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La Terra delle Sirene. Vol. 10/1994

1994

LA TERRA DELLE SIRENE Bollettino del Centro di studi e ricerche Bartolommeo Capasso Direttore Arturo Fratta Condirettore Enzo Puglia ricerche fotografiche di Antonino Fiorentino Sorrento dicembre 1994 © Centro di Studi e Ricerche Bartolommeo Capasso. Autorizzazione del Tribunale di Napoli nr. 4369 dell' 11 - 2 - 1993. Contributo del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali - Ufficio centrale per i Beni librari e gli Istituti Culturali. Fotocomposizione e stampa Tipolitografia Eurograf s.n.c. - Sorrento. «La Terra delle Sirene» è reperibile a Sorrento nelle librerie "Nonsoloedicola", "La capsa" e "Tasso" e presso il filatelista A. Del Duca. SOMMARIO p. 7 Giorgio Fulco e Alfonso Paolella Autografi tassiani a Sorrento p. 9 Stefano De Caro Due grandi archeologi: la Zancani e Vallet p. 29 Arturo Fratta Una mostra e un museo p. 37 Gilberto Antonio Marselli Alla ricerca delle nuove sirene p. 43 Antonio Lebro Il presepe della chiesa di S. Antonino p. 49 Giovanni Fiorentino Realtà e immaginario nel paesaggio sorrentino ali' esordio della fotografia p. 53 Gli «Scritti di varia umanità in memoria di Benito lezzi» p. 59 Le attività del Centro B. Capasso nel /994 p. 63 Questo numero QUESTO NUMERO Questo numero si apre, nel quattrocentocinquantesimo anniversa­ rio della nascita e alle soglie del quattrocentesimo anniversario della morte di Torquato Tasso, con un saggio di Giorgio Fulco e Alfonso Paolella sugli autografi tassiani posseduti dalla città di Sorrento. Uno scritto che lascia trapelare, attraverso la tessitura di informazioni a volte laboriosamente acquisite e di giudizi appena accennati perché rin­ viati a una più ampia trattazione, tutta la passione messa in una ricerca che ricostruisse con pienezza definitiva il percorso compiuto da questi autografi e le vicende che li portarono al Museo Correale, dove sono custoditi. La pubblicazione di questo articolo, che segue quello di Dante Della Terza dedicato a Lo Tasso napoletano di Gabriele Fasano apparso nel numero precedente, deve essere considerata un ulteriore contributo del Centro Bartolommeo Capasso alle celebrazioni tassiane, alle quali l'ideatore e fondatore del Centro, Antonino Fiorentino, ha voluto dare un personale e suggestivo apporto iconografico con la collaborazione a I luoghi sorrentini del Tasso (testi di D. Della Terza e G. Cavallo), cui si accenna più avanti. Al grande tema dell'archeologia sorrentina sono dedicati la trascri­ zione del discorso tenuto da Stefano De Caro tra i ruderi della villa di Pollio Felice a Capo di Sorrento per ricordare due grandi archeologi scomparsi - Paola Zancani e Georges Vallet - e una riflessione di chi scrive sulla mostra allestita dalla Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta a Villa Fiorentino, riflessione che si estende all'irri­ solto problema della costituzione del Museo, prevista da una bozza di 8 convenzione siglata dalla Soprintendenza stessa e dal Comune. Quindi Gilberto Antonio Marselli, con il tono semiserio che riesce a dare alle sue conversazioni quali che siano, traccia un itinerario sor­ rentino che è insieme un bilancio della "reale consistenza di energie da poter mobilitare perché ( ... ) si possa dar vita ad iniziative durature ed efficaci, tali da assicurare il meritato rilancio di queste terre". Itinerario e bilancio che, al di là delle intenzioni dell'autore, costituiscono un ben datato "catalogo" di presenze in penisola sorrentina, consegnato ai posteri, ammesso che i posteri intendano interessarsi a queste vaghezze. Tributo alla imminente atmosfera natalizia è il breve ricordo di Antonio Lebro di quando il padre di lui costruì lo "scoglio" del presepe della Chiesa di S. Antonino, un prezioso monumento di arte presepiale, purtroppo saccheggiato negli anni scorsi. In un articolo dedicato al paesaggio sorrentino tra realtà e immagi­ nario, rivisitato attraverso una serie di interpretazioni fotografiche dalla metà del secolo scorso ai primi decenni di questo, Giovanni Fiorentino reca il suo contributo di giovane studioso alla conoscenza di un campo ancora tutto da esplorare. Chiude il fascicolo una rapida rassegna degli Scritti di varia uma­ nità in memoria di Benito lezzi, pubblicati dal! 'editore Franco Di Mauro in un volume ampio e notevole per molti dei numerosi contributi che gli amici hanno voluto dedicare alla memoria di questo eccezionale uomo di cultura, scomparso in età giovanile lasciando un incolmabile vuoto in chi lo conobbe e lo amò. A. F. AUTOGRAFI TASSIANI A SORRENTO* di Giorgio Fulco e Alfonso Paolella Sorrento desiderava da oltre un secolo di custodire amorosamente qualche pagina scritta dalla mano del suo Poeta. Un decreto di Giuseppe Napoleone, degli inizi del 1808, aveva illuso i compatrioti del Tasso: vi si disponeva che venissero accentrati in un'apposita sede nella città natale tutti i manoscritti origi­ nali esistenti nella Biblioteca Regia di Napoli. Con loro avrebbero dovuto figu­ rare esemplari di ogni edizione e traduzione dell'autore della Gerusalemme Liberata. Il provvedimento non fu mai attuato, ma il tenace culto tassiano dei sorrentini continuò a coltivare il progetto di una raccolta organica di materiali bibliografici e documentari, soprattutto attraverso il generoso collezionismo e il continuo aggiornamento critico dei suoi più significativi esponenti intellettuali. Questa storia di bibliofili e di studiosi meriterà futuri approfondimenti. Basti qui osservare come un segmento rilevante di questa "passione" si trovi oggi stratifi­ cato nel prezioso fondo tassiano della biblioteca del Museo Correale di Terranova, negli "ex libris" dei donatori, nelle carte di Manfredi Fasulo e di Silvio Salvatore Gargiulo (Saltovar) lì conservate. L'attesa di un autografo del Tasso da poter contemplare e interrogare fu appagata, sia pure in maniera parziale, cioè con la formula dell'affidamento e non con quella più piena e gratificante del possesso, nel novembre 1934. Conosciamo i dettagli di questo trasferimento da un articolo di Manfredi Fasulo apparso sul "Roma" di Napoli il 12 dicembre dello stesso anno, dal titolo Un autografo di Tasso al Museo Correa/e di Sorrento: * Nel licenziare questa nota sentiamo il dovere di ringraziare, per la preziosa collaborazione, il marchese Giuliano Buccino Grimaldi e la dott.ssa Rubina Cariello che hanno consentito le necessarie ricerche presso il Museo Correale di Terranova di Sorrento, il prof. Bruno Basile dell'Università di Bologna, Donatella Trotta, Luigi Regina, Luigi Lombardi, Francesco Bugli e quanti, a vario titolo, hanno collaborato con noi. 10 GIORGIO FULCO - ALFONSO PAOLELLA Il principe Stefano Colonna di Paliano, Presidente-Direttore del Museo "Correale" in Sorrento, col consenso dei Signori Consiglieri cav. Silvio S. Gargiulo e comm. Onorato Fiorentino, su proposta del sottoscritto addì 8 ottobre c. a. rivolgeva istanza a S. E. il comm. prof. Francesco Ercole, Min. dell'Educazione nazionale per avere in deposito nella Biblioteca del Museo un auto­ grafo del [...] Tasso, onde conservarsi un di Lui manoscritto nella Città in cui nacque. Il breve pezzo di cronaca continuava riferendo del parere favorevole del dott. Gaetano Burgada, soprintendente bibliografico, (11 ottobre 1934) e della conseguente decisione favorevole del ministro il successivo 26 ottobre, fino al verbale di consegna, stilato il 28 dello stesso mese. La risonanza dell'evento è attestata da un articolo di Vincenzo Dattilo dal titolo Tormenti e manie di T. Tasso negli ultimi anni della sua vita, che anticipava di un giorno, nella stessa sede, il resoconto sopra citato e da un breve trafiletto non firmato apparso su "L'Avvenire d'Italia" del 14 dicembre 1934. L'autografo del quale si parla è una lettera che il Tasso aveva inviato da Roma il 2 febbraio del 1589 ad Ottavio Pisani, figlio dell'illustre medico Giovannantonio, dal quale si era fatto visitare nel soggiorno napoletano dell'anno precedente. Di «doloroso documento umano» che si legge «nell'origi­ nale ingiallito e dai bordi consunti», vergato «in una faticosa scrittura», ha parla­ to il compianto Edoardo Gennarini nell'articolo Il Museo Correa/e e la sua biblioteca (sottotitolo: Un commovente autografo del Tasso, malato immagina­ rio) ne "Il Mattino" di Napoli, 22 agosto 1955, fornendo, con l'aiuto del Fasulo, una trascrizione quasi integrale della missiva. Il testo era già noto agli studiosi attraverso l'edizione Guasti delle Lettere, nella quale, all'interno del voi. IV, occupava il numero 1090. Il Guasti la pubblicava dall'apografo del manoscritto Serassi. Gianvito Resta, nel suo fondamentale volume Studi sulle lettere del Tasso, Firenze, Le Monnier, 1957, p. 199, n. 30, indica con esattezza l'esistenza dell'autografo nella biblioteca del Museo Correale. La lettera 1 è costituita da un bifolio (mm 265 x 200) in cui il testo occupa il recto e il verso della prima carta, mentre l'indirizzo si legge sul verso della seconda. Lo stato di conservazione è piuttosto precario: ci sono smangiature sul margine esterno della prima carta con conseguenti perdite di piccole porzioni della parte scritta risarcibili per congettura e con l'aiuto della copia. La carta è ingiallita e fragile, con corrosioni dovute all'inchiostro, e presenta macchie di umido. Nonostante le condizioni dell'autografo [Tavv. 1 - 2], è possibile fornir­ ne una trascrizione sufficientemente sicura: 1 · Cf. L. DE Rms, Opere tassiane nella Biblioteca del Museo Correa/e di Sorrento, Napoli, s. e., 1962, p. 7. 12 GIORGIO FULCO -ALFONSO PAOLELLA Ecc. te Sig_f mio Oss. mo_ À le burle no(n) risponde agevol(men)te chi non vuol burlare il burlatore. À me non (con)cede la mia fortuna di schernire e l'esse<re> schernito accresce le miserie del misero. Rispondo nondimeno poiché così vuole V. S.. Io venni a Napoli con due concetti del Sig(n)or suo padre. L'uno, ch'egli fosse gentiliss(im)o cavaliero, l'altro, ch'in ogni occas(io)ne si mostrasse eccell(entis­ si)mo medico. Ne la pri<ma> opinione della sua gentilezza, io fui confermato con m<olte> sue cor­ tesie, ne l'altra de la sua ecc(ellen)za, poteva conferm<armi> la ricuperata sanità. Ma non piacque à la mia fortuna, eh'<egli> mi stimasse soggetto degno in cui si manifestasse ogni suo sapere, et ogni esperienza. Me ne tornai dunque con l'is<tesso> male, co 'I qual era venuto, o più tosto con gli istes­ si, <perché> son molti. Ora non potrebbe, s'io ritornassi, far conoscere intieram(en)te quanto sia gentile, s'insieme non conosciamo quanto sia ecc(ellen)te. La suplico dunque, che pensi à liberarmi de la I maninconia, de l'idropesia e de la putredine. Ma forse risanando del primo, risanerò di cia­ scuno altro. Almeno mi potesse persuadere ch'io fossi sano. Ma come posso acciò esser persuaso, vedendo sempre i segni de la mia infermità? A !'altre parti della let(te)ra di V. S. sarebbe più conve­ nevole altra risp(os)ta; ma la prego che mi scusi sin eh'io habbia miglior fortuna o animo più tran­ quillo. Fratanto mi tenga in g(rat)ia del sig(n)or suo padre, o mi vi riponga, s'io ne sono fuori. Da Roma, il 2 di feb(ra)io del 1589. Di V.S. Aff. mo Ser. re Torq_to Tasso Indirizzo: A l'Ecc. mo . s· or te s· or . 1g. m10 Oss. 11 1g. Ottavio Pisani In posizione ortogonale rispetto all'indirizzo, in due punti diversi, si legge di altre mani posteriori rispettivamente "Lettere di Torquato Tasso"; "Lettere di Torquato Tasso di propria mano" e (con grafia più antica) "di varii amici". Dopo l'indicazione del destinatario si legge, aggiunto a matita in epoca posteriore "Napoli". Nell'angolo superiore destro di c. lr una mano probabilmente sette­ centesca annota: "folio [parola non decifrata] / Notar Nicolò". L'autografo con­ sente di correggere ed integrare in più punti il testo fornito dal Guasti. Testimonianza drammatica di una sofferenza nervosa e fisica affidata, con amarezza ed ironia, ali' originalissima comunicazione epistolare del poeta, que­ sta lettera, con altre dello stesso tenore, è fin troppo nota agli studiosi perché si tomi qui a parlame2• Al di là dei filtri razionali dell'interpretazione critica, essa continua a comunicare, a chi tomi a decifrare l'inconfondibile ductus della scrit­ tura del Tasso, forse segnata qui dalle sue ossessioni, dalle sue patologie vere o presunte e dalla dolorosa percezione della sua solitudine, una profonda e segreta emozione. 2 Cf. B. BASILE, Poeta melancholicus. Tradizione classica e follia nell'ultimo Tasso, Pisa, Pacini, 1981. Tav. 2. Lettera citata, Iv. 14 GIORGIO FULCO -ALFONSO PAOLELLA A climi storici profondamente diversi, a mediazioni meno "ufficiali", ma tanto più cariche di carismatica autorevolezza culturale e politica, e ad un atto di splendida liberalità si collega l'arrivo del secondo autografo tassiano, più impor­ tante e, soprattutto, offerto in dono, laddove la lettera era pur sempre "distacca­ ta" da un altro ente, con quanto di virtualmente precario si annida nelle implica­ zioni burocratiche di una tale concessione. Mentre ci si sforzava di dimenticare i traumi della seconda Guerra mondiale, di ricostruire il tessuto vitale del Paese, quello economico e produttivo, ma anche quello culturale, riappropriandosi della memoria storica, il ritorno in Italia e a Sorrento, per restarvi per sempre, di un'opera breve ma non periferica della produzione tassiana, nel suo originale manoscritto definitivo, assumeva un valore simbolico particolarissimo, la cui pregnanza potrà ben essere intuita unendo le tessere di quanto verremo rico­ struendo. Per restituire il sapore d'epoca alla cronaca della nuova acquisizione tas­ siana, riapriamo gli album della Biblioteca del Museo Correale che conservano, incollati, ritagli di stampa sul Tasso, sul Museo stesso, sulla vita culturale di Sorrento e della sua costiera. Da una testata non registrata - ma si tratta del "Risorgimento" di Napoli - in data venerdì 23 gennaio 1948 è tratto il seguente articolo, siglato "d.": Un autografo di Tasso donato al Museo di Sorrento (il sottotitolo recita: È un dialogo sulla gelosia, sobrio e misurato: il manoscritto consta di sedici pagine ed è assai ben conservato). Con l'avviso che certe approssimazioni giornalistiche dovranno essere rettificate dal lettore con le informazioni che daremo nel seguito del discorso, possiamo utilmente trascrive­ re quell'intervento, che si avvale di notizie erudite attinte dalla bibliografia tas­ siana e, probabilmente, dalla viva voce dei personaggi coinvolti nella felice occasione. Un importante autografo di Torquato Tasso è stato dall'antiquario parigino Arthur Lauria donato, a mezzo di Benedetto Croce, al "Museo Correale" di Sorrento. Il prezioso manoscritto, che è attualmente custodito dalla Direttrice della nostra Biblioteca Nazionale, si presenta assai ben conser­ vato. Sulla prima delle sedici pagine ond'è formato, è scritto, in nitida grafia dello stesso Autore: "Il Forastiero Napolitano overo della gelosia, dialogo del signor Torquato Tasso". La scrittura è quella caratteristica del Poeta, ma un po' più regolare e riposata di quella solita, e non presenta che poche cancellature, per cui la lettura riesce assai agevole. Questo manoscritto che Lodovico Antonio Muratori, in una lettera con cui accompagnava ad Apostolo Zeno varie cose inedite del Tasso, affer­ ma di aver visto nalla Biblioteca Ducale, può considerarsi quasi certamente l'esemplare che il Tasso preparò per licenziarlo alle stampe. Esso fu edito la prima volta nelle "Rime e Prose" a Venezia, "ad istanza del Vassallini", nel 1586; ma già nel settembre del 1577 il Poeta aveva letto, alla brigata di casa Ghirlenzoni un suo discorso "Della Gelosia" che vide la luce nel 1585, nell'"Aggiunta alle Rime e Prose", in Venezia, presso Aldo. AUTOGRAFI TASSIANI A SORRENTO 15 Dopo aver fornito brevi notizie sui Dialoghi del Tasso, il quale «entra pure talvolta in iscena sotto il nome di "forastiero napolitano" come nel caso del nostro dialogo» l'estensore tocca velocemente i contenuti e lo stile dell'opera, con valutazioni piuttosto ingenue e dilettantistiche. Nel congedo non manca il riferimento alla lettera autografa, alla quale sta per affiancarsi il prezioso origi­ nale ricomparso sul mercato antiquario, ma sottratto, dalla lungimiranza del donatore, ai percorsi carsici del grande collezionismo privato, e una speranza: È da auspicare [...] che possa realizzarsi quanto prima nello stesso Museo, ora in via di defini­ tivo riordinamento, una Mostra Tassiana alimentata anche dai numerosi cimeli che nella nostra Biblioteca Nazionale si custodiscono. Altri scampoli giornalistici consentono di acquisire ulteriori dettagli. Un trafiletto del 20 marzo 1948 (testata non nota) sotto il titolo Un autografo del Tasso fissa la scena della consegna: Presente il Sindaco prof. Schisano, il Presidente dell'Istituto Tassiano e Conservatore del Museo Correale di Terranova comm. Manfredi Fasulo ed un gruppo di studiosi domenica nella mat­ tinata in una sala del Museo Correale ha avuto luogo la consegna, da parte della Direttrice della Biblioteca Nazionale di Napoli, prof.ssa Guerriera Guerrieri di un autografo del Tasso dono del comm. Arthur Lauria al Comune di Sorrento perché venga conservato nel Museo [...]. L'autografo, di un centinaio [sic!] di pagine in chiara scrittura, è un dialogo del Poeta sulla gelosia donato al Museo Correale di Sorrento mercé il vivo interessamento del sen. Croce e della professoressa Guerrieri che hanno così potuto procurare alla raccolta Tassiana un pregevolissimo autografo del grande sorrentino del valore non inferiore ai 2 milioni [...] Un altro ritaglio, che definisce «patriottica decisione» l'atto di generosità del comm. Lauria, c'informa che la cerimonia ebbe luogo il 14 marzo e che l'autografo «è stato conservato nello armadio a vetri chiuso da doppia chiave; ma sarà dato in lettura nella sala della biblioteca agli studiosi [... ]». Le curiosità stimolate da questi echi della stampa quotidiana sono molte: cos'altro si sa sul "vivo interessamento" del Croce? chi era il munifico Arthur Lauria? quali certezze esistono sulla provenienza del manoscritto autografo? che posto assume il dialogo de la Gelosia nell'universo tassiano, alla luce della più recente bibliografia? Il Croce che suggerisce al grande antiquario internazionale di destinare alla città di Sorrento il riaffiorato originale, un unicum estremamente ambìto dopo la lunga latenza, è legato al luogo di nascita del Tasso da un'affettuosa consuetudi­ ne che, negli anni terribili della guerra, si è trasformata in dimora quasi continua, 16 GIORGIO FULCO -ALFONSO PAOLELLA angustiata dai bagliori dei bombardamenti su Napoli e dalle insidie dei Tedeschi, ma straordinariamente densa di contatti politici e intellettuali rivolti alla rinascita dell'Italia democratica, senza che subisca interruzioni una prodigiosa capacità di lavoro. 3 Avrà conosciuto già prima il Lauria per i suoi magnifici cataloghi, nei quali si offrivano pezzi sceltissimi, da bibliofili? L'avrà incontrato proprio a Sorrento, dove entrambi erano soliti soggiornare? Congetturalmente, propenderemmo per due risposte positive. Ai riscontri, tuttavia, per adesso si può produrre soltanto una nota diaristica asciutta, senza compiacimenti, del 6 gennaio del 1948: [...] La direttrice della Biblioteca Nazionale mi ha informato di tutti i confronti, che ha fatto fare, secondo il mio suggerimento, per accertarsi dell'autografia del dialogo Il Forestiero Napolitano o Della gelosia del Tasso, donato per mio mezzo dal libraio Lauria di Parigi alla Città di Sorrento e da collocare nel Museo Correale di colà. I confronti sono riusciti positivi e l'autografia pare certa [...].4 Non stupisca la cautela crociana di sottoporre a rigorosa perizia un mano­ scritto destinato ad essere un dono. Il prestigio del mediatore e dell'evento non potevano essere offuscati dall'infortunio di un falso, e nessuno ignorava che pro­ prio per il Tasso precocissima e mai cessata nel tempo era stata l'attività spre­ giudicata di contraffazione, alimentata da una domanda collezionistica spesso emotiva ed ingenua. Il livello professionale del donatore poteva essere, da sé, una garanzia, ma questa pagina dei Taccuini attesta un sano dubbio metodico, genuina espressione dello studioso e del conoscitore, che veniva formando una meravigliosa biblioteca. Quando abbiamo spostato lo sguardo su Arthur Lauria, ci siamo accorti che, al di là dei pochi elementi desumibili dalle cronache della "patriottica deci­ sione", la sua figura era evanescente, per assenza di strumenti biografici che ne fissassero gli estremi anagrafici e le tappe fondamentali della vita. D'altra parte la sua identità di libraio-antiquario di caratura europea lo col­ locava in un circuito specialistico, tra commercio e ricerca, ancora poco studiato, affidato ad un 'élite riservata ed esclusiva, che, con poche eccezioni, parla più 3 Cf. R. PANE, Benedetto Croce, 1942-1944, in «La Rassegna d'Italia», I, 1946, n. 2-3, ristampato in plaquet­ te: Sorrento, Centro Culturale B. Capasso, 1982; A. FRATIA, Così finì il Regno d'Italia. Dai taccuini di Croce, pref. di G. Galasso, Sorrento, Di Mauro, 1992; ID., Sorrento 1943: l'azione politica di Croce in «La Terra delle Sirene», giugno 1993, pp. 21-32; negli album di ritagli del Museo Correale si rintracciano due articoli sul rapporto Croce-Sorrento: F. PASTONCHI, Benedetto Croce tra Sorrento e Pollone, testata non indicata, 6 agosto 1950; G. TITIA ROSA, Colloquio con Croce, testata non indicata, 30 agosto I 950. 4 B. CROCE, Taccuini di lavoro VI (1946 - 1949), Napoli, Arte tipografica, 1987, p. 173. AUTOGRAFI TASSIANI A SORRENTO 17 con la raffinatezza dei cataloghi - sempre più introvabili per essere essi stessi, con le loro descrizioni e illustrazioni, col loro corredo di indagine erudita, pub­ blicazioni gelosamente conservate o vendute a prezzi sostenuti, da amatore -, che con contributi saggistici o apparizioni sulla scena culturale. L'atto generoso non comune lasciava tuttavia intuire una sensibilità colta e, quasi, una cifra sentimentale che meritavano qualche tentativo di far luce sul profilo del Lauria, di ricordarlo insieme alla scheda del suo dono tassiano, rinno­ vando così quel tributo di gratitudine che rischiava di perdere il suo referente, di smarrirne lo spessore, riducendolo ad un puro cognome. L'inchiesta non poteva trascurare un duplice circuito: quello della bibliote­ ca e quello del mondo in cui si era affermato. I risultati provvisori che si offrono sono certi sul versante delle pubblicazioni, più approssimati nei contorni quando si affidano alla memoria di testimoni che l'hanno conosciuto e frequentato. L'indagine bibliografica ha attinto ai cataloghi della Biblioteca Nazionale di Napoli e agli strumenti della sua Sala di Consultazione dedicata alla Bibliografia Generale; le interviste hanno riguardato i librai antiquari napoletani Luigi Regina e Luigi Lombardi e l'antiquario Francesco Bugli, figlio di Enrico, amico del Lauria. Ecco dunque il ritratto che è stato possibile ricomporre finora. Non sicurissima l'origine napoletana (forse il cognome denuncia ascen­ denze lucane). Certa, invece, la formazione professionale nel giro antiquario partenopeo, nel settore delle aste, presso la Galleria Corona e gli esercizi di via Costantinopoli. Sembra che tra i maestri ci sia stato anche il grande Tammaro De Marinis. Anche il matrimonio rinsalda il rapporto col peculiare settore com­ merciale (passione e lavoro) in cui il Lauria finirà per primeggiare a livello euro­ peo: sposa la figlia dell'antiquario Guzzavaglia, soprano lirico nel coro del San Carlo. Verso l'inizio degli anni Trenta comincia la sua attività di libraio-antiqua­ rio a Parigi (il NUC, catalogo generale della produzione a stampa anteriore al 1957 conservata nelle biblioteche statunitensi e canadesi, registra listini del 1933 e del 1936) che si prolunga fino alla fine, almeno, degli anni Sessanta. I catalo­ ghi della libreria di Boulevard Haussmann 174 accolgono materiale sceltissimo, pezzi impeccabilmente presentati. Finito il primo rapporto coniugale, avrà una compagna tedesca; nei suoi viaggi alla ricerca di rarità da acquistare e poi offrire ai collezionisti, frequenti sono i passaggi per Napoli, dove gode dell'amicizia dell'illustre biologo (e appassionato bibliofilo) Luigi Califano (1901-1976),s ospite abituale del cenacolo letterario di Riccardo Ricciardi. Alto, snello, colto, eccentrico e tagliente nei giudizi, vero cacciatore di libri introvabili e di mano5 Cf. C. CUTINELLI. Luigi Califano, in «Fridericiana», III. 1991-1992, pp. 101-110, in particolare pp. 105-106. 18 GIORGIO FULCO -ALFONSO PAOLELLA scritti pregiati, il Lauria, mentre acquista una posizione internazionale di primo livello, pare si segnali per doni importanti alle biblioteche francesi. Affermazione nel suo ramo e generosità verso la nazione che l'ha accolto gli procureranno la Legion d'Onore. Alla fine degli anni Sessanta, forse per ama­ rezze e malintesi insorti nella patria di adozione, il Nostro si sposta a Roma, poi a Napoli dove deve essersi spento negli anni Settanta, a circa ottant'anni, senza lasciare figli. Riposa nella cappella di famiglia del cimitero di Napoli, a Poggioreale. Sorrento era stata una meta abituale delle sue villeggiature: si fer­ mava all'Hotel Vittoria. Oltre ai cataloghi, il Lauria va ricordato per alcune piccole plaquettes nelle quali, in tiratura limitata e fuori commercio, stampa contributi minimi di biblio­ filia. Abbiamo registrato tre titoli, tutti posseduti dalla Biblioteca Nazionale di Napoli: Le premier livre imprimé à Tarente ( 1567), Chaumont, Imprimerie de l'Est, 1961; Les reliures "pseudo-Canevarines" ou "pseudo-Farnesines", Paris, 1963; Le premier livre publié à Lauria en ltalie méridionale, Paris, s.d. (Tav. 3) Invano si è cercato in questi opuscoli qualche spunto autobiografico: essenziali, referenziali, parlano con competenza di piccoli problemi concreti senza frange e digressioni, neppure quando un luogo di stampa coincide col proprio cognome. Forse, anche in questa riservatezza c'è una nota del carattere: una nota cui con­ verrà conformarci, considerando sufficiente ai nostri scopi l'esile medaglione tracciato e passando a considerare il terzo quesito, la provenienza del manoscrit­ to autografo, non senza aver fornito gli elementi descrittivi indispensabili e le coordinate storiche essenziali relative al dialogo in questione, del quale si darà poi, nell'ultima sezione del nostro discorso, lineamenti essenziali di contestua­ lizzazione nella cultura letteraria cinquecentesca e nella produzione tassiana in poesia e in prosa. Il prezioso originale6 si presenta come un fascicolo sciolto di 16 cc. (mm 315 x 215), in cui il titolo si accampa sul recto di c. 1 (verso bianco) mentre il vero e proprio testo dell'opera occupa interamente le cc. 2-12. Le seguenti cc. 13-16 sono bianche. Le condizioni di conservazione sono accettabili e non com­ promettono la lettura del testo [Tavv. 4 - 5]. Non sarà qui utile né opportuno trascrivere, come si è fatto per la lettera, il testo del dialogo, disponendo dell'edizione dello scritto nella fondamentale edi­ zione critica dei Dialoghi curata da Ezio Raimondi nel 1958 presso l'Accademia della Crusca. I dati desumibili dall'impeccabile studio filologico sono così sintetizzabili: 6 Cf. DE RITIS, op. cit., p. 7. 1967 Catalogue N ° 60 LIVRES RARES et Précieux Dessins Anciens ARTHUR LAURIA 174,, Boulevard Haussmann, 174 PARIS Tél. Wag. 18-74 Tav. 3. Frontespizio di un catalogo di A. Lauria. Adresse Télégr: Lauriarth-Paris 20 GIORGIO FULCO - ALFONSO PAOLELLA - il ms. di Sorrento (sigla: S) rappresenta la redazione autografa definitiva, sostanzialmente in pulito, del testo, collocabile - pur in assenza di ogni testimo­ nianza esterna - tra il 1584 e il 1585 (ed. cit., I, p. 16), piuttosto a ridosso del primo abbozzo, attestato dal ms. Ital. class. IX, 189 della Biblioteca Nazionale Marciana (sigla: M), ove occupa le cc. 39v - 52r, che il Solerti attribuiva al 1584.7 La datazione tiene ovviamente conto della prima edizione a stampa del dialogo de la Gelosia, avvenuta nel volume delle Rime e Prose ... Parte Quarta, Venezia, Vasalini, 1586 (sigla: V1) [Tavv. 6 - 7], poi riproposto dal medesimo stampatore nel 1589 (sigla: V2). Le conclusioni della nota filologica del Raimondi (ed. cit., I, p. 83 ss.) escludono che le varianti di V, rispetto a S siano d'autore e indicano in S la redazione definitiva sulla quale fondare l'edizione (che si legge con relativo apparato in ed. cit., II to. I, pp. 131-142, mentre l'abbozzo di M è riportato integralmente in ed. cit., III, pp. 135-147). Il Raimondi, che indica la consistenza del ms. S in cc. l l , evidentemente riferendosi al numero effettivo delle cc. che contengono il dialogo (le nostre cc. 2-12), non indugia mai sulla provenienza dei testimoni mss. per non appesantire con note erudite una pubblicazione già amplissima per il corpus dei Dialoghi e per il corredo filologico necessario. Una traccia, come si ricorderà, ci viene tut­ tavia fornita dall'articolo già in parte citato del 23 gennaio 1948, dove si men­ ziona, senza precisarne la data e la reperibilità, una lettera del Muratori ad Apostolo Zeno, nella quale lo scrivente affermava di aver visto nella Biblioteca Ducale di Modena il ms. originale del dialogo Il Forestiero Napolitano overo de la Gelosia. La verifica si rivela fruttuosa: la lettera del Muratori (Modena, 28 marzo 1735) si legge in T. Tasso, Opere, Venezia, Monti e C., 1722-1735, voi. X, pp. 235 ss. e in A. Solerti, Vita di Torquato Tasso, cit., Il, pp. 499-504 (dove occupa il n. XXI dell'Appendice "Lettere di vari eruditi intorno a Torquato Tasso e alle sue opere"), nonché nell'Epistolario di L. A. Muratori edito e curato da M. Càmpori, VIII (1734-1737), Modena, Soc. Tip. Modenese, 1905, n. 3483, pp. 3411-18, ma non è in queste sedi che si risolve il nostro problema, perché nelle voci bibliografiche citate possiamo prendere visione integrale dell'impor­ tantissimo contributo epistolare tassiano del Muratori, scorrere l'imponente patrimonio di autografi del Poeta allora conservato nella biblioteca che oggi conosciamo come Estense e constatare l'elevato numero di dialoghi accurata­ mente elencati (tra i quali è ricordato anche l'originale del dialogo che c'interes­ sa), ma resta poi inspiegato lo scarto fra la serie di dialoghi oggi posseduti 7 Cf. A. SOLERTI, Vita di Torquato Tasso, Torino-Roma, Loescher, 1895, I, p. 396. Tav. 4. Frontespizio del dialogo autografo tassiano de la Gelosia, Bibl. Mus. Correale, c. lr. 22 GIORGIO FULCO -ALFONSO PAOLELLA dall'Estense8 e l'elenco muratoriano. A soccorrerci è però l'infaticabile Solerti nell'Appendice alle Opere in prosa di Torquato Tasso, Firenze, Le Monnier, 1892 (da lui curata a completamento dei due voli. di Prose diverse del Poeta curati da Cesare Guasti per lo stesso editore nel 1875). Qui della lettera c'è solo uno stralcio funzionale all'obbiettivo di operare un censimento dei testimoni delle prose tassiane, ma troviamo il resoconto dell'inchiesta fatta dal Solerti per ricostruire le vicende delle prose autografe scomparse dall'Estense (pp. 61-65). Eccone in sintesi i risultati: il Solerti viene a capo degli interrogativi quando è ammesso alla consultazione dell'archivio del marchese Gherardo Molza. Oltre ad una parte delle carte di famiglia, gli eredi Molza conservavano anche l'archi­ vio della famiglia Cortese, nel quale erano confluiti gli archivi Masdoni, Guidoni e Gambara. Gli autografi tasseschi facevano appunto parte dell'archivio Cortese, il quale, come seppi dal gentilissimo attuale proprietario, fu anche esplorato dal Muratori e in parte ordinato dal Tiraboschi. Però questo non spiega ancora come tali preziosi manoscritti siano usciti dalla Biblioteca Ducale, mentre soltanto una minima parte dell'intero fondo passava alla Regia Estense, e formino ora in casa Molza il più ricco deposito di autografi tasseschi ch'io mi conosca.9 Il Solerti precisa poi che allora i manoscritti tasseschi risultavano divisi fra i due fratelli marchese Gherardo e marchese Camillo ed elenca quanto è in pos­ sesso dell'uno e dell'altro. L'autografo che ci interessa lo troviamo tra quelli in possesso del marchese Camillo: "V'è poi Il Forastiero Napolitano overo della Gelosia, autografo di cc. 12". Poiché, come sappiamo, sono effettivamente 12 le cc. occupate dalla stesura autografa di S (più esattamente Ire 2-12) e a tale dato descrittivo sembra badare il Solerti, piuttosto che ad un esame esaustivo del fascicolo, sembra corretto ed economico identificare l'autografo sorrentino coll'originale allora conservato da Camillo Molza. L'assunto adombrato già nell'articolo del 23 gennaio 1948, forse non solo sulla base evidente di queste pagine del Solerti, ma di informazioni del Lauria (contenute in un suo catalogo nel quale compariva il Dialogo?), necessita di più dettagliate indagini destinate a 8 li Costante overo de la Clemenza (non citato dal Muratori), li Nifo overo del Piacere, li Cataneo overo de gli Idoli, li Forno overo de la Nobiltà, tutti autografi. 9 Alla nota I della stessa p. 63, dalla quale abbiamo citato, il Solerti così aggiunge: «Quantunque nell'interes­ se della storia di questi importantissimi mss. del Tasso sarebbe desiderabile sapere come dalla biblioteca Estense siano passati ali'Archivio Masdoni o Cortese: constando però che i duchi Estensi solevano essere generosi donatori anche di cimeli letterari, come all'uopo se ne potrebbero citare esempi, l'onoratezza della famiglia Masdoni­ Cortese esclude qualunque sospetto di abuso di fiducia; ed in ogni caso la famiglia Molza attuale non ne è venuta in possesso che per diritto ereditario. » Tav. 5. Ultima pagina del manoscritto autogr.: c. 12v. 24 GIORGIO FULCO -ALFONSO PAOLELLA far luce sulle circostanze del passaggio dell'autografo sul mercato internaziona­ le, che dovranno essere differite a tempi futuri, nel quadro di un aggiornamento dell'intera situazione dei manoscritti del Tasso, che potrà trovare uno stimolo nei lavori dell'Edizione nazionale dei suoi scritti. L'acquisizione del dialogo tassiano, se consentiva di soddisfare una legitti­ ma attesa di Sorrento, rimaneva pur sempre il frutto di circostanze favorevoli, l'occasione in cui si saldavano un atto di generosità (quello del Lauria) e un atto di lungimiranza e di acuta sensibilità alle ragioni della storia (quello del Croce). Nonostante la casualità, il recupero, ai nostri occhi, finisce per assumere una sua pregnanza del tutto particolare, se si riflette sul fatto che il tema dibattuto nelle nervose pagine della breve prosa tassiana occupa uno spazio molto significativo nell'esperienza lirica e nella riflessione del poeta e se si osserva quale incidenza abbia sull'elaborazione tassiana di questo motivo la cultura meridionale, soprat­ tutto quella lirica. Nessuno ormai ignora l'importanza dei ventisette Dialoghi monotematici quasi tutti scritti dal Tasso nel periodo della reclusione a Sant'Anna. Se in essi solo a tratti affiora intensamente la personalità poetica dell'autore, straordinarie per ampiezza si rivelano l'enciclopedia della cultura rinascimentale e la bibliote­ ca del Nostro (della quale sopravvivono tanti volumi attentamente postillati). Il raffinato sapere mondano e accademico, arricchito di spunti peregrini, di citazio­ ni preziose, trascorre fra gli argomenti alla moda sui modelli della vita sociale e cortigiana, sui sentimenti, sui piaceri, sulle virtù. Proprio nella stessa edizione in cui veniva offerto ai lettori il dialogo della Gelosia, il Tasso pubblicava il manifesto teorico della sua produzione dialogica, il Discorso del!' arte del dialogo. Piace qui ricordare, ripensando alla mediazione crociana con il Lauria, l'attenzione allora da poco dedicata dal Filosofo a questo testo teorico. 10 L'autore - si ricorderà - definiva il dialogo "genere drammatico", perché gli interlocutori sono chiamati a scontrarsi sul terreno di un determinato argo­ mento. Tuttavia la forma dialogica si distingue dal dramma, dove «la questione e i ragionamenti sono descritti per le azioni», perché presenta un modulo secondo il quale «l'azione è quasi giunta dei ragionamenti e, s'altri la rimovesse, il dialo­ go non perdereb,be la sua forma». Egli preferisce però al modello del dialogo ciceroniano quello platonico, perché possiede una struttura dialettica che manca all'autore latino. Sono dunque l'esempio platonico e il metodo socratico che IO B. CROCE, La teoria del dialogo secondo il Tasso, in Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento, Bari, Laterza, 1945, 1958', pp. 118-124. ·-;,,,,:··· -DELLE RllvIE ET PROSE DEL SIG. TO � �Aro T A S S' O. 'P A J.t TE Q._V .A ft.T A. · Di nuouo r,olh in luce, con gli Arg� n1en11 dell'ifidfo Autore. • . . C O 1'{. P � 1 Y I L E G l•. Tav. 6. Voi. con l'editio princeps del dialogo de la Gelosia, Bibl. Mus. Correale. 26 GIORGIO FULCO -ALFONSO PAOLELLA suggeriscono al nostro poeta l'andamento ritmico del ragionamento e il procede­ re delle argomentazioni spesso giocate sul filo dell'elegante paradosso e del con­ tradittorio accademico. Al tipo della causerie degli ambienti raffinati e cortigiani va ascritto il dia­ logo della Gelosia. Valutata a lungo come secondaria nella gerarchia dei Dialoghi tassiani, la schermaglia fra il Forestiero Napolitano (il Tasso) e Camillo Coccapani non poteva, probabilmente, neppure sotto la spinta della ricomparsa dell'autografo, godere di un'adeguata valutazione storico-critica per carenza di indagini mirate sull'argomento dibattuto ed, in particolare, sul dia­ gramma della sua presenza nella cultura classica, in quella medievale ed in quel­ la umanistico-rinascimentale. Una felice coincidenza ci consentirebbe, invece, oggi, nel momento in cui illustriamo gli autografi tassiani di Sorrento, di sfrutta­ re voci bibliografiche fresche e ricche di stimoli. Alludiamo, in particolare, a: J. Ferrand, A Treatise of Lovesickness Trasl. and Edit. and with a Criticai Introduction and Notes by Donald A. Beecher and Massimo Ciavolella, Syracuse, Syracuse Univ. Press, 1990 (si tratta della ripro­ posta in lingua inglese con ricchissimo apparato introduttivo ed ermeneutico dell'opera De la maladie d'amour ou Melancholie érotique nella sua seconda edizione [Toulouse, 1623]. Con sintetico apparato di note e breve introduzione il trattato è apparso in traduzione italiana nel 1991 a cura del Ciavolella col titolo: Malinconia erotica. Trattato sul mal d'amore, Venezia, Marsilio; al curatore si deve anche il volumetto La "malattia d'amore" dal!'Antichità al Medioevo, Roma, Bulzoni, 1976); Paolo Cherchi, A Dossier for the Study of Jealousy in D. A. Beecher and M. Ciavolella Edit., Eros and Anteros: The Medicai Traditions of Love in the Renaissance Ottawa, Dovehouse Editions Inc., 1992 (Univ. of Toronto, ltalian Studies, 9), pp. 123-134. Dalle suggestioni di Cherchi o da una singolare maturazione parallela, nascono i due recentissimi contributi di Stefano Prandi: Marino, Tasso e la gelosia, in "Filologia e critica", fase. 1, 1993, pp. 114-21; "Nelle tenebre ancor vivrò beato". Variazioni tassiane sul tema della gelosia, in Mappe e letture. Studi in onore di Ezio Raimondi, a c. di A. Battistini, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 67-83. Comincerebbe a questo punto un percorso affascinante che è qui possibile solo accennare. L' «allusivo e provocatorio» (Prandi 1994) Il Forestiero Napolitano o vero de la Gelosia esaspera nel confronto delle tesi spunti lirici e indagini morali che avevano trovato espressione in molteplici pagine del Tasso: in particolare nei sonetti 98 e 99, nella canzone 100 e nei madrigali [293] e [294] dell'edizione Solerti; in Rinaldo I XI 5, nonché nelle "Stanze della gelosia" con . ,•·� 1� (: ·· -�� I ••,:, �- · ,·., • • O I l -L .-F,ORAST-LER ·o; .. ., · 11. \.. ;· '. ·: . : ,... - ·.· ' ' .. . ' . . ., N A POLITANO, -·. ., . Ouero D EL L A. .GELO S. ·, t. A( •,·r ·: ·· · . . J,) I .\ L O G O · , , ·•/-'- ' · r.tf, ,,-1·.t:.��:�··'. .", ;· · ·. ·;• . 1 • Dcl S,ig:T.orCJ.H,aç�. • ,•i\ · .. ... . '. • : . . "f T·1!f9.! ·: I • •• .• •. ' ' "· · . . :· ·1 N::r ERLOCVTO ltl ,,:·., � )' - • 1:orafl.iéro '1'{�p.C��ilio Cocc�p�ni.:, >,;, ! '..·.· . I:,' ' .... : , . : .. ·; .. Hec o!H �clo(ìlt' e.e:; � _ Yo1, ch:c I haucte :ono-, · fèiuta pur liigà p-,11a ,'i . ne dimandate à ni::, che· . nonla conobbi'gi n1:1i · , ·, , · · ercfpcri.cnza. F.l (�p._, p �ali non fi3 lecito all'infermo dt dh mandare al medico la natura del rrt:ik-; . 1 CC.è più lccito_àmc_di non rifpo1ide.:.; !Icndo� e fetcrnfcrll)o,_ uo1 ,' rc;percbc n� . ;,,· . . Tav. 7. Incipit del dialogo nell'Edizione citata. 1 1 ., · . - 1 . .,� 28 GIORGIO FULCO -ALFONSO PAOLELLA autocommento, seguite dall'ampio e importantissimo Discorso della gelosia (letto nel 1577 a Modena) editi nell'Aggiunta alle Rime e Prose del signor To,rquato Tasso, Venezia, presso Aldo, 1585. Mentre nelle rime tassiane affiora la conoscenza e l'originale rielaborazione, oltre che delle fonti classiche (Verg. Aen. IV, 173-89 [Fama] e Ovid. Met. II, 760-82 [Invidia]), del Lorenzo il Magnifico delle Selve d'Amore, del Furioso (XXXI, 1-6) e del Casa (son. VIII), ma anche, e soprattutto, della tradizione meridionale dal Sannazaro (son. 27) al Tansillo (sonn. 7, 15, 16, 99, 100 e 101, ed. Percopo), per fermarsi alla genealo­ gia più consolidata (ma come dimenticarsi il Britonio de La gelosia del Sole, Napoli 1519?); nel Discorso, di cui il dialogo sul medesimo tema è una rastre­ mata performance fondata sull'«analitica cortese-moralistica» (Raimondi), non è difficile cogliere in filigrana un dibattito dottrinario ed accademico circolante, con esiti ora conflittuali ora sincretici, nella trattatistica platonica ed aristotelica, con visibili debiti col Varchi della lezione patavina del 1543 (edita nel 1545) Sopra un sonetto del Casa [quello famoso già cit.] e sulla gelosia. Nel Dialogo de la Gelosia il Forestiero napolitano, che quella sofferenza l'ha "conosciuta per lunga prova", come gli fa notare il suo interlocutore, e come ammette lo stesso Tasso quando riconosce "quantunque io non ne sia infermo come n'era in altro tempo, nondimeno ancora non sono guarito", la gelosia non è solo in connessione con l'amore, ma anche con l'onore, e non è solo figlia di "timore", ma anche stato d'animo paradossalmente produttivo e superiore che difende e prolunga il possesso di beni ambìti. Nell'età dei Paradoxia epidemica11 la cavillazione del dialogo, nel ribaltare i topoi e nel dare una patente di validità ad uno stato d'animo comunemente classificato in termini negativi, si riallaccia non solo alle trafile adombrate dalla bibliografia più recen­ te, ma anche all "'altro" Tansillo, quello dei Capitoli, il XXI: Al Signor duca di Sessa, Capriccio nel quale si loda la gelosia e il XXII: Al Medesimo Capriccio secondo in laude della gelosia. 12 Di questo e di altro, con l'auspicio che qualche lettore voglia, sulla scia della letteratura critica appena prodotta, farsi sedurre da un approfondimento personale, speriamo che ci sia in futuro offerta l'occasione di parlare in un pic­ colo viaggio testuale tra definizioni teoriche ed elaborazioni poetiche. 11 R. L. COLIE, Paradoxia epidemica, The Renaissance Tradition of Paradox, Princeton, N. J., Princeton Univ. Press, I 966. 12 I Capitoli di Luigi Tansillo si leggono ancora nell'edizione a c. di S. Volpicella, Napoli, Libreria di Dura, 1870. DUE GRANDI ARCHEOLOGI: LA ZANCANI E VALLET di Stefano De Caro Siamo lieti di pubblicare il discorso pronun­ ciato dal Soprintendente archeologico di Napoli e Caserta Stefano De Caro in ricordo di Paola Zancani Montuoro e di Georges Val/et il 27 agosto scorso, in occasione del "Pomeriggio in Villa" orga­ nizzato dal nostro Centro presso i ruderi della Villa di Pallio Felice al Capo di Sorrento. Poche settimane fa, nel presentare insieme al sindaco di Sorrento la mostra "Surrentum, 20 anni di ricerche nella penisola sorrentina", ho avuto più volte occasione di ricordare quanto quella nuova iniziativa dovesse all'azione diretta ed all'eredità spirituale di due grandi archeologi, Paola Zancani Montuoro e Georges Vallet, che avevano scelto la penisola sorrentina come sede dei loro studi, come spazio spirituale, ancor prima che geografico, in cui raccogliere le idee, meditare nuovi progetti, impegnarsi in quello che i Romani avrebbero defi­ nito i loro "otia". Sono molto grato al Centro B. Capasso e ai suoi responsabili, Enzo Puglia e Antonino Fiorentino, di avermi invitato a tenere un breve discorso su queste due figure di archeologi, perché ciò mi dà l'occasione più che per una rievoca­ zione della loro magistrale capacità di dominare la scienza delle antichità, delle loro imprese archeologiche, delle loro pubblicazioni, della loro autorità di Accademici prestigiosi, per una riflessione, in questa circostanza forse più appropriata, sul loro modo, esemplare e per tanti versi attualissimo, di concepire la funzione stessa dell'archeologia. L'idea cioè di una disciplina che pur muo­ vendo dalle più rigorose basi scientifiche e analitiche, ossia dell'esame del reperto archeologico o dell'opera d'arte nei suoi caratteri specifici, superava poi gli stessi risultati storici ed archeologici per mettere quei risultati al servizio con- 30 STEFANO DE CARO creto della collettività, ben al di là della sola pubblicazione scientifica, ovvia­ mente spesso difficilmente accessibile ai più. Questa concezione che portava entrambi all'impegno diretto in imprese e battaglie civili per la salvaguardia e la valorizzazione del nostro patrimonio cul­ turale (ricorderò solo la difesa della piana del Sele e di Paestum, di Sibari contro la costruzione del porto petrolchimico per la Zancani e le battaglie per Megara, i Campi Flegrei, la stessa penisola sorrentina per Vallet), nasce, a ben vedere, da un solo filone culturale, una linea unica che ha attraversato la nostra storia dell'ultimo secolo e che possiamo individuare nell'attività e nella storia profes­ sionale, pur per tanti altri versi diversa dei due grandi archeologi. L'origine di questo filone culturale potremmo riconoscere in un libro, non a caso di un archeologo francese che Georges Vallet amava sempre ricordare, François Lenormant. Il suo A' travers l' Apulie et la Lucanie, pubblicato nel 1883, introduceva nel panorama degli studi, anche molto pregevoli, del tempo, la novità di un'attenzione del tutto particolare alla realtà moderna, al paesaggio, alla geografia, ma soprattutto alle popolazioni, alla gente che viveva in quelle terre, e le cui condizioni di vita nella generazione dopo l'Unità destavano la compassione di tutta l'Europa. L'archeologia diventava così il mezzo di diffu­ sione della conoscenza di un problema politico e sociale, proposta di riscatto. Se pensiamo alla realtà dell'archeologia nell'Italia meridionale del periodo prece­ dente, e purtroppo per molto tempo a seguire, fatta di scavi solo destinati ad arricchire le grandi collezioni private e dei musei stranieri (non c'erano fino ad allora Musei pubblici nell'Italia meridionale ed il Museo di Napoli ha tutto som­ mato pochissimo dalla Magna Grecia), ci rendiamo conto dell'enorme cambio di direzione che l'atteggiamento di Lenormant rappresentava. Questa nuova sensi­ bilità, che recepiva gli stimoli del nascente dibattito sulla questione meridionale (pensiamo solo all'opera di Gaetano Salvemini e Giustino Fortunato), sarebbe stata raccolta da Paolo Orsi, il più grande archeologo dell'epoca in Magna Grecia e Sicilia, e da Umberto Zanotti Bianco. Il terremoto di Messina del 1909 fu la scintilla per un rinnovato impegno delle forze migliori e più avanzate d'Italia (e, va ricordato chiaramente, senza distinzioni di provenienza regionale, ché Zanotti Bianco era piemontese e Orsi di Rovereto). Nel 1910 nacque così quell'Associazione per gli Interessi del Mezzogiorno d'Italia di cui Zanotti Bianco fu apostolo entusiasta trasferendosi a 23 anni a Reggio Calabria per svi­ luppare l'azione di lotta contro l'analfabetismo, di promozione della costruzione di asili, scuole, ospedali, strade. La cultura aveva, secondo quegli ideali, mazziniani e poi crociani, un "Pomeriggio in Villa": Mario Russo guida la visita alla Villa di Pollio Felice. 32 STEFANO DE CARO posto essenziale in questa prospettiva di riscatto. E poiché la redenzione dei popoli passava attraverso il recupero delle loro radici, perché i templi, i vasi, le iscrizioni, le monete della Magna Grecia erano la prova visibile e concreta che queste terre avevano conosciuto epoche di altissima civiltà e che non esisteva dunque una ragione a priori che le condannasse alla miseria e al degrado, ecco che la storia e l'archeologia avevano una funzione importantissima in questo programma. Per far fronte alla penuria di mezzi che affliggeva le Soprintendenze e impediva loro di sviluppare i programmi necessari a esplorare, difendere, valorizzare quelle memorie, Zanotti Bianco fondò nel 1920 la Società Magna Grecia con lo scopo di raccogliere tra i privati i fondi necessari (e che condussero a memorabili campagne di scavo a Hipponion, Cirò, Velia, Metaponto, in Puglia, in Sicilia). Delegata a Napoli e sostenitrice della Società Magna Grecia era a Napoli nei primi anni '30 Paola Zancani Montuoro, laureata all'Università di Napoli alla scuola di Giulio Emanuele Rizzo e diplomatasi ad Atene con Alessandro Della Seta. L'incontro tra Zanotti Bianco e Paola Zancani Montuoro (nel 1933), la vicenda che ne seguì, della scoperta e degli scavi ali'Heraion alla foce del Sete, poi gli scavi di Sibari e di Francavilla Marittima, il posto di prestigio con­ quistato, grazie soprattutto ali'azione di Paola Zancani Montuoro, dall'archeolo­ gia della Magna Grecia nel quadro della cultura nazionale, si inscrivono perciò in questo filone culturale di impegno morale e civile che - va ricordato esplicita­ mente - non esitò per decenni a fare spesso anche da opposizione politica e da contrappunto culturale al trionfalismo retorico dell'archeologia ufficiale. Nello stesso filone, tenuto conto delle date e delle vicende personali natu­ ralmente diverse, s'è mossa l'opera di Georges Vallet. La sua insistenza su Lenormant, sui viaggiatori stranieri nel Mezzogiorno d'Italia, intendeva rianno­ dare quei legami con epoche in cui l'Italia meridionale era rientrata in sintonia con la storia d'Europa; la sua attenzione al territorio rifletteva la stessa disponi­ bilità umana dell'autore di A' travers l'Apulie et la Lucanie e la intelligenza di una consonanza di radici tra lui Accademico di Francia nato in Borgogna e gli operai di Megara o i contadini di Massa Lubrense, di una comune appartenenza ad una koinè europea, ad un'humanitas senza confini. I Musei, i parchi aercheo­ logici che aveva realizzato erano perciò per lui non il monumento della sua opera, ma l'estrinsecazione visibile di quegli ideali. Uomo d'azione, ricco dell'esperienza di grandi progetti attuati alla testa delle più prestigiose istituzioni culturali d'Europa, uomo inarrestabile, come la Zancani Montuoro, Vallet aveva come raccolto da donna Paola l'eredità di un patronato ideale sul patrimonio cui- "Pomeriggio in Villa": A. Fiorentino porge il saluto del Centro Capasso. "Pomeriggio in Villa": l'intervento del Soprintendente Stefano De Caro. 34 STEFANO DE CARO turale di questa terra che entrambi amavano. Con generosità del suo tempo e della sua pazienza, aveva così cominciato a sviluppare anche per la penisola pro­ getti su progetti, fin da quando era entrato a far parte della comunità di Pastena a Massa Lubrense ed in essi aveva coinvolto, con quell'umanissima capacità di dialogo che possedeva, oltre agli amici e ai cultori di sempre della storia e dell'archeologia della penisola sorrentina, sindaci, assessori, un numero sempre crescente di persone di ogni età e ceto. Aveva iniziato così, con l'entusiasmo di un giovane ispettore alla sua prima mostra, una lunga campagna promozionale condotta senza sosta con inter­ viste sui giornali, articoli redatti per riviste, interventi a convegni come quelli di Ravello per diffondere, con l'autorità della sua esperienza altissima di studioso ed il garbo del suo argomentare, l'idea della necessità del recupero culturale della storia della penisola. Non evidentemente quella storia erudita che è l'hobby innocente e talora anche utile, ma spesso sostanzialmente superficiale o campa­ nilistico di tanta parte della cultura della provincia italiana, bensì una visione storica profonda, dalle ragioni intimamente legate al territorio e alle sue comu­ nità, che se aveva per le età più antiche nell'archeologia il suo strumento, era ben lungi dall'esaurirsi nella sola archeologia, proponendosi come storia totale del territorio. Come era naturale per un archeologo fortemente sensibile alla lezione della scuola storica degli Annales, Vallet ha tracciato allora le linee guida per la ricerca: «Come lo storico - cito da un suo articolo sull'ultimo nume­ ro della "Terra delle Sirene" - s'interessa a quello che non muta più che all'avvenimento, alle persistenze più che alle cesure, cercando di determinare i fattori profondi (economici, geografici, culturali etc.) che scorrono al di sotto degli avvenimenti e dei fenomeni politici e sociali di superficie, così il ricercato­ re e l'operatore che si occupano del patrimonio debbono interessarsi a tutte le tracce che nella lunga durata lascia, al di sotto della grandezza lirica di realizza­ zioni logicamente molto più spettacolari, la quotidianità umile della vita degli uomini». Dopo l'esperienza per tanti aspetti esaltante dell'Operazione Conoscenza compiuta a Massa Lubrense nel 1991, un primo passo in questo programma di rilancio del patrimonio culturale della penisola si sta ora compiendo a Villa Fiorentino, con la mostra prima e poi, speriamo presto, con un Museo del territo­ rio della penisola. In verità la parola Museo non esprime bene l'idea di Vallet; in una città come Sorrento che ha già un altro illustre, pur se ormai insufficiente Museo, il Correale di Terranova, in un comprensorio che ha su entrambi i ver­ santi una ricchezza singolare di siti e potenziali parchi archeologici e storico- ., -=-�� .. _,;_.,.iii ,,. ' 36 STEFANO DE CARO naturalistici, a cominciare dal!'Athenaion caro a donna Paola, la parola Museo va letta come l'elemento di un più ampio «sistema integrato dei musei e dei par­ chi della penisola sorrentina»; e a sua volta, poiché non dobbiamo perder di vista, come Vallet e la Zancani Montuoro ci hanno insegnato, più ampie visioni, un tassello di quel progetto più complesso che deve essere la rete museale regio­ nale nel quadro del sistema nazionale tanto dei parchi quanto dei Musei. Per il riconoscimento di queste ragioni che Paola Zancani Montuoro e Georges Vallet hanno propugnato nella loro vita, credo che tutti dobbiamo conti­ nuare con tanto maggior impegno a lottare quanto più grande è il rimpianto per la loro assenza, forti del ricordo delle loro parole, grati alla sorte che ha voluto far partecipi noi e questa penisola della loro esperienza. UNA MOSTRA E UN MUSEO di Arturo Fratta Il sottotitolo della mostra dedicata a Sorrento dalla Soprintendenza di Napoli e Caserta, "Venti anni di ricerche archeologiche nella penisola sorrenti­ no-amalfitana", è molto promettente. Venti anni sono tanti, un'intera generazio­ ne, e quindi ben si spiega l'aspettativa che ha preceduto l'apertura dell'esposi­ zione a Villa Fiorentino. Il bilancio di quest'ultimo ventennio di attività archeo­ logica in penisola è esposto in una rassegna ben allestita nella bianca costruzione che si apre con i cancelli del suo parco sulla parte più centrale di corso Italia. Si comprende quindi come la mostra sia stata visitata da un considerevole numero di persone, nonostante la contenutezza dell'azione propagandistica del Comune di Sorrento: parsimonia che ha fatto sì che i manifesti annuncianti l'apertura della mostra, che pure erano stati stampati, siano stati così poco notati da far pensare a molti che non siano stati affissi. Parsimonia propagandistica da consi­ derare improvvida se si pensa che l'evento era destinato per sua natura a interes­ sare quella parte del turismo alla quale Sorrento tiene maggiormente, il turismo di qualità, cui sono dedicati i concerti al chiostro di San Francesco e le altre manifestazioni culturali sorrentine. Ma su questo punto ci sia consentito di tor­ nare più avanti. A ogni altra considerazione ci sembra doveroso anteporre l'enunciazione degli estremi del bilancio ventennale fatto in questa mostra dalla Soprintendenza. Bilancio da ritenere essenziale per l'archeologia sorrentina e per la ricostruzione della storia e della preistoria della penisola, soprattutto nell'estensione dell'orizzonte cronologico derivante dalla scoperta della necro­ poli eneolitica della Trinità, a Piano, una scoperta che conferma la presenza di popolazioni della cultura del Gaudo sull'altipiano, in una regione ben protetta 38 ARTURO FRATTA dalla costa alta, resa fertile dall'abbondanza dei corsi d'acqua, favorevole alle comunicazioni per la centralità tra i due golfi, collegati attraverso numerose vie istmiche ancora frequentate nei primi anni di questo secolo. Alle fasi più antiche la mostra dedica alcuni interessanti momenti di approfondimento: dall'illustrazione dell'evoluzione geologica e geomorfologica della penisola, alla presenza antropica nelle grotte della costiera sorrentina e amalfitana, al popolamento del Gaudo, alle sepolture eneolitiche della Trinità, alle necropoli arcaiche di Sorrento e del Deserto. Un altro punto nodale delle ricerche di questi ultimi venti anni si riferisce al periodo della sannitizzazione: è la scoperta della iscrizione osca di Punta della Campanella, di cui si mostra un ottimo calco. Anche se non può dirsi del tutto risolutivo del problema della esatta ubicazione del santuario di Atena, notissimo nell'antichità ma del cui edificio non sono state rinvenute tracce, il ritrovamento deve essere considerato un decisivo approccio e, insieme con il materiale votivo raccolto nei pressi del faro, un sicuro punto di partenza. Meno inatteso ma sicuramente molto suggestivo il ninfeo di Massa Lubrense, cui è stata dedicata un'intera sala della mostra. La straordinaria fattura del mosaico policromo fa iscrivere la villa cui il ninfeo apparteneva tra le impor­ tanti residenze romane fiorite sulla costa sorrentina quando Capri divenne sog­ giorno abituale degli Imperatori. Tre capitoli, questi cui abbiamo accennato, che segnano tre fasi distinte della storia della penisola sorrentina, una iniziale (ma in questo caso bisognereb­ be parlare di preistoria) ed altre due molto più tarde. Non meno importante la ricostruzione, ancora in corso attraverso una serie ormai numerosa di saggi, dell'abitato arcaico di Sorrento e delle sue strutture più recenti, alcune delle quali si presentano ai visitatori della mostra nello scavo aperto nel tratto di giar­ dino antistante Villa Fiorentino. Una grande emozione per i turisti, specialmente quelli stranieri, solitamente interessati alle aree archeologiche. Cosa che fa pen­ sare alla possibilità di estendere lo scavo nell'ampia area del parco della villa. Ma di suggestioni, tutte provenienti dal territorio sorrentino o ad esso relativo, la mostra di Villa Fiorentino ne riserba molte altre, dall'ascia neolitica proveniente da Termini, il piccolo centro a ridosso del Capo ateneo, al cinturone di bronzo e ai bei vasi attici a figure rosse della necropoli di Vico Equense, al rilievo mar­ moreo di Capo di Massa, allo stesso plastico ricostruttivo della villa di Pollio Felice, oltre al ninfeo di Massa Lubrense e al calco dell'epigrafe osca di Punta della Campanella di cui si è detto e a un numero considerevole di altri reperti, dai capitelli alle decorazioni architettoniche, dalle piccole sculture agli oggetti di Una sala della mostra "Venti anni di ricerche archeologiche nella penisola sorrentino - amalfitana". 40 ARTURO FRATTA uso quotidiano. Il tutto ben illustrato da pannelli e da chiare didascalie. All'esposizione, che impegna solo una parte del pianterreno di Villa Fiorentino, sottende una lunga preparazione, cui hanno lavorato con l'ispettrice di zona della Soprintendenza Tommasina Budetta gli archeologi Claude Albore Livadie e Mario Russo. Accanto a loro nella concezione della mostra sono stati il Soprintendente De Caro e il grande archeologo scomparso Georges Vallet, al quale lo stesso Sindaco Marco Fiorentino, nel discorso inaugurale, ha ricono­ sciuto d'essere il vero ispiratore della rassegna archeologica, "una guida scienti­ fica e spirituale per tutti". Il catalogo della mostra, al quale hanno collaborato alcuni importanti stu­ diosi e che è in avanzato stato di preparazione, dovrebbe costituire quel contri­ buto alla conoscenza sistematica dell'archeologia sorrentina che si attende a cin­ quant'anni ormai dalla pubblicazione del lavoro di Mingazzini e Pfister, quasi una summa degli studi e delle ipotesi precedenti (Beloch, Capasso, Filangieri, ecc.) e una rassegna di nuove certezze ma anche di nuove ipotesi. Perché occorre riconoscere che il campo delle ipotesi è ancora vasto. E non per difetto di studi, quanto di indagini sul campo. In mancanza di scavi sistema­ tici, i temi maggiori dell'archeologia sorrentina - quelli relativi al culto delle Sirene e a quello di Atena - restano privi del supporto di dati archeologici e cari­ chi di interrogativi. Interrogativi che si estendono a molti altri problemi evidenti: non si conoscono che sporadicamente le vaste necropoli del Deserto e di Acquara, per non parlare delle necropoli urbane di Sorrento. Di alcune ville marittime, come quella detta di Agrippa Postumo, quella di Massa Lubrense e numerose altre non si hanno che dati estremamente limitati. Ecco perché alla mostra sorrentina, che ha avuto anche il compito di costituire un bilancio, deve seguire ora un programma. Questo ci riporta al discorso iniziale sulla tiepidezza con la quale è stata propagandata la mostra. Vorremmo sbagliare, e saremo contenti di essere con­ traddetti dai fatti. È nostra opinione, e non solo nostra, che intorno a questa mostra e alla conseguente annunciata costituzione del museo archeologico a Villa Fiorentino non ci sia stata e non ci sia unicità di intenti. Quanto meno non ci siano idee chiare. O, per dirla con parole ormai desuete e consunte, non ci sia volontà politica. A nostro parere solo la costituzione di un importante museo archeologico a Sorrento, nel quale far confluire collezioni dal Museo nazionale di Napoli e materiali dal Correale. e forse da Vico Equense, potrebbe spingere il Ministero dei Beni culturali a consentire e finanziare una grande campagna di Il ninfeo di Massa Lubrense. 42 ARTURO FRATTA scavi, conseguente a una adeguata preparazione. Ma pare che a Sorrento stia accadendo quel che è accaduto ad Ischia, dove il Museo di Villa Arbusto, di cui il Poligrafico dello Stato ha già stampato la guida, non si apre in attesa che sia pronto il già finanziato Centro Polifunzionale. O quel che sembra stia accadendo a Vico Equense, dove l'importante Antiquarium starebbe per essere sloggiato dalla sua sede attuale. Parliamoci chiaro. Villa Fiorentino non ha spazi sovrabbondanti: due piani e mezzo, una diecina di sale oltre ai locali necessari per depositi, per uffici e per servizi. Non moltissimo ma nemmeno poco se veramente si vuole che Sorrento abbia un suo museo archeologico, sicura attrattiva per il tipo di turismo che Sorrento preferisce, sicuro incentivo a un ulteriore impegno per l'archeologia sorrentina. Ma se si vuole, oltre alle esposizioni permanenti, ospitare a Villa Fiorentino "con cadenza biennale apposite mostre di carattere storico artistico o inerenti le culture di altri paesi", come si legge in un dépliant; se nella costi­ tuenda struttura si sceglie di non "tralasciare alcune peculiarità artistiche e arti­ gianali della cosiddetta terra delle sirene"; se si decide di "riservare una o due sale alla Banca dati multimediale del Territorio"; se si vuole fare di Villa Fiorentino un Centro Polifunzionale, per dirla con gli ischitani; se insomma si preferisce tenere a propria disposizione quegli spazi nella paura di esserne espropriati, lo si dica con chiarezza e non si faccia in modo che l'idea del museo archeologico cada senza colpo ferire, ma solo perché il Ministero dei Beni cultu­ rali ha rinunziato per stanchezza e per sempre al proposito di costituire piccoli musei comunali, come sembrava fosse nelle aspirazioni generali. Se invece si intende fare sul serio, senza cedere a velleitarismi ma seguen­ do sinceramente indicazioni e ispirazioni cui si continua ad appellarsi, si cerchi­ no altri spazi per le iniziative (tutte giuste, tutte opportune!) cui si vuole dare vita. Altrimenti si disdica la convenzione siglata con la Soprintendenza per la costituzione di quello che dovrebbe essere un piccolo ma importante museo archeologico. E ci si volga apertamente verso diversi obiettivi. ALLA RICERCA DELLE NUOVE SIRENE di Gilberto Antonio Marselli Era una delle più calde mattine di questo agosto quando - appoggiato ad uno scoglio ed assorto nei miei pensieri - sono stato scosso da una flebile voce che veniva dal mare agitato. Era quella di una delle più antiche abitanti di questa penisola - la Sirena Partenope - che sovrastava di gran lunga le voci - davvero meno dolci - delle sue compagne. Una volta abituatomi a questa sorpresa, mi fu facile sintonizzarmi con essa ed intendere le sue parole. In breve, mostrandomi gli scarti di pomidoro e gli altri rifiuti - che, dalle foci dell'ormai giallo Samo, navigavano minacciosamente da Sorrento a Capri mi invitò a riscoprire - come, un tempo, aveva fatto Norman Douglas, quando le immortalò quali protettrici di questi luoghi - le nuove e più moderne Sirene. Quelle, cioè, che, oggi, sarebbe stato necessario mobilitare ed impegnare in prima persona perché mettessero a disposizione le loro competenze per un'estre­ ma difesa di queste bellezze. E mi dette appuntamento, per l'indomani mattina prestissimo nella piazza di Vico Equense, che - prima della costruzione della galleria di Seiano - era, a ragione, considerata proprio la porta di ingresso della Penisola Sorrentina. Se vogliamo, un invito ad una missione disperata, perché, come parecchi, anch'io ero più che consapevole della necessità di fare qualcosa per valorizzare al meglio tutte le energie presenti in questa felice terra: quelle indigene e, ancor più, quelle periodicamente ospiti, perché l'hanno prescelta come luogo per le loro vacanze. Un'interazione - questa tra gli ospiti e gli indigeni - resa indispen­ sabile soprattutto dal fatto che questi ultimi, troppo frequentemente, sono preda di una sorta di abulia - che li induce più al pensiero che non all'azione - oltre che pericolosamente esposti all'influenza del proprio campanile, a danno di quello pur immediatamente più vicino. Tutto ciò congiurò terribilmente per convincer- 44 GILBERTO ANTONIO MARSELLI mi a partecipare a questa avventura: e, devo confessarlo, con una notevole dose di curiosità, accresciuta dal fatto che - come, poi, l'esperienza mi ha ampiamente dimostrato - ancora non sospettavo cosa avrei scoperto sotto la guida della Sirena Partenope. Il primo incontro fu più che significativo: nella sua casa, là dove comincia la salita per il FaitÒ, trovammo Michele Prisco, intento alla correzione dell'ulti­ mo parto della sua fantasia. A malincuore si era dovuto staccare dalla propria nipotina - la privilegiata che, unica tra tutti i mortali, poteva liberamente curiosa­ re nel suo studio, fino, addirittura, a toccare le tante matite così religiosamente appuntite - e, quindi, con una signorile bonomia subì anche questa nostra inva­ sione. Devo confessare, anzi, che, inizialmente, rimasi male a vedere che, natu­ ralmente, era più interessato a Partenope che a me; ma subito, appena se ne accorse, mutò del tutto il suo atteggiamento, dandomi, sia pure per un attimo, l'inebriante sensazione di essere l'ospite privilegiato in questo suo regno. Condivise l'allarmata preoccupazione della mia guida e, dopo averci fornito utili suggerimenti, ci benedì, con un gesto più che laicamente sacerdotale. La brigata equense - che siamo riusciti a raccogliere, stanandone i membri dai loro rifugi - alla fine risultò equilibratamente costituita da due componenti fondamentali, anche se, tra loro, molto eterogenee: quella dei docenti universita­ ri e quella dei politici. I primi, rappresentati dal giurista Ernesto Briganti - al viale della Rimembranza - e dallo storico della filosofia Fulvio Tessitore - a San Francesco -; i secondi, alla Marina, tra loro legati anche da vincoli di parentela: gli ex-senatori Carlo Fermariello ed il cognato Pietro Valenza. A casa di Fulvio Tessitore abbiamo potuto constatare de visu l'intima sof­ ferenza di chi - fedele agli insegnamenti avuti dal suo Maestro, Pietro Piovani è atrocemente combattuto tra il desiderio di poter continuare, anche in questa pace, i suoi studi ed i doveri derivantigli dall'alto incarico da lui assunto quest'anno di Magnifico Rettore del glorioso Ateneo Federico Il. Carlo Fermariello e Pietro Valenza - conclusa la loro esperienza di comu­ nisti e pur sempre fedeli ad un'idea di rinnovamento e di progresso - continuano a dedicare i loro sforzi alla costruzione di un'intesa più larga nella sinistra democratica, nella quale ritrovarsi, magari, con avversari di ieri, ma fermamente decisi a concorrere alla costruzione di un diverso futuro per il nostro Paese. Il primo, Carlo, molto spesso indotto a ricordare con nostalgia la sua occasionale parentesi cinematografica, quando fu prescelto da Francesco Rosi per il ruolo del!'oppositore nel suo famoso film Le mani sulla città. ALLA RICERCA DELLE NUOVE SIRENE 45 Ma l'approdo vero e proprio alla Penisola Sorrentina non può non avvenire a Meta: il primo dei Comuni sorrentini, quasi la prima linea dell'impenetrabile ed anche anacronistico - fortilizio costruito attorno al capoluogo. Qui è obbliga­ toria una sola, ma intensa sosta: quella al vicolo S. Stefano per incontrare non già uno dei tanti ospiti, ma un vero indigeno: l'ingegnere Mario Maresca. Il famoso Presidente della Sezione sorrentina di Italia Nostra che per anni, insieme con la propria moglie (Antonia de Angelis Effrem), ha rivestito il ruolo non faci­ le di coscienza critica nei confronti delle Amministrazioni locali e di quanti non avevano il dovuto rispetto del nostro paesaggio. Ma, questa volta, vorrei partico­ larmente ricordarlo per il suo museo privato sulle attività marinare, che potrebbe essere meglio valorizzato ed utilizzato dalle comunità locali: una raccolta pre­ ziosissima di modellini dei vecchi bastimenti sorrentini - quando solcavano gli oceani per portare i nostri prodotti in terre lontane -, di attrezzi marinari (tra que­ sti, i sestanti ed anche i resti tragicamente attorcigliati della vela di un bastimen­ to che, alla fine dell'Ottocento, naufragò nei mari dell'America Latina) e di carte nautiche e portolani. Altri due indigeni ci vengono incontro, man mano che da Meta procedia­ mo verso Sorrento. A S. Agnello, è il prof. Arturo De Maio, che, con nostalgia, ricorda il periodo in cui, in qualità di Rettore, ha retto le sorti dell'Istituto Universitario Navale di Napoli: il primo di tal tipo nella tradizione italiana. A Piano di Sorrento, a sua volta, da Mortora, ci viene incontro - anzi, quasi ci inve­ ste con la sua motocicletta - il prof. Giancarlo Spiezie, ordinario di Oceanografia allo stesso Istituto Navale, che è già molto attivo a favore di questa o quell'ini­ ziativa promossa in queste terre: l'ultima, la sua collaborazione al Centro Meridionale di Educazione Ambientale (CMEA), operante presso il Comune di Sorrento. Enormemente più difficile il nostro compito a Sorrento, se non altro per­ ché, a questo punto, siamo costretti a prendere una decisione niente affatto faci­ le: nella ricerca di queste nuove Sirene, dobbiamo includere anche i più o meno luminari della medicina o, invece, ignorarli? Non vi è alcun dubbio che questi o per prolungamento ufficiale della loro attività professionale o perché, non va ignorato, sempre pronti a prestare il loro aiuto a quanti, forse, vi ripongono più fiducia che nei medici locali - sono delle presenze incontestabili. Ma, proprio per la natura di questa loro presenza, la mia guida Partenope, con apprezzabile saggezza, mi propose di non includerli in questa nostra esplorazione: d'altra parte, avremmo dovuto scrivere volumi e volumi per tratteggiare i loro elementi più distintivi e, in particolare, il loro singolare rapporto con queste popolazioni. 46 GILBERTO ANTONIO MARSELLI E mentre eravamo intenti a rinfrescarci con una spremuta di arancia - nei pressi di quella meravigliosa testimonianza di un passato ancora vivo che è la loggia del sec. XIV con cupola secentesca del Sedile Dominova (uno dei due sedili dell'antica aristocrazia sorrentina), in cui è ancora ospitata un'attiva Associazione operaia - ci venne incontro, con il suo solito sorriso intelligente­ mente ironico, il prof. Mario Russo: docente in un Istituto sorrentino, ma a noi più particolarmente caro per la sua azione di ispettore onorario della Sovrintendenza archeologica. È a lui che si devono molte interessanti scoperte sia nel centro di Sorrento, sia nell'agro, fino, addirittura, alla Punta della Campanella. Fu lui - insieme con il proprietario de Il Parrocchiano - il più atten­ to ascoltatore dei programmi di un'altra eminente figura di studioso, scomparsa da poco, - l'Accademico di Francia e dei Lincei Georges Vallet, lo scopritore di Megara Hyblaea, in Sicilia - quando sognava di poter dar vita, a Sorrento, ad un Museo archeologico e del territorio. Il ricordo di quest'amico, purtroppo non più con noi, rattristò non poco il nostro incontro; ma fu anche l'occasione perché Partenope ci ricordasse che, in questi anni, si era già perso troppo tempo, si erano mancate troppe occasioni, si erano sprecate troppe parole, si erano consumati troppi conflitti campanilistici senza combinare alcunché: per fortuna, la mostra inaugurata a Villa Fazzoletti poteva essere foriera di una reale inversione di tendenza. Lasciata, finalmente, Sorrento, ci incamminammo pigramente verso Massa Lubrense, non senza esserci fermati in rispettoso omaggio davanti alla villa che ospitò Gorki, alla Rufo/a - in cui finì i suoi giorni don Gaetano Salvemini - e, più oltre, ai ruderi della Villa di Pollio ed ai bagni della Regina Giovanna. Ripreso il cammino, la prima sosta fu a Villa Grimaldi, per salutare il prof. Carlo Pedone, chimico ed animatore della nuova Facoltà di Scienze ambientali a Caserta, che era con il collega Alberto Buri - pure lui chimico, ma alla Facoltà di Ingegneria che si rifugia a La Cava. Quasi furtivamente, superammo la curva di Puolo: non volevamo essere sorpresi dall'attento Direttore di questa rivista, che, dal suo privilegiato ed esclu­ sivo osservatorio, tiene sotto controllo l'accesso a Massa. Fu necessario un rapi­ do confronto per programmare la migliore utilizzazione possibile del nostro tempo: avremmo dovuto completare il giro entro il tramonto perché la mia guida doveva tornare al Vervece, dopo essere passata per i Faraglioni e la Cala di Jeranto, a controllare che tutto fosse in regola. Così, grazie all'intervento di Carlo Franco - che sembra risieda permanen­ temente al Bar Osvaldo, in piazza - fu possibile organizzare una riunione estem- ALLA RICERCA DELLE NUOVE SIRENE 47 poranea, sulla terrazzina che si sporge sui limoneti, verso la Lobra. Vi partecipa­ rono i professori Angerio Dragonetto Filangieri (quello della Villa alla Mortella, figlio di Riccardo); Franco Mancini (lo scenografo dell'Accademia di Belle Arti, lieto quando può restaurare un angelo od una statua antica) con Christina Bethe e la sua raccolta di preziose mattonelle del '700, sempre accompagnati dalla coppia dei loro cani fedeli; il pittore Armando de Stefano e, infine, un'altra cop­ pia: quella dello storico Atanasio Mozzillo - l'esperto, per antonomasia, dei viaggiatori del '700 - e di sua moglie Giovanna Percopo, autrice di preziosi libri sulla vita napoletana (basterebbe ricordare l'ultimo: Le alghe di Posillipo). Lasciati Franco e Christina a S. Antonio, il viaggio è continuato verso Punta Lagno per incontrare: il prof. Luigi Golino (ancora arrabbiato di essere stato riconosciuto da molti più come padre dell'attrice Valeria che per i suoi studi all'Istituto Universitario Orientale di Napoli); la prof.ssa Angelica Dentice di Accadia, autorevole esponente del Servizio Sociale presso il Tribunale dei minorenni di Napoli; l'ingegnere Filippo de Luca, dell'Alfa-Avio di Pomigliano d'Arco, attento persecutore dei polipi di questa baia. Superato il Pontone, a Marciano, ci si incontra con Fabio Cicogna e Claudio Alaique - entrambi operanti a Roma, nel campo dell'organizzazione industriale - e con Massimo Giordano, un tempo Dirigente del Banco di Napoli. A S. Maria dell'Annunziata ci attendono due lietissime sorprese: Michele Lubrano di Scorpiello - attento corrispondente della RAI da Parigi - ed il prof. Valentino Braitenberg - che per Wiener, il padre della cibernetica, studiò i polipi del nostro Golfo - quando, negli anni '60, fece parte del suo famoso gruppo di studio, operante presso la Stazione Zoologica di Napoli. Prima di proseguire per S. Agata - dove ci attendono altri amici - un salto a Nerano ed a Marina del Cantone per incontrare l'architetto Filippo Alison ed il sociologo Gerardo Ragone. Lungo la strada per S. Agata, è di rito la sosta a Pastena, da Laura Vallet, per ricordare ancora una volta l'amico Georges e riconsiderare i suoi progetti. A S. Maria del Toro, il prof. Enrico Viganò - il con­ sulente aziendale - funge da aperitivo per i due ultimi incontri di questa intensis­ sima giornata: infatti, a Le Tore, prima parliamo con il prof. Guido D'Angelo l'esperto di legislazione urbanistica, un tempo esponente democristiano - e, poi, ci fermiamo a prendere il tè con il prof. Gustavo Minervini - illustre docente di Diritto commerciale a La Sapienza di Roma, per un certo periodo Deputato indi­ pendente di sinistra, oggi Presidente della Fondazione Banco di Napoli). Agevolati dal fresco della vicina pineta ed assistiti dai consigli di questo nostro ultimo amico, con Partenope cerchiamo di trarre le più logiche conclusio- 48 GILBERTO ANTONIO MARSELL/ ni da questo peregrinare attraverso la Penisola Sorrentina. Innanzitutto, gli incontri sono stati i più vari possibili e ciascuno, a modo suo, ci ha stimolato nel senso del nostro obiettivo iniziale: rilevare la reale consi­ stenza di energie da poter mobilitare perché - insieme con gli amici locali e, in particolare, con i più attivi di loro - si possa dar vita ad iniziative durature ed efficaci, tali da assicurare il meritato rilancio di queste terre. Solo allora Partenope e le sue altre compagne potranno tornare a vegliare su noi, secondo il disegno svelatoci da Norman Douglas, e ad incantare i naviganti: non quelli, però, che continueranno ad ostentare quei pacchiani/erri da stiro, come sdegno­ samente gli inglesi - che hanno un vero e proprio culto del mare - chiamano quei mostruosi motoscafi, mortificati a dover valere, spesso fittiziamente, come mera immagine di uno status. IL PRESEPE DELLA CHIESA DI S. ANTONINO di Antonio Lebro Raccontare la storia del prestigioso presepe sorrentino di S. Antonino mi rallegra l'animo. Contemporaneamente affiorano anche tristi e tragici ricordi. Sono le memorie della mia infanzia - avevo 11, 12 anni - un periodo della vita fatto di sogni, di giochi, di fantasia, ma che per quelli della mia generazione coin­ cide con gli anni della guerra e delle ristrettezze, gli anni dell'oppressione nazifa­ scista, scandita dal ritmo delle marce militari. Questa premessa mi sembra necessaria a riportare il lettore ad un periodo ormai lontano (è passato più di mezzo secolo) che spiega come siano pochi i ricordi sopravvissuti al tempo. Dell'ambiente sorrentino di allora il personaggio che meglio ricordo è certamente quello del donatore e mecenate Silvio Salvatore Gargiulo. Nobile figura di Sorrento, antiquario, poeta. In quest'ultima veste era noto come Saltovar. Mi tornano in mente i suoi versi e i piccoli volumi che mio padre, tornando dal lavoro, mi portava. Mi è rimasta impressa una sua poesia dedicata all'inverno: « ... Nel rigido e brutale inverno / le fave io semino nel mio orto interno/ ove i prezzemoli con l'erba fine/ crescono assidui per la cucina ... ». Gargiulo doveva essere necessariamente un grande collezionista di pastori del '700 napoletano se ebbe l'illuminata idea di donare la propria raccolta alla Basilica di S. Antonino in Sorrento e di prevedere per questa un presepe stabile da costruire a sue spese. L'incarico per la realizzazione dell'opera fu affidata a mio padre Antonio. Tra lui e Gargiulo vi erano già stati rapporti professionali e di cordiale stima che divennero in seguito di sincera amicizia. I lavori durarono circa un anno e furono di grande soddisfazione per il nostro studio. Questo accadeva sul finire della guerra. Molti anni dopo, nel 1972, il Rettore della Basilica Monsignor Carlo Persico invitò mio padre a ese­ guire un intervento di restauro. Questa volta, insieme con mio fratello Rosario, 50 ANTONIO LEBRO contribuii fattivamente al lavoro. E quindi ne ricordo bene l'impianto. Il presepe rispecchia in modo classico lo schema del presepe napoletano del XVIII secolo. È composto da tre "episodi" raccolti in un'unica scena. Al centro spicca, a simboleggiare la vittoria del cristianesimo sul paganesimo, il rudere di un tempio romano ove è collocata la Natività. A destra dell'osservato­ re è una scena pastorale con l'episodio evangelico dell'Annuncio, mentre a sini­ stra compare un altro "classico" presepiale, la taverna. L'aspetto più singolare se non unico della scenografia è costituito dall'inserimento del paesaggio sorrentino, fatto di stradine e vicoletti, edicole votive, fontane. Un insieme di grande fascino ove, prima del furto operato nel 1980, trovavano spazio le minuscole sculture settecentesche, i cui autori vanno ricercati tra i più rappresentativi artisti dell'epoca. Possiamo ricordare tra questi Matteo Bottiglieri, Giuseppe Sammartino, Francesco Celebrano, Nicola Somma, Salvatore Di Franco e, ancora, Lorenzo Mosca, Giovan Battista Polidoro, Giuseppe Gori, Angelo Viva, Tommaso Schettini, Nicola Ingaldi. Credo utile ricordare che anche gli autori degli animali e delle nature morte erano artisti ugualmente validi e conosciuti: Francesco e Nicola Vassallo, Francesco Gallo, Tommaso Schettino, Carlo Amatucci, Giuseppe De Luca, Nicola Ingaldi. Anche i pastori di questo presepe, come la netta maggioranza dei pastori del XVIII secolo, avevano (ma forse occorre dire "hanno", perché, anche se non più legati al presepe sorrentino, esistono ancora, sicuramente in una collezione privata) la testa in terracotta, gli occhi di vetro soffiato e dipinto a mano sul retro, mani e piedi in legno di tiglio. Il manichino è realizzato con un'anima in filo di ferro ricoperto da canapa poi rivestito di stoffa. Molteplici e di grande interesse sono le stoffe impiegate: broccati, sete, velluti. I bottoni ed i minuscoli gioielli rappresentano un vero capolavoro dell 'ore­ ficeria del Settecento. Eseguiti in nobili metalli quali rame, argento e raramente oro, sono miniature di tale fattura da poter meritare una più approfondita tratta­ zione. In questo prestigioso presepe di Sorrento ogni elemento compositivo meri­ tava un approfondimento per la sua raffinatezza esecutiva. Vanno in particolare ricordati alcuni angeli di Giuseppe Sammartino. È l'angelo nunziante ad essere particolarmente di spicco. Altri pezzi che emergevano dalla folla dei personaggi sono un pastore della meraviglia (anch'esso di Sammartino) ed un pastore di piccola misura (25 - 28 cm) raffigurante un suonatore d'arpa. In questi giorni natalizi avrei voluto vedere nuovamente quello che era senza dubbio uno dei più bei presepi napoletani. Quando fu saccheggiato, fu Dettagli del Presepe della Chiesa di S. Antonino con le figure originali trafugate nel 1982. 52 ANTONIO LEBRO commesso un atto vergognoso, che sottrasse alla comunità molto più di un capo­ lavoro artistico. È un pezzo di "memoria" della città di Sorrento ad essere stato cancellato. Vive in me la sola speranza che un illuminato mecenate voglia un giorno ricreare quello splendido capolavoro. Antonio Lebro nel suo studio di via S. Gregorio Armeno. REALTÀ E IMMAGINARIO DEL PAESAGGIO SORREN TINO ALL'ESORDIO DELLA FOTOGRAFIA di Giovanni Fiorentino Dove già l'opera di letterati, musicisti, pittori, viaggiatori illustri venuti in Italia costituiva tra Sette e Ottocento nutrimento di un'immaginazione e di un immaginario che valicava con facilità le Alpi ed era celebrato in tutt'Europa, lì il fotografo, dalla seconda metà dell'Ottocento, non poteva che cercare "una con­ ferma visiva" non lontana dalla forma originaria immaginata, un riconoscimento di luoghi esistenti, quali visioni immaginarie già profondamente radicate nelle fantasie inconsce della borghesia. 1 Dopo il 1850 il fotografo "professionista" francese o tedesco raggiunge il "piano" di Sorrento attraverso l'impervia stradina costiera con un pesante arma­ mentario necessario ad ottenere le rivoluzionarie immagini: una carrozza che deve funzionare anche da camera oscura, un apparecchio fotografico di tre o quattro chilogrammi, lastre di vetro in quantità, preparati chimici, attrezzi di vario genere e tutto ciò che implica la natura specifica della fotografia. A comin­ ciare dalle potenzialità pubblicitarie del nuovo mezzo tecnologico, con il quale i confini tra verità e sogno, mito e realtà, conscio e inconscio, crollano nella più assoluta ambiguità. 2 E l'immagine fotografica di Sorrento,3 che presto arriverà nei salotti delle capitali europee attraverso preziosi album rilegati o illusorie steI Cf. FRANCESCA ALINOVI - CLAUDIO MARRA, La fotografia: illusione o rivelazione?, Bologna, Il Mulino, 1981, p. 76. 2 Basti, in tal caso, ricordare alcuni tra i testi fondamentali: R. BARTHES, La camera chiara, Torino Einaudi, 1980; W. BENJAMIN, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1966; P. BOURDIEU, La fotografia. Usi e funzioni sociali di un'arte media, Rimini, Guaraldi, I 972; S. SONTAG, Sulla foto­ grafia, Torino, Einaudi, 1978. 3 Sulla fotografia a Sorrento si segnalano alcuni testi, utili soprattutto per un nutrito repertorio di immagini: AA. VV., I golfi della bellezza negli archivi Alinari, Firenze, Alinari, 1979; AA. VV., Contadini Santi e Pescatori. Immagini del Piano di Sorrento, Firenze, Alinari, 1983; A. FIORENTINO, Memorie di Sorrento. Metamorfosi di un incantesimo 1858-/948, Napoli, Electa, 1991. 54 GIOVANNI FIORENTINO reoscopie tridimensionali,4 con la sua "vera" ambiguità stravolgerà completa­ mente la percezione della Sorrento reale e ne condizionerà l'esistenza. È opportuno precisare che solo in quegli anni la "tecnologia" fotografica diventava un buon affare. Con il procedimento al collodio umido (1850/51),5 le immagini apparivano più definite, i tempi di posa diminuivano notevolmente (per i paesaggi oscillavano fra i 10 e i 90 secondi), i costi si riducevano e, soprattutto, l'unicum del dagherrotipo veniva sostituito dalla riproducibilità infi­ nita delle copie "positive" dalla singola matrice "negativa". Napoli inoltre era ancora al centro del Grand Tour, metropoli in grado di conciliare il fascino della natura con il fascino delle radici dell'Occidente, un aspetto mortuario intima­ mente legato alla fotografia e un aspetto vitale che aspetta solo di essere immor­ talato sulle lastre. La capitale del regno borbonico ha sviluppato una florida industria intorno a un mercato delle immagini spinto ai margini della serializza­ zione. La scuola di Posillipo, scrive Mario Rotili, è «sostanziata di umori euro­ pei e disposta a soddisfare anche esigenze pratiche, come appagare un mercato in via di sviluppo, poiché la capitale e i suoi dintorni sono giunti al vertice della loro fortuna turistica, tanto che i pittori, i quali operano all'aria aperta in piena libertà, indulgono anche, nello studio, ad una produzione quasi di serie». Fenomeno che, continua Rotili, «investe anche Sorrento e la costiera». Nel sod­ disfare le esigenze dei viaggiatori che volevano portar via un ricordo, si favori­ sce quindi anche lo sviluppo dell'incisione 9riginale o della riproduzione dei dipinti, e nell'ambito di questa produzione non si trascura certo Sorrento e il suo scenario,7 provvedendo a creare un modello preciso che desidera essere riprodot­ to analogicamente dalla realtà. L'eredità andava immediatamente raccolta. La concorrenza velocemente instaurata. Il fotografo dell'età del collodio deve gareggiare «con l'incisività riproduttiva dei bulini e dell'acquaforte». Deve essere fine artigiano e avere senso del commercio per entrare in un mercato già vasto e in piena espansione. Deve possedere cultura visiva e senso estetico, perché la precisione apparente6 8 4 Per comprendere l'attesa che circondava tali immagini basta leggere Baudelaire che nel Sa/on de 1859 (in Scritti sull'arte, Torino, Einaudi, I 981, p. 221) scrive: «Migliaia di occhi avidi si chinarono sui buchi degli stereo­ scopi come sugli abbaini dell'infinito». 5 Fu descritto quasi contemporaneamente dal francese Gustave Le Gray e dall'inglese Frederick Scoli Archer. 6 M. Ronu (a c. di), Sorrento nell'incisione del/' Ottocento, Napoli, SEN, 1977, p. 17. 7 Ibidem, p. I 8. 8 M. MIRAGLIA, L'immagine tradotta dall'incisione alla fotografia, Catalogo della mostra allo studio Trisorio, Napoli, Studio Trisorio, 1977, p. 13. Sull'argomento resta fondamentale AA. VV., Immagine e città. Napoli nelle collezioni Alinari e nei fotografi napoletani fra Ottocento e Novecento. Napoli, Macchiaroli, 1981. REALTÀ E IMMAGINARIO DEL PAESAGGIO SORRENTINO 55 mente oggettiva del mezzo non basta. Bisogna affiancare, e poi subentrare, ad una tradizione iconografica, letteraria e musicale ben radicata. Robert Rive, Alphonse Bernoud e Giorgio Sommer, tra i primi fotografi ad arrivare a Napoli e poi a Sorrento, sono. tutto questo. Artigiani, professionisti, imprenditori, commercianti. Lavorano su tutto il territorio nazionale, con "studi" da Livorno a Palermo, da Firenze a Roma, e naturalmente nella capitale parteno­ pea. Sono presenti sulla scena internazionale raccogliendo premi alle esposizioni universali. Legano, per motivi di lavoro, con i poteri istituzionali (fotografi dei Borbone prima, poi dei Savoia). Sono cultori ed esperti nelle tecniche di ripro­ duzione. Ma l'esempio di Sommer9 è senz'altro il più pregnante. «Il modello della veduta fotografica a Napoli - e, di sicuro, a Sorrento - copiato, reclamizzato, variato, arricchito attraverso le migliaia e centinaia di migliaia di immagini riprodotte dalla fotografia alla litografia fino alla cartolina dalla fine del secolo scorso ai nostri giorni è stato impostato quasi integralmente da Giorgio Sommer». 10 Il fotografo tedesco (Francoforte sul Meno 1834 - Napoli 1914), nutrito da suggestioni winckelmanniane, è spinto nel Napoletano da una passione sincera per la Magna Grecia e per l'archeologia (spesso nei suoi album inserirà anche immagini di Pompei o dei Campi Flegrei). È dotato di grandi capacità imprendi­ toriali e aziendali: allo stesso tempo fotografo, stampatore, editore e distributore, gestisce solo a Napoli uno studio fiorente con dodici impiegati11 e riesce persino a dedicarsi alla riproduzione e alla vendita di bronzetti, quasi a sottolineare la sua vocazione al "falso", alla simulazione, alla diffusione di massa. E quindi le sue fotografie, i suoi album ben confezionati non possono che mirare particolar­ mente al turista del Grand Tour. Le sue fotografie "al collodio umido" di Sorrento e della penisola in gene­ re sono «un condensato reale, e per così dire vivente, alle categorie del pittore­ sco e del sublime». 12 E i soggetti classici della tradizione iconografica sorrentina, dal vallone dei Mulini ai vari paesaggi della costiera, richiamano esplicitamente 9 Per Giorgio Sommer abbiamo fatto principalmente riferimento a G. AFELTRA, U. D1 PACE, P. PORTOGHESI, B. GRAVAGNUOLO, Giorgio Sommer viaggio nel ricordo, Ercolano, Produzione Segno Associati, 1986; M. MIRAGLIA e U. POHLMAN (a c. di), Un viaggio fra mito e realtà. Giorgio Sommer fotografo in Italia 18571891, Roma, Carte Segrete, 1992; D. PALAZZOLI, Giorgio Sommer fotografo a Napoli, Milano, Electa, 1981; G. PETAGNA, Napoli e dintorni: Album di Giorgio Sommer fotografo del Re, Napoli, Raffaele Irace Editore, 1980. IO PALAZZOLI, Giorgio Sommer fotografo a Napoli, cit., p. VIII. 11 Cf. M. MIRAGLIA, Giorgio Sommer, un tedesco in Italia, in MIRAGLIA e POHLMAN, op. cit., p. 19. 12 Ibidem, p. 16. 56 GIOVANNI FIORENTINO queste categorie. Il suo stile è caratterizzato da una «forte traduzione chiaroscu­ rale», 1 3 da seducenti viraggi ali'oro dai toni scuri e violetti, da uno «straordinario senso della composizione, giocata su griglie compositive fisse e ricorrenti» 1• come dettagliatamente spiega Marina Miraglia nel suo ultimo puntuale contribu­ to alla storia della fotografia italiana. Nelle vedute della costiera, - come ad esempio nel classico panorama da Capo di Monte (1865 c.) 15 - gli assi compositivi si dispongono lungo la diagona­ le del rettangolo fotografico, gli elementi fissi ricorrenti sono tutti presenti e le suggestioni della tradizione pittorica sono raccolte per arrivare ad una sintesi tra veduta "pittoresca" e scene di genere. 16 La costiera si fissa in diagonale, l'albero di ulivo in primo piano sulla sinistra congiunge terra, mare e cielo dando unità alla composizione, le figurine terzine, in questo caso probabilmente - come pre­ cisa ancora la Miraglia - parenti o amici del fotografo, creano movimento e fun­ gono da quinte prospettiche. Ed è la diagonale ad esaltare la profondità prospet­ tica spaziale dell'incredibile muraglione in tufo, tanto reale in quanto fotografa­ to. Emerge così un citazionismo «sottile e discreto» 17 che lascia pensare a riferi­ menti notissimi, basti solo citare in tal caso l'incisione di Frommel del 1848 o l'acquaforte di Giacinto Gigante del 1857. La fotografia di Sommer si esalta poi quando la sua passione archeologica incontra il fascino mortuario dei ruderi delle peschiere della villa di Agrippa Postumo (1890). Anche qui la tradizione iconografica, dal pittore russo Silvestr Scedrin (1820) in poi, è ricchissima. I resti archeologici in primo piano filtrano il campo lungo della costa, con la presenza incombente della casa di Torquato Tasso, poi albergo Tramontano. La figurina in posa sui ruderi non può che esse­ re il pescatore, modello di immagine naturalmente pittoresca, che fa da raccordo vivente ad una serie di elementi che si intrecciano semplicemente grazie alla "memoria dello sguardo". Le ombre inquietanti del mare incontrano il passato, la storia, le peschiere della villa romana, il fascino romantico degli echi tassiani, le suggestioni delle straordinarie costruzioni a strapiombo sull'acqua, lo stesso dirupo roccioso interrotto solo da macchie vegetali. Unico neo (ma non si tratta di difetto, bensì solo di un limite meccanico), un cielo completamente piatto I 3 lbidem, p. 14. 14 lbidem, p. 14. l5 Dell'immagine è documentata una variante nella scheda redatta da Francesca Bonetti in MIRAGLIA e POHLMAN, op. cit., pp. 231-232. 16 PALAZZOLI, op. cit., p. IX. 17 MIRAGLIA, Giorgio Sommer, un tedesco in lta/ia, cit., p. 15. F. Scedrin, veduta di Sorrento (1820). Giorgio Sommer, la costa di Sorren�o (1890). 58 GIOVANNI FIORENTINO dovuto a una lunga esposizione che determinava nitidezza nel soggetto principa­ le e sovraesposizione nelle parti più luminose dell'immagine. «Fermati istante, sei bellissimo!» scrive Evtusénko in La musa della foto­ grafia. 18 E sei già morto. La morte entra nella vita attraverso il rudere, la memo­ ria storica, ed è già di nuovo morte nell'istante fotografico. Intanto lo stereotipo e la lastra fotografica con le sue innumerevoli riproduzioni sopravvivono. Vivono con una forza superiore a quella della realtà. Vivono autonomamente condizionando la realtà con una forza impressionante. Continuano a vivere nel topos fissato alla fine dell'Ottocento nelle immagini di Chauffourier, Brogi, Alinari, rafforzate dallo sviluppo della tecnica (o della tecnologia come precisa­ no gli storici della fotografia), riprodotte con le opportune varianti soggettive e oggettive. Per capire il passaggio "generazionale", si pensi che, mentre Sommer vantava un repertorio di circa un migliaio di immagini, gli Alinari creano una vera struttura industriale che può fornire un repertorio di quasi 70 mila "foto­ grammi", con una diffusione che è ormai capillare. La fotografia di Sorrento continua a sorridere, così come la borghesia continua a sorridere in posa negli atelier alla moda di Parigi, identica a se stessa nelle cartoline in bianco e nero del primo Novecento come in quelle a colori contemporanee, nelle foto dei depliant turistici o delle guide illustrate, fino ad arrivare nelle "usa e getta" di americani e giapponesi sbarcati in massa per rubare istanti. Le immagini hanno creato una alternativa alla realtà, o meglio, come evi­ denzia Francesca Alinovi, «hanno creato infinite nuove realtà virtuali giustappo­ ste a quella vera in un universo polidimensionale dove il passaggio da una dimensione all'altra è perfettamente indolore». 19 Ma che, aggiungiamo, può essere perfettamente doloroso per chi è dotato ancora di memoria. Ed ormai esi­ ste il rischio che gli stupendi «fantasmi artificiali» della macchina di Morel,20 - la macchina creata dallo scrittore argentino Bioy Casares, «capace di catturare per sempre l'anima dei soggetti» e «di perpetuarne la vita all'infinito sotto forma di immagine, al prezzo, però, della fatale distruzione del loro corpo»21 - siano pre­ feriti alla vita. I corpi, nel visionario romanzo di Bioy Casares, vengono lenta­ mente consumati come da una malattia che li divora, che «li uccide dall'esterno all'interno» e che li fa diventare perciò «spellati, calvi, senza unghie». Così sem­ bra stia inesorabilmente avvenendo per il nostro territorio. 18 Il saggio è riportato in DIEGO MORMORIO (a c. di), Gli scrittori e la fotografia, Roma, Editori RiunitiAlbatros, 1988, pp. 25-27. I 9 ALINOVI - MARRA, op. cit., p. 133. 20 A. BIOY CASARES, L'invenzione di More/, Milano, Bompiani, 1989. 21 ALINOVJ - MARRA, op. cit., p. 134. GLI «SCRITTI DI VARIA UMANITÀ IN MEMORIA DI BENITO IEZZI» Sono stati presentati al pubblico il 27 aprile scorso, presso la Biblioteca Universitaria di Napoli, gli Scritti di varia umanità in memoria di Benito lezzi, curati da Mario Capasso ed Enzo Puglia per i tipi di Franco Di Mauro editore. Il titolo del volume sottolinea la varietà degli scritti che esso contiene, i quali riguardano campi di ricerca che lezzi amava frequentare: l'archeologia e la sto­ ria antica, la letteratura odeporica, la storia dei papiri ercolanesi, la storia del libro e della stampa, la storia degli studi classici, la letteratura italiana. Al volu­ me sono stati invitati a partecipare tutti gli amici di lezzi a vario titolo impegnati nella più. seria ricerca scientifica. Trentadue di essi hanno risposto all'appello e ciascun singolo contributo meriterebbe attenzione particolare, ma, per motivi di spazio, ci si limiterà a poco più di un elenco. Dopo la premessa dei curatori e una nota bio-bibliografica di Fortuna Ianniello, il libro è aperto da Fulvio De Salvia con l'articolo Paapis in Magna Grecia. L'autore si sofferma sulla figura di un prete mago egiziano, protagonista del romanzo di Antonio Diogene Le meraviglie di là da Tuie: personaggio emblematico della fortuna in àmbito ellenico della cultura religiosa e funeraria egiziana. Enrico Renna, nel saggio Pitea di Marsiglia e il viaggio di esplorazio­ ne ai confini settentrionali del mondo abitato, traccia un prezioso e aggiornato profilo di questo misterioso esploratore del IV sec. a. C. Marcello Gigante, Approccio alla storia letteraria della Magna Grecia (tra scienza e autobiogra­ fia), giustifica la sua scelta di studioso di dedicarsi alla storia letteraria della Magna Grecia. Anna Angeli, nell'articolo Epicureismo e Stoicismo: genesi di una polemica, ricostruisce un aspetto poco studiato del rapporto tra queste due grandi filosofie ellenistiche. L'origine della polemica, a suo dire, riguardò tra l'altro il confronto tra la filosofia, le scienze e le arti. Alcune osservazioni 60 GLI «SCRIITI DI VARIA UMANITÀ IN MEMORIA DI BENITO IEZZI» sul!'area di Punta della Campanella presenta Luciana Jacobelli, che divulga per la prima volta gli interessanti risultati di alcuni saggi effettuati nella celebre area archeologica. Tali saggi, pur non portando alla scoperta di resti notevoli, hanno consentito alcune acquisizioni, come per esempio l'esclusione della casa del farista come luogo di insediamento del tempio. Nel suo contributo Virgilio oggi, Arturo Fratta si sofferma sui motivi che rendono la poesia virgiliana ancora straordinariamente viva e attuale. Alcune considerazioni sulla morte di Augusto a Nola svolge Rosanna Immarco, la quale sulla base di un'attenta analisi delle fonti letterarie conferma che effettivamente l'imperatore morì nella città campana. L'articolo di Umberto Pappalardo, «Oppidum tumulo in excelso loco... », è una rapida escursione sulla costa campa­ na del I sec. d. C. da Pompei a Ercolano, da Stabiae a Oplontis. Su Un supposto teatro romano a Sorrento si sofferma Mario Pagano, il quale dimostra che l'edi­ ficio, erroneamente collocato dal Beloch, era più una grossa esedra aperta verso il panorama del golfo, certo adoperato anche per audizioni. Enzo Puglia, nell'articolo Antichi bibliofili restauratori, ricostruisce le tecniche con le quali nel mondo antico si restauravano rotoli di papiro; l'articolo contiene una serie di interessanti soluzioni a problemi finora irrisolti della storia del libro antico. Alcune lettere (in)edite del Pontano conservate nella Biblioteca Nazionale di Napoli presenta Alfonso Paolella; si tratta di tredici lettere introdotte, trascritte e annotate, che contribuiscono in misura notevole alla ricostruzione delle vicende del regno aragonese. Il saggio di Maurizio Cambi Spunti utopici e progetto politico nella Forma d'una Republica Catolica di Francesco Pucci analizza un pamphlet nel quale è esposto il progetto di una comunità sovranazionale, tesa, in clandestinità, a «sconfiggere il cancro» della religione e della corruzione del clero che affligge­ va la società europea del Cinquecento. Giorgio Fulco e Nicola De Blasi nell'arti­ colo Dialogo e lettere amorose sopra la potenza d'Amore: un'integrazione al catalogo d_ialettale napoletano rendono noto un testo dialettale napoletano del Seicento composto quasi certamente da Giovan Battista Crisci. Di questo testo, finora sconosciuto, rimane un solo esemplare nella Biblioteca Nazionale di Napoli. I due studiosi ne danno un primo inquadramento critico - letterario. Il contributo di Giuseppina Zappella, Camilla Cavallo e l'introduzione della stam­ pa ad Avellino, ricostruisce una fase dell'attività tipografica in Campania. La Zappella fornisce tra l'altro un prezioso elenco delle secentine avellinesi, più completo di quello. approntato nel 1959 da Dennis Rhodes. Nell'àmbito molto caro a lezzi della storia dei viaggiatori stranieri in Italia si muove il saggio di GLI «SCRITTI DI VARIA UMANITÀ IN MEMORIA DI BENITO IEZZI» 61 Atanasio Mozzillo Le ragioni di una controutopia: Mozzillo si sofferma sulla nozione della Calabria e del calabrese nel viaggiatore colto europeo tra la fine del Seicento e l'inizio del Settecento. Francesca Longo Auricchio, nell'articolo Osservazioni sul!'attività ercolanese di Alessio Simmaco Mazzocchi ricostruisce il contributo che questo illustre accademico diede nella seconda metà del Settecento alla papirologia ercolanese. Nel saggio fohn Hayter, l'Officina dei Papiri ercolanesi e il carme De bello Actiaco in una sconosciuta testimonianza di un viaggiatore ottocentesco Mario Capasso si sofferma sulla descrizione dell'attività del celebre laboratorio, diretto agli inizi dell'Ottocento dal cappella­ no di corte inglese John Hayter, nell'opera (anonima, ma attribuita a Lewis Engelbach) Naples and the Campagna Felice. Tiziano Dorandi presenta alcune Congetture inedite di Franz Bucheler e Hermann Diels alla Stoicorum Historia di Filodemo (PHerc. 1018): si tratta di preziose annotazioni al testo di questo interessante papiro ercolanese, contenute in tre lettere conservate nel Nachlass di Achille Vogliano. Nel suo contributo intitolato Le gouaches napoletane, fenomeno d'arte o di costume? Carlo Knight s'interroga tra l'altro sul valore artistico di un genere pittorico fino a poco tempo fa non molto considerato. Delle gouaches Knight evidenzia tra l'altro la funzione testimoniale, funzione che a suo dire «non dove­ va necessariamente esprimersi in maniera passiva», giacché la fedeltà - sentita come rinunzia a interpretare la realtà - lasciava tuttavia spazio al talento artisti­ co». L'articolo di Claudio Ferone s'intitola Due lettere di Bartolomeo Borghesi dalle carte di Raffaele Garrucci: lo studioso introduce, trascrive e commenta due lettere parzialmente edite, che illuminano tanto i rapporti scientifici dei due grandi epigrafisti dell'Ottocento quanto le vicende della pubblicazione e dell' interpretazione della celebre iscrizione su bronzo documentante l'institutio ali­ mentaria di Traiano nella comunità dei Liguri Bebiani. Antonio Monte nelle sue Note su Luigi Scarambone (1794 -1856), ingegnere militare e trattatista, traccia il profilo di un'interessante figura d'ingegnere salentino. Il saggio di Raffaele Giglio, Letteratura e giornalismo a Napoli nel secondo Ottocento, affronta il tema della produzione letteraria apparsa sui giornali e scritta sia dai letterati di professione sia dai giornalisti, sul quale esisteva fino ad oggi una vasta ma insuf­ ficiente bibliografia. Il contributo di Massimo Gatta, Breve introduzione sulla private Press. (ln Appendice: «La tipografia come diletto»: un incontro con Gino Castiglione e Alessandro Corubolo, Milano, 3 aprile 1992), si divide in due parti: nella prima è ricostruita la storia della tipografia privata, specie nel mondo anglosassone tra 62 GLI «SCRIITI DI VARIA UMANITÀ IN MEMORIA DI BENITO IEZZI» la fine del Settecento e il Novecento; nella seconda è riportato il testo di una bel­ lissima conferenza milanese dei due grandi stampatori Castiglioni e Corubolo. Nel lavoro intitolato Progettisti e stilemi delle Ville del Salento (1870 - 1930) Ciro Robotti contribuisce al recupero dell'antico e famoso patrimonio storico artistico del Salento. Su forma e significato delle Traduzioni teocritee del primo Novecento si sofferma Maria Luisa Chirico, che evidenzia tra l'altro come la dif­ fusione degli idilli del poeta siracusano in lingua italiana si inserisce nell'àmbito del rinnovato interesse per la poesia alessandrina che nella prima metà del seco­ lo caratterizzò la cultura italiana. La produzione, non molto nota alla critica, de/ poeti del «sottobosco» italo - americano viene recensita da Francesco Durante, il quale ne evidenzia compiutamente gli aspetti sociologici e linguistici. Un vali­ do contributo alla storia degli studi classici nel nostro secolo è l'articolo di Fausto Giordano Francesco Arnaldi ed Ettore Romagnoli; l'articolo è fondato sulla rievocazione del maestro Romagnoli fatta dall'allievo Amaldi nel 1953: le riflessioni critiche di Amaldi sono inserite in una cornice di ricordi autobiografi­ ci. Silvio Perrella nel suo lavoro «Il Padrone» di Goffredo Parise: appunti zig­ zaganti di lettura analizza un controverso libro di Parise, apparso nel 1965, che Perrella considera una metafora con cui lo scrittore si prova a disegnare una fenomenologia dei rapporti tra gli individui in luoghi connotati dalla gerarchia. Raffaele Sirri presenta un saggio su/ romanzi maggiori di Mario Pomi/io e delinea la presenza manzoniana nei romanzi Il Natale del 1833 e il Quinto Evangelio, «Pomilio - scrive Sirri - interroga ad ogni passo il Manzoni, come scrittore e come credente, attratto dalla sottigliezza di quel pensare, dalla chia­ rezza di quel dettato lirico, narrativo, critico; ma attratto soprattutto, forse, dai silenzi di quel .pensatore». L'articolo di Franco Strazzullo è una analitica rifles­ sione sul tema attuale e delicato de La preparazione dei futuri sacerdoti per la tutela dei beni culturali della Chiesa in Italia. Chiude il libro l'unico articolo direttamente dedicato alla figura di Benito lezzi, quello molto bello e documen­ tato di Lucia Amalia Scatozza Horicht: «Felicità della memoria». Il contributo di Benito lezzi agli studi archeologici. LE ATTIVITÀ DEL CENTRO B. CAPASSO NEL 1994 Inauguriamo in questo numero de «La Terra delle Sirene» un sintetico notiziario delle attività svolte dal Centro B. Capasso da solo o in collaborazione con altri enti e associazioni. - Il 26 febbraio, nella sala consiliare del Municipio di Meta, il prof. Raffaele Giglio e il dr. Arturo Fratta hanno presentato al pubblico il saggio delle socie Luigina de Vito e Nella Pane Martino Cafiero giornalista della Napoli postunitaria, I Quaderni de «La Terra delle Sirene» I (Sorrento 1993). Presenti le Autrici, ha presieduto il Sindaco di Meta. - In occasione del V Cammino di Fraternità delle Confraternite d'Italia, svoltosi a Sorrento il 14 e 15 maggio, il Centro ha pubblicato il volume Le Confraternite a Sorrento, I Quaderni de «La Terra delle Sirene» 2 (Sorrento 1994), con articoli di Pasquale Ferraiuolo, Gilberto Antonio Marselli, Amalia Signorelli, Franco Scandone, note introduttive di Arturo Fratta, immagini a c. di Antonino Fiorentino. - Si è inaugurata il 14 giugno presso l'Hotel Cocumella di Sant'Agnello la mostra didattica "La Cocumella. Da collegio gesuitico a Grand Hotel. Ricerca storica e iconografica", allestita per iniziativa del prof. Antonino Fiorentino dell'Istituto d'Arte F. Grandi di Sorrento con la collaborazione del nostro Centro. Nell'occasione hanno preso la parola, coordinati da Arturo Fratta, la nostra socia Luigina de Vito, Paola Madonna e il Soprintendente scolastico della Campania Renato Nunziante Cesara. Alla presenza della signora Vera Del Papa e delle figlie Fiamma, Serena e Gaia, è stato ricordato lo scomparso arch. Nino Del Papa. - Il 18 giugno, nella Biblioteca dei Servi di Maria, a cura del nostro Centro e in collaborazione col Comune di Sorrento, il prof. Giovanni Uggeri e la 64 LE AITIVITÀ DEL CENTRO prof.ssa Vera von Valkenhausen hanno presentato i volumi di Angelo Russi Bartolommeo Capasso e la storia del Mezzogiorno d'Italia e [Julius Beloch], Surrentum im Alterthum. Sorrento nel!' antichità (Sansevero 1993). Ha presiedu­ to Enzo Puglia, sono intervenuti il Sindaco di Sorrento e l'Autore. - Il 27 agosto il Centro, col patrocinio del Comune di Sorrento e della Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta, ha organizzato una visita, gui­ data dal prof. Mario Russo, ai ruderi della Villa di Pollio Felice al Capo di Sorrento. L'iniziativa, mirante alla salvaguardia e alla valorizzazione del noto monumento e denominata "Pomeriggio in Villa", è stata conclusa dal Soprintendente Stefano De Caro con un ricordo degli archeologi Paola Zancani Montuoro e Georges Vallet. Un concerto della banda musicale "Nino Bixio" di Piano di Sorrento ha chiuso I' incontro. - Nel quadro delle manifestazioni per il 450° anniversario della nascita di Torquato Tasso, il Centro ha pubblicato una cartella fotografica dal titolo / luo­ ghi sorrentini del Tasso, con foto di Antonino Fiorentino e testi di Dante Della Terza e Gino Cavallo. - Lo scultore Antonio Mellino, nostro socio, ha ideato e realizzato per il 450° anniversario della nascita di Torquato Tasso una medaglia in rame bronza­ to del diametro di mm 60. Mellino (Massa Lubrense 1956) si è diplomato all'Istituto d'Arte di Sorrento e ali'Accademia di Belle Arti di Napoli; ha inse­ gnato a Vicenza e a Napoli. - Si è tenuto a Sorrento dal 17 al 19 novembre il Convegno di studi "Torquato Tasso quattro secoli dopo", al quale hanno partecipato, sotto la Presidenza di D. Della Terza: G. Baldassarri, L. Benedetti, A. Daniele, G. Da Pozzo, M. L. Doglio, P. Larivaille, A. Oldcom, L. Poma, D. Quint, G. Resta, M. Rossi, R. Scrivano, R. Sirri, S. Zatti. La proposta di organizzare tale convegno fu formulata nel 1993 dal nostro Centro e da altre associazioni culturali riunite in un apposito comitato eletto dalla G. M. di Sorrento. All'epoca, e fino al 3 gen­ naio 1994, era Assessore alla Cultura il nostro socio fondatore Antonino Fiorentino, al quale va anche il merito di aver proposto al Ministero dei Beni Culturali la costituzione del Comitato nazionale per le manifestazioni in onore di Torquato Tasso. - Una cartella fotografica intitolata La Sorrento di Saltovar (ricerche foto­ grafiche di Antonino Fiorentino, testi di Michele Lubrano, Nella Pane e Francesco P. De Martino) è stata pubblicata dal Centro in occasione dei 50 anni dalla morte di Silvio Salvatore Gargiulo. Al poeta il Centro Capasso dedicò nel 1989 il libro Silvio Salvatore Gargiulo. Saltovar, dei soci G. Acampora, S. ° La medaglia di Antonio Mellino per il 450 anniversario della nascita del Tasso. 66 LE AITIV!TÀ DEL CENTRO Cangiani, F. P. De Martino e N. Pane. - Si è aperta nel mese di novembre a Villa Fiorentino la mostra "Un favo­ loso mondo di legno", ispirata al mondo poetico del Tasso, con cinque pannelli disegnati da Vincenzo Stinga ed eseguiti da Giuseppe Rocco. - A dicembre si è inaugurata al Chiostro di S. Francesco la seconda edizio­ ne della mostra "La teatralità del Presepe napoletano. Intarsio sorrentino tra pas­ sato e presente", organizzata dall'Unione Artigiani Intarsio Sorrentino e dal nostro Centro. Nella sezione intitolata "Una tarsia per il Tasso", è esposto un pannello eseguito da Mario d'Alesio su disegno di Giuseppe Centro. - Anche nel 1994 il Centro Capasso organizza il concorso "Il Presepe oggi", giunto alla XVII edizione. Quest'anno il concorso è esteso a tutta la Campania e si accompagna al concorso fotografico e video "La Campania tra Storia e Tradizione. Itinerario tra le arti e la cultura del Natale in Campania". Un'immagine di Silvio Salvatore Gargiulo tratta dalla cartella fotografica La Sorrento di Saltovar, prodotta dal Centro Capasso in occasione dei 50 anni dalla scomparsa del poeta. Una tarsia per il Tasso (disegno di Giuseppe Centro, esecuzione di Mario d' Alesio). LUIGINA DE VITO PUGLIA - NELLA PANE CIRCELLI Martino Cafiero I QUADERNI DE «LA TERRA DELLE SIRENE» Centro di Studi e Ricerche B. Capasso Le Confraternite a Sorre� .,, .. . \"t I QUADERNI DE «LA TERRA DELLE SIRENE» Centro di Studi e Ricerche B. Capasso