolte da vari giornali.
Ecco l’opinione di Pirandello, accanto a quelle di Arnaldo Mussolini, Corrado Pavolini e Franco Ciarlantini:
L’arte non può avere un fine che in se stessa, dargliene un altro significa ucciderla, distruggerla. Non si può, per intenzione, fare dell’arte fascista; facendolo,
si fa della polemica e nient’altro. È ovvio però che un fascista esprimerà «un’arte
fascista», ma non intenzionalmente, bensì come facoltà espressiva, spontanea24.
Nessuna inconciliabilità dunque tra la biografia e l’opera di Pirandello. Non esistono due Pirandello. Ed è lui stesso – come abbiamo visto – a
mettere in guardia che nessuna traccia del suo fascismo si troverà nella sua
produzione artistica, se non in articoli di giornali o in scritti polemici.
Si chiude così una querelle durata più di mezzo secolo, rovesciando
il ritratto che ha consegnato Sciascia di un Pirandello debole e incapace
di reagire al regime fascista. Il tempo, si sa, è galantuomo. Pirandello s’è
ripreso l’altra sua metà.
P, Arte e Scienza, intr. di S C, Milano, Mondadori, 1994, p. 110.
AA.VV., Idee e opinioni sull’arte fascista, “L’Arte Fascista”, marzo 1927, p. 109. In
calce all’opinione di Pirandello si legge: «Da un’intervista concessa a Umberto Gentili
de “L’Impero”». L’intervista manca a Ivan Pupo. E non è la sola. Ne segnaliamo un’altra,
dal titolo Interviste brevi sull’eloquenza, da noi ritrovata sulla rivista di Titta Madia “Gli
Oratori del Giorno”, fasc. 7, novembre 1927; poi da noi ripubblicata col titolo Pirandello:
«Io oratore mai!» sul quotidiano “La Sicilia”, 18 ottobre 2012.
23
24
195
M, Il fascista Pirandello contro l’arte fascista
APPENDICE
LUIGI PIRANDELLO, Vivono in luce, “Milizia Fascista”, 1° Decennale della Milizia, n. speciale, febbraio 1933
Bisogna che passi il tempo perché un creatore possa essere sicuro della vita della
sua opera. Anche se egli, nell’atto di volontà creativa con cui l’ha formata, ne abbia sentito pienamente la necessità (quasi un presentimento che il mondo, senza
quella opera, in quel momento non sarebbe stato perfetto), e col massimo scrupolo
abbia adempiuto a dar forma a tutte le esigenze vitali di essa, tuttavia solo il tempo
e il giudizio degli altri uomini potranno provargli che quella sua sintesi di elementi
spirituali possiede un vero nucleo di vita, che li tiene assieme saldamente, impedendone la disgregazione, e comunica loro la sua luce, il suo calore, la sua potenza
di movimento, serbandoli vivi. Lo sa ogni artista che sia arrivato a esprimere per
sempre un’immagine, fra le tante caduche su cui s’esercitò invano il suo spirito.
Oggi, a dieci anni di distanza dalla fondazione, il Duce può avere questa
soddisfazione di creatore della sua M.V.S.N. La Milizia è necessaria; è bella: è
perfetta: è viva.
Basta pensarla «da dentro» il Regime per sentirla necessaria: necessaria al
Regime deve apparire egualmente a chi la consideri con animo ostile al Fascismo.
Prova e riprova con esito positivo.
Ma basta parlare coi militi per accorgersi che la loro vita, per umile e dura
che sia, è per essi piena di fascino. Vivono in luce. E non dico già dei capi, ma dei
semplici gregarii, tutti.
Evidentemente l’organismo, di cui sono elementi, li tiene assieme con una
forza ideale, capace d’irradiare nei loro cuori il sentimento che la funzione esercitata possiede altissime e piene giustificazioni spirituali ed è radicata nella realtà.
Perciò per decine e decine di migliaia di giovani la Milizia è bella: è «vita». Questa
è la prova più vera.
Se poi pensiamo che la M.V.S.N. non è stata finora altro che una parte del
nostro popolo attrezzata per poter giovare a tutto il nostro popolo, e che potrebbe non
esser mai altro che questo, la vita stessa ci dà il modo di giudicarla un’opera perfetta, perché la vediamo in atto, viva e operante, sempre, in ogni occasione, anche
se non si producono, anche se non si debbano mai produrre, gli eventi per cui è
stata sostanzialmente creata. E questa potrebbe essere davvero la riprova definitiva,
come accade per l’opera d’arte perfetta, la cui vita nel tempo sembrava affidata
oggi a certi e domani a certi altri suoi aspetti; poiché il creatore, pure avendone di
mira uno solo, preciso, sostanziale, non poté nel suo spirito armonioso trascurarne
nessuno.
L P
Accademico d’Italia
*
196
Otto/Novecento, 1/2017
R / ABSTRACT. Per più di mezzo secolo la critica pirandelliana
ha sostenuto l’inconciliabilità tra la biografia e l’opera di Pirandello. Quasi
che lo scrittore avesse una doppia identità: in pubblico fascista dichiarato
e ben altro nel segreto della creazione artistica. L’articolo demolisce questa
presunta contraddizione sulla base delle convinzioni artistiche dello stesso
commediografo. Politica e arte furono per lui due cose ben distinte. Tanto
da dichiararsi contrario a un’arte fascista, in aperto dissenso con Mussolini.
Questa clamorosa difesa della libertà dell’arte, contenuta in una ignorata
intervista del 1927, restituisce dignità al ritratto consegnato da Sciascia di
un Pirandello debole e opportunista. In appendice all’articolo, uno scritto
inedito di Pirandello sulla milizia fascista. / Pirandello’s criticism claimed
the irreconcilability between the author’s life and his works, for more than half
a century. It seems almost that he had a double life: he was an open fascist in
public, while a complete different person emerges from his writing. The article
destroys this alleged contradiction on the basis of Pirandello’s artistic beliefs.
Despite Mussolini’s ideas, he was against a Fascist art. He, indeed, believed
that art and politics were two different things. This clamours defence of art’s
freedom, which is contained in an ignored interview in 1927, restores dignity
to Sciascia’s portrait of Pirandello, who depicted him as a weak and opportunist man. In appendix to the article, there is an unpublished Pirandello’s work
on the Fascist Militia.
P- / KEY-WORDS. Fascismo, Pirandello, Alvaro, Sciascia,
Mussolini / Fascism, Pirandello, Alvaro, Sciascia, Mussolini.